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18 Giugno 2021

Booking.com: «Dopo la pandemia i viaggiatori cercano strutture sostenibili. Diamo visibilità a chi pensa green»

Alberto Yates, Regional manager Italia ne parla in un'intervista a SustainEconomy.24 report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School La pandemia ha accentuato la sensibilità dei viaggiatori per la sostenibilità. E la risposta delle strutture c'è, ma le va data visibilità, spiega Alberto Yates, Regional manager Italia di Booking.com in un'intervista a SustainEconomy.24, report di Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School. Secondo l'ultimo sondaggio del gruppo il 92% dei viaggiatori italiani pensa che viaggiare in modo sostenibile sia d'importanza vitale, e il 57% dice che la pandemia gli ha fatto venire voglia di viaggiare in modo più sostenibile in futuro. Anche per questo l'agenzia di viaggi online, che propone oltre 28 milioni di strutture alberghiere ed è disponibile in 43 lingue, ha deciso di mostrare sulla piattaforma le certificazioni sostenibili. Sulla ripartenza, dice Yates, c'è un forte desiderio di viaggiare ma purché siano garantite flessibilità e sicurezza. I viaggiatori sono sempre più sensibili alle tematiche della sostenibilità. Avete di recente pubblicato un Report sui viaggi sostenibili. Quali sono i principali risultati? «Senza ombra di dubbio la sostenibilità è uno dei principi guida di Booking.com e abbiamo lanciato il sondaggio per cercare di capire che impatto ambientale e socio-economico abbiano i viaggi e le strutture della piattaforma. E' emerso che sicuramente la pandemia ha accentuato la sensibilità dei viaggiatori, ma è importante sottolineare quanto, di anno in anno, la sostenibilità abbia acquisito sempre maggiore importanza. Facciamo il report dal 2016 e nel corso del tempo abbiamo riscontrato un aumento sostanziale dell'attenzione. Siamo arrivati, nel 2021, ad avere l'81% dei viaggiatori che pensa che le persone debbano agire ora per preservare il pianeta per le generazioni future partendo da un 62% del 2016». Qual è la risposta del settore, riscontrate un grande cambiamento? «Al momento circa il 75% delle strutture ricettive, fa qualcosa per la sostenibilità, ma riscontriamo che solamente 1/3 la promuove attivamente e quindi, noi, come piattaforma, ci sentiamo responsabili di dover dare una visibilità maggiore rispetto a quello che sono le pratiche sostenibili che le strutture mettono in atto. E anche cercare di far capire che qualche scelta sostenibile non necessariamente è qualcosa di costoso o un cambiamento radicale all'interno della struttura, ma può essere anche mettere la colonnina per ricaricare le auto piuttosto che il noleggio biciclette o la lampadina a led. Sono piccoli cambiamenti, con un impatto che può sembrare relativo, ma che, moltiplicato per il numero di strutture che abbiamo sul territorio, può avere un potenziale ampio». Quindi l'approccio di Booking è sensibilizzare alla sostenibilità? «C'è, appunto, un discorso di sensibilizzazione delle strutture ricettive cercando di dare il maggiore risalto possibile a tutte quelle iniziative che queste strutture possono mettere in campo: dalle indicazioni al cliente su come consumare meno acqua o riciclare i rifiuti, ma anche nel rapporto che le strutture e i viaggiatori hanno con le comunità locali. Un altro passo importante che abbiamo fatto è riconoscere 30 certificazioni approvate dal Global Sustainable Tourism Council, Green Tourism e EU Ecolabel, che possono essere visualizzate sulla pagina pubblica e veicolare più prenotazioni per la struttura». La pandemia ha colpito duramente il settore e inevitabilmente ha cambiato e cambierà il modo di viaggiare. Cosa vi aspettate in termini di ripartenza? «Nel momento stesso in cui si sono allentate le restrizioni, c'è stata la conferma del green pass e più tranquillità nel viaggiare, c'è stata una ripresa. Quello di cui siamo convinti è che le persone hanno un forte desiderio di viaggiare e voglia di ricominciare. Questo lo abbiamo iniziato a vedere a maggio ma, soprattutto, per la stagione estiva. Due sono le cose fondamentali: i clienti chiedono flessibilità sia sulle tariffe che sulla possibilità di poter modificare la prenotazione; secondo, l'attenzione a tutte le implementazioni in tema di salute che la struttura mette in piedi per garantire livelli di sicurezza. Anche qui, come per la sostenibilità, abbiamo cercato di dare visibilità alle misure prese. Il trend è simile a quello dello scorso anno con un turismo prevalentemente domestico che, da un lato è positivo perché il nostro Paese offre una varietà di destinazioni e registriamo la possibilità di allungare il soggiorno lavorando in smart working». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 18/6/2021

18 Giugno 2021

La sostenibilità: una leva strategica per le imprese

Il 24 giugno si terrà un nuovo webinar nell’ambito dell’Edison Energy Camp con Barbara Terenghi, Chief Sustainability Officer, Edison. Registrati!  In che modo la sostenibilità rappresenta per le imprese una chiave strategica di crescita e sviluppo: ne discuteremo con Barbara Terenghi, Chief Sustainability Officer, Edison, e Roberta Casali, Adjunct Professor, Luiss Business School, nel corso del nuovo webinar nell’ambito dell’Edison Energy Camp, che si terrà il 24 giugno alle ore 16:00. L’Edison Energy Camp prende avvio nel 2013 in collaborazione con il Consiglio Mondiale dell’Energia – WEC Italia, come programma destinato agli  studenti iscritti alla laurea magistrale nell’ambito di percorsi di studio coerenti con il settore energia. Dal 2019 l’Edison Energy Camp è frutto del  sodalizio fra Edison, WEC Italia e Luiss Business  School. L’obiettivo è fornire una fotografia completa del settore Energy a 50 giovani, per formarli come futuri interpreti della grande sfida della transizione ecologica, in possesso degli strumenti di analisi critica degli scenari energetici e in grado di fornire un supporto integrato e mirato al business. I webinar si collocano come eventi aperti che si focalizzano sulle tematiche più attuali del settore, in una cornice di confronto e dibattito con eminenti personalità di questa trasformazione. Il webinar è gratuito e aperto al pubblico, per partecipare è necessaria la registrazione. REGISTRATI  18/6/2021

11 Giugno 2021

Quando l’imprenditoria può definirsi sostenibile?

