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Maire Tecnimont: «Pronti a reindustrializzare l’Italia con chimica verde, economia circolare e idrogeno»
Maire Tecnimont: «Pronti a reindustrializzare l’Italia con chimica verde, economia circolare e idrogeno»
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«Con NextChem  puntiamo a investire 20-25 milioni l’anno» spiega l’amministratore delegato del gruppo, Pierroberto Folgiero, a SustainEconomy.24

Un gruppo presente in 45 Paesi, che vuole riportare l’Italia ad essere leader, perché con la chimica verde, l’economia circolare e la transazione energetica si può reindustrializzare. E anche esportare il Made in Italy dell’ingegno sostenibile. Dai biocarburanti alle bioplastiche alla scommessa dell’idrogeno circolare: Pierroberto Folgiero, amministratore delegato di Maire Tecnimont racconta a SustainEconomy.24, report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School, la sfida del gruppo che ha lanciato, tre anni fa, una società dedicata, NextChem, e che punta a investire tra i 20 e i 25 milioni l’anno nello sviluppo di tecnologie per la transizione energetica.

Da tempo il vostro gruppo ha scelto un approccio sostenibile. Ora avete ulteriormente definito la vostra strategia. Ce ne parla?

«Abbiamo preso così sul serio questi macro-temi che tre anni fa abbiamo lanciato una società dedicata, NextChem, dove abbiamo fatto un grande sforzo anche in termini di investimento per migrare i più bravi e tutto quello che già tre anni fa avevamo sviluppato come tecnologie per la transizione. L’idea è replicare – fuori dagli idrocarburi – quello che da sempre facciamo per l’economia degli idrocarburi, e stiamo aiutando i grandi clienti in questo mondo che parte da tecnologie nuove e paradigmi nuovi. NextChem sta lavorando su tutti gli impianti esistenti e i clienti esistenti con l’idea di decarbonizzare e, quindi, validare e implementare tutte le tecnologie che abbattono le emissioni degli impianti esistenti (raffinerie, acciaierie e in generale tutti gli impianti petrolchimici) lavorando su tutti i filoni che vanno dall’idrogeno alla cattura della CO2. Il secondo obiettivo è promuovere l’economia circolare; essendo noi, storicamente un’azienda molto esperta nel settore della produzione di plastiche, ci siamo spinti sul riciclo delle plastiche che è il motore più forte di una nuova economia e, quindi, del futuro. Quindi riciclo plastico, riciclo chimico che significa andare oltre e ritrattare la plastica chimicamente, e poi abbiamo sviluppato idee per farne carburanti e prodotti chimici riciclati. Il terzo grande ambito di NextChem è la biochimica e si sentirà parlare sempre più di biocarburanti e bioplastiche. Ci siamo lanciati con tutte le nostre forze, il talento delle nostre persone e un bel po’ di coraggio manageriale nel supportare il sistema a cambiare pelle. Lo facciamo avendo decenni di competenza nel settore dell’ingegneria chimica e una piattaforma presente in 45 Paesi».

Questi progetti e la strategia come si traducono in termini di investimenti?

«Prima del lancio di NextChem nel 2018, avevamo già annunciato investimenti per 50 milioni con iniziative di ricerca e sviluppo per accrescere il nostro portafoglio di tecnologie; abbiamo, poi, continuato a investire e abbiamo un piano che, tra investimenti diretti e indiretti e investimenti in ricerca e sviluppo, cuba facilmente almeno 20-25 milioni l’anno; uno sforzo che va portato avanti avendo certezza che stiamo costruendo la Maire Tecnimont del futuro e stiamo, in qualche maniera, esercitando la nostra responsabilità sociale verso dipendenti, fornitori e clienti e anche l’Italia che ha un’opportunità formidabile. Noi italiani siamo penalizzati dall’economia degli idrocarburi visto che storicamente l’Italia è un Paese privo di fonti energetiche convenzionali, dove quindi il costo dell’energia ci ha portato fuori mercato, e di conseguenza il Paese si è via via de-industrializzato per questi scenari economici. Se siamo bravi, con la chimica verde, l’economia circolare e la transizione energetica si può reindustrializzare. Noi da bravi chimici, e al momento giusto, possiamo ricominciare a produrre in Italia tanti derivati che oggi, invece, importiamo».

