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31 Maggio 2023

Transizione Digitale, Guido Talarico: “Un corso per formare i professionisti dell’era digitale”

Intervista a Guido Talarico, fondatore di IQDMedias, che con Federica Brunetta coordinerà l’Executive Programme in Gestione delle Tecnologie Digitali, programma di crescita professionale dedicato all’upskilling e reskilling digitale targato Luiss Business School La transizione digitale è un processo cruciale per le organizzazioni italiane. Internet ad alta velocità, e-commerce, cloud: le imprese stanno familiarizzando con le opportunità digitali. Tuttavia, secondo una ricerca di Unioncamere e InfoCamere del 2020, solo il 42% delle Pmi italiane utilizza attivamente strumenti digitali per le proprie attività. “Una percentuale bassa, che di fatto indica un ritardo di un comparto così vitale per il nostro Paese. Colmare il gap per compiere la transizione digitale è imperativo”, spiega Guido Talarico, co-cordinatore e referente scientifico dell’Executive Programme in Gestione delle Tecnologie Digitali di Luiss Business School. Transizione digitale nelle organizzazioni: a che punto siamo in Italia? Parliamo di una questione centrale per il futuro del nostro paese. La transizione digitale nelle organizzazioni italiane è un processo in corso che sta assumendo sempre maggiore importanza. Negli ultimi anni abbiamo fatto progressi significativi nel promuovere l'innovazione digitale e l'adozione delle tecnologie digitali nelle imprese e nell'amministrazione pubblica, ma i ritardi ci sono ed il percorso è ancora lungo. Questo significa che chi nei prossimi anni si affaccerà sul mercato del lavoro dimostrando di avere una buona conoscenza di queste materie, avrà un futuro professionale assicurato. Ci dà qualche dato di scenario? I numeri aiutano a capire bene lo stato dell’arte. Partiamo dalla connessione ad Internet. Secondo i dati dell'Agenzia per l'Italia Digitale (AgID) del 2020, circa il 93% delle imprese italiane ha accesso a Internet ad alta velocità. Questo è un passo significativo verso la digitalizzazione delle attività aziendali. Anche l'adozione del cloud computing è aumentata negli ultimi anni. Secondo una ricerca di IDC Italia del 2020, il 74% delle imprese italiane ha adottato almeno una soluzione di cloud computing. Discorso analogo per l'e-commerce che è in crescita in Italia, anche se è ancora relativamente meno sviluppato rispetto ad altri paesi europei. Nel 2020, le vendite online hanno rappresentato circa il 7,7% del totale delle vendite al dettaglio, secondo i dati di Netcomm. L'adozione dell'e-commerce è stata influenzata anche dalla pandemia di COVID-19, che ha spinto molte imprese a investire maggiormente nelle vendite online. Le piccole e medie imprese italiane come sono messe? Le Pmi italiane stanno gradualmente adottando tecnologie digitali per migliorare la propria produttività e competitività. Tuttavia, secondo una ricerca di Unioncamere e InfoCamere del 2020, solo il 42% delle PMI italiane utilizza attivamente strumenti digitali per le proprie attività. Una percentuale bassa che di fatto indica un ritardo di un comparto così vitale per il nostro paese. La digitalizzazione del settore pubblico invece come procede? Anche il settore pubblico italiano sta affrontando la transizione digitale con impegno, conscio del fatto che è un cambiamento fondamentale. L'AgID sta promuovendo l'adozione di servizi digitali da parte delle amministrazioni pubbliche per semplificare le procedure burocratiche e migliorare l'efficienza. Ad esempio, nel 2020 è stato introdotto il "Codice dell'Amministrazione Digitale" (CAD), che stabilisce le regole per l'uso dei servizi digitali da parte delle pubbliche amministrazioni. Ancora una volta: fatti passi avanti, ma occorre accelerare. Quali sono le skill che mancano per completare il processo di transizione digitale? In Italia, alcuni settori manifestano carenza di diverse competenze digitali. Ciò succede anche tra i lavoratori. Cominciamo, dunque, partendo dalla base. Molti italiani, in particolare tra le fasce di età più anziane, e le persone con un livello di istruzione più basso, non raggiungono una sufficiente alfabetizzazione digitale. Ciò include competenze come l'utilizzo di computer, la navigazione su Internet, la gestione degli account online e l'utilizzo delle applicazioni di base. Mancano anche competenze tecniche avanzate nel campo delle tecnologie emergenti, come l'intelligenza artificiale, l'Internet delle cose (IoT), la blockchain e la cybersecurity. Queste competenze richiedono una formazione specializzata e sono richieste in settori specifici come l'informatica, l'ingegneria e la scienza dei dati.  Quali competenze digitali mancano alle imprese e nel settore pubblico? Tra i privati queste competenze includono la gestione di presenza online, l'e-commerce, il marketing digitale, l'analisi dei dati, la comunicazione e la sicurezza informatica.  Nel settore pubblico, possono mancare competenze specifiche per la digitalizzazione delle amministrazioni pubbliche, come la progettazione e l'implementazione di servizi digitali, la gestione dei dati, la cybersecurity e la privacy. Poi c’è il tema delle competenze trasversali. Cioè? Al di là delle competenze tecniche specifiche, sono richieste competenze trasversali come la capacità di problem solving, il pensiero critico, la creatività, la collaborazione e la comunicazione digitale. Queste skill sono essenziali per adattarsi ai rapidi cambiamenti tecnologici e sfruttare appieno le opportunità digitali. Parliamo di Big Data: quali sono le skill necessarie per trasformarli in un'occasione di business? Sono necessarie diverse competenze. Prendiamo, ad esempio, l’analisi dei dati. La capacità di estrarre informazioni significative è fondamentale. Ciò include competenze nell'analisi statistica, nell'utilizzo di strumenti e tecniche di data mining e nell'applicazione di algoritmi di