Non bastano azioni sporadiche: la sostenibilità deve essere integrata in tutti i processi e le professionalità aziendali. Il Master con Major in Sustainable Entrepreneurship di Luiss Business School mira a mettere al centro delle imprese anche etica e responsabilità Spesso le imprese interpretano la sostenibilità come una bandiera di cui potersi fregiare. Considerano sufficienti poche azioni sporadiche, qualche donazione, per considerare esaurito il proprio dovere verso pianeta e comunità, quasi come la ciliegina su una torta in cui a contare è ben altro. Ma un'azienda davvero sostenibile considera questo fattore un ingrediente pervasivo, come accade tra il babà e il rum, che trasforma un pasticcino secco in un dessert indimenticabile. L'imprenditoria può dirsi sostenibile quando è in grado di trovare una soluzione a un problema, utilizzando risorse che abbiano un impatto pari a zero o positivo sulla vita del pianeta e delle persone. «L'imprenditorialità sostenibile è anche più complicata di quella tradizionale – spiega Christian Lechner, Ordinario di Economia e gestione delle imprese presso il Dipartimento di Impresa e Management Luiss Guido Carli e Direttore del Major in Sustainable Entrepreneurship, Luiss Business School – Mentre la mera fattibilità economica prende in considerazione solo la soluzione e non sempre la sostenibilità, diventa più difficile trovare un modello economico fattibile, ma che rispetti i valori di un'economia sostenibile». Come spiega Lechner l'imprenditoria sostenibile è quella che integra nei suoi processi anche etica e responsabilità. Si parte da un approccio human centered, che mira a risolvere un problema della comunità, il vero stakeholder dell'impresa profit e non profit. Per trovare la soluzione che coniughi fattibilità e desiderabilità, verso un risultato innovativo, è necessario esplorare il problema, ma avere anche le giuste competenze per dare forma a una nuova risposta. General management, sostenibilità, approccio umanistico che aggiunga anche diversità e inclusione sono alcuni degli strumenti di cui l'imprenditore e il manager votati alla sostenibilità non può più fare a meno. Poi ci sono tools come il business planning per impatto sociale, il fundraising e la misurazione delle performance, che concorrono allo sviluppo di un mindset imprenditoriale e delle capacità manageriali di cui l'economia del New Normal avrà sempre più bisogno. «Questo approccio imprenditoriale deve essere centrato sugli esseri umani – aggiunge Lechner – e sui loro problemi: non bisogna dare per scontato di conoscere già quesito e soluzione. È necessario mettere in campo un processo di sperimentazione, che metta alla prova il prototipo della soluzione e ricavi un feedback valido. In più, ci deve essere l'obiettivo della professionalizzazione dell'attore sociale». A questi nodi aperti Luiss Business School vuole rispondere con il Master in Entrepreneurship con Major in Sustainable Entrepreneurship, un programma di 12 mesi in modalità full-time, in collaborazione con Dynamo Academy e in partenza il 25 ottobre 2021. Il master di primo livello si propone di fornire gli strumenti necessari ai neolaureati per diventare attori sociale d'impatto. nable-entrepreneurship/(si apre in una nuova scheda)ModificaImpostazioni del link attualmente selezionatoApri in una nuova schedaAdd "nofollow" to linkAdd "sponsored" to linkAdd "ugc" to link Scopri di più e iscriviti alle prossime selezioni. SCOPRI 11/6/2021

07 Giugno 2021

La transizione ecologica: una sfida centrale per il sistema Paese e per l’economia internazionale

Il 17 giugno alle ore 10.00 un webinar con Nicola Monti, CEO Edison, e Paolo Boccardelli, Direttore Luiss Business School, in occasione dell'apertura della nuova edizione dell'Edison Energy Camp. Registrati!  Le traiettorie della transizione ecologica per il futuro del sistema Paese e dell’economia internazionale: ne discuteremo con Nicola Monti, CEO Edison e Paolo Boccardelli, Direttore Luiss Business School, il 17 giugno 2021 alle ore 10.00, nel webinar di apertura della nuova edizione dell'Edison Energy Camp. L’Edison Energy Camp prende avvio nel 2013 in collaborazione con il Consiglio Mondiale dell’Energia - WEC Italia, come programma destinato agli  studenti iscritti alla laurea magistrale nell'ambito di percorsi di studio coerenti con il settore energia. Dal 2019 l’Edison Energy Camp è frutto del  sodalizio fra Edison, WEC Italia e Luiss Business  School. L’obiettivo è fornire una fotografia completa del settore Energy a 50 giovani, per formarli come futuri interpreti della grande sfida della transizione ecologica, in possesso degli strumenti di analisi critica degli scenari energetici e in grado di fornire un supporto integrato e mirato al business. I webinar si collocano come eventi aperti che si focalizzano sulle tematiche più attuali del settore, in una cornice di confronto e dibattito con eminenti personalità di questa trasformazione. Il webinar è gratuito e aperto al pubblico, per partecipare è necessaria la registrazione. https://luissevents.webex.com/luissevents/onstage/g.php?MTID=e0f4b2e9dd1bdf7fa7d758e5165694e4f">REGISTRATI 7/6/2021

04 Giugno 2021

Inwit: «Apripista per lo sviluppo del 5G con la responsabilità di scelte sostenibili nel business»

