Parla Elisabetta Romano, AD di Sparkle (gruppo Telecom), illustrando le opportunità del settore per il sistema Paese nel contesto geopolitico
Il baricentro dei cavi sottomarini, infrastrutture dove passano il 99% del traffico delle comunicazioni internazionali e 10 miliardi di dollari di transazioni finanziarie ogni giorno, si sta spostando più a Sud. E questo rende l’Italia, che al momento non ha nessun hub internazionale, più centrale. In questo contesto, afferma Elisabetta Romano, ad di Sparkle, società del gruppo Telecom Italia, Milano «ha tutte le carte in regola» per diventare un hub a tutti gli effetti. Sparkle, presente in 32 Paesi nel mondo, non è nemmeno spaventata dall’avanzata nel settore degli hyperscaler che restano, dice Romano a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School), tra i migliori clienti. L’Asia e il Sud America sono tra le frontiere su cui punterà Sparkle che proprio quest’anno festeggia il centenario dalla fondazione di Italcable di cui è erede. Quanto al rapporto con i competitor, il settore rappresenta la “coopetion”: «il mondo delle tlc ha avuto sempre il difetto della chiusura, ritengo invece – chiosa Romano – che l’apertura sia un aspetto fondamentale per la trasformazione dell’industria».
In quali aree concentrerete i vostri investimenti?
Oggi la maggior parte dei dati passa attraverso i cavi sottomarini e i volumi raddoppiano ogni due anni richiedendo nuove infrastrutture per soddisfare la domanda crescente di connettività. Questo significa che bisogna continuare a investire in nuove infrastrutture, soprattutto nelle aree a forte crescita come in Asia e in Europa dove l’infrastruttura esistente è quasi satura. Per questo stiamo continuando a investire in nuovi cavi, come il sistema di cavi sottomarini Blue & Raman che dall’India va verso l’Europa. Ma stiamo investendo anche in Sud America, in Europa e in Africa.
Come cambierà il business, considerato il contesto economico e geopolitico?
I due decenni appena trascorsi sono stati caratterizzati da un’esplosione di dati, internet, digitale. Nel prossimo decennio il traffico continuerà ad aumentare e si sposterà nel Sud-Est del mondo: i maggiori sviluppi sono attesi verso l’Asia e l’Africa. Il baricentro delle infrastrutture internazionali si sposta dunque più a Sud e questo mette l’Italia al centro delle direttrici di traffico dati. Con la costruzione di Blue & Raman, realizziamo un’autostrada digitale tra l’Europa e l’Asia con un percorso assolutamente unico e alternativo rispetto ai cavi esistenti, un aspetto rilevante nelle telecomunicazioni per evitare colli di bottiglia. Basti pensare, facendo un parallelismo con il trasporto fisico, a quanto successo con la nave incagliata nel canale di Suez. Anche per i cavi, da un punto di vista tecnico e architetturale, è importante avere strade alternative e con Blue & Raman realizziamo una serie di primati: per la prima volta nell’ambito del Mediterraneo non si passa per il canale di Suez, ma si arriva in Giordania per via terrestre. Anche in Sicilia, per la prima volta, non si passa per il Canale di Sicilia ma per lo stretto di Messina. La terza cosa significativa è che arriviamo a Genova mentre finora tutti i cavi dall’Asia arrivano a Marsiglia e Parigi che sono, quindi, diventate due delle città più importanti.
L’Italia potrà recuperare questo gap con la Francia e Milano diventare un hub internazionale?
Se consideriamo i dieci hub internet più importanti nel mondo, sei sono città europee – due di queste sono per l’appunto francesi -, nessuno degli hub principali è italiano. È senz’altro positivo che in Europa ci siano sei hub, ciò dimostra la centralità del Vecchio Continente, ma la notizia meno buona è che tra questi non ci sia nessuna città italiana. Milano ha tutte le carte in regola per diventare un hub a tutti gli effetti. C’è già un buon ecosistema, sono presenti gli Hyperscaler come Google, con cui Tim sta lavorando, si sta iniettando traffico dall’Asia. Un discorso che vale, anche se in minor misura, per Genova dove stiamo creando un’infrastruttura di atterraggio molto capiente per attirare, oltre al Blue Raman, anche cavi sottomarini di altri operatori. In generale siamo orgogliosi di fare qualcosa di rilevante non solo per Sparkle ma anche per l’Italia. Quando un’azienda riesce a conciliare obiettivi di business con l’impatto positivo per il Paese a cui appartiene, penso sia un traguardo molto positivo.
