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12 Novembre 2021

Ubs: «Gli investitori italiani sempre più attratti da portafogli sostenibili. Capitali verso i più virtuosi»

Paolo Federici, Market Head di Ubs Gwm in Italia  parla anche dell'impegno del gruppo Ubs su standard di finanziamento sempre più rigorosi con l'esposizione alle attività ad alta intensità di carbonio a meno del 2% a fine 2020 La sostenibilità non è solo una moda o un trend passeggero ma una priorità per il settore finanziario. Ne sono consapevoli gli investitori italiani che sempre più scelgono di inserire nel proprio portafoglio investimenti sostenibili. Paolo Federici, Market Head di Ubs Global Wealth Management in Italia racconta a SustainEconomy.24, report di Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School, come gli investitori italiani sono attratti da portafogli green: secondo l'ultimo Investor Sentiment Survey l'85% considera gli investimenti sostenibili una componente rilevante da inserire nel proprio portafoglio. Federici parla anche dell'impegno del gruppo Ubs su standard di finanziamento sempre più rigorosi con l'esposizione alle attività ad alta intensità di carbonio a meno del 2% a fine 2020. Cosa significa essere sostenibili nel mondo della finanza e quali sono i vantaggi? «Oggi più che mai la sostenibilità rappresenta un elemento guida nelle nostre scelte di vita quotidiana ed è chiara la rilevanza che ha assunto anche nel mondo della finanza, in particolare nel campo degli investimenti. Sempre più imprenditori e investitori privati stanno infatti orientando le scelte di allocazione dei portafogli verso la sostenibilità, con sempre maggiore attenzione verso scelte che coniughino la ricerca di rendimento con un impatto positivo per il pianeta. Le scelte che ne derivano vanno così ad accelerare l'afflusso di capitali verso le società più virtuose in termini di impatto ambientale e di soluzioni sostenibili. Un meccanismo in grado di influenzare anche l'economia reale, facilitando l'accesso al mercato dei capitali e le capacità delle aziende più virtuose di finanziarsi a tassi più vantaggiosi fino ad interessare la valutazione stessa di tali aziende E' evidente dunque come la sostenibilità non possa più essere considerata semplicemente una moda o un trend passeggero ma, piuttosto, una priorità per l'intero settore finanziario, tema su cui il nostro gruppo è attivo da tempo e a livello globale». A questo proposito ci parla dell'esperienza di Ubs? A che punto siete in termini di portafogli e investimenti sostenibili? «Gli investitori italiani dimostrano di comprendere l'importanza di inserire nel proprio portafoglio sempre più investimenti sostenibili, rafforzandoci nella nostra convinzione al riguardo. Ubs è stata, infatti, una delle prime banche globali a realizzare l'importanza degli investimenti sostenibili, intercettando la rivoluzione di pensiero che si prospettava fino a renderli la proposta di riferimento per coloro che desiderano costruire portafogli a prova di futuro. Siamo e vogliamo essere partner credibili per i nostri clienti con i quali lavoriamo continuamente accrescendo la loro sensibilità sui temi green. Come lo facciamo? Fornendo sempre maggiori informazioni e analisi sugli investimenti sostenibili, su rischi e opportunità connesse al clima, nonché assistendoli nella transizione verso un'economia a basse emissioni di carbonio, che consentirà una sempre maggiore efficacia nell'accesso al mercato dei capitali. Infine, a livello di Gruppo abbiamo fissato standard di finanziamento sempre più rigorosi: la nostra esposizione alle attività ad alta intensità di carbonio è già estremamente bassa, meno del 2% a fine 2020. Stabiliremo obiettivi di ulteriore allineamento del nostro portafoglio di finanziamenti sulla base dei parametri dell'accordo di Parigi e stiamo apportando infine modifiche al nostro modello ESR per ridurre ulteriormente la propensione al rischio per gli asset legati al carbonio». Avete di recente pubblicato la nuova edizione dell'Investor Sentiment di Ubs. Che quadro emerge? Ce ne parla? «L'ultima edizione dell'Investor Sentiment Survey, la ricerca che analizza la fiducia degli investitori facoltosi in tutto il mondo, evidenzia il ruolo chiave degli investimenti sostenibili nelle scelte degli investitori. Dalla ricerca emerge infatti che gli investitori globali continuano a vedere sempre più vantaggi dall'inserimento degli investimenti sostenibili nei loro portafogli e, nello specifico, l'85% degli investitori italiani li ritiene già una parte fondamentale della strategia di portafoglio orientata da valori e rendimenti. In aggiunta, il 59% si aspetta che i rendimenti generati dagli investimenti sostenibili arrivino a superare quelli generati dagli investimenti tradizionali, il che ne aumenta ulteriormente l'attrattività». Quindi che tipo di risposta state riscontrando negli investitori italiani? «Negli ultimi 3 mesi la predisposizione da parte degli investitori italiani verso gli investimenti sostenibili ha registrato un balzo in avanti, come evidenziato dalla nostra ricerca. E' contestualmente aumentata anche la necessità di consulenza da parte dei nostri clienti per rivedere l'allocazione del proprio portafoglio a favore di temi ‘green': ben il 74% degli investitori italiani è interessato a ricevere una consulenza dedicata e su misura. Questa tendenza conferma ancora una volta che la direzione intrapresa da Ubs Global Wealth Management negli ultimi anni è quella vincente. Sostenibilità e consulenza davvero su misura sono i nostri tratti distintivi ormai da tempo, uniti a solidità ed esperienza uniche sul mercato».  SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 12/11/2021

12 Novembre 2021

Algebris: «Il trend del mercato è verso l’Esg. Lavoriamo a portafogli a emissioni zero»

