L’intervista al presidente dell’associazione, Cesare Avenia, oggi su Digit.Economy.24, il report Luiss Business School e Il Sole 24 Ore
L’app per il tracciamento dei contagiati deve essere accompagnata «dallo sviluppo di una banca dati sanitaria dei cittadini, perché non c’è app che tenga senza dati disponibili e affidabili». L’app cioè «andrebbe inquadrata subito in un progetto più ampio e ambizioso di sanità digitale in cui il tracciamento rappresenta il passaggio obbligato» per uscire dall’emergenza. Lo sostiene Cesare Avenia, presidente di Confindustria digitale, in un’intervista a DigitEconomy.24 (report di Radiocor e Luiss Business School), delineando un piano di interventi per gestire la crisi e in particolar modo la fase due, proprio puntando sulla digitalizzazione. Lo strumento tecnologico per attivare la banca dati «già esiste, è il Fascicolo sanitario elettronico, che ha articolazioni regionali che convergono verso una piattaforma nazionale messa a punto dall’Agid». In questo panorama, al fine di colmare il digital divide che ancora affligge l’Italia e procedere nella digitalizzazione, un ruolo importante lo ricopre il dibattito sulla creazione di un’unica infrastruttura di accesso, combinando la rete Tim con Open Fiber: «I benefici di una rete unica – dice – sono evidenti», «si può realizzare con una regia governativa autorevole e difendendo gli interessi di tutti gli operatori coinvolti».
Presidente Avenia, la digitalizzazione si è rivelata cruciale nella gestione della crisi, a che punto è l’Italia e quali le maggiori criticità?
Nel disastro che stiamo vivendo l’unica nota positiva è che tutti stanno toccando con mano l’importanza della digitalizzazione. Credo che una cosa fondamentale sia proprio il cambiamento culturale avvenuto, finalmente abbiamo capito tutti le potenzialità delle tecnologie digitali. Noi ne eravamo coscienti e per questo spingevamo in questa direzione. Non dobbiamo però pensare che, finita l’emergenza, torneremo a comportarci come in passato. Non dobbiamo dimenticare quello che stiamo vivendo e pensare invece a completare i processi di digitalizzazione, in modo da ampliare e rendere duraturi i benefici. Dobbiamo pure comprendere che quella che stiamo sperimentando è un’applicazione parziale delle opportunità che offre la digitalizzazione. Ad esempio, per quanto riguarda lo smart teaching si sta per fortuna correndo ai ripari, ma ci sono molte limitazioni, penso a quei bambini e a quelle famiglie che non sono collegati in rete o che hanno un Pc o tablet a disposizione. Che cosa stanno facendo? Quanti di questi bambini stiamo perdendo?
Come si potrebbe realizzare un’applicazione della digitalizzazione più ampia e profonda nella scuola?
Bisogna dotare la scuola dei fondi necessari per fornire nelle situazioni di emergenza strumenti a tutti, non è pensabile che gli studenti possano o n on possano collegarsi on line secondo i mezzi informatici che trovano a casa.
Quanti fondi ci vorrebbero per realizzare questa operazione?
Il costo sarebbe comunque molto inferiore al danno che ha il Paese nel perdersi generazioni di studenti. Riguardo al tema di fornire a tutti pari opportunità, emerge la questione del digital divide, zone di Italia dove ancora non arriva la connessione veloce. Una rete fissa di tlc unica potrebbe essere d’aiuto?
E’ un tema di cui si discute da tantissimi anni e sul quale attualmente c’è un dibattito. Dal mio punto di vista è un tema che deve essere portato avanti, i benefici di una rete unica sono evidenti. Certamente la modalità per realizzarla oggi, nel 2020, è diversa da quella che si poteva attuare anni fa. In questi anni gli operatori telefonici hanno fatto i loro investimenti che vanno considerati. La rete unica si può realizzare con una regia governativa autorevole e difendendo gli interessi di tutti gli operatori coinvolti.
Quali suggerimenti Confindustria Digitale avanza al Governo per la gestione della fase due?
Non dobbiamo dimenticare, e questa è la prima raccomandazione che faccio agli esperti, che siamo in un contesto globale, entrare in una fase due che non tenga conto di quello che fanno gli altri Paesi sarebbe miope. Inoltre, per entrare nella fase due, sono necessari dati certi. Serve cioè una banca dati autorevole quanto più completa possibile, solo dopo si possono usare algoritmi di intelligenza artificiale per andare a modulare gli interventi. Poi non ci dimentichiamo che, se è vero che il primo presidio medico per i sintomatici di Covid va realizzato in casa, nella fase due si possono aumentare i consulti medici a distanza, evitando di affollare gli ospedali. E in questo campo il 5G consente di fare videochiamate accurate, come se il medico vedesse il paziente di fronte a lui.
La tecnologia può essere d’aiuto nel contrasto alla diffusione di future pandemie?
L’ epidemia ci sta facendo vedere in maniera violenta il problema della sostenibilità ambientale, e la digitalizzazione può essere d’aiuto nel risolverlo. Da amministratore delegato di Ericsson avevo avviato 17 anni fa lo smart working e per motivare i dipendenti avevo pubblicato sul sito della nostra azienda quanti alberi non sarebbero stati tagliati grazie al lavoro da casa che evita traffico e inquinamento. Certo, ci vuole un approccio molto equilibrato, sostenibile anche dal punto di vista economico. Ora lo smart working lo stiamo facendo obbligatoriamente, domani dobbiamo continuare a usarlo in maniera virtuosa.
Per la fase due è stata scelta l’app “Immuni” per il tracciamento dei contagiati. A che condizioni secondo lei avrà successo? Ci sono profili di privacy da tutelare?
L’app è uno strumento necessario per il cittadino, il quale deve potersi muovere in modo sicuro, avendo la possibilità di capire se ha avuto contatti con persone contagiate. Rispetto della privacy, dati anonimizzati e trattati con massima sicurezza sono condizioni essenziali che la tecnologia può assicurare. Ma il percorso di diffusione presso la popolazione dell’applicazione deve essere accompagnato dallo sviluppo di una banca dati sanitaria dei cittadini, perché non c’è app che tenga senza dati disponibili e affidabili. Insomma l’app, a mio avviso, andrebbe inquadrata subito in un progetto più ampio e ambizioso di sanità digitale in cui il tracciamento rappresenta il passaggio obbligato dall’emergenza, ma anche l’occasione per spingere l’acceleratore verso un sistema avanzato di gestione dei dati sanitari della popolazione, di video consulto, di scambio telematico di dati fra medici e ospedali diversi. Lo strumento tecnologico già esiste, è il Fascicolo sanitario elettronico, che ha articolazioni regionali che convergono verso una piattaforma nazionale messa a punto dall’Agid. A oggi il Fse è stato attivato da 18 regioni, di cui 11 aderenti al sistema di interoperabilità dell’Agid, ma presenta un livello di implementazione dei servizi molto differenziato sul territorio. Dare impulso a questo strumento, renderlo omogeneo su tutto il territorio nazionale, significherebbe poter disporre di una banca dati gestita da un ente pubblico competente, in grado di offrire garanzie sia sulla privacy sia dal punto di vista della cybersecurity. La strada per il successo dell’app dunque esiste, è percorribile immediatamente e come si è fatto per lo smart working e per la didattica a distanza, aspetta solo di essere liberata con norme semplificatrici e obblighi di attuazione.
23/04/2020