Articolo di Gabriele Gabrielli, Professor of Practice in People Management, Human Resource Management and Organisational Behaviour LUISS Business School e Responsabile del People Management Competence Centre & Lab
L’approccio del Total Reward incrocia direttamente i temi critici dello Human Resource Management e del People Management in quest’epoca segnata dalla grande trasformazione del lavoro. Sono temi che rappresentano al tempo stesso sfide importanti per imprenditori, manager e professionisti dello sviluppo delle persone.
Cos’è una sfida? La sfida – leggo dal dizionario Treccani – è una «provocazione, un atto che ha lo scopo di suscitare comunque una reazione da parte di altre persone». Il Total Reward sfida infatti a rileggere con lenti nuove e potenti molte questioni della gestione delle persone, gettando il guanto della provocazione in faccia alla leadership HR per scovare quella coraggiosa, aperta e inclusiva e lasciare al palo quella rattrappita su se stessa.
La trappola degli incentivi
Per proporre la prima provocazione prendo spunto dalle pagine di un libro del filosofo statunitense Michael Sandel, Quello che i soldi non possono comprare. I limiti morali del mercato. Si tratta di un lavoro molto interessante che indaga la questione se si possa comprare tutto con i soldi. Posta così la questione appare retorica, perché sollecita una risposta negativa, ossia che la vita (e le sue dimensioni) non può essere governata tutta dalla logica di mercato.
Riformulo allora la questione e domando: siamo sicuri che non ci siano imprenditori, manager e HR convinti invece che con gli strumenti descritti nel quadrante “Pay” della nota matrice di successo formulata dai consulenti Brown e Armstrong nel 1999 si possa comprare davvero tutto?
L’esperienza dice che ci sono e anche più numerosi di quanto si possa credere. Sono convinti che senza soldi non si possa far niente, così diventano incapaci – loro per primi – di immaginare impegni che non prevedano come ricompensa un premio economico. È questa la trappola degli incentivi. Chi non è caduto nella trappola sa bene che gli incentivi economici sono importanti, sa anche però che occorre ben altro per essere felici, per essere soddisfatti nel lavoro e lasciarsi coinvolgere emotivamente. Ecco allora una prima sfida importante che ci lancia il Total Reward: comprendere la vera natura dell’uomo, di che pasta siamo fatti, quali sono le motivazioni che spingono i nostri comportamenti e i bisogni da cui nascono.
Total Reward per chi?
Dunque, ecco la seconda sfida: ascoltare attivamente le persone. L’ascolto attivo chiama in causa tutti i sensi. Non si ascolta attivamente se utilizziamo solo l’intelligenza cognitiva. D’altro canto abbiamo imparato ormai da decenni, grazie alle ricerche di studiosi come Herbert Simon, che la razionalità umana è limitata, che gli uomini non sempre scelgono razionalmente, che le organizzazioni sono reti complesse di decisioni e piuttosto ambigue. Adam Smith, quasi tre secoli fa, scriveva nel volume Teoria dei sentimenti morali mentre andava alla ricerca di ciò che muove l’uomo (un vero e proprio studio sul comportamento organizzativo), che le persone alla fine desiderano sentirsi amate e utili.
L’approccio del Total Reward, allora, diventa straordinaria occasione per verificare se e quanto le imprese e le funzioni HR sono attrezzate in questo campo, se sanno ascoltare in profondità cosa muove una persona. La sfida che lancia è l’invito ad abbandonare la ricerca di scorciatoie che non portano da nessuna parte (gli incentivi, talvolta, rappresentano una scorciatoia pericolosa e fallace) per farci carico direttamente di comprendere le strutture motivazionali, i bisogni e le attese, le motivazioni e le preferenze di ciascuno.
Si tratta di una sfida che illumina con una luce diversa gli investimenti in ricerca, facendoci capire quanto sia importante conoscere i suoi esiti per diventare buoni people manager. Come si può pensare, in effetti, di gestire bene le persone, potenziarne la performance e cercarne l’engagement, senza l’aiuto della ricerca psico-socio-organizzativa?
Generazioni o età?
