Un percorso poliedrico e la voglia di mettersi alla prova al di fuori del proprio settore di competenza, l’ingegneria, hanno spinto il giovane startupper verso l’alta formazione Luiss Business School. Il risultato? Una nuova avventura e tante nuove frecce al proprio arco
Domenico Crescenzo non è il classico ingegnere, certo solo delle sue conoscenze. Ma per comprendere questa personalità che in molti definirebbero “multipotenziale”, bisogna raccontare la sua storia dall’inizio. Domenico è prima di tutto un leader naturale. Il primo ruolo arriva prestissimo, durante gli anni della scuola militare aeronautica Giulio Douhet di Firenze, frequentata dai 16 ai 19 anni. Qui è stato capo corso di 40 cadetti: insieme alla fatica degli studi liceali, aveva anche la responsabilità dei coetanei del suo corso. Poi è arrivato il percorso accademico in ingegneria energetica (percorso Aspri, Alta scuola politecnica ricerca e innovazione) presso il Politecnico di Milano. Terminati gli studi, è stato il momento di un’esperienza all’estero, per la precisione a Stoccolma presso il Royal Institute of Technology (KTH), dove ha seguito un percorso di ingegneria della progettazione, specializzandosi nella branca legata alla combustione e motori a combustione interna. L’approdo in Scania, azienda leader nella produzione di veicoli industriali, sembra quasi scontato. In questa esperienza Domenico porta a compimento anche un brevetto legato a un algoritmo capace di misurare l’efficienza di iniezione del combustibile.
Ma qualcosa non funziona nell’equazione della sua vita lavorativa: Domenico sente che la sua vera realizzazione è nel mondo imprenditoriale. Lancia la sua prima startup, ma le cose non vanno come dovrebbero: lui, giovanissimo, entra in un team fatto da amici, che però non condividono la stessa visione. Così inizia a frequentare il mondo imprenditoriale italiano, prima di approdare a Janssen, la divisione farmaceutica di Johnson & Johnson. Questo è stato l’inizio di continui contatti con tante realtà innovative, tra cui Keethings, startup in cui ha esplorato tutti i ruoli che è possibile ricoprire in un’azienda di questo tipo. Questa esperienza lo ha portato a capire che consolidare le conoscenze manageriali e imprenditoriali non era più una scelta, ma un imperativo. Da lì, la decisione di iscriversi all’MBA di Luiss Business School. Grazie all’ambiente fertile e stimolante, Domenico si è rimesso in gioco e ha consolidato le sue conoscenze. Durante il percorso, in piena pandemia, ha anche fatto nascere la sua seconda startup, Screevo, l’espressione finora più compiuta della sua voglia di essere imprenditore.
Domenico Crescenzo, cosa ti ha spinto a scegliere l’MBA Luiss Business School in formula part-time?
Mi piaceva molto il mio lavoro in Keethings e non volevo lasciarlo. Qui stavo lavorando su settori che non avevo mai toccato prima. Sono sempre stato un ingegnere, un tecnico, ma con una forte spinta verso l’imprenditorialità. Volendo portare le due cose in parallelo: studiare e mettere in pratica, la formula part-time, benché impegnativa, era adatta alla missione. Perché la Luiss Business School? Perché è uno dei programmi, se non il programma più importante d’Italia. Essendo a Roma, mi permetteva di costruire e fortificare la rete che già avevo in quest’area geografica.
Che ambiente hai trovato in Luiss Business School?
L’aggettivo che meglio esprime la mia esperienza in Luiss Business School è “diverso”. Prima di tutto, la mia classe era costituita da tantissimi profili diversi, un vero e proprio valore aggiunto: dal profilo corporate all’imprenditore, c’erano diversi tipi di persone. L’ambiente è informale, molto interessante, cosa che mi ha permesso di avvicinarmi e parlare facilmente con chiunque volessi.