apprendimento automatico (machine learning) per rivelare modelli, tendenze e insight nascosti nei dati. C’è poi il tema della programmazione e della gestione dei dati: conoscenze di linguaggi di programmazione come Python o R, e competenze nel lavorare con database e strumenti di gestione dei dati, consentono di manipolare, pulire, trasformare e organizzare i dati in modo efficace. Infine, altre due questioni centrali. Occorre avere poi la capacità di analizzare in modo critico i problemi aziendali, formulare domande pertinenti, sviluppare strategie di analisi dei dati e proporre soluzioni basate sui risultati dell'analisi. Poi c’è il tema della comunicazione e della visualizzazione dei dati. Essere in grado di comunicare in modo chiaro e persuasivo i risultati dell'analisi dei dati è fondamentale per influenzare le decisioni aziendali. Quali le prossime frontiere di applicazione? L’Intelligenza artificiale e l’apprendimento automatico sono quelle che forse colpiscono di più per le conseguenze anche etiche che implicano. I Big Data stanno alimentando l'evoluzione dell'intelligenza artificiale (AI) e dell'apprendimento automatico. L'uso di modelli di AI e algoritmi di machine learning sui Big Data consente di ottenere previsioni più accurate, automatizzare i processi decisionali e migliorare l'efficienza operativa. Anche l'Internet delle cose (IoT) e i dispositivi connessi stanno generando enormi quantità di dati. L'analisi dei Big Data provenienti da sensori e dispositivi IoT consente infatti di ottenere insight in tempo reale, migliorare la manutenzione preventiva, ottimizzare la gestione delle risorse e creare nuovi modelli di business. Digitalizzazione per ERS: quali sono le occasioni da cogliere nello scenario attuale? Nel contesto della Sanità e, in particolare, dei Servizi di Emergenza e Soccorso (ERS), la digitalizzazione offre numerose occasioni da cogliere nello scenario attuale. Ad esempio, consente la telemedicina e il tele-triage, strumenti che consentono ai pazienti di essere valutati e assistiti a distanza, riducendo i tempi di attesa nelle strutture sanitarie e ottimizzando le risorse. La telemedicina può essere utilizzata per la gestione di emergenze non gravi o per fornire un primo supporto medico prima dell'arrivo delle squadre di soccorso. C’è il monitoraggio remoto che può aiutare a identificare precocemente eventuali segnali di peggioramento e consentire interventi tempestivi, riducendo il rischio di complicazioni e il bisogno di ricoveri ospedalieri. La digitalizzazione permette anche l'integrazione dei dati provenienti da diverse fonti, come ambulanze, ospedali e centri di emergenza. Questa condivisione di informazioni in tempo reale può migliorare la coordinazione e la gestione dei casi, facilitando il trasferimento delle informazioni pertinenti tra i diversi attori coinvolti nell'assistenza di emergenza. Insomma, la digitalizzazione anche in questo settore può avere un impatto prorompente. Anche per questo è importante sottolineare che l'implementazione di tali soluzioni richiede una pianificazione attenta, considerando aspetti di sicurezza, privacy dei dati e integrazione con i sistemi esistenti, nonché la formazione e l'addestramento del personale coinvolto. Per colmare queste lacune e sfruttare appieno le potenzialità della digitalizzazione, sono necessari investimenti in formazione e educazione digitale sia nel sistema scolastico che nel settore professionale. Le iniziative pubbliche e private possono promuovere la consapevolezza delle competenze digitali necessarie e offrire programmi di formazione specifici per aiutare le persone a sviluppare le competenze richieste? L’Executive Programme in Gestione delle Tecnologie Digitali che abbiamo appena presentato è strutturato per fornire ai partecipanti gli strumenti tecnici e culturali necessari a comprendere meglio la storia e l’evoluzione della rivoluzione digitale, l’impatto della digitalizzazione sulla società – dal mondo delle imprese a quello degli apparati amministrativi pubblici – e soprattutto per assicurare una competenza sui principali strumenti digitali oggi presenti sul mercato. Quali vantaggi possono esserci per le aziende e i professionisti che decidono di investire su questo percorso formativo? È un programma pensato per colmare i vuoti di cui abbiamo parlato. Il nostro Executive servirà ad aiutare professionisti pubblici e privati operanti nei settori più diversi a migliorare le proprie competenze in un settore chiave per il futuro del paese. Forniremo sia strumenti di base per colmare lacune e per dotarsi di quelle competenze necessarie ad affrontare con efficacia le sfide che il mercato del lavoro pone sempre di più in maniera pressante. Chi è Guido Talarico. Guido Talarico è il fondatore della Rome Institute of Technology e presidente della Fondazione Patrimonio Italia, due istituzioni che si sono affiancate alla Luiss Business School proprio con l’obiettivo di sostenere la crescita delle competenze nel nostro paese in settori chiave come Innovation, Big Data & Digital Transformation. Inoltre, è fondatore e CEO di IQDMedias, una media company digitale che, anche grazie all’applicazione di intelligenza artificiale, ha saputo sviluppare nuovi modelli di business che le consentono con efficacia di operare a livello globale. Con Federica Brunetta, è coordinatore e referente scientifico dell’Executive Programme in Gestione delle Tecnologie Digitali Cos’è l’Executive Programme in Gestione delle Tecnologie Digitali di Luiss Business School. Il programma verrà somministrato in modalità ibrida, cioè in remoto ed in presenza. È pensato per coloro i quali vogliono accelerare la propria carriera o anche reinventarsi (ovvero cambiare ruolo, settore o funzione sviluppando le competenze e il network necessario) o riprendere in mano il proprio percorso professionale ottenendo le competenze e gli strumenti utili per ripartire con la propria carriera.   31/05/2023

