Qual è l’impatto dell’apofenia sull’attenzione, la percezione e la Brand Awareness dei consumatori? Questa è la sfida a cui hanno risposto gli studenti di Sales & Account Management – major del Master in Marketing Management nell’ambito del progetto di ricerca di Consumer Insight.
Diletta Di Consiglio, Costanza Maria Rossi, Emanuele Scibilia, Carol Spizzichino, Mariano Verde, autori del progetto, ci raccontano la ricerca.
Che cos’è l’Apophenia?
Il termine Apophenia è stato coniato nel 1958 dallo psichiatra tedesco Klaus Conrad, che studiando le distorsioni della realtà insite in alcune forme di psicosi come la schizofrenia, lo definì come “un’immotivata visione di connessioni” in dati casuali e senza alcun senso. Alcuni pazienti sembravano infatti rintracciare schemi nascosti apparentemente insensati o privi di significato agli occhi dei soggetti sani. In realtà, l’Apophenia è un fenomeno universale, che prescinde dalla presenza di particolari differenze neurologiche o di patologie mentali, riguardando indistintamente tutti gli individui: in altre parole, non è altro che l’istintiva ed automatica tendenza umana a ritrovare strutture ordinate e schemi familiari in immagini o suoni privi di un ordine logico. Per comprendere come ciò accada, è necessario considerare che il nostro cervello apprende dall’esperienza e associa connessioni di dati ad un determinato significato, immagazzinando tali connessioni sotto forma di algoritmi mentali. Gli stimoli esterni a cui siamo quotidianamente sottoposti vengono confrontati con tutti i modelli presenti nella memoria a lungo termine, e interpretati secondo questi ultimi. Pensiamo ad esempio al riconoscimento facciale: il nostro cervello sin dalla nascita ha memorizzato sotto forma di algoritmo la distanza tipica esistente tra occhi naso e bocca, e tende a riconoscere un volto ogni volta sia sottoposto a uno stimolo simile. Queste routine di rilevamento, quando applicate a insiemi di dati più complessi, possono causare la corrispondenza al modello sbagliato: un rilevamento falso positivo genera l’apofenia.
Può l’apofenia giocare un ruolo nel marketing?
Ci siamo chiesti se l’apofenia potesse giocare un ruolo nel marketing: qual è l’impatto dell’apofenia sull’attenzione, sulle percezioni e la brand awareness dei consumatori, una volta inserita in prodotti, loghi e advertising? Proprio per indagare la sussistenza di tale possibile relazione, abbiamo proposto l’adozione di metodi di ricerca sia tradizionali sia sperimentali.
Tra i metodi tradizionali abbiamo suggerito:
- il Memory test per analizzare l’impatto di elementi apofenici sulla memoria del prodotto
- l’Implicit Association Test per indagare l’attenzione inconscia immediata stimolata dalla visione dei loghi apofenici
- il focus group per raccogliere insight dall’osservazione e dall’intervista diretta dei potenziali consumatori.
Abbiamo inoltre deciso di creare e somministrare un questionario ad hoc ad un campione di 70 persone, eterogeneo in termini di età e di sesso.
Abbiamo messo a paragone due immagini, la prima tratta da una campagna pubblicitaria di un brand di calzature raffigurante un paio di scarpe la cui impugnatura conteneva un richiamo apofenico, la seconda modificata da noi per eliminarlo. Abbiamo chiesto di rispondere a una sola domanda in modo impulsivo ed immediato: “quale delle due immagini preferisci?”.
Il 69% dei rispondenti ha confermato la nostra ipotesi di ricerca: l’immagine contenente loghi apofenici è stata quella che ha attirato maggiormente l’attenzione.
I modelli di ricerca appena descritti, pur fornendoci informazioni rilevanti, non ci permettono tuttavia di avere una visione del fenomeno completa e sufficientemente robusta. Abbiamo integrato quindi, i nostri metodi di ricerca con tecniche di neuro-science specifiche per lo studio del consumer behaviour. Nello specifico abbiamo suggerito di utilizzare:
- tecniche combinate di Galvanic Skin Response ed elettroencefalogramma, con l’obiettivo di indagare sulla valenza emotiva scaturita dalla vista dei prodotti e la conseguente propensione all’acquisto;
- la risonanza magnetica funzionale al fine di indagare sulla memorizzazione dei loghi e, ancora una volta, sulle emozioni che questi suscitano in chi li osserva;
- nel caso dell’Adv., elettroencefalogramma associato ad Eyetracker per monitorare quali siano gli elementi osservati maggiormente, se questi siano conformi allo scopo della pubblicità e se quest’ultima impatti sulla memoria del consumatore.
Uno studio di questo tipo, che vede lo stesso fenomeno indagato sotto tre aspetti diversi, non ha come unico obiettivo quello di dimostrare efficacia in termini assoluti dell’apofenia nel marketing, quanto piuttosto stabilire quali siano i contesti e i metodi migliori per servirsene.
Cosa porterete con voi di questa esperienza?
Ci racconta Costanza: “Ho sempre pensato di avere una fervida immaginazione: sin da piccola intravedevo volti ed immagini familiari negli oggetti più disparati, posti alla rinfusa come in una coincidenza perfetta. Oggi a questa ‘immaginazione’ posso finalmente dare un nome: si chiama apofenia, e non è il frutto del caso, ma della macchina più complessa ed affascinante che esista… la mente umana”.
Secondo Carol, “lavorare in team, facendo leva sulle risorse e le competenze migliori di ognuno di noi, ci ha permesso di pensare out of the box e proporre una domanda di ricerca quanto più efficace ed interessante”, mentre per Mariano “coinvolgi le persone con le tue idee è per me tra i precetti più importanti. Ed è in questo modo che siamo riusciti con successo a ottenere piena attenzione dei nostri ascoltatori su un tema così interessante ma altrettanto complesso. In fondo il valore di un’idea non basta se non viene ben comunicato“. Per Diletta il punto di forza di questo lavoro è stato mettersi nei panni del consumatore, grazie alla “capacità di ascoltare non solo con le orecchie ma anche con il cuore”.
Ci sarà un posto per l’apofenia nel vostro futuro professionale?
Per Emanuele, “riuscire a colpire un prof è di per sè una gran soddisfazione, ma riuscire a stupire un esperto del settore in cui tu stesso vorresti lavorare, è qualcosa che ti dà una carica pazzesca!”
In bocca al lupo!
16/04/2019