Digital Transformation
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19 Novembre 2021

«Milano ha le carte per essere hub, non temiamo Hyperscaler, sono nostri clienti»

Parla Elisabetta Romano, AD di Sparkle (gruppo Telecom), illustrando le opportunità del settore per il sistema Paese nel contesto geopolitico  Il baricentro dei cavi sottomarini, infrastrutture dove passano il 99% del traffico delle comunicazioni internazionali e 10 miliardi di dollari di transazioni finanziarie ogni giorno, si sta spostando più a Sud. E questo rende l'Italia, che al momento non ha nessun hub internazionale, più centrale. In questo contesto, afferma Elisabetta Romano, ad di Sparkle, società del gruppo Telecom Italia, Milano «ha tutte le carte in regola» per diventare un hub a tutti gli effetti. Sparkle, presente in 32 Paesi nel mondo, non è nemmeno spaventata dall'avanzata nel settore degli hyperscaler che restano, dice Romano a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School), tra i migliori clienti. L'Asia e il Sud America sono tra le frontiere su cui punterà Sparkle che proprio quest'anno festeggia il centenario dalla fondazione di Italcable di cui è erede. Quanto al rapporto con i competitor, il settore rappresenta la "coopetion": «il mondo delle tlc ha avuto sempre il difetto della chiusura, ritengo invece – chiosa Romano - che l'apertura sia un aspetto fondamentale per la trasformazione dell'industria». In quali aree concentrerete i vostri investimenti? Oggi la maggior parte dei dati passa attraverso i cavi sottomarini e i volumi raddoppiano ogni due anni richiedendo nuove infrastrutture per soddisfare la domanda crescente di connettività. Questo significa che bisogna continuare a investire in nuove infrastrutture, soprattutto nelle aree a forte crescita come in Asia e in Europa dove l'infrastruttura esistente è quasi satura. Per questo stiamo continuando a investire in nuovi cavi, come il sistema di cavi sottomarini Blue & Raman che dall'India va verso l'Europa. Ma stiamo investendo anche in Sud America, in Europa e in Africa. Come cambierà il business, considerato il contesto economico e geopolitico? I due decenni appena trascorsi sono stati caratterizzati da un'esplosione di dati, internet, digitale. Nel prossimo decennio il traffico continuerà ad aumentare e si sposterà nel Sud-Est del mondo: i maggiori sviluppi sono attesi verso l'Asia e l'Africa. Il baricentro delle infrastrutture internazionali si sposta dunque più a Sud e questo mette l'Italia al centro delle direttrici di traffico dati. Con la costruzione di Blue & Raman, realizziamo un'autostrada digitale tra l'Europa e l'Asia con un percorso assolutamente unico e alternativo rispetto ai cavi esistenti, un aspetto rilevante nelle telecomunicazioni per evitare colli di bottiglia. Basti pensare, facendo un parallelismo con il trasporto fisico, a quanto successo con la nave incagliata nel canale di Suez. Anche per i cavi, da un punto di vista tecnico e architetturale, è importante avere strade alternative e con Blue & Raman realizziamo una serie di primati: per la prima volta nell'ambito del Mediterraneo non si passa per il canale di Suez, ma si arriva in Giordania per via terrestre. Anche in Sicilia, per la prima volta, non si passa per il Canale di Sicilia ma per lo stretto di Messina. La terza cosa significativa è che arriviamo a Genova mentre finora tutti i cavi dall'Asia arrivano a Marsiglia e Parigi che sono, quindi, diventate due delle città più importanti. L'Italia potrà recuperare questo gap con la Francia e Milano diventare un hub internazionale? Se consideriamo i dieci hub internet più importanti nel mondo, sei sono città europee - due di queste sono per l'appunto francesi -, nessuno degli hub principali è italiano. È senz'altro positivo che in Europa ci siano sei hub, ciò dimostra la centralità del Vecchio Continente, ma la notizia meno buona è che tra questi non ci sia nessuna città italiana. Milano ha tutte le carte in regola per diventare un hub a tutti gli effetti. C'è già un buon ecosistema, sono presenti gli Hyperscaler come Google, con cui Tim sta lavorando, si sta iniettando traffico dall'Asia. Un discorso che vale, anche se in minor misura, per Genova dove stiamo creando un'infrastruttura di atterraggio molto capiente per attirare, oltre al Blue Raman, anche cavi sottomarini di altri operatori. In generale siamo orgogliosi di fare qualcosa di rilevante non solo per Sparkle ma anche per l'Italia. Quando un'azienda riesce a conciliare obiettivi di business con l'impatto positivo per il Paese a cui appartiene, penso sia un traguardo molto positivo.   L'ingresso massiccio degli Hyperscaler nel business dei cavi sottomarini vi crea preoccupazioni? No, non siamo assolutamente spaventati. Lavoriamo con Google, che è nostro partner, ma anche con gli altri. È vero che nell' ultimo decennio, se prima compravano da noi tutta la capacità di cui avevano bisogno, adesso costruiscono con noi l'infrastruttura, ma continuano comunque a comprare. Sono tra i nostri clienti più importanti perché hanno tantissima necessità di banda e di trasporto Internet che un solo operatore non può soddisfare. Gli hyperscaler sono stati in pratica costretti a entrare nel campo per costruire le loro infrastrutture, ma non è il loro core business. Ad esempio, consideriamo la partnership con Google per la costruzione di Blue & Raman molto costruttiva, ben riuscita, con ambiti di azione ben definiti. Come ci si può difendere al meglio dagli attacchi hacker? Per noi la sicurezza è un aspetto fondamentale di cui teniamo conto sin dalle prime fasi della progettazione. In Sparkle abbiamo un gruppo dedicato e un Soc, Security operations center nella nostra sede centrale ad Acilia. Ovviamente quando si parla di cybersecurity è un po' il gioco di ‘guardie e ladri' perché gli attacchi diventano sempre più sofisticati. Al G20 di Trieste abbiamo partecipato a una sperimentazione, con uno spin off del Cnr, applicando la fisica quantistica alla sicurezza direttamente sulla fibra. La tecnologia sta andando molto avanti, e la sicurezza diventa insita al mezzo. In vista dei progetti di incrementare gli investimenti e le infrastrutture pensate di aumentare l'occupazione? Sparkle conta oggi circa 750 persone, 500 in Italia e 250 sparse per il mondo. Dobbiamo crescere, soprattutto all'estero, seguendo le direttrici dove costruiremo le nuove infrastrutture, in Sud America, Africa, nel Medio Oriente. Inoltre, stiamo investendo molto sul comparto entreprise. In sostanza abbiamo tre tipi di clienti: operatori come noi, visto che nessuno nel nostro mondo ha tutto; Ott e hyperscaler che rappresentano come suddetto una fetta importantissima; clienti entreprise, ambito su cui Sparkle finora ha lavorato, ma in maniera timida. Quest'anno nel nostro piano industriale ci puntiamo molto di più, soprattutto partendo dal fatto che il 60% dei clienti di Tim in Italia ha sede all'estero. Siete aperti a nuove alleanze con i competitor? Noi rappresentiamo la "coopetion" alla lettera, lavoriamo con tutti gli operatori del mondo, Verizon, At&t, Deutsche Telecom, con Telstra in Australia, con gli operatori arabi e con quelli africani. In Italia siamo i primi service provider, e siamo tra i primi dieci nel mondo. Il nostro concetto di partenza è di apertura, collaboriamo anche con aziende italiane, come Retelit. Il mondo delle tlc ha avuto sempre il difetto della chiusura, ritengo invece che l'apertura sia un aspetto fondamentale per la trasformazione dell'industria. Sparkle ha abbracciato questo paradigma. Vedete un problema per l'Italia di tutela della sovranità nazionale sui dati che passano attraverso i cavi? Per definizione il concetto di sovranità è in contraddizione col nostro mestiere, noi gestiamo connettività che va oltre i confini nazionali. La sovranità nazionale vale per i service provider nazionali, non per chi, come noi, gestisce una rete internazionale. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 19/11/2021