24 Febbraio 2022

Next Generation Italia, Boccardelli: «Senza le competenze digitali corriamo il rischio di un’emergenza sociale»

Presentato presso la sede di Luiss Business School il rapporto “Next Generation Italia – Execution” realizzato dal Centro Economia Digitale. Il Direttore: «La vera urgenza è un piano Marshall sul capitale umano» Il 2022 sarà un anno cruciale per l’avanzamento del PNRR, in cui la "messa a terra" degli indirizzi di policy diventerà il tema principale. Oltre a richiedere gli sforzi organizzativi e operativi di tutti, si dovrà far leva su alcuni punti di snodo del Piano: il rapporto con il mondo economico, il rapporto della PA centrale con gli Enti Locali, il rapporto con l’Europa. Sono stati questi i temi affrontati durante l’evento organizzato, lo scorso 23 febbraio, dal Centro Economia Digitale in collaborazione con la Luiss Business School che ha visto il confronto tra aziende, mondo accademico e rappresentanti delle istituzioni. Il rapporto Next Generation Italia – Execution realizzato dal Centro Economia Digitale individua, infatti, una serie di proposte di azioni specifiche e concrete da adottare per migliorare l’efficacia di attuazione del Pnrr nell’ambito degli interventi previsti. Alla base di ogni azione, Paolo Boccardelli, Direttore Luiss Business School e membro del Comitato Scientifico CED, pone un imperativo: «La vera urgenza è un piano Marshall sul capitale umano: senza le competenze digitali corriamo il rischio di un’emergenza sociale». Accelerare sulle competenze digitali Commentando l'evoluzione del rapporto con l'Europa, alla luce della road map da seguire per l'execution del PNRR, Boccardelli ha sottolineato come l'Italia stia lavorando per trasformare la minaccia della grande crisi provocata dalla pandemia in un’opportunità per riformare un Paese, all'interno del sistema Unione Europea, e proiettarlo nella società del futuro. Chiave di volta di questo passaggio è il superamento delle disuguaglianze macroscopiche – giovani e meno giovani, nord e sud, donne e uomini – che ci connotano, in armonia con le trasformazioni digitale ed ecologica. «Le infrastrutture digitali sono un must to have, ma la vera urgenza è un piano Marshall sul capitale umano. Senza le competenze digitali corriamo il rischio di un’emergenza sociale o di un ostacolo inerziale allo sviluppo di servizi digitali. La trasformazione digitale che sta avvenendo ha bisogno di persone consapevoli e competenti, come cittadini e come lavoratori. Bisogna accelerare in maniera profonda sulla formazione delle competenze digitali per un modello di società e una cultura di vita e di professione, che siano digitali». Le proposte di azione del rapporto Next Generation Italia – Execution «Il 2022 è un anno cruciale per l'avanzamento del PNRR, in cui la messa a terra degli indirizzi di policy diventa il tema principale – ha spiegato Rosario Cerra, Fondatore e Presidente del Centro Economia Digitale – L'obiettivo del rapporto Next Generation Italia - Execution è stato quello di individuare, attraverso l'esperienza di analisi del Centro di Economia Digitale, proposte di azioni specifiche e concrete, da adottare per migliorare l'efficacia generale dell'attuazione del PNRR nell'ambito degli interventi previsti». Le priorità sono evidenziate con grande chiarezza, soprattutto in relazione a un contesto in continuo cambiamento. Le spinte inflazionistiche rischiano di minare l'impianto del PNRR e, per questo, è essenziale serrare le fila, organizzare gli interventi prioritari, tenendo conto del mutato scenario, e procedere senza esitazione alla realizzazione dei progetti. Davanti a questa sfida sarà fondamentale concentrare gli sforzi organizzativi e operativi di tutti, facendo leva su alcuni fondamentali punti di snodo del piano: il rapporto con il mondo economico; quello tra pubblica amministrazione centrale ed enti locali; il rapporto con l'Europa. «Le aziende sono i soggetti organizzativamente più attrezzati per l'avvio di progetti – ha continuato Cerra – anche di grandi dimensioni. Serve un coinvolgimento maggiore delle imprese, anche attraverso lo strumento del partenariato pubblico-privato, un modo di facilitare la realizzazione dei progetti e ampliare l'impatto degli effetti previsti. Può anche rappresentare una via per porre le basi, come nelle economie avanzate, di una più intesa relazione tra attori pubblici e privati, nel pieno rispetto del ruolo di ognuno». L'amministrazione avrà un ruolo centrale per assicurare un raccordo continuo ed efficace tra esecutivo e parlamento. Per contrastare le debolezze delle amministrazioni dei piccoli comuni, sarà necessario «un presidio forte. In caso contrario si rischia che le risorse non vengano spese anche volutamente, o spese male. In questo, il ruolo delle amministrazioni regionali potrebbe essere decisivo». Infine, serve continuità e autorevolezza nella gestione dei rapporti con la Commissione Europea. «Il governo deve essere in grado rispetto di prospettare soluzioni concrete da sviluppare in collaborazioni con partner europei. Un fallimento dell'Italia nell'esecuzione del PNRR sarebbe un gravissimo danno. Occorre trasparenza e serietà nella gestione di questi rapporti, nella consapevolezza e prospettiva che i destini dell'Italia e dell'Europa sono fortemente legati». Un lavoro human oriented «Il 2022 è un anno cruciale per l'attuazione del Pnrr. Ci sono 100 obiettivi di esecuzione da raggiungere», ha spiegato Anna Ascani, Sottosegretario di Stato Ministero dello Sviluppo Economico, responsabile delle misure della transizione digitale, che ammontano al 27% del Pnrr (50 miliardi di euro). Tra le missioni da portare a compimento, c'è l'infrastrutturazione del Paese. Grazie alla collaborazione con il Ministero per la transizione digitale, sono già operativi alcuni dei bandi fondamentali. È operativo il bando Italia 1 Giga, che porterà nelle aree grigie del Paese un investimento molto significativo, per ampliare le possibilità per cittadini e imprese di accedere a una connessione più veloce, stabile e sicura, e quindi a nuove opportunità. Si sta lavorando affinché il piano Aree Bianche, attivato nel 2016, giunga finalmente a compimento. Sono operativi anche i bandi per la connettività nelle scuole, che si è rivelato fondamentale in pandemia. A questo si aggiunge quello per la connettività negli ospedali, per dare ai cittadini i servizi fondamentali connessi alla sanità. È operativo il bando sulle isole minori, sulla connettività di quelle aree del Paese che, proprio grazie alle opportunità aperte dallo smart working e dalle infrastrutturazioni digitali, potranno accedere a un nuovo sviluppo legato alla peculiarità della loro conformazione. Uno degli obiettivi è quello di emanare il bando relativo a Italia 5G, fondamentale perché è il primo che sostiene la connettività mobile con i fondi pubblici. Altri 14 miliardi del piano sono dedicati a Transizione 4.0, cioè al sostegno rivolto alle piccole e medie imprese in questa trasformazione verso il digitale. Si punta l'attenzione anche su cloud, cybersecurity, intelligenza artificiale che abilita l'Iot, che rappresenta il futuro, ma anche il presente per la competitività delle nostre imprese.  «Ma tutte queste misure non hanno alcun significato se non si investe nelle competenze - continua Ascani - Per questo il nostro sforzo si sta compiendo insieme al Ministero dell'Università e della Ricerca e al ministero dell'Istruzione, per fare in modo che, insieme agli ITS da un lato e agli Istituti Industriali, le nostre imprese possano contare su quelle competenze che sono fondamentali per fare un salto di qualità a livello di sistema Paese. Anche in tecnologia, il lavoro da fare è human oriented, cioè mirato all'aspetto umano, all'utilizzo della tecnologia e alle competenze dei cittadini e delle cittadine, sia nell'utilizzo sia nella capacità di trasformare questa consapevolezza in competenze e competitività». Oltre il 2026: l'eredità del PNRR «C'è una forte volontà di cambiare passo, una forza propulsiva che forse non viene colta – ha spiegato Federico D’Incà, Ministro per i Rapporti con il Parlamento – Siamo il Paese che riceve le maggiori risorse economiche. Pertanto, abbiamo il dovere di dimostrare che non siamo l'Italia che ha sofferto la mancanza del centrare gli obiettivi indicati, ma di esser quel Paese capace di fare centro, dimostrando la propria genialità nei tempi adeguati al controllo. Potremo essere ricordati come quelli che hanno cambiato il Paese o come quelli che non ce l'hanno fatta. Prendiamo l'impegno che metteremo in questo PNRR e portiamolo anche oltre il 2026». «Il PNRR non rappresenta solo un’occasione di riforma e di investimento – ha sottolineato Andrea Montanino, capo economista e direttore Strategie Settoriali e Impatto CDP – Potrebbe infatti lasciare in eredità un nuovo modello operativo di amministrazione dei fondi europei e nazionali che, vincolando l’erogazione delle risorse all’effettivo perseguimento di obiettivi stabiliti, induce meccanismi virtuosi di impiego dei fondi anche presso territori ed enti con minore capacità di spesa». All'evento Next Generation Italia – Execution hanno partecipato: Rosario Cerra, Fondatore e Presidente Centro Economia Digitale; Adelaide Mozzi, Team Leader Affari Economici, Commissione Europea, Rappresentanza in Italia; Paolo Boccardelli, Comitato Scientifico CED, Direttore Luiss Business School; Francesco Crespi, Direttore Ricerche CED, Professore Economia Università Roma Tre; Danilo Cattaneo, Amministratore Delegato InfoCert-Tinexta; Andrea Falessi, Direttore Relazioni Esterne Open Fiber; Filippo Maria Grasso, Direttore Relazioni Istituzionali Italia Leonardo; Nicola Lanzetta, Direttore Italia Enel Group, Amministratore Delegato Enel Italia; Dario Pagani, Head of Digital & Information Technology Eni; Alessandro Picardi, Executive Vice President Chief Public Affairs Officer TIM; Federico D’Incà, Ministro per i Rapporti con il Parlamento; Anna Ascani, Sottosegretario di Stato Ministero dello Sviluppo Economico; Fabio Melilli, Presidente Commissione Bilancio, Tesoro e Programmazione Camera dei Deputati; Roberta Lombardi, Assessore Transizione Ecologica e Trasformazione Digitale Regione Lazio; Andrea Montanino, Direttore Strategie Settoriali e Impatto CDP. RIVEDI L'EVENTO 24/02/2022

22 Febbraio 2022

Laura Di Raimondo: «Trasformazione digitale completa solo con relazioni industriali forti»

