Digital Transformation
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07 Giugno 2021

Sirti:«Fa piacere l’interesse di Psc, consolidamento non può prescindere da noi»

Parla l'amministratore delegato Roberto Loiola dopo le recenti dichiarazioni di Umberto Pesce, presidente della concorrente Psc Qualunque consolidamento considerato strategico nel comparto dell'impiantistica di rete non può prescindere da Sirti che è «leader nel settore». Lo sottolinea Roberto Loiola, amministratore delegato di Sirti, dopo il recente interesse dichiarato per la società da parte del concorrente Psc. «Fa sempre piacere – dichiara Loiola a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) che ci siano gruppi nazionali, come in questo caso, ma anche internazionali, che guardano a Sirti con interesse». La società, che ha registrato una crescita nel 2020 del 7,4%, dei ricavi, si aspetta un incremento nel 2021 pari al 10% in un panorama in cui, con il Pnrr e le risorse europee in arrivo, è sempre più importante velocizzare la costruzione delle infrastrutture, anche alla luce dei nuovi bandi su 5G, aree grigie e nere. Sul fronte occupazionale, l'azienda, che dà lavoro a 3.800 persone e che a novembre prossimo compirà 100 anni, da un lato sta puntando sul reskilling, vista l'esigenza di nuove figure professionali legate al passaggio dalla rete in rame a quella in fibra, dall'altro ha in campo ammortizzatori sociali che pianifica di alleggerire nel prossimo futuro. Dopo il recente accordo, da 170 milioni in tre anni, con WindTre, avete in vista altre intese nel campo delle telco? Il contratto con WindTre rafforza una collaborazione strategica che esiste già da diversi anni. In particolare, l'intesa annunciata comprende una serie di progetti sulla rete mobile, sia sul versante della realizzazione, soprattutto per il 5G, sia su quello della manutenzione della rete, e anche sulla rete fissa. Come volumi si tratta di uno dei pilastri del nostro business per la divisione reti tlc/telco. Gli altri due principali componenti sono: gli accordi con Tim e quelli con Open Fiber per lo sviluppo della banda ultra-larga. Sono contratti che abbiamo da tempo e continueremo a sviluppare. Che impatto vi aspettate sul vostro business dai nuovi bandi su 5G, aree nere e grigie annunciati dal Governo? In generale per quest'anno ci attendiamo una crescita di ricavi significativa, intorno al 10%, rispetto allo scorso anno. Nel 2020 l'aumento del fatturato è stato del 7,4 per cento (+4% nel settore telco-rete tlc, +24% per il digital solutions). Lo sviluppo attuale è frutto di una crescita in tanti settori; la direzione digital solutions, che lavora nel mondo della digitalizzazione delle aziende, del cloud, dei data center e della cybersecurity, sta crescendo in maniera significativa e continuerà a rafforzarsi  anche quest'anno, a testimonianza che siamo un attore della trasformazione digitale del nostro Paese. Nel comparto delle reti di tlc la crescita si sta rafforzando con lo sviluppo di 5G e fibra ottica. Anche la terza business unit, Sirti Energia, che rappresenta il 10% dei circa 700 milioni di fatturato, è in crescita in relazione al percorso di transizione energetica oggi in atto. Occorre, infatti, rendere smart le reti elettriche per realizzare un paradigma di consumo energetico green e sostenibile. Nel 2021 e negli anni seguenti, anche tramite i progetti e gli investimenti guidati dal Pnrr, potremo cogliere ulteriori opportunità. In particolare, per quanto riguarda il Pnrr, le più rilevanti per Sirti sono quelle legate al Piano Italia a 1 Giga, il Piano Italia 5G (compreso il backhauling in fibra per le reti 5G) e i progetti del cloud nazionale e della digitalizzazione della Pubblica Amministrazione, inclusi gli aspetti di cyber security. Il focus deve porsi da subito sull'execution, predisponendo tutte le misure necessarie a garantire la concreta realizzazione dei progetti nelle tempistiche indicate dal Pnrr stesso (cioè entro il 2026). Proprio nell'ottica della crescita e dello sviluppo legati al Pnrr c'è chi dice che occorrerebbe un campione più grande nel settore; Psc in particolare ha dichiarato  di guardare con interesse a un consolidamento con Sirti. Qual è la vostra posizione? Fa sempre piacere sapere che ci sono gruppi, sia italiani che internazionali, che guardano a Sirti con interesse. È un'ulteriore testimonianza, oltre a quella che riceviamo dai clienti e dipendenti, dei risultati molto positivi che siamo riusciti ad ottenere nella trasformazione del gruppo in questi anni. Abbiamo raggiunto una solida posizione finanziaria e patrimoniale e un posizionamento di mercato eccellente. Sirti ha un piano strategico fino al 2024 nel quale siamo impegnati per creare ulteriore valore e posso confermare che il 2021 sta procedendo positivamente, in anticipo rispetto al piano, grazie ai progetti sulla banda ultra-larga, sul 5G e al settore Ict con la crescita della nostra business unit Digital Solutions. Il nostro azionista Pillarstone è un fondo d'investimento ed è probabile che, a medio termine, ci sia un processo di consolidamento. In ogni caso, essendo Sirti il leader nel mercato italiano, qualunque consolidamento realmente strategico non potrà prescindere da Sirti stessa. Guardando all'implementazione dei piani del Pnrr, come procedono le semplificazioni nel processo di realizzazione delle reti? Il dl Semplificazioni è stato efficace? Vedo che sono stati compiuti molti sforzi e ora, in generale, si possa procedere spediti. Credo, tuttavia, che ci siano due categorie di semplificazioni necessarie. Una riguarda il reimpiego, il re-utilizzo di qualunque infrastruttura del Paese - di tipo elettrico, gas o quelle tra gli stessi operatori di tlc - per ospitare gli impianti di fibra ottica. Se si utilizzano le infrastrutture esistenti diminuisce, infatti, il costo medio della realizzazione e si usano meno risorse, anche umane, per realizzarle. L'altro tema su cui agire è quello della complessità, rendendo più semplice il mondo delle regolamentazioni territoriali. È bene cioè prevedere meno vincoli locali, più omogeneità sul territorio, regole nazionali più semplici possibili. Anche questo secondo punto incide su costi e i tempi di realizzazione. Il dl Semplificazioni è un primo passo molto positivo, ci sono parecchie altre cose da fare. Inoltre, per realizzare le reti, servono risorse finanziarie che devono essere poi assegnate. Occorrono inoltre meccanismi di aggiudicazione virtuosi; finora sono state realizzare reti in Italia con costo unitario di realizzazione molto competitivo e molto inferiore rispetto a quello degli altri grandi Paesi europei. Bisogna, cioè, stare attenti a non arrivare a livelli di costi unitari troppo bassi perché questo incide sui tempi e sulla qualità della realizzazione. Sul versante occupazionale, avete le risorse necessarie per realizzare le nuove reti? A che punto è il piano di reskilling? Dal punto di vista degli interventi esterni è stato compiuto un buon lavoro con meccanismi come il fondo competenze dell'Anpal nell'ambito del quale abbiamo realizzato il progetto "New skills to build the future": 1.100 dipendenti hanno cioè aggiornato la loro competenza in ambito digitale con circa 290mila ore di formazione. I dipendenti di Sirti hanno, infatti, affrontato un solido percorso di aggiornamento professionale per dotarsi di tutti gli strumenti conoscitivi e tecnici necessari a cogliere le opportunità derivanti dai prossimi investimenti sulle reti in fibra ottica e 5G. Il futuro di Sirti è quindi digitale. Le competenze e il know-how dei nostri professionisti saranno messi al servizio della trasformazione digitale del Paese, che troverà sempre più spinta grazie anche ai fondi del Next Gen EU. Bisogna tener presente che in Europa servono 20 milioni aggiuntivi di specialisti Ict entro il 2030. Prevedete ancora l'utilizzo di ammortizzatori sociali in questo percorso di trasformazione? Abbiamo di recente sottoscritto con le parti sociali un'ipotesi di intesa per indirizzare il ricambio intergenerazionale, prevedendo un mix di strumenti tra riconversione professionale, esodi incentivati su base volontaria e ricorso ai contratti di solidarietà. Il piano sociale, avviato nel 2019, è al secondo anno di attuazione, sovrascritto nel corso degli ultimi 15 mesi dagli strumenti messi in atto per la situazione pandemica. In futuro si prevede l'uso di un ammortizzatore di tipo difensivo con percentuali inferiori rispetto al passato, con un livello medio di utilizzo nelle attività tradizionali non superiore al 13 per cento. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 28/06/2021