L'etichetta green è ormai un must, spiegano Silvia Merler, Head of Esg and Policy Research e Gabriele Foà, co-Portfolio manager Algebris Global Credit Opportunities Fund Sia a livello italiano che internazionale, il mercato si muove attivamente in direzione di una finanza sempre più green perché l'etichetta Esg più che un plus sta diventando un must e dall'equity sta coinvolgendo tutti gli strumenti e gli attori del mercato. È la visione di Algebris, una delle principali società di gestione del risparmio. In un'intervista a due, Silvia Merler, Head of Esg and Policy Research e Gabriele Foà, co-Portfolio manager Algebris Global Credit Opportunities Fund, parlano anche del percorso che ha portato alla linea di business dedicata proprio agli obiettivi di transizione energetica e ambientale e dell'impegno per raggiungere le zero emissioni nette per le attività in gestione entro il 2050. Si parla sempre più di finanza green e l'offerta cresce giorno per giorno. Che tipo di risposta riscontrate? Con un focus in particolare sul mercato italiano «Ovviamente il tema della finanza green è molto sentito. Il mercato nell'ultimo anno, sia a livello italiano che a livello internazionale - risponde Gabriele Foà - si è mosso decisamente in questa direzione e il trend è chiaro, sia sul fronte dell'offerta che della domanda. Mentre prima avere il label Esg o label 'green' era un plus di molti fondi, adesso è diventato un must perché l'attenzione del mercato è molto più ampia e, coinvolge tutti gli attori, a monte e a valle della catena produttiva. Tra l'altro, negli ultimi 6-9 mesi il mercato ha visto la nascita più frequente di fondi "article 9", ovvero che hanno come obiettivo l'investimento sostenibile. Questi fondi fanno dell'aspetto "green" non solo un vincolo, ma un vero e proprio obiettivo di investimento e devono essere per mandato attenti a promuovere tematiche sociali e ambientali. Inoltre, questo trend, partito su delle asset class specifiche - ovviamente l'equity - si sta espandendo decisamente sia verso i bond, sia verso asset meno liquidi, come il private equity. E non è un caso, anche, che gli emittenti si siano adeguati. Guardando, per esempio, al mercato dei bond, vediamo un'attenzione sempre più alta a emettere bond 'green', e un premio importante sul mercato associato a questi ultimi. Questo fattore è molto importante perché crea un incentivo per gli emittenti attivi in settori non propriamente Esg a esplorare progetti sostenibili». Parlando di Algebris, è stata creata la linea di Business dedicata proprio agli obiettivi di transizione energetica e ambientale. Come influisce questo percorso nelle vostre scelte di investimento? «È lo sbocco di un processo più lungo, che abbiamo iniziato già da tempo, di una strategia dedicata specificamente alla transizione energetica. Da circa due anni – spiega Silvia Merler - stiamo lavorando, con grande impegno, proprio sui nostri portafogli finanziari per una stima delle emissioni finanziate dalle banche che abbiamo in portafoglio. Dal momento che non c'è ancora un obbligo regolamentare per i soggetti bancari di fare informative, è tutto un lavoro di stima basato su dati parziali e su nostre analisi dei bilanci. Adesso si sta concretizzando in una serie di disclosure di metriche non finanziarie e carbon footprint di emissioni finanziate, che ci ha, naturalmente, portato a integrare sempre di più i criteri di sostenibilità ambientale all'interno di tutti i vari portafogli ed è, poi, sfociato in questa nuova strategia. Poi, chiaramente, avere, adesso, anche un team con competenza industriale ci dà un vantaggio dal punto di vista delle competenze». Parlando, quindi, di costruzione del portafoglio fondi quali saranno i prossimi passi? «Per ora l'obiettivo – prosegue Silvia Merler - è integrare i fattori di sostenibilità in tutte le strategie, in maniera organica, all'interno del processo di investimento e, poi, avere anche un reporting, sia per gli investitori che pubblico, su metriche non finanziarie. Abbiamo iniziato con i fondi finanziari perché lì si concentra il grosso delle masse gestite, ma ci espanderemo anche agli altri fondi; ovviamente è un'integrazione che procede in modo diverso, in base alle diverse strategie e agli strumenti. Ad esempio, abbiamo la nostra strategia di equity italiana che è principalmente focalizzata su piccole medie imprese e fare questo lavoro è molto più difficile. Da gestore – aggiunge Gabriele Foà – posso dire che, da un lato, sulle strategie esistenti abbiamo messo dei paletti ulteriori e, dall'altro, c'è un'attenzione più alta alle caratteristiche dell'emittente; un'attenzione che ovviamente è sempre verso il rendimento e il ritorno ma guarda anche ad altre caratteristiche. Per quanto riguarda le nuove idee ovviamente c'è un cantiere aperto sulle strategie green sia sui prodotti esistenti che su prodotti nuovi». Algebris è firmataria dei Principi per l'Investimento Responsabile delle Nazioni Unite ed avete aderito all'iniziativa 'Net Zero Asset Managers', il progetto che vuole promuovere investimenti responsabili per raggiungere le zero emissioni nette per tutte le attività in gestione entro il 2050. A che punto siete? «Siamo entrati nell'iniziativa quest'anno, a marzo – spiega Silvia Merler - e abbiamo un anno per fare valutazioni internamente e poi pubblicare un target di masse che ci impegniamo a gestire in allineamento con il target ‘zero by 2050' e target intermedio al 2030. Il lavoro, in realtà, è già molto avanzato e, quindi, contiamo di completarlo prima di quella che sarebbe la deadline, appunto, di marzo 2022. In questi mesi, partendo dai portafogli finanziari, abbiamo stimato anche la temperatura implicita del portafoglio per capire se effettivamente, a breve, medio e lungo periodo sia compatibile con un percorso che tenga l'aumento della temperatura sotto 1,5-2 gradi. Dal nostro impegno per emissioni zero viene anche la volontà di avere una politica di tutti i combustibili fossili, non solo del carbone, che sia in linea con gli obiettivi dell'iniziativa».  SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 12/11/2021

12 Novembre 2021

«Italia al top per finanza sostenibile. Ora accompagnare la ripresa e la giusta transizione»

ll Forum per la Finanza sostenibile celebra 20 anni e apre il consueto appuntamento con la Settimana Sri. Il segretario generale, Francesco Bicciato parla delle prossime a SustainEconomy.24 L'Italia è uno dei Paesi con la tradizione più consolidata nella finanza sostenibile che è passata da fenomeno di nicchia a mainstream. Il Forum per la finanza sostenibile celebra i suoi primi 20 anni e in occasione, della consueta Settimana Sri, il segretario generale Francesco Bicciato traccia un bilancio e parla delle sfide future in un'intervista a SustainEconomy.24, report di Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School. Cita i dati di Assogestioni, relativi ai fondi aperti, che mostrano come nel 2020 in Italia si sono superati gli 80 miliardi di euro di masse gestite, contro i circa 8 miliardi di asset del 2017. Ma, afferma, ora le sfide da affrontare riguardano il ruolo della finanza sostenibile per la ripresa post pandemia e una giusta transizione. Finanza sostenibile. Se ne parla tanto ma a che punto siamo in Italia? Come procede l'integrazione dei criteri Esg nei prodotti e nei processi finanziari? «L'Italia è uno dei Paesi con una tradizione più lunga e consolidata nella finanza sostenibile. Quest'anno il Forum celebra i suoi 20 anni di attività: in questi due decenni, la finanza sostenibile è passata da fenomeno di nicchia a mainstream. Negli ultimi anni la crescita è stata significativa, sia relativamente agli investitori istituzionali, sia anche nel mercato retail. Lo dimostrano anche i risultati della ricerca sugli orientamenti dei risparmiatori che presentiamo in apertura della Settimana SRI, quest'anno dall'11 al 25 novembre. Questa evoluzione si riflette anche nella crescita del Forum, che negli ultimi anni è passato da alcune decine di soci agli attuali 130 associati». A livello di normativa c'è ancora molto da fare. O le recenti direttive rappresentano un passo avanti? «Senza dubbio i provvedimenti normativi europei degli ultimi anni rappresentano significativi passi in avanti. Con il Piano d'azione sulla finanza sostenibile del 2018, la Commissione Europea ha fissato una serie di priorità determinanti per l'evoluzione del mercato degli investimenti responsabili. Uno dei punti fondamentali su cui si sta intervenendo è la trasparenza: attraverso la Sustainable Finance Disclosure Regulation, si chiede agli operatori e ai consulenti finanziari di comunicare come tengono in considerazione rischi e impatti ambientali, sociali e di governance. Inoltre, l'Unione Europea sta costruendo un sistema di classificazione delle attività sostenibili, la "tassonomia", utile per guidare gli investitori nelle loro decisioni. Si sta anche lavorando sul versante della trasparenza delle imprese investite: la nuova Corporate Sustainability Reporting Directive dovrebbe portare a un allargamento della platea delle società che devono presentare una rendicontazione non finanziaria». Si apre la decima edizione della Settimana dell'Investimento Sostenibile e Responsabile. Quali sono le novità di quest'anno e cosa vi aspettate? «Le novità sono molte. La prima, a cui teniamo particolarmente, è che la Settimana SRI, pur senza abbandonare l'online, torna in presenza. Dopo l'edizione 2020 svoltasi solo in forma digitale, pur dando la possibilità della diretta streaming per tutti gli eventi, abbiamo voluto tornare a incontrarci. Quest'anno saranno presentate cinque ricerche. Una fa il punto sul mercato SRI in Italia, aggregando dati già pubblicati di diverse fonti autorevoli. Le altre approfondiscono gli orientamenti di risparmiatori, Pmi, investitori istituzionali come piani pensionistici e Fondazioni di origine bancaria. Questi attori, con le loro scelte finanziarie, possono dare un contributo significativo a un processo di ripresa e transizione verso un'economia a zero emissioni nette, che salvaguardi la giustizia sociale ed eviti il sorgere di nuove disuguaglianze. Uno degli eventi a cui teniamo molto è quello di chiusura della Settimana SRI, che si svolgerà il 25 novembre a Milano: sarà l'occasione per celebrare i 20 anni di attività del Forum, fare il punto sulla strada percorsa finora e sulle sfide da affrontare, con l'ambizione di anticipare sempre le evoluzioni di un settore molto dinamico». Guardando proprio al ventesimo anniversario di attività del Forum, ci traccia un bilancio dell'evoluzione degli investimenti sostenibili in Italia? E quali sono le sfide future? «Nel primo studio sul mercato SRI in Europa realizzato nel 2003 l'Italia rappresentava lo 0,1% del mercato europeo con 240 milioni di euro di masse, riferite ai soli investitori istituzionali. La situazione oggi è molto diversa. A livello europeo, secondo le rilevazioni di Morningstar, si è passati da meno di 400 miliardi di asset gestiti nel 2017 agli oltre 1.100 miliardi del 2020. Il nostro Paese rappresenta una quota significativa: i dati di Assogestioni, relativi ai fondi aperti, mostrano che nel 2020 in Italia si sono superati gli 80 miliardi di euro di masse gestite, contro i circa 8 miliardi di asset del 2017. Le sfide da affrontare sono diverse e riguardano, da un lato, il ruolo della finanza sostenibile per la ripresa post pandemia e una giusta transizione: da sole le risorse pubbliche non sono sufficienti, gli investimenti privati saranno fondamentali per raggiungere gli obiettivi climatici e ridurre di pari passo emissioni e disuguaglianze. In questo ambito, opportunità interessanti potranno arrivare dalle partnership pubblico-privato. Un'altra sfida riguarda la trasparenza e la sensibilizzazione dei risparmiatori verso l'importanza di fare scelte di investimento sostenibili». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 12/11/2021