Il Direttore di Asstel fa il punto sulla centralità della formazione nel disegnare forti legami capaci di sostenere anche le rivoluzioni legate al Pnrr Le relazioni industriali possono avere effetti sul Next Normal e sulle trasformazioni – digitale, ecologica ed energetica – in atto? Secondo Laura Di Raimondo, Direttore Asstel, sì. L'associazione che in Confindustria rappresenta le TLC è partner dell'Executive Course della Luiss Business School "Le Nuove Relazioni Industriali". Questo modulo si inserisce nella più ampia cornice dell'Executive Programme in Organizzazione e Gestione delle Risorse Umane, che si terrà a Milano il 25 febbraio 2022 e a Belluno l'11 marzo 2022. Ecco perché questo corso può avere un ruolo cruciale anche nelle rivoluzioni legate al Pnrr. Quali sono le principali trasformazioni che, a oggi, hanno interessato il mondo delle relazioni industriali? Viviamo in una fase segnata dall'emergenza sanitaria Covid. Il Next Normal si sta configurando ed evolvendo giorno per giorno, insieme al nostro vivere e lavorare. Allo stesso modo, ne sono segnate le relazioni industriali, che si basano sui rapporti e sulle risorse umani. Tuttavia, viviamo un'epoca di grandi opportunità grazie al Pnrr, che mette insieme gli orizzonti della transizione digitale, ecologica ed energetica. In questo contesto, i temi di Asstel diventano centrali. In un momento di grande cambiamento, che dobbiamo governare e non subire, le relazioni industriali hanno grandi opportunità e responsabilità. Da che punto di vista? Le relazioni industriali sempre più devono evolvere verso un modello partecipativo, fondato su ascolto e dialogo. Cardine di questo modello è la contrattazione di anticipo che può favorire il governo delle transizioni occupazionali, accompagnando il lavoro e il capitale umano attraverso questa trasformazione. La capacità dei sistemi di rappresentanza di essere soggetti attivi e di avere una visione di frontiera e non di trincea, di saper governare le trasformazioni, diventa sempre più importante. Siamo convinti che non ci sarà una trasformazione digitale completa senza relazioni industriali forti. Quali nuove conoscenze e competenze si richiedono oggi a uno specialista delle relazioni industriali? Quando abbiamo iniziato il corso ho chiesto a tutti una parola. Sono arrivate “pazienza”, “visione”, “resilienza”, “fantasia”, “immaginazione”. Quando sono entrata nel mondo delle relazioni industriali, la competenza era un valore, ma intesa in senso molto verticale. Oggi alle competenze verticali deve affiancarsi la capacità di ampliare il bagaglio di conoscenze per avere una visione complessiva degli scenari di riferimento. Per questo diventano sempre più importanti le soft skill. Non governi la trasformazione, se non hai gli elementi che ti portano ad avere la capacità di governare e di rendere reale tutto ciò che è nuovo. Quanto pesano oggi queste capacità immateriali? Tanto, basti pensare che sono state il cardine della gestione della situazione emergenziale. Anche la leadership più forte, espressa di persona a un tavolo, ma filtrata attraverso il digitale deve trovare una nuova strada. Le competenze diventano sempre più orizzontali e sempre meno verticali. Bisogna essere resilienti per costruire nuovi orizzonti. Di quali figure professionali ha maggiormente bisogno oggi il mondo delle Tlc e come usare al meglio le risorse del Next generation EU? Quali sono i settori in cui sono più richieste? Le competenze di domani le abbiamo mappate con il Rapporto sulla Filiera delle Telecomunicazioni in Italia 2021. Ogni anno, con il supporto del Politecnico di Milano, facciamo questa fotografia sulla stato della Filiera TLC nella quale, tra le altre cose evidenziamo l’evoluzione delle competenze professionali. Si va dalla cybersecurity all'Internet delle cose, passando per la data analysis, intelligenza artificiale e il cloud computing. Ma la filiera ha anche bisogno di progettisti e giuntisti di fibra ottica, necessari per accelerare la realizzazione del Pnrr. In un circuito virtuoso diventa importante l'orientamento formativo dei ragazzi dalle medie, insieme all’aggiornamento delle competenze e alla formazione permanente, soprattutto per persone comprese tra i 40 e i 50 anni. In questa fascia anagrafica è necessario creare un mix virtuoso che vada a costruire un vero e proprio patto per le competenze indispensabile per governare la trasformazione. Reti e competenze digitali: di cosa abbiamo più bisogno per la competitività del Paese? Servono entrambi, ma senza capitale umano innovativo non si può guidare la trasformazione. È questa la leva strategica per accelerare la trasformazione e per rigenerare un circolo virtuoso che parte dalle competenze. Se ho competenze, faccio innovazione. Se faccio innovazione, creo nuovi servizi. Se ho tutto questo, attiro investimenti e genero valore. Se genero valore, ridistribuisco ricchezza. E tutto parte dalle competenze, fattore su cui l'Italia – insieme all'adattabilità del capitale umano – ha sempre avuto un ritardo storico non bisogna dimenticare che l'indice Desi ci dice che siamo terzultimi in relazione al capitale umano, alla capacità di reazione e accesso al digitale, nel mismatch rispetto alle professioni richieste. Poi c'è bisogno di accelerare sulla messa a terra delle reti. Abbiamo una grande responsabilità verso la cittadinanza che ha avuto accesso alle app e ai servizi. Next Generation EU investe miliardi sulla popolazione compresa tra i 16 e i 74 anni, per farli tornare sui banchi di scuola e colmare un gap culturale. Si può avere l'infrastruttura, che va costruita e migliorata. Deve essere pervasiva. Ma bisogna anche dotare le persone delle capacità e competenze per sfruttarne al meglio le potenzialità. SCOPRI IL PROGRAMMA 22/02/2022

18 Ottobre 2021

Conoscenza e competenze, le chiavi per la ripresa

Commento di Paolo Boccardelli, Direttore Luiss Business School, pubblicato su la Repubblica Affari & Finanza, 18 ottobre 2021 Stiamo vivendo un momento inedito per l’umanità. Gli ultimi anni passeranno alla storia per le rapide e sconvolgenti trasformazioni che li hanno caratterizzati, imputabili in primo luogo alla pandemia che ha scompaginato le pagine di un libro che credevamo di conoscere, anche nel finale, e ci ha costretto a ripensarci e a confrontarci con un mondo nuovo, non dopo poche esitazioni. Il virus ha causato uno shock economico tre volte peggiore rispetto alla crisi del 2008 in termini di calo del PIL su base annua. La stessa pandemia, però, rappresenta un grande acceleratore della tendenza globale verso la digitalizzazione e un catalizzatore nel promuovere l'adozione e la diffusione di tecnologie quali il 5G, l'Internet of Things, il cloud computing, l'apprendimento automatico e l'intelligenza artificiale. Stiamo assistendo, oggi, a una crescita dirompente che ci aiuterà, senza dubbio, a superare il ritardo accumulato e a intraprendere la strada per la ripresa, anche grazie agli interventi del Next generation EU e del PNRR. Allo stesso tempo, il momento attuale vede in discussione la maggior parte delle nostre convinzioni su economia, globalizzazione, mercato del lavoro e, più in generale, sulla società che nascono da un contratto sociale ormai obsoleto in quanto basato su regole pensate per un mondo che ormai non esiste più. E di questo non possiamo non tenerne conto. Anche la Scuola e l’Università sono state e continuano a essere messe a dura prova dalle trasformazioni di scenari sinora sconosciuti e sono chiamate, a loro volta, a dare risposte nuove. Per sviluppare azioni che permettano di guardare con fiducia al futuro, però, dobbiamo partire da un dato: il nostro Paese nel 2020 è stato il fanalino di coda nello European Skill Index per capacità di formare competenze professionali. Da qui deve riprendere il nostro discorso, da dove ci siamo fermati. Come Business School siamo in prima linea nel preparare i leader del futuro per navigare le nuove sfide globali. Abbiamo il compito di dotarli degli strumenti più adeguati e innovativi per permetter loro di governare un contesto mutevole, in cui insistono variabili sempre nuove e molto spesso insidiose. È un compito che si concretizza nella mission del PNRR, che vede tra i suoi obiettivi quello di rafforzare le condizioni per lo sviluppo di una economia ad alta intensità di conoscenza, di competitività e di resilienza, e che prevede un investimento di più di 30 miliardi in istruzione, formazione e ricerca. Il ruolo delle Business School nel mondo post pandemico Come faremo ad affrontare questa sfida, partendo da una situazione di profondo svantaggio? E come le Business School possono dare il loro contributo?  Sicuramente, nell’ottica di un intervento strutturale e non emergenziale, puntando sul loro ruolo di produttori di conoscenza quale sinonimo di creatori di competenze: una conoscenza che però deve essere aperta, flessibile, pronta ad adeguarsi alle trasformazioni e declinata sul parametro dell’innovazione continua. Dobbiamo quindi seguire due direttrici: agilità e collaborazione. Il che significa  continuare a investire sull’utilizzo della tecnologia per creare una infrastruttura ancora più forte e in grado di far venir meno le disuguaglianze che caratterizzano il nostro Paese; fare dell’innovazione continua il nostro mantra, proponendo nuove soluzioni e strumenti quali un modello ibrido di apprendimento che preveda la formazione a distanza accanto a quella in presenza; ma anche  favorire il networking e lo scambio di conoscenze con lo scopo di generare un impatto sulla società. Il tutto mettendo al centro la sostenibilità che, nel nostro mondo, è sinonimo di inclusione, attenzione al mercato del lavoro e ai suoi bisogni e capacità di adattamento. È fondamentale, poi, ragionare in un’ottica glocal. La pandemia ci ha chiarito quanto la prospettiva globale non possa prescindere da quella locale: soltanto ascoltando il territorio avremo la capacità di adattare l’offerta formativa ai bisogni di un mercato con peculiarità geografiche. Come ripartire dalla formazione per i lavori del futuro D’ora in poi, nulla sarà più come prima. Le stime del WEF parlano chiaro: entro il 2022, per oltre il 54% dei dipendenti sarà richiesto un significativo processo di re-skilling e up-skilling, e molti dei lavori che la nuova generazione svolgerà ancora non esistono. La stessa declinazione di quelle che saranno le skill del futuro – quali pensiero analitico e innovazione, uso delle tecnologie e resilienza – ci chiama direttamente in causa in quello che è il nostro obiettivo fondamentale, plasmare i leader del futuro, e ci invita a non essere miopi e a mettere in campo azioni al passo con i tempi. Quelli descritti sono obiettivi ambiziosi che non possono essere raggiunti se non con un’azione congiunta e sinergica: solo facendo leva sul dialogo tra istituzioni, società civile e partner del settore privato riusciremo davvero a garantire un accesso universale all’apprendimento, a pensare e implementare azioni coordinate, e a sfruttare le potenzialità della tecnologia, per favorire una rinascita del Paese che non può prescindere dall’istruzione e dalla formazione. 18/10/2021