28 Maggio 2021

«Rete di Tim sia fruibile per tutti i cittadini, ruolo della vigilanza terza e imparziale non può venir meno»

L'intervista a Gianni Orlandi, presidente dell'Organo di Vigilanza sulla parità di accesso all'infrastruttura dell'ex incumbent, su DigitEconomy.24, report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School Far sì che l'infrastruttura di rete in banda ultra larga di Tim, «più che mai vitale per il rilancio del Paese in questo momento storico, sia adeguatamente fruibile e fruita da tutti i cittadini, indipendentemente dall'operatore che fornisce il servizio al cliente finale». È il principale obiettivo che l'Organo di vigilanza sulla parità di accesso alla rete Tim si pone per l'anno in corso. Tra il 2020 e il 2021, oltre all'effetto pandemia sulle reti, ci sono stati molti elementi di novità che impattano e impatteranno sulla regolazione e la vigilanza, dalla creazione della società della rete secondaria di Tim, FiberCop, alla proposta di coinvestimento presentata dal gruppo all'Agcom, senza considerare il progetto in nuce sulla rete unica: «Anche in presenza di uno scenario regolamentare completamente diverso da quello esistente, il ruolo della vigilanza terza e imparziale – assicura Gianni Orlandi, presidente dell'Odv in un'intervista a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) - non potrà venire meno». Ad oggi, aggiunge il presidente, l'Organo di Vigilanza «esprime un giudizio favorevole sul modello italiano di gestione della rete in modo concorrenziale. Mi riferisco al fatto che l'operatore dominante, Tim, ha raggiunto da diversi anni un livello avanzato di separazione funzionale in cui la sua funzione wholesale è strutturata ed incentivata ad operare in autonomia». L'anno scorso Tim ha presentato il suo progetto di separazione della rete, creando poi FiberCop, ha presentato all'Agcom il modello di coinvestimento e ha, precedentemente, firmato anche la lettera di intenti sulla rete unica. Come cambierà la regolazione e la vigilanza di fronte a tutti questi nuovi elementi? Lo scenario che si prospetta, dal punto di vista regolamentare, è in corso di definizione da parte di Agcom che, per l'occasione, ha già avviato due consultazioni pubbliche, senza dimenticare anche l'attenzione da parte dell'Agcm sulla vicenda. Quello che come OdV posso immaginare è che, anche in presenza di uno scenario regolamentare completamente diverso da quello esistente, il ruolo della vigilanza terza e imparziale non potrà venire meno. La rete di accesso dovrà infatti essere ancora oggetto di una costante attività di vigilanza allo scopo di garantire l'indispensabile parità di trattamento di tutti gli operatori che forniscono servizi di comunicazioni elettroniche. Del resto, già nel 2013 in una sua raccomandazione proprio su questi temi, Bruxelles sottolineava come fosse particolarmente difficile individuare e contrastare i comportamenti discriminatori basati su elementi diversi dai prezzi soltanto mediante l'applicazione di un obbligo generale di non discriminazione. È proprio per questa ragione che il modello italiano prevede obblighi stringenti di parità di trattamento e un ruolo fondamentale dell'OdV teso a garantirne il pieno rispetto. Ritengo che questo modello sia risultato molto efficace, anche perché l'OdV rappresenta oggi un vero e proprio presidio regolatorio indipendente all'interno dell'integrazione verticale. Come si interseca la vostra attività con quella dell'Agcom su questi temi?  Tra l'Organo di Vigilanza e Agcom esiste, in particolar modo dal 2016, una stretta collaborazione, non solo nell'ambito della consueta vigilanza sugli impegni che hanno portato nel 2008 alla separazione funzionale di Tim ma, anche, tramite specifiche attività di studio e di analisi richieste dall'Autorità. La precisa scelta del regolatore nazionale di avvalersi del supporto tecnico fornito dall'OdV, non solo nelle attività di monitoraggio e verifica della parità di trattamento, ha ampliato notevolmente l'ambito oggettivo di intervento dell'OdV, prefigurando un suo nuovo ruolo, che non è soltanto quello di accertare il rispetto delle regole di settore, ma anche di contribuire alla definizione delle metodologie per la loro attuazione. Come stanno andando, alla luce dell'esperienza dell'OdV, la realizzazione degli impegni di Tim? Qual è il vostro giudizio sul modello italiano di regolamentazione della rete? Come Organo di Vigilanza le posso rispondere soltanto per gli impegni a cui siamo stati chiamati a vigilare e che rappresentano il nostro punto di riferimento. Già oggi, diversi elementi ci consentono di esprimere un giudizio favorevole sul modello italiano di gestione della rete in modo concorrenziale. Mi riferisco al fatto che l'operatore dominante, Tim, ha raggiunto da diversi anni un livello avanzato di separazione funzionale in cui la sua funzione wholesale è strutturata ed incentivata ad operare in autonomia. Anche l'introduzione nel 2016 dell'attuale sistema di full equivalence offre ampie garanzie di parità di trattamento di tutti gli operatori, perché garantisce lo stesso trattamento degli ordini di lavoro di Tim retail e degli operatori concorrenti secondo il modello dell'Equivalence of Input. Infine, è bene ricordare come il nostro sia uno dei pochi Paesi ad aver introdotto anche la disaggregazione dei servizi sulla rete di accesso, cioè la possibilità per gli operatori diversi da Tim di gestire in autonomia sia la fase di attivazione che la manutenzione di alcuni servizi wholesale, attività in precedenza gestite esclusivamente da Tim stessa. A tutto ciò si aggiunge, naturalmente, la recente separazione societaria della rete secondaria di accesso che ha portato alla costituzione di FiberCop e al contestuale sviluppo del modello di co-investimento. In definitiva, il modello italiano di separazione verticale si è sviluppato e arricchito notevolmente nel corso degli anni ed è indubbiamente un riferimento molto avanzato nel contesto internazionale. Quali saranno, in conclusione, i punti fondamentali su cui si concentrerà l'attività dell'Organo di Vigilanza nell'anno in corso?  L'attività dell'Organo di Vigilanza nel 2021 sta seguendo due direttrici principali; la prima è il proseguimento del supporto ad Agcom per garantire il rigoroso rispetto della parità di trattamento da parte di Tim nel fornire servizi di accesso alla rete senza discriminazioni tra le proprie funzioni retail e gli altri operatori alternativi, mentre la seconda è caratterizzata da una maggiore attenzione alla qualità erogata da Tim nei processi di fornitura e manutenzione dei servizi. In relazione al supporto che l'OdV fornisce ad Agcom, esso consiste nel monitoraggio costante sia degli indicatori di parità di trattamento sia della qualità della banca dati che raccoglie tutte le informazioni sulla rete di accesso. Svolgiamo inoltre una capillare attività ispettiva presso le funzioni operative territoriali di Tim allo scopo di verificare l'attuazione, sempre da parte di Tim, delle prescrizioni previste da diverse delibere dell'Autorità. Due direttrici distinte, in sintesi, ma che hanno un solo obiettivo: far sì che l'infrastruttura di rete ultra broadband di Tim, più che mai vitale per il rilancio del Paese in questo momento storico, sia adeguatamente fruibile e fruita da tutti i cittadini, indipendentemente dall'operatore che fornisce il servizio al cliente finale. SFOGLIA 28/5/2021