Il Presidente del principale tower operator italiano, Emanuele Tournon, parla del primo Report Integrato a SustainEconomy.24, report di Luiss Business School e Il Sole 24 Ore Radiocor Accanto alla mission di apripista per lo sviluppo della tecnologia 5G e al ruolo di primo piano nel contribuire alla digitalizzazione del Paese, Inwit accelera il percorso sulla sostenibilità. Come racconta il primo Report integrato del maggior tower operator italiano. Il presidente Emanuele Tournon ne parla a SustainEconomy.24, report di Luiss Business School e Il Sole 24 Ore Radiocor. Cinque le aree di impegno e target sfidanti: dagli obiettivi del management alla Carbon Neutrality al 2025A avete pubblicato il primo Report Integrato 2020. Su quali criteri è redatto? «Penso sia utile premettere che, con la nascita della "nuova" Inwit, il 31 marzo 2020, è iniziato anche un percorso molto sfidante ma entusiasmante sulla sostenibilità. Che ormai è parte integrante della strategia aziendale con l'obiettivo di generare valore in una prospettiva di lungo periodo e contribuire alla crescita, al miglioramento e allo sviluppo sociale ed economico delle comunità in cui operiamo. La pubblicazione del nostro primo Report Integrato è frutto del processo, iniziato nella seconda metà dello scorso anno, con l'approvazione, da parte del cda del Piano di sostenibilità 2021-2023, parte integrante del Piano Industriale. Nella redazione del documento ci siamo attenuti ai criteri dell'Integrated Reporting Framework, che richiede di illustrare il processo con cui un'organizzazione crea valore nel tempo. Abbiamo quindi utilizzato una struttura che segue la suddivisione per capitali, definiti come le variabili che determinano la creazione di valore. Il report, infatti, si basa su una struttura che è suddivisa in 6 capitali: Capitale Finanziario, Capitale Infrastrutturale, Capitale Intellettuale, Capitale Sociale e Relazionale, Capitale Umano, Capitale Naturale». Perché Inwit ha deciso di integrare la sostenibilità nel business? «L'obiettivo è, appunto, generare valore e contribuire alla crescita del Paese. In linea con il mandato del Global Compact, riteniamo di doverci prendere delle responsabilità nella promozione di un ambiente sostenibile e di impegnarci verso il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo sostenibile, come definito dall'Agenda 2030 dell'Onu. Siamo partiti dalla governance con la costituzione del Comitato Sostenibilità e abbiamo poi proseguito avviando attività e progetti finalizzati ad integrare a 360 gradi la sostenibilità all'interno dell'azienda. Per fare qualche esempio, abbiamo effettuato attività di informazione e sensibilizzazione sui temi della sostenibilità a tutti i livelli aziendali e ci siamo impegnati a creare un ambiente di lavoro inclusivo. Coerentemente con questa scelta, abbiamo definito il Piano di sostenibilità 2021-2023 e avviato un processo di stakeholder engagement, consapevoli che le relazioni con i nostri interlocutori sono parte integrante di una gestione responsabile e sostenibile del business e sono fondamentali nel processo di creazione di valore per l'azienda nel medio e lungo periodo». Qual è l'impegno di Inwit descritto nel Report Integrato? «Siamo il maggiore tower operator italiano e, con la nostra mission di apripista per lo sviluppo della tecnologia 5G, abbiamo un ruolo di primo piano nel contribuire alla digitalizzazione del Paese, a supporto degli operatori di telecomunicazione. Una società come Inwit vuole essere un abilitatore e acceleratore della disponibilità di infrastrutture tecnologiche in grado di ospitare gli operatori che offrono il servizio di quinta generazione. La dimensione digitale, ancor di più oggi con la pandemia in corso, rappresenta una necessità per le imprese e per la Pubblica Amministrazione nel processo di trasformazione verso modelli organizzativi, produttivi e di servizio, privati e pubblici, più agili e flessibili e più sostenibili ed inclusivi. Inwit mette a disposizione degli operatori tutti i servizi necessari, a cominciare dalle oltre 22.000 torri dislocate su tutto il territorio italiano, ossia 1 torre ogni 3 km, e da quelle nuove previste nel Piano industriale. Le torri, per quanto diffuse e capillari, soprattutto in ottica 5G, hanno poi bisogno di essere affiancate da coperture dedicate, specie per ambienti indoor, ma non solo. Ospedali, musei, stadi, stazioni, aeroporti, piccoli borghi, centri cittadini possono essere coperti con soluzioni innovative, e decisamente "sostenibili", come le small cells e i DAS (Distributed antenna system). Stiamo inoltre lavorando per andare verso torri sempre più intelligenti: asset digitali, distribuiti e protetti, che potranno dare un contributo concreto alla trasformazione digitale delle attività economiche e sociali del Paese e riducendo il digital divide ancora presente in molte aree d'Italia». Quali sono i target più sfidanti? «Il nostro Piano di Sostenibilità, descritto anche all'interno del Report, è stato sviluppato su 5 aree di impegno, Governance, People, Environment, Innovation e Community, poiché per mantenere i nostri impegni di business dobbiamo considerare anche tutti gli aspetti non finanziari. Per accelerare questo percorso e rafforzare il sistema di deleghe e responsabilità in materia di sostenibilità, abbiamo inserito il raggiungimento dei target del Piano tra gli obiettivi del management. Un'altra iniziativa cui tengo particolarmente è il successo della recente sottoscrizione del nostro primo sustainability-linked term loan, legato a specifici indici di sostenibilità, di importo pari a 500 milioni di euro. In ottica prospettica, invece, uno dei target più sfidanti è il raggiungimento della Carbon Neutrality al 2025, attraverso la definizione di una Climate Strategy, lo sviluppo di fonti rinnovabili, l'implementazione di iniziative di efficienza energetica e l'utilizzo di energia verde». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 4/6/2021

04 Giugno 2021

Vaillant: «Nuove caldaie per salvare alberi. E nel futuro riscaldiamo le case con l’elettrico e il green gas»

