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Asstel: «Va formato il 100% dei 130mila lavoratori delle tlc, servono risorse ingenti»
Asstel: «Va formato il 100% dei 130mila lavoratori delle tlc, servono risorse ingenti»
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Il nodo delle competenze raccontato da sindacati, aziende, esperti del settore

Il settore delle tlc, oltre 130mila addetti, necessita di una rivoluzione copernicana legata all’avvento delle nuove tecnologie, dalle reti ad alta capacità al 5G e al cloud. Per fare ciò servono competenze, serve formazione dei giovani ma soprattutto di tutto il personale che lavora già all’interno delle aziende e che ha un’età media di oltre 40 anni. La formazione è costosa, si parla almeno di centinaia di milioni di euro entro il 2025; il rischio, altrimenti, è di avere nei prossimi anni migliaia di esuberi. E il Next Generation Eu non può non tenerne conto. «Gli interventi in formazione – racconta Laura Di Raimondo, direttrice di Asstel, a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) – riguarderanno il 100% dei lavoratori della filiera di tlc, parliamo di oltre 130.000 addetti. Tutti i segmenti del comparto, nessuno escluso, sono attraversati da un profondo processo di trasformazione, prodotto dall’innovazione tecnologica e dalla connessa evoluzione dei modelli organizzativi e produttivi».

Per Saccone (Cgil) il mondo delle tlc era all’inizio di una rivoluzione già ante Covid

Il mondo delle telecomunicazioni, aggiunge Riccardo Saccone, segretario nazionale della Slc Cgil, «era, già ante Covid, all’inizio di una rivoluzione. La pandemia ha accelerato i processi, cambiando i modelli, e c’è l’obbligo di formare le persone per evitare che alcune professioni diventino obsolete e quindi si trasformino in esuberi». Nelle tlc, spiega Giorgio Serao della segreteria nazionale Fistel Cisl, «è in atto una grande trasformazione tecnologica che interessa tutto il settore. Dal punto di vista industriale sono tre gli obiettivi principali da seguire: il superamento del digital divide, il tema della rete unica, gli investimenti nelle aree grigie. In questo scenario le competenze, assieme alla connettività, saranno i grandi problemi che il Paese deve risolvere». Le competenze, aggiunge Luciano Savant Levra, segretario nazionale della Uilcom, «sono un valore qualitativo insostituibile e imprescindibile per le lavoratrici e lavoratori che deve essere costantemente mantenuto e sviluppato, tenuto al passo dei tempi del terzo millennio».

Lupi (Astrid): «Comparto risente del cambiamento più sul versante del mobile che del fisso»

Per Paolo Lupi, esperto Astrid, il comparto risente del cambiamento che sta investendo tutto il mondo del lavoro «più dal lato del mobile, però, che da quello del fisso. L’avvento del 5G con la virtualizzazione delle infrastrutture richiede infatti delle competenze che a volte sono più vicine a quelle dell’informatica che a quelle del tradizionale settore delle tlc». Certo, sottolinea Lupi, il cambiamento è in atto anche nelle reti fisse, con il passaggio dal rame alla fibra, ma è in qualche modo questa trasformazione è già stata scontata, «visto che se ne parla da anni».

Serao (Fistel): «Formare tutti per non lasciare nessuno indietro»

Le telecomunicazioni rivestono il ruolo di volano della trasformazione digitale, ma gli obiettivi non potranno essere raggiunti senza una forte specializzazione dei lavoratori in un arco di tempo abbastanza ristretto. «Lo sforzo – dice Serao – è quello di formare tutti, evitando di creare sacche di lavoratori non ‘riconvertibili’, non dobbiamo lasciare nessun indietro». L’orizzonte della compiuta rivoluzione tecnologica, è, spiega il sindacalista, il 2025: «allora avremo un’infrastruttura di rete fissa in banda ultraveloce che riesce a collegare oltre il 90% della popolazione, in più ci sarà il wi-fi dove non arriva la rete fissa, il satellitare, il 5G. Ci saranno inoltre nuovi servizi al cliente che saranno la parte più remunerativa per le aziende. Per allora dobbiamo, dunque, anche avere i lavoratori che hanno acquisito completamente nuove competenze». Più in generale è l’intera popolazione italiana che ha bisogno di competenze digitali, il rischio è di avere le tecnologie e le reti senza le competenze per usarle. «Ci auguriamo – prosegue il sindacalista della Cisl – che tutti i lavoratori che sentono di avere lacune, richiedano alle aziende, durante l’orario di lavoro, di fare formazione che riteniamo debba essere un diritto individuale del lavoratore». Lo sforzo, gli fa eco Saccone, «va fatto almeno per un triennio e occorre non solo fare formazione, ma rivedere il mix generazionale». Secondo il sindacalista della Cgil, inoltre, a lungo andare, con i sistemi di Intelligenza artificiale, bisognerà anche aprire un dibattito sul tema dell’orario di lavoro.