29 Ottobre 2021

Realacci (Symbola): «Dalla sfida climatica un’economia più forte. L’Ue pensi a dazi»

Di fronte alla sfida climatica basta slogan e dilettanti. In Italia imprese e società sono più avanti della politica A pochi giorni dall'aperura di Cop26 le sfide sono tante ma la situazione è migliore rispetto a qualche anno fa, complici la svolta green dell'Ue e il cambio di amministrazione negli Usa. Ne è convinto Ermete Realacci, presidente di Fondazione Symbola e presidente onorario di Legambiente che, in un'intervista a SustainEconomy.24, il report di Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School, esorta a cogliere la sfida perché fronteggiare la crisi climatica è anche l'occasione di costruire un'economia più forte. A partire da dazi per i prodotti che non rispettano gli standard ambientali europei. E di fronte alla tempesta che abbiamo davanti, basta dilettanti e slogan. Quanto all'Italia, sui temi ambientali, dice, le imprese e la società sono più avanti della politica e possiamo essere protagonisti della sfida. Tra pochi giorni si apre la Cop26, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Cosa si aspetta e quali dovrebbero essere le tematiche da portare avanti? «I temi sono tanti ma si parte da una situazione migliore rispetto a quello che si poteva pensare solo qualche anno fa. Migliore per due motivi. Da un lato, c'è l'Europa che ha scelto con nettezza la sua strada. Dall'insediamento della presidente Ursula Von der Leyen si disse subito che il tema del Green new deal era la chiave per il futuro dell'Europa e qualcuno ha pensato – e forse anche sperato – che la crisi prodotta della pandemia potesse rallentare questo percorso. Al contrario l'Europa ha scelto con grande forza di indirizzare il grosso delle sue risorse, intelligenze ed energie creative proprio su questo tema, assieme alla coesione e al digitale. Quindi è un'idea di Europa che non è legata solo a fronteggiare pericoli legati alla crisi climatica o a dare risposte alla generazione Greta, ma l'idea di un'Europa che cerca un suo posto nel mondo, una sua missione e vuole un'economia forte ma più a dimensione umana. Dall'altro, poi, c'è stato anche il cambio di amministrazione negli Usa, con l'amministrazione Biden, e questo è un altro punto che può giocare un ruolo positivo. Poi i problemi sono tantissimi. Credo che un terreno importante in futuro sarà quello, che la stessa Europa pone, di prevedere dei dazi per i prodotti che non rispettano gli standard ambientali europei. L'Europa è il più grande mercato del mondo e se si mette in movimento e fa questa operazione, non solo difende la propria economia, ma spinge gli altri a fare passi avanti. È chiaro che non c'è una soluzione definitiva al problema ma fronteggiare la crisi climatica è anche l'occasione per costruire un'economia più forte». Sono molteplici gli allarmi su un mancato rispetto dei target dell'accordo di Parigi. Ci si può arrivare o la strada è difficilissima? «La strada non sarà sicuramente facile ma al tempo stesso, in molti campi, si vede che chi si incammina su questa strada ha dei vantaggi economici; insomma è vero che il problema c'è e affrontarlo sarebbe oneroso, ma, in realtà, non affrontarlo sarebbe ancora più oneroso, perché come dimostrano tantissimi settori produttivi, chi non va su quella strada perde. È una strada che può rafforzare sia i grandi che i piccoli. Del resto, quel terzo di imprese, oltre 400 mila, come dice il Rapporto Greenitaly presentato qualche giorno fa da Fondazione Symbola e Unioncamere, che hanno investito negli ultimi 5 anni in campo ambientale, performano meglio perché rinnovano di più, esportano di più e producono più posti di lavoro. Le difficoltà ci saranno ma si possono affrontare. A me piace molto la frase del regista Frank Capra, ‘i dilettanti giocano per piacere quando fa bel tempo, i professionisti giocano per vincere mentre infuria la tempesta'; ecco, rispetto alla tempesta che abbiamo davanti non è tempo per dilettanti, basta propaganda, basta parole vuote, è il momento della concretezza e della visione». Anche alla luce del rapporto che avete presentato, nel nostro Paese vede una buona risposta sia a livello di imprese che a livello di cittadini?  «Io penso che in Italia una parte delle imprese e una parte della società siano più avanti della politica. Perché la politica, che poi è orientata fortunatamente dalle scelte che ha fatto l'Europa, a volte sembra discutere di altro, non capisce che proprio quei tre assi che l'Europa ci indica – coesione, transizione verde e digitale - sono anche quelli che consentono di affrontare tanti nostri problemi. Nel mondo dell'economia tanti si sono messi in moto e l'incrocio di questi fattori fa la forza del Paese; penso al legno-arredo, alla meccatronica all'agricoltura. Allora il problema è aiutare chi si è incamminato e anche superare un senso di minorità degli italiani che pensano di essere dei Calimeri. Noi abbiamo enormi problemi e spesso non siamo in grado di affrontarli, ma abbiamo anche dei grandi punti di forza, basti pensare all'economia circolare e altri in cui siamo all'avanguardia, e possiamo essere protagonisti di questa sfida». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 29/10/2021