Gherardo Magri, amministratore delegato di Vaillant Group Italia, racconta a SustainEconomy.24, report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School, la mission dell'azienda e parla della spinta dei superbonus La sostenibilità è da sempre nel dna dell'azienda tedesca protagonista nel settore delle caldaie e della climatizzazione, ma sicuramente gli ultimi 4-5 anni hanno segnato un'accelerazione. Con la mission di arrivare ad essere carbon neutral nel 2050 e salvaguardare l'ambiente, anzi fare di più: salvare e piantare nuovi alberi. Gherardo Magri, amministratore delegato di Vaillant Group Italia, racconta a SustainEconomy.24, report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School, la strategia che poggia su due filoni: l'elettrico, con le pompe di calore, e il green gas che porterà l'idrogeno nelle case degli italiani. E plaude ai bonus: il mercato cresce a doppia cifra e gli impianti delle famiglie si rinnovano. Che ruolo riveste la sostenibilità nella strategia di Vaillant? «Un ruolo centralissimo perché parliamo di un gruppo tedesco, fondato da Vaillant più di 140 anni fa, nella cui sensibilità il green è sempre presente nel dna dell'azienda. Certo c'è stata una grande accelerazione negli ultimi 4-5 anni e il gruppo ha sviluppato un progetto per garantire al meglio il successo di questi obiettivi, raggruppando le attività di sostenibilità nel programma S.E.E.D.S. (Sustainability in Environment, Employees, Development & Solutions and Society). In particolare, sull'ambiente, il gruppo vuole abbattere del 50% le emissioni di C02 entro il 2030 per arrivare ad una completa decarbonizzazione nel 2050. La stessa visione che spinge, ormai da tempo, Vaillant Italia: ormai abbiamo una sensibilità anche superiore alla Germania e abbiamo iniziato programmi importanti sul green perché abbiamo capito che questo è il futuro e fa bene anche al business. Per arrivare a questi obiettivi oltre che intervenire nei processi produttivi c'è anche la possibilità, nel lungo termine, di realizzare progetti di riforestazione nei Paesi emergenti». Una scelta di crescita sostenibile si concilia, quindi, con il successo economico? «C'è una buona parte di investimenti che vengono destinati a favorire il rinnovo del parco obsoleto. C'è uno shift negli investimenti dei budget già disponibili verso scelte più green. Proporre prodotti green, poi, diventa fonte di profitto perché, è vero che si offrono prodotti più efficienti e meno energivori che possono costare un po' di più, ma il cliente lo sta percependo». Riscontrate, quindi, una buona risposta della clientela a prodotti più sostenibili? «Da alcune ricerche che portiamo avanti con Lifegate sono sempre più gli italiani che si dicono disponibili a comprare prodotti green, a pagare anche di più per prodotti a salvaguardia dell'ambiente. È un circolo virtuoso perché quando le tecnologie diventeranno più di massa, i costi caleranno e i prodotti nuovi, che oggi costano di più, diventeranno più accessibili». Torniamo al contributo che le nuove tecnologie per il comfort domestico possono offrire in termini di riduzione delle emissioni di gas serra. Cosa state facendo in Italia? «In Italia stiamo lavorando su due filoni. Il primo riguarda il rinnovo del parco caldaie esistenti dal momento che ne abbiamo 14 milioni tradizionali che emettono più C02 e sono più energivore. Siamo impegnati da anni con campagne promozionali sull'utente finale per caldaie di nuove generazioni più green del 30%. Abbiamo calcolato che una caldaia a condensazione, rispetto ad una tradizionale, risparmia in un anno 1 tonnellata di C02, un taglio che equivale ad aver piantato 80 alberi. E, dal momento che la nostra campagna di rottamazione si traduce in 20mila caldaie l'anno sostituite in Italia, ci piace pensare di aver piantato un milione e mezzo di nuovi alberi. L'anno scorso, poi, abbiamo accompagnato la campagna di rottamazione piantando realmente degli alberi - uno per ogni caldaia sostituita - scegliendo due aree, il Parco del Ticino a Milano e il Parco dell'Aniene a Roma. È il nostro piccolo progetto di forestazione. Il secondo filone, invece, riguarda il risparmio di C02 nella nostra sede con l'impianto fotovoltaico, lo sforzo verso il plastic free e la flotta auto. In un anno abbiamo risparmiato 100 mila tonnellate di C02 e anche questo lo possiamo tradurre in 7-8mila alberi». E quali saranno i prodotti e i materiali del futuro? «In prospettiva ci sono due tecnologie che stanno avanzando: l'elettrico, su cui stiamo investendo, e la frontiera affascinante del green gas che non è ancora un business concreto ma già a fine anno avremo prodotti compatibili. Dunque, l'elettrico dove il nostro prodotto di punta sono le pompe di calore, è un mercato che sta esplodendo perché può garantire il target del 50% di consumi da rinnovabili. Le pompe di calore sono il futuro come l'auto elettrica perché siamo a emissioni zero. Abbiamo proiezioni a 5-6 anni secondo cui il fatturato dell'elettrico potrebbe raggiungere il gas ed è un passaggio epocale per un'azienda come la nostra che ha il gas nel dna. Ma, contemporaneamente, dal momento che difficilmente il gas scomparirà, stiamo portando avanti il discordo del green gas - miscelato con idrogeno – che darà un altro grande contributo. Noi, come azienda abbiamo sviluppato caldaie ‘ready for hydrogen' che potranno essere sperimentate già entro la fine dell'anno». Quale è stato e quale sarà l'impatto dei bonus e superbonus sul vostro business? «È stato veramente qualcosa di sorprendente, come abbiamo condiviso con altre aziende. Tutto è partito alla fine dell'anno scorso ma nessuno si aspettava la spinta di questi primi mesi del 2021: il mercato delle caldaie sta crescendo a doppia cifra, del 20-30%, numeri che non si vedevano da anni. Due gli incentivi importanti: e se il 110% è il più eclatante ma richiede ristrutturazioni importanti, quello che funziona tanto è l'incentivo del 65% che viene scontato subito all'acquisto. Noi stiamo vivendo mesi di crescita inaspettati, le industrie stanno correndo dietro agli ordini. Per questo abbiamo spinto affinché nel Recovery Plan questi incentivi potessero andare avanti al 2023. È qualcosa di strutturale che può spingere a cambiare gli impianti nelle case delle famiglie italiane. Stiamo vivendo un grande momento di sviluppo di fatturato e di rinnovo degli impianti». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 4/6/2021

04 Giugno 2021

Lucart: «Abbiamo vinto la sfida della carta ecosostenibile e del riciclo. Ora imballaggi sempre più green e poi l’idrogeno»

