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Progettare il lavoro: un grattacapo per i manager
Progettare il lavoro: un grattacapo per i manager
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Gabriele Gabrielli

Non c’è buona impresa senza una valida organizzazione del lavoro, una dimensione importante dell’impegno manageriale. Questo campo inoltre costituisce un’ottima lente d’ingrandimento per conoscere e valutare la filosofia, le competenze, i risultati dell’impresa e dei suoi responsabili. Organizzare il lavoro, dunque, rappresenta un po’ il cuore pulsante delle attività manageriali e dell’organismo impresa, con questa responsabilità si divide e si assegna il lavoro. Organizzare il lavoro altrui richiede anche aver chiaro ciò che serve in termini di capacità, conoscenze e motivazione. Significa valutare e identificare le competenze che le persone devono avere per realizzare al meglio la loro “mansione”, ossia il sistema di compiti loro assegnato a cui sono associate aspettative. Infatti, è l’insieme di queste complesse scelte e valutazioni organizzative che configura la prestazione attesa dai collaboratori, gli standard, come un lavoro debba essere svolto in termini qualitativi e di corrispondenza ai requisiti stabiliti. Per tutte queste ragioni organizzare il lavoro è da sempre prerogativa dell’impresa e del suo management.

Per sottolinearne ancora il rilievo può essere utile ricordare che la scelta dell’organizzazione del lavoro significa anche essere responsabili del disegno degli spazi produttivi, della configurazione delle interazioni tecnologia/macchina e uomo, della identificazione e messa a disposizione degli strumenti di lavoro. Le sue implicazioni dunque “non sono neutre né per l’organizzazione né per le persone” (Sammarra, Profili, 2012) e danno un gran daffare ai manager. Pongono loro numerose questioni: quando si disegna l’organizzazione del lavoro ci si deve lasciar guidare dalla ricerca della massimizzazione dell’efficienza? O sarebbe meglio per l’impresa e per gli altri soggetti coinvolti privilegiare un approccio che presti maggiore attenzione ai bisogni psicologici e relazionali di ciascuna persona? Perché non farsi guidare dall’obiettivo di ridurre lo sforzo fisico dei lavoratori avendo cura di progettare un lavoro più sicuro e portatore di benessere?

Sono tutte questioni che evocano prospettive differenti non solo pratiche, ma anche teoriche, sulla base delle quali assumere decisioni organizzative che hanno ricadute sulla produttività, efficienza, qualità dei prodotti/servizi e competitività dell’impresa, ma anche sulla motivazione e sulla soddisfazione nel lavoro dei collaboratori. Naturalmente non c’è una risposta univoca a queste domande, ci sono però studi che accrescono la consapevolezza riguardo le implicazioni di ciascuna. Ricercare il maggior grado di efficienza può richiedere scelte di organizzazione del lavoro che trovano il loro vantaggio nella progettazione di mansioni molto parcellizzate, passando per una verticalizzazione del lavoro stesso e per una separazione tra funzioni di decisione, coordinamento e controllo e funzioni di esecuzione prive di varietà e di autonomia. Un approccio che trova la sua espressione più conosciuta nei principi dello scientific management di Frederick Taylor e che hanno ispirato i modelli organizzativi fordisti dell’industria manifatturiera e che – opportunamente rivisitati – continuano a ispirare anche alcuni nuovi modelli di organizzazione del lavoro d’imprese e filiere produttive ben rappresentative dell’epoca della conoscenza e dell’intangibile che viviamo.

E’ indubbio, d’altro canto, che alcune caratteristiche del lavoro, come la varietà e significatività dei compiti, nonché l’autonomia con cui la mansione viene svolta, influenzano la motivazione e la soddisfazione nel lavoro dei collaboratori. Una progettazione del lavoro che possa vantare un significativo livello di varietà e di autonomia influenza positivamente tre stati psicologici critici del lavoratore, ossia “il significato attribuito al proprio lavoro, la responsabilità e la conoscenza dei risultati” (Sammarra, Profili, 2012). Tuttavia non è detto che affidare un ruolo con una significativa ampiezza di compiti e che riconosce un altrettanto potere di intervento e autonomia al collaboratore (empowerment) produca in tutte le situazioni maggiore motivazione e soddisfazione. Un tale risultato infatti dipenderà anche dalle differenze e preferenze individuali.

Il valore del lavoro, dunque, non è “oggettivo”, risultando fortemente influenzato anche da come è percepito da ciascuno di noi in funzione di come siamo, dall’esperienza maturata, da quello che desideriamo. Soprattutto per questo la progettazione dell’organizzazione del lavoro costituisce un grattacapo per il management, un esercizio che richiede grandi capacità ma soprattutto consapevolezza e responsabilità.

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Riferimenti

Hackman J.R., , Oldham G.R. (1980), Work redesign, Reading, MA: ddison-Wesley

Sammarra A., Profili S. (2012), Analisi e progettazione del lavoro, in Gabrielli G., Profili S., Organizzazione e Gestione delle Risorse Umane, Isedi, Torino

Una versione più ampia di questo articolo è stata pubblicata sul numero di febbraio 2015 della rivista L’Impresa.