Sei il Co-Founder e CEO della startup Screevo. Quali competenze – hard e soft – acquisite durante l’MBA ti hanno aiutato e ti aiutano a svolgere questo ruolo importante?
Sicuramente quelle legate alla parte economico finanziaria, come il budgeting e la capacità di sedersi e cercare di pianificare tutte le attività nel breve, medio e lungo termine. Abbiamo seguito corsi di imprenditorialità in cui ci hanno spiegato come fare una presentazione per gli investitori, come capire e cogliere gli aspetti principali di un mercato, oltre ad alcuni corsi di marketing in cui ci hanno insegnato a notare alcune cose. Sono corsi e materie così ampie che ti spingono ad approfondire le cose che contano di più per ogni singola persona. Per quanto riguarda le competenze soft, penso che quando si entra in un MBA, dopo aver seguito le lezioni, non si esce come delle persone completamente diverse. Accade solo se ti metti davvero in gioco durante il percorso. La serie di corsi sulla leadership, ad esempio, affiancati al coaching, vanno poi applicati affinché avvenga una vera trasformazione. Io avevo in mente una sfida.
Quale?
Quando parti con una startup e sei poco più di un ragazzo, con poche risorse, e chiedi a persone più senior di lavorare gratis per te, per seguire un sogno, in tempo di pandemia, senza vedersi mai, richiede una leadership importante. Dipende da me, ma anche dalla visione e da ciò che comunico alle persone che stanno davanti a me. L’obiettivo che avevo in mente era far sì che anche gli altri riuscissero a vedere ciò che vedevo io. Quindi la mia bravura doveva stare nella capacità di comunicare quel sogno e sento che l’MBA mi ha aiutato ad affinare gli strumenti per farlo.
Soft skill, come avete lavorato su questo ambito durante il master?
Nel corso di leadership mi ha colpito molto una frase detta in classe: «It’s not about you. It’s about the others». La servant leadership, il mettersi a disposizione, l’essere il primo a prendersi gli schiaffi, creano quello spirito di trust che spinge tutto il team a mettersi in gioco. Davanti a grandi investitori ho preso molti schiaffi e il mio team mi ha ringraziato per questo! Sul coaching ho dovuto mettermi in gioco a 360 gradi: qui ho esplorato i miei limiti di persona e poi di professionista.
In che senso?
Nella mia esperienza, posso dire che i limiti del professionista sono strettamente legati a quelli della persona. Sono sempre stato un buon comunicatore, ma emotivamente piuttosto chiuso: in alcuni casi può diventare un problema anche sul lavoro. Quando non riesci a esprimere ciò che senti, in positivo e in negativo, possono nascere incomprensioni. Questo mio limite è stato un punto di attenzione, che mi ha costretto ad allenare questa caratteristica. L’MBA non è una serie di corsi, che puoi acquisire leggendo dei libri: richiede un rimettersi in discussione per ripartire da una base più solida.
Nella tua posizione la leadership è una qualità fondamentale: cosa ci vuole per essere veri leader?
Servire, ascoltare, affrontare. Per alcune persone affrontare discussioni difficili è molto complicato. Invece va fatto in modo repentino e chiaro. Bisogna essere trasparenti nei confronti di sé stessi e degli altri. Di conseguenza, bisogna affrontare ogni giorno questi temi per creare un clima di fiducia, che non va tradita. Un buon leader è una persona di cui i dipendenti e gli impiegati si fidano, per cui sono pronti a fare l’extra mile.
Il tuo curriculum è molto ricco: in quale delle tue esperienze pensi che l’MBA Luiss Business School avrebbe potuto cambiare le tue performance?
Credo che questo tipo di formazione avrebbe fatto la differenza in molti momenti. Nel mio percorso di ingegneria non sono mai stato esposto a questioni di business. Sono entrato all’università con l’idea di finire il prima possibile, ma al termine ho scoperto che ciò che avevo studiato non mi piaceva del tutto.
Competitività: senti di aver allenato questa soft skill durante il tuo percorso in Luiss Business School?