Il presidente e ceo del gruppo della carta, noto per i marchi Tenderly, Tutto, Grazie natural, parla a SustainEconomy.24, report di Radiocor e Luiss Business School, dell'impegno a 360 gradi per modelli circolari e delle opportunità di crescita Lucart, fondata nel 1953 come Cartiera lucchese dei Fratelli Pasquini, e nota ai consumatori con i marchi Tenderly, Tutto, Grazie natural, da anni persegue gli obiettivi di sostenibilità: dalla carta riciclata dai cartoni per le bevande ai packaging compostabili. Ma le sfide proseguono, spiega il presidente e amministratore delegato Massimo Pasquini della famiglia fondatrice a SustainEconomy.24, report di Radiocor e Luiss Business School. Che cita l'obiettivo, per il 2025, ma che è praticamente già raggiunto, di avere tutti gli imballaggi riciclabili o compostabili o essere pronti a usare idrogeno o biometano. Presente, tramite filiali e controllate in Francia, Spagna e Ungheria, la multinazionale toscana che, con oltre 500 milioni di euro di fatturato, serve 70 Paesi e ha una capacità produttiva di 395.000 tonnellate annue e ha di recente fatto shopping in Gran Bretagna, guarda agli investimenti in Italia ma anche a nuove opportunità di crescita all'estero. Lucart: una storia di famiglia dal 1953, la presenza in 70 Paesi e oltre 500 milioni di fatturato. Nella vostra strategia di crescita quanto spazio c'è per la sostenibilità? «Fin dagli inizi la nostra azienda si è distinta sul mercato per essere in grado di proporre carte riciclate di alta qualità. Volevamo proporre carte sostenibili negli impatti ambientali e nei prezzi ma con una qualità che non facesse in alcun modo rimpiangere le materie prime vergini. Una sfida che abbiamo vinto prima con le carte da imballaggi flessibili e poi, negli anni ‘80 e ‘90, con le cosiddette carte "tissue" cioè le carte per l'igiene. Nel 1997 siamo stati i primi, infatti, a lanciare sul mercato una carta igienica in carta riciclata e rigenerata con imballaggio in Mater-Bi e con certificazione Ecolabel dell'Unione Europea. Oggi stiamo lavorando affinché il concetto di sostenibilità sia parte integrante della strategia aziendale a tutti i livelli. Vuol dire che non ci possiamo limitare a proporre al mercato dei prodotti sostenibili ma dobbiamo essere sostenibili a 360 gradi, nel rapporto con il territorio e le comunità che ospitano i nostri stabilimenti produttivi, nei processi produttivi e, ovviamente, nelle condizioni di lavoro dei nostri stabilimenti. Il Rapporto di Sostenibilità 2020 di Lucart, che pubblicheremo fra pochi giorni, il sedicesimo della nostra storia, sarà dedicato proprio a questi argomenti». Carta ecosostenibile, prodotti green, nuove tecnologie. Qual è il percorso che state portando avanti? «Stiamo lavorando su modelli di business sempre più circolari, perché pensiamo che siano gli unici che possano assicurare la maggiore protezione e crescita dei capitali naturali, sociali ed economici. Quando dieci anni fa ci siamo inventati un modo per recuperare tutti i materiali che compongono i cartoni per bevande poliaccoppiati, siamo partiti proprio dalla considerazione che dopo ogni fase di lavorazione, distribuzione e uso di un materiale si creano degli scarti e che questi scarti devono essere visti come nuove risorse e creare opportunità di business. Allo stesso tempo siamo impegnati nello studio delle nuove tecnologie per ridurre gli impatti dei nostri processi produttivi. Per questo, ad esempio, abbiamo recentemente installato due nuove turbine a gas metano che saranno in grado di utilizzare in parte anche l'idrogeno e il biometano quando, in futuro, sarà disponibile nelle nostre reti. Investiremo molto nei prossimi anni anche nelle energie alternative come il fotovoltaico, anche se, per il processo produttivo di fabbricazione della carta abbiamo bisogno sia di elettricità sia di calore, 24 ore su 24, e quindi, le energie alternative possono essere una parte della soluzione ma non l'unica soluzione. Continueremo infine a lavorare per ridurre i consumi di acqua legati alla fabbricazione della carta: abbiamo già ridotto i consumi specifici per tonnellata di carta prodotta del 18% rispetto al 2013 e vogliamo arrivare a una riduzione del 30% entro il 2025». Nel vostro settore, in un'ottica di benessere del pianeta, riveste un ruolo importante il packaging sostenibile. Quali sono i vostri target? «Dopo aver inserito, primi nel mondo, i packaging compostabili alla fine degli anni ‘90, da un paio di anni abbiamo realizzato un imballaggio in carta riciclata e riciclabile per le nostre carte igieniche (già oggi sono utilizzati sulle linee Grazie Natural in carta Fiberpack ottenuta dal riciclo dei cartoni per bevande tipo Tetra Pak). Tra l'altro ci tengo a sottolineare che la carta che utilizziamo per questo imballaggio è prodotta sempre da noi nel nostro stabilimento di Porcari (Lu). In più dal 2020 abbiamo adottato delle linee guida a livello di Gruppo sugli imballaggi sostenibili ponendoci un primo obiettivo già per il 2025, ma che è praticamente già raggiunto, di avere tutti gli imballaggi riciclabili o compostabili. Parallelamente incrementeremo la quota di imballaggi di origine rinnovabile, che comunque è già molto alta, e quella di imballaggi realizzati con materiali riciclati». Di recente avete fatto shopping in Gran Bretagna. Cosa c'è nel futuro di Lucart? «Nel nostro settore la crescita è determinata sia dalla ricerca di maggiori economie di scala, sia dalla necessità di essere vicini ai mercati più interessanti dal punto di vista delle prospettive di consumo. Per questo motivo continueremo a verificare eventuali opportunità che si possono presentare, sempre nell'ottica di crescere nella produzione di carte riciclate di alta qualità soprattutto nel comparto dei consumi professionali di prodotti per l'igiene (AFH). In Italia, invece, continueremo a investire sui nostri brand storici come Tenderly, Grazie Natural e Tutto Pannocarta, proponendo sempre soluzioni sostenibili, innovative e di alta qualità, accompagnate da campagne di comunicazione che puntano sull'inclusività, la protezione dell'ambiente e la lotta agli sprechi». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 4/6/2021

04 Giugno 2021

Marcegaglia: «L’acciaio è sostenibile al 100%. La nostra scommessa sul green per anticipare il futuro»