Savant Levra (Uilcom): «Formazione va fatta per tutta la vita lavorativa»

L’azione di formazione, precisa Savant Levra, va effettuata «in maniera costante non limitandosi a interventi parziali e per brevi momenti ma per l’intero periodo della vita lavorativa».Acquisire competenze, tuttavia, costa parecchio, per Asstel le risorse necessarie sono ingenti». Partendo dal presupposto che la formazione venga svolta nell’orario di lavoro, il costo dipende dalle ore necessarie a formare le persone per acquisire le competenze per svolgere in modo professionale il proprio lavoro. Serao esemplifica: «In Tim per 37.500 lavoratori si è fatta una formazione grazie al fondo nuove competenze per un totale di 3 milioni di ore, ammontare che, moltiplicato per il costo orario, ci dà la dimensione dello sforzo economico necessario. Visto che servono milioni di ore in tutto il comparto e per tutte le aziende, dunque, c’è bisogno di centinaia di milioni da qui al 2025». Intanto il settore tlc (Tim, Vodafone, Open Fiber Wind Tre, i maggiori call center, Sielte) ha fatto richiesta nel 2020, nell’ambito del fondo competenze da 700 milioni di euro messo a disposizione dal governo tramite Anpal, per 55mila lavoratori, la metà di una platea di 110mila lavoratori di tutti i settori, e un totale di 4,5 milioni di ore di formazione (dati Anpal al del febbraio 2021). Inoltre, alle risorse pubbliche si aggiungono i 100 milioni stimati dalle aziende per un primo step sulle competenze digitali. «Se aggiungiamo – spiega Serao –, infatti, i soldi che le aziende spendono per la formazione ordinaria e la formazione prevista per legge come quella sulla sicurezza si tratta di centinaia di milioni di euro» fino al 2025.

Di Raimondo: «fondo di solidarietà idoneo a realizzare il riequilibrio del settore»

Oltre al fondo competenze, Asstel sottolinea l’importanza, in questo momento di profondo cambiamento dell’utilizzo del fondo bilaterale di solidarietà del settore: «è un elemento idoneo – secondo Di Raimondo – a realizzare e sostenere il riequilibrio strutturale del settore nonché il finanziamento di formazione professionale e riqualificazione, con maggiore flessibilità e in una logica ‘tailor made’ rispetto alle esigenze della filiera delle telecomunicazioni. In questo senso, il fondo offre anche agli interventi contingenti di sussidio una prospettiva non più emergenziale, ma di risoluzione strutturale». In questo scenario le risorse europee non possono avere un ruolo di secondo piano. Asstel, sottolinea Di Raimondo, «ha avviato un dialogo con le istituzioni per promuovere un supporto economico esterno, aggiuntivo al finanziamento da parte di imprese e lavoratori, che ne acceleri l’operatività nella fase di start-up. È evidente che non possiamo sprecare le ingenti risorse del Next Generation EU per investire sul futuro e dunque sul capitale umano. Non progetti spot, ma riforme strutturali che abbiano una visione di medio-lungo termine e questo scenario, bisogna far riferimento a un mix di strumenti esistenti e in divenire, in grado di offrire supporto agli investimenti delle imprese. Assumono pertanto particolare rilievo, gli strumenti di politica attiva, come il contratto di espansione, per l’attuazione di un patto intergenerazionale volto a stimolare l’evoluzione delle competenze e il rafforzamento della base occupazionale».

Oltre all’azione sulle competenze occorre cambiare il mix generazionale

Oltre ad agire sulle competenze infatti, concordano sindacati e imprese, occorre cambiare il mix generazionale. «Nell’ultimo decennio, anche a causa di un turnover spontaneo estremamente limitato, si è registrato – spiega Di Raimondo – un innalzamento continuo e generalizzato dell’età media della filiera che si attesta oltre i 40 anni, fino a raggiungere anche oltre i 50 anni di età in alcune realtà. Quello del ricambio generazionale è un tema che richiede particolare attenzione. Favorire l’assunzione di giovani dotati delle skill adeguate ai nuovi processi produttivi è indubbiamente, una chiave di volta importante nell’architettura generale del lavoro che cambia, con effetti positivi in termini di competitività e produttività». Ma quali sono le figure che mancano? «Stiamo facendo uno sforzo con le aziende – spiega Serao – per condividere le figure professionali di cui c’è maggiore necessità, legate soprattutto al mondo delle tecnologie a banda ultra-larga e 5G. Mancano, innanzitutto, i progettisti di rete e i giuntisti che servono nella stesura della fibra». Per stendere solo la fibra, infatti, il conto è di almeno 5mila risorse aggiuntive. In questo panorama un ruolo fondamentale sarà svolto, per le figure professionali future, da scuola e università.

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19/3/2021

Data pubblicazione
19 Marzo 2021
Categorie
DigitEconomy.24