L’ingresso massiccio degli Hyperscaler nel business dei cavi sottomarini vi crea preoccupazioni?
No, non siamo assolutamente spaventati. Lavoriamo con Google, che è nostro partner, ma anche con gli altri. È vero che nell’ ultimo decennio, se prima compravano da noi tutta la capacità di cui avevano bisogno, adesso costruiscono con noi l’infrastruttura, ma continuano comunque a comprare. Sono tra i nostri clienti più importanti perché hanno tantissima necessità di banda e di trasporto Internet che un solo operatore non può soddisfare. Gli hyperscaler sono stati in pratica costretti a entrare nel campo per costruire le loro infrastrutture, ma non è il loro core business. Ad esempio, consideriamo la partnership con Google per la costruzione di Blue & Raman molto costruttiva, ben riuscita, con ambiti di azione ben definiti.
Come ci si può difendere al meglio dagli attacchi hacker?
Per noi la sicurezza è un aspetto fondamentale di cui teniamo conto sin dalle prime fasi della progettazione. In Sparkle abbiamo un gruppo dedicato e un Soc, Security operations center nella nostra sede centrale ad Acilia. Ovviamente quando si parla di cybersecurity è un po’ il gioco di ‘guardie e ladri’ perché gli attacchi diventano sempre più sofisticati. Al G20 di Trieste abbiamo partecipato a una sperimentazione, con uno spin off del Cnr, applicando la fisica quantistica alla sicurezza direttamente sulla fibra. La tecnologia sta andando molto avanti, e la sicurezza diventa insita al mezzo.
In vista dei progetti di incrementare gli investimenti e le infrastrutture pensate di aumentare l’occupazione?
Sparkle conta oggi circa 750 persone, 500 in Italia e 250 sparse per il mondo. Dobbiamo crescere, soprattutto all’estero, seguendo le direttrici dove costruiremo le nuove infrastrutture, in Sud America, Africa, nel Medio Oriente. Inoltre, stiamo investendo molto sul comparto entreprise. In sostanza abbiamo tre tipi di clienti: operatori come noi, visto che nessuno nel nostro mondo ha tutto; Ott e hyperscaler che rappresentano come suddetto una fetta importantissima; clienti entreprise, ambito su cui Sparkle finora ha lavorato, ma in maniera timida. Quest’anno nel nostro piano industriale ci puntiamo molto di più, soprattutto partendo dal fatto che il 60% dei clienti di Tim in Italia ha sede all’estero.
Siete aperti a nuove alleanze con i competitor?
Noi rappresentiamo la “coopetion” alla lettera, lavoriamo con tutti gli operatori del mondo, Verizon, At&t, Deutsche Telecom, con Telstra in Australia, con gli operatori arabi e con quelli africani. In Italia siamo i primi service provider, e siamo tra i primi dieci nel mondo. Il nostro concetto di partenza è di apertura, collaboriamo anche con aziende italiane, come Retelit. Il mondo delle tlc ha avuto sempre il difetto della chiusura, ritengo invece che l’apertura sia un aspetto fondamentale per la trasformazione dell’industria. Sparkle ha abbracciato questo paradigma.
Vedete un problema per l’Italia di tutela della sovranità nazionale sui dati che passano attraverso i cavi?
Per definizione il concetto di sovranità è in contraddizione col nostro mestiere, noi gestiamo connettività che va oltre i confini nazionali. La sovranità nazionale vale per i service provider nazionali, non per chi, come noi, gestisce una rete internazionale.
19/11/2021