05 Novembre 2021

Ruffinoni (Ntt Data Italia): «Pronti ad assumere 800 persone con profili Stem»

Java, cybersecurity, data intelligence, esperti di piattaforme Sap e cloud tra le competenze più ricercate Servono al più presto 800 nuovi profili con studi Stem che Ntt Data Italia, società che si occupa di system integration, servizi professionali e consulenza strategica, ha difficoltà a trovare. La fame di competenze nel digitale riguarda un po' tutti i livelli del settore in un momento in cui si profila un nuovo modo di lavorare, «una terza via», dice l'ad Walter Ruffinoni, tra presenza in ufficio e lavoro totalmente da remoto, aprendo nuove opportunità. Tra le figure più ricercate, spiega il manager a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) sono ruoli con competenze Java, cybersecurity, data intelligence, esperti di piattaforme Sap e cloud. Di quanti dipendenti in più ha bisogno oggi la vostra azienda? In Ntt Data le persone fanno la differenza, siamo un'azienda di persone costruita attorno alle persone. Ricercare, assumere e trattenere i talenti è una attività per noi cruciale: avere i migliori talenti ci permette di offrire i migliori servizi ai nostri clienti, che sono le medie e grandi aziende italiane e straniere. Nella mia visione di Italia 5.0 credo fortemente nella tecnologia come abilitatore di nuovi servizi e nuove esperienze che mettono l'uomo al centro. Abbiamo visto che la tecnologia ha anche abilitato nuovi modi di lavorare: l'esperienza di questi ultimi due anni ci sta insegnando che in futuro ci sarà una "terza via" al lavoro che non sarà totalmente in presenza in ufficio e nemmeno totalmente virtuale, ma un mix bilanciato tra i due e con anche la possibilità di usare nuovi spazi fluidi e dinamici condivisi da più aziende e gestite da nuove figure professionali. Queste nuove modalità di lavoro possono essere molto interessanti anche per i giovani che entrano nel modo del lavoro con la possibilità di coniugare la crescita professionale con la vita nei luoghi di origine. Il brand Ntt Data in Italia conta su 5.000 persone in otto città: Milano, Roma, Torino, Treviso, Genova, Pisa, Napoli e Cosenza e quest'anno cerchiamo almeno 800 profili con studi Stem. Che tipo di figure sono le più ricercate? Siamo focalizzati su laureandi e laureati in materie Stem (Scienze Tech Ingegneria e Matematica) nelle principali università italiane e straniere, ma la nostra attenzione si rivolge anche ai diplomati di istituti tecnici. Abbiamo infatti posizioni aperte per ruoli con competenze Java, cybersecurity, Data intelligence, esperti di piattaforme Sap e cloud per citarne alcune. Quest'anno con la nostra Excellence School abbiamo inoltre dato la possibilità per 80 studenti e studentesse in 4 facoltà dedicate alle professioni più ricercate, come programmazione, data intelligence, architetture cloud, cyber security e consulenza It della durata di 4 mesi, al termine dei quali, i partecipanti possono sostenere un esame di certificazione attinente alla faculty e hanno la possibilità di essere assunti in Ntt Data. L'Excellence School si rivolge sia ai giovani laureati dei corsi Stem triennali e magistrali, sia ai diplomati del settore informatico, è totalmente gratuita e costituisce una rilevante porta d'accesso al mercato del lavoro, fornendo non solo competenze tecniche e pratiche. Grazie a un mix di formazione da remoto, esperienze laboratoriali e un training on the job sotto la supervisione di tutor esperti, gli studenti potranno approfondire le proprie conoscenze teoriche, ma anche lavorare direttamente su sistemi e programmi. Ampio spazio anche per le soft skills attraverso laboratori di apprendimento innovativi, studiati appositamente per chi non ha esperienza nel mondo aziendale, e con l'obiettivo di inserire in azienda giovani professionisti con competenze a 360 gradi. Crediamo che la formazione debba essere valorizzata a tutti i livelli, e siamo impegnati da anni su questo fronte sia all'esterno sia all'interno. Che cosa si potrebbe fare per stimolare l'incontro tra domanda e offerta? La spinta verso la digitalizzazione dei servizi e dei prodotti se da un lato ha aiutato la nostra crescita, dall'altro sta generando uno skill gap che rende difficile trovare le risorse con competenze adeguate. Ogni anno siamo presenti in quasi tutte le Università sul territorio italiano e abbiamo anche docenze a diversi corsi universitari per raggiungere gli studenti più meritevoli. Con le università del territorio, infatti, il dialogo è molto stretto, e la popolazione aziendale beneficia periodicamente di programmi formativi pensati appositamente. Crediamo che la collaborazione aziende-università sia uno degli strumenti più efficaci per allineare la formazione delle competenze con le necessità delle aziende. Crediamo, inoltre, nell'educazione tecnologica sin da bambini: con il coding nelle scuole abbiamo portato il pensiero computazionale nelle primarie (oltre 2200 ore di lezione erogate dai volontari Ntt Data in oltre 100 istituiti in tutta Italia) e con progetti specifici dedicati all'utilizzo sicuro degli strumenti tecnologici per bambini e adolescenti.  SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 5/11/2021

