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Definire la compliance: riflessioni per andare oltre l’apparenza.
Definire la compliance: riflessioni per andare oltre l’apparenza.
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Di Alessandro Adotti – Condirettore MACOM – LUISS Business School – Partner dello Studio Legale Adotti&Associati

Definire la compliance richiede uno sforzo sistematico, non solo d’ inquadramento ma di ricostruzione delle modalità in cui le aziende dovrebbero organizzarsi per affrontare il tema. La compliance non può essere solo apparente ma deve essere praticata e risultare pervasiva in un contesto aziendale sano. Infine è possibile argomentare concretamente e semplicemente sui vantaggi della compliance traendo spunto da un “worst case scenario”, così determinando quali potrebbero essere i costi della non compliance.

In termini assolutamente generali si potrebbe sostenere che la compliance consiste nel rispetto delle regole e delle normative applicabili, tuttavia anche questo primo, semplice, intento definitorio pone dei problemi non banali. Sostenere che la compliance consiste solo nel rispetto delle regole e delle normative applicabili riconduce la compliance alla stretta sfera legale, dei controlli od auto-organizzativa, in sintesi normativa, ma non coglie quel quid pluris, quel set valoriale, che il committment verso la compliance rappresenta e deve rappresentare, in qualsiasi organizzazione.

Praticare la compliance pone quindi questa prima sfida, non solo definitoria ma vitale, la quale è rappresentata dal definire che cosa si intende per compliance: non basta smarcare la casella (il classico “tick the box”) ma occorre lavorare affinché le organizzazioni avvertano la compliance come una parte della loro mission, qualcosa che vive nel set di valori delle stesse ed infine, anche più prosaicamente, un vantaggio competitivo e non solo una posta di spesa nel budget od, al limite, una serie di oneri e controlli aggiuntivi.

A questa prima serie di riflessioni intorno alla definizione della compliance corrisponde poi l’esigenza sistematica di stabilire il perimetro della compliance, anche in termini di ambiti e materie presi in considerazione: certamente la normativa 231 (in Italia), l’ antiriciclaggio, la governance societaria (specie nei settori regolamentati), la sicurezza sui luoghi di lavoro o la normativa ambientale rientrano nei temi “core” della compliance ma si può escludere la necessità di ritenere la compliance fiscale o quella antitrust, od altre, come materie rientranti in una forse più elastica definizione di compliance? Quando si parla di compliance non ci si raffigura anche la necessità di rispondere alle esigenze di osservanza degli standard auto-organizzativi dell’azienda laddove un codice etico od uno standard di business conduct possono incarnare non solo regole ma il modo in cui l’azienda vuole essere e si vuole rappresentare?

Infine occorre anche domandarsi dove risieda l’ownership della compliance: non bastano un job profile o la creazione di un ruolo di compliance officer o la presenza di un ODV per poter dire che si pratica la compliance e per poter poi dormire tranquilli. La compliance deve essere attuata e deve essere dimostrabile o, quando dovesse servire ciò, dimostrata.

Esercitarsi ad articolare un organigramma od un sistema di deleghe e poteri va bene ma non basta, occorre perseguire l’obiettivo della compliance integrata laddove il tema è cross – funzionale e patrimonio di più centri di responsabilità (si pensi al ruolo dell’ EHS Officer vs. quello del Compliance Officer od al rapporto tra Funzione Legale e compliance ) e quando ci si riferisce al tema della compliance ci si riferisce non solo ad una sua ownership diffusa e non nominale ma, specialmente, alla misurabilità della compliance effettiva. Qui si deve attuare una sintesi ragionata e non solo empirica tra ruolo della compliance e ruolo dell’internal audit, laddove il barometro per segnalare lo stato dell’arte poggia su di un sistema di controlli di cui l’audit è per sua stessa natura e mission protagonista.

Stabilire una cultura della compliance richiede la consapevolezza e la coscienza e l’approfondimento (in termini di conoscenza) degli argomenti che sono stati appena rappresentati, occorre chiedersi cioè cosa sia, come sia attuabile e poi come sia misurabile e verificabile la compliance.

Infine, quando qualche reazione perplessa dovesse riguardare il costo della compliance, si può ricorrere ad una argomentazione logica banale ma stringente per ricondurre l’interlocutore a ragionevolezza, e ciò semplicemente domandando quale sarebbe il costo della non compliance, poiché mentre il vantaggio competitivo della conformità può essere difficilmente misurabile quello della non conformità risponde a criteri, paradigmi esperienziali, legali e non, molto più facilmente accertabili.

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