29 Ottobre 2021

Fridays For Future: «Serve una giustizia climatica. Le persone vogliono il cambiamento»

Una delle portavoci del movimento dei giovani per il clima parla delle priorità in vista della Cop26 e spiega la mobilitazione di piazza perché serve consapevolezza, mentre dalle conferenze non arrivano le risposte A pochi giorni dall'avvio della Conferenza Onu sui cambiamenti climatici, la Cop26, i giovani di Fridays For Future rimarcano le loro priorità: trattare la crisi climatica come un'emergenza, sbloccare il fondo da 100 miliardi annui per i Paesi in via di sviluppo e abbandonare immediatamente i carburanti fossili. Laura Vallaro, una dei portavoce di Fridays For Future Italia parla in un'intervista a SustainEconomy.24, report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School delle richieste di cambiamento per una giustizia climatica e più equità. In occasione del G20 il movimento sarà ancora in piazza perché c'è un aumento della consapevolezza tra i cittadini. E perché le risposte, dice, non arriveranno dai parlamenti e dalle conferenze.  Mancano pochi giorni all'inizio di Cop26, per voi quali sono le priorità? «Prima di tutto serve che la crisi climatica venga trattata realmente come una crisi e questo, come ci ha mostrato anche la pandemia, continua a non accadere perché viene trattata come un problema ma non come l'emergenza che minaccia le nostre vite. Dovrebbe essere il primo passo per poter reagire nel modo giusto. In vista di Cop26 si parla tanto di dare ai Paesi in via di sviluppo il fondo dei 100 miliardi annui, ma, anche in questo caso, una recente analisi ha dimostrato come, ancora quest'anno, probabilmente non si riuscirà a rispettare questo impegno e, se continuiamo così, lo rispetteremo soltanto nel 2023. Si ignorano le responsabilità che i Paesi occidentali hanno e dovrebbe essere il minimo indispensabile. L'altro obiettivo davvero importante è quello di uscire dal carbone immediatamente ma anche da tutti i combustibili fossili, il petrolio e il gas. Il recente rapporto dell'Unep dice proprio che la produzione pianificata di combustibili fossili dai Paesi del mondo per il 2030 è ancora più del doppio di quello che sarebbe compatibile con un percorso per mantenere il riscaldamento nei limiti stabiliti dall'Accordo di Parigi. Poi i temi sono molteplici ma soprattutto serve focalizzarsi sul principio di giustizia climatica ed equità». Sarete di nuovo in piazza in occasione del G20, perché non vedete fatti concreti. State valutando anche altre forme di mobilitazione o comunque di sensibilizzazione? «Questo fine settimana ci sono delle mobilitazioni in occasione del G20 perché, tra l'altro, i Paesi del G20 sono responsabili per l'80% delle emissioni globali e la cosa positiva di queste mobilitazioni è che raccolgono e uniscono gran parte della società, non soltanto i giovani che scendono in piazza per il clima. Credo che in questo momento sia importante proprio questa mobilitazione delle persone». Riscontrate una risposta maggiore dai cittadini? «Non è ancora quello che sarebbe necessario, ma c'è un aumento nella consapevolezza e, soprattutto, le persone continuano a chiedere il cambiamento. Questo è positivo perché, sicuramente, dai parlamenti e dalle conferenze non arriveranno le azioni necessarie nel tempo che abbiamo. Serve realmente che le persone prendano posizione facciano un passo avanti, scendano in piazza e chiedano ai politici di agire e questo sta accadendo». Non vi aspettate, quindi, grandi risultati da queste riunioni? «No, sicuramente è un momento in cui serve farci sentire come popolazione, mettere pressione e far vedere che stiamo osservando le scelte che vengono fatte e che nei nostri confronti hanno delle responsabilità che finora stanno ignorando. E' importante scendere in piazza perché, nonostante non ci saranno le risposte necessarie da queste sedi, la pressione che facciamo serve a cambiare la percezione pubblica di questa crisi e a far vedere che le persone vogliono il cambiamento». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 29/10/2021

29 Ottobre 2021

Dialuce: «Enea gioca un ruolo di primo piano per cambiare il paradigma culturale. L’impegno per l’idrogeno»