05 Novembre 2021

«Per fare le reti mancano 20mila persone, i migranti sono un’opportunità»

Parla Umberto Pesce, presidente di Psc, che chiede un tavolo ad hoc con sindacati, banche e istituzioni Migranti per fare le reti, e scuole tecniche ad hoc per favorire l'inserimento dei giovani, anche stranieri nel mondo del lavoro, già dopo un primo biennio. È il mix di soluzioni che propone Umberto Pesce, presidente del gruppo di impiantistica Psc. All'appello, secondo Pesce, mancano 20mila persone specializzate, tra reti di tlc ed elettriche. Di fronte a questa necessità, condivisa negli ultimi giorni da vari membri del Governo, per mettere in grado le aziende del settore di far fronte alla richiesta del mercato, «occorre aprire al più presto – dice Pesce, recentemente nominato Cavaliere del Lavoro, a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) - un tavolo con istituzioni, banche e sindacati». L'obiettivo posto dal ministro dell'Innovazione e transizione digitale, Vittorio Colao, è infatti, quello di cablare l'Italia entro il 2026 e, dunque, la necessità di competenze, si farà sentire molto presto, una volta assegnate le gare. Come si può risolvere il problema della mancanza di risorse umane per costruire le reti in fibra e 5G? Quale ruolo può giocare il Governo? Il sistema Italia si è sempre basato su micro, piccole e medie aziende, dall'artigiano alle imprese fino a 50milioni di euro di ricavi. Questa spina dorsale del sistema è sparita, e le poche aziende rimaste sono in grande difficoltà economica. Per affrontare il mutato scenario e il bisogno di competenze, occorre, dunque, innanzitutto il supporto dello Stato. Occorre, ad esempio, semplificare il sistema degli appalti pubblici, risolvendo anche il problema dei continui ricorsi al Tar che bloccano i lavori. Si potrebbe prevedere che, una volta aggiudicato il lavoro e stipulato il contratto, qualora il Tar dovesse dar ragione alla società ricorrente, quest'ultima venga risarcita per il mancato utile raggiunto, senza bloccare i lavori. Oltre agli interventi dal punto di vista degli appalti, occorre un piano che riguardi l'assunzione e la formazione del personale. Tra reti tlc ed elettriche mancano infatti circa 20mila persone specializzate. Come formare in tempi brevi i lavoratori necessari? Occorre un'azione di concerto con i ministeri del Lavoro, Istruzione, della Pa, dell'Innovazione e della Trasformazione digitale, predisponendo delle scuole ad hoc che, dopo un primo biennio, formino già i ragazzi per un impiego specialistico, prevedendo, anche durante gli studi, il tirocinio in azienda. Un nodo fondamentale è poi dove reperire i giovani che vogliano fare questo percorso. Visto che in Italia c'è una mentalità molto progredita per cui le nostre famiglie desiderano per i propri figli un percorso di istruzione quanto più completo, si potrebbe ricorrere ai giovani stranieri. Abbiamo tanti giovani stranieri in Italia, migranti di buona volontà, ma sfruttati tante volte con il caporalato. Noi abbiamo bisogno della migrazione, per noi la migrazione è un'opportunità, e questo momento storico potrebbe essere una buona occasione per formare le persone e farle lavorare. Una specializzazione tecnica di cui potrebbe farsi carico lo Stato che poi recupererà con le tasse pagate da questi lavoratori una volta acquisito un contratto. Un altro problema che bisogna risolvere è quello della patrimonializzazione delle imprese del settore che non sono attualmente in grado di far fronte alla formazione di nuove competenze da sole. Occorre dunque, oltre a quello del Governo, il supporto delle banche, visto che non ci sono aziende che, senza aiuto, riescono a fare investimenti dei livelli richiesti. Una volta inserite le persone in azienda e realizzate le reti, al 2026 queste persone potrebbero essere utilizzate in diverso modo, ad esempio per la manutenzione dell'infrastruttura? Oggi stiamo facendo il passaggio dal rame alla fibra, ma il rame richiede molta manutenzione, il sistema della fibra ottica è, invece, completamente diverso. Una volta finita la rete, dunque, ci sarà il problema della sostenibilità per le imprese delle 20mila persone assunte. Per questo chiediamo un incontro, un tavolo con istituzioni, mondo bancario e sindacati al fine di individuare tutte le soluzioni. È un intervento che va concertato assieme. D'altronde dobbiamo preparare l'Italia al boom economico al quale non siamo più abituati, l'ultimo boom è stato nel dopoguerra e, secondo me, questo che stiamo vivendo è un "dopoguerra". SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 5/11/2021

05 Novembre 2021

Italtel e Sirti a Colao: «Per realizzare il Pnrr servono 80% di occupati in più»

Nel documento preparato dalle due aziende si chiedono anche contratti pluriennali e adeguato livello dei prezzi Contratti pluriennali in linea con gli investimenti, meccanismi premianti per il ri-uso delle infrastrutture esistenti, obbligo di apertura a tutti gli operatori non solo a quelli con significativa forza di mercato, quadro normativo semplificato e adeguato livello dei prezzi. Sono tra le richieste che Sirti e Italtel hanno messo nero su bianco, secondo quanto risulta a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) in un documento consegnato al ministero dell'Innovazione e della Transizione digitale, guidato da Vittorio Colao. Il nodo è come reperire le oltre 10mila figure mancanti Per realizzare gli investimenti in fibra e 5G è necessario, spiegano le società, l'80% in più dell'attuale livello occupazionale delle aziende di rete. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza, d'altronde, destina il 27% delle risorse alla transizione digitale, ovvero 6,7 miliardi per la strategia italiana per la banda ultra larga entro il 2026. Di recente Colao ha annunciato che da gennaio prossimo partiranno le gare per la fibra, e subito dopo quelle per il 5G; ne seguirà, ha detto il ministro, la creazione, appunto, di 10-15 mila nuovi posti di lavoro per la realizzazione dell'infrastruttura. Il nodo ora è come creare questa occupazione e, secondo quanto spiegano gli addetti del settore, come utilizzare poi l'80% di occupazione in più, una volta realizzati gli investimenti. Delle due società, l'una, Italtel, oggetto del salvataggio da parte del gruppo Psc, l'altra controllata dal fondo Pillarstone che intenderebbe valorizzarla, hanno presentato al Ministero dei numeri precisi: le risorse richieste nel campo della progettazione sono attualmente circa mille; i piani cumulati degli operatori assieme a quelli previsti dal Pnrr richiedono la disponibilità di circa 800 persone aggiuntive. Per la realizzazione delle reti l'attuale disponibilità di personale specializzato è pari a 12mila unità: la necessità per i prossimi anni è di altre 10mila persone, con un incremento, per l'appunto, pari all'80 per cento. Occorre un quadro amministrativo, normativo e di mercato che consenta di assumere Ma non basta avere il personale per realizzare le infrastrutture, occorre inoltre, secondo le aziende, un quadro normativo, amministrativo e di mercato che consenta alle imprese di assumere e investire. Innanzitutto le società chiedono contratti pluriennali che siano in linea con l'estensione temporale dei piani al fine di consentire alle imprese gli opportuni investimenti in competenze e strumenti che assicurino la realizzazione degli stessi. Ridurre il numero di pratiche amministrative e tempi di attesa Bisogna inoltre ridurre il numero delle pratiche amministrative e i relativi tempi di attesa per il loro espletamento che hanno impatti negativi sul raggiungimento delle milestone previste, pena la perdita del finanziamento. Anche le imprese di rete, come le telco ultimamente, toccano il tema dei prezzi. Temi peraltro correlati perché coi prezzi più alti praticati dalle telco, e ricavi maggiori, probabilmente anche le gare per le aziende di rete presenterebbero prezzi più alti. Di recente Luigi Gubitosi, ad di Tim, ha annunciato l'intenzione del gruppo di alzare i prezzi offerti ai clienti e il ministro Colao, all'evento Asstel-Telecomunicazioni sul quadro del comparto, ha invitato i vertici delle società a «guardarsi negli occhi» visto che «i prezzi non li fanno i politici né i regolatori». Evitare le gare al massimo ribasso Di fronte a questo scenario, le aziende di rete chiedono dunque un adeguato livello dei prezzi, evitando approcci al massimo ribasso e offerte anomale, per preservare la remunerabilità degli investimenti richiesti all'industria, come ad esempio il reclutamento e la formazione di nuovo personale, l'aumento dei costi delle materie prime e della componentistica. Un'ultima richiesta riguarda il tema della fatturazione e dei pagamenti: le imprese suggeriscono su questo fronte l'allineamento agli standard europei, sia per quanto attiene al valore riconosciuto all'industria sia per quanto riguarda i tempi di fatturazione e pagamento che seguono la progressione delle opere. In Francia, ad esempio, ricordano Sirti e Italtel, ci sono prezzi superiori in media del 25 per cento. Tutto ciò per farsi trovare pronti nel secondo semestre del 2022 quando verranno assegnati i bandi delle gare previste dal Pnrr e saranno avviate le fasi di implementazione dei progetti e lo sviluppo dell'infrastruttura in banda ultra larga.  SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 5/11/2021

05 Novembre 2021

«Formazione sia continua, anche attraverso piattaforme ispirate all’entertainment»

Parla Elisa Zambito Marsala, ad di IntesaSanpaolo Formazione, a DigitEconomy.24, report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School Da elemento straordinario della vita professionale a elemento imprescindibile e continuo. Così è cambiata la formazione, soprattutto nel post pandemia, secondo quanto sottolinea Elisa Zambito Marsala, ad di IntesaSanpaolo Formazione, realtà che nel corso della sua attività ha coinvolto oltre 19mila tra giovani e professionisti e più di 4500 aziende con l'erogazione di oltre 660mila ore formative. Oggi la formazione va erogata con modalità sempre nuove, comprese le piattaforme ispirate a quelle dell'entertainment tipo Netflix, accessibili da ogni device, che garantiscono una modalità immersiva. In Italia nel 2020 investimenti inferiori rispetto alla media europea «In passato – spiega l'ad a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) – gli investimenti in formazione effettuati in Italia sono stati inferiori rispetto al contesto europeo: nel 2020 il 4% del Pil rispetto al 4,6% della media dei Paesi europei. Oggi la formazione è una priorità per il Paese, abilita il cambiamento e supporta le imprese nel rendere sostenibile il business in mercati in continua evoluzione. Come gruppo proponiamo una nuova filosofia di formazione, costante e continua, lavorando in partnership con eccellenze italiane, università, associazioni. Attiviamo collaborazioni per percorsi formativi di qualità proponendoli a imprenditori e manager, facilitandone l'accesso sia in termini economici sia di modalità di fruizione, facendo squadra con l'ecosistema nei diversi territori». Importanza della formazione riconosciuta nel Pnrr, per Italia momento magico L'importanza della formazione è riconosciuta e sottolineata anche a livello di Pnrr. «Sono previsti circa 17 miliardi a supporto di istruzione, formazione, ricerca. Il Paese ha, quindi, una grossa opportunità per poter approcciare la formazione secondo un nuovo modello, vivendola in maniera più integrata con la vita professionale, con nuove modalità di fruizione». In particolare, il Pnrr ha identificato, ricorda l'ad, vari ambiti, dalla digitalizzazione alla sostenibilità. Occorre, dunque, stimolare la progettazione e individuare nuove forme di offerta per le imprese. Big data e Ai tra gli ambiti per cui c'è maggior bisogno Gli ambiti sui quali c'è maggiore bisogno di competenze sono quelli tecnologici, con big data e intelligenza artificiale in primis, ma anche quelli legati alle soft skillls, come comunicazione, evoluzione della leadership, sostenibilità, economia circolare e poi principi Esg, project management e decision making.Dal canto suo, Intesa Sanpaolo Formazione nel primo semestre 2021 ha promosso 22 corsi, con circa 500 aziende coinvolte e oltre 2500 ore di formazione erogate. Inoltre, grazie alla partnership con Luiss Business School prenderà il via l'Executive programme in gestione e innovazione d'impresa rivolto a imprenditori, manager e responsabili di funzioni aziendali che desiderano rafforzare le proprie competenze per una gestione innovativa e sostenibile dell'azienda. Per fine novembre partiranno le prime edizioni. «L'offerta con la Luiss Business School prevede 14 moduli, dura 5 mesi, e contempla anche testimonianze aziendali. Viene erogata – spiega Zambito Marsala - in modalità digitale, ma prevede momenti in presenza, importanti a dare valore al network, da sempre plus dei corsi di alta formazione». Imprese più recettive rispetto al passato Di fronte alle nuove offerte formative, le aziende oggi sono più ricettive che in passato. «Registriamo una risposta importante, è cambiata la percezione, ed è cambiata – aggiunge la manager - la modalità di erogazione della formazione». A questo proposito Intesa Sanpaolo investe nelle nuove piattaforme, che si ispirano a quelle di entertainment «applicate all'education. L'esperienza educativa deve essere sempre più immersiva, appealing, integrata nella vita delle persone. Vi si può accedere da qualsiasi dispositivo, in qualsiasi momento. Attraverso un portale, prima dell'estate scorsa, abbiamo lanciato una nuova versione della piattaforma Skills4Capital per le imprese, che garantisce un elevato livello di personalizzazione, esperienza multicanale e contenuti digitali sempre aggiornati». In generale, in ambito formazione, Intesa Sanpaolo continua «a progettare, indirizzare nuovi percorsi, guardare ai nuovi trend internazionali». Nella certezza che la formazione, conclude Zambito, è diventata parte integrante della vita di ogni professionista. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 5/11/2021

