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 Candiani (Microsoft): «App per tracciamento contagiati sia aperta agli altri sviluppatori»
 Candiani (Microsoft): «App per tracciamento contagiati sia aperta agli altri sviluppatori»
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L’intervista alla country manager Italia per DigitEconomy.24, il report Luiss Business School e Il Sole 24 Ore. Il gruppo ha partecipato alla call del Ministero dell’Innovazione.

candiani microsoft sole 24 ore luiss

 

Chiunque venga scelto per l’app di tracciamento dei contagiati di coronavirus metta poi la sua soluzione a disposizione degli altri sul social network degli sviluppatori, in modo tale che possa essere migliorata e sfruttata anche negli altri Paesi. E’ il punto di vista di Silvia Candiani, country general manager di Microsoft Italia, una delle oltre 300 aziende che hanno partecipato alla call del ministero dell’Innovazione per realizzare un sistema di tracciamento. Per quanto riguarda il modello da scegliere nel bilanciamento con le esigenze di privacy, Candiani, che  ricorda come Microsoft sia pronta con ben due app, cita quello utilizzato da Singapore che si basa sull’uso della tecnologia bluetooth, sui contatti del contagiato, senza risalire al singolo individuo e parla di un necessario «trade off» tra sicurezza e uso del dato in un momento emergenziale come quello che stiamo vivendo. Oltre alla app, Microsoft per far fronte all’emergenza è impegnata su più fronti, dagli ospedali alle scuole alle aziende. E dopo l’emergenza? Nell’intervista a DigitEconomy.24 (report di Radiocor e Luiss Business School), Candiani spiega: «non si tornerà indietro, ci sarà un balzo nella digitalizzazione: penso che il cloud, l’informatica, l’utilizzo dei dati dovranno essere gli assi su cui costruire nuovi prodotti e servizi e su cui rilanciare anche la rinascita dell’Italia alla fine della crisi».

Quali le iniziative avete intrapreso per l’emergenza?

La prima cosa che abbiamo fatto è metterci in moto perché le aziende potessero essere operative, e in questo senso abbiamo avuto un feedback superiore a ogni più rosea aspettativa. Ci siamo resi conto in poco tempo di quanto si possa fare in smart working, dalle riunioni alle sessioni di brain storming, al dialogo con i clienti. Da noi in Microsoft abbiamo previsto anche momenti ludici come ad esempio le lezioni di yoga per i dipendenti.   Ci siamo anche accorti che le piccole aziende erano più in difficoltà, e quindi abbiamo messo loro a disposizione gratuitamente fino al 2021 Teams, la nostra piattaforma per le videconferenze e la produttività da remoto. In più abbiamo fatto una call to action a tutti i nostri partner chiedendo di prestare aiuto volontario per quelle realtà che volessero andare in smart working rapidamente ma non ne avessero le capacità. Abbiamo avuto un grande successo, quasi 40 aziende si sono offerte volontarie. Abbiamo dato priorità a ospedali e strutture sanitarie per poterle aiutare nell’attivazione di Teams. Inoltre abbiamo partecipato alla chiamata alle armi del ministero dell’Innovazione che ha chiesto i nostri prodotti gratuitamente per le zone più colpite, ad esempio nelle zone rosse di Codogno, poi abbiamo deciso di ampliare la nostra promozione al di là di quelle aree.  Un altro campo dove abbiamo lavorato è il supporto alle scuole dove, oltre alla nostra piattaforma, abbiamo dato disponibilità a formare gli insegnanti per la didattica on line. In poche settimane ne abbiamo formato un numero consistente, oltre 60mila. Infine abbiamo messo on line tutti i 9.500 giudici che ora fanno gli interrogatori tramite Teams.

Che dati avete riscontrato nell’utilizzo delle vostre piattaforme con l’arrivo del coronavirus?

In Italia con Teams eravamo un po’ più indietro, era un prodotto di riferimento, ma non se ne si sentiva così forte l’urgenza. Nel giro di pochi giorni abbiamo abilitato quasi tutte le grandi aziende in Italia. Per rendere l’idea mese su mese abbiamo riscontrato una crescita di 7 volte nell’uso della piattaforma.

Il sistema Italia era pronto a sostenere un’emergenza del genere?