08 Settembre 2021

Giornata Mondiale dell’Alfabetizzazione: l’impegno per la formazione digitale per costruire nuove opportunità di crescita

Le competenze digitali rappresentano un fattore discriminante per l’accesso a Internet. Il divario esistente tra persone che accedono alla rete e individui con competenze digitali carenti suggerisce la necessità di intervenire in modo mirato e specifico per favorire l’alfabetizzazione digitale Commento di Paolo Boccardelli, Direttore Luiss Business School L'8 settembre in tutto il pianeta si celebra la Giornata Mondiale dell'Alfabetizzazione, una ricorrenza istituita dall'Organizzazione delle Nazioni Unite per sensibilizzare l'opinione pubblica sulla necessità di assicurare i percorsi di apprendimento di bambini, giovani e adulti. Si stima che nel mondo ci siano 773 milioni di persone non alfabetizzate , fenomeno aggravato sia dalla pandemia Covid-19 sia dalle crisi migratorie. Tuttavia, anche in questo momento di difficoltà globale, numerose organizzazioni sono al lavoro per garantire l'accesso all'istruzione e la costruzione di nuove opportunità di crescita per ogni tipo di Paese. La crisi legata al Covid-19 è stata un banco di prova importantissimo per le competenze digitali: sono cresciute le applicazioni digitali legate alle prestazioni sanitarie; è aumentato l'impegno delle imprese chiamate a garantire la continuità dei propri servizi tra smart working e prestazioni da remoto; numerosi settori rimasti indietro sono stati costretti a digitalizzarsi in parallelo con l'emergenza, rincorrendo. Per far fronte a queste richieste pressanti del nostro tempo, abbiamo dovuto interrogare i nostri livelli di alfabetizzazione digitale, un fronte caldo su cui il mondo della formazione con Luiss Business School in testa, è fortemente impegnato. Alfabetizzazione in Italia e UE: lo scenario che emerge dall'indice DESI In generale, negli ultimi quattro anni il livello europeo di questo bagaglio di conoscenze ha continuato ad aumentare lentamente, raggiungendo circa il 60% delle persone con almeno competenze digitali di base, e oltre il 30% con competenze digitali di base superiori. Tuttavia, c'è ancora molto da fare. Secondo il Digital Economy and Society Index (DESI) 2020 l’Italia si colloca all'ultimo posto nell'UE per quanto riguarda la dimensione del capitale umano. Solo il 42% delle persone di età compresa tra i 16 e i 74 anni possiede almeno competenze digitali di base e solo il 22% dispone di competenze digitali superiori a quelle di base. Le competenze digitali rappresentano un fattore discriminante per l’accesso a Internet, e il divario esistente tra persone che accedono alla rete e individui con competenze digitali carenti suggerisce la necessità di intervenire in modo mirato e specifico per favorire l’alfabetizzazione digitale. Secondo l’ISTAT, nel 2019 nella fascia d’età 16-74 anni, il 44,3% delle donne possiede competenze digitali complessive basse rispetto al 39% degli uomini. Viceversa, il 26% delle donne ha competenze digitali complessive elevate rispetto al 32,1% degli uomini. In Italia, tra i motivi per cui le famiglie non possiedono accesso a Internet, rientrano il fatto che nel 56,4% dei nuclei nessuno sa usare internet e che il 25,5% non lo considera utile oppure interessante.Sul versante aziendale, sempre il Digital Economy and Society Index segnala che il 35% delle imprese italiane scambia informazioni elettroniche, una percentuale in linea con il 34% delle compagnie europee. Il 22% delle stesse è impegnato sul fronte della gestione dei dati e comunicazione attraverso i social media, percentuale leggermente inferiore rispetto alla media europea, pari al 25%. Il 15% delle imprese investe in cloud (in Europa lo fa il 18%), ma solo il 7% investe in big data rispetto al 12% delle imprese europee. Questo gap tra la media nazionale e quella comunitaria suggerisce un'altra carenza, forse più cruciale: quella di tecnici alfabetizzati digitalmente, capaci di interpretare questi dati e trasformarli in occasione di business. Business Translator: chi sono e perché le nostre aziende ne hanno sempre più bisogno Non saper trasformare i dati in attività d'impresa può avere un'importante ricaduta anche sulla leadership. Infatti, in Italia ma anche all'estero, la data driven leadership è ancora un miraggio. C'è ancora molto lavoro da fare. L'intelligenza artificiale è una delle strade perseguibili, ma non senza trascurare il quadro giuridico in cui incorniciare il fenomeno. Un ruolo molto importante lo avranno anche le regolamentazioni, come il Nuovo regolamento europeo sull’intelligenza artificiale su cui la Commissione Europea è al lavoro. Stando a ciò che è stato proposto sinora, questo quadro normativo non penalizza eccessivamente gli investimenti, ma in futuro sarà utile capire come si calerà nel tessuto delle imprese europee e italiane. Al momento l'intelligenza artificiale è già presente in molti settori della società: è nei device che usiamo come privati cittadini, ma ci sono anche tecnologie avanzate per l’analisi dei dati nell’industria 4.0, ovvero nei macchinari acquistati dalle imprese che hanno rinnovato il loro parco macchine. Ma la verità è che non basta la tecnologia per essere un membro che crea valore attraverso la rivoluzione digitale.Si stima che l'intelligenza artificiale potrebbe produrre benefici fino al 40% in termini di produttività nei Paesi sviluppati . Di conseguenza, la figura Business Translator diventa più rilevante, cioè persone che all’interno delle funzioni organizzative tradizionali sono in grado di comprendere le potenzialità di queste tecnologie dell’analisi dei dati e calarle sul business attraverso nuovo marketing, nuova finanza e nuova manutenzione. Queste funzioni richiedono un investimento sulla formazione di competenze nei professionisti che sono già nelle imprese o che arriveranno all’utilizzo saggio e intelligente, nonché di valore di tutta questa potenzialità. Enti come Luiss Business School sono chiamati a colmare il mismatch tra competenze richieste e talenti, oltre ad aiutare le aziende e rendere più fluidi i rapporti tra domanda e offerta del mondo del lavoro. In questo momento storico, è necessario guardare a ogni comparto della nostra economia anche con la lente dell'investimento, per assicurare la crescita e la sostenibilità dei diversi settori nel tempo. In questo contesto la formazione subisce un grande salto di specie. Le capacità di gestione tecnica non bastano più: in ogni ambito economico chi opera è chiamato a interfacciarsi con una necessaria e onnipresente trasformazione digitale. Il che significa non solo gestire delle infrastrutture, ma avere anche quelle competenze di innovazione e di servizio per stare accanto a imprese, istituzioni, piccoli operatori, professionisti individuali, con capacità legate ai dati, all'intelligenza artificiale, alla cybersecurity.Passare da una visione chiusa a una aperta di open innovation e di ecosistemi significa trasformare radicalmente le competenze. Nel farlo, il ruolo delle istituzioni di formazione diventa centrale: bisogna essere in grado di lavorare insieme non tanto sulle competenze hard, quanto sulla capacità di vedere le nuove tecnologie in funzione dentro le organizzazioni. Oggi una "famiglia" completa è costituita da un ingegnere dei dati, un analista dei dati e almeno cinque business translator. Tutto questo non può diventare realtà se non formando i talenti e formando i professionisti con un deciso intervento di upskilling e reskilling. La rivoluzione del lavoro richiede nuove competenze nella gestione dello stesso anche all'interno delle organizzazioni sindacali e del settore legato alla gestione delle risorse umane. Abbiamo bisogno di competenze nuove, che accademie come la nostra hanno il dovere di provare a costruire. 8/9/2021

