Digital Transformation
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16 Aprile 2021

Convergenze: «No a bandi pubblici per le aree grigie, si proceda con gli incentivi»

Parla Rosario Pingaro, fondatore e amministratore delegato della società quotata all'Aim a dicembre La copertura con la banda ultra-larga delle aree grigie, dove c'è gran parte dei distretti industriali, è meglio venga incentivata attraverso agevolazioni fiscali e non con i bandi pubblici. A far sentire la sua voce è il fondatore e amministratore delegato di Convergenze, Rosario Pingaro, recentemente nominato vicepresidente del Namex, uno dei più importanti consorzi di provider ed operatori di rete. Vari i punti su cui l'operatore regionale campano dice la sua. Sul fronte della domanda, riguardo ai voucher per la banda ultra-larga, un «tema caldo che ha rivitalizzato il mercato dell'ultra broadband degli ultimi tre mesi», Pingaro, che ha fondato Convergenze nel 2005,  si augura che il meccanismo venga reso ancora più efficiente. «Siamo stati – dice l'ad - una delle prime regional telco ad avere tutte le offerte certificate per i voucher, ma la parte finale della procedura non è ancora conclusa con il pagamento». Privilegiare le reti Vchn che garantiscono altissime velocità Quanto alle caratteristiche a cui legare l'incentivazione della domanda, Convergenze, operatore di tecnologia integrato attivo anche nel settore dell' energia 100% green e quotato all'Aim da dicembre scorso, è «assolutamente d'accordo» a privilegiare le reti vhcn ad altissima capacità, come suggerito, proprio su DigitEconomy.24 dall'ad di Open Fiber, Elisabetta Ripa. «E' indispensabile - spiega Pingaro - favorire chi ha investito in questo tipo di reti con voucher che stimolino ulteriori investimenti. Non deve spaventare il divario esistente nelle aree svantaggiate che non possono godere delle reti più performanti, saranno gli operatori stessi che troveranno nuovi stimoli a investire anche in queste zone. Sono convinto che quello della connessione è un problema rapidamente risolvibile. Non ci sono solo Open Fiber e Fibercop, ma una miriade di operatori regionali che sta facendo importanti investimenti nelle aree grigie e bianche. Come Namex cerchiamo di sollecitare gli investimenti e la realizzazione di infrastruttura, l'unica via per modernizzare il Paese». Inoltre, sottolinea Pingaro, «se a tutta questa dinamica si aggiungesse un pizzico di sensibilità verso la sostenibilità si realizzerebbe un nuovo paradigma. Digitalizzazione e sostenibilità possono essere le due gambe sulle quali il Paese può tornare a correre. E noi, come multiutility, stiamo cercando di cavalcare questi macro-trend». Il credito di imposta porta benefici tangibili a tutti gli operatori Dal lato dell'offerta, per accelerare la copertura delle aree grigie, Pingaro propone in particolare di ricorrere al credito d'imposta.  Recentemete Vittorio Colao, ministro per la Transizione digitale, ha annunciato alla Camera che entro l'anno verranno bandite le gare, possibilmente con lotti medio-piccoli. Pingaro, invece, è a favore del mercato, senza intervenire con gare pubbliche. «Il mercato – spiega - ha già dimostrato che si possono creare percorsi aziendali virtuosi per investire in questo tipo di aree, attraverso agevolazioni non legate a un bando specifico, ma all'investimento stesso. Questa è la via più veloce e diretta. Peraltro i bandi in Italia hanno premiato poco e non sempre le più efficienti realtà. Il credito di imposta, ad esempio, può portare a un beneficio tangibile a tutti gli operatori. Noi siamo per l'incentivazione a 360 gradi senza procedere con bandi. Anche perché il mercato sta già andando avanti così». In questo contesto la rete unica, cioè il progetto di unificare i network di Tim e Open Fiber per portare più velocemente la connessione nelle aree scoperte, secondo Pingaro «non ha molto senso, non vediamo oggi una ragione fondamentale per immaginarla, sarebbe un po' come tornare al monopolio. In un contesto che vedrebbe Tim verticalmente integrata, reputo il progetto un po' anacronistico, abitiamo in un Paese che non sempre guarda avanti». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 15/4/2021