Sono estremamente competitivo per natura, ma non verso gli altri. Nell’MBA non c’è competitività interna, ma si avverte la volontà di andare avanti uniti come un blocco. Le varie sfaccettature di ognuno concorrono a creare un corpo unico. Si ha la possibilità di cogliere il meglio di ogni componente della classe.
Molti alumni hanno sperimentato il valore del networking che si viene a creare in Luiss Business School. Qual è stata la tua esperienza?
Sono ancora nel pieno del programma, mancano sei mesi alla fine. Ho avuto contatti con persone interessate alla mia startup Screevo. Ho lanciato un’iniziativa, Startup Group, in cui abbiamo organizzato una call: si sono presentati 60 ex alumni con idee innovative.
Pandemia e corso: come hai vissuto la didattica a distanza?
La didattica a distanza ha i suoi limiti. Ma è la prima volta per tutti. L’esperienza di networking ne ha risentito, ma sono sicuro che ci saranno occasioni per colmare questo gap.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro? Pensi che tornerai a formarti?
Il futuro sarà su Screevo. Poi non lo so: coltivo il sogno di alimentare la mia passione per la didattica.
Raccontaci cos’è Screevo.
Si tratta di un assistente vocale per l’industria 4.0. Il settore manifatturiero è stato travolto da un’onda di digitalizzazione. Operatori e tecnici, che sanno lavorare con le mani, spendevano più tempo davanti al computer per inserire dei dati che sul campo per risolvere i problemi. Infatti, dopo aver aggiustato una macchina, va compilato un report. L’idea è che le mani di operatori e tecnici debbano tornare a essere libere di generare valore. Per questo il nostro pay off è “Free From Typing”. Con Screevo si può parlare mentre si lavora: quello che si dice viene trascritto in maniera automatica nei campi software del cliente. Screevo rimappa quello che viene detto e inserisce ogni risposta nei campi specifici previsti dal software. Screevo può aiutarci anche a prenotare un viaggio sul sito di Trenitalia. Posso prenotare un treno sul sito di Trenitalia utilizzando Screevo: lui sa quali campi compilare con le risposte che gli diamo. La startup ha vinto la competizione Boost your ideas, lanciata da Regione Lazio e ci è valsa l’ammissione all’incubatore della Luiss. Verso la seconda settimana del Luiss & Labs siamo stati contattati da un programma di accelerazione in California e ora stiamo per aprire una seconda sede lì.
Open innovation e Millennial: quale ricetta per creare engagement?
È importante che le corporate responsabilizzino i giovani a loro rischio e pericolo. Dentro J&J sono stato responsabilizzato e, nonostante la paura, mi sono sentito coinvolto. Un ragazzo laureato, con le sue ambizioni, che pensa di spaccare il mondo, ed entra a fare lavoro d’ufficio, dove vede poco valore aggiunto, dove non sente la pressione della responsabilità, si disingaggia velocemente. Si scappa o dalla pressione o dalla noia. È lì che bisogna lavorare: comunicare la visione per farli sentire parte di qualcosa.
Quali sono i tuoi suggerimenti per gli studenti futuri e in aula su come cogliere pienamente le opportunità del percorso in Luiss Business School?
La chiave del successo – e parlo da chi sta affrontando questo percorso in prima persona – è il coraggio di prendersi dei rischi. E non è qualcosa che si fa solo da imprenditori. Si ha successo quando si spinge per cambiare, cosa che richiede coraggio, energie e rischio. Uno studente MBA che vuole cogliere le opportunità del percorso deve poter innovare perché è necessario per crescere, per cambiare il sistema, ma anche il Paese. Per innovare serve coraggio. Non lo si può fare solo seguendo le regole. A volte è necessario sapendosi muovere tra le regole, e questo comporta una parte di rischio.
Il Messaggero, Screevo – Un fondo americato co-investe nella start-up di Luiss Enlabs, 17 settembre 2021
28/9/2021