Non bastano più l’incontro one-to-one con il decisore e le compensazioni per il territorio: la costruzione del consenso per le aziende ha bisogno di metodi e tecniche nuovi. È necessario passare da una visione ‘razionale’ dello stakeholder engagement a una ‘relazionale’, che faccia sentire i cittadini parte del processo e stimoli la partecipazione di terze parti del mondo associativo, accademico e dei media
Articolo di Gianluca Giansante, Docente LUISS Guido Carli e partner Comin & Partners
L’evoluzione del contesto sociale, politico e dei media impone la necessità di ripensare le attività di relazioni istituzionali di lobbying. La costruzione del consenso per le aziende e le istituzioni ha bisogno di metodi e tecniche nuovi. Non basta più l’incontro one-to-one con il decisore e le compensazioni per il territorio: la costruzione del consenso per le aziende ha bisogno di metodi e tecniche nuovi che tengano conto del mutato scenario, nel quale le istituzioni non riescono a mediare il consenso sociale a causa di un mutato contesto legislativo (la riforma del titolo V della Costituzione in primis) e sociale, con l’emergere di nuovi attori.
L’Advocacy è un metodo che punta a influenzare le politiche pubbliche attraverso un coinvolgimento forte non solo dell’attore istituzionale ma di settori ampi della società, costruendo alleanze larghe e stimolando la partecipazione di terze parti del mondo associativo, accademico e dei media. È un’attività che non coinvolge più solo la funzione relazioni istituzionali ma l’intera azienda, con la partecipazione in prima linea di aree di lavoro molto diverse fra loro, dalla comunicazione, alla ricerca, dal marketing alla corporate citizenship e un forte commitment del vertice.
In questo senso, l’approccio di Advocacy può comprendere azioni di lobbismo “puro”, costruendo però percorsi efficaci non solo nella facilitazione della realizzazione di un progetto, ma anche nel rafforzamento della reputazione dell’azienda o dell’istituzione interessata. È un metodo che richiede un dialogo con i cittadini che consenta di comprenderne in profondità le esigenze e di coinvolgerli fin dalle prime fasi della realizzazione del progetto, per evitare che la narrazione sul progetto sia territorio egemonico degli attori “contro”. Richiede quindi la costruzione di una “relazione” con i cittadini e non più solo la spiegazione “razionale” delle ragioni dell’azienda.
Il nuovo scenario sociale e le nuove esigenze di coinvolgimento
Nel suo ultimo rapporto, l’Osservatorio permanente Nimby Forum – l’ente che monitora le opposizioni a opere di pubblica utilità e insediamenti industriali in costruzione o in progettazione – raccoglie alcuni dati utili a comprendere questo nuovo scenario. Infatti, non solo cresce il numero di impianti contestati (359 in totale, con un +5% dall’anno precedente), ma cambiano le motivazioni ed emergono nuove necessità. Dallo studio emerge come la partecipazione attiva ai processi decisionali stia guadagnando un’importanza crescente. I diversi attori coinvolti nel processo si aspettano di essere ascoltati, interpellati, e coinvolti. Proprio l’assenza di coinvolgimento è segnalata come una delle cause principali alla base delle contestazioni (seconda solo alle preoccupazioni per l’ambiente), con un trend di incremento costante: 14,6% nel 2014, 18,6% nel 2015, 21,3% nel 2016. Per un’azienda che voglia realizzare un nuovo progetto industriale o un’infrastruttura non è più sufficiente utilizzare gli strumenti classici del lobbying. È necessario, invece, comprendere in profondità le esigenze dei cittadini e coinvolgerli fin dalle prime fasi della realizzazione e soprattutto costruendo una colazione larga che supporti l’opera e includa i media, locali e nazionali, studiosi ed esperti, il mondo delle associazioni e gli influencer digitali. Un percorso efficace di Advocacy dovrà quindi partire dalla comprensione delle ragioni alla base del conflitto, per disarmarlo e arrivare a un consenso attivo da parte dei cittadini.
Comprendere problemi e necessità per disinnescare i conflitti
Quando un‘azienda o un’istituzione entra in un territorio o in un contesto sociale per realizzare i propri obiettivi di business, viene generalmente percepita come una presenza esterna e aliena, e quindi da combattere (spesso sulla base di pregiudizi). Un territorio rappresenta un sistema complesso e multidimensionale, un ambiente dove non vivono solo attori istituzionali, ma anche economici, sociali e culturali, che vogliono trovare in quel progetto o in quell’infrastruttura proposta anche una realizzazione delle proprie esigenze e aspettative. Se non vengono ascoltate e coinvolte tutte le componenti fin dalle prime fasi, si osserva l’emergere di attori sociali che trovano la loro ragion d’essere proprio nell’opposizione all’azienda o all’istituzione portatrice del progetto. A questo proposito un asset chiave diventa la reputazione dell’azienda. Realtà che godono di una reputazione bassa o negativa dovranno fronteggiare conflitti più aspri, se non vere e proprie “guerre di religione” da parte degli attivisti. Questi soggetti tenderanno a creare un sistema complesso e articolato, un network che si potrà estendere dal livello locale a quello nazionale o internazionale. Se però fin dalle prime fasi questi attori trovano un riconoscimento del proprio ruolo e delle proprie aspettative, è possibile disinnescare gli elementi conflittuali, e anzi tramutare queste energie in una forza di cooperazione, in un percorso di costruzione e creazione del consenso. È necessario passare da una logica di comunicazione top-down a una strategia di stakeholder engagement bottom-up. Gli attori in campo, e in primo luogo le aziende, devono spostare il focus della propria azione e cambino il proprio approccio strategico. Non basta coinvolgere pochi punti nevralgici – in particolare le istituzioni locali – perché si è perso il loro ruolo di mediatori del consenso sociale.