Antonio ed Emma Marcegaglia, presidente e vicepresidente del gruppo di famiglia leader nella trasformazione dell'acciaio, parlano a SustainEconomy.24, report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School, dell'impegno e delle sfide L'acciaio è sostenibile al 100% e, quindi, naturalmente predisposto a cogliere le opportunità dell'economia circolare. E la domanda di acciaio verde sta crescendo rapidamente. In un'intervista a due voci, Antonio ed Emma Marcegaglia, rispettivamente presidente e vicepresidente dell'omonimo Gruppo di famiglia, fondato dal padre Steno nel 1959, leader nella trasformazione dell'acciaio con un fatturato da 5,5 miliardi di euro, raccontano a SustainEconomy.24, report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School, l'impegno messo in campo, dai primi anni '90, sui temi ambientali e di salute e sicurezza e le sfide future del gruppo. Perché per essere competitivi ed efficienti bisogna lavorare a prodotti sostenibili. È di pochi giorni fa l'annuncio dell'investimento nel progetto svedese della startup siderurgica H2 Green Steel, per la prima acciaieria al mondo completamente green che vede Marcegaglia anche partner industriale strategico. «È una scommessa molto concreta per anticipare il futuro» spiegano. Come è concreto l'impegno in Italia dove rimane l'attenzione per Acciai Speciali Terni: «Ci siamo seriamente». Marcegaglia è protagonista nello scenario siderurgico europeo e mondiale, con una leadership indiscussa nella trasformazione dell'acciaio. È compatibile una strategia sostenibile con la produzione di acciaio? «Assolutamente sì, l'acciaio è riciclabile al 100%, è il materiale più riciclato al mondo ed è, quindi, naturalmente predisposto per cogliere le opportunità dell'economia circolare, un fattore chiave per la riduzione delle emissioni di CO2 e per il contrasto al cambiamento climatico. Una sfida ambiziosa, certo, ma dalla quale nessuno può tirarsi indietro, né a livello istituzionale, né tantomeno industriale. Il settore siderurgico mondiale contribuisce per il 7% alle emissioni di CO2 e tutti i grandi player si stanno attrezzando per raggiungere l'obiettivo di dimezzarle al 2030, per arrivare poi alla neutralità nel 2050. Anche perché – sottolinea Antonio Marcegaglia – la domanda di acciaio verde sta crescendo rapidamente: c'è un forte interesse da parte di tutti i settori della filiera, dall'automotive agli elettrodomestici, dalle costruzioni alle infrastrutture. Nessun produttore o trasformatore di acciaio può pensare di continuare a essere competitivo senza un acciaio che sia sostenibile sia dal punto di vista economico, ovviamente, ma anche ambientale». Un impegno nel campo delle tecnologie più avanzate per la sostenibilità ambientale e l'Industria 4.0 come si traduce concretamente nei vostri stabilimenti e nei vostri prodotti? «Già dall'inizio degli anni '90 abbiamo costituito una società, MADE HSE (Marcegaglia Dipartimento Ecologia. Health, Safety, Environment), proprio per seguire i temi della tutela dell'ambiente, della formazione, salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. Siamo stati tra i primi a creare una struttura del genere perché eravamo, e siamo convinti, che il rigoroso rispetto delle normative non confligge con i temi di produttività, efficienza ed economicità, anzi, al contrario, è funzionale e sinergico alla competitività di ogni impresa. Al momento della sua nascita, MADE era un piccolo dipartimento interno, composto da pochi tecnici che si occupavano di rispondere al meglio alla profonda trasformazione imposta dal recepimento in Italia delle direttive europee in materia ambientale, di salute e sicurezza. Oggi MADE conta più di 70 persone con solide competenze ed esperienze nelle diverse discipline tecnico-scientifiche ed è dotata di laboratori di analisi chimica e microbiologica che lavorano anche per enti e società esterne. Abbiamo poi tutto il dipartimento R&D che si occupa di sviluppare prodotti ad elevate prestazioni, bassa impronta di carbonio e di ottimizzare i processi metallurgici. C'è poi tutto il capitolo di Industria 4.0, sul quale siamo altrettanto fortemente impegnati. L'esigenza di aumentare i livelli di sicurezza, produttività e qualità, ha spinto la robotizzazione dei processi ad assumere, negli ultimi anni, un ruolo sempre più importante in tutti gli stabilimenti del nostro Gruppo: dal controllo di processo, in tempo reale, attraverso sofisticati sistemi di sensori e modelli matematici, fino all'automazione della movimentazione con carroponti intelligenti e carrelli autoguidati, sono solo alcuni esempi di come la tecnologia può intervenire per rendere più efficienti le diverse attività». È cronaca di questi giorni: avete annunciato un investimento nel progetto svedese della startup siderurgica H2 Green Steel, per la prima vera acciaieria al mondo completamente green. È una scommessa sul futuro? «Una scommessa molto concreta per anticipare il futuro, se ci passa il gioco di parole. È la prima vera acciaieria al mondo completamente green perché lo stabilimento verrà alimentato utilizzando unicamente idrogeno verde, cioè idrogeno prodotto da fonti energetiche rinnovabili (energia eolica e idroelettrica) e minerale di ferro ad alta qualità, di cui il cluster svedese di Boden, la cittadina dove sorgerà l'impianto, è particolarmente ricco. Il complesso siderurgico sarò operativo già nel 2024, anticipando di parecchi anni l'obiettivo di "emissioni zero" fissato dalla Ue per il 2050. Nel processo utilizzato, infatti, grazie all'utilizzo di idrogeno verde e all'elettrificazione di ogni fase del processo con energia rinnovabile l'impronta di carbonio scende fino al 95% e l'unica emissione è vapore acqueo. L'impianto partirà con una produzione di 2,5 milioni di tonnellate l'anno, con l'obiettivo di arrivare a 5 milioni già nel 2030. E siamo molto orgogliosi di due cose: la prima, che ci hanno cercato gli svedesi proprio per la storia e la leadership della nostra azienda; la seconda che, oltre a far parte del gruppo di investitori, siamo anche un partner industriale strategico: trasformeremo, infatti, inizialmente 250 mila tonnellate di acciaio l'anno per arrivare successivamente a 500mila. E poi vedremo». Cosa vedete nel futuro dell'industria italiana dopo la sfida della pandemia e le opportunità del Recovery Plan? «Nei mesi scorsi le principali economie del mondo hanno stanziato oltre 22mila miliardi di dollari, impegnandone altri 11mila per contenere la recessione globale – spiega Emma Marcegaglia che è anche presidente del B20 – la sola Ue ha stanziato 1.800 miliardi di euro tra bilancio a lungo termine e Next Generation EU. È il più ingente pacchetto di misure di stimolo mai finanziato. Ma sono fondi che vanno utilizzati su obiettivi strutturali: si deve andare oltre le risposte emergenziali e guardare al futuro costruendo un modello più resiliente, sostenibile sul piano ambientale e sociale, più inclusivo tra generazioni e territori. Come B20 lo stiamo chiedendo con forza. Dobbiamo coniugare competitività e politica climatica perché farlo equivale a creare posti di lavoro, inclusione sociale, opportunità di crescita. E serve farlo tutti insieme. È il momento di ripensare la partnership pubblico-privato, non sostituendo il privato con il pubblico, ma ragionando in termini di vera partnership. Servono "buoni" investimenti pubblici, una rivoluzione reale negli assetti amministrativi e legislativi per rimettere in moto una nuova stagione di iniziative da parte delle imprese. E non solo quelle di casa nostra, ma anche quelle internazionali che devono finalmente poter guardare all'Italia come serio mercato di investimento». Parliamo di prospettive future del Gruppo: avete manifestato interessi in Italia. «È vero. Siamo stati a Terni nel giugno dello scorso anno per incontrare istituzioni e sindacati e affermare con convinzione che la nostra attenzione verso Acciai Speciali Terni è un'attenzione industriale strategica, che viene da lontano. È stato un modo per dire, ci siamo e ci siamo seriamente». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 4/6/2021

21 Maggio 2021

Parmalat: «Dal latte al packaging green, un team porta la sostenibilità sulle tavole»