28 Maggio 2021

Dal mondo della scuola a quello del lavoro: sviluppare la formazione continua

L'intervento della ministra per le Politiche giovanili, Fabiana Dadone, su DigitEconomy.24, report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School Tlc impegnate in profondo cambiamento, sostenere la formazione permanente La formazione è il cuore della crescita, non solo professionale ma in primo luogo personale. In tal senso l'impegno delle istituzioni deve essere quello di prevenire e contrastare ogni ostacolo o limite ai percorsi educativi, prima, e formativi, poi, di ciascun individuo, intercettando le esigenze del singolo e quelle della realtà socio-economica e produttiva in cui vive e si lavora. Dobbiamo prevenire la dispersione scolastica, perché avere generazioni scolarizzate riduce l'influenza della criminalità, organizzata e non, sulla crescita delle nostre ragazze e dei nostri ragazzi. Al tempo stesso giovani introdotti ed avviati in percorsi educativi e formativi caratterizzati da un approccio concreto, professionalizzante, rivolto al mondo del lavoro, rappresentano un valore aggiunto non solo per la realtà lavorativa che li accoglie ma soprattutto per il contesto sociale in cui vivono. La naturale prosecuzione di percorsi di questo tipo, dal mondo della scuola a quello del lavoro, è lo sviluppo della formazione continua, il processo di upskilling, reskilling e cross-skilling dei lavoratori, con particolare riguardo nelle fasi più delicate di crisi o emergenza. Tra gli strumenti da usare il Fondo nuove competenze o Fondi di solidarietà Esiste una osmosi tra ciò che si riceve e ciò che si può dare sulla quale diventa importante investire per puntare ad una crescita condivisa e positiva soprattutto per le nuove generazioni che stanno dimostrando più di chiunque altro di essere resilienti. Ma dobbiamo permettere loro di crescere in un contesto che sappia offrire le opportunità di emancipazione reale: casa, lavoro e impresa.Il Fondo nuove competenze, la costituzione dei Fondi di solidarietà così pure come il potenziamento del Fondo per le politiche giovanili e quello per la prima casa e la rimodulazione del Fondo credito per i giovani rappresentano, in tal senso, strumenti per garantire questa osmosi e per sviluppare un percorso di sviluppo personale e professionale che soddisfi le esigenze dei giovani e i fabbisogni del mercato del lavoro. Rafforzare collocamento per gli under 30 Ancora di più, va rafforzata la leva di emersione e collocamento per gli under 30 che restano incagliati fuori dal percorso di formazione e fuori dal mondo del lavoro e che non ripongono più fiducia nel sistema tanto da non cercare più alcun impiego, gli ormai tristemente noti Neet. A loro va diretta una attenzione specifica che in primo luogo li renda visibili, cioè li faccia emergere nei vari territori con il supporto dei Comuni, e in secondo luogo individui un percorso di formazione-lavoro che permetta, anche in via sperimentale nel più breve tempo possibile, di offrire una leva di occupabilità concreta. E credo che in questo frangente si debba avere il coraggio di sperimentare e di rivolgersi a strumenti e metodi innovativi anche nell'ambito della formazione e dell'apprendimento, valorizzando i percorsi informali andando oltre quelli tradizionali, implementando il gaming e la gamification, la formazione professionale, incentivandole discipline tecniche e riconoscente le competenze traversali e le soft skills. Tlc impegnate in profondo cambiamento, sostenere la formazione permanente Ci troviamo in un passaggio cruciale che vede le aziende e le imprese interessate da un ricambio generazionale di rilievo e, in particolare, la filiera Tlc impegnata in un profondo processo di cambiamento. È pertanto necessario sostenere gli investimenti per la formazione permanente e per il passaggio generazione così da disegnare un patto per le competenze indispensabile alla trasformazione e alla innovazione digitale. Secondo alcune stime tali investimenti ammonteranno a circa 1 miliardo di euro tra il 2021 e il 2025 diretti a offrire percorsi di reskilling e upskilling a oltre 100.000 lavoratrici e lavoratori del settore e creare nuove opportunità di lavoro ai più giovani. Il settore è in crescita e servono competenze e personale in grado di affrontare questa sfida. Abbiamo da un lato una opportunità, dall'altro una necessità, far incontrare queste due facce della stessa medaglia è prioritario e non più procrastinabile se vogliamo che il Paese non aumenti il ritardo già ampiamente accumulato in termini di occupazione giovanile. *ministra per le Politiche giovanili SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 28/5/2021

28 Maggio 2021

«Dopo la Regione Lazio pronti ad altre intese, il nostro sistema per il passaporto vaccinale a prova di contraffazione»