16 Aprile 2021

Iliad: «In Unieuro per supportare la crescita, bassi limiti elettromagnetici rallentano lo sviluppo del 5G»

L'ad Benedetto Levi fa il punto sulle future sfide della società: pareggio di bilancio su ebitda nella seconda metà 2021 e sbarco nel fisso entro l'estate Iliad Italia sta lavorando per arrivare al traguardo dello sbarco nella telefonia fissa entro l'estate e, nel frattempo, il recente accordo per l'ingresso nel capitale di Unieuro con il 12% è da leggere secondo l'intenzione di accompagnare l'azienda forlivese, che l'operatore ha avuto modo di apprezzare nel corso dei due anni di collaborazione, attraverso un percorso di crescita. A fare il punto con DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) sulle prossime sfide dell'operatore telefonico arrivato in Italia nel 2018 a seguito della concentrazione tra H3G e Wind, è l'amministratore delegato, Benedetto Levi. Il pareggio di bilancio, assicura Levi, sarà raggiunto «nella seconda metà del 2021 a livello di ebitda al (ebitda after lease)». Quanto allo sviluppo della rete radio mobile la controllata italiana di Iliad sottolinea che si prosegue «a ritmo spedito verso l'obiettivo di 8.500 siti per fine 2021». Sul 5G, invece, il basso livello dei limiti elettromagnetici «rischia di rallentare lo sviluppo della rete di ultima generazione in Italia». Di recente avete diffuso i dati sui clienti che hanno raggiunto pienamente le attese, ma ancora non avete conquistato la parità di bilancio. Come sta andando la vostra offerta commerciale che comprende il 5G? In meno di tre anni, con le nostre offerte trasparenti e mantenendo le promesse fatte agli utenti, questi sono diventati più di 7,2 milioni. Nella seconda metà del 2021 raggiungeremo la parità di bilancio a livello di ebitdaal (ebitda after lease). Gli utenti continuano ad apprezzare la qualità della nostra rete e la trasparenza della nostra offerta, a maggior ragione l'ultima con 5G incluso. I vostri  piani di sviluppo potrebbero risentire della ancora scarsa copertura delle reti 5G in Italia che, secondo alcune stime, non supera il 5-10% della popolazione? Lo sviluppo della rete radio mobile che stiamo portando avanti ormai da quasi tre anni ha finora battuto ogni record in termini di velocità, abbiamo chiuso il 2020 con 6.100 siti attivi, raggiungendo gli obiettivi con due mesi di anticipo rispetto al nostro target. Per ora quindi, proseguiamo a ritmo spedito verso il prossimo obiettivo di 8.500 siti per la fine del 2021. Vi aspettate incentivi nel Recovery fund riguardo allo sviluppo del 5G? Il Recovery fund rappresenta un'opportunità unica per l'Italia ed è importante che la riduzione del digital divide sia un obiettivo prioritario nell'allocazione delle risorse di questi fondi, in quanto permetterà di accelerare lo sviluppo di moltissimi settori dell'economia italiana. Come operatore di telecomunicazioni contiamo di fare la nostra parte, continuando ad investire sullo sviluppo di reti ad altissima velocità. E sul fronte dei limiti alle emissioni elettromagnetiche? Pensate che il basso livello in Italia contribuisca a frenare gli investimenti? L'Italia presenta limiti tra i più bassi in Europa in termini di emissioni elettromagnetiche. Sono limiti estremamente inferiori rispetto a quelli stabiliti dalla Commissione ICNIRP (la Commissione internazionale per la protezione dalle radiazioni non-ionizzanti) e molto ridotti rispetto a quelli applicati da Germania, Spagna, Francia e UK. Sicuramente questa condizione rischia di rallentare lo sviluppo della rete di ultima generazione in Italia. Recente l'ingresso di Iliad nella società Unieuro. Secondo alcuni analisti di Intesa Sanpaolo l'operazione sarebbe legata al vostro imminente sbarco sul fisso perché potrebbe aiutare nella vendita della futura offerta. È una corretta interpretazione? Con Unieuro collaboriamo proficuamente già da due anni sul mobile, e abbiamo avuto modo di apprezzare l'azienda, che secondo noi ha un grande potenziale di crescita, e rispecchia il nostro stesso orientamento verso l'innovazione e l'attenzione alle persone. L'intenzione ora è di accompagnarli nelle prossime fasi di crescita. Sempre riguardo allo sbarco nel fisso si parlava di una data prima della pausa estiva, ma secondo altri rumor potrebbe avvenire con qualche settimana di anticipo, già nel mese di maggio. E' una deadline possibile? Confermo che stiamo lavorando per esordire come promesso entro l'estate, sulla data non svelo ancora nulla. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 15/4/2021

01 Aprile 2021

«Semplificare, introdurre incentivi e innalzare limiti elettromagnetici per far decollare il 5G»

A fare il punto a DigitEconomy.24, report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School, vendor ed esperti del settore. Per Emanuele Iannetti, AD di Ericsson Italia il nostro Paese non può permettersi di restare indietro L'Italia non può permettersi di restare indietro nell'implementazione del 5G e, per far questo, occorre puntare su semplificazione, incentivi, innalzamento dei limiti elettromagnetici. Alla luce dei nuovi obiettivi che saranno contenuti nel Pnrr sono concordi su questo vendor ed esperti del settore. «L'implementazione del 5G – dichiara a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) Emanuele Iannetti, ad di Ericsson Italia - è oggi una delle questioni più rilevante per i Paesi europei, Italia compresa. Restare indietro, come già successo con il 4G, avrebbe conseguenze negative sia in ottica digital divide sia sul processo di trasformazione digitale delle nostre industrie». Fedele (Zte): «Manca la copertura 5G per servizi disponibili in maniera massiva» Vari i fronti sui cui agire se non si vuole perdere il treno del 5G, considerando che Cina e Giappone lavorano già sullo standard 6G. «Quello che manca in questo momento – sottolinea Lucio Fedele, vicepresidente di Zte Italia – è la copertura 5G, a oggi le applicazioni di telemedicina, a breve anche quella più complessa dell'operazione a distanza, sono già realtà. Ma non essendoci una copertura 5G non è possibile renderle disponibili in maniera massiva». E la velocità di implementazione «dipenderà molto dal supporto che verrà da parte delle istituzioni nella semplificazione della permissistica. La parte burocratica, cioè, è più complessa di quella realizzativa, ci vuole più tempo a ottenere permessi piuttosto che a installare la rete». Per garantire un pieno ed efficace sviluppo delle reti 5G, secondo Mirella Liuzzi, ex sottosegretaria allo Sviluppo economico, «occorre agire su più fronti, da un lato incoraggiando l'integrazione tra fornitori e soggetti committenti di servizi innovativi assicurando un adeguato sostegno, anche finanziario, per accelerare tale processo. In ottica ‘verticali' occorre poi incentivare lo sviluppo di soluzioni 5G per l'Industria 4.0 riducendo il costo dello spettro e fornendo incentivi alle imprese per l'automazione delle fabbriche attraverso soluzioni IoT e 5G. Importante, inoltre, ricorrere a iniziative per assicurare un supporto alla realizzazione di impianti quali nuove torri e micro-impianti in grado di ospitare antenne 5G multi-operatore». Iannetti (Ericsson): «Servono stimoli nel Pnrr per la domanda di connettività» Per Ericsson,  prosegue Iannetti, è «fondamentale inserire nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) incentivi che stimolino la domanda di connettività per le imprese e per l'utenza residenziale. Pensiamo al credito d'imposta 5G per l'adozione, da parte di tutte le aziende, incluse le Pmi, di connettività dedicata di tipo Very high capacity network (Vhcn). Occorre, inoltre, eliminare gli ostacoli burocratici che impediscono agli operatori di investire su scala nazionale in tempi rapidi sulle reti 5G quali ad esempio le complesse procedure per l'ottenimento dei permessi e gli stringenti limiti elettromagnetici, dieci volte più rigidi rispetto alla maggior parte dei paesi Unione Europea». Landolina (Cellnex): «limiti elettromagnetici in Italia troppo bassi» Anche Gianluca Landolina, ad dell'operatore di torri Cellnex  si sofferma in particolare sulla necessità, per far decollare il 5G, di innalzare i limiti elettromagnetici, in Italia molto bassi, che rendono necessaria l'installazione di molteplici antenne, con conseguenti grandi investimenti da parte delle telco. Dall'altro lato, sottolinea Landolina, gli investimenti degli operatori sono cauti anche perché c'è ancora una bassa penetrazione commerciale dei device 5G. Siae Microelettronica: «manca un ecosistema favorevole agli investimenti» Per Sergio Colombo, direttore vendite Italia di Siae Microelettronica, tra le criticità che hanno stanno ritardando lo sviluppo delle reti, c'è «la mancanza di un ecosistema che possa favorire gli investimenti necessari. Non sembrano esserci ad oggi applicazioni o servizi applicabili su vasta scala che possano garantire ricavi certi. In quest'ottica Siae Microelettronica, grazie alle forti competenze tecnologiche nel settore delle telecomunicazioni, è disponibile e partecipa già attivamente a collaborazioni con operatori e altri produttori del settore per lo sviluppo di progetti di innovazione e di modernizzazione delle attuali reti». Infine, last but not least, c'è un dibattito sul ruolo di vendor extra europei nello sviluppo del 5G. Da una parte, come detto di recente dal presidente di Huawei Italia, Luigi De Vecchis, «la sicurezza dei dati sensibili e la resilienza alla violazione delle reti è parte integrante degli impegni» del colosso cinese. E lo dimostra, dice De Vecchis, l'apertura del nuovo centro a Roma sulla cybersecurity. Dall'altra parte uno studio del Bigs (The Brandenburg institute for society and security) commissionato dal Dipartimento di Stato americano sui "costi nascosti dei fornitori non affidabili nelle reti 5G" sottolinea che al momento in Italia «i costi delle violazioni dei dati, anche se non si rimuovessero i vendor extra Ue, appaiono relativamente bassi, ma, in ogni caso, consistenti". Il numero delle violazioni segnalate in Italia per il 2019 è di 1.276 rispetto alle 25.036 della Germania»; tuttavia «considerando una seconda ipotesi, in cui il numero di violazioni dei dati, una volta implementato il 5G, sia uguale a quello della Germania, i costi delle violazioni dei dati sarebbero nell'ordine di 8 miliardi di euro». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 1/4/2021

01 Aprile 2021

Open Fiber: «Italia connessa entro il 2026 obiettivo alla portata, voucher siano legati a reti da altissima velocità»

Per l'ad Elisabetta Ripa, per cablare il Paese come richiesto dal ministro Colao, occorre l'impegno di tutti, sia sul fronte pubblico sia su quello privato Connettere l'Italia entro il 2026, obiettivo ribadito di recente dal ministro per l'Innovazione tecnologica e la transizione digitale Vittorio Colao, «è alla portata», ma serve l'impegno di tutti. E il sostegno pubblico, nell'ambito del nuovo piano di voucher annunciato, va orientato verso le reti Vhcn ad altissima velocità, pena il rallentamento dello sviluppo delle nuove tecnologie. Lo afferma Elisabetta Ripa, ceo di Open Fiber, società spesso accusata dei ritardi nell'implementazione della fibra a seguito della vittoria delle gare, nel 2015, per portare la banda ultra larga nelle aree bianche dove non c'è l'interesse del mercato. Per evitare lungaggini, spiega Ripa a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) occorre che le semplificazioni della permissistica già varate e le riforme future «siano poi scaricate a terra» visto che «l'implementazione nel territorio è ancora deficitaria». Quanto allo stato delle aree bianche e grigie (aree, queste ultime, dove almeno un operatore aveva dichiarato piani di investimento) ci vorrebbe un aggiornamento della mappatura alla luce delle nuove zone  a fallimento di mercato che si sono create (visto che gli operatori in alcuni casi hanno disatteso  i piani annunciati) «rendendo se possibile più cogenti le dichiarazioni dei privati, in modo da allocare meglio le risorse pubbliche». La sfida annunciata dal ministro Colao è quella di cablare l'Italia entro il 2026. È un obiettivo raggiungibile? Il ministro è stato chiaro: bisogna collegare tutti con connessioni ad altissima velocità, utilizzando le tecnologie Gigabit anche in vista della nuova comunicazione europea Digital Compass 2030. Open Fiber lo sta già facendo. Abbiamo raggiunto 11,5 milioni di unità immobiliari e ci confermiamo di gran lunga al primo posto in Italia e al terzo in Europa per estensione delle coperture Ftth. Dal nostro ingresso sul mercato, il Paese sta risalendo le classifiche europee sul digitale dopo decenni di assenza di investimenti: in questi 4 anni abbiamo investito oltre 4,3 miliardi di euro per raggiungere questo obiettivo e ne investiremo oltre 1 miliardo all'anno per completare il progetto. L'obiettivo indicato dal ministro è quindi alla portata, serve però l'impegno di tutti gli attori del mercato pubblici e privati perché non possiamo continuare a essere gli unici che contribuiscono alla realizzazione della rete in fibra in Italia. Quali le maggiori criticità alla base dei ritardi registrati nella stesura della fibra nelle aree bianche dove non c'è interesse del mercato? Prima di tutto è bene ricordare che a causa di alcuni ricorsi, il piano è partito nel 2018, quindi con due anni di ritardo. Una volta avviati ci siamo trovati davanti a un'enorme mole di burocrazia. Le semplificazioni già varate puntano ad agevolare l'ottenimento dei permessi e il Governo ha dichiarato di considerare a breve ulteriori, drastiche, misure per accelerare i tempi di posa dell'infrastruttura, anche nell'ottica di un efficace utilizzo del Recovery Fund. Le riforme però devono essere scaricate a terra, e l'implementazione delle semplificazioni sul territorio è ancora deficitaria. Nonostante le difficoltà logistiche dovute alla pandemia, nell'ultimo anno siamo riusciti, comunque, a imprimere un'accelerazione. L'Italia ha, infatti, recuperato terreno in Europa anche per quanto riguarda la copertura Ftth delle aree rurali: secondo un'analisi di McKinsey, l'Italia è seconda solo alla Francia sia in termini di copertura (28% vs 31%) sia di crescita nell'ultimo anno per numero di abitazioni coperte in Ftth (+47% vs +59%). Nelle aree di intervento è fondamentale, però, avere la flessibilità di intervenire una volta per tutte anche nelle coperture ancora non realizzate dagli operatori privati. È necessaria una nuova consultazione per individuare le nuove aree bianche alla luce degli investimenti fatti dagli operatori dopo il 2015? Le dichiarazioni di investimento degli operatori privati che sono state alla base della definizione delle aree bianche e in ampia misura disattese, hanno determinato situazioni paradossali sul territorio, con una parte delle cosiddette aree grigie che in realtà possono oggi essere definite ‘nuove aree bianche'. I bandi pubblici nascono, infatti, per ovviare all'assenza di interesse dei privati a investire nelle zone meno popolose e più isolate, dove occorre concentrare gli sforzi. Open Fiber ha già cablato oltre 4 milioni di unità immobiliari nelle aree bianche e aperto la commercializzazione dei servizi in più di 2.000 comuni nelle stesse. Certamente, i nuovi interventi pubblici richiederanno di aggiornare la mappatura delle diverse aree del Paese in virtù dello stato di copertura e dei piani di investimento degli operatori, rendendo, se possibile, più cogenti le dichiarazioni di investimento dei privati in modo da allocare più efficientemente le risorse pubbliche. Per le aree grigie si aspetta ancora il bando pubblico. Come superare questa situazione di stallo? Nel piano industriale abbiamo previsto di coprire, con investimento privato, circa 1 milione di unità immobiliari nelle aree grigie dove si trova la maggior parte dei distretti industriali. L'economia messa a dura prova dalla pandemia si rimetterà in moto, e le imprese devono farsi trovare pronte: una connessione ultraveloce è fondamentale per innovare i processi produttivi, sviluppare nuovi servizi ed esportare sfruttando la leva digitale. Il ruolo del pubblico sarà decisivo per ottimizzare gli investimenti e sostenere con strumenti ad hoc la domanda. Il tema della domanda, peraltro, è già stato affrontato con una prima tranche di voucher da parte del Governo. Il Governo ha annunciato nuovi interventi in tema di voucher. È importante però che il sostegno sia indirizzato verso le cosiddette reti Vhcn (Very-high-capacity-network), anche in considerazione dei target al 2026. Come evidenziato dall'Agcm, un intervento di sostegno della domanda che includa anche le connessioni con velocità inferiori a 100 Mbps avrebbe l'effetto di ritardare ulteriormente l'adozione di tecnologie più veloci favorendo la permanenza di linee obsolete ancora in rame. I maggiori costi di migrazione per le attivazioni su nuova infrastruttura Ftth hanno condizionato la velocità di take up, ma nel corso del 2020, in particolare nel quarto trimestre, si è registrata una fortissima accelerazione. A conferma del crescente interesse del mercato verso la connettività Ftth, l'incidenza acquisitiva della tecnologia Ftth sulla crescita dell'intero mercato ultrabroadband è in continuo aumento: nell'ultimo anno tale quota ha superato il 40% in aumento di oltre 10 punti percentuali. Che ruolo può avere il 5G Fwa per coprire le aree dove non conviene investire? E a che punto siete col vostro piano di portare con questa tecnologia la connessione nei comuni no Internet? La tecnologia 5G per svilupparsi ha bisogno di fibra che metteremo come sempre a disposizione, nell'ottica del nostro business model di rete neutrale e aperta a tutti gli operatori a parità di condizioni. L'Fwa 5G è una tecnologia ultrabroadband che rappresenta una valida alternativa all'Ftth dove, per caratteristiche morfologiche del territorio o per densità abitativa, non è possibile posare fibra ottica. Una soluzione per i comuni no Internet, ossia quei comuni individuati da Agcom come del tutto privi di connessione, che Open Fiber coprirà grazie a un piano finanziato con risorse proprie entro quest'anno: sui circa 200 comuni individuati, ne sono già stati coperti circa 50. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 1/4/2021

01 Aprile 2021

Landolina (Cellnex): «Pronti a collaborare con concorrenti come Inwit o Raiway»

Per il CEO della divisione italiana, tuttavia, «non è ancora stata trovata una quadra» I piani di investimento della tower company Cellnex non sono legati a eventuali risorse europee, ma col Recovery Fund l'operatore, che in Italia possiede 20mila torri, «potrebbe allargare enormemente il già importante piano di sviluppo». Lo afferma Gianluca Landolina, amministratore delegato di Cellnex Italia durante la sua intervista a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School). Intanto il gruppo si dice «aperto a una collaborazione» con i concorrenti Inwit o RaiWay in modo tale da creare efficienze, ma ancora, aggiunge il ceo, «non è stata trovata una quadra». Con i provvedimenti varati nella fase della pandemia è stata raggiunta la semplificazione normativa che chiedevate? La pandemia ha comportato una tragedia per tanti versi, ma qualcosa di buono l'ha portata. C'è un po' di semplificazione in più, l'obiettivo non è stato raggiunto, ma il cantiere possiamo dire che è stato ottimamente avviato. Con la nuova compagine governativa costituita da persone più consapevoli dell' importanza di un adeguato sviluppo tecnologico, sono particolarmente ottimista. Come cambieranno i vostri investimenti in vista del Recovery Fund? Noi, da brava impresa, investiamo capitale nostro per lo sviluppo. I nostri piani non sono vincolati a eventuali sussidi di governo o europei. Tuttavia, queste risorse potrebbero contribuire ad allargare grandemente il già importante piano di sviluppo che noi abbiamo fissato nel medio-lungo periodo. Si potrebbe dare una spinta importante a quella copertura del digital divide in porzioni d'Italia dove oggi non conviene investire. Noi, d'altronde, costruiamo dove puntano i nostri clienti, gli operatori telco, che scelgono solitamente aree dove c'è un interesse commerciale. Se ci fossero aiuti e sussidi per un'infrastrutturazione semplice e leggera anche nelle aree a fallimento di mercato, come ad esempio con la copertura tipica del cellulare, i nostri clienti ci verrebbero dietro. Attraverso investimenti nelle reti 5G? Le reti 5G non necessariamente costituiscono un'opzione secondaria rispetto alla fibra, le performance sono comparabili. Per incentivare lo sviluppo, però, bisognerebbe incidere sull'intensità delle emissioni elettromagnetiche visto che l'Italia è il Paese al mondo col più basso limite di emissioni elettromagnetiche, la Ue raccomanda limiti di 40-60 v/m, in Germania il limite è di 90, in Italia siamo a 6. Gli operatori, in questa situazione, sono costretti a investire di più per fare più antenne (cosa che in maniera miope sarebbe conveniente per noi tower company), ma nel medio-lungo periodo è un quadro non sostenibile. È tra le ragioni per cui la copertura 5G è ancora bassa nel territorio nazionale e non ci sono ancora reti 5G stand alone? Gli investimenti degli operatori sono cauti e non potrebbe essere diversamente. Sono i normali criteri con cui gli operatori tlc approcciano il passaggio da una tecnologia all'altra. Inoltre, anche se ci fosse una copertura 5G completa, il mercato ne fruirebbe solo parzialmente, perché non è ancora sufficientemente diffuso l'utilizzo di terminali 5G. In sostanza la strada del 5G è giusta e in coerenza col mercato. Tra l'altro se si paragona il costo per realizzare la fibra e quello per il 5G, si nota come quest'ultima tecnologia sia molto più conveniente e più veloce da realizzare. Si potrebbe usare il 5G dove non si arriva con la fibra? Dire che si copre col 5G dove non si arriva con la fibra relega il 5G a un ruolo secondario. La differenza di performance tra fibra e 5G non è così eccessiva, e il 5G offre prestazioni di rilievo. Quali saranno i driver del vostro piano nel 2021? Puntate sulle piccole antenne? Lo scorso anno abbiamo progettato, installato e venduto varie centinaia di nodi Das e Small Cell (negli stadi, palazzetti dello sport, ospedali, metropolitane, ma anche per progetti outdoor come quello sviluppato per il borgo storico di Erice). Abbiamo sempre investito in questa tecnologia perché compendio necessario per un'adeguata copertura 5G. Anche nel 2021 prevedo un focus forte su Das. Noi, in sostanza, puntiamo sulla crescita organica per aumentare l' ospitalità nelle nostre torri. Che cosa ne pensate della possibilità di creare un polo delle torri? L'idea di un polo favorisce chi non fa massa critica, ma noi siamo aperti a qualsiasi tipo di collaborazione con chiunque, nel rispetto dei dettami normativi e antitrust. Saremmo aperti nei confronti di Inwit, Raiway, ma ancora non abbiamo trovato una quadra per collaborare nei progetti industriali congiunti. Non ne faccio una questione di principio; se con Inwit, Rai Way trovassimo un modo di collaborare lo faremmo con grande piacere. Si tratterebbe di un modo per favorire lo sviluppo. Oltre alla crescita su cosa punterete? Sulla capacità di fare efficienza. Noi lavoriamo e investiamo sulla nostra efficienza, sulla capacità di ridurre le nostre spese correnti secondo criteri di sostenibilità. Abbiamo fatto investimenti, ad esempio, per limitare l'uso dei condizionatori, già quasi eliminato, e per cancellare le inefficienze nei nostri apparati di energia elettrica. Sono investimenti in sostenibilità che hanno anche un ritorno. Peraltro Cellnex è la prima azienda al mondo ad aver ottenuto un'attestazione Easi (Ecosistema aziendale di sostenibilità integrata) da Dvn-gl, uno dei principali enti internazionali di certificazione. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 1/4/2021

19 Marzo 2021

Asstel: «Va formato il 100% dei 130mila lavoratori delle tlc, servono risorse ingenti»

Il nodo delle competenze raccontato da sindacati, aziende, esperti del settore Il settore delle tlc, oltre 130mila addetti, necessita di una rivoluzione copernicana legata all'avvento delle nuove tecnologie, dalle reti ad alta capacità al 5G e al cloud. Per fare ciò servono competenze, serve formazione dei giovani ma soprattutto di tutto il personale che lavora già all'interno delle aziende e che ha un'età media di oltre 40 anni. La formazione è costosa, si parla almeno di centinaia di milioni di euro entro il 2025; il rischio, altrimenti, è di avere nei prossimi anni migliaia di esuberi. E il Next Generation Eu non può non tenerne conto. «Gli interventi in formazione – racconta Laura Di Raimondo, direttrice di Asstel, a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) – riguarderanno il 100% dei lavoratori della filiera di tlc, parliamo di oltre 130.000 addetti. Tutti i segmenti del comparto, nessuno escluso, sono attraversati da un profondo processo di trasformazione, prodotto dall'innovazione tecnologica e dalla connessa evoluzione dei modelli organizzativi e produttivi». Per Saccone (Cgil) il mondo delle tlc era all'inizio di una rivoluzione già ante Covid Il mondo delle telecomunicazioni, aggiunge Riccardo Saccone, segretario nazionale della Slc Cgil, «era, già ante Covid, all'inizio di una rivoluzione. La pandemia ha accelerato i processi, cambiando i modelli, e c'è l'obbligo di formare le persone per evitare che alcune professioni diventino obsolete e quindi si trasformino in esuberi». Nelle tlc, spiega Giorgio Serao della segreteria nazionale Fistel Cisl, «è in atto una grande trasformazione tecnologica che interessa tutto il settore. Dal punto di vista industriale sono tre gli obiettivi principali da seguire: il superamento del digital divide, il tema della rete unica, gli investimenti nelle aree grigie. In questo scenario le competenze, assieme alla connettività, saranno i grandi problemi che il Paese deve risolvere». Le competenze, aggiunge Luciano Savant Levra, segretario nazionale della Uilcom, «sono un valore qualitativo insostituibile e imprescindibile per le lavoratrici e lavoratori che deve essere costantemente mantenuto e sviluppato, tenuto al passo dei tempi del terzo millennio». Lupi (Astrid): «Comparto risente del cambiamento più sul versante del mobile che del fisso» Per Paolo Lupi, esperto Astrid, il comparto risente del cambiamento che sta investendo tutto il mondo del lavoro «più dal lato del mobile, però, che da quello del fisso. L'avvento del 5G con la virtualizzazione delle infrastrutture richiede infatti delle competenze che a volte sono più vicine a quelle dell'informatica che a quelle del tradizionale settore delle tlc». Certo, sottolinea Lupi, il cambiamento è in atto anche nelle reti fisse, con il passaggio dal rame alla fibra, ma è in qualche modo questa trasformazione è già stata scontata, «visto che se ne parla da anni». Serao (Fistel): «Formare tutti per non lasciare nessuno indietro» Le telecomunicazioni rivestono il ruolo di volano della trasformazione digitale, ma gli obiettivi non potranno essere raggiunti senza una forte specializzazione dei lavoratori in un arco di tempo abbastanza ristretto. «Lo sforzo – dice Serao – è quello di formare tutti, evitando di creare sacche di lavoratori non 'riconvertibili', non dobbiamo lasciare nessun indietro». L'orizzonte della compiuta rivoluzione tecnologica, è, spiega il sindacalista, il 2025: «allora avremo un'infrastruttura di rete fissa in banda ultraveloce che riesce a collegare oltre il 90% della popolazione, in più ci sarà il wi-fi dove non arