19 Ottobre 2022
Dalla gestione dello skills mismatch alle leve motivazionali per tornare a essere attrattivi: l’analisi e i consigli di Hotels Doctors per una vera “ripartenza” incentrata sulle risorse umane
Intervista a Gabriele Gneri, Managing Director di Hotels Doctors, partner della nuova edizione dell’Executive Programme in Hotel Management della Luiss Business School, realizzata dalla giornalista Silvia De Bernardin, per Job in Tourism l'8 settembre 2022
Doveva essere l’estate della ripartenza post-Covid. È stata – anche – l’estate nella quale le strutture ricettive hanno dovuto fare i conti con una mancanza generalizzata di personale alla quale, superata in qualche modo l’alta stagione, dovranno ora trovare soluzioni di sistema, capaci di andare oltre l’emergenza.
Investimenti sulla formazione e una rinnovata attenzione alle persone e ai loro bisogni possono rappresentare una formula vincente per Gabriele Gneri, Managing Director di Hotels Doctors. La società di consulenza strategica, che affianca e supporta gli hotel per il miglioramento e lo sviluppo del business, sarà partner della nuova edizione dell’Executive Programme in Hotel Management della Luiss Business School, in partenza a novembre.
Non è stata un’estate facile per gli alberghi dal punto di vista del personale.Perché tutti sembrano “scappare” dal lavoro alberghiero?
È un problema che avevamo iniziato a percepire già prima della pandemia, ma che quest’anno si è mostrato in tutta la sua drammaticità. Si tratta di un fenomeno globale, che ha radici culturali e sociali profonde e che meriterebbe un grande approfondimento, ma volendo semplificare potremmo dire che pare che le nuove generazioni abbiano una concezione diversa del lavoro: per loro non è più uno strumento di autoaffermazione, ma la possibilità di sostentarsi per fare altro, le persone giovani sono molto più attente al cosiddetto life balance, alla sostenibilità, all’idea di poter contribuire con il proprio lavoro al bene del mondo. E fanno fatica a fare piani a lungo termine. Se aggiungiamo poi che in diverse culture il lavoro manuale e di servizio è considerato meno “dignitoso” e di minor valore, capiamo che siamo di fronte a un profondo cambio di paradigma.
Poi, è arrivata la pandemia…
La pandemia ha fatto capire a molti che il turismo è un settore fragile e forse poco affidabile, per questo moltissimi lavoratori – anche con competenze importanti – abbandonati in pandemia dalle imprese del turismo si sono trasferiti in altri settori considerati più stabili o sicuri, come la logistica.
Ma ci sono altri fattori che contribuiscono alla difficoltà di reperire il personale, soprattutto stagionale: le caratteristiche del nostro lavoro (si lavora molto e nei giorni festivi, spesso in condizioni di stress estremo), la politica retributiva delle imprese turistiche, il calo demografico, il sistema dei sussidi al reddito, la cattiva immagine che questo settore da di sé e, non ultima, la mancanza di un sistema di incentivi e percorsi di carriera per i nuovi assunti. Non credo si tratti di un problema passeggero legato a questa stagione, penso piuttosto che siamo di fronte a una profonda crisi, che durerà molto e richiederà innovazione e trasformazione dei modelli di business.
Anche lì dove il personale si trova, viene spesso considerato non adeguatamente formato sia a livello scolastico – per le nuove leve – sia in termini di aggiornamento professionale, per chi già lavora da tempo. Esiste davvero un problema di mismatch di competenze nel settore?
Negli ultimi anni il nostro settore è cambiato profondamente e continuerà a cambiare molto velocemente a causa dell’uso pervasivo della tecnologia e per l’effetto dell’ingresso di nuovi concept gestionali e di offerta, cambiano anche i clienti e le loro aspettative e di solito cambiamenti veloci portano la domanda di nuove competenze. Anche la riduzione della marginalità nelle imprese ricettive ha favorito la creazione di strutture organizzative meno gerarchiche e meno lunghe e questo ha richiesto dei middle manager (capi servizio) che non avessero solo ottime competenze operative, ma anche di management, come la capacità di risolvere problemi, analizzare e comprendere i dati di processo, fare pianificazione e progettare o modificare i servizi offerti, gestire le risorse umane. Ma queste sono competenze che hanno bisogno di tempo e del giusto supporto per svilupparsi. Quindi, aziende alla ricerca di nuove competenze strutturate e candidati che sono stati formati nel modo tradizionale o non completamente skillati creano il mismatch delle competenze.Un problema che è tanto più evidente tanto più si sale di categoria e livello di servizio.
Insomma, visto dal lato delle aziende, non è certamente un tema facile da affrontare.
Ci sono anche altri fattori che rendono complicato il quadro gestionale. Il veloce turnover delle risorse, per esempio, non aiuta la crescita delle competenze ed espone l’azienda a continui adattamenti gestionali e di servizio. Il problema del re-skilling: così come persone qualificate escono dal nostro settore per andare altrove, ne entrano altrettante provenienti da esperienze diverse; è molto frequente ormai trovarsi di fronte a dei cv che presentano esperienze frammentate in settori e lavori totalmente differenti.
Queste risorse devono essere ri-orientate e re-skillate per poter essere inserite in azienda senza rischiare fenomeni di caduta del livello qualitativo. C’è il tema dell’integrazione multiculturale: ormai nelle nostre strutture da anni convivono persone provenienti da Paesi diversi e spesso da culture diverse, con approccio al lavoro e al servizio totalmente diversi.
Come al solito, la soluzione a problemi complessi richiede un approccio sistemico, ma penso che il primo passo debba essere fatto dalle imprese, che devono tentare di avvicinarsi e collaborare con le scuole alberghiere, gli ITS e con le università in modo che ci possa essere condivisione dei bisogni. Allo stesso modo, il sistema scolastico dovrebbero uscire da una certa autoreferenzialità e rendere più aperta la propria didattica a professionisti preparati e aggiornati, ripensando anche il sistema scuola-lavoro e il meccanismo degli stage aziendali, migliorando il processo di orientamento dei ragazzi e seguendo più da vicino il percorso dello stagista.
Da questo punto di vista, c’è un aspetto della gestione alberghiera sul quale, in modo particolare, gli hotel italiani dovrebbero investire in fatto di formazione?
Oggi la redditività di una struttura ricettiva – e quindi la sua sopravvivenza – passa attraverso le capacità delle proprie risorse umane: il management, che deve saper definire il posizionamento, condurre una strategia, introdurre innovazione, saper comprendere il mercato e guidare un team e saper gestire le performace, e il personale operativo, che attraverso le competenze tecniche e le necessarie attitudini di servizio fa la differenza nei confronti del cliente. La nostra materia prima e la fonte del successo di una struttura ricettiva è ancora la “risorsa umana” e la sua preparazione e professionalità; per questo non investire in “addestramento” tecnico e formazione manageriale è un errore strategico che costringerà le aziende che non lo fanno (nel lungo periodo) a dover sopportare costi maggiori di acquisizione del personale e quindi a trovarsi un esercito di collaboratori“mercenari” e margini ridotti.
C’è, poi, un tema di “motivazione”: cosa dovrebbero fare le imprese alberghiere per tornare a essere veramente attrattive?
Se dovessi dirlo in maniera “filosofica”, direi che occorre ripartire dal why: perché vale la pena lavorare in un settore così affascinante come quello dell’ospitalità, perché lo facciamo e che cosa vogliamo lasciare alle future generazioni con la nostra fatica? Una risposta a una domanda di senso profondo, che dovremmo prima di tutto chiarire a noi stessi e poi comunicare agli altri.
Dal punto di vista operativo, dobbiamo ripartire dalla persona, dai suoi bisogni, dalle sue aspettative, dalle sue preoccupazioni: occorre metterci in ascolto per capire come e in che modo il nostro lavoro e la nostra azienda può favorire o rappresentare questo “vale la pena”. Le persone poi sono diverse e attraversano esigenze diverse lungo l’arco della propria vita lavorativa: per qualcuno la motivazione potrebbe essere l’apprendimento oppure lo stipendio, arrivare all’agognata pensione o cercare di lavorare meno per dare spazio ad altro oppure contribuire a migliorare il mondo e renderlo più sostenibile (lo si sente sempre più spesso).
Ma come “si riparte dalle persone”, praticamente?
Nei grandi gruppi alberghieri esiste la figura del manager che gestisce le risorse umane, e che assume nomi sempre nuovi: una volta era il direttore del personale, poi responsabile delle risorse umane oggi è il responsabile di People & culture fino ad arrivare all’Happiness Officier. E questo la dice lunga su come stia cambiando l’approccio alle risorse umane. Negli hotel indipendenti il ruolo è svolto dal direttore operativo o dal proprietario oppure spesso si demanda al capo servizio di reclutare i propri collaboratori. Manca una visione d’insieme e una preparazione specifica: in questo modo si rischia di metter su un gruppo di lavoro slegato e disomogeneo e di non riuscire a gestire le varie farsi della gestione del personale. Per questo penso che oggi le strutture debbano fare uno sforzo in più e introdurre (oppure farsi aiutare da professionisti esterni) una figura dedicata al personale e sono certo che si tratti di un buon investimento.
Quali sono, su questi temi, le best practice più aggiornate messe in campo dagli hotel italiani?
Ancora una volta sono le grandi catene a presidiare meglio il campo. Ma per quanto riguarda gli hotel indipendenti molte sono le attività in corso di sperimentazione e molte hanno ricevuto apprezzamenti o riscontri positivi: mi viene in mente un albergatore illuminato di Abano Terme che ha preso un’ abitazione vicino all’hotel per far riposare e creare un punto di aggregazione per ragazzi costretti a fare i turni spezzati (con tanto di sala giochi e letti per i pisolini pomeridiani). Oppure, un albergatore di un resort in Costa Smeralda (molto coraggioso), che ha deciso di utilizzare una porzione importante della propria capacità ricettiva per fare alloggi per il personale in camere doppie con bagno per tutti i dipendenti e sta avviando un percorso per far lavorare tutti i collaboratori otto ore al giorno anche in piena stagione.O, ancora, un albergatore di Cortina che si appresta a sviluppare un’area di intrattenimento per tutto il personale con vending machine e generi di conforto. Insomma, penso che ormai tutti abbiano capito che sia in atto una concorrenza vigorosa nell’accaparrarsi il personale migliore e che occorra fare uno sforzo importante per migliorare le condizioni di lavoro e favorire la gestione delle aspettative dei lavoratori.