Parla Danilo Cattaneo, amministratore delegato di InfoCert (Tinexta), a DigitEconomy.24, report del Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School. Intanto il gruppo punta ad acquisizioni all'estero, come in Francia e UK InfoCert, società del gruppo quotato Tinexta che offre, tra l'altro, soluzioni di firma digitale, si prepara alla sfida del passaporto vaccinale. E, dopo aver stretto un accordo con la Regione Lazio e aver garantito già 900mila attestati, studia altre intese, con altre Regioni e anche con una provincia autonoma. In attesa, spiega l'amministratore delegato Danilo Cattaneo, che arrivi tra qualche settimana lo standard europeo definitivo. Il sistema messo a punto dall'azienda, aggiunge nell'intervista a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School), è a prova di contraffazione visto che «anche cambiando un solo bit, anche mutando un solo carattere del documento ne sarebbe evidente la falsità». InfoCert propone questo modello per evitare il mercato dei falsi, particolarmente in auge in Gran Bretagna. Alla luce della domanda crescente di digitalizzazione, da parte di imprese e Pa, InfoCert, che aveva registrato una crescita del fatturato dell'11-12% nel 2019, prepara nuove acquisizioni fuori dall'Italia, come in Francia e UK. L'obiettivo, spiega Cattaneo, «è seguire i nostri clienti più grandi in tutte le regioni europee». Com'è cambiata la vostra attività dopo l'avvento del Covid? Nei primi anni i nostri prodotti erano venduti soprattutto per obbligo normativo. Le aziende venivano da noi perché obbligate ad avere la Pec o la firma digitale. Abbiamo attraversato due fasi di trasformazione. Una, iniziata nel 2014, in cui siamo passati dall'uso obbligatorio di strumenti di digital trust all'adozione nella consapevolezza di trarne vantaggi. Abbiamo lavorato soprattutto con le grandi aziende, le grandi banche, ma i nostri sistemi sono utili anche per le piccole e medie realtà. Con il lockdown di marzo è iniziata una seconda fase di accelerazione: anche i clienti più piccoli hanno cominciato giocoforza a chiederci servizi e, una volta sperimentata l'utilità, continuano oggi a utilizzarli. Per loro, d'altronde, era necessario lavorare da subito in remoto e in digitale e abbiamo fatto in pochi mesi quello che normalmente sarebbe avvenuto in 4-5 anni. Il processo è ancora in corso. C'è stata, per fare un esempio, un'accelerazione sull' identità digitale Spid. A febbraio 2020 le identità digitali erano cinque milioni, ora sono stati superati i 20 milioni. Questa è una grande opportunità. Dalle aziende private c'è stata dunque una grande richiesta di servizi digitali, e la Pa? Su questo fronte abbiamo sottoscritto quattro mesi fa un contratto molto importante con una grande Pubblica amministrazione. A giugno partiranno servizi digitali per tutti i cittadini italiani con uno sportello virtuale che offrirà informazioni, certificazioni, soddisferà richieste on line. Si potranno effettuare anche transazioni o sottoscrivere rateizzazioni. Lato cittadino, ciò consentirà di risparmiare tempi, file, inquinamento, stress per il parcheggio; lato Pa si consentirà all'impiegato pubblico di avviare finalmente lo smart working. D'altronde il sistema, di cui potremmo dare maggiori dettagli a breve, è stato scelto da una delle più grandi pa a livello centrale e da tutte le sue diramazioni nel territorio. Un cambiamento che sicuramente aiuterà anche l'imprenditoria visto che le grandi multinazionali a volte evitano di venire in Italia proprio perché la Pa del nostro Paese ha fama di non essere particolarmente evoluta. Grazie a questi nuovi servizi, l'Italia avrà strumenti innovativi che non ha nessuno in Europa, tranne la Scandinavia. Di recente avete siglato un accordo con la Regione Lazio sul passaporto vaccinale. Ci sono altre intese del genere e come funzionerà in vista dello standard europeo unico? Per il passaporto vaccinale abbiamo collaborato innanzitutto con alcuni centri per avere la raccolta di tutti i dati digitali ab origine, risparmiando tempi e costi di scannerizzazione dei documenti cartacei. Nel caso della Regione Lazio, abbiamo gestito il passaporto vaccinale in modalità totalmente digitale, prima che uscissero le normative europee sui formati del digital green pass, e abbiamo registrato già 900mila passaporti digitali rilasciati ai cittadini con doppia vaccinazione. Ora si prevede una fase di sperimentazione fino a metà giugno e alla fine del mese prossimo la diffusione dello standard europeo. I passaporti già rilasciati verranno dunque trasformati nel nuovo standard: è una procedura semplice, bastano poca programmazione e pochi secondi per realizzarla. Il sistema da noi utilizzato, inoltre, evita il rischio di contraffazione. Anche cambiando un solo bit, anche mutando un solo carattere del documento ne sarebbe evidente la falsità. Tutto ciò è particolarmente importante in un momento in cui c'è un grosso problema di certificati vaccinali falsi. Ad esempio si è potuto acquistare nel dark web per 20 sterline certificati inglesi falsi, un espediente cui hanno fatto ricorso in Gran Bretagna per evitare la quarantena. Basti pensare che nel dark web a novembre c'erano 20 siti che vendevano certificati falsi, a marzo 2021 sono diventati 1.200. Si tratta di un mercato purtroppo fiorente. Alla luce della spinta a digitalizzare di pa e aziende private, che proiezioni avete sul vostro fatturato? Prevedete acquisizioni? Negli anni siamo passati da 20milioni di fatturato nel 2010 a 100milioni nel 2020, in aumento dell'11-12% sul 2019. Anche l'anno scorso, nonostante i lockdown, siamo, infatti, cresciuti double digit, abbiamo fatto acquisizioni e proceduto con le assunzioni, anche se a un ritmo più lento. Solo per avere un'idea, InfoCert dava lavoro a 130 persone nel 2011, ora i dipendenti sono oltre 500. Abbiamo proseguito col nostro piano di assunzioni nel primo trimestre dell'anno e siamo cresciuti intorno al 20 per cento. Siamo in fase avanzata anche per alcune acquisizione all'estero. Vogliamo, infatti, seguire i nostri clienti più grandi in tutte le principali aree europee. Abbiamo filiali in Spagna, Colombia, Perù e Germania. Vogliamo crescere in altri Paesi europei come UK e Francia. Vi aspettate una spinta ulteriore al vostro business dal Pnrr? Il Pnrr, per come è stato pensato, non solo potrà, ma in alcuni casi dovrà, spingere sulla digitalizzazione. Noi siamo molto fiduciosi, anche se non ci sono articoli specifici sul digital trust, che è il nostro business, ma indirettamente saremo coinvolti in questa ondata che durerà almeno un paio d'anni. InfoCert, peraltro, è leader in Europa nella firma digitale, nella trasformazione in digitale di una serie di processi e noi siamo la prima digital trust firm in Europa e la terza al mondo. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 28/5/2021

28 Maggio 2021

Asstel: «Serve oltre un miliardo di euro per formazione e ricambio generazionale nelle tlc»