Il presidente di ENEA parla a SustainEconomy.24 anche di Pnrr e degli investimenti per la ricerca Gli impegni dei Paesi per contenere le emissioni non sembrano ancora compatibili con gli obiettivi dell'Accordo di Parigi. A pochi giorni dall'avvio di Cop26, il presidente di Enea, Gilberto Dialuce, a SustainEconomy.24, report di Luiss Business School e Il Sole 24 Ore Radiocor, auspica il rafforzamento della collaborazione internazionale ed impegni economici concreti. Enea sta portando avanti il suo impegno e gioca un ruolo di primo piano "per cambiare il paradigma culturale". E guarda alle risorse e agli obiettivi del Pnrr e agli investimenti in ricerca che vedono l'Italia ancora distante dagli altri Paesi. E racconta l'impegno sulla filiera dell'idrogeno a partire dalla Hydrogen Valley. Si sta per aprire la Cop26. Da più parti arrivano allarmi sulla difficoltà di rispettare gli accordi di Parigi. Cosa si aspetta? E quali direzioni andrebbero privilegiate dal suo punto di vista? «Obiettivo degli Accordi di Parigi era limitare l'aumento della temperatura media del pianeta entro i 2°C, perseguendo ogni sforzo per contenere tale crescita entro 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali. L'ultimo report Ipcc ha, però, rilevato che la temperatura media della Terra è già aumentata di 1,1°C, quindi contenere questo incremento entro 1,5°C diventa arduo senza un dimezzamento delle emissioni mondiali di gas a effetto serra entro il 2030 e il raggiungimento della cosiddetta neutralità carbonica entro il 2050. Purtroppo, però, ad oggi gli impegni dichiarati dai singoli Paesi per contenere le emissioni, proteggere i territori e mettere a disposizione finanziamenti congrui non sembrano ancora compatibili con tale obiettivo. A Glasgow ci si aspetta che Paesi industrializzati e grandi emettitori di gas serra implementino i loro percorsi di decarbonizzazione mobilitando, come previsto, i 100 miliardi di dollari l'anno fino al 2025 per rispondere ai bisogni dei Paesi in via di sviluppo, e che vi sia un chiaro impegno per la cessazione dell'uso del carbone nella generazione elettrica. In Enea siamo fortemente impegnati nello sviluppo e nel trasferimento delle tecnologie di mitigazione e adattamento, sia nel nostro territorio che nei Pvs e seguiamo con particolare attenzione i lavori del Meccanismo Tecnologico istituito dalla Convenzione sul Clima. Le direzioni privilegiate da intraprendere a Glasgow sono legate al rafforzamento della collaborazione internazionale e agli impegni economici concreti per rendere operativo l'Accordo di Parigi e conciliare gli obiettivi di decarbonizzazione e resilienza seguendo principi quali il 'building back better' e 'non lasciare nessuno indietro'». Si parla tanto di clima, ambiente e sostenibilità. Arriverà una spinta dai fondi del Pnrr? Anche per la ricerca? «Il Pnrr mostra una straordinaria sensibilità verso questi temi. È un'occasione unica per il nostro Paese, così vulnerabile e così esposto ai rischi climatici sia per le caratteristiche del suo territorio sia a causa degli abusi commessi nel tempo. Il Piano mette a disposizione ingenti risorse economiche per intraprendere la strada della transizione ecologica. La Missione 2 "Rivoluzione Verde e Transizione ecologica" prevede uno stanziamento di 59,47 miliardi di euro: 5,27 miliardi per economia circolare e agricoltura sostenibile, 23,78 miliardi per energia rinnovabile, idrogeno, rete e mobilità sostenibile, 15,36 miliardi per efficienza energetica e riqualificazione degli edifici e, infine, 15,06 miliardi per tutela del territorio e della risorsa idrica. Con gli investimenti su idrogeno e batterie avanzate, il Pnrr guarda anche agli obiettivi di neutralità climatica al 2050 oltre che a quelli al 2030. Sul fronte delle rinnovabili, il Piano prevede risorse per incentivare circa 4,2 GW di potenza elettrica, che dovranno contribuire al raggiungimento del target italiano previsto in circa 70 GW e per il quale si dovrà intervenire sulle barriere burocratiche e i complessi processi autorizzativi. Le riforme previste potranno anche dare un importante contributo in tal senso. Sugli investimenti in ricerca, l'Italia rimane ancora distante dagli altri Paesi (1,4% del Pil nel 2018, rispetto alla media Ocse del 2,4%). Fortunatamente questo gap sembra destinato a ridursi grazie anche alle risorse del Pnrr che, con la Missione 2 stanzia importanti risorse per la ricerca applicata e la sperimentazione sull'idrogeno e con la Missione 4 "Dalla Ricerca all'impresa", che stanzia 11,44 miliardi di euro per rafforzare la ricerca di base e applicata in sinergia tra università e imprese». Lei ha assunto la guida di Enea da qualche mese. Quale sarà il ruolo di Enea nella transizione energetica ed ecologica? «In fatto di transizione energetica, lotta al cambiamento climatico e riduzione di emissioni di CO2, il Paese ha di fronte obiettivi estremamente complessi da raggiungere in meno di dieci anni e per i quali, come Agenzia Nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile, siamo chiamati a giocare un ruolo di primo piano, anche per favorire un cambio di paradigma culturale. Questo a partire dal contributo che possiamo fornire alle attività comprese nel Pnrr e in forza del nostro posizionamento su temi inerenti sostenibilità, energia, ricerca e trasferimento di competenze a Pubblica Amministrazione, imprese e cittadini. Penso al settore dell'efficienza energetica e all'importanza che ricopre proprio in questo periodo segnato da un aumento rilevante dei prezzi dell'energia. Enea sarà protagonista dei programmi volti a riqualificare e a migliorare la sicurezza del patrimonio edilizio pubblico e privato e si troverà in prima linea anche nella comunicazione dell'importanza dell'efficienza energetica, con un programma di formazione e informazione per contribuire ad accrescere gli investimenti nel settore civile. Saremo impegnati anche nell'applicazione e la dimostrazione di tecnologie energetiche innovative, così come nella promozione delle smart communities, una sorta di nuova frontiera per cercare di portare l'energia più vicina ai cittadini. Continueremo inoltre a dare vita a strumenti in grado di favorire la promozione delle politiche in chiave sostenibile, supportare modelli circolari di produzione, l'eco-innovazione nei cicli di vita e lo sviluppo di tecnologie, metodologie e strumenti che favoriscano l'integrazione di competenze diverse e il cambiamento degli stili di vita che dovranno necessariamente essere rivisti in chiave più sostenibile». Una delle principali sfide future, in campo energetico, sarà rappresentato dall'idrogeno. Ci parla della strategia di Enea? «Nel nostro Centro Ricerche Casaccia stiamo lavorando alla realizzazione dell'Hydrogen Demo Valley, un incubatore tecnologico nazionale finanziato dal Ministero della Transizione Ecologica nell'ambito dell'iniziativa Mission Innovation, che riguarderà l'intera filiera dell'idrogeno, dalla produzione con fonti rinnovabili alla distribuzione, dall'accumulo agli usi finali, in collaborazione con aziende, associazioni di categoria, enti di ricerca e università. Questa piattaforma di ricerca consentirà anche la sperimentazione di nuove tecnologie legate, ad esempio, allo smaltimento dei rifiuti, al recupero di sottoprodotti industriali e al calore rinnovabile ad alta temperatura ottenuto in impianti solari a concentrazione. Ma questo è solo un piccolo spaccato di ciò che faremo all'interno dell'incubatore Enea. E tutto ciò sarà favorito dal Pnrr che ha stanziato per l'idrogeno 3,7 miliardi di euro, di cui 2 per decarbonizzare i settori "hard to abate", con iniziative volte a sperimentare nelle imprese che utilizzano gas per uso termico (quindi non elettrificabili) un utilizzo fino al 90% di idrogeno in miscelazione col metano, e all'uso in prospettiva dell'idrogeno anche in altri settori, come quello siderurgico. Ma il suo raggio d'azione riguarderà anche la mobilità (pesante su gomma e tratte ferroviarie non elettrificabili), la creazione di Hydrogen Valley in alcune Regioni e la ricerca e lo sviluppo di nuove tecnologie che garantiscano sicurezza e sostenibilità economica e ambientale di tutta la filiera dell'idrogeno, incluso il trasporto e lo stoccaggio». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 29/10/2021

29 Ottobre 2021

Carrozza (Cnr): «Serve un piano strategico per la ricerca. La transizione va accompagnata»

La presidente del Consiglio nazionale delle ricerche nell'intervista a SustainEconomy.24, parla anche di Cop26 e del Pnrr Siamo tutti chiamati ad una vera e propria rivoluzione culturale per affrontare le grandi sfide di questo momento storico. E per i ricercatori questo comporta l'assunzione di una grande responsabilità. Ma per avere chance di successo la ricerca ha bisogno di grandi investimenti strutturali. La presidente del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), Maria Chiara Carrozza, in un'intervista a SustainEconomy.24, report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School chiede un piano strategico per la ricerca. Perché la transizione e il cambiamento vanno accompagnati. E perché la ricerca, come quella del Cnr, può rispondere alle esigenze di conoscenza ma anche a quelle del mondo produttivo italiano. Con risorse, ma anche con un cambiamento di sistema. E in vista di Cop26, la presidente Carrozza si aspetta «decisioni radicali e coraggiose, univoche e seguite da comportamenti coerenti" perché «non c'è scelta». Il Pnrr, aggiunge, è un'occasione unica per rilanciare il nostro Paese, ma investire in conoscenza è cruciale per il progresso di qualunque sistema Paese. Le principali sfide per un futuro sostenibile sono i cambiamenti climatici, l'ambiente e il post-pandemia. Presidente, quale percorso va tracciato? «Cambiamenti climatici, transizione digitale, salute, formazione sono le grandi sfide di questo momento storico e per affrontarle siamo chiamati a compiere una vera e propria rivoluzione culturale. Se non interveniamo immediatamente e decisamente, come comunità scientifica, come cittadini e come istituzioni, ci troveremo sempre più spesso in situazioni in cui dovremo affrontare le emergenze sanitarie, ambientali e socio-economiche in tempo reale, con tutte le difficoltà che abbiamo sperimentato in questi ultimi anni. Per i ricercatori questa sfida progettuale comporta l'assunzione di una grande responsabilità. Il percorso della scienza è infatti quello di un impegno costante e progressivo nella conoscenza che però ha tempi non sempre ponderabili e margini di incertezza forti, pertanto è difficile e non scontato raggiungere nuovi avanzamenti concreti, quelli che si traducono nel benessere materiale, pratico degli individui e della collettività. Per stringere i tempi e aumentare le chance di successo, la ricerca ha bisogno di grandi investimenti strutturali che sostengano il lavoro quotidiano. Faccio un esempio: oggi quasi tutti capiscono l'importanza dei vaccini e apprezzano che quello per il Covid-19 sia stato sviluppato così rapidamente, ma se abbiamo ottenuto questo successo è perché prima c'è stata una ricerca di base importante in biologia molecolare, in immunologia, in virologia. Senza questa ricerca fondamentale non sarebbe stato possibile affrontare la pandemia, con questi fondamentali presidi, in meno di un anno». Si sta per aprire la Cop 26. Sostenibilità, energia, inquinamento e clima. Cosa si aspetta? E quali decisioni andrebbero prese?  «La sostenibilità è una parola chiave del prossimo futuro. Dalle istituzioni competenti, dagli organismi decisionali mi aspetto decisioni radicali e coraggiose, univoche e seguite da comportamenti coerenti. Altrimenti non saremo in grado di imprimere quel cambiamento di cui il pianeta ha bisogno per contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici. In senso più ampio, siamo davanti a una svolta che riguarda il futuro delle nuove generazioni nel senso dell'equità, tra aree del pianeta, fasce sociali e generazioni più e meno fortunate. Davanti a noi abbiamo quest'opzione, oppure quella dell'aumento dei divari socio-economici e degli impatti climatico-ambientali. In realtà non c'è scelta, lo capiamo bene». Quali sono gli impegni del Cnr in tema di ricerca per l'ambiente e il clima?  «Serve un piano strategico per la ricerca in cui la sostenibilità sarà un pilastro fondamentale e in questo ambito le risorse multidisciplinari e territoriali del Cnr sono fondamentali. Ricordo intanto che nel primo working group del VI Rapporto Ipcc figurano tre nostri ricercatori, ma in generale la sostenibilità si fonda su competenze e conoscenze scientifiche precise quanto complesse. Il cambiamento e la transizione sono processi da seguire, accompagnare, prevedere, che rappresentano anche opportunità e prospettive di grande trasformazione industriale, economica, culturale. Al Cnr studiamo dalle scienze polari al rischio idrogeologico, dal monitoraggio del suolo alla biologia marina, dal monitoraggio dei dati alla modellistica previsionale, dalla chimica verde ai beni culturali. Per questo riteniamo di poter rispondere alle esigenze di conoscenza ma anche a quelle del mondo produttivo italiano». Si parla tanto delle risorse del Pnrr. Quanto è importante investire in ricerca?  «Il Pnrr è un'occasione unica per rilanciare il nostro Paese, non abbiamo precedenti di un finanziamento del genere per la ricerca in Italia. Ma investire in conoscenza è cruciale per il progresso di qualunque sistema Paese, in qualunque fase storica. La scienza deve mettersi sempre di più al servizio della società ed essere messa in condizioni di servirla, mirando a raggiungere gli obiettivi da cui dipende il miglioramento della vita delle persone. Si deve fare molto sul reclutamento, sulle progressioni di carriera, sui livelli retributivi, bisogna facilitare i brevetti, sostenere le certificazioni, i trial sperimentali, fornire assicurazioni, strumenti legali, agevolare il passaggio dalla scienza di base all'applicazione tecnologica. Le risorse finanziarie sono importanti ma serve un nuovo modello, un cambiamento di sistema». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 29/10/2021

15 Ottobre 2021

Cipolletta (Febaf): «La finanza è motore della transizione, al lavoro con le imprese»

Il presidente della federazione che riunisce banche, assicurazioni e finanza, parla della necessità di una regolamentazione omogenea e racconta ‘ESGenerationItaly’, il progetto lanciato con Borsa Italia e Forum per lo Sviluppo sostenibile Tutto il mondo della finanza è presente in prima linea per promuovere lo sviluppo sostenibile consapevole dell'importanza, anche competitiva di configurarsi come motore di questa transizione. Innocenzo Cipolletta, presidente di Febaf, la federazione che riunisce banche, assicurazioni e finanza, parla a SustainEconomy.24, report di Luiss Business School e Il Sole 24 Ore Radiocor, della necessità di una regolamentazione omogenea e racconta ‘ESGenerationItaly', il progetto lanciato con Borsa Italiana e Forum per lo Sviluppo sostenibile. Ma anche del ruolo cruciale della finanza per promuovere una ripartenza solida e duratura. Parliamo di attenzione ai temi ambientali e della sostenibilità. A che punto sono le banche, le assicurazioni e le istituzioni finanziarie italiane? «L'attenzione non è nuova. Ci avviciniamo ormai ai 10 anni della 'Carta dell'Investimento Sostenibile e Responsabile della finanza italiana' promossa, sin dalla sua costituzione, da Febaf, in cui si indicavano i principi comuni: valorizzazione dei criteri Esg, trasparenza e ottica di medio-lungo periodo. Le imprese della finanza, da tempo, mettono in atto pratiche rispettose del trinomio Esg, aderendo volontariamente a codici e principi di responsabilità sovranazionali (come i principi delle Nazioni Unite), applicando linee guida relative ai prodotti come obbligazioni green, social e sostenibili, promuovendo la formazione delle proprie reti e la conoscenza da parte della propria clientela. Anche le realtà che si sono affacciate al tema della sostenibilità più di recente hanno già raggiunto una piena consapevolezza dell'importanza strategica di governare la transizione in atto e di configurarsi quale motore di sviluppo sostenibile, anche come fattore competitivo. Tutto il mondo della finanza italiana è presente in prima linea, ed ai tavoli di discussione, per promuovere uno sviluppo sostenibile». Servono dei cambiamenti, anche a livello normativo, per facilitare questo percorso verso una finanza sempre più sostenibile? «Quello che è maturato negli ultimi anni rispetto alla sostenibilità è da un lato l'attenzione mediatica – per effetto positivo dei movimenti di opinione ma anche purtroppo come riflesso dell'aumento di frequenza e intensità dei disastri naturali generati dal cambiamento climatico – e dall'altro proprio l'attenzione dei legislatori e regolatori che negli ultimi anni, in particolare a partire dall'Action plan della commissione europea del 2018, hanno creato un vero e proprio corpus normativo. Riteniamo sia di fondamentale importanza che venga garantita la piena coerenza tra tutte le discipline, in particolare tra la Taxonomy Regulation, la Corporate Sustainability Reporting Directive, la Sustainable Finance Disclosure Regulation, i lavori sugli standard di sostenibilità e le iniziative in materia di Corporate Governance Sostenibile. Ciò al fine di evitare potenziali sovrapposizioni nei requisiti normativi/di reportistica nonché disallineamenti temporali, che avrebbero l'effetto di moltiplicare gli oneri e la complessità a carico degli operatori finanziari. Sono inoltre cruciali: la disponibilità e accessibilità di dati chiari e comparabili delle aziende, l'introduzione di alcuni incentivi per l'adozione degli standard europei sui green bond, l'opportunità di valorizzare una finanza di transizione (transitional bonds e transitional loans), il principio di proporzionalità del quadro normativo, la necessaria partnership tra pubblico e privato. Da ultimo, è bene ribadire che sugli operatori finanziari non possono ricadere oneri e responsabilità che vanno oltre il proprio ruolo, imponendo obblighi e controllando abusi. Piuttosto crediamo nella necessità di lavorare con le imprese, e come Febaf ne siamo forti sostenitori e continuiamo a farlo». Per consolidare il ruolo attivo dell'Italia nella finanza sostenibile a livello globale, avete lanciato ESGeneration Italy, insieme a Borsa Italiana e Forum per la Finanza Sostenibile. Ce ne parla? «Uno degli aspetti che più possono contribuire allo sviluppo della finanza sostenibile riguarda la condivisione di analisi e di buone pratiche. Aderire a reti globali in questo senso è essenziale. ESGeneration Italy, presentato lo scorso primo ottobre, nasce anche per questo. Intendiamo essere presenti – come finanza sostenibile italiana - nei consessi globali come l'International Network of Financial Centres for Sustainability a cui abbiamo aderito. Il nostro impegno, insieme a Borsa Italiana e Forum per la Finanza Sostenibile, farà leva sulle esperienze specifiche di ciascuna organizzazione, non andando a sostituirsi a quanto singolarmente continueremo a fare, ma volendo piuttosto creare un moltiplicatore di energie e un punto di riferimento unico per i nostri partner globali. Il nostro gruppo promotore ha inteso dare l'avvio ad un ‘National Network for Global Sustainable Finance', rimanendo aperto alla collaborazione con altri soggetti in futuro». Una delle parole più usate in questa fase è ‘ripartenza' e i prossimi anni saranno decisivi per il Paese. Quale sarà il ruolo delle vostre associate? «In una parola? Sostenerla. Noi riteniamo che la finanza abbia un ruolo cruciale per promuovere una economia solida e una crescita del tessuto produttivo duratura. Lavoriamo – in tutte le sedi opportune, come il B20 a guida italiana appena concluso - per valorizzare e rafforzare il binomio finanza e imprese, certi che un adeguato accesso ai canali di finanziamento sia un fattore abilitante. Parlo di sostegno alla capitalizzazione delle imprese, di rafforzamento dei sistemi di garanzia per l'accesso al credito bancario, di miglioramento della partnership pubblico-privata, di potenziamento dei Pir ordinari e alternativi, di valorizzazione del risparmio previdenziale anche di matrice assicurativa, di supporto agli investimenti sostenibili e a quelli in infrastrutture. In questa fase di ripresa, dopo la crisi pandemica e grazie anche alle ingenti risorse dispiegate con il Pnrr, è ancora più pressante l'esigenza di lavorare su questi fronti assieme alle istituzioni che potrebbero predisporre adeguati incentivi, anche sul piano fiscale, per favorire questi processi. Il tutto, nel contesto europeo della capital markets union e della transizione digitale e sostenibile». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 15/10/2021

15 Ottobre 2021

Abi: «Le banche sono in prima linea per la sostenibilità ma la responsabilità sia condivisa»

Il direttore generale, Giovanni Sabatini, parla del ruolo centrale del settore finanziario nell'ambito della sostenibilità ma chiede di non scaricare sulle banche un onere eccessivo (Il Sole 24 Ore Radiocor) - Le banche sono in prima linea per la sostenibilità e sono pronte a fare la propria parte in questa transizione anche attraverso l'evoluzione dell'offerta degli strumenti finanziari. Ma occorre che la responsabilità sia condivisa perché non può essere scaricato sulle banche un onere eccessivo e sproporzionato. Lo indica il direttore generale dell'Abi, Giovanni Sabatini in un'intervista a SustainEconomy.24, il report di Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School. L'associazione che riunisce le banche italiane vede un ruolo sempre più centrale del settore finanziario nell'ambito della sostenibilità e assieme alla Federazione Bancaria Europea propone di introdurre nella Regolamentazione bancaria sui requisiti minimi patrimoniali, un meccanismo che, a fronte di condizioni virtuose, consenta di ridurre le ponderazioni per il rischio che le banche sono chiamate a calcolare sui propri crediti. Da più parti c'è il richiamo a impegnarsi tutti verso un'economia più sostenibile. Qual è e quale può essere il contributo delle banche? «Le banche in Italia sostengono l'impegno delle istituzioni europee per lo sviluppo della Finanza Sostenibile. Sono chiamate a svolgere un importante ruolo di facilitatore verso una economia sostenibile sotto i profili ambientali, sociali e dei modelli di governance e sono pronte a fare la propria parte in questa transizione, anche attraverso l'evoluzione dell'offerta di strumenti finanziari. Sul settore non può però ricadere un onere eccessivo e sproporzionato, non può essere scaricato sulle banche un impegno che deve essere di tutti. La mitigazione del cambiamento climatico, insieme alla spinta per uno sviluppo sempre più sostenibile, richiede infatti importanti politiche pubbliche anche per garantire una transizione equa e che non penalizzi e non lasci indietro nessuno. Il contesto in cui ci troviamo è tale da richiedere un forte coordinamento da parte delle istituzioni pubbliche non soltanto a livello nazionale, perché è dall'impulso delle politiche economiche e industriali che sarà impresso alla transizione che dipenderà la velocità di realizzazione e gli effetti che determinerà. L'Abi, direttamente e attraverso le posizioni della Federazione Bancaria Europea (EBF), ha rappresentato alle istituzioni nazionali ed europee il proprio supporto verso un modello economico sempre più sostenibile fornendo il suo contributo di riflessioni e proposte». Servono anche normative in grado di promuovere i percorsi virtuosi di transizione. L'Abi ha indicato che occorre rivedere i requisiti prudenziali di capitale incorporando anche gli obiettivi di sostenibilità. Cosa chiedete? «La trasformazione verso una economia più sostenibile deve essere supportata da una visione globale, che valorizzi la cooperazione tra settore pubblico e privato, e da normative in grado di promuovere e facilitare i percorsi virtuosi di transizione intrapresi da banche e imprese. Sulla tutela dell'ambiente e sul cambiamento climatico, come settore bancario, ci aspettiamo un quadro equilibrato, ambizioso e robusto, sotto il profilo legislativo e regolamentare, che definisca chiaramente ciò che possa essere considerato socialmente sostenibile nel fare impresa. Gli incentivi alla transizione verso nuovi modelli di business più sostenibili possono essere di varia natura, quali ad esempi quelli fiscali. In aggiunta, l'Abi con la Federazione Bancaria Europea propone di introdurre nella Regolamentazione bancaria sui Requisiti minimi patrimoniali - il Sustainable Finance Supporting Factor - un meccanismo che, al ricorrere di determinate condizioni virtuose, consente di ridurre le ponderazioni per il rischio che le banche sono chiamate a calcolare sui propri crediti». Le banche italiane si dichiarano molto attente ai temi della sostenibilità. Che tipo di risposta riscontrate nelle vostre associate? «Dall'ultima rilevazione BusinEsSG, realizzata sulle Dichiarazioni non finanziarie pubblicate dalle banche nel 2020 rispetto alle attività svolte nel 2019, emerge quanto prontamente e proattivamente le banche stiano incorporando nei loro piani strategici le richieste di cambiamento verso un'economia sostenibile. Il quadro delle risposte è particolarmente rappresentativo, pari al 94% del totale attivo del settore. In particolare, secondo l'indagine, la formalizzazione di orientamenti strategici che includono i fattori ambientali, sociali e di gestione d'impresa nel piano industriale o con specifici piani di sostenibilità riguarda banche rappresentanti quasi il 66% del totale attivo del settore. Inoltre, banche pari a circa l'82% in termini di totale attivo di settore rendicontano iniziative coerenti con il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità dell'Agenda 2030 promossa dall'Onu. Le banche rappresentative del 76% circa del totale attivo del settore già rendicontano iniziative per promuovere la migliore gestione dei rischi delle imprese clienti correlati al cambiamento climatico». Come vede il futuro della finanza sostenibile nel nostro Paese? «Il settore finanziario sarà chiamato a svolgere un ruolo sempre più centrale nell'ambito della sostenibilità, questo in relazione sia agli obiettivi del Piano di ripresa economica dopo la pandemia da Covid che pone al centro ambiente e clima, sia nel finanziamento alle piccole e medie imprese che investiranno per migliorare le proprie performance in termini di sostenibilità. Rispetto al Pnrr, le grandi e medie opere meritevoli dal punto di vista ambientale e climatico dovranno essere individuate ex ante dalle Pubbliche Amministrazioni,in coerenza anche con la Tassonomia definita a livello europeo ed è necessario un quadro giuridico certo che elimini i cosiddetti rischi amministrativi. Sul versante delle pmi il ruolo delle Associazioni di categoria delle imprese non finanziarie è fondamentale per supportare la diffusione della consapevolezza e stimolare rendicontazioni strutturate e coerenti con gli standard». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 15/10/2021

15 Ottobre 2021

Sella: «Banche abilitatori di sostenibilità, noi raggiunto il target di impatto zero»

Il ceo del gruppo, Pietro Sella parla del traguardo, annunciato oggi, della 'carbon neutrality' e del ruolo primario in un percorso sostenibile La sostenibilità per un'impresa è una condizione necessaria e i risultati economici non possono essere disgiunti dall'impatto positivo su comunità e ambiente. Per Pietro Sella, ceo del Gruppo Sella, le banche e la finanza hanno un ruolo primario, di ‘abilitatori della sostenibilità'. Un ruolo condiviso dal gruppo, tra i primi del settore bancario italiano ad aver raggiunto, come appena annunciato, la cosiddetta ‘carbon neutrality', in anticipo sui target, e con un impegno che continua con l'adesione al progetto "Impatto Zero" di LifeGate. Un percorso, aggiunge Sella in un'intervista a SustainEconomy.24, report di Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School, che non può prescindere dall'innovazione. Un connubio, quello tra sostenibilità e innovazione imprescindibile e che la pandemia ha ulteriormente accelerato. Qual è il ruolo che le banche e la finanza possono avere per la sostenibilità? «La sostenibilità, specie quella ambientale, è una priorità per tutti, senza la quale non c'è futuro. Per un'impresa si tratta di una condizione necessaria, poiché senza sostenibilità non vi sarà alcun business in futuro. I risultati economici, quindi, non possono essere disgiunti dall'impatto positivo sulla comunità e sull'ambiente e dobbiamo fare in modo che lo sviluppo dell'economia – che in questo periodo sta vivendo una buona ripresa – sia duraturo, equo, inclusivo e appunto sostenibile. Oggi finalmente c'è consapevolezza di questa priorità, grazie a dati e fatti che dimostrano in modo inequivocabile che senza una decisa inversione di rotta, fattori critici come il depauperamento delle risorse del pianeta e il riscaldamento globale ci porteranno al disastro. In questo quadro, le banche e la finanza hanno un ruolo importante, come 'abilitatori di sostenibilità'. Esse possono supportare e favorire investimenti e progetti, propri e dei propri clienti, che creano valore per l'intera società e promuovono la transizione verso attività economiche e comportamenti a impatto Esg positivo. Farlo è un dovere, ma anche una opportunità da cogliere a vantaggio di tutti». Cosa significa essere sostenibili per il gruppo Sella e cosa state facendo concretamente? «Abbiamo avviato un "progetto sostenibilità" con l'obiettivo di migliorare costantemente le nostre performance sociali e ambientali e promuovere un'economia sostenibile. Ovviamente si tratta di un processo in divenire, perché perseguire la sostenibilità vuol dire anche ricercare, apprendere, implementare e migliorare continuamente. Il primo passo, per una questione di coerenza, è stato agire su noi stessi, sui nostri comportamenti e sul nostro footprint. Abbiamo per prima cosa messo in cantiere e raggiunto un obiettivo importante, azzerando l'impatto delle nostre emissioni di CO2 in anticipo rispetto al piano fissato per il 2024. Grazie a questa iniziativa siamo tra i primi gruppi del settore bancario italiano a raggiungere la cosiddetta "carbon neutrality". Per farlo siamo partiti dal calcolo e dall'analisi delle nostre emissioni di CO2 prodotte nel 2019, prima della pandemia, e abbiamo avviato da un lato un percorso triennale di riduzione del nostro impatto ambientale e dall'altro l'immediata compensazione delle emissioni esistenti. Tale compensazione è stata ottenuta finanziando progetti internazionali di assorbimento di CO2, di tutela ambientale, di economia circolare e di supporto alle comunità locali. In collaborazione con il progetto "Impatto Zero" di LifeGate, abbiamo individuato tre iniziative in Europa, Africa e America centrale, certificate da enti internazionali. Ovviamente questo offsetting non sarà un motivo per non continuare e ridurre alla fonte la nostra impronta. Inoltre, una volta agito su noi stessi, il nostro obiettivo è di supportare i nostri clienti, sia per i loro investimenti, sia nel finanziare i loro progetti, nel percorrere lo stesso cammino». E quali sono le iniziative di mitigazione che avete realizzato? «Da diversi anni abbiamo intrapreso molte iniziative. Tra le più significative c'è il fatto che la totalità dell'energia elettrica utilizzata dal nostro gruppo in Italia deriva da fonti rinnovabili certificate e contribuiamo al nostro fabbisogno energetico con 17 impianti fotovoltaici installati in sedi e succursali. Puntiamo poi sulla formazione delle persone, per contribuire a promuovere idee e comportamenti virtuosi. Abbiamo in programma di proseguire questo percorso anche attraverso altre iniziative, per integrare sempre di più la sostenibilità nella cultura aziendale e nel nostro operato. Per stimolare comportamenti migliori, inoltre, stiamo integrando gli indicatori di business con parametri in grado di dare informazioni sull'effettivo contributo alla sostenibilità delle iniziative intraprese». Si parla tanto del binomio tra sostenibilità e innovazione: che ruolo può giocare quest'ultima, di cui Sella è da sempre uno dei promotori? «È un connubio imprescindibile, perché si tratta di due grandi trasformazioni e transizioni, che la pandemia ha ulteriormente accelerato, che convergono su un obiettivo comune: contribuire alla realizzazione di un ecosistema finanziario aperto e innovativo che rappresenta una spinta per lo sviluppo sostenibile e inclusivo dell'economia e della società. Crediamo che l'innovazione, se gestita correttamente e consapevolmente, possa aiutare molto la sostenibilità sotto tutti i suoi profili, dall'ambiente all'inclusione. Stiamo vivendo un momento di grandi trasformazioni, di discontinuità, che offre anche grandi opportunità. Studi recenti dimostrano che il digitale può abbattere di diversi punti le emissioni di CO2, che le aziende digitalizzate sono più produttive di quelle che ancora non hanno attuato questa trasformazione e che le nuove soluzioni sono un volano di inclusività e pari opportunità». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 15/10/2021