Ora più che mai c’è bisogno di un aiuto. Per cambiare testa, o anche solo strategia. E far crescere il fatturato. Ce lo spiegano Anna Zanardi Cappon e Paolo Palazzo dell’Executive Programme Coaching Luiss Business School
Si fa presto a dire “new normal”. Ma di normale, in questo 2022, non c’è proprio niente. A partire dal Covid, del quale non ci siamo ancora liberati. Il distanziamento sociale, le mascherine, le diverse modalità di interazione: siamo letteralmente schiacciati dal peso del virus, come individui ma anche come organizzazioni. E ci sono solo poche cose che ci possono aiutare, una di queste è il coaching. «Performance e salute sono due aspetti correlati, ma questo aspetto non viene quasi mai preso in considerazione», sottolinea Anna Zanardi Cappon, psicologa, psicoterapeuta, executive coach e consulente strategico-organizzativa, referente scientifica dell’Executive Programme Coaching della Luiss Business School.
«L’essere umano nella sua realtà primariamente biologica ha un apparato sensorio che condiziona, attraverso ciò che percepisce, mente, emozioni, valori e, in ultimo, anche la performance che agisce. Il coach, consapevole dell’integrità della persona, agisce su livelli che più vanno potenziati: avere conoscenze neuroscientifiche aiuta a indirizzare meglio le decisioni della persona su eventuali comportamenti o scelte da effettuare».
Il 2022 sarà un anno di aumentata consapevolezza sul reale ambito d’azione del coaching: «Se negli anni 2000 il coaching era ancora considerato una pratica esotica, oggi è una prassi consolidata e familiare a numerose aziende», prosegue Anna Zanardi Cappon. Ma la moda del coaching ha anche effetti “negativi”. Basti pensare che, digitando la parola “coach” su LinkedIn, solo in Italia sono presenti 56.000 risultati. «In realtà gli iscritti alle associazioni nazionali sono al massimo poche migliaia. Le credenziali che qualificano la professione di coach in base alla legge 4 del 2013 sono quelle fornite dalle maggiori associazioni operanti in Italia. Il 2022 sarà l’anno in cui si acquisirà maggiore consapevolezza sulla figura del coach, facendo più attenzione alle sue credenziali e alla sua preparazione, frutto di una formazione qualificata». Diffidate dalle imitazioni, insomma.
Ne va del fatturato
Il gioco vale la candela? La scelta di inserire il coaching in azienda, ma anche solo di seguire un percorso individuale si scontra con l’antico tema del Return on investment del coaching. «Diversi studi hanno dimostrato come l’aumento di performance e di business siano collegati a migliori capacità di leadership, inclusione e benessere organizzativo», spiega Paolo Palazzo, executive coach e coordinatore scientifico dell’Executive Programme Coaching della Luiss Business School «In più, i benefici riportati dalle aziende includono: incremento della produttività, qualità, un miglior customer service e una minore customer compliance, maggiore fidelizzazione (soprattutto da parte di coloro che ricevono coaching) e un aumento della bottom-line profitability». Ma questi benefit, a cui si aggiungono anche quelli personali come le migliori relazioni sul luogo di lavoro, hanno comunque bisogno di stime numeriche che giustifichino l’investimento delle aziende nel coaching: «Secondo i dati analizzati dall’International Coach Federation il coaching genera un Return on Investment (ROI) di circa 4-8 dollari per ogni dollaro investito. Si tratta dunque di un ritorno economico concreto. E nel 2022 peserà sempre di più sulle scelte dei leader».
Così, meglio non perdere tempo: «L’autoriflessione e la consapevolezza delle proprie capacità e delle aree da sviluppare aumentano l’attenzione e la competenza», chiarisce Paolo Palazzo. «Per questo motivo, l’impatto del coaching sulle performance diventa più coerente e ne eleva la qualità. Inoltre, abbassa il rischio operativo dei team, migliorandone comunicazione interna e interpersonale. Un buon programma di coaching consente alle persone – grazie alla riflessione e alla consapevolezza di sé e del contesto – di considerare e ampliare la propria area di influenza all’interno dei sistemi nei quali sono inseriti, di scoprire nuovi spazi di azione e di assumersene la responsabilità». Il coaching diventa quindi uno strumento che le aziende possono implementare (anche come benefit aziendale, non dimentichiamolo) per ridare valore al proprio capitale umano: «Può diventare un regalo che l’azienda può fare per migliorare il benessere della persona, la sua capacità d’impatto nell’organizzazione, andando a migliorare anche la sua autostima e auto-efficacia». E se per decenni il coaching è stato impiegato solo a supporto delle posizioni apicali, oggi può essere esteso a tutta la popolazione aziendale: «Il coaching non è un benefit solo per chi ci lavora, ma per l’intera azienda», sottolinea Anna Zanardi Cappon. «Ormai molti Ceo e team apicali hanno all’interno delle rispettive organizzazioni un team coach, che li accompagna costantemente nello sviluppo del piano industriale o del cambiamento auspicato. In questo senso, i comportamenti funzionali ai contesti mutevoli, per essere effettivi, devono essere preceduti da un lavoro a livello cognitivo ed emozionale, dapprima sempre personale».
Il digitale ci salverà
Fin da tempi non sospetti (ben prima che il Covid irrompesse nella nostra quotidianità) il coaching si è affidato anche a confronti digitali. Così, quando è arrivata la pandemia, il settore si è trovato pronto ad affrontarla. «La novità è stata confrontarsi con leader e manager che hanno dovuto traslare il lavoro in digitale, cambiando la prassi organizzativa», chiarisce Paolo Palazzo. «Il coach ha lavorato chiarendo gli effetti neurocognitivi del passaggio da una dimensione tridimensionale a una bidimensionale. Inoltre, ha cercato di trovare soluzioni pragmatiche al sovra-affaticamento, alla pressione stressogena, all’iperfocalizzazione sui contenuti e alla perdita di un’abitudine alla relazionalità fisica, che in molti ha creato e ancora oggi crea disagio e spossatezza. Nel 2022 si lavorerà ancora molto sul tema, per mettere in armonia la relazione fisica e quella digitale».
Abbiamo imparato a familiarizzare con lo smart working. Ma non è filato tutto liscio: «Alcune aziende hanno avuto difficoltà a convincere i dipendenti a tornare in ufficio e chi è tornato fa fatica a starci», spiega Anna Zanardi Cappon. «Il coaching potrebbe aiutare le imprese a sbloccare questa situazione e a ridisegnare gli spazi umani di lavoro. Ma questo può avvenire solo attraverso il recupero dell’identità organizzativa e individuale: sono i due aspetti su cui bisogna investire. La riflessione operata attraverso il coaching aiuta a orientarsi in questa direzione, sgomberando il tavolo da temi di bias o timori individuali. Quello del coaching è uno spazio protetto, dove tutto può essere messo in discussione ed elaborato, anche la propria identità professionale e le proprie convinzioni più profonde».
Articolo pubblicato su Economy, febbraio 2022
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10/02/2022