L’esercizio dell’ascolto attivo va praticato anche per comprendere le preferenze delle diverse generazioni presenti in azienda. L’approccio generazionale presenta però anche zone d’ombra. A livello accademico c’è molta discussione al riguardo e si dibatte se non sia preferibile assegnare centralità all’approccio fondato sull’età. Ai fini di questa riflessione, ciò che conta è che anche gli studi fondati sull’approccio generazionale ci sfidano a percorrere la strada sopra indicata, un percorso contrassegnato da queste domande: gli incentivi e i premi che stiamo progettando sono attrattivi e motivano i più giovani? I giovani di tutte le generazioni? E le persone più mature? Cosa si aspettano e preferiscono gli uni e gli altri? Disponiamo di conoscenze e dati solidi per non cadere in un’altra trappola, quella dei pregiudizi e degli stereotipi che ci fa indossare lenti che distorcono la realtà? Meglio guardare da vicino allora, direttamente e senza troppi filtri. Gestire le risorse umane in questa prospettiva significa incorporare – nella progettazione di sistemi e strumenti e nella pratica quotidiana della presa di decisioni – la dimensione della “prossimità”. Una prossimità intesa come comprensione più autentica della persona – accolta nelle sue dimensioni cognitive, emotive e affettive- che vive un tempo e un contesto specifici. L’orizzonte della prossimità e le sue componenti diventano così il parametro attraverso cui misurare l’efficacia delle politiche e della performance delle funzioni HR.
A proposito delle zone d’ombra cui accennavo sopra, in un recente articolo domandavo: “Sappiamo davvero cosa vogliono i Millennials dal lavoro?” Ponevo più in particolare una serie di domande. Cosa attrae i più giovani al lavoro? Quali sono i fattori che i Millennials mettono al primo posto quando cercano o si trovano nelle condizioni di poter scegliere un’occupazione? È prioritario per loro il livello di ricompensa economica o la corrispondenza dei contenuti del lavoro con i valori in cui credono e che vogliono perseguire anche nelle organizzazioni con cui collaborano? Sono più concentrati sugli interessi personali o credono che sia importante contribuire con il loro lavoro a cambiare in meglio il mondo in cui viviamo? Sono poi davvero disponibili a mettere in secondo piano una brillante carriera pur di garantirsi una buona qualità della vita?
Ho segnalato come le ricerche non siano univoche al riguardo, tutt’altro. Al di là dell’Atlantico sembra che le generazioni sono più alla ricerca di senso nel lavoro, al di qua pare invece più spinte da maggiore concretezza e pragmatismo. L’approccio del Total Reward ci sfida a non essere superficiali e frettolosi, a investire in conoscenza del contesto in cui si opera senza lasciarsi affascinare dalle retoriche che sempre abbondano. Soprattutto ci invita a dare valore alle molte componenti di premio che i luoghi di lavoro celano, a scoprirne di nuove, a personalizzarle in funzione delle caratteristiche individuali, dei valori in cui le persone credono, dell’età, delle esperienze che fanno. La sfida più significativa che il Total Reward oggi lancia allo Human Resource Managament e ai capi è quella che chiede di trovare risposte adeguate per gestire scambi più sofisticati di quello economicistico e meramente transazionale cui siamo per lo più abituati.
Recuperare la sapienza originaria
Bisogna recuperare così la sapienza originaria del Total Reward, che prioritariamente non è quella di risparmiare sul costo del lavoro o cogliere le opportunità di efficienze fiscali offerte dalla legislazione. Certo, anche queste sono risultati importanti, costituendo benefici significativi da cogliere. Ma il cuore del Total Reward pulsa altrove. Il suo significato più prezioso risiede nella capacità di ri-orientare radicalmente la gestione delle persone: da un approccio transazionale – basato sullo scambio di prestazioni – a uno relazionale, fondato sulla conoscenza delle aspirazioni professionali e personali di gruppi e individui.
Anche il welfare aziendale, allora, i suoi piani e le sue iniziative, si colorano di una tinta nuova capace di arricchirne il significato per valorizzarlo quale componente significativa del Total Reward che va evidenziando lo spazio di una corrispettività più ampia nel lavoro entro la quale gestire uno scambio anche sociale. Una prospettiva che consente di lavorare – con leve più articolate – anche sull’engagement per ricercare quel coinvolgimento attivo delle persone capace di generare comportamenti extra ruolo, non richiesti e per nulla scontati. Quei comportamenti che possono fare davvero la differenza, anche in termini di performance e produttività come ho scritto altrove, tra un’impresa e un’altra.
Bibliografia
Gabrielli G., Ricompensare: sistemi di Rewarding e politiche retributive, inGabrielli G., Profili S., Organizzazione e gestione delle risorse umane, II edizione, Isedi, Torino 2016
Gabrielli G., Politiche remunerative e partecipazione, in Carcano M., Ferrari R., Volpe V. (a cura di), La partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa, Guerini Next, Milano 2017
Sammarra A., Profili S., La diversità di età nei contesti di lavoro. Sfide organizzative e implicazioni per il People Management, Franco Angeli, Milano 2017
Sandel M., Quello che i soldi non possono comprare. I limiti morali del mercato, Feltrinelli, Milano 2015
Smith A., Teoria dei sentimenti morali, Rizzoli, Milano 1995
09/01/2018