Commento pubblicato su Affari & Finanza, 8 giugno 2020
L’Italia è entrata nella crisi Covid-19 priva di una vera e propria strategia industriale e nei mesi del lockdown si è acceso il dibattito sul ruolo dello stato nell’economia tra neoliberisti e neostatalisti, tra fan della teoria dello Stato Regolatore e accesi sostenitori della necessità di rilanciare quella dello Stato Imprenditore.
La crisi che stiamo attraversando da un punto di vista economico richiede un intervento dello Stato che può essere schematizzato in tre cluster di attività: gestire l’emergenza; sostenere la ripartenza; definire una strategia per lo sviluppo nell’economia post-Covid. Erroneamente si ritiene che esse siano il frutto di tre attività e fasi separate; in realtà, la complessità genera interdipendenze reciproche, basti pensare alla ricapitalizzazione delle imprese con ingresso di capitale pubblico ai fini della ristrutturazione prevista nel Decreto Rilancio, che difficilmente non influenzerà le future strategie di sviluppo industriale delle imprese che hanno aderito allo strumento se quest’ultimo non è ben congegnato. La tentazione di costruire strumenti con una forte deriva interventista appare molto elevata: l’avvio di una nuova stagione di controllo diretto del capitale delle imprese da parte dello Stato, tuttavia, viene visto da molti come non più allineato alle esigenze di un’economia che nei prossimi anni vedrà una fortissima accelerazione nella trasformazione digitale e un progressivo riavvicinamento degli insediamenti produttivi grazie al reshoring delle catene del valore. Serve piuttosto la capacità di costruire un disegno di insieme che permetta di definire con sufficiente approssimazione la traiettoria che le iniziative dei privati dovranno seguire nei prossimi anni.
Per fare questo occorre che lo Stato vada a occupare una posizione di leadership strategica senza intaccare la libertà di azione e di iniziativa imprenditoriale dei privati.
In questo ambito, tre sono le linee fondamentali che devono essere tracciate: una rigorosa politica dei fattori della competitività che consenta alle imprese italiane di giocare la partita della competizione; la definizione di alcuni ambiti industriali in cui il sistema italiano possa raggiungere posizioni di eccellenza e in questi creare le condizioni affinché idee, talenti e capitale affluiscano efficacemente; comprendere le traiettorie di sviluppo globale dei settori rilevanti per il Paese – ad esempio tessile, meccanica, turismo – e agevolarne la trasformazione per traguardare i nuovi fattori critici di successo.
Una politica dei fattori significa anche avviare finalmente i grandi progetti infrastrutturali per trasformare i trasporti e la logistica del Paese. Ma anche accelerare definitivamente sullo sviluppo della Banda Ultra Larga fissa e mobile per condurre l’Italia nell’era dell’Intelligenza Artificiale, che non deve essere vista come una minaccia, ma come la più grande opportunità del nostro tempo.
Abbiamo inoltre bisogno di realizzare la più grande opera di semplificazione amministrativa mai vista, che consenta veramente di liberare le energie di questo Paese e dedicarle alla creazione di ricchezza e benessere per tutti. Due sono a mio avviso i principi fondamentali: sostituire la regola dell’autorizzazione preventiva con quella del controllo ex-post; eliminare, attraverso la trasformazione digitale del settore pubblico, tutti i pleonastici livelli di intermediazione per offrire servizi rapidi ed efficienti a cittadini e imprese. E politica dei fattori implica anche rendere la giustizia rapida e non incerta, così come mettere a punto una politica fiscale più efficiente, a livelli omogenei di welfare offerto.
Accanto a ciò, lo Stato deve avere la lucidità e il coraggio di selezionare quei settori economici in cui imprese, istituzioni e università nel loro complesso dimostrino di avere la chance di costruire ecosistemi competitivi a livello globale. Questo implica la forza di mettere in campo tutte le condizioni per attrarre non solo capitali, ma anche talenti e progetti imprenditoriali in città con stili di vita competitivi a livello internazionale.
Ma soprattutto occorre un nuovo modello di partnership pubblico-privato che non si basi sulle regole dell’anticorruzione, ma su un nuovo patto di fiducia tra istituzioni, cittadini e imprese. Un patto che consenta allo Stato di mettere in campo in modo efficace risorse e investimenti e ai privati di vedere i loro sforzi e le loro competenze premiati da risultati brillanti nei mercati internazionali. Con questo nuovo modello il ruolo dello Stato non sarà quello dell’Imprenditore e nemmeno esclusivamente quello del regolatore. Ma sarà uno Stato che agirà come un orchestratore che conosce approfonditamente gli strumenti dell’orchestra economica e sociale ed è in grado di scrivere la miglior musica per farli suonare armoniosamente.
Uno Stato orchestratore che dovrà mettere insieme le note rappresentate da politiche dei fattori, scelte strategiche e sforzi di trasformazione e riconversione per portare il sistema industriale italiano verso un nuovo disegno. Un disegno che non può essere il risultato di una distribuzione ampia e a pioggia di incentivi, defiscalizzazioni, contributi economici e prebende varie, ma solamente il risultato di un progetto per il futuro che ora che l’intero assetto politico ed economico globale si sta riconfigurando è più urgente che mai.
8/6/2020