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Granarolo: «La nostra responsabilità dal benessere animale al latte di qualità. Sostenere famiglie e filiera dal caro-prezzi»
Granarolo: «La nostra responsabilità dal benessere animale al latte di qualità. Sostenere famiglie e filiera dal caro-prezzi»
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ll presidente del gruppo parla a SustainEconomy.24 anche dell’estero e dell’impatto dell’inflazione

Un percorso di sostenibilità che è una assunzione di responsabilità e passa dal benessere animale alla qualità del prodotto all’attenzione per l’ambiente, con 200 milioni di vasetti in plastica in meno ogni anno nel giro di 24 mesi e il taglio del 30% delle emissioni di CO2   per ogni litro di latte entro il 2030. Il presidente di Granarolo, Gianpiero Calzolari, racconta a SustainEconomy.24, report di Radiocor e Luiss Business School l’impegno e gli investimenti verso un’agricoltura 5.0 del gruppo, la più importante filiera zootecnica italiana del latte con 13 stabilimenti in 7 Regioni.

Ma parla anche dei giovani che seguono Greta, che saranno i genitori consumatori di domani, e scelgono prodotti buoni ma soprattutto sostenibili. E dell’estero, fondamentale per il gruppo, con una quota del 40% attesa a fine anno. L’intervista è l’occasione anche per fare il punto sull’impatto dei prezzi delle materie prime e del caro energia. «Un impatto inimmaginabile», sottolinea, con l’inflazione reale a due cifre che richiede di distribuire la negatività tra chi produce, chi raccoglie, chi trasforma, chi distribuisce e chi consuma. Con sostegni alle famiglie ma anche alla filiera.

E’ cresciuta la sensibilità del settore agroalimentare per l’ambiente e la sostenibilità?

«Noi abbiamo iniziato un processo di assunzione di responsabilità perché produciamo latte e trasformati del latte e sappiamo che, sia per la parte industriale sia per la parte zootecnica-agricola, parliamo di attività che inevitabilmente impattano sull’ambiente. A questo, negli ultimi anni, si è aggiunta la consapevolezza di come, d’altro lato, i cambiamenti climatici influiscono sul comparto – e lo dimostrano in questi giorni le difficoltà della siccità sulla produzione di mais o sull’irrigazione – con la la decisione, presa all’interno della filiera, della necessità di apportare dei cambiamenti anche culturali oltre che imprenditoriali. I nostri allevatori vivono tutti i giorni l’impatto di questo cambiamento climatico con l’assunzione di responsabilità che ognuno deve fare qualcosa.Il benessere degli animali, la riduzione delle emissioni, l’attenzione all’ambiente e alla qualità del latte».

Da anni il gruppo Granarolo ha messo a punto una strategia sostenibile dalla produzione della materia prima alla distribuzione del prodotto finito.A che punto siete?

«Noi, come gruppo, abbiamo deciso di farci carico industrialmente della sostenibilità con gli investimenti. Ad esempio, nel giro di un paio d’anni, toglieremo dai sacchetti dell’immondizia delle famiglie italiane 200 milioni di vasetti di plastica dello yogurt che stiamo sostituendo con quelli in carta riciclabile. Troviamo nuove tecnologie in grado di garantire risparmi energetici ed idrici, ma se questo è un investimento di facile comprensione, più complicato è attuare un cambiamento rilevante sulla parte agricola, vale a dire mettere in piedi tutte quelle procedure agronomiche e zootecniche che richiedono un grande livello di innovazione tecnologica e digitalizzazione e che, appunto danno il contributo più significativo alla riduzione dell’impronta carbonica. In parallelo all’impegno in termini di CO2 e si affianca l’impegno sul benessere animale tema sul quale, oggi, c’è una grandissima sensibilità. Il nostro gruppo si è ripromesso di avere un atteggiamento ancora più virtuoso di quanto le normative comunitarie richiedano. Tutte le nostre stalle sono assoggettate ad un punteggio di adeguatezza e, anno dopo anno, alziamo la soglia minima; per alcune siamo partiti dalla sufficienza e il nostro obiettivo è arrivare all’eccellenza di tutte. Abbiamo potuto inserire sulle nostre etichette il bollino di un ente terzo che certifica il benessere animale e abbiamo soddisfatto una sensibilità crescente dei consumatori. Un animale che sta bene vive di più, non ha bisogno di farmaci, impatta ambientalmente meno, produce di più e il latte raccolto è di migliore quantità . Stiamo lavorando con un comitato tecnico scientifico formato dalle Università di Bologna (tema: l’alimentazione animale in chiave di riduzione dell’impatto ambientale), di Milano (tema: il benessere animale) e di Brescia (tema: la misurazione dell’impatto in campo e alla stalla) per fare una fotografia e misurare ogni singola azienda associata – e stiamo parlando di 600 aziende. Digitalizziamo le aziende per avere dati in tempo reale e per farlo occorre molta formazione, molte stalle hanno introdotto la robotizzazione. Si tratta di una importante opportunità di passaggio generazionale. Naturalmente il tutto va fatto garantendo il reddito ma anche la possibilità di supportare questi investimenti perché la sostenibilità prima di tutto è sostenibilità economica».

A tale proposito, si riesce a conciliare l’attenzione alla sostenibilità con la crescita economica?

«Quello del benessere animale è un classico esempio dove vincono tutti:  l’animale, l’allevatore, il consumatore e anche noi, come gruppo, perché possiamo ottenere una certificazione che ti fa marcare una differenza dai competitor. Questo è possibile perché non siamo un gruppo industriale ma un gruppo cooperativo dove il rapporto con gli allevatori è quotidiano, non è di compravendita, ma di filiera e condivisione. In prospettiva, poi, immaginiamo che i parametri di sostenibilità saranno anche oggetto di una premialità, nel prezzo, dei comportamenti virtuosi come stanno facendo già le grandi cooperative del Nord Europa. Anche se più che la premialità bisogna mettere a disposizione risorse e tecnologie che oggi aiutano molto, ma ovviamente hanno dei costi. Non stiamo chiedendo solo all’allevatore di adeguarsi ai parametri di sostenibilità ma stiamo costruendo insieme qualcosa».

Che tipo di risposta riscontrate nei consumatori?

«Tutti parliamo di green ma la vera scelta il consumatore la fa nel momento in cui sfila dallo scaffale un prodotto anziché un altro. Un brand come il nostro, che ha una fidelizzazione importante, si porta dietro anche un’etica del consumo. Noi ora stiamo investendo molto sui giovani che oggi sono in piazza con Greta e che se non troveranno coerenza tra la qualità del prodotto e un prezzo equo, ma anche una dimostrata sostenibilità ambientale, non confermeranno l’acquisto. Oggi per la mia generazione è molto più importante che il prodotto sia buono, per le generazioni che si stanno affacciando al mercato il prodotto deve essere buono ma anche sostenibile. Sarà più semplice raccontare che togliamo la plastica, più complicato raccontare l’impegno lungo la filiera, ma la tecnologia ci aiuta: abbiamo etichette che parlano, che possiamo interrogare con un cellulare».

Quali sono i prossimi obiettivi?

«Noi abbiamo iniziato un processo in base a cui al 2030 avremo ridotto del 30% le emissioni di CO2 per ogni litro di latte e il nostro bilancio di sostenibilità, tutti gli anni, racconta quanto ci stiamo avvicinando. Se oggi ascoltiamo la pubblicità televisiva o radiofonica sono tutti green, ma questo approccio deprime il valore del processo. Noi dobbiamo anche un po’ smarcarci, dobbiamo essere molto seri e raccontare anche le difficoltà che si incontrano e fare in modo che il produttore e il consumatore siano complici positivi di un percorso virtuoso».

Siete un gruppo fortemente radicato in Italia ma state crescendo molto all’estero e con le acquisizioni. Quali sono i programmi futuri?

« L’estero è fondamentale. L’Italia con questo ultimo anno, al termine di un processo partito dal 2015 dopo le ‘quote’, è diventata autosufficiente per quanto riguarda la materia prima latte. Ora quest’anno è particolare perché c’è un problema di congiuntura negativa e di materie prime per l’alimentazione che costano il 20-25% in più e ci sarà un’inversione di tendenza. Però, il sistema produttivo si è evoluto, gli investimenti sono cresciuti e, se noi non trovassimo sbocchi in altri mercati ci troveremmo con un’eccedenza di prodotti. Abbiamo la fortuna che il made in Italy è molto apprezzato dai consumatori di tutto il mondo. Certo, per andare all’estero dobbiamo avere prodotti con una vita lunga e un’organizzazione efficiente. Siamo convinti che sia una strada da perseguire che va di pari passo con una caratterizzazione della produzione e con le acquisizioni. Di recente abbiamo fatto due investimenti importanti: in una società di produzione di gorgonzola che, secondo noi, è un prodotto che ha una grande potenzialità all’estero e in una società negli Stati Uniti che abbiamo individuato come produttore di prodotti freschi locali. Quindi l’estero rimane uno dei nostri punti di eccellenza e una strada da perseguire. Credo, anche se è presto per dirlo, che chiuderemo il 2022 con un 40% di export».

Ha fatto riferimento al rincaro dei prezzi delle materie prime ed energetici. Come sta impattando?

«Sta impattando in una maniera inimmaginabile. Il trend era già in atto dall’autunno scorso, quando scarseggiavano i prodotti per l’alimentazione animale, poi, ovviamente la guerra l’ha esasperato ulteriormente. Il più famoso granaio del mondo si è chiuso e manca un 20% di mais da quell’area così come non abbiamo un’alternativa ai concimi che vengono dalla Russia. Poi c’è il discorso dell’energia che vale per la parte industriale, oltre ad altre componenti di prezzo: dalla plastica alla carta, alla logistica. Per noi l’inflazione reale è a due cifre con due punti davanti. Quindi, ovviamente, abbiamo dovuto e voluto riconoscere un aumento di prezzo ai nostri allevatori, che altrimenti avrebbero dovuto chiudere, e stiamo discutendo con la grande distribuzione per un adeguamento dei listini. Tutti consapevoli che in questo momento il tema è riconoscere l’oggettività dell’inflazione e cercare di distribuire la negatività tra chi produce, chi raccoglie, chi trasforma, chi distribuisce e chi consuma. Il 2022 sarà un brutto anno per chi produce e chi consuma. D’altro lato sarebbe sciocco aumentare troppo i prezzi perché questo deprimerebbe molto i consumi. Quindi, da un lato, credo sia inevitabile una politica di sostegno alle famiglie, dall’altro sarà importante lavorare su politiche di supporto alla parte produttiva, per superare questo momento difficile, ma anche per una razionalizzazione ed efficientamento che sia strutturale».

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10/6/2022

Data pubblicazione
10 Giugno 2022
Categorie
SustainEconomy.24
Tematiche
sostenibilità