La scelta sostenibile delle imprese della distribuzione moderna. E il bilancio di un anno drammatico che richiede più ristori e incentivi ai consumi. Il presidente, Claudio Gradara, ne parla a SustainEconomy.24, il report Luiss Business School e Il Sole 24 Ore – Radiocor
L’adesione delle aziende della distribuzione moderna ad un percorso di sostenibilità è pressoché totale e sta diventando una ‘leva competitiva’, spiega Claudio Gradara, il presidente di Federdistribuzione che parla a SustainEconomy.24, report di Luiss Business School e Il Sole 24 Ore Radiocor, del bilancio di sostenibilità 2020 dell’intero settore. E delle prossime sfide: dal tema della plastica e dei packaging ai rapporti di filiera. Ma si avvicina la fine di un anno difficile ed è tempo di bilanci. Ed emerge un settore spaccato in due: il comparto alimentare che ha arginato la crisi e dato normalità al Paese e il settore non alimentare duramente colpito dalla pandemia. La vera partita del Paese, spiega Gradara, si gioca sulla ripresa dei consumi. I ristori sono troppo modesti e servono incentivi. E sfruttare bene l’occasione del Recovery Plan
Cresce l’attenzione per la sostenibilità. Voi avete presentato recentemente il bilancio 2020 che sintetizza l’impegno delle aziende della distribuzione moderna su questo fronte. Cosa emerge?
«Emerge un miglioramento su tutti i parametri che, peraltro, nel corso del tempo sono cresciuti rispetto alla prima edizione del 2012, ed ha visto la crescita delle adesioni degli associati che ormai è pressoché totale. E’ uno dei pochi bilanci che misurino un intero settore economico. C’è una diffusione delle best practices, in assoluto è cresciuta la consapevolezza da parte delle imprese che, in visione prospettica – tenendo conto anche dell’attenzione e della sensibilità dell’opinione pubblica su questi temi – questo è un terreno su cui confrontarsi insieme ad altri. Anzi direi che sta diventando quasi una leva competitiva il fatto di porre in essere iniziative in questa direzione».
C’è qualcosa che possono fare ancora le aziende del settore per un futuro più sostenibile, qualche tematica da seguire di più?
«Tenendo conto del nostro settore di attività, quindi dei beni di largo consumo, sicuramente c’è un tema, che possiamo chiamare ‘il tema della plastica, ossia il ripensamento dei packaging, delle modalità di confezionamento dei prodotti, prodotti biodegradabili. E’ un’area che ci potrà vedere, in futuro, insieme all’industria, fare importanti passi in avanti. L’altra area è quella dei rapporti di filiera sui quali da tempo si tende sempre più a cercare di sviluppare rapporti più improntati al medio lungo temine, con progetti di crescita comune che -mi riferisco in particolare al comparto agroalimentare – consentono di assumere connotazioni più nazionali, di poter fare investimenti di sviluppo del settore diversi. E’ un settore che può crescere ancora molto in termini di efficienza e capacità di stare sul mercato».
Ci avviciniamo alla fine dell’anno ed è tempo di bilanci. Il 2020 è stato un anno complesso e molto difficile per tutti. Il vostro settore ha avuto un ruolo importante ma registrate anche danni e problematiche. Ce ne parla?
«Il nostro settore, in realtà, è spaccato in due rispetto a questa crisi globale: la parte del retail alimentare ha avuto la fortuna, per certi aspetti, di poter continuare ad operare anche se in un contesto di grandissime difficoltà perché la prima fase soprattutto ha colto tutti di sorpresa e il nostro settore si è trovato a dover garantire continuità con difficoltà e costi enormi, per le misure di sicurezza, che si sono cumulati. E’ stata una prova importante che ha dimostrato la solidità del settore ed è riuscita a garantire un minimo di continuità e normalità al Paese. Viceversa per la parte non alimentare è un anno drammatico; ha vissuto due mesi e mezzo di chiusura con tutto quello che ne consegue, si sperava di poter pian piano andare verso la normalità, invece siamo ripiombati nelle ultime settimane nel pieno di una crisi , per certi aspetti, anche peggiore perché non si intravede l’orizzonte temporale. E’ giusto avere un po’ di ottimismo ma quello che ci aspetta nei primi mesi dell’anno prossimo è difficile da capire e, certo, non saremo in una situazione di normalità. Tutto questo sta creando danni enormi all’area non alimentare che si sommano e mascherano su una crisi di fondo dei consumi. Aldilà delle chiusure che hanno caratterizzato una parte del territorio, il comparto non alimentare anche in una situazione di apertura dei negozi sta registrando decrementi importanti nell’ordine del 20-25% per una minore propensione all’acquisto per le preoccupazioni. È un mondo che ha grossissime difficoltà e non si vede la fine. L’alimentare, con le nuove chiusure, è tornato a registrare crescite nell’ordine del 5-6% nelle ultime settimane ma teniamo conto che se tracciamo un bilancio consolidato dei consumi alimentari, tra distribuzione e fuori casa, il saldo è fortemente negativo. E questo sta dentro nel grande tema del rilancio del Paese. Oggi in qualche modo la situazione è mascherata e velata dalla prevalenza dei temi emergenziali ma, di fatto, si sta distruggendo un valore colossale, a livello di imprese e redditi, ci si confronterà con il mercato e diventerà determinante la bontà delle scelte di politica economica. E’ evidente che più sarà rapida la risalita e saranno fatte le scelte giuste e prima si potrà tornare ad una situazione gestibile. Senza dimenticare che siamo arrivati al 2019 con una crisi dei consumi già stabile e stagnante da 10 anni. Quindi la preoccupazione è tanta e la condividiamo con tanti altri settori del Paese».
Quindi, a questo proposito, quali potrebbero essere sostegni utili al settore?
«C’è un tema di sostegno alle imprese – e mi riferisco soprattutto alla parte non alimentare – che finora hanno avuto dei riconoscimenti davvero modesti e, in fondo, è un settore che si sta sacrificando per il bene comune. Quanto è previsto dagli attuali ristori, soprattutto per le aziende di una certa dimensione, è veramente molto poco. E’ un tema che deve poter consentire alle imprese di arrivare in relativa salute al momento della ripartenza. Poi è chiaro che la partita del Paese si gioca sulla ripresa dei consumi che valgono il 60% del Pil , le vendite al dettaglio sono il 22% . Se non si rimette in moto il meccanismo diventa complicato. Poi i temi sono sempre gli stessi, accentuati dalla discesa che abbiamo fatto: i redditi delle famiglie, il sostegno agli investimenti, il sostegno alla ripresa dell’occupazione, e ci vorrebbero poi incentivi ai consumi. Perchè dobbiamo vincere questo momento di ritrosia allo spendere legato alle incertezze. Altri Paesi hanno adottato diverse soluzioni come, ad esempio, la riduzione temporanea dell’Iva su alcuni settori piuttosto che i crediti di imposta per determinate categorie di interventi; sono misure che aiuterebbero quantomeno a velocizzare l’uscita dalla crisi. Guardando più lontano abbiamo questo grande tema del Recovery Plan che può essere una straordinaria opportunità per mettere mano a quelli che sono i vincoli storici del Paese. Può essere l’occasione, se non verrà mancata, per disegnare il quadro e mettere le radici per una crescita più sana. Anche perché, se così non avvenisse, questa massa immane di debito, che già avevamo prima, e adesso si è amplificata a dismisura, diventa insostenibile».
23/12/2020