Parla la direttrice dell'associazione Laura Di Raimondo a DigitEconomy.24, report del Sole 24 Ore e della Luiss Business School. Il fondo di solidarietà bilaterale tra gli strumenti necessari secondo l'associazione: «Occorre un sostegno aggiuntivo da parte del Governo» «Serve oltre 1 miliardo di euro per formazione e ricambio generazionale nelle tlc» «Da qui al 2025 serve oltre un miliardo di euro per formare ed effettuare il ricambio generazionale dei 130mila dipendenti del settore delle telecomunicazioni». Lo afferma Laura Di Raimondo, direttrice di Asstel, facendo il punto sulle prossime sfide del comparto e sulla necessità di dar vita, proprio per affrontare questo processo di trasformazione, al fondo bilaterale di solidarietà di settore come previsto nel contratto collettivo. Il fondo, spiega a DigitEconomy.24, report del Sole 24 Ore e della Luiss Business School, «è uno strumento di straordinaria importanza sia per il settore sia per l'indotto. La fotografia ad oggi ci consegna un comparto che sta invecchiando, occorrono politiche di formazione permanente, di reskilling, upskilling, occorre assumere giovani. Serve una cassetta degli attrezzi di cui il fondo di solidarietà è uno degli strumenti, assieme al contratto di espansione e al fondo nuove competenze, che vanno resi strutturali». Ma per avviare la piena operatività del fondo, che per due terzi sarà sostenuto economicamente dalle aziende, per un terzo dai lavoratori, prosegue Asstel, «occorre un sostegno aggiuntivo da parte del Governo». Solari (Cgil): «Fondo di solidarietà è anche nelle nostre richieste» Il sindacato è sulla stessa linea. «Il fondo di solidarietà – dice Fabrizio Solari, segretario generale della Slc Cgil - è anche nelle nostre richieste, all'epoca avevamo immaginato che ci potesse essere un contributo anche dal mercato, con 2 centesimi a sim, ma questa strada sembra complicata. Fermo restando la partecipazione di lavoratori e aziende, servirebbero fondi pubblici per l'avvio. Va comunque notato che sarebbe utile che questi strumenti fossero parte integrante della riforma degli ammortizzatori, purtroppo in questi giorni assistiamo alla chiusura del blocco dei licenziamenti senza una riforma complessiva». Previsto inizialmente dalla legge Fornero e ripreso dal Jobs Act, il fondo bilaterale di settore punta a risolvere i problemi legati alla trasformazione di un comparto, adattandosi ai bisogni della filiera delle telecomunicazioni, incentivando i percorsi di formazione e riqualificazione, sostenendo il ricambio generazionale e le nuove assunzioni. Per l'associazione agire all'interno della missione 5 del Pnrr Per Asstel il Pnrr è la risorsa adatta per sostenere il fondo: «si potrebbe agire all'interno della missione 5 del Pnrr "inclusione e coesione" in cui rientrano anche gli interventi su occupazione e politiche attive oppure nella prossima legge di Bilancio sulle cui linee generali si comincia a ragionare proprio in queste settimane». Una delle esigenze più sentite dal settore è quella di investire nella formazione delle persone che lavorano nelle aziende della filiera. «Serve attivare un patto per le competenze che preveda la formazione permanente indispensabile alla trasformazione digitale e all'innovazione a beneficio di imprese e persone. Stiamo formando tutti e 130mila lavoratori della filiera senza lasciare - afferma Di Raimondo, anticipando alcune tematiche del convegno "Le sfide delle telco per l'Italia del futuro: dalla formazione dei giovani al fondo bilaterale di settore" alla Luiss Business School il 31 maggio" - nessuno indietro, occorre procedere con azioni di formazione permanente. Già oggi sono coinvolti oltre 75mila persone in attività di upskilling e oltre 28mila in attività di reskilling. Ma occorre fare di più: vogliamo passare dai cinque giorni svolti in media di formazione nel 2020 a 7-8 giorni già dal 2021». Boccardelli (Luiss BS): «Chiamati a difendere centralità del capitale umano» L'impegno a lavorare sulle competenze è condiviso anche dalla Luiss Business School. «Abbiamo davanti a noi un orizzonte in continua trasformazione – è il commento del direttore Paolo Boccardelli – e siamo chiamati a intercettare, analizzare e definire i trend della trasformazione digitale con una rapidità mai sperimentata prima d'ora. In un contesto dominato dalla messa in discussione di ogni parametro precedentemente consolidato noi, protagonisti dell'alta formazione manageriale e in prima linea nell'accompagnare i leader del futuro nel processo di valorizzazione dei talenti e acquisizione di nuove competenze e strumenti, siamo chiamati a difendere la centralità del capitale umano. È alla persona, al valore del professionista e del cittadino consapevole che dobbiamo guardare, concentrando i nostri sforzi per alimentare processi virtuosi per il mondo del lavoro e per la società nel suo complesso». Lo Storto (Luiss): «Entro 2025 potrebbe emergere 97 milioni di posti di lavoro» Varie le figure richieste dal mercato, tra quelle più gettonate ci sono i data scientist e gli IoT solutions engineer. «L'accelerazione tecnologica causata dalla pandemia –aggiunge Giovanni Lo Storto, direttore generale della Luiss - ha generato una trasformazione senza precedenti del mondo delle professioni: secondo il Rapporto "The future of Jobs" del World economic forum, entro il 2025 potrebbero emergere 97 milioni di nuovi posti di lavoro a livello globale in un next normal in cui il digitale rappresenterà sempre più un driver di crescita inclusiva e di sviluppo economico e sociale, tra cui lo sbarco della connettività 5G». Per guidare la trasformazione in atto «e mai subirla, è fondamentale – conclude Lo Storto - investire nelle digital skills, soprattutto dei giovani». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 28/5/2021

27 Maggio 2021

Luiss Business School accelera le digital skill di Vodafone

Con il fondo Anpal e la collaborazione di MIP Politecnico di Milano School of Management e SDA Bocconi School of Management, al via la "Vodafone Digital Academy" Con l’obiettivo di accompagnare i 6mila dipendenti aziendali, consolidando il loro bagaglio di digital skill, nasce  “Vodafone Digital Academy”, centro di formazione di eccellenza per costruire le professionalità del futuro, progettato da Luiss Business School e realizzato in collaborazione con MIP Politecnico di Milano School of Management e SDA Bocconi School of Management grazie al fondo Fondo Nuove Competenze di ANPAL. Il progetto segna una forte accelerazione sulle competenze digitali, ha l’obiettivo di fornire gli strumenti necessari allo sviluppo di competenze tecniche, commerciali e manageriali necessarie per affrontare le sfide del futuro e accompagnare le esigenze evolutive dell’azienda Vodafone e prevede un totale di oltre 400 mila ore di formazione distribuite in 90 giorni. “L’impianto progettuale – spiega Raffaele Oriani, Responsabile Area Custom & Consulting di Luiss Business School – corrisponde alla filosofia di Luiss Business School orientata alla valorizzazione di partnership e contaminazione fra mondo accademico e business community. La centralità del capitale umano resta per noi punto di partenza e di arrivo: sono le persone, i talenti, a traghettare le aziende verso nuovi orizzonti. Ed è unicamente puntando sull’alta formazione – con una visione ampia capace di coniugare i temi della sostenibilità con quelli della trasformazione digitale – che le imprese possono affrontare, con il giusto equipaggiamento, gli scenari, sempre nuovi, cui il mercato globale le espone”. Il progetto La “Vodafone Digital Academy” è la naturale evoluzione di un più ampio percorso di skill transformation avviato da Vodafone già a partire dal 2018. Un percorso condiviso in ogni passo con le organizzazioni sindacali con cui sono stati sottoscritti i due accordi che hanno consentito a Vodafone di accedere al Fondo Nuove Competenze. L’Academy di Vodafone si configura come un “luogo aperto” in cui le persone possono accrescere le proprie competenze in un continuo confronto con i protagonisti della digital transformation, interni ed esterni all’azienda. Il piano, che prevede un tempo protetto e dedicato esclusivamente alla formazione, seguirà tre direttrici principali: Functional Digital Skills, articolato in 12 percorsi differenti a seconda dell’area professionale di appartenenza coinvolgendo tutte le funzioni aziendali con l’obiettivo di ampliare le competenze digitali di ogni dipendente, anche in ottica di ricollocazione interna; Digital Transformation e New Way of Working, per sviluppare le competenze necessarie nel nuovo contesto di lavoro agile; lingua inglese, per facilitare l’integrazione con le strutture internazionali dell’azienda. Per rendere efficace il riconoscimento delle competenze acquisite dalle persone al termine del percorso formativo, saranno inoltre rilasciate certificazioni e Open Badges. 27/05/2021