L'intervista a SustainEconomy.24 di Maurizio Bassani, che da pochi giorni ha assunto la guida di Parmalat, azienda parte del Gruppo Lactalis in Italia Una specifica Direzione  a capo di un team di lavoro per guidare le azioni per una politica di sostenibilità che dalla stalla arriva alle case di 20 milioni di famiglie in Italia. Maurizio Bassani, appena nominato general manager di Parmalat, azienda del Gruppo Lactalis in Italia, parla a SustainEconomy.24, report di Luiss Business School e Il Sole 24 Ore Radiocor, della strategia del gruppo che ha una storia nel nostro Paese con i marchi Parmalat, Santàl, Zymil e Chef, e 9 stabilimenti in 8 Regioni . A partire dal latte fino al packaging green che dal 2010 a oggi ha permesso di ridurre 7mila tonnellate di plastica e di evitare l'emissione di 14mila tonnellate di CO2. La pandemia ha modificato alcune abitudini e sul 2021 è difficile fare previsioni, dice Bassani che guarda comunque all'anno con ottimismo. Che ruolo ha la sostenibilità nel vostro settore e che ruolo ha nella strategia di Parmalat? «In Parmalat, azienda del Gruppo Lactalis in Italia, ci avvaliamo di circa 2.000 collaboratori, abbiamo 9 stabilimenti in 8 regioni italiane 1.000 agenti per servire 57.000 clienti in tutta l'Italia. Bastano questi numeri per far capire il nostro peso in Italia ed è per questo che, consapevoli del nostro ruolo locale e globale nel contribuire al raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell'Agenda 2030, abbiamo avviato un percorso volto a identificare le nostre priorità e a declinare il nostro impegno nella sostenibilità. Le nostre iniziative sulla sostenibilità sociale e ambientale sono numerose: da una forte attenzione alla qualità dei prodotti e alla cura delle persone all'impegno nelle comunità in cui operiamo agli sforzi nella riduzione delle emissioni di CO2, ad un uso consapevole delle risorse naturali e allo sviluppo di nuovi packaging. Oggi vogliamo fare ancora di più: ci siamo dotati a livello di Gruppo di una specifica Direzione posta a capo di un team di lavoro che guiderà in modo sempre più sincrono le azioni destinate a sorreggere le politiche di sostenibilità dell'azienda. Abbiamo infatti individuato un piano strategico che ci permetterà di mostrare con orgoglio il nostro impegno per una sostenibilità a tutto tondo». La produzione degli alimenti ha un impatto nell'intera filiera. Ci parla dei target e dei risultati del gruppo in termini di sostenibilità? «Quando si parla di sostenibilità, è corretto mirare ad una sostenibilità integrata di filiera e i nostri sforzi vanno sempre di più in questa direzione. La sostenibilità di Parmalat parte in stalla, dove un team dedicato di persone collabora con gli allevatori che ci conferiscono il latte, avvalendosi di strumenti innovativi come "ClassyFarm" per assicurare la sostenibilità economica e il benessere animale. Il latte arriva poi in stabilimento, dove, grazie ai nostri scrupolosissimi controlli, possiamo assicurare al consumatore prodotti buoni e sicuri, di chiara origine e provenienza. Negli stabilimenti, adottiamo tutte le nuove tecnologie per renderci autosufficienti energeticamente: per esempio nel nostro maggiore stabilimento a Collecchio, grazie all'installazione di un potente cogeneratore, siamo arrivati al 90% di autoproduzione elettrica, con un netto miglioramento nelle emissioni. Sul fronte dei trasporti, per completare la filiera, ci stiamo muovendo per incrementare l'intermodalità e utilizzare mezzi che siano sempre più green. Non solo: ci impegniamo a organizzare le rotte dei trasporti in modo tale che siano sempre più efficienti. Lungo tutta la nostra filiera, gli sprechi non sono tollerati». Una delle sfide maggiori è sul fronte del packaging. Cosa è cambiato in Parmalat? A cosa state lavorando? Nell'ottica di un'economia circolare abbiamo sviluppato una packaging strategy innovativa e sempre più green. Riduzione della quantità di packaging utilizzato, progettazione degli imballi per ridurne il peso, impiego di materiali riciclabili e riciclati, utilizzo di materiali a basso impatto ambientale sono alla base di questa strategia, che dal 2010 a oggi ci ha permesso di ridurre di 7mila tonnellate la quantità di plastica impiegata e di evitare l'emissione di 14mila tonnellate di CO2. Per citare alcuni esempi: il peso di una bottiglia da 1 litro di latte fresco in PET è stato ridotto dell'8%, pari a 1931 tonnellate in meno di plastica in 10 anni, mentre quella da mezzo litro del 20% (-709 tonnellate); una bottiglia da 1 litro di latte UHT in HDPE pesa oggi il 7% in meno rispetto al 2010, e ha permesso di ridurre di 2940 tonnellate la plastica immessa sul mercato; un vasetto di yogurt da 125 grammi in PS è stato alleggerito del 6%, pari a un risparmio di 146 tonnellate in 10 anni e riprogettato in PP per poterlo riciclare. Giorno dopo giorno il nostro team di Ricerca e Sviluppo lavora sui nostri prodotti per renderli sempre più sostenibili e dove possibile favoriamo la loro circolarità, utilizzando materiali riciclati e riciclabili». La pandemia e il lockdown hanno modificato le abitudini e i consumi degli italiani. Come vede il 2021 di Parmalat? «Se vogliamo guardarla da un altro punto di vista, la pandemia ci ha fatto riscoprire il piacere dello stare in casa e recuperare alcune abitudini, come la colazione in casa e il pranzo in famiglia. In quanto azienda alimentare, noi non ci siamo mai fermati proprio per poter garantire gli approvvigionamenti alle famiglie italiane e ai nostri consumatori, questo grazie anche al lavoro straordinario dei nostri dipendenti, che abbiamo fin da subito dotato di un protocollo di sicurezza e di tutti i DPI necessari a garantire la continuità produttiva e allo stesso tempo la loro sicurezza. Sul 2021 è difficile fare previsioni. C'è l'incognita dei consumi fuori casa, legati alle riaperture di bar e ristoranti: sono rilevanti anche per un'azienda come la nostra, che comunque lavora nel settore del "fuori casa" in maniera abbastanza importante. Continueranno a crescere i consumi domestici: la parte di prodotti venduti nei supermercati e negozi è ancora oggi in crescita. In questo scenario così complesso noi siamo moderatamente ottimisti. E personalmente sono ottimista per la nostra azienda». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 21/5/2021

21 Maggio 2021

illycaffé: «ll nostro impegno per una sostenibilità dalla pianta alla tazzina. Dal 2033 saremo carbon free»