Da “razionale” a “relazionale”: un nuovo approccio per lo Stakeholder Engagement
Attualmente, possiamo osservare come molti dei metodi e delle attività di stakeholder engagement normalmente messi in campo risultano, di fatto, inefficaci se non addirittura controproducenti. Questo avviene proprio perché, nel nuovo contesto politico e sociale, segnato dalla sfiducia nei confronti delle istituzioni, è insufficiente che un progetto sia condiviso solo con i decisori pubblici e le autorità locali che hanno effettiva competenza giuridica. Anzi, spesso il consenso proveniente da istituzioni che godono di una bassa reputazione costituisce un ulteriore “bias” per l’opinione pubblica. Questo rende inutile lo sforzo di mettere in evidenza, tramite una comunicazione puramente razionale e di contenuto, i benefici e i punti di forza di un’infrastruttura o di un progetto strategico. È necessario passare da una visione “razionale” dello stakeholder engagement a una “relazionale”. Non basta spiegare le ragioni per cui un’opera è necessaria, serve creare una relazione con gli elementi chiave di un territorio, quelli che possono influenzare positivamente la comprensione della necessità di un progetto e della sua rilevanza per la comunità. Per le aziende è necessario operare un cambiamento di strategia e organizzativo: talvolta le attività di stakeholder engagement vengono viste come una parte staccata dal core business, e il top management non ne viene coinvolto quindi in maniera attiva. Si tratta invece, sempre più, di un’attività che non coinvolge solo la funzione relazioni istituzionali ma l’intera azienda, con la partecipazione in prima linea di aree di lavoro molto diverse fra loro, dalla comunicazione, alla ricerca, dal marketing alla corporate citizenship.
I pilastri di una strategia di Advocacy
Per rendere più efficaci le attività di stakeholder engagement e costruire il consenso attorno a un progetto, è necessario quindi un approccio di Advocacy che si basi su tre elementi chiave. Il primo sono le attività di comunicazione, che permettano di creare un clima favorevole alle decisioni proposte. Servirà quindi definire una serie di messaggi che rispondano alle diverse esigenze dei vari gruppi di stakeholder, dalle istituzioni – interessate a non perdere e anzi accrescere il proprio consenso – ai rappresentanti dei settori produttivi dell’area ai media locali, fondamentali a raggiungere larghi strati di cittadini.
Modellare questi messaggi rispetto ai pubblici di riferimento non significa diminuirne l’efficacia, ma anzi metterne in maggiore evidenza gli aspetti che possono stare più a cuore ai diversi soggetti. Sarà necessario attivare tutte le aree della comunicazione, dalla gestione delle media relations al digital, dalla CSR (che sarebbe meglio definire corporate citizenship) alle Public Relations. La seconda attività chiave di una strategia Advocacy è il coinvolgimento delle terze parti, con azioni che promuovano un punto di vista esterno e autorevole e aggiungano contenuto al dibattito. Sarà quindi fondamentale coinvolgere opinion leader riconosciuti dalla comunità per la loro autorevolezza accademica, professionale o personale e costruire assieme a loro il percorso che porti al consenso sul progetto. Così come istituti di ricerca, associazioni sul territorio e tematiche. La terza area è relativa al coinvolgimento dei cittadini come portavoce di istanze favorevoli al progetto. Per farlo è necessario coinvolgerli prima di avviare le attività di “permitting” e non dopo. In questo modo, il consenso generato permetterà di facilitare il processo di approvazione e realizzazione a tutti i livelli. Ma soprattutto, nel caso di potenziali criticità, sarà la stessa opinione pubblica a depotenziare possibili attacchi e agire verso il rafforzamento della reputazione dell’azienda e dell’istituzione coinvolta. Usare questi strumenti all’interno di una strategia di Advocacy coerente, indirizzando le energie di tutte le aree aziendali coinvolte e con il sostegno di terze parti, permetterà quindi di rappresentare gli interessi aziendali e allo stesso tempo contribuire al dibattito democratico, valorizzando il ruolo di tutti gli attori sociali coinvolti, dai cittadini alle istituzioni, dalle parti sociali ai media.
“Grassroots Advocacy e Lobbying indiretto” è il corso del programma in Corporate Communication & Stakeholder Management diretto da Gianluca Comin che si propone di analizzare le dinamiche, le strategie e gli strumenti per la creazione del consenso dal basso. Il corso si terrà venerdì 23 marzo e sabato 24 marzo 2018 per una durata complessiva di 2 giornate, 15 ore di formazione. Gianluca Giansante, Docente di comunicazione politica LUISS Guido Carli, Partner Comin & Partners, e Patrizia Rutigliano, Executive Vice President of Government Affairs, Corporate Social Responsibility & Communication Snam S.p.A sono i coordinatori scientifici del modulo.
20/04/2018