21 Maggio 2021

Le sfide delle TLC per l’Italia del futuro: dalla formazione dei giovani al Fondo Bilaterale di Settore

Un fondo di solidarietà bilaterale per il settore telecomunicazioni con l'obiettivo di stimolare la cultura dell’innovazione e sostenere la filiera, tra sviluppo delle competenze e nuove opportunità occupazionali: se ne discute il 31 maggio al webinar di Asstel-Assotelecomunicazioni e Luiss Business School. Registrati! L’accelerazione digitale dovuta alla pandemia ci impone un notevole e improcrastinabile balzo in avanti sul fronte delle competenze digitali, così da favorire la crescita di capitale umano in grado di gestire e guidare la trasformazione in atto. In gioco c’è il futuro dell’Italia e il coraggio di costruire una società totalmente diversa: come ha messo in luce l'ultima fotografia scattata dal DESI, il nostro Paese figurava ultimo in Europa in tema di competenze digitali di base e avanzate. Intercettare i cambiamenti è la carta vincente della filiera delle telecomunicazioni. Se negli anni, infatti, il settore ha già saputo sperimentare soluzioni innovative, è stato l’investimento sulla formazione la leva dei processi di riorganizzazione aziendale in chiave digitale e tecnologica. Da qui la necessità di un fondo di solidarietà bilaterale per il settore con l’obiettivo di gestire efficacemente le sfide che interessano la filiera e sostenere un nuovo concetto di sostenibilità occupazionale, attraverso il quale facilitare il ricambio generazionale e l’aggiornamento professionale delle risorse. Approfondiremo questi temi durante il webinar di Asstel-Assotelecomunicazioni in partnership con Luiss Business School, che si terrà il 31 maggio a partire dalle ore 15:30. Per partecipare è necessaria la registrazione. AGENDA IntroduzioneLuigi Abete, Presidente Luiss Business School Keynote speaker – Le Telecomunicazioni al servizio del PaeseMassimo Sarmi, Presidente di Asstel-Assotelecomunicazioni Intervento – Le policy per il lavoro del futuroClaudio Durigon, Sottosegretario al Ministero dell’Economia e delle Finanze I Tavola rotonda – Le sfide delle TLC: La trasformazione digitale e le politiche attive del lavoro Paolo Boccardelli, Direttore Luiss Business SchoolLaura Di Raimondo, Direttore Asstel-AssotelecomunicazioniRiccardo Saccone, Segretario Nazionale SLC CGILGiorgio Serao, Segreteria Nazionale FISTEL CISLSalvo Ugliarolo, Segretario Generale UILCOM UIL II Tavola rotonda – Il mercato del lavoro al passo con le nuove generazioni Fabiana Dadone, Ministro per le Politiche GiovaniliGiovanni Lo Storto, Direttore Generale Luiss Guido Carli ModeraSimona Rossitto, Giornalista Il Sole 24 Ore REGISTRATI 21/05/2021

14 Maggio 2021

Bain & Co: «Aziende di tlc ancora con rendimenti poco significativi, integrino servizi in piattaforme intelligenti»

L'intervento di Mauro Colopi, partner di Bain & Company, su DigitEconomy.24, il report Luiss Business School e Il Sole 24 Ore Nonostante la crescente importanza dei loro servizi durante la pandemia da Covid-19, le aziende del comparto tlc l'anno scorso non sono riuscite ad invertire una delle sfide persistenti del settore: offrire ai propri azionisti un rendimento particolarmente significativo.  Le aziende del settore hanno infatti registrato – tra febbraio e dicembre 2020 - rendimenti pari al 4,8%, una performance per gli investitori migliore soltanto di quella dei servizi finanziari (-0,6%). Per un confronto, i rendimenti medi totali del comparto del tech hanno registrato un rendimento del 34%, i semiconduttori hanno fatto addirittura meglio con un picco del 47%. Non solo: il divario tra il rendimento degli azionisti di questo settore e di quelli degli altri comparti si è ampliato dall'inizio della pandemia. Focus insufficiente su sviluppo di piattaforme di servizio digitale Questo trend è fortemente legato all'attuale modello delle aziende del comparto, che investono in misura rilevante sui core asset (servizi di connettività e infrastruttura), ma non con sufficiente focus e velocità sullo sviluppo di piattaforme di servizio digitale abilitate dalla connettività. Il risultato è che in diversi casi, i rendimenti dell'economia digitale abilitata sono stati colti da altri comparti, rappresentando un guadagno mancato per le società di telecomunicazione. Al fine di soddisfare al meglio le nuove esigenze dei clienti, ci aspettiamo che le aziende del settore telecomunicazioni continuino a fare grandi investimenti infrastrutturali sul 5G, sull'espansione della rete in fibra e sulla virtualizzazione della rete. Importante l'evoluzione a scala di nuovi modelli di business 'digital proof' Sebbene gli investimenti siano positivi per sostenere la continua evoluzione tecnologica del settore, riteniamo che altrettanto importanti dovranno essere i finanziamenti per l'evoluzione a scala di nuovi modelli di business "digital proof": generando modelli operativi più leggeri, "zero defect", che permettano nel contempo di riappropriarsi di alcuni servizi digitali in logica di Smart Platforms. I manager del settore assisteranno a cambiamenti epocali: nel corso del prossimo decennio, ci aspettiamo che il comparto sperimenti le trasformazioni più significative dall'ondata di deregolamentazione degli anni '90. Da una parte una separazione più marcata tra infrastruttura e servizi retail, dall'altra una diffusione sempre più pervasiva di nuovi servizi digitali, il tutto accompagnato da un ripensamento radicale del modello operativo, seguendo la traccia degli Ott (Over the top), provando nel contempo a identificare gli elementi di distinzione necessari a proteggere il proprio posizionamento in questo mondo in profonda trasformazione. Questi trend stanno accelerando velocemente e questo attribuisce ancora più urgenza alle mosse strategiche da parte delle telco per adattare - o addirittura trasformare - le loro attività e modelli operativi. Fornitori servizi cloud stanno creando molte nuove opportunità Cosa possono fare quindi le aziende del settore per cogliere le opportunità offerte dalla digital economy? Innanzitutto, dobbiamo tener presente che i fornitori di servizi cloud stanno plasmando il settore, creando molte nuove opportunità. Lo abbiamo visto già nei mesi scorsi, quando – nonostante la situazione pandemica – è cresciuta la spesa per la sicurezza del cloud e del software-as-a-service per il lavoro remoto e questo budget continuerà a crescere nel corso del 2021 e negli anni a seguire. L'opzione più efficiente per le aziende del settore potrebbe essere quella di dar vita a una struttura 2.0 che integri i servizi principali all'interno di una piattaforma intelligente che combini servizi proprietari delle telco con elementi di ecosistema in una logica di "super aggregatore", ripensando anche l'equilibrio tra elementi infrastrutturali e modelli "asset-light". Da una parte osserviamo nelle best practice internazionali, diverse fonti di creazione di valore sono abilitati da uno sfruttamento più efficace dei dati, analytics e automazione. La personalizzazione dell'offerta può portare ad esempio un incremento del 2-4% dei ricavi B2C; un approccio "value-based rollout" delle tecnologie di rete può abilitare efficienze sugli investimenti infrastrutturali fino a +25% ed un incremento fino a quattro punti percentuali dei ricavi B2C abilitati; infine un "perfect service" si può tradurre in un abbattimento del Cost To Serve dal 15 al 35 per cento. Dall'altra, considerando i nuovi modelli di business, questi posso abilitare un "sum of the part" del valore d'impresa più elevato, con una maggiore chiarezza sul valore delle singole unità di business e delle prospettive e potenzialità di crescita. Non solo: garantirebbe rendimenti per gli azionisti maggiormente equilibrati tra la componente dei dividendi e la crescita dei ricavi, che potrebbe accelerare la crescita strategica su alcuni servizi digitali, introducendo al contempo nuovi modelli di business e nuovi modelli operativi. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 14/5/2021

