Digital Transformation
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14 Maggio 2021

«Puntiamo su un modello nuovo di cloud, in 5 anni mercato mondiale per Gaia-X»

Parla l'amministratore delegato dell'associazione europea, Francesco Bonfiglio, a DigitEconomy.24, il report Luiss Business School e Il Sole 24 Ore L'obiettivo del progetto di cloud europeo Gaia-X «non è quello di avere nuove regole che creino muri attorno alla tecnologia europea» ma dar vita a un modello diverso, «distribuito» e «ortogonale» rispetto a quello diffuso finora e tipico di hyperscaler tipo Google, Microsoft o Amazon. Lo spiega, in un'intervista a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) Francesco Bonfiglio, CEO dell'associazione Gaia-X. Dando le tempistiche del progetto, Bonfiglio spiega che per fine anno si conta «di avere i primi servizi di federazione implementati, «dal 2022 si punta all'arricchimento dei cataloghi, mentre dal 2023 al 2025 si attende a una vera e propria «domanda di servizi Gaia-X». In cinque anni, inoltre, l'auspicio è che l'Europa passi dal possedere meno del 5% delle piattaforme (relative ad aziende quotate) al 30 per cento. Acquistando dunque un peso a livello globale, in competizione con i colossi di Usa e Cina. Il progetto Gaia-X nasce nel 2019 in Germania, si allea subito la Francia per poi acquistare velocemente un respiro europeo. A giugno 2020 nasce infatti l'aisbl Gaia-x, associazione internazionale no profit guidata da Bonfiglio con sede a Bruxelles. Le adesioni, a oggi, sono oltre 230. Tra 1-2 anni il CEO si aspetta salgano a 300-400. Come si declina in pratica la sovranità europea dei dati obiettivo, di Gaia-X? La sovranità significa due cose: avere totale controllo e trasparenza delle infrastrutture su cui vengono condivisi i dati, e diventare più indipendenti rispetto a tecnologie prevalentemente americane e asiatiche.  Oltre alla condivisione di regole ci sono altri aspetti fondamentali del progetto Gaia-X? Premetto che occorre comprendere meglio che cosa sia Gaia-X. Uno dei problemi, normali per un progetto così innovativo, è la difficoltà a comunicarlo. Bisogna, innanzitutto, sottolineare che noi rappresentiamo la voce del mercato, non abbiamo finanziamenti pubblici, e questo ci permette di avere un'autonomia unica. Il nostro obiettivo non è quello di avere nuove regole che creino muri attorno alla tecnologia europea, ma dar vita a una nuova generazione di cloud che, a differenza di quella attuale, non sia concentrata all'interno di pochi grandi data center, governati da tecnologie non europee, come nel caso di hyperscaler come Google, Microsoft e Amazon. Gaia-X sta cioè implementando un modello diverso, distribuito e ortogonale rispetto a quello verticale finora dominante. C'è di più. Gaia X sta anche realizzando infrastrutture software. Non solo, dunque, si tratta di un'associazione per definire linee guida e regole, ma di un progetto che realizzerà servizi di federazione e li renderà disponibili. Sarà open source, noi non stiamo costruendo delle barriere, tutti i fornitori di cloud compresi Amazon, Google e Alibaba partecipano al progetto. Qual è la tempistica per vedere i primi progetti realizzati? L'implementazione di Gaia-X non è veloce e semplice, molti working group sono partiti, stanno lavorando su vari aspetti. Inoltre, abbiamo finanziamenti da parte di Governi anche se non diretti a Gaia X come associazione, ma alla creazione di progetti Gaia X compliant. Il Governo tedesco, quello francese, e a brevissimo quello italiano, stanno creando gare per servizi federati Gaia X o casi d'uso per l'utilizzo di dati basati su Gaia-X. Alcuni dei progetti più importanti sono legati alla creazione di un nuovo continous computing e si svilupperanno, ad esempio, attraverso varie gare per un ammontare superiore a 150 milioni. Un altro progetto importante vede la collaborazione dei più grandi produttori di automotive tedeschi e i produttori di pezzi di ricambio in modo da condividere i dati di produzione, ridurre i tempi di riparazione, aumentare la qualità e tagliare i costi. Inoltre, ci sono decine di bandi, che interessano Gaia-X, che ci stiamo attrezzando a intercettare sia a livello di Commissione sia di singoli Paesi. C'è poi un recente bando del Mise per un Important project of common european interest (Ipcei), legato alla nuova infrastruttura cloud di Edge computing. A proposito di Recovery Fund, che spinta vi aspettate dalle risorse europee per la digitalizzazione? Il programma preparato dal ministro Colao nell'ambito del Pnrr prevede la partecipazione dell'Italia al progetto Gaia-X per realizzare un cloud sovrano. È uno dei punti fondamentali del Ministero dell'Innovazione che si è dimostrato molto attivo, così come i membri italiani di Gaia-X e in particolare Confindustria che avrà il ruolo di coordinare l'hub nazionale. Una caratteristica di Gaia-X è, infatti, la creazione di hub nazionali, molti dei quali sono già pronti. Le 35 società italiane potranno, dunque, avere un punto di incontro per la discussione locale, con una connessione stretta con la politica, il Governo, allo scopo di sviluppare progetti. La data strategy europea annunciata dalla presidente della Commissione, Ursula Von der Leyen, e ripetuta a settembre annunciava investimenti importanti da parte della Ue, ma dalla fine del 2020 sappiamo che gran parte delle risorse passeranno attraverso il Recovery Fund. L'Italia ha un ruolo importantissimo, anche di leadership a livello Ue. Tutti i progetti di cui ho parlato, pure se ad esempio finanziati da Germania o Francia, si realizzeranno attraverso bandi pubblici europei, c'è molta apertura da parte dei Governi affinché si creino consorzi di aziende. Quando il progetto Gaia-X sarà pienamente operativo? Alla fine del 2021 contiamo di avere i primi servizi di federazione implementati e resi disponibili, con esempi concreti di condivisione dei dati. Dall'anno prossimo i servizi saranno completati e si arricchiranno di cataloghi. Dal 2023 al 2025 attendo invece di vedere l'inversione di tendenza, ovvero anziché avere un'associazione che spinge in una direzione, sarà il mercato stesso che tira. Nascerà cioè una domanda di servizi Gaia-X. Noi stiamo lavorando non solo alla realizzazione di questi servizi dal punto di vista tecnologico, ma anche a un sistema innovativo di definizione di marchi di certificazione dei servizi Gaia-X che non saranno rilasciati solo dall'associazione, ma che saranno controllati e verificati dall'architettura stessa. Chiunque potrà creare servizi Gaia-X che saranno affidabili in quanto garantiti dalla tecnologia. In questo scenario stimo che i partecipanti a Gaia-X salgano a oltre 300-400 nell'arco di uno --due anni. Quando pensate di essere competitivi anche all'estero? Nel giro di cinque anni Gaia-X avrà un mercato mondiale. Tutti dovranno fare scelte, sicuramente l'Europa ha investito di meno in passato e ha un gap maggiore, ma da un certo punto di vista questo può essere un vantaggio. Chi ha investito di più avrà maggiore difficoltà nel caso a cambiare modello. Nel peggiore dei casi Gaia-X ci darà, dunque, l'opportunità di competere alla pari, nel migliore dei casi potremmo essere in anticipo e avere un vantaggio competitivo, realizzando da zero qualcosa che non c'era, non dovendo buttar via miliardi di investimenti. Come farà l'Europa a essere competitiva con i colossi di Usa e Cina, partendo oggi dal possesso di una quota bassa delle piattaforme dati presenti nel mondo? Oggi l'Europa ha, in effetti, secondo dati Gartner riferiti al 2019, meno del 5% delle piattaforme dati relative ad aziende quotate. Al di là delle ricadute economiche, dipendere completamente da tecnologie che non sono controllate dalla nostra giurisdizione è un rischio. Credo che l'economia del futuro sarà basata sulla capacità di sviluppare le proprie piattaforme, i nostri figli vivranno questo grande cambiamento, non è quindi una scelta che possiamo procrastinare o accantonare. Nel 2019 il mercato delle piattaforme in Europa è stato pari a 100 miliardi di fatturato, nel 2025 la previsione per la data economy europea è di un fatturato pari a circa un trilione. Ci si aspetta una crescita enorme, da conquistare. Mi aspetto che questo 5% nei prossimi 5 anni possa arrivare al 30% che potrebbe tradursi nel 50% considerato il solo territorio europeo. Cercheremo di fare un più in fretta possibile, bisogna fare scelta giusta per non tornare indietro. Credo gli strumenti e tempi ci siano, non sarà un'operazione velocissima, ma determinante e irreversibile. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 14/5/2021

14 Maggio 2021

Jakala: «al 2024 puntiamo a raddoppiare ricavi a 600 milioni e dipendenti a 2000»

Parla il CEO Stefano Pedron a DigitEconomy.24, il report Luiss Business School e Il Sole 24 Ore.  Il gruppo di marketing techologies si focalizzerà sull'internazionalizzazione, tre acquisizioni in vista Orizzonte 2024: raddoppio di fatturato e dipendenti, rispettivamente a 600 milioni di euro e 2000 persone con maggioranza dei ricavi, il 70%, che deriva dall'estero, ribaltando le proporzioni attuali. A tracciare il futuro di Jakala, società di MarTech, cioè di marketing technologies, fondata nel 2000 da Matteo de Brabant (che oggi ha il 25% del capitale) è l'amministratore delegato Stefano Pedron. L'azienda, che tra l'altro è un grande utente di cloud e sta «ragionando anche con Noovle (società del cloud di Tim) per sviluppare progetti assieme», punta nel nuovo piano varato a fine anno soprattutto sull'internazionalizzazione. «Al momento – spiega Pedron a DigitEconomy.24, report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School – i ricavi provengono per il 38% dall'estero, per il 62% dall'Italia, ma intendiamo focalizzarci molto sull'internazionalizzazione. Abbiamo già una proiezione significativa, con uffici in 13 Paesi». Di recente, tra l'altro, è stata completata l'acquisizione da parte del fondo Ardian del 60% di Jakala. Elemento che può giovare all'espansione fuori dall'Italia. Oltre ad Ardian e De Brabant, gli altri soci sono: The Equity Club, promosso da Roberto Ferraresi e Mediobanca, H14 di Luigi, Eleonora e Barbara Berlusconi, Pfc, la holding dei Marzotto e l'attuale top management del gruppo. «Entro maggio acquisiremo una società in Spagna» Aprendo il capitolo acquisizioni, Jakala ha tre accordi in vista: «Entro maggio acquisiremo una società in Spagna, con 120 dipendenti, e abbiamo già individuati altre due operazioni: una in Francia e una in Germania». Tra i progetti per l'internazionalizzazione c'è anche l'ampliamento della sede di New York dove per il momento il gruppo ha una ‘legal entity' e sta costruendo il team che sarà inizialmente di circa 10 persone. «Tra quattro anni – aggiunge il ceo - puntiamo ad arrivare a 100». Jakala, che conta oggi mille dipendenti, ha come obiettivo, rafforzato dall'ultimo piano industriale, quello di diventare leader globale nel settore dei servizi di marketing. La strada della quotazione per crescere, non è, invece, al momento ritenuta appetibile. «Non escludo l'Ipo tra qualche anno come opzione, ma al momento – dice Pedron - abbiamo bisogno di un altro tipo di percorso. Il nostro è un progetto che necessita di tempo per implementare la visione, un tipo di piano non sempre compatibile con la quotazione». «Pnrr grandissima opportunità, noi al fianco delle aziende per sviluppare progetti» Nel bilancio 2020 il gruppo ha registrato circa 296 milioni di ricavi, l'obiettivo «al 2024 è portare il fatturato a 600 milioni, con ricavi per il 70% all'estero, il resto in Italia». Riguardo all'occupazione Jakala è un'azienda «‘people business', abbiamo bisogno di competenze; se raddoppiamo il fatturato, dovremo quasi raddoppiare il nostro organico. L'obiettivo è di 2.000 persone al 2024». La società, che ha di recente inserito nello statuto il fatto di essere una benefit company, ha assunto nel 100 persone nel 2020, 40 nel corso di quest'anno. L'età media è bassa, di poco superiore ai 30 anni, con parità di genere. Una spinta ulteriore, infine, al business della società è attesa dai fondi del Pnrr che è «una grandissima opportunità per il Paese. Noi – conclude Pedron – siamo al fianco delle aziende per sviluppare le progettualità in questa direzione». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 14/5/2021

14 Maggio 2021

«Entro fine anno apriremo a Google i data center di Milano, nelle Region cloud indotto da 30-50mila persone»

L'intervista a Carlo d’Asaro Biondo, CEO di Noovle, su DigitEconomy.24, il report Luiss Business School e Il Sole 24 Ore Google «aprirà le proprie sale» nei data center di Noovle a Milano entro la fine dell'anno», a Torino ciò avverrà «l'anno prossimo». Si prevede un impatto sull'occupazione notevole: l'indotto complessivo dei sei data center è atteso infatti, secondo stime Gartner, intorno a 30-50mila persone a distanza di due-tre anni. Lo racconta a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore e della Luiss Business School) Carlo d’Asaro Biondo, amministratore delegato di Noovle, la società del cloud di Tim lanciata alla fine di gennaio scorso. L'azienda, dice l'ad, è «partita molto bene» e «il raggiungimento degli obiettivi è in linea con quelli prefissati» mentre la ricerca del partner finanziario, annunciata dall'azienda, avverrà «al momento opportuno». Noovle aveva annunciato un miliardo di fatturato e 400 milioni di ebitda al 2024. Obiettivi e piani che si accompagneranno a un incremento «importante» dei dipendenti nei prossimi due-tre anni. In particolare, l'azienda punta a un giusto mix generazionale e a incrementare la presenza femminile visto che il mercato del cloud oggi è «prevalentemente maschile». Qual è l'importanza del mercato del cloud in Italia oggi e quale il vostro ruolo? Il cloud offre a imprese e pubbliche amministrazioni, di qualunque dimensione, la possibilità di usare ‘a consumo' le migliori soluzioni informatiche presenti sul mercato. Interi settori industriali, come il gaming, sono nati e cresciuti in questo modo: si pensi, ad esempio, alla Tv che ha impiegato 50 anni per raggiungere 50 milioni di utenti mentre oggi i giochi in streaming in soli 50 giorni raggiungono lo stesso risultato. Noovle ha il duplice obiettivo di assistere il cliente nella migrazione verso il cloud e nella gestione delle sue attività per favorire l'adozione degli strumenti innovativi più avanzati, quali l'Intelligenza Artificiale e l'Internet of things. La digitalizzazione è un grande acceleratore per la crescita dell'economia e per mantenere impieghi e competitività del nostro sistema economico. Con l'arrivo dei ‘Recovery funds' il Governo darà all'economia la giusta spinta per sfruttare il potenziale del digitale a beneficio di tutto il Paese, una grande opportunità per imprese e pubblica amministrazione. Il cloud è una delle colonne portanti - insieme alla connettività e alla formazione - della rivoluzione digitale che stiamo vivendo. Digitalizzazione e rivoluzione ‘green' sono, inoltre, gli elementi previsti anche nel Pnrr, che possono assicurare un futuro sostenibile all'economia del Paese. Per questo abbiamo costruito l'azienda con particolare attenzione alla sostenibilità economica e sociale: sovranità e protezione dei dati, sicurezza, modello multi-cloud pubblico o ibrido da costruire secondo le esigenze dei clienti per garantire i benefici di economicità, flessibilità e collaborazione tipici del cloud. Che tempi ci sono riguardo alla partnership con Google Cloud per creare le Region cloud in Piemonte e Lombardia? Prevediamo che Google apra le proprie sale nei nostri data center di Milano entro la fine di quest'anno, a Torino l'anno prossimo. Ovviamente questi nuovi centri, che saranno all'avanguardia sia in termini di sicurezza che di sostenibilità, resteranno a disposizione dei clienti che vorranno appoggiarsi sulla nostra infrastruttura, siano essi ‘professionisti del cloud' o imprese ‘consumatrici di dati'. Siamo convinti che queste infrastrutture contribuiranno significativamente alla digitalizzazione del Paese. Siamo molto orgogliosi di tutto questo, è la prima volta che in Italia nasce una realtà come Noovle, per dimensione, ambizione e investimenti. Che tipo di indotto si genererà? Ogni centro occupa tra le 30 e le 50 persone: i sei centri, quindi, dovrebbero generare fino a 300 posti di lavoro a cui si aggiungeranno naturalmente i numeri dell'indotto. Ogni azienda che adotterà i nostri data center creerà a sua volta nuovi posti di lavoro. Secondo le stime degli analisti di Gartner, a distanza di due o tre anni ogni posto di lavoro creato genera un indotto sino a 100-150 nuovi impieghi. Si può immaginare quindi un indotto complessivo di circa 30-50mila persone. I data center sono pertanto grandissimi acceleratori per l'economia, ma vanno utilizzati in modo razionale: per questo come Noovle ci concentreremo sia sulla creazione delle infrastrutture che sullo sviluppo delle competenze digitali. Con Intesa Sanpaolo e Google Cloud, ad esempio, abbiamo intenzione di far nascere a Torino un polo per l'adozione delle nuove tecnologie cloud e di Intelligenza Artificiale al servizio del territorio per sviluppare nuovi progetti insieme alle eccellenze locali volti a garantire un futuro sostenibile. Abbiamo commissionato un primo studio all'Università di Torino che ci aiuterà ad ascoltare e capire le necessità specifiche e le opportunità che le tecnologie cloud e AI possono portare al territorio. Voi partecipate al progetto Gaia-X sulla sovranità digitale. I critici dicono che il piano europeo si ferma solo a un sistema di regole comuni. Qual è la vostra posizione? Gaia-X rappresenta un nuovo modo di pensare, collaborare fra europei per abbattere le frontiere culturali e linguistiche che abbiamo anche nel mondo dell'informatica. Ricordiamoci che le cose che rendono forti gli hyperscaler come Google, Amazon o Microsoft sono: un linguaggio comune per le macchine, che siano PC o telefoni o grandi sistemi informativi; l'utilizzo di tecnologie open source e piattaforme capaci di diffondersi in maniera capillare a livello globale. Negli Usa il mercato è di dimensioni simili a quello europeo ma hanno il vantaggio di avere regole, lingua e cultura in una unica economia di mercato coerente in tutto il territorio. In Europa dobbiamo costruire un modello simile con regole e standard operativi, uguali per tutti. L'alleanza in Gaia-X è un progetto di grande valore, che vede operare insieme le principali realtà che utilizzano dati e cloud - come banche o grandi industrie di tutti settori industriali europei -, e gli operatori del cloud, per creare standard e approcci comuni verso Internet. Stiamo dando all'Europa l'occasione di contribuire alla globalizzazione giocando un ruolo da protagonista. Permetteremo anche alle nostre piccole e medie imprese di dialogare con le grandi organizzazioni, grazie a protocolli con linguaggi comuni. Che tempi ci sono per la ricerca del partner finanziario per Noovle? Noovle è partita molto bene e il raggiungimento degli obiettivi è in linea con quelli che ci siamo fissati. Come indicato dal nostro amministratore delegato, Luigi Gubitosi, in conference call con gli analisti è un processo che verrà avviato nel momento opportuno. E invece riguardo ai partner industriali? Avete altre collaborazioni all'orizzonte? Fare da soli significa limitarsi. Abbiamo già partner importanti come Google, Atos, SAP o Oracle per piattaforme e software, Cisco per la connettività e numerosi altri per l'infrastruttura. Questa attività proseguirà, creeremo il nostro ecosistema in base alle esigenze dei nostri clienti. L'azienda parte con circa mille dipendenti, che piani avete per il futuro? Abbiamo quattro attività principali: i data center, i servizi di digitalizzazione per Tim, il multi-cloud per i clienti e i servizi professionali. Più si va verso i servizi professionali e più avremo bisogno di capitale umano. Le nostre stime di crescita di personale sono significative, incrementeremo in maniera importante i nostri dipendenti nei prossimi due, tre anni in coerenza con l'evoluzione del mercato e delle dinamiche organizzative. Un' azienda moderna deve essere agile e crescere nelle attività in cui porta più valore. Come comunicato, il piano di Noovle prevede il raggiungimento di un miliardo di fatturato e di 400 milioni di Ebitda al 2024. Abbiamo ambizione e sono certo che le professionalità in azienda aumenteranno nell'ottica di costruire un leader di mercato. Per questo bisogna attrarre i migliori talenti. Trovate in Italia le competenze necessarie? Di giovani che hanno fatto gli studi giusti ce ne sono tanti nel Paese. A livello di gruppo stiamo lavorando per creare un corretto equilibrio generazionale puntando sulla formazione. In Noovle tra gli obiettivi che ci stiamo prefissando c'è anche quello di stimolare la crescita della presenza femminile nel mercato del Cloud, che ad oggi è prevalentemente maschile. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 14/5/2021

04 Maggio 2021

Digital Learning: Luiss Business School unica italiana nell’alleanza FOME

Future of Management Education: la più importante rete internazionale di Business School unite per costruire il futuro dell’alta formazione manageriale Nuovo traguardo internazionale per Luiss Business School, da oggi membro dell’Alleanza Future of Management Education –FOME, che comprende altre dieci fra le migliori business school a livello globale: BI (Norvegia); ESMT (Germania); EDHEC (Francia); Hong Kong University of Science and Technology (Hong Kong); IE (Spagna); Imperial College Business School (UK); Ivey Business School (Canada); Johns Hopkins Carey Business School(USA); SMU (Singapore) and The University of Melbourne (Australia), cui si aggiunge il partner tecnologico insendi. Unica italiana, dopo un articolato processo di selezione Luiss Business School siede in uno dei board più rappresentativi nel campo dell’alta formazione manageriale, focalizzata sullo sviluppo di nuovi programmi, strumenti e modalità di apprendimento digitale. Grazie ad una profonda vicinanza nelle rispettive vision e all’alto grado di specializzazione dei partner, FOME rappresenta un centro nevralgico in cui convergono risorse, conoscenze e competenze: il network mette in connessione fra loro docenti, dirigenti senior, project manager Edtech, learning designer di ciascuna scuola per co-creare le migliori esperienze di digital learning, e formare una classe dirigente capace di lasciare una significativa impronta nel proprio mercato di riferimento. “Siamo profondamente orgogliosi per questo che è per noi insieme un traguardo e un riconoscimento del valore della nostra offerta – afferma Paolo Boccardelli, Direttore Luiss Business School – e abbiamo già iniziato a lavorare assieme ai nostri omologhi delle dieci nazioni rappresentate nel board dell’Alleanza. Punto di forza di questa partnership, il grande impegno che ci vede proiettati lungo il cammino della Trasformazione Digitale, avviato in Luiss Business School già da tempo. La digitalizzazione rappresenta infatti una dimensione chiave per la nostra scuola, sia abilitando l'innovatività dei metodi di insegnamento adottati sia rafforzando l'esperienza di apprendimento di i nostri studenti”. La collaborazione, chiave di volta sui cui poggia FOME, è un pilastro dell'esperienza Luiss Business School, rappresentata dalla grande attenzione strategica alla contaminazione tra mondo accademico e mondo dell'impresa, che consente alla Scuola di generare processi di trasformazione. Dal lavoro congiunto fra i partner, e grazie anche all’utilizzo della piattaforma Insendi, gli scenari che si aprono per il futuro offrono un ampio ventaglio di possibilità. Fra queste, ad esempio, lo sviluppo di programmi a titolo congiunto con i partner dell'alleanza. “Essere l’unica Business School italiana in questo network – prosegue Boccardelli – ci investe di una grande responsabilità. Il Digital Learning rappresenta uno dei principali trend tecnologici in fase di grande accelerazione, nei confronti del quale la nostra Scuola non si è fatta trovare impreparata: il nostro apporto in FOME, dove dialoghiamo con realtà top-level operanti in mercati molto diversi fra loro, sarà decisivo, e contribuirà a formare nuovi leader pronti a cogliere le sfide che verranno”. 04/05/2021

30 Aprile 2021

Switch off della tv al Tvb-T2 a giugno 2022: istruzioni per l’uso

L'intervento di Vincenzo Lobianco, esperto di comunicazioni elettroniche, su DigitEonomy.24, il report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School Siamo di fronte a una seconda trasformazione tecnologica della televisione terrestre. La prima è avvenuta circa 10 anni fa, dal 2008 al 2012, con il passaggio dalla televisione analogica a quella digitale terrestre (Dtt) in standard Dvb-t. La seconda trasformazione tecnologica comincerà nella seconda metà di quest'anno (in realtà si è già partiti) e terminerà il 30 giugno del 2022. La seconda trasformazione è necessaria per far fronte alla riduzione delle frequenze in banda Uhf riservate al Dtt per la cessione della banda 700 MHz, ossia i canali dal 49 al 60, alla telefonia mobile. Il cambio di destinazione avviene in accordo con una decisione Ue del 2017 che ha fissato a tale scopo la data del 30 giugno 2020, prevedendo tuttavia che, in presenza di particolari situazioni nazionali, il passaggio potesse avvenire entro il 30 giugno 2022. Entro giugno 2022 frequenze in banda 700 agli operatori mobili Entro tale ultima data, ormai molto vicina, le frequenze in banda 700 MHz, che – ricordiamo - sono state oggetto di un'asta onerosa svoltasi nel 2018 con un incasso di circa 2 miliardi di euro, saranno prese in gestione dagli operatori mobili. Con la cessione della banda 700 MHz, il Dtt si ritroverà con 12 canali in meno sui 40 attualmente in uso in banda Uhf. Le risorse in banda Uhf si riducono almeno del 30% ma in realtà, a causa dei vincoli imposti dal coordinamento internazionale delle frequenze, la riduzione è molto maggiore e corrisponde a circa il 65 per cento. La riduzione della risorsa frequenziale impatta in maniera significativa sul settore radiotelevisivo e, pertanto, per fronteggiare la minore disponibilità di frequenze è stato necessario modificare le leggi che regolano il settore e introdurre una nuova tecnologia digitale, il Dvb-T2, che consente di utilizzare le frequenze in maniera più efficiente trasmettendo un maggior numero di programmi, anche con migliore qualità, in un canale televisivo. Necessità di aggiornare i televisori sostituendoli o acquistando un decoder Ciò implica, però, che gli utenti del digitale terrestre dovranno aggiornare i ricevitori televisivi, sostituendoli o acquistando un decoder esterno (set-top box) abilitato alla ricezione in Dvb-T2, nel caso che gli apparecchi in casa siano stati acquistati prima del 2017 o non siano in grado di ricevere la nuova tecnologia di trasmissione. Bisogna, comunque, fare attenzione nell'acquisto perché, oltre alla tecnologia Dvb-T2, il ricevitore deve essere anche compatibile con la codifica Hevc, di più recente introduzione sul mercato che, rispetto alla codifica Mpeg-4 attualmente utilizzata per le trasmissioni in alta definizione (Hd), consente di trasportare un maggior numero di programmi (circa 40 in definizione standard o almeno 15 in Hd) su di un solo canale. Solo l'uso dell'Hevc consentirà di traghettare la quasi totalità delle emittenti e dei programmi dopo la riduzione dei canali. La legge non sufficientemente chiara su adozione della codifica Hevc La legge, tuttavia, non ha fatto sufficiente chiarezza sull'adozione obbligatoria della codifica Hevc parlando esclusivamente di utilizzo di codifiche o standard più avanzati.L'assenza di un obbligo esplicito di utilizzare l'Hevc, accompagnata anche al ritardo (2017) con cui è stato stabilito, in altri provvedimenti legislativi e successive deroghe, l'obbligo di mettere in vendita solo ricevitori e televisori Dvb-T2 potrebbe far insorgere criticità per gli utenti in quanto si prevede che alla data del refarming una significativa percentuale di utenti sarà ancora priva di un ricevitore Dvb-T2. I dati di riferimento più recenti (marzo 2020) pubblicati dal Mise indicano che al mese di febbraio 2020 solo il 42,4 % delle famiglie risulta essere dotato di un televisore DVB-T2 mentre le previsioni al settembre 2021 stimano che circa 6 milioni di famiglie, corrispondenti al 27,1% del totale, non avranno a disposizione un ricevitore Dvb-T2. Si ricorda che lo Stato, per agevolare il rinnovo del parco ricevitori, ha introdotto il Bonus-Tv, un'agevolazione in forma di sconto fino a 50 euro per l'acquisto di Tv o decoder Dvb-T2/Hevc riservato alle famiglie con Isee fino a 20.000 euro. Rimasto poco tempo per dotarsi di ricevitore compatibile È rimasto, però, poco tempo per dotarsi di un ricevitore compatibile. La roadmap di transizione prevede che lo spegnimento del digitale terrestre nella Banda 700 MHz inizi nel mese di settembre 2021 e continui progressivamente sul territorio nazionale, suddiviso a tal fine in 4 aree geografiche. Nei mesi settembre-dicembre 2021 i canali televisivi 49-60 verranno spenti nell'area 2 (Valle d'Aosta, Piemonte, Lombardia tranne la provincia di Mantova e le province di Piacenza, Trento e Bolzano) e nell'area 3 (Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna tranne la provincia di Piacenza e la provincia di Mantova). Nel primo trimestre 2022 toccherà all'area 1 (Liguria, Toscana, Umbria, Lazio, Campania e Sardegna) per poi completarsi nel secondo trimestre 2022 con l'area 4 (Sicilia, Calabria, Puglia, Basilicata; Abruzzo, Molise e Marche). In ciascuna area, dopo lo spegnimento della banda 700 MHz, gli operatori potranno attivare i canali direttamente in Dvb-T2/Hevc oppure mantenere il Dvb-T con l'obbligo però dell'Mpeg-4, sino al 30 giugno 2022, data dopo la quale dovranno obbligatoriamente passare al Dvb-T2. Come capire se il proprio televisore o set-top siano compatibili con il Dvb-T2/Hevc Infine, un suggerimento. Per verificare che il proprio televisore o set-top box siano compatibili lo standard Dvb-T2/Hevc basta sintonizzare con il telecomando i canali 100 o 200 (messi a disposizione rispettivamente da Rai e Mediaset). Se appare la scritta "Test HEVC Main10", l'apparecchio è compatibile e non sarà necessario sostituirlo o acquistare un decoder. Se appare uno schermo nero è possibile che sia solo un problema di sintonizzazione dei canali o di numerazione. Se dopo una riprogrammazione della TV, lo schermo rimane nero, alloro l'apparecchio non è compatibile con il Dvb-T2/Hevc. * Esperto di comunicazioni elettroniche, già consigliere per l'innovazione tecnologica Agcom e membro del Comitato scientifico del Corecom Lazio SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 30/4/2021

30 Aprile 2021

«Switch off tv entro giugno 2022 obiettivo sfidante ma no a rinvii, intervenga il Governo»

Per Marco Gay, presidente di Anitec-Assinform, serve una presa in carico forte da parte del nuovo esecutivo L'obiettivo di giugno 2022 per completare la seconda transizione alla tv digitale (con il passaggio al Dvb-T2) è «sfidante» ma non si può assolutamente pensare a un ulteriore rinvio. Lo sostiene, nell'intervista a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) il presidente di Anitec-Assinform, Marco Gay. In questo scenario solo «una forte presa in carico di questa transizione da parte del nuovo esecutivo, con un preciso piano di azione a livello Paese e con la collaborazione attiva di tutti gli stakeholder», dice Gay, può far superare le difficoltà. La scadenza del 2022 per la seconda transizione alla tv digitale non è lontana, quali le maggiori criticità? L'obiettivo del 2022 risulta oggi molto sfidante per tutto il sistema: Governo, broadcaster, produttori di tecnologia, distribuzione sono chiamati a uno sforzo straordinario ed è necessario recuperare molto terreno rispetto a quanto fatto sinora. Le criticità riguardano soprattutto la gestione in tempi brevi di un processo che, anche a causa della crisi pandemica, ha subito troppi ritardi e deve oggi ripartire con un nuovo impulso: solo considerando l'industria dei device, bisogna fare i conti con i vincoli della filiera che impongono un'accurata programmazione e una complessa gestione degli aspetti produttivi, finanziari e logistici. L'attuale shortage di materie prime e di componentistica, l'aumento dei costi e dei tempi per il trasporto delle merci, rappresentano ulteriori difficoltà, che l'industria sarà in grado di superare solo a fronte di una forte presa in carico di questa transizione da parte del nuovo esecutivo, con un preciso piano di azione a livello Paese e con la collaborazione attiva di tutti gli stakeholder. Di fronte ai ritardi c'è chi parla anche della possibilità di un rinvio. È un'ipotesi auspicabile? Assolutamente no, rimettere in discussione le scadenze di un percorso definito ormai da quasi due anni creerebbe ulteriori incertezze per gli operatori di mercato e rischierebbe di alimentare incomprensioni e un generale clima di sfiducia negli utenti. Prima di tutto si deve partire, il prossimo primo settembre, dal passaggio, di tutte le trasmissioni del digitale terrestre almeno allo standard Mpeg4 (la codifica usata oggi per trasmettere i servizi televisivi in alta definizione). Sarà poi inevitabile l'ulteriore transizione allo standard Dvb-T2, funzionale a ottimizzare le risorse frequenziali disponibili, offrendo al contempo al pubblico una migliore esperienza di visione dei contenuti. La certezza è che dal primo luglio 2022 la banda 700 MHz dovrà essere rilasciata agli operatori di telecomunicazioni per la diffusione dei nuovi servizi di rete di cui il nostro Paese ha estremo bisogno, pertanto le emittenti televisive dovranno necessariamente ricorrere a protocolli di trasmissione più efficienti di quelli attuali, e su questo voglio comunque ribadire che qualsiasi scenario deve prevedere tempistiche inequivocabili e date certe. Sul fronte della domanda, i dati sulle vendite dei nuovi televisori non sono finora confortanti. Che cosa suggerite al Governo? È vero, nonostante nel 2020 si sia registrato un aumento non trascurabile del numero di televisori venduti, il tasso di sostituzione degli apparecchi più datati, ancora attivi presso gli utenti, sembra essere ancora piuttosto basso e, su questo aspetto, il bonus Tv e la campagna informativa non hanno inciso nel modo sperato. Serve un cambio di passo immediato e per questo suggeriamo al Governo quattro azioni concrete, in ordine di importanza: rafforzare la campagna informativa verso i cittadini affinché tutti comprendano bene come e quando agire, attivare con urgenza i nuovi strumenti di incentivazione alla sostituzione dei ricevitori obsoleti, rendere disponibili i risultati della rilevazione della diffusione delle nuove tecnologie presso le famiglie, istituire un presidio operativo ad hoc con gli stakeholders per monitorare l'andamento della transizione e programmare con tempestività le eventuali azioni correttive necessarie. Il nuovo esecutivo vi ha già ricevuti sul tema dello switch off? Che cosa vi aspettate? È chiaro che in questi primi mesi le priorità del governo abbiano riguardato l'emergenza sanitaria ed economica e la chiusura del Pnrr. Abbiamo cercato di mantenere un contatto con la struttura Mise, attendendo l'assegnazione delle deleghe politiche ai due vice ministri e alla sottosegretaria Ascani, dalla quale ora ci aspettiamo una celere presa in carico del dossier Dvb-T2. Anche se questo tema non rientra nel perimetro del Pnrr, c'è da dire che la digitalizzazione del paese investe anche la Tv, la produzione dei contenuti, la possibilità di accedere a servizi digitali connessi. Al Governo abbiamo avanzato proposte su Pa, salute, formazione, industria 4.0, e cybersecurity, solo per citare alcuni argomenti. Ma è del tutto evidente che parlare di digitalizzazione e non affrontare la sfida trasformativa di uno dei beni – se non il bene per eccellenza – più diffusi nelle case degli italiani ci sembrerebbe davvero un controsenso logico. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 30/4/2021

30 Aprile 2021

«Con switch off della tv rischio schermo nero in varie zone d’Italia già a settembre»

Occorre, secondo Franco Siddi, presidente di Confindustria Radio Televisioni, recuperare i ritardi accumulati in tutto il processo Ci sono 3,5 milioni di famiglie che, a bocce ferme, sono a rischio di vedere la tv con lo schermo nero il primo settembre prossimo, secondo i dati di Ipsos-Auditel. «Non possiamo permetterci - afferma Franco Siddi, presidente di Crtv a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore e della Luiss Business School) - di lasciare nessuno indietro» in occasione della seconda trasformazione tecnologica della tv terrestre oggi in corso. Entro giugno 2022, infatti, si spegneranno le trasmissioni in formato Dvb-T per lasciare posto a quelle Dvb-T2 come conseguenza del passaggio delle frequenze in banda 700 dagli operatori televisivi a quelli di tlc che le useranno per il 5G. Un evento che, comprimendo lo spazio oggi occupato dagli operatori tv, rende necessario l'uso della nuova e più efficiente tecnologia digitale, il Dvb-T2. La transizione tocca da vicino anche gli utenti che devono adeguare i propri televisori. In gran parte dell'iter, dall'assegnazione dei diritti d'uso delle frequenze agli operatori di rete nazionali e locali, all'acquisto dei nuovi televisori, si registrano ritardi rispetto alla roadmap. «Ricomprendere la tv nella transizione digitale del Paese» È importante inquadrare la televisione, chiamata a fare un grosso sforzo di cambiamento, nell'ottica della digitalizzazione. «Oggi – prosegue Siddi - tutti parlano di transizione digitale, ma nella transizione digitale deve essere ricompresa anche la tv. Sia perché la tv deve affrontare la discontinuità tecnologica sia perché l'industria del settore ha bisogno di essere pronta e attrezzata per operare in campi nuovi come il cloud o l'intelligenza artificiale». Nel Pnrr non c'è, sottolinea Siddi, «un capitolo ad hoc sulla televisione, ma chiediamo ugualmente che la centralità del sistema televisivo venga riconosciuta». Nel documento inviato dall'associazione all'esecutivo prima della messa a punto del Pnrr si sottolinea, infatti, come sia fondamentale che nel 20% dei fondi che dovrebbero essere assegnati al digitale siano ricompresi anche quelli da destinare alla "produzione e distribuzione di contenuti audiovisivi e media". Diversi i temi considerati topici da Confindustria Radio Televisioni: l'innovazione tecnologica, l'occupazione e la formazione, gli investimenti nella cybersecurity. Da non trascurare, tra l'altro, la radiofonia digitale, un progetto «importante da portare a compimento considerate anche le finalità di utilità sociale del servizio offerto». Il progetto Dab nelle gallerie, ad esempio, è da considerare di interesse pubblico in quanto va a beneficio della sicurezza degli automobilisti. «Per l'associazione servono 800 milioni di euro in tre anni per gli investimenti» A fronte della rivoluzione digitale in corso occorre investire. Sempre nel documento inviato da Confindustria Radio Televisioni al Governo si ipotizza, per questa specifica esigenza, un investimento complessivo di 800 milioni di euro sul territorio italiano in tre anni. «È facile - commenta Siddi - dire che servono nuovi format, ma poi sono necessari gli investimenti, la tv si autofinanzia con la pubblicità, ma se quest'ultima diminuisce servono altre risorse». La tv italiana è «in condizione di svantaggio rispetto ai colossi internazionali; nonostante ciò il nostro sistema è integrato, cioè riesce a gestire le reti e, al contempo, produrre i contenuti, dando occupazione alle persone». Un altro impegno, nota il presidente Siddi, dimostrato dalla televisione è proprio nell'ambito del refarming delle frequenze. Un tema, tuttavia, che mostra tante criticità. I primi spegnimenti sono arrivati l'anno scorso, ad esempio in parte della Lombardia, parte della Toscana. Tuttavia, le problematiche persistono. «Non si può pensare che vengano scritte le regole e tutto finisce lì. Per liberare le frequenze - aggiunge Siddi - è necessario che l'operatore tv sappia dove viene accolto. A oggi ancora non lo sappiamo, ci sono ritardi». Ritardi nell'assegnazione delle frequenze agli operatori di rete e nell'acquisto nuovi tv Tra le procedure ancora aperte c'è l'assegnazione dell'ulteriore capacità trasmissiva disponibile in ambito nazionale, la gara dei mezzi multiplex che è stata avviata di recente e, a seguire, le assegnazioni dei diritti d'uso delle frequenze agli operatori di rete nazionali. È ancora in itinere anche l'assegnazione dei diritti d'uso delle frequenze per la diffusione in ambito locale. Tra le altre carenze si annoverano anche la mancata emanazione del bonus riciclo e il deficit nella campagna di comunicazione con una chiara "call to action". Per tutte queste e altre problematiche Crtv ha scritto al ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti. «Dal canto nostro – precisa Siddi - siamo impegnati nel tavolo tv 4.0 avviato dall'ex ministro Di Maio. Non sappiamo ancora con quale meccanismo si vuole procedere, attendiamo di essere ricevuti». Si stimano 3,5 milioni di famiglie con tutti apparecchi in nero al primo settembre 2021 Le problematiche non sono solo a monte, per il mondo delle tv e per le telco che aspettano le frequenze 5G, ma anche a valle, per milioni di cittadini. «A oggi ci sono milioni di famiglie – dice Siddi – con televisori non adatti agli standard Dvb-T2 che dovranno essere utilizzati dal 30 giugno 2022. Ci sono, secondo la ricerca Ipsos per Auditel, 29 milioni di televisori da sostituire o abbinare con decoder entro questa scadenza. Di questi, 9 milioni sono da sostituire, o integrare entro il primo settembre 2021. Sono, invece, 3,5 milioni le famiglie (14% dei 24 milioni di nuclei familiari rilevati da Auditel) che avranno tutti gli apparecchi in casa che devono essere sostituiti o integrati con decoder entro il primo settembre 2021, quindi a rischio di ritrovarsi con tv solo in nero». Le politiche per incentivare la domanda, secondo Crtv, non hanno dato buoni frutti. «Il bonus da 50 euro per le famiglie con un Isee inferiore a 20mila euro non è stato molto efficace, ha poca presa. Il ‘bonus riciclo', previsto in finanziaria, che doveva partire subito, non è ancora partito», ribadisce Siddi. Tirando le somme «all'anno vengono venduti 4 milioni di televisori, è la stessa cifra di prima, si vendono cioè 330mila televisori al mese». Per raggiungere i target si sarebbero dovuti vendere più di un milione di pezzi al mese da giugno del 2020. Cifra che oggi sale a circa due milioni al mese per recuperare i ritardi. Certamente, conclude Siddi, «il Covid non ha aiutato, ma la tv è il bene del popolo, e, a questo ritmo, a settembre 2021 c'è il rischio che la tv vada in nero in varie zone. C'è uno zoccolo duro di resilienti al cambiamento, ma non possiamo far mancare un servizio pubblico alla popolazione. Non possiamo lasciare indietro nessuno, la tv digitale è centrale per la vita del Paese, occorre recuperare il ritardo». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 30/4/2021

30 Aprile 2021

Telenorba: «Prosegue il calo di fatturato per la pandemia, servono sostegni anche per il 2021»

Parla la Presidente e AD del gruppo, Antonella Capriglia a DigitEconomy.24, report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School Telenorba, la tv pugliese che è la grande emittente locale in Italia, risente dell'emergenza Covid e del calo di fatturato legato alla pubblicità. L'emittente, che nel 2020 ha perso il 15,8% dei ricavi, prevede una ripresa lenta e chiede al Governo, di fronte alla fame di informazione locale registrata in questi mesi di emergenza, che vengano rinnovati i sostegni avuti nel 2020. Quanto allo switch off allo standard Tvb-T2 (che ci sarà entro giugno), la tv non teme gli effetti di eventuali ritardi poiché le Regioni dove trasmette sono tra le ultime coinvolte secondo la road map degli spegnimenti. «Noi –spiega la presidente e amministratrice delegata Antonella Capriglia a DigitEconomy.24, report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School - stiamo subendo meno il ritardo perché le nostre Regioni, Puglia e Basilicata, da road map saranno tra le ultime a fare lo switch off". «Rinnovo parco tv rallentato a causa del deterioramento dei conti delle famiglie» Tuttavia, la situazione non è tranquilla. «L'andamento economico – dice Capriglia - si è deteriorato nel Paese a causa del Covid che ha rallentato il rinnovo del parco tv. Immaginiamo che molte famiglie hanno dovuto o devono dare priorità diverse, in molti hanno perso il lavoro o hanno difficoltà economiche». Non è tuttavia sempre necessario cambiare il proprio televisore. «Nel caso in cui è sufficiente acquistare un nuovo decoder, i costi sono molto più bassi. Nel momento in cui le famiglie lo scopriranno, la situazione si regolarizzerà. Noi, su questo fronte, siamo un po' più tranquilli perché abbiamo davanti a noi più di un anno, sperando che rientri l'emergenza pandemia». Nel frattempo il gruppo confida «nella prossima campagna di Natale, visto che questa l'abbiamo praticamente saltata a causa del Covid. Speriamo che per allora il Paese, se non completamente, sia almeno parzialmente fuori da questa situazione di emergenza». «Problemi di liquidità a causa delle dilazioni concesse agli inserzionisti» Telenorba a oggi conta oltre 135 dipendenti. Nei mesi scorsi ha effettuato un aumento di capitale «proprio perché – spiega Capriglia – dovevamo far fronte a un'esigenza di liquidità di un bilancio che era sostanzialmente in equilibrio. Il problema è nato perché abbiamo dovuto concedere grandi dilazioni di pagamento a inserzionisti pubblicitari che, nonostante il lockdown, hanno continuato a investire, ma chiedendo condizioni di pagamento diverse». La situazione, precipitata durante il primo lockdown, non si è ancora normalizzata. «C'è ad esempio un settore importante per tutte le tv local, che è il settore dei matrimoni, sale ricevimenti, servizi catering assolutamente fermo. Per noi i mancati introiti pubblicitari rappresentano una notevole perdita di fatturato». «Prevediamo una ripresa lenta» In generale, prosegue Capriglia, «prevediamo una ripresa lenta. Gli inserzionisti che hanno avuto perdite di fatturato non potranno sostenere grandi investimenti nell'immediatezza. Speriamo in una ripresa lenta e graduale». Di fronte all'occasione rappresentata dal Pnrr, Telenorba si allinea con le richieste già presentate da Confindustria Radio Televisioni che chiede un ruolo centrale per la tv nella digitalizzazione del Paese. «In questo momento abbiamo bisogno di un sostegno immediato, come tipologia di aziende. Da un lato, infatti, abbiamo l'obbligo di continuare a trasmettere e fornire informazioni costanti ai telespettatori, dall'altro registriamo una perdita di fatturato importante». Il Governo Conte, continua Capriglia, «ha previsto ed erogato nell'anno misure di sostegno aggiuntive. È stato istituito un fondo emergenze per le emittenti locali e, in cambio di misure di sostegno, le tv hanno assicurato spazi di comunicazione oggi in scadenza; le istituzioni hanno utilizzato questi spazi per comunicare con i cittadini. Il settore ha inoltrato la stessa richiesta per il 2021, auspichiamo che i nuovi sostegni siano applicati al più presto perché le difficoltà sono uguali, continuiamo a produrre informazioni sull'emergenza Covid e sui piani vaccinali, ma continuiamo a non avere fatturati adeguati. Peraltro, il fatto che i cittadini avessero necessità di informazioni dalle emittenti locali è comprovato dall'incremento degli ascolti, saliti del 40%, inclusi quelli della nostra emittente. Incrementi registrati nel 2020, ma che manteniamo nel 2021». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 30/4/2021

16 Aprile 2021

WindTre: «Evitare l’effetto distorsivo del mercato nella fase 2 dei voucher per la banda ultra-larga»

Tre voucher su 4, sottolinea la società, sono appannaggio dello stesso operatore WindTre mette le mani avanti in vista della fase 2 dei voucher per lo sviluppo della banda ultra-larga chiedendo di evitare l'effetto distorsivo del mercato che l'azienda ha riscontrato nella prima fase degli incentivi alla domanda. «I rischi di distorsione della concorrenza – spiega Roberto Basso, direttore External affairs & sustainability, a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) - erano stati chiaramente segnalati prima del lancio della fase 1, adesso apprendiamo dal ministro Colao che tre voucher su quattro sono stati appannaggio di un solo operatore, e che altri 94 operatori hanno dovuto dividersi le briciole. Un effetto distorsivo così forte sulla fase 2 sarebbe devastante per il mercato». Colao non ha fatto il nome del primo operatore che, secondo il mercato, è Tim. «Qualcosa non ha funzionato nella gestione della prima fase dei voucher» Più in generale, riguardo alla politica di sostegno alla domanda, WindTre ritiene che bisognerebbe avere «un obiettivo chiaro quanto alle tecnologie da promuovere. Dopo il dibattito del passato, oggi il Governo sta mettendo mano a una nuova strategia sulle reti ad alta capacità. Forse sarebbe meglio aspettare la consultazione su questa strategia e soprattutto che l'offerta sia effettivamente disponibile in tutto il Paese, prima di lanciare i nuovi voucher».L'operatore guidato da Jeffrey Hedberg lamenta criticità anche nella gestione della fase 1 dei voucher che, a cinque mesi dall'avvio della misura, ha visto risorse impegnate, come dichiarato dallo stesso Colao, pari a circa il 37% dei fondi disponibili. «È giusto – prosegue Basso - dare un sostegno economico alle famiglie fragili per promuovere la connettività. Eppure qualcosa non ha funzionato, perché dopo cinque mesi le domande sono ferme a un terzo delle risorse stanziate. In questi casi servono modalità di accesso al beneficio molto semplici e il supporto di una campagna di comunicazione». Preferibile una gara per le aree grigie con lotti piccoli Oltre alle politiche di sostegno alla domanda, uno dei nodi cruciali è quello dello stimolo degli investimenti, e dunque dell'offerta, nelle aree ancora non coperte da connettività, come quelle grigie, a forte vocazione industriale. WindTre, su questo fronte, è in linea con quanto di recente dichiarato dall'amministratore delegato di Vodafone Italia, Aldo Bisio, favorevole a nuove gare con lotti medio-piccoli e con i recenti annunci di Colao. «Dalle dichiarazioni pubbliche del ministro – prosegue Basso - sembra di capire che il Governo abbia sviluppato un approccio molto pragmatico. L'idea di fissare obiettivi legati alla prestazione delle reti e non alle tecnologie consentirà di usare meglio i contributi pubblici e di fare emergere le scelte più efficienti. Una gara per le aree grigie con lotti piccoli consente di mettere a confronto soluzioni diverse ed evita che un errore, sempre possibile, condizioni lo sviluppo di una vasta area del Paese». Rivedere limiti elettromagnetici per lo sviluppo del 5G Last but not least, c'è la questione dello sviluppo del 5G, con l'obiettivo di eliminare quei colli di bottiglia che frenano l'implementazione degli investimenti e delle reti. «In questi giorni – conclude Basso - si gioca una partita decisiva per il futuro e la competitività del Paese: la riforma dei limiti elettromagnetici potrebbe entrare nel Pnrr. Le nostre imprese manifatturiere e tutti i servizi che possono beneficiare del 5G si troveranno con il freno a mano tirato se non rivediamo limiti, oggi pari a un decimo di quelli in vigore in Francia o in Germania. Questo intervento radicale è indispensabile e per metterlo in atto serve che i partiti abbiano il coraggio di dire ai cittadini la verità, sulla scorta di trent'anni di diffusione crescente di servizi di telefonia mobile basati su radiofrequenze». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 15/4/2021

16 Aprile 2021

Assoprovider: «Assegnare i voucher per la banda ultra-larga direttamente ai destinatari»

La posizione dell'associazione dei provider indipendenti italiani che chiede di essere ascoltata dal nuovo Governo Sul tema dei voucher e su altre questioni inerenti alla copertura dell'Italia in banda ultra-larga Assoprovider chiede un confronto con i ministri Vittorio Colao (Transizione digitale) e Giancarlo Giorgetti (Sviluppo economico). Varie le questioni sul tavolo, spiega Dino Bortolotto, presidente dell'associazione di provider indipendenti italiani, a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School). Tra i nodi da risolvere la distinzione, al momento dell'assegnazione, tra contributo per il device e contributo per l'accesso oppure il criterio scelto per l'assegnazione dei voucher che dovrebbe avvenire non attraverso bandi a monte, come successo per le scuole, ma direttamente ai beneficiari. E i nuovi voucher? «Sarei d'accordo su voucher legati solo alle reti ad altissima velocità, ma senza nessuna discriminazione a livello tecnologico, garantendo cioè la neutralità tecnologica oltre alla reale velocità, non quella cosiddetta commerciale». Qual è il suo giudizio sulla prima fase di assegnazione dei voucher? Bisogna distinguere tra le varie tipologie: quanto ai voucher per le famiglie con un Isee sotto i 20mila euro, è stato scisso il contributo per il device dal contributo per l'accesso a Internet, scelta sulla quale noi restiamo perplessi. Tuttavia la risposta dei piccoli operatori, molti dei quali sono nostri associati, è stata positiva, hanno partecipato in numero significativo. E riguardo ai voucher per le scuole? Questo è un altro aspetto che ci lascia perplessi. Si è voluto procedere col meccanismo di un bando che ha portato alla vittoria di pochi operatori mentre era preferibile assegnare i voucher direttamente alle scuole e non a un solo operatore vincente. Mi aspetto dei problemi su questo fronte. Riteniamo che, anche per le prossime assegnazioni, il criterio da seguire sia quello di consegnare agli utenti finali i voucher, altrimenti corriamo il rischio di avere una distorsione che continua ad andare a vantaggio degli stessi soggetti che non sono riusciti a risolvere il problema dell'infrastrutturazione nelle zone con bassissimi tassi di densità abitativa. Questo criterio dunque va adottato secondo voi anche per i voucher destinati alle famiglie sopra 20mila euro di Isee? Sì, certamente. Inoltre, per questo tipo di voucher che non sono ancora in fase di erogazione bisogna fare attenzione. Ho sentito parlare di reti che garantiscono velocità commerciale e non velocità reale, per noi la velocità da garantire dev'essere quella reale, uguale o superiore a 30 megabit al secondo. Siete stati consultati dal governo relativamente ai piani futuri per la connettività? A tutt'oggi noi, come anche Aiip e Cfwa, non siamo stati minimamente interpellati dal nuovo esecutivo. Complessivamente rappresentiamo una quota di almeno il 10% del mercato. Il Governo dovrebbe tenere in considerazione che i nostri sono gli unici progetti che stanno crescendo nei territori a bassissima densità abitativa. Nei prossimi giorni scriverò ai ministri Colao e Giorgetti chiedendo un incontro. Tra le altre cose è importante che il nostro Paese recepisca quanto prima la direttiva sul nuovo codice europeo per le comunicazioni elettroniche in modo, ad esempio, da risolvere la questione delle frequenze licenziate punto-punto. Un elemento determinante per servire zone a bassissima attività abitativa. Qual è la criticità da superare? Una licenza punto-punto a noi costa seimila euro l'anno, nel resto d'Europa costa 700 euro, agli operatori italiani più grossi costa 1.500. Noi diremo al Governo che non può esistere ancora una discriminazione simile, non si può fare uno sconto-quantità su un bene collettivo, tutti devono pagare allo stesso modo. Abbiamo potenzialmente 5milioni di utilizzi e ne realizziamo solo 100mila, potremmo invece servire tutte le aree a bassa densità abitativa. Usando una metafora abbiamo il grano ma non facciamo il pane, lasciando che la gente muoia di fame. Peraltro, la modifica normativa è nella disponibilità del ministero dello Sviluppo economico che potrebbe agire con decreto. Da  cinque anni  chiediamo di modificare questa norma. E per la prossima fase di voucher su cui sta lavorando il Governo? Sarei d'accordo su voucher legati solo alle reti ad altissima velocità, ma senza nessuna discriminazione a livello tecnologico, garantendo cioè la neutralità tecnologica oltre alla reale velocità, non quella cosiddetta commerciale. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 15/4/2021