05 Novembre 2021

Condivisione degli investimenti e formazione per cablare l’Italia entro il 2026

Esperti e manager dicono la loro sulla necessità di reperire oltre 10mila persone per realizzare le infrastrutture Davanti alla deadline ravvicinata del 2026, c'è la necessità di reperire le competenze necessarie per costruire le reti di tlc, pensando anche a come impiegarle, in maniera diversa, una volta cablata l'Italia. Esperti, manager e imprenditori condividono la necessità di dare una risposta di sistema al bisogno di reperire oltre 10mila figure specializzate per stendere la fibra e realizzare le reti 5G. «Una problematica – spiega Stefano da Empoli, presidente di I-Com, Istituto per la Competitività - è quella di trovare persone con le competenze adatte alle sfide che si stanno affrontando, un numero di figure tecniche che deve aumentare nel giro di pochissimo. Inoltre, bisogna prepararsi, una volta formate le persone e fatti gli investimenti, alla fase di rallentamento che tra qualche anno, post Pnrr, si prevede, cominciando sin da ora a immaginare come utilizzare le competenze che potrebbero tornare utili anche nella fase successiva». Da Empoli (I-Com): puntare sulla condivisione delle opere Per risolvere la prima questione, da Empoli suggerisce di puntare sugli accordi tra gli attori del sistema, sulla condivisione delle opere, in modo tale da ridurre la domanda di figure specializzate. Per il secondo tema propone di «incentivare i percorsi di reskilling e upskilling all'interno delle aziende» e immaginare un potenziale assorbimento di una parte delle competenze che risultasse in eccesso in settori affini come quello della transizione ecologica. «Le aziende, in ogni caso, vanno aiutate, perché viene loro richiesto uno sforzo ingente con deadline ravvicinata». Per Opilio (Fondo Cebf) occorre un modello simile a quello adottato per l'energia La soluzione secondo Roberto Opilio, ex capo della rete di Tim e oggi director Italia e Sud Europa del Fondo Cebf, passa anche dall'evitare «la duplicazione degli investimenti da parte di Tim e Open Fiber, ragionando quindi sui co-investimenti. Duplicare gli investimenti, infatti, penalizza il piano di capacità produttiva, e bisogna anche tener conto che Open Fiber sulle aree bianche è già in ritardo. Il Governo potrebbe dunque adoperarsi invitando i due maggiori competitor a scegliere un modello di suddivisione degli investimenti, come nel campo dell'energia. D'altronde alle aziende di rete non va bene un picco di investimenti che finisce nel 2026 perché temono di dover formare migliaia di persone che poi, a fine piano, si ritroveranno sul groppone». Caroppo (Solutions 30): «Basta alle gare al massimo ribasso» Solutions 30, una delle aziende di rete presente in Italia con circa 700 dipendenti, è pronta, qualora ci fossero le condizioni, a fare investimenti. Secondo Antonio Caroppo, una carriera in Sirti e in altre aziende del settore, oggi presidente di Solutions 30 Italia, per mantenere in piedi il comparto occorre innanzitutto dire «basta alle gare al massimo ribasso. Solutions 30 ha in programma di investire molto in Italia, ma ci devono essere le condizioni. Al momento abbiamo assunto 300 dipendenti in sette mesi, ne avevamo 400, e siamo arrivati dunque a 700 dipendenti. Solo relativamente al contratto da 200 milioni firmato con Telecom per cablare Piemonte e Valle d'Aosta in associazione con un gruppo spagnolo, abbiamo bisogno di 300 persone e non sappiamo dove trovarle». Un altro problema grosso è la difficoltà a reperire personale che dal Sud si trasferisca al Nord dove c'è il deficit più forte. «Si fa fatica – spiega il manager - per due ragioni: le attività sono partite in tutta Italia, anche in campo elettrico con società come Enel, Terna, e la gente, dunque, avendo il lavoro a casa non ha necessità di spostarsi. Un altro deterrente è il reddito di cittadinanza che, pure necessario, scoraggia le persone a trasferirsi». Se a tutto ciò si aggiunge la difficoltà di trovare giovani italiani da impiegare nella costruzione delle reti, per Caroppo «va valutata l'ipotesi di ricorrere ai migranti e di lavorare in stretta connessione con università e istituti tecnici per formare i giovani». In conclusione, considerata la difficoltà a reperire i materiali sempre più costosi a causa dell'aumento del costo delle materie prime, «occorre aprire un tavolo con i ministeri coinvolti e gli esperti delle aziende di rete al fine di trovare una soluzione complessiva. Se non si fa tutto questo, non si riuscirà a centrare l'obiettivo del 2026 fissato da Colao per la realizzazione dell'infrastrutturazione in fibra». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 5/11/2021

22 Ottobre 2021

Asstel: per rilanciare le telco «puntare su servizi digitali e nuovi mercati»