La difficoltà è stata trovare l’interlocutore giusto. Ad esempio nel mondo della scuola abbiamo lavorato bene, partecipiamo a un gruppo di lavoro, e abbiamo fatto un buon piano per la didattica on line. Una delle criticità è che per parlare alle scuole non esiste un modo centralizzato, ma bisogna partire dal basso. Ogni scuola, e a volte ogni professore, si orienta in maniera diversa. Diventa un po’ difficile fare qualcosa di orchestrato. In altri Paesi invece si ci mette d’accordo con il Ministero e poi viene realizzata la soluzione per tutti. La stessa cosa è avvenuta per gli ospedali per i quali abbiamo tante soluzioni, ma non c’è un coordinamento nazionale. C’è una frammentazione che magari ha benefici in alcuni ambiti, è più flessibile, in altri permette di essere meno veloce nell’implementare determinate soluzioni.

Che tipo di soluzione avete individuato per l’app di tracciamento delle persone contagiate?

Abbiamo presentato una nostra proposta, abbiamo sostenuto anche nostri partner che hanno fatto delle proposte, ci siamo messi a disposizione. In effetti il numero di applicazioni presentate è molto ampio, e questo potrebbe rallentare il processo, le soluzioni vanno infatti validate, ne va scelta una, sono tutti giorni che un po’ perdiamo, si potrebbe essere più efficaci magari con un approccio un po’ più direttivo. Dal canto nostro abbiamo messo a disposizione un’app realizzata con un nostro partner che gira su Azure ed è già disponibile adesso, un’altra sarà disponibile tra pochi giorni. Come Microsoft abbiamo diverse esperienze, siamo il partner del sistema sanitario inglese, abbiamo collaborato a Singapore, in questo momento tutte le nostre filiali stanno lavorando su applicazioni simili. Abbiamo inoltre proposto di mettere l’app prescelta su Github, il.social network dei devolopers, dove cioè gli sviluppatori si possono scambiare il codice sorgente. Qualunque sia la app scelta è infatti preferibile che diventi un bene comune che magari possa essere migliorato dalle altre 300-400 società di sviluppatori, ma anche essere resa disponibile agli altri Paesi.

Come si possono risolvere i problemi di privacy nell’utilizzo di simili app?

Innanzitutto, anche nella regolamentazione della privacy si fa riferimento al caso delle emergenze sanitarie. Si può inoltre ipotizzare, ad esempio nell’app scelta da Singapore, che sulle informazioni raccolte con bluetooth, non si sappia chi sia la persona, ma si abbia solo evidenza degli altri cellulari che sono stati vicini al contagiato entro due metri. Qualora dunque una persona risulti positiva al coronavirus, premendo un bottone si potrà avvisare automaticamente tutti gli altri cellulari che si sono trovati vicini nei precedenti 14 giorni. Penso in questa fase serva un trade off tra sicurezza e utilizzo del dato. Comunque l’app sarà di proprietà dello Stato che sarà garante.

Che idea vi siete fatti dello stato di digitalizzazione dell’Italia ai tempi del coronavirus e che cosa ci aspetterà alla fine dell’emergenza?

L’Italia è in ritardo rispetto agli altri Paesi, ha investito sempre molto meno in tecnologie e ricerca, in effetti si vede dalla penetrazione più bassa dello smart working e del cloud. La situazione di emergenza ha accelerato una serie di processi e secondo me non si torna indietro. Penso che l’ideale sia comunque un mix tra l’uso del digitale e gli incontri di persona perché abbiamo anche bisogno del contatto umano, dello scambio. D’altro canto, se non avessimo avuto il cloud, non sarebbe stato possibile gestire i picchi così forti registrati sulla nostra infrastruttura. I benefici in termini di resilienza, di elasticità sono sotto gli occhi di tutti, tutte le aziende stanno accelerando nel percorso di digitalizzazione. L’eredità di questa situazione sarà un grande balzo in avanti della digitalizzazione: penso che il cloud, l’ict e l’utilizzo dei dati dovranno essere gli assi su cui costruire nuovi prodotti e servizi e su cui rilanciare anche la rinascita dell’Italia alla fine della crisi.

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09/04/2020

Data pubblicazione
9 Aprile 2020