Ivan Ranza, ceo della startup, coding school già presente e attiva in tutta Europa, ne parla a SustainEconomy.24
Il digitale sarà il filo conduttore delle professioni del futuro e chi avrà competenze tecnologiche potrà avere un vantaggio competitivo. Ivan Ranza, ceo della startup Epicode, coding school già presente e attiva in tutta Europa con una community di talenti tech distribuita su tutto il territorio di cui il 50% in Germania, Uk e Nordics e il 50% in Italia, delinea lo scenario delle professioni del futuro e parla del ritardo del nostro Paese, in un’intervista a SustainEconomy.24, report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School. E sottolinea la necessità di rivedere la formazione.
E parla della sostenibilità nel mercato del lavoro con il Covid che ha dimostrato la necessità di ripensare la relazione tra azienda e lavoratore. «Ognuno sia messo nelle condizioni di recitare un ruolo importante nella società del futuro» per restare «attrattivo e occupabile per un lungo periodo di tempo».
Guardando alle sfide e alle opportunità del mondo del lavoro, quali sono le professioni del futuro?
«Ci sono alcune professioni che evolveranno e delle altre che nasceranno. Il filo conduttore sarà generalmente il digitale, inteso come abilitatore della capacità delle aziende di creare nuovi business, migliorare i processi e i modelli esistenti. In questo contesto chi avrà competenze digitali di programmazione sul mondo web full stack, backend, frontend, cybersecurity, data, salesforce e molte altre assumerà un ruolo sempre più rilevante nel mercato del lavoro e avrà un importante vantaggio competitivo sugli altri candidati. Per poter essere attori nel mercato del lavoro, quindi, saranno necessarie competenze tecnologiche evolute. Basti pensare che Il World Economic Forum, prevede che nel mondo dovranno essere formate 1 miliardo di persone su nuove competenze entro il 2030. In questo contesto l’Italia ha accumulato un ritardo rilevante posizionandosi agli ultimi posti nella classifica del Digital Economy and Society Index: 26 milioni di italiani non hanno una competenza digitale adeguata (solo il 42% della popolazione tra i 16 e 74 anni ha competenze digitali basiche o avanzate)».
Come il sistema formativo può arrivare a colmare il gap domanda-offerta?
«È un argomento complesso ma al tempo stesso estremamente rilevante: sono convinto che esistano diversi player che possono portare valore al Paese, modificando il modo in cui oggi la formazione viene concepita. E’ fondamentale, però, capire che spendere del tempo in un’aula non è più un fattore necessariamente vincente. Con una piccola provocazione dico che il mero ‘pezzo di carta’ ormai ha rilevanza quasi esclusivamente per i concorsi pubblici. Quello che conterà sempre di più saranno le competenze soft, come la capacità di astrazione, comprensione e adattamento a contesti sempre in evoluzione. Si potrebbe creare una polarizzazione tra formazione di alto profilo (esempio le Università molto selettive e accessibili a un numero contenuto di persone) e le scuole ‘professionalizzanti’, che sanno trasferire competenze agli studenti in modo da prepararli fattivamente al mondo del lavoro. In altre parole, credo sia necessario seguire le esigenze della società moderna, ripensando urgentemente a come l’educazione viene strutturata e insegnata».
Quanto è importante la sostenibilità nel mondo del lavoro?
«Il concetto di sostenibilità spesso viene semplificato eccessivamente o interpretato in funzione degli obiettivi che devono raggiungere coloro che ne parlano. Non c’è solo la sostenibilità ambientale e l’impatto delle aziende sulla società circostante, ma è fondamentale valutare se ciò che viene richiesto ad ogni singolo lavoratore e la sua gestione sia sostenibile nel lungo periodo. Parte di questo impegno deve essere quello di domandarsi se si stanno costruendo le competenze di cui il professionista avrà bisogno per essere parte attiva nella società negli anni a venire oppure se si stanno utilizzando le sue competenze per un semplice risultato di business di breve termine. Il Covid ha dimostrato che sarà fondamentale ripensare la relazione tra azienda e lavoratore: l’impatto positivo sulla società deve partire dal valore che la singola azienda genera sulle proprie persone, portandole ad acquisire hard skills e soft skills adeguate per fare in modo che ognuno sia messo nelle condizioni di recitare un ruolo importante nella società del futuro, non solo rimanendo vincolato al posto fisso come accadeva una volta, ma avendo la capacità di rimanere attrattivo e occupabile per un lungo periodo di tempo».
14/5/2022