Anna Genovese, commissario Consob, descrive lo scenario italiano a SustainEconomy.24, report di Luiss Business School e il Sole 24 Ore Radiocor. Positivi social e green bond ma completare le regole e attenzione alle bolle speculative
Lo scenario italiano presenta luci e ombre, tra società che vantano una lunga tradizione di bilanci sociali e una platea ancora vasta di imprese che non si è ancora dedicata a reportistica Esg. Per Anna Genovese, commissario Consob, i tempi sono maturi per intervenire per una maggiore diffusione delle Dichiarazioni non finanziarie volontarie, anche pensando a degli incentivi. Perché sono tanti i vantaggi e per non farsi trovare impreparati di fronte ad un percorso Ue, in tal senso ormai imminente. Bene green bond e social bond ma con attenzione all’uso opportunistico dell’acronimo Esg e completare le regole
Cresce l’attenzione degli investitori ai temi della sostenibilità e sta crescendo anche la declinazione dei temi Esg nelle imprese italiane. Nello scenario italiano, a che punto siamo?
«Nello scenario italiano sono presenti luci ed ombre. Alcuni emittenti sono presenti nel segmento di mercato dei green bond, che registra tassi di crescita a due cifre. Non poche società quotate ricevono anche buoni rating di sostenibilità dalle agenzie specializzate. Ci sono diverse imprese che vantano una lunga tradizione di bilanci sociali e – a partire dal 2016, quando la disciplina sulle Dnf (dichiarazioni non finanziarie) ha esaltato la funzione di questa reportistica – ci sono state società che hanno cominciato a sperimentare cambiamenti di governance e di modello di business con orientamento Esg. Va ricordato, poi, il nuovo Codice di autodisciplina delle quotate, in vigore con la stagione assembleare 2021, che definisce il successo sostenibile come obiettivo del Cda e del management. A fronte di ciò, la scena italiana restituisce anche una vasta platea di imprese, incluse non poche quotate, che fino al 2019 non si è cimentata in alcuna reportistica Esg. Un punto di debolezza, come emerge anche da una Survey che Consob ha svolto nel 2020 in collaborazione con Assogestioni e i cui risultati sono in fase di elaborazione».
Come lei ha appena sottolineato, sul fronte della volontarietà delle Dnf siamo ancora lontani. La Consob sta spingendo ad una maggiore sensibilizzazione. Come si potrebbe intervenire e quali sono i vantaggi?
«L’obbligo della Dnf è previsto solo per società ricomprese nel perimetro vincolato dalla Direttiva che pone, fra le altre condizioni, la soglia dei 500 dipendenti. I tempi sono maturi per considerare interventi che portino ad aumentare il numero di imprese italiane che redigono la Dnf. Gli interventi potrebbero essere vari. Non solo l’eventuale abbassamento delle soglie dimensionali per l’obbligo, a cui fra l’altro il legislatore Ue già sta pensando. Sarebbero da considerare anche interventi che incentivino la Dnf volontaria, modulando meglio i contenuti e/o i benefici/incentivi connessi, di carattere fiscale e non. Si potrebbe pensare a sistemi premianti nell’ambito delle commesse pubbliche o dell’accesso a sussidi ambientali, visto anche il contenuto dei piani riferiti al Green Deal nazionale e al Recovery Fund dell’Ue. Consob, preso atto dello scarso numero di Dnf volontarie, ha indetto una pubblica call, aperta fino al 30 novembre. È importante che, malgrado il periodo complicato, la partecipazione delle imprese sia ampia e qualificata. Quanto ai vantaggi sono molteplici perché, in generale, la Dnf volontaria è una opportunità. Senza tralasciare, poi, che la reportistica Esg consente alle imprese di intraprendere un percorso che, come attestato da autorevoli analisi, migliora la performance, accresce la capacità di attrarre investitori e di ottenere finanziamenti bancari. Peraltro il percorso Ue di ampliamento del perimetro dell’obbligo di Dnf per tutte le società quotate appare segnato, assai probabile e imminente. Quindi l’utilizzo del formato Dnf può consentire alle imprese di farsi trovare pronte a questo passaggio».
Quanto i temi di finanza sostenibile stanno orientando la regolazione finanziaria?
«Moltissimo. L’ammontare di investimenti necessari per la riconversione del sistema produttivo e per mitigare gli effetti delle emissioni di CO2 è di gran lunga superiore alle risorse a disposizione del pubblico e gli investimenti privati sono essenziali. Il piano europeo per la neutralità climatica al 2050 richiede fra il 2021-2030, secondo stime Ce, uno sforzo aggiuntivo da 350 miliardi. Nel contempo la consapevolezza degli investitori su rischi e opportunità Esg è crescente e anche la terribile pandemia in corso sta contribuendo a generare questa consapevolezza. Le scelte di investimento, tuttavia, vengono fatte anche in funzione di altri fattori. Perciò interviene la corposa regolazione finanziaria dedicata, che – in larga parte in costruzione – copre anche altri aspetti, tra cui l’informazione da prospetto, la considerazione dei fattori Esg nella gestione delle spa quotate, gli indici di riferimento per i benchmark climatici e per la tassonomia delle attività economiche e altro ancora. Il piano delle istituzioni Ue in materia di finanza sostenibile è imponente. Il progetto è ambizioso, la scelta politica è chiara. Si auspica che l’Ue sia seguita anche da altre giurisdizioni sia perché solo un impegno globale può consentire di incidere su fenomeni come la crisi climatica, sia perché è indispensabile che, nel durante, le piazze finanziarie Ue continuino ad essere anche competitive.
Cambiano anche gli strumenti, social bond, emissioni green. Cosa cambia per un regolatore che vigila sui mercati?
«Le trasformazioni in corso certamente influenzano l’attività dell’Autorità. La sensibilità degli investitori nei confronti di rischi e opportunità Esg porta a registrare, per strumenti così etichettati, performance finanziarie migliori rispetto a quelle degli strumenti tradizionali. Il fenomeno porta anche alla utilizzazione di queste tematiche come driver per la distribuzione di prodotti e servizi di investimento. Di recente Consob ha autorizzato l’operatività di diversi gestori che intendono commercializzare quote di fondi, che integrano fattori Esg nelle proprie politiche di investimento e che, a determinate condizioni, possono essere sottoscritti anche dal pubblico retail. L’insieme di questa offerta innovativa è connotata da forte positività, al pari di ogni altra iniziativa che, in condizioni di adeguata tutela dell’investitore, consente di tramutare il risparmio in investimento e di far affluire capitali all’economia reale. Tuttavia in un quadro di regole ancora incompleto e con oggettiva scarsità di informazioni attendibili e comparabili, la focalizzazione dell’offerta e della domanda su profili Esg dell’investimento non è priva di rischi. In particolare deve essere fronteggiato il possibile green-washing e il rischio di una utilizzazione puramente opportunistica dell’acronimo Esg. Questa utilizzazione, specie se gli strumenti sono offerti al pubblico retail, può determinare mis-selling e bolle speculative che prima o poi scoppiano. Anche per questo, il 12 marzo scorso, Consob, a quadro legislativo vigente, ha pubblicato al riguardo un richiamo di attenzione diretto agli intermediari che hanno un ruolo cruciale nella distribuzione di prodotti di investimento».
12/11/2020