L'intervista al presidente dell'associazione, Massimo Sarmi Puntare su nuova progettualità e produzione di servizi digitali per rilanciare la crescita del settore telco; più semplificazione, in vista dei nuovi bandi, per velocizzare la costruzione delle reti ad alta capacità; e l'auspicio di un aiuto esterno, pubblico, per il fondo bilaterale del settore finalizzato a formazione e riqualificazione. Sono i messaggi chiave dell'intervista a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) di Massimo Sarmi, presidente di Asstel, associazione della filiera delle telco, al fine di realizzare il cambio di passo di un comparto che dà lavoro a circa 130mila dipendenti, ma che sta soffrendo il calo dei ricavi. Secondo gli ultimi dati del rapporto Mediobanca, nei primi sei mesi del 2021, il fatturato dei gruppi italiani di tlc è sceso di 320 milioni rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso. In vista del Forum nazionale delle telecomunicazioni organizzato per il 28 ottobre, Sarmi rimarca inoltre che, di fronte alla necessità di nuove competenze e investimenti «è necessario pensare alla formazione, continua e certificata, come un diritto-dovere per i lavoratori nell'ottica di favorire una ancora più spiccata capacità di innovazione e la creazione di valore». Il settore delle tlc sta affrontando una serie di investimenti legati alla digitalizzazione, tra ricavi in sofferenza e competizione crescente. Come rilanciare la crescita? Che ruolo può giocare il Pnrr? La pandemia ha rafforzato il bisogno di connettività, quale fattore essenziale e strategico per il Paese. Un uso maggiore della rete non ha però coinciso nel 2020 con un aumento di ricavi per l'industria delle telecomunicazioni, che risentendo degli effetti connessi a una forte competitività tra i numerosi attori coinvolti, ha registrato, nel tempo, una progressiva flessione dei ricavi. Nonostante ciò, gli investimenti infrastrutturali realizzati dalla filiera, restano significativi. Un impegno in linea con la sfida che il nostro Paese ha accolto con il Pnrr e che passa dalla realizzazione di infrastrutture, dagli investimenti a sostegno dell'innovazione e da un rapido sviluppo di nuove generazioni di servizi concreti a supporto di imprese e cittadini. Per far sì che il processo di digitalizzazione rappresenti un'occasione di crescita per un'Italia che vuole tornare a essere leader in Europa e nel mondo, bisogna intervenire su fattori prioritari, capaci di far evolvere l'intera struttura sociale del presente e, soprattutto, del futuro. E in questa direzione è necessario riattivare il circuito virtuoso tra competenze, innovazione, investimenti, servizi, generazione e ridistribuzione della ricchezza. L'obiettivo è di puntare su una progettualità nuova e sulla produzione di servizi digitali per rendere più efficaci ed efficienti i processi interni, ma anche aprire a nuovi business e a nuovi mercati. La formazione delle persone al digitale è uno degli elementi più importanti per stare al passo con le richieste del mercato. A che punto è il lavoro delle aziende? Nel 2020 la filiera delle telco ha coinvolto in attività formative il 100% delle dei suoi lavoratori, per una media di 5-6 giornate che nel 2021 sono salite a circa 9, puntando a un aumento progressivo anche nei prossimi 4-5 anni. Si tratta di interventi formativi a beneficio di oltre 100.000 dipendenti con una spesa di circa 100 milioni di euro fino al 2025, per un investimento complessivo legato al ricambio generazionale e per le attività di formazione superiore a un miliardo di euro. È necessario, quindi, pensare alla formazione, continua e certificata, come un diritto-dovere per i lavoratori nell'ottica di favorire una ancora più spiccata capacità di innovazione e la creazione di valore. La scuola e l'istruzione universitaria sono indiscusse protagoniste, ma il futuro richiede un processo di aggiornamento dei modelli educativi - con particolare attenzione agli istituti tecnici ed agli istituti tecnici superiori, nonché ai corsi di laurea universitari, triennali e magistrali, delle facoltà scientifiche (Stem) e dei politecnici - che rispondano velocemente ai mutamenti, determinati dalla trasformazione digitale, del contesto economico e sociale del Paese. Per questo sarebbe importante sviluppare e impartire programmi didattici su vasta scala di "Innovazione Digitale" sin dalla scuola primaria per avere cittadini pienamente e consapevolmente digitali. Il settore è in evoluzione e così le professionalità richieste; servono dipendenti specializzati, come i giuntisti, per la stesura delle reti. Come risolvere questa situazione? Bisogna sostenere l'innesto di giovani all'interno delle nostre imprese, sia laureati in ambito Stem, sia di periti e figure tecniche come appunto i giuntisti. In Italia il numero di laureati rimane tra i più bassi in Europa, con un evidente mismatch tra domanda e offerta. Molto importanti, dunque, gli investimenti previsti dal Pnrr volti a rafforzare l'istruzione professionale. Una risposta concreta è fornita da Asstel insieme con le organizzazioni sindacali, nell'accordo di rinnovo del contratto collettivo nazionale delle Tlc, con la previsione del fondo di Solidarietà bilaterale per la filiera delle telecomunicazioni che, nell'ambito di uno schema di co-finanziamento imprese-lavoratori, potrà contribuire al riequilibrio della filiera offrendo anche agli interventi contingenti una prospettiva non più emergenziale, ma di risoluzione strutturale dei processi di trasformazione e transizione verso lo sviluppo tecnologico a beneficio di imprese e lavoratori. Il nostro auspicio è di un supporto economico esterno, aggiuntivo al finanziamento da parte di imprese e lavoratori, che ne acceleri, soprattutto in fase di avvio, la piena operatività. A breve si entrerà nel vivo delle gare per la realizzazione della banda ultra-larga nelle aree grigie e per il 5G. Quali suggerimenti può dare Asstel al Governo per quanto riguarda la preparazione dei bandi, visti i ritardi nell'infrastrutturazione soprattutto nelle aree bianche? Per rispondere alla sfida dell'innovazione è necessario assicurare la disponibilità di reti Vhcn (very high capacity network, ovvero ad alta capacità, ndr), come Ftth, Fwa e 5G nei tempi previsti per la realizzazione dei progetti di trasformazione digitale contemplati dal Pnrr stesso. Il nostro suggerimento alle istituzioni è di proseguire nel dialogo intrapreso per portare a compimento la missione di digitalizzare il Paese attraverso, in particolare, lo sviluppo di un'infrastruttura ultrabroadband ad altissima velocità fissa e mobile nel minor tempo possibile e di favorire il processo di semplificazione del sistema di norme che regola il settore, in passato abbiamo assistito a interventi di semplificazione normativa rimasti disattesi. È importante che le ultime norme di semplificazione vengano recepite concretamente sul territorio, per velocizzare l'apertura dei cantieri e consentire una realizzazione rapida delle infrastrutture SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 22/10/2021

22 Ottobre 2021

Consorzio Italia Cloud: «Interessati alla Nuvola di Stato, con noi anche Insiel»