14 Maggio 2021

«Puntiamo su un modello nuovo di cloud, in 5 anni mercato mondiale per Gaia-X»

Parla l'amministratore delegato dell'associazione europea, Francesco Bonfiglio, a DigitEconomy.24, il report Luiss Business School e Il Sole 24 Ore L'obiettivo del progetto di cloud europeo Gaia-X «non è quello di avere nuove regole che creino muri attorno alla tecnologia europea» ma dar vita a un modello diverso, «distribuito» e «ortogonale» rispetto a quello diffuso finora e tipico di hyperscaler tipo Google, Microsoft o Amazon. Lo spiega, in un'intervista a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) Francesco Bonfiglio, CEO dell'associazione Gaia-X. Dando le tempistiche del progetto, Bonfiglio spiega che per fine anno si conta «di avere i primi servizi di federazione implementati, «dal 2022 si punta all'arricchimento dei cataloghi, mentre dal 2023 al 2025 si attende a una vera e propria «domanda di servizi Gaia-X». In cinque anni, inoltre, l'auspicio è che l'Europa passi dal possedere meno del 5% delle piattaforme (relative ad aziende quotate) al 30 per cento. Acquistando dunque un peso a livello globale, in competizione con i colossi di Usa e Cina. Il progetto Gaia-X nasce nel 2019 in Germania, si allea subito la Francia per poi acquistare velocemente un respiro europeo. A giugno 2020 nasce infatti l'aisbl Gaia-x, associazione internazionale no profit guidata da Bonfiglio con sede a Bruxelles. Le adesioni, a oggi, sono oltre 230. Tra 1-2 anni il CEO si aspetta salgano a 300-400. Come si declina in pratica la sovranità europea dei dati obiettivo, di Gaia-X? La sovranità significa due cose: avere totale controllo e trasparenza delle infrastrutture su cui vengono condivisi i dati, e diventare più indipendenti rispetto a tecnologie prevalentemente americane e asiatiche.  Oltre alla condivisione di regole ci sono altri aspetti fondamentali del progetto Gaia-X? Premetto che occorre comprendere meglio che cosa sia Gaia-X. Uno dei problemi, normali per un progetto così innovativo, è la difficoltà a comunicarlo. Bisogna, innanzitutto, sottolineare che noi rappresentiamo la voce del mercato, non abbiamo finanziamenti pubblici, e questo ci permette di avere un'autonomia unica. Il nostro obiettivo non è quello di avere nuove regole che creino muri attorno alla tecnologia europea, ma dar vita a una nuova generazione di cloud che, a differenza di quella attuale, non sia concentrata all'interno di pochi grandi data center, governati da tecnologie non europee, come nel caso di hyperscaler come Google, Microsoft e Amazon. Gaia-X sta cioè implementando un modello diverso, distribuito e ortogonale rispetto a quello verticale finora dominante. C'è di più. Gaia X sta anche realizzando infrastrutture software. Non solo, dunque, si tratta di un'associazione per definire linee guida e regole, ma di un progetto che realizzerà servizi di federazione e li renderà disponibili. Sarà open source, noi non stiamo costruendo delle barriere, tutti i fornitori di cloud compresi Amazon, Google e Alibaba partecipano al progetto. Qual è la tempistica per vedere i primi progetti realizzati? L'implementazione di Gaia-X non è veloce e semplice, molti working group sono partiti, stanno lavorando su vari aspetti. Inoltre, abbiamo finanziamenti da parte di Governi anche se non diretti a Gaia X come associazione, ma alla creazione di progetti Gaia X compliant. Il Governo tedesco, quello francese, e a brevissimo quello italiano, stanno creando gare per servizi federati Gaia X o casi d'uso per l'utilizzo di dati basati su Gaia-X. Alcuni dei progetti più importanti sono legati alla creazione di un nuovo continous computing e si svilupperanno, ad esempio, attraverso varie gare per un ammontare superiore a 150 milioni. Un altro progetto importante vede la collaborazione dei più grandi produttori di automotive tedeschi e i produttori di pezzi di ricambio in modo da condividere i dati di produzione, ridurre i tempi di riparazione, aumentare la qualità e tagliare i costi. Inoltre, ci sono decine di bandi, che interessano Gaia-X, che ci stiamo attrezzando a intercettare sia a livello di Commissione sia di singoli Paesi. C'è poi un recente bando del Mise per un Important project of common european interest (Ipcei), legato alla nuova infrastruttura cloud di Edge computing. A proposito di Recovery Fund, che spinta vi aspettate dalle risorse europee per la digitalizzazione? Il programma preparato dal ministro Colao nell'ambito del Pnrr prevede la partecipazione dell'Italia al progetto Gaia-X per realizzare un cloud sovrano. È uno dei punti fondamentali del Ministero dell'Innovazione che si è dimostrato molto attivo, così come i membri italiani di Gaia-X e in particolare Confindustria che avrà il ruolo di coordinare l'hub nazionale. Una caratteristica di Gaia-X è, infatti, la creazione di hub nazionali, molti dei quali sono già pronti. Le 35 società italiane potranno, dunque, avere un punto di incontro per la discussione locale, con una connessione stretta con la politica, il Governo, allo scopo di sviluppare progetti. La data strategy europea annunciata dalla presidente della Commissione, Ursula Von der Leyen, e ripetuta a settembre annunciava investimenti importanti da parte della Ue, ma dalla fine del 2020 sappiamo che gran parte delle risorse passeranno attraverso il Recovery Fund. L'Italia ha un ruolo importantissimo, anche di leadership a livello Ue. Tutti i progetti di cui ho parlato, pure se ad esempio finanziati da Germania o Francia, si realizzeranno attraverso bandi pubblici europei, c'è molta apertura da parte dei Governi affinché si creino consorzi di aziende. Quando il progetto Gaia-X sarà pienamente operativo? Alla fine del 2021 contiamo di avere i primi servizi di federazione implementati e resi disponibili, con esempi concreti di condivisione dei dati. Dall'anno prossimo i servizi saranno completati e si arricchiranno di cataloghi. Dal 2023 al 2025 attendo invece di vedere l'inversione di tendenza, ovvero anziché avere un'associazione che spinge in una direzione, sarà il mercato stesso che tira. Nascerà cioè una domanda di servizi Gaia-X. Noi stiamo lavorando non solo alla realizzazione di questi servizi dal punto di vista tecnologico, ma anche a un sistema innovativo di definizione di marchi di certificazione dei servizi Gaia-X che non saranno rilasciati solo dall'associazione, ma che saranno controllati e verificati dall'architettura stessa. Chiunque potrà creare servizi Gaia-X che saranno affidabili in quanto garantiti dalla tecnologia. In questo scenario stimo che i partecipanti a Gaia-X salgano a oltre 300-400 nell'arco di uno --due anni. Quando pensate di essere competitivi anche all'estero? Nel giro di cinque anni Gaia-X avrà un mercato mondiale. Tutti dovranno fare scelte, sicuramente l'Europa ha investito di meno in passato e ha un gap maggiore, ma da un certo punto di vista questo può essere un vantaggio. Chi ha investito di più avrà maggiore difficoltà nel caso a cambiare modello. Nel peggiore dei casi Gaia-X ci darà, dunque, l'opportunità di competere alla pari, nel migliore dei casi potremmo essere in anticipo e avere un vantaggio competitivo, realizzando da zero qualcosa che non c'era, non dovendo buttar via miliardi di investimenti. Come farà l'Europa a essere competitiva con i colossi di Usa e Cina, partendo oggi dal possesso di una quota bassa delle piattaforme dati presenti nel mondo? Oggi l'Europa ha, in effetti, secondo dati Gartner riferiti al 2019, meno del 5% delle piattaforme dati relative ad aziende quotate. Al di là delle ricadute economiche, dipendere completamente da tecnologie che non sono controllate dalla nostra giurisdizione è un rischio. Credo che l'economia del futuro sarà basata sulla capacità di sviluppare le proprie piattaforme, i nostri figli vivranno questo grande cambiamento, non è quindi una scelta che possiamo procrastinare o accantonare. Nel 2019 il mercato delle piattaforme in Europa è stato pari a 100 miliardi di fatturato, nel 2025 la previsione per la data economy europea è di un fatturato pari a circa un trilione. Ci si aspetta una crescita enorme, da conquistare. Mi aspetto che questo 5% nei prossimi 5 anni possa arrivare al 30% che potrebbe tradursi nel 50% considerato il solo territorio europeo. Cercheremo di fare un più in fretta possibile, bisogna fare scelta giusta per non tornare indietro. Credo gli strumenti e tempi ci siano, non sarà un'operazione velocissima, ma determinante e irreversibile. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 14/5/2021