07 Luglio 2021

Data Protection Officer, i rischi e le sfide a tre anni del GDPR

Quali sono le sfide che il Responsabile per la Protezione dei Dati si troverà ad affrontare? Come prepararsi a ricoprire questo ruolo? Un webinar e un Flex Executive Programme targato Luiss Business School cercano di tracciare la rotta Dati sanitari, blockchain, lotta ai cambiamenti climatici: sono queste alcune delle sfide che il Data Protection Officer si trova oggi ad affrontare. Ma il punto focale del suo percorso evolutivo sta in una parola: accountability, cioè la responsabilizzazione del titolare del trattamento dei dati personali da parte di aziende e pubblica amministrazione. In questi giorni il Garante della Privacy ha approvato e aggiornato nuove FAQ dedicate alla figura proprio per mettere al centro il necessario cambio di filosofia. Il Dpo è un controllore: l'occhio dell'Autority sui titolari del trattamento di dati personali. Chi è e cosa fa il Data Protection Officer Il Data Protection Officer (di seguito DPO) è una figura introdotta dal Regolamento generale sulla protezione dei dati 2016/679, noto anche come GDPR, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale europea L. 119 il 4 maggio 2016. Figura storicamente già presente in alcune legislazioni europee, è un professionista che deve avere un ruolo aziendale (sia esso soggetto interno o esterno) con competenze giuridiche, informatiche, di risk management e di analisi dei processi. La sua responsabilità principale è quella di osservare, valutare e organizzare la gestione del trattamento di dati personali (e dunque la loro protezione) all’interno di un’azienda (sia essa pubblica che privata), affinché questi siano trattati nel rispetto delle normative privacy europee e nazionali. Formazione, chiave dell'accountability Secondo un’analisi condotta da Agenda Digitale, dall'istituzione della figura del Data Protection Officer l'Italia non ha schierato persone preparate. La funzione è stata affidata a professionisti improvvisati, poco consci del ruolo importante che vanno a ricoprire. «Siamo in un periodo storico fortemente associato all'importanza dei dati, che riflette sugli spostamenti dei cittadini e su tutto l'ambito sanitario e personale legato al Covid. È un trend che sta prendendo piede con particolare focus sulle multinazionali: la privacy è sempre più importante – spiega Enzo Peruffo, Associate Dean for Education Luiss Business School – Il corso avanzato in “Gestione del Rischio Privacy: soluzioni tecniche ed operative di controllo e monitoraggio” del Flex Executive Programme in Governance della Privacy rappresenta la costante evoluzione della nostra offerta formativa». Il percorso formativo Luiss Business School è disegnato per favorire l’acquisizione di metodi e strumenti per operare con successo nella gestione del principio di accountability e del concetto di Privacy by design, attraverso la metodologia Flex che prevede il 90% delle lezioni in distance learning. Quanto conta l'indipendenza del Dpo «Il Gdpr è condensabile in una parola: accountability – sottolinea Ginevra Cerrina Feroni, Vice Presidente dell’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali. – Ma cosa significa nel concreto? Questa parola è un mastodontico cambio di filosofia perché la responsabilizzazione circa il trattamento dei dati si sposta sul titolare: il Dpo assiste chi assume le decisioni in tutte le fasi cruciali della progettazione e verifica gli eventuali rischi del trattamento, seguendo i principi del Gdpr». Vent'anni dopo la prima normativa sulla privacy, il legislatore europeo è tornato a trattare la materia dei dati personali in un contesto socio economico completamente diverso. Il digitale è esploso, il contesto socio-economico è cambiato. Oggi dietro qualunque operazione effettuata in rete c'è una rete complessa di trattamenti. Occorreva inquadrare il fenomeno da un punto di vista nuovo. Dato che è il titolare a scegliere le finalità del trattamento e le modalità del trattamento, è lui che deve valutare il rischio al quale il suo trattamento espone gli interessati, sin dalla progettazione by desing. Il titolare deve avere in mente sin da quando inizia a pensare di trattare i dati le misure da adottare in modo da dare attuazioni al Gdpr e non produrre pagine di giustificazioni ex post. Il Dpo deve verificare solo la correttezza dei metodi e delle operazioni. «I Dpo sono l'avamposto dell'autorità nel variegato tessuto economico e istituzionale del Paese. Dall'entrata in vigore del Gdpr, non può esistere un garante aggiornato e avveduto senza questa rete di Dpo che operano nella specificità dei diversi trattamenti. Noi, come Garante, vediamo con gli occhi dei Dpo». La formazione torna ad essere un argomento centrale perché, oltre a rivolgersi a professionisti competenti, «il Dpo deve formare il titolare perché sia accountable – spiega Francesco Giorgianni, Global Data Protection Officer, Enel Group – Il titolare fa business, persegue l’interesse aziendale, e il Dpo lo aiuta a far sì che il primo obiettivo coincida con il rispetto dei diritti delle persone di cui svolge il trattamento dei dati personali». 7/7/2021

06 Luglio 2021

Paolo Boccardelli, Luiss Business School: «Nella transizione ecologica il capitale umano sarà ancora centrale e decisivo»

In occasione dell’apertura della nuova edizione dell’Edison Energy Camp il Direttore Luiss Business School e Nicola Monti, CEO Edison, tracciano la road map per una rivoluzione che non si può fallire Per la transizione ecologica non basta la tecnologia: la chiave di volta saranno le competenze. È questo il teorema espresso da Paolo Boccardelli, Direttore di Luiss Business School, durante il webinar La transizione ecologica: una sfida centrale per il sistema Paese e per l’economia internazionale. Il settore Energy è tra quelli maggiormente interessati dal Recovery Fund. Gli obiettivi sono la transizione energetica, il potenziamento della formazione e un cambio di mindset nella cultura di impresa. Mai come oggi l'Italia ha bisogno di una spinta importante per realizzare questi traguardi. Per farlo avrà bisogno di governare e tradurre la digitalizzazione in business, trasformando concretamente la parola sostenibilità in una voce di bilancio aziendale. «Il mondo dell'energia sta affrontando la stessa sfida del settore dell'IT di un decennio fa – spiega Boccardelli – passare da un modello industriale centralizzato a uno decentralizzato. L'architettura dell'energia sta attraversando lo stesso tipo di rivoluzione: portare l'intelligenza nei punti vicini al consumo. Attraverso la rivoluzione dei dati, la digitalizzazione consente di gestire i picchi di domanda in modo intelligente». Per farlo servono prima di tutto le competenze. «Nella transizione ecologica il capitale umano sarà ancora centrale e decisivo: ad oggi, far lavorare nel modo migliore un computer è ancora una competenza dell'uomo. Non bastano dei profili Stem o dei data scientist: queste risorse devono essere in grado di costruire il modo in cui l'azienda accede ai dati. I business translator interpretano i dati nel frame aziendale, danno il senso della valorizzazione del dato. Per questo vanno formati nelle aziende, per mettere in pratica la logica data driven attraverso processi innovativi, in cui il settore energetico ha fatto molti passi avanti». Secondo Nicola Monti, CEO Edison, le competenze necessarie nel settore Energy saranno quelle che consentiranno di chiudere il cerchio nelle energie rinnovabili, dove vanno implementati i sistemi di accumulo. «Serviranno competenze nella gestione dei clienti e nella comunicazione, nella gestione e formazione delle risorse umane: la quantità di persone impiegate nel settore aumenterà, con un necessario upskilling e reskilling, che traghettino le competenze dal mondo degli idrocarburi a quello delle energie rinnovabili». La transizione energetica: il vantaggio da non perdere Nella transizione energetica l'Europa si è portata avanti sul tema delle energie rinnovabili, creando anche un mercato delle emissioni. Al trend si stanno accodando anche gli Stati Uniti, ma nazioni come India e Cina non pensano minimamente a invertire la rotta. Edison, la più antica azienda energetica europea, si prepara a raggiungere la carbon neutrality entro il 2050. «Stiamo vivendo un momento di discontinuità – spiega Monti – Se il progresso industriale degli ultimi 50 anni è stato alimentato dagli idrocarburi, le cui emissioni hanno contribuito a causare un aumento della temperatura del pianeta, ci si rende conto che siamo arrivati a un punto dove bisogna cambiare modo di fare energia. In questo scenario le rinnovabili avranno un ruolo sempre più grande. Un ruolo chiave sarà giocato anche dal consumatore, che con il digitale non avrà solo un ruolo passivo, ma sarà in grado di comunicare in modo attivo». L'energia riguarda tantissimi aspetti della vita quotidiana: per questo la sostenibilità non può restare solo una medaglia da appuntarsi al petto. Secondo Monti è diventata un tutt'uno con i bilanci delle aziende. Boccardelli sottolinea che chi oggi ha obiettivi di sostenibilità, deve accelerare le sue policy. «Il 90% del successo di una strategia dipende da una buona execution: è il momento di affrontare i nodi implementativi della sostenibilità – spiega il Direttore di Luiss Business School – Il Pnrr dice molto in merito, ma forse non abbastanza: certamente è una grossa opportunità per trasformare una buzzword in qualcosa di concreto». «Bisognerà far bene i compiti per non lasciare solo debiti, creando ricchezza – aggiunge Boccardelli – È necessario rivisitare il sistema economico italiano. Abbiamo da recuperare un gap di produttività di vent'anni, in cui paghiamo inefficienza del sistema, falle nei settori della giustizia, innovazione, istruzione e ricerca. Il Paese cambia se ciascuno di noi si rimbocca le maniche e fa il proprio dovere». L'evento Le riflessioni sono emerse durante il webinar del 17 giugno La transizione ecologica: una sfida centrale per il sistema Paese e per l’economia internazionale, organizzato in occasione dell’apertura della nuova edizione dell’Edison Energy Camp, prevista per il 21 giugno. All'evento hanno partecipato Nicola Monti, CEO Edison, e Paolo Boccardelli, Direttore Luiss Business School, L’Edison Energy Camp prende avvio nel 2013 in collaborazione con il Consiglio Mondiale dell’Energia – WEC Italia, come programma destinato agli studenti iscritti alla laurea magistrale nell’ambito di percorsi di studio coerenti con il settore energia. Dal 2019 l’Edison Energy Camp è frutto del sodalizio fra Edison, WEC Italia e Luiss Business School. L’obiettivo è fornire una fotografia completa del settore Energy a 50 giovani, per formarli come futuri interpreti della grande sfida della transizione ecologica, soprattutto sotto la spinta del Recovery Fund, che siano in possesso degli strumenti di analisi critica degli scenari energetici e in grado di fornire un supporto integrato e mirato al business. Nell'Edison Energy Campo gli studenti si uniranno a giovani professionisti, lavorando insieme e creando nuove sinergie. I webinar open del camp vedono protagonisti Barbara Terenghi, Chief Sustainability Officer, Edison, il 24 giugno, e Simone Nisi, Direttore Affari Istituzionali, Edison, l'8 luglio.   5/7/2021

19 Marzo 2021

Di Franco (Atos): «Assumeremo 300 dipendenti in tre anni nella nuova sede di Bologna»

L'amministratore delegato del gruppo di servizi IT sottolinea l'importanza di tutelare il concetto di sovranità europea del dato Atos, che costruirà, «entro l'anno», il secondo calcolatore al mondo a Bologna, si candida a diventare «polo aggregatore» nella filiera dei supercomputer. Lo dichiara a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) Giuseppe Di Franco, amministratore delegato della divisione italiana, spiegando quanto sia importante tutelare il concetto di sovranità europea del dato, evitando che il Vecchio Continente resti schiacciato nella competizione cinese e americana. Intanto nella nuova sede di Bologna l'azienda si prepara ad assumere 200-300 dipendenti in due-tre anni. Di recente Atos è inoltre diventata partner industriale di Noovle, la nuova azienda dei data center di Tim: «ll nostro obiettivo è essere partner di trasformazioni digitali, agendo da partner industriale per portare know how, competenze ed esperienza internazionale». Assieme a Nvidia costruirete Leonardo, uno dei cinque supercalcolatori più potenti al mondo, all'interno del tecnopolo di Bologna, gestito dal consorzio interuniversitario Cineca. Quando sarà pronto? Leonardo è uno dei più grandi supercomputer, secondo al mondo, dopo uno disponibile in Giappone. È in grado di eseguire 250 miliardi di operazioni al secondo. Siamo in fase realizzativa, il progetto vedrà la luce al termine di quest'anno. C'è un aspetto molto importante che sta dietro questa logica di investimento, cioè quello di dare una grande capacità elaborativa a imprese, enti, Pa per poter realizzare dei modelli di simulazione, come quelli per le smart city o la ricerca scientifica. A Bologna verrà realizzato l'80% della capacità di tutta Italia e il 20% di quella europea. Avete già le competenze necessarie per portare avanti questo lavoro? Innanzitutto Atos, unico produttore europeo, investe da anni sull' High performance computing (Hpc). D'altronde il fatto che parte importante della ricerca scientifica e tecnologica sia fatta su strumenti europei ha un valore molto importante. Sperimentiamo oggi in tema di vaccini contro il Covid quanto stiamo pagando per non aver investito abbastanza sulla ricerca scientifica. All'interno di Atos, dunque, le competenze ci sono, ma vanno incrementate nel territorio. Abbiamo, intanto, deciso di aprire una nostra sede a Bologna e di iniziare un percorso di collaborazione con le università per reclutare giovani talenti, seguendo la falsariga di quanto già abbiamo sperimentato nel Sud Italia, A Napoli, dove abbiamo 300 dipendenti. Quante persone assumerete a Bologna? La sede di Bologna, che è già aperta, ospiterà in due-tre anni circa 200-300 persone, in analogia con quanto accaduto a Napoli. Al momento stiamo organizzando il recruiting. Quello di Bologna è un progetto molto importante, Atos opera con grandi player nazionali come Eni, Enel, Snam, Terna e Tim. A che punto è, invece, il progetto di cloud europeo Gaia-X di cui siete co-fondatori? Oggi il piano, che era partito per iniziativa di varie aziende tedesche e francesi, vede anche la partecipazione di tante imprese italiane guidate da Confindustria. Si pone l'obiettivo di arrivare a una compliance delle normative europee e all'interoperabilità tra i grandi player. È molto importante mantenere il controllo dei dati pur spostandosi da un operatore all'altro. E il set di regole condivise consente di avere la sovranità del dato. Intanto, in Italia, siamo diventati partner industriali di Tim che ha creato un'azienda dedicata, Noovle. Sareste interessati anche a una partecipazione finanziaria in Noovle? ll nostro obiettivo è essere partner di trasformazioni digitali, agiamo da partner industriale per portare know how, competenze ed esperienza internazionale. Tornando al concetto di sovranità europea del dato, le aziende del Vecchio Continente hanno oggi le risorse necessarie per competere a livello globale? Sono molto convinto della rilevanza dell'Europa in questo settore, servono però capacità di investimento e massa critica per poter competere con gli investimenti americani e cinesi. Oggi credo che la tecnologia europea rischi di restare compressa tra gli investimenti statunitensi e cinesi ma, allo stesso tempo, credo molto al fatto che Europa debba posizionarsi e garantire capacità di investimento e aggregazione. Far nascere grandi player, cioè, che possano garantire la nostra sovranità tecnologica. Atos, inoltre, è un player a livello mondiale, con 12 miliardi di fatturato, a Bologna abbiamo vinto contro concorrenti americani e cinesi. Atos potrebbe, dunque, fare da polo aggregatore in Europa? Sì, sarebbe interessante guidare la filiera, Atos potrebbe diventare un polo aggregatore, ma lo potrebbero essere anche realtà come il Cineca. Che cosa vi aspettate dal Recovery Plan? È un'opportunità enorme che ha due grandi dimensioni. Una ha come obiettivo la trasformazione digitale, e può consentire il recupero della produttività del lavoro. L'Italia, peraltro, è uno dei Paesi europei che ha la produttività più bassa. L'altra dimensione punta alla decarbonizzazione, che è un altro tema interessante. A questo proposito va ricordato che digitalizzare è uguale a decarbonizzare. Sono grandi opportunità, un'occasione per la nazione. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 19/3/2021

19 Marzo 2021

Riccardi (Aubay): «Sulle competenze serve uno sforzo con sindacati, Confindustria e Governo»

Lo scoglio da superare, secondo il manager, è la carenza di formazione, in particolare, tra i 50-60enni Bene il Recovery Fund, che può aprire tante opportunità, ma c'è uno scoglio importante da superare, che è quello della carenza di competenze, soprattutto nella fascia di mezzo dei 50-60enni. Occorre, secondo Paolo Riccardi, ceo di Aubay Italia, azienda di servizi e consulenza It, occuparsi del tema della riconversione delle competenze, e per far questo bisogna portare avanti un lavoro cross-aziendale, con Confindustria Digitale e il coinvolgimento del Governo. Il rischio, altrimenti, racconta il manager a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) è quello di trovarsi tra qualche anno con «competenze eccellenti tra i 25-40enni e una crisi occupazionale che, nel giro di tre anni, potrebbe colpire i 50-60enni». Inoltre, nell'ottica del Recovery Fund, un passaggio fondamentale è il rafforzamento del «capitale umano che, dal nostro punto di vista, non è stato finora sufficientemente preso in considerazione». «Nell'anno horribilis 2020 ricavi in linea con l'esercizio precedente» La pandemia di coronavirus ha trovato Aubay, che conta 2.200 dipendenti in Italia, 6.000 nel mondo, resiliente: «I ricavi - racconta Riccardi che è anche direttore generale del gruppo Aubay e quarto azionista - sono in linea con il 2019, con un leggero calo, dello 0,7%, su quelli italiani e un aumento del 2,5% di quelli del gruppo. Aubay Italia chiude il 2020, anno horribilis del Covid, infatti, a 116 milioni mentre il gruppo ne realizza per 426 milioni. Aubay è un'azienda sana, liquida, vediamo nelle linee guida del Recovery Plan i capisaldi di investimento che dovrebbero produrre un'accelerazione che si riverbererà sulle nostre attività tradizionali». In un'ottica generale, intanto, «la pandemia ha accelerato l'evoluzione del digitale: mentre in epoca pre Covid si procedeva a rilento, l'emergenza ha creato una tempesta, ma anche grandissime opportunità. Ora è in arrivo il Recovery Fund che mette a disposizione forti investimenti per l'innovazione. Si apriranno spazi importantissimi: innanzitutto relativamente al completamento delle infrastrutture, visto che solo il 30% della popolazione italiana ha la banda ultra larga, ed è evidente che senza fibra e 5G sarà complicato attuare la transizione 4.0». Competenze necessarie per l'utilizzo delle infrastrutture Ma veniamo ai nodi da risolvere che riguardano le competenze, necessarie per l'utilizzo delle infrastrutture. «Il problema che troviamo rilevante dal nostro punto di vista e crediamo sia paradossalmente più importante, è legato all' inadeguatezza di competenze digitali sul mercato. Solo il 40% della popolazione ha, infatti, conoscenze di base rispetto al 60% medio in Europa e siamo molto indietro nell'ambito delle lauree Stem».Inoltre, mentre nell'Ict è più semplice trovare competenze, nelle altre aziende le competenze digitali vanno costruite: «da noi il 70% dei dipendenti ha competenze digitali, il 30% se le sta costruendo. In un'azienda manifatturiera, ad esempio, le percentuali sono ribaltate». Coscienti della necessità di un approccio generale, cross-aziendale e settoriale, Aubay sta lavorando con Confindustria Digitale e sindacati: «Riteniamo che il tema delle competenze sia prioritario alla stregua di quello degli investimenti, altrimenti rischiamo di avere le infrastrutture senza le competenze tecnico-organizzative necessarie». Guardando in particolare al settore It, sottolinea il manager, «il problema di competenza riguarda la fascia over 50, un'età di mezzo da alimentare con nuovi skill per evitare problemi occupazionali. Stiamo facendo una mappa delle competenze da convertire, ma servono progetti che vadano oltre la singola azienda con una regia, attraverso Confindustria Digitale». Solo il 40% delle aziende ha il chief Information security officer In questo scenario va coinvolto il governo: «gli esecutivi precedenti avevano già pensato di operare su questi temi, d'altronde finché i soldi erano pochi la trasformazione digitale procedeva a rilento, ora il rischio è che i soldi ci siano ma i percorsi di accelerazione siano improvvisi. Riteniamo, dunque, che se non si lavora anche nel Recovery sulle competenze per tempo, il rischio è che ci si trovi impreparati». Un settore da non sottovalutare è in particolare quello della cybersecurity «dove mancano ancora tante figure specializzate e solo il 40% delle grandi aziende ha al suo interno il chief information security officer (Ciso)». Quanto infine al quadro normativo, Aubay valuta in maniera positiva l'introduzione del Gdpr e ricorda come in una bozza della scorsa legge di bilancio ci fosse la proposta di creare un istituto italiano di cybersicurezza: «Credo che se il nostro sistema non inizierà a produrre soluzioni di sicurezza informatica si rischia di diventare ostaggio delle grandi aziende straniere. Eravamo stati - conclude Riccardi - molto colpiti in senso positivo dal fatto che fosse stata pensata una cabina di regia nazionale, la riteniamo, anche sotto questo profilo, necessaria». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 19/3/2021

08 Marzo 2021

Crisi d’impresa: imparare a gestirla con Luiss Business School

Al via il 16 aprile la seconda edizione di un corso per Commercialisti, Avvocati, Esperti Contabili, consulenti d’azienda che vogliono acquisire maggiori competenze. Saper affrontare l’impatto di una crisi aziendale con un assetto tempestivo è una competenza sempre più richiesta in ambito aziendale, per la quale non sempre le figure professionali presenti sono adeguate. Sulla scorta del successo della prima edizione, Luiss Business School e Luiss School of Law propongono il corso di perfezionamento universitario in Gestione della Crisi d’Impresa, che prenderà il via il prossimo 16 aprile. Il Programma è rivolto a professionisti già attivi nel mondo del lavoro pubblico e privato (Dottori Commercialisti, Avvocati, Esperti Contabili, consulenti aziendali) che intendono indirizzare il proprio sviluppo professionale nella gestione delle crisi di impresa e ad imprenditori, responsabili finanziari, rappresentanti di organizzazioni sindacali o di società finanziarie che desiderano sviluppare una concreta professionalità nel campo della ristrutturazione d’Impresa. Sotto la Direzione Scientifica di Vito Cozzoli, docente della School of Government della Luiss Guido Carli e di Giorgio Meo, Ordinario di Diritto Commerciale presso la Luiss Guido Carli, il corso prevede il coinvolgimento di una faculty composta da personalità di primo piano nel campo della crisi d’impresa e del turnaround management. Fra questi: rappresentanti di istituzioni finanziarie come Francesco Bosco e Andrea Giorgianni di Mediobanca, Commissari straordinari come Enrico Laghi, Alessandro Danovi e Giuseppe Leogrande, testimonianze degli organi di vertice delle Istituzioni competenti (Ministeri dello Sviluppo economico e della Giustizia), professori universitari esperti del settore come Attilio Zimatore, Francesco Di Ciommo e Giovanni Bruno, professionisti della materia come Daniele Discepolo, Gerardo Longobardi, Giovanni Fiori, rappresentanti delle grandi Società di consulenza come Deloitte, Ernest & Young e Rothschild.I professionisti in aula avranno l’opportunità di confrontarsi con i nuovi regimi di gestione – previsti dalla riforma del 2019, con relativa necessità di adeguamento agli altri Paesi membri EU – e allinearsi perfettamente alle nuove linee guida volgendo lo sguardo ad un approccio innovativo. Tra i moduli di insegnamento previsti: gestione della Crisi e Stakeholders Engagement; definizione del piano di Turnaround: profili economici, giuridici e finanziari; negoziazione e attuazione del piano di Turnaround; strumenti di continuità aziendale; amministrazione straordinaria nelle grandi imprese in crisi. Il programma si svolgerà dal 16 aprile al 5 giugno 2021. Gli incontri sono pianificati nel fine settimana il venerdì pomeriggio e il sabato intera giornata (si terranno in presenza, compatibilmente con le disposizioni in materia di prevenzione sanitaria). Per maggiori informazioni: executive@luissbusinessschool.it SCARICA LA BROCHURE Rassegna stampa La Stampa, Crisi d’impresa, ecco come gestire le crisila Repubblica, Crisi e ristrutturazioni d'azienda, ecco come gestirleAdnkronos, Imprese: crisi aziendali, imparare a gestirle con Luiss Business School Messaggero Veneto, Crisi d'impresa, ecco come gestire le crisiFormiche.net, Come affrontare una crisi d’impresa in breve tempo? Le soluzioni La data inizialmente comunicata è slittata a causa dell’ingresso della Regione Lazio in zona rossa. 8/3/2021