Andrea Illy, presidente della storica azienda triestina di produzione del caffè parla della visione e della roadmap a SustainEconomy.24, report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School Un modello di sostenibilità «dalla pianta alla tazzina» perché sostenibilità e qualità sono le due facce di una stessa medaglia. Andrea Illy, presidente di illycaffè racconta il percorso di attenzione dell'azienda di famiglia alla qualità del prodotto, al clima e alla sostenibilità che culminerà nel 2033, anno del centenario, con l'obiettivo di essere carbon free. Il Covid ha modificato le abitudini e la sensibilità dei clienti e «dovremo lavorare sempre più a macchine da caffè meno energivore piuttosto che sulla cialda di carta compostabile». Agricoltura sostenibile, caffè sosteniblile, rispetto dell'ambiente. Qual è la visione di illy? «La visione di illycaffè è che l'impresa è l'unico soggetto economico che può veramente cambiare la società. Lo Stato può creare le condizioni, ma il cambiamento lo devono fare le imprese. Quindi le tre sostenibilità - economica, sociale e ambientale - sono fondamentali. Di qui la nostra idea di migliorare costantemente sulla sostenibilità con un modello di impresa che è quello della stakeholder company che oggi è molto ben riassunto dalle B Corp, dove tutti sono portatori di interesse, dal consumatore al fornitore all'azionista e il profitto diventa un mezzo, e non un fine, per raggiungere uno scopo socio economico. Questo si deve fare attraverso tutti i punti nodali nella nostra filiera e si traduce, per noi, in sostenibilità economica, sociale, ambientale dalla pianta alla tazzina. La sostenibilità economica deve essere il risultato di un certo modo di produrre ma anche generatore di flussi di cassa che permettono non solo di pagare gli investimenti fatti ma di farne altri per migliorare costantemente e condividere il valore; la sostenibilità sociale è il concetto di progresso della specie e della conoscenza; la sostenibilità ambientale consiste molto banalmente sul concetto del rispetto, del non inquinare e non sprecare». Ci parla di questo modello di sostenibilità dalla pianta alla tazzina. In cosa si traduce? «La prima cosa che abbiamo fatto è stato  creare una specie di coalizione di coltivatori di caffè, che la vedono come noi, e trasferire loro conoscenze su come migliorare le pratiche agronomiche sostenibili per avere più qualità e più sostenibilità. Quindi, posso riassumere, ci siamo concentrati sulla qualità all'inizio degli anni '90, poi sulla sostenibilità dell'adattamento al cambiamento climatico negli anni 2000 e adesso sulla mitigazione dell'impatto ambientale per chiudere il cerchio. Perché per Illy qualità e sostenibilità sono due facce della stessa medaglia e la nostra missione di avere la leadership qualitativa a livello mondiale va di pari passo con la leadership sostenibile. Il clima è sempre stato per noi la priorità numero uno, consapevoli del fatto che l'agricoltura lungo tutte le filiere, quindi dalla pianta al piatto, è responsabile fino al 35% delle emissioni di gas serra. Il nostro modello è di fare il cosiddetto ‘in setting' e abbiamo sviluppato questa teoria della Virtuous Agriculture che si basa sull'arricchimento dei terreni agricoli con carbonio organico, e persegue un doppio beneficio per l'ambiente ma anche per la salute umana». Avete l'obiettivo di essere carbon free al 2033. A che punto siamo? «Noi già oggi abbiamo una grande solar plant e utilizziamo energia rinnovabile per l'elettricità e adesso ci accingiamo a cercare di passare al biogas anche per la tostatura del caffè oltre a chiedere ai nostri fornitori altrettanto impegno. La seconda grande macro-azione della roadmap per la decarbonizzazione è quella di ridurre la cosiddetta LCA (Life Cycle Assessment), vale a dire l'impronta degli input produttivi, quali il packaging sul quale la nostra policy è  riciclare: con le confezioni metalliche che si riciclano all'infinito se questo rimarrà il migliore dei modi per essere sostenibili o anche altre alternative come il packaging compostabile di cui abbiamo già alcuni prodotti. E terzo e ultimo punto della nostra roadmap sono l'agroecologia e la riforestazione. E' il modello col quale vogliamo raggiungere l'obiettivo di essere carbon free al 2033, anno in cui cade il nostro centesimo anniversario che vogliamo raggiungere con un bel traguardo simbolico. E' un traguardo un po' in anticipo sugli obiettivi fissati da Parigi ma ci vuole sicurezza di arrivare puntuali all'appuntamento». Avete deciso di fare il passaggio a Benefit Corporation. Perché questa scelta? «Questa era già la nostra filosofia ma il fatto che si sia venuto a creare un inquadramento giuridico sotto forma di benefit corporation che permette di sancire un impegno a livello statutario ci è sembrata una cosa molto buona e abbiamo sostanzialmente deciso di adeguare alla forma la sostanza». Un impegno così forte verso la sostenibilità si concilia con la creazione di valore e risultati economici? «La creazione di valore vuol dire flussi di cassa futuri attualizzati a un determinato costo del danaro. E' vero che nell'immaginario collettivo la sostenibilità può avere un costo e, quindi, ridurre i flussi di cassa futuri ma è vero che anche la non sostenibilità produce dei costi, è il caso di tutti i danni che un'azienda potrebbe cagionare e potrebbe essere chiamata a pagare se dovesse inquinare l'acqua oppure un terreno. E i flussi di cassa per un'azienda non sostenibile diminuiscono anche per la minore fedeltà dei clienti che sono sempre più sensibili. Quindi con lucro cessante e danno emergente conviene che l'azienda dal punto di vista del valore dell'impresa sia sostenibile».  Il Covid ha cambiato inevitabilmente le abitudini degli italiani. Cosa è cambiato per Illy e quali sono le sfide future? Come cambieranno i vostri prodotti? «Illy era per più del 60% dipendente dai consumi fuori casa e, adesso, a causa dei lockdown i rapporti si sono invertiti. Pensiamo che post Covid i consumi nel fuoricasa riprenderanno ancorché non ai livelli pro capite di prima perché comunque la gente uscirà di meno, lavorerà più da casa e resterà una certa cautela anche sul piano sanitario. Quindi si riequilibrerà probabilmente a metà il rapporto tra consumi in casa e fuori. Noi, quello che abbiamo guadagnato nell'alimentare non lo perderemo e quello che avevamo perso nel fuoricasa lo recupereremo e quindi dovremmo avere un tasso di crescita superiore a quello che avremmo avuto senza il Covid. Invece a livello di portafoglio di prodotti non ci saranno cambiamenti, sarà il mix che cambierà e, rispetto alla gamma, sarà preponderante quella dei prodotti per la casa con un'attenzione crescente nel cercare di avere un mix di prodotti sempre più sostenibili. Ad esempio abbiamo lanciato i primi due modelli di macchine per il caffè che hanno consumi energetici pari a meno di 1/10 delle generazioni precedenti con un impatto significativo del taglio dell'impronta di carbonio della tazzina. Quindi dovremo lavorare sempre più a macchine da caffè meno energivore piuttosto che sulla cialda di carta compostabile perché durante il Covid i consumatori si sono convinti che la propria salute è dipendente anche dalla salute degli ecosistemi in cui vivono. Di fronte alla maggiore sensibilità abbiamo lanciato ‘#Onemakesthedifference' per sensibilizzare i consumatori al riciclo e alle soluzioni meno impattanti possibili e questa sarà la nostra evoluzione». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 21/5/2021