14 Maggio 2021

Jakala: «al 2024 puntiamo a raddoppiare ricavi a 600 milioni e dipendenti a 2000»

Parla il CEO Stefano Pedron a DigitEconomy.24, il report Luiss Business School e Il Sole 24 Ore.  Il gruppo di marketing techologies si focalizzerà sull'internazionalizzazione, tre acquisizioni in vista Orizzonte 2024: raddoppio di fatturato e dipendenti, rispettivamente a 600 milioni di euro e 2000 persone con maggioranza dei ricavi, il 70%, che deriva dall'estero, ribaltando le proporzioni attuali. A tracciare il futuro di Jakala, società di MarTech, cioè di marketing technologies, fondata nel 2000 da Matteo de Brabant (che oggi ha il 25% del capitale) è l'amministratore delegato Stefano Pedron. L'azienda, che tra l'altro è un grande utente di cloud e sta «ragionando anche con Noovle (società del cloud di Tim) per sviluppare progetti assieme», punta nel nuovo piano varato a fine anno soprattutto sull'internazionalizzazione. «Al momento – spiega Pedron a DigitEconomy.24, report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School – i ricavi provengono per il 38% dall'estero, per il 62% dall'Italia, ma intendiamo focalizzarci molto sull'internazionalizzazione. Abbiamo già una proiezione significativa, con uffici in 13 Paesi». Di recente, tra l'altro, è stata completata l'acquisizione da parte del fondo Ardian del 60% di Jakala. Elemento che può giovare all'espansione fuori dall'Italia. Oltre ad Ardian e De Brabant, gli altri soci sono: The Equity Club, promosso da Roberto Ferraresi e Mediobanca, H14 di Luigi, Eleonora e Barbara Berlusconi, Pfc, la holding dei Marzotto e l'attuale top management del gruppo. «Entro maggio acquisiremo una società in Spagna» Aprendo il capitolo acquisizioni, Jakala ha tre accordi in vista: «Entro maggio acquisiremo una società in Spagna, con 120 dipendenti, e abbiamo già individuati altre due operazioni: una in Francia e una in Germania». Tra i progetti per l'internazionalizzazione c'è anche l'ampliamento della sede di New York dove per il momento il gruppo ha una ‘legal entity' e sta costruendo il team che sarà inizialmente di circa 10 persone. «Tra quattro anni – aggiunge il ceo - puntiamo ad arrivare a 100». Jakala, che conta oggi mille dipendenti, ha come obiettivo, rafforzato dall'ultimo piano industriale, quello di diventare leader globale nel settore dei servizi di marketing. La strada della quotazione per crescere, non è, invece, al momento ritenuta appetibile. «Non escludo l'Ipo tra qualche anno come opzione, ma al momento – dice Pedron - abbiamo bisogno di un altro tipo di percorso. Il nostro è un progetto che necessita di tempo per implementare la visione, un tipo di piano non sempre compatibile con la quotazione». «Pnrr grandissima opportunità, noi al fianco delle aziende per sviluppare progetti» Nel bilancio 2020 il gruppo ha registrato circa 296 milioni di ricavi, l'obiettivo «al 2024 è portare il fatturato a 600 milioni, con ricavi per il 70% all'estero, il resto in Italia». Riguardo all'occupazione Jakala è un'azienda «‘people business', abbiamo bisogno di competenze; se raddoppiamo il fatturato, dovremo quasi raddoppiare il nostro organico. L'obiettivo è di 2.000 persone al 2024». La società, che ha di recente inserito nello statuto il fatto di essere una benefit company, ha assunto nel 100 persone nel 2020, 40 nel corso di quest'anno. L'età media è bassa, di poco superiore ai 30 anni, con parità di genere. Una spinta ulteriore, infine, al business della società è attesa dai fondi del Pnrr che è «una grandissima opportunità per il Paese. Noi – conclude Pedron – siamo al fianco delle aziende per sviluppare le progettualità in questa direzione». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 14/5/2021