L'intervista a Marco Bruni, ad di Sourcesense e amministratore di Consorzio Italia Cloud Il Consorzio Italia Cloud è ancora nella partita della Nuvola di Stato. E, nonostante non abbia presentato la proposta entro la scadenza del 30 settembre, ha continuato e continuerà a dialogare con il ministero dell'Innovazione guidato da Vittorio Colao nell'ottica di presentare una proposta. Inoltre, come racconta Marco Bruni, presidente e amministratore delegato di Sourcesense, nonché consigliere di amministrazione del consorzio, a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School), nella compagine è appena entrata la prima società in-house, Insiel, che progetta, realizza e gestisce servizi informatici per conto della Regione Friuli-Venezia-Giulia in collaborazione e sinergia con il territorio. Altri ingressi sono previsti nella compagine di cui fanno già parte oltre a Sourcesense, Seeweb, Infordata, Babylon Cloud, Eht e NetaliaIl.  «Giochi ancora aperti, daremo il nostro contributo alla discussione» Dopo aver ricevuto rassicurazioni sulla procedura che sarà seguita e sulla possibilità di partecipare ancora, il consorzio, che non aveva presentato una proposta entro la scadenza poiché non aveva ancora chiare le caratteristiche della gara, ha deciso di andare avanti. Entro il 30 settembre sono state, ivnece, presentate due proposte, quella di Almaviva- Aruba e quella di Tim, Sogei, Leonardo e Cdp. «In realtà – spiega Bruni – i giochi sono ancora aperti, daremo il nostro contributo alla discussione in corso sul modello da adottare. E riteniamo molto importante l'adesione al consorzio della società in house, così come le adesioni che auspichiamo seguiranno nell'ottica di una proposta alternativa e praticabile». D'altronde, prosegue Bruni, «è emerso uno scenario più aperto di quanto apparisse inizialmente quando sembrava si sarebbe scelta una proposta e il proponente si sarebbe trovato in pole position. In realtà non è così». «Occorre prendere in considerazione le infrastrutture già esistenti» Secondo il consorzio, il modello da utilizzare non dovrebbe basarsi sulla creazione di un'infrastruttura ex novo, ma sulla federazione delle infrastrutture e dei servizi già esistenti. «Non bisogna considerare l'opportunità della gara come la realizzazione soltanto di una nuova infrastruttura con certe caratteristiche, ma bisogna prendere in considerazione le infrastrutture certificate che ci sono già. Secondo noi, cioè, dovrebbe essere posto l'accento sulla federazione di servizi già esistenti, facendo molta attenzione al valore effettivo dei dati che il cloud andrà a gestire. Si tratta, infatti, dei nostri dati, dati importanti che hanno anche un valore economico rilevante e dobbiamo proteggerli, evitando di farli andare in mano agli hyperscaler americani che hanno già tanti nostri dati, e che acquisterebbero così anche quelli sensibili». Da una parte, dunque, bisogna prestare molta attenzione «alla fase di categorizzazione dei dati», dall'altra occorre «considerare che ci sono già tante, forse troppe, infrastrutture cloud; bisogna, invece, sfruttare bene quello che c'è e ha già i giusti livelli di sicurezza». «Importante che la giurisdizione dei gestori del cloud sia quella italiana» L'interrogativo, infine, riguarda il fatto se «valga la pena di mettersi nella condizione di affidare i nostri dati a soggetti che giuridicamente non rispondono al nostro Stato; è importante, cioè, che la giurisdizione a cui sono sottoposti i gestori del cloud sia quella italiana, non estera. Oggi ci sono già leggi estere che consentono di acquisire i dati, come il Cloud Act americano, e ce ne potrebbero essere altre. Inoltre, quando parliamo di hyperscaler pensiamo ai big americani, ma sono da considerare anche i cinesi. In conclusione, qualunque Stato sovrano può cambiare le proprie leggi e imporre ai soggetti che sono nelle loro legislazioni di adempiere a certe richieste: è il rischio più grande, da evitare, che si corre con il cloud». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 22/10/2021

22 Ottobre 2021

«La regolazione può favorire gli investimenti delle tlc, per Ott servono nuove norme»

A fare il punto è Elisa Giomi, commissaria Agcom. Intanto la prima grande mappatura dell'ecosistema digitale slitta al 2022 Per il settore delle telco, i cui ricavi sono in calo, la regolazione può «porre condizioni pro-competitive per favorire gli investimenti di tutti come, per esempio, nel caso dell’intervento dell’Autorità per lo sviluppo delle reti ad altissima capacità in fibra ottica di Tim e Open Fiber». E mentre la conclusione della prima indagine per mappare l’intero ecosistema digitale è slittata al 2022, nei confronti degli Over the top «l’adozione di nuove norme ci dovrebbe consentire di intervenire» in situazioni che «per definizione sfuggono ai classici paradigmi normativi». A fare il punto su alcuni dei grandi temi trattati oggi dall’Agcom, è la commissaria Elisa Giomi, nei mesi scorsi, tra l’altro, nominata rappresentante del ‘Chapter’ italianio dell’Iic, associazione internazionale che riunisce regolatori, istituzioni e operatori. Da questo punto di osservazione la commissaria vede «grandi opportunità derivanti dallo sfruttamento di esternalità positive, che potrebbero originarsi dalla capacità delle reti di nuova generazione di dare ai cittadini, ai lavoratori e agli utenti finali nuovi e migliori servizi online», come spiega nell’intervista a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School). Commissaria Giomi, come sta cambiando l’uso della comunicazione a livello italiano ed europeo? Quanto ha inciso e sta incidendo la pandemia e quali i rischi maggiori? Mi sembrano molto interessanti i dati presentati questa settimana dal Censis nel rapporto “La digital life degli italiani”, che raccontano di un Paese in cui il 71,7% degli utenti svolge ovunque le proprie attività digitali, arrivando al 93% quando parliamo di giovani. A livello mondiale, l’Italia risulta al 10° posto per digital divide e al 5° posto in Europa (fonte: The Inclusive Internet Index). Per le reti o nell’uso della comunicazione non vedo rischi significativi causati dalla pandemia. Piuttosto vedo grandi opportunità derivanti dallo sfruttamento di esternalità positive, che potrebbero originarsi dalla capacità delle reti di nuova generazione di dare ai cittadini, ai lavoratori e agli utenti finali nuovi e migliori servizi online. A inizio anno l’Autorità ha avviato una ricognizione sistematica delle criticità che emergono dall’evoluzione continua dei servizi erogati dalle piattaforme online, indagine di cui lei è relatrice. A che punto siamo? La disciplina che applichiamo oggi ha come presupposto una direttiva del 2000, decisamente datata, e ci sono state solo delle misure episodiche. Dunque, abbiamo avviato un’indagine conoscitiva con una formula innovativa che mapperà l’ecosistema digitale in tutte le sue componenti. La sfida è di individuare tutte -le principali problematiche e benefici che le piattaforme possono generare alla collettività per fornire un quadro utile all’adozione di eventuali correttivi normativi mirati e proporzionati. Abbiamo concluso la fase di individuazione dei servizi infrastrutturali e stiamo per concludere quella di individuazione delle misure legislative vigenti. La conclusione dell’indagine inizialmente prevista per la fine del 2021 subirà uno slittamento al 2022. L’Autorità ha gli strumenti necessari per gestire le sfide regolatorie alla luce del nuovo assetto dell’ecosistema digitale che si sta delineando e del sempre più importante ruolo degli Over The Top come Google, Facebook o Amazon? Disponiamo di una pluralità di competenze difficilmente replicabili, ma il punto è piuttosto garantire che queste competenze siano aggiornate. Non si può negare che se le norme non sono adeguate, una risposta incisiva è difficile da mettere in campo. Dunque, se per alcuni aspetti mi sento di dire che siamo già pronti, per altri ritengo necessario attendere innanzitutto il recepimento delle direttive europee in discussione in Parlamento. L’adozione di nuove norme ci dovrebbe poi consentire di intervenire nei confronti dei soggetti Over The Top che per definizione sfuggono ai classici paradigmi normativi, anche in termini di competenza territoriale delle autorità nazionali. Il settore delle telco mostra ricavi complessivi ancora in calo, come mostra l’ultima indagine di Mediobanca e, al contempo, le società sono chiamate a ingenti investimenti per l’infrastrutturazione. Di fronte a questa situazione che ruolo può giocare la regolazione? Non sono convinta che una riduzione dei ricavi sia necessariamente un segno di sofferenza del settore e neanche che la concorrenza sui prezzi tra imprese possa avere effetti così negativi come paventato. In questo senso, i fattori che concorrono a determinare la riduzione dei ricavi possono essere positivi. Si pensi alla riduzione dei ricavi che segue a una diminuzione regolata dei costi degli input di produzione, oppure alla riduzione dei prezzi per effetto delle dinamiche concorrenziali, con evidenti benefici per i consumatori. Osservo comunque, a dimostrazione dell’alto livello di concorrenza presente nel nostro Paese e dei suoi effetti sul mercato, che da una lettura attenta dei dati, la riduzione dei ricavi non ha riguardato i nuovi operatori entranti e neanche quelli che più hanno investito. La regolazione non può e non deve certo avere un ruolo di riequilibrio dei ricavi degli operatori ma può invece porre condizioni pro-competitive per favorire gli investimenti di tutti come, per esempio, nel caso dell’intervento dell’Autorità per lo sviluppo delle reti ad altissima capacità in fibra ottica di Tim e Open Fiber. Durante la pandemia l’Agcom ha monitorato la tenuta delle reti di telecomunicazioni con l’obiettivo di assicurare la massima copertura possibile nel Paese. Il digital divide non è però ancora stato eliminato, che cosa può fare ora l'Autorità? È chiaro che quando si affrontano cambi tecnologici così radicali, come il passaggio dalle reti in rame alle reti in fibra ottica e dalle varie tecnologie di rete mobile alla rete 5G, si possono creare nuove forme di digital divide, ma dato lo scenario attuale e quello prospettico, si può ragionevolmente ipotizzare che le future generazioni, rispetto a quelle passate, soffriranno meno le problematiche legate all’esclusione sociale derivanti dalla carenza di connettività. Come società credo che non siamo riusciti a interiorizzare i nuovi modelli di vita e di lavoro che abbiamo dovuto faticosamente improvvisare con il lockdown. Lo smart working, ad esempio, si è rivelato misura funzionale alle esigenze delle imprese e confido che sarebbe capace, opportunamente regolato, di migliorare la vita individuale e collettiva, facilitando il work-life balance, contribuendo a riequilibrare le disuguaglianze di genere nella divisione del lavoro domestico e di cura, riducendo il traffico e quindi l’inquinamento. Altrettanto vale per la didattica a distanza, che dopo l’investimento economico di famiglie e scuole nella dotazione tecnologica e dopo l’impegno di docenti, studenti e genitori nell’apprenderne il funzionamento, adesso dovrebbe essere misura attivabile all’occorrenza per aiutare chi per varie ragioni, si trovi impossibilitato ad andare a scuola, in università o a fare lezione. Certo, queste sono scelte politiche che trascendono Agcom ma che ci vedrebbero pronti a dare il nostro contributo, e che già ci trovano impegnati in prima linea attraverso i Co.re.com., nostre emanazioni territoriali attivissime nella alfabetizzazione mediale e nella sensibilizzazione di scuole e famiglie.  SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 22/10/2021

22 Ottobre 2021

Reevo punta su gare cloud, a fianco di Almaviva e Tim per bando Consip da 585milioni

L'azienda, quotata all'Aim, interessata anche ad affiancare le aziende che si aggiudicheranno il progetto di Polo strategico nazionale Non c’è solo il polo nazionale strategico nella partita italiana del Cloud a cui sono interessate tutte le aziende del comparto. Reevo, provider quotato al circuito Aim di Borsa Italiana, punta, più che sulla costruzione delle infrastrutture e dei data center, sulle gare per i servizi cloud e cybersecurity e partecipa, secondo quanto risulta a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School), in cordata con Almaviva, Tim, Kpmg e Net Group alla gara Consip da 585milioni per i servizi di sicurezza da remoto, di compliance e controllo per le pubbliche amministrazioni. Una gara divisa in due lotti, da 468 e 117 milioni. Interessati al progetto di polo strategico e a essere a fianco delle aziende aggiudicatarie «Reevo – spiegano Antonio e Salvatore Giannetto, rispettivamente amministratore delegato e presidente della società – ha intenzione di posizionarsi come cloud e cybersecurity provider per la protezione dei dati delle aziende italiane e delle pubbliche amministrazioni. Offriamo sia sistemi cloud sia servizi di cybersecurity messi a disposizioni delle infrastrutture della Pa che non sono in grado di proteggerle». Ciò non toglie che Reevo è, seppur indirettamente, interessata al progetto di polo strategico nazionale per il quale, peraltro, partecipano in due cordate diverse sia Tim sia Almaviva, entrambe aziende con le quali si è presentata per la gara della Consip. «Il nostro primo obiettivo è partecipare attivamente al polo strategico nazionale, tramite l’erogazione di servizi cloud e cybersecurity, al fianco delle aziende che si aggiudicheranno la gara per portare loro valore per la costruzione delle infrastrutture e dei data center nazionali». Estrema attenzione a cybersecurity, c'è molto da fare per proteggere dati della PA  Tornando alle gare, spiegano Antonio e Salvatore Giannetto, quella Consip «è la più grossa a cui stiamo partecipando, pensiamo che la strategia nazionale sia quella di creare accordi quadro, ci aspettiamo sempre meno gare piccole, e sempre grandi più accordi quadro gestiti dalla Consip». La gara da 585 milioni, peraltro, ha rilevanza poiché negli ultimi mesi, anche alla luce dei numerosi attacchi hacker registrati dalla pa, «c’è estrema attenzione sulla cybersecurity, e dal punto di vista tecnologico c’è molto da fare – concludono - per proteggere i dati della pubblica amministrazione».  SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 22/10/2021