Allora le chiedo cosa servirebbe e cosa manca all’Italia per agevolare questo percorso sia vostro che a livello Paese?

«Penso a tre cose. Innanzitutto, di fronte ai 240 miliardi del Recovery Fund che destina circa il 40% alla transizione energetica, più del denaro servono le condizioni affinché questo denaro possa essere speso. E penso proprio ad un sistema complessivo che prenda atto di quali sono stati e sono i giganteschi ostacoli a chi vuole investire e realizzare in Italia: serve uno sforzo che lavori sull’interrelazione tra Stato e Regioni e un esercizio gigantesco, anche da parte degli imprenditori, sulla vertenzialità negli appalti, una dinamica che non vediamo in altri Paesi. Mi sembra, leggendo quello che sta legiferando il nuovo Governo, che chi sta scrivendo le regole conosca questo tipo di ostacoli. Quindi, prima di tutto un sistema di regole. Poi ovviamente i capitali. E si immagini la possibilità di amplificare questo 40% dei 240 miliardi con la partnership pubblico-privato. Oggi, noi siamo in grado di portare tanti capitali privati e, anzi, dobbiamo sbrigarci a creare occasioni di investimento nel verde. Terzo, la capacità di parlare in maniera diversa con i territori e con le comunità locali. Bisogna fare un salto epico nel modo in cui si dialoga con i territori e spiegare i vantaggi di questo o quell’impianto e come il territorio non sarà penalizzato ma sarà in qualche maniera premiato. E penso agli impianti per l’idrogeno circolare. Ma un Paese che ha difficoltà a mettere le rinnovabili, immaginiamoci a mettere l’impiantistica per biocarburanti ed economia circolare: c’è bisogno di un salto di qualità e diventare i più bravi del mondo in comunicazione territoriale».

E all’estero, invece, che visione avete?

«Quando il nostro modello lo consolidiamo con la filiera italiana, la supply chain italiana, il mondo delle Pmi italiane, all’occorrenza lo possiamo sviluppare nei 5 continenti: noi oggi siamo a Houston, a Kuala Lumpur passando per l’Africa Sub Sahariana, per tutti i paesi Ex Urss, fino all’Indonesia e la Malesia. Pensiamo che con questo nuovo modo di stare sul mercato si può andare a piattaforma in tutti i Paesi portando un made in Italy dell’ingegno e dell’ingegno sostenibile».

L’idrogeno veramente avrà questo ruolo fondamentale da qui a qualche anno e quando?

«L’economia dell’idrogeno è sicuramente il futuro, è la soluzione migliore rispetto ad una elettrificazione totale che non sarebbe percorribile e non sarebbe neanche vincente. Quindi l’idrogeno è il vettore energetico del futuro. Ma c’è un tema dei costi e della domanda. Per materializzare questa economia dell’idrogeno bisogna disegnare una traiettoria che da una parte chiuda la distanza che c’è con il sostituto da idrocarburi e dall’altra stimoli la domanda. Quindi, è la soluzione? Sì. Quando? Dipende da come questi due traiettorie si sviluppano e si incrociano. E’ chiaro che l’Unione Europea deve fare tantissimo e sta facendo tantissimo; sta mettendo a punto una nuova direttiva che, di fatto, fornisce un sistema di incentivi perché è chiaro che è un problema di policy making e, oggi, ovviamente, la politica industriale su questi temi si fa a Bruxelles. L’altro pezzo lo dobbiamo fare noi come tecnologi che lavoriamo sull’idrogeno verde, sull’idrogeno blu, l’idrogeno blu elettrico e abbiamo lanciato quest’idea, che sta andando molto bene, dell’idrogeno circolare che si produce partendo da rifiuti plastici e dalla parte secca del rifiuto indifferenziato domestico».

A livello di emissioni quali sono i vostri target?

«Ci siamo dati il 2030 come anno target di carbon neutrality per le nostre emissioni Scope 1 e Scope 2 mentre per le emissioni Scope 3, che includono tutta la nostra catena di fornitura, ci siamo dati un obiettivo al 2050»

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02/07/2021

Data pubblicazione
2 Luglio 2021
Categorie
SustainEconomy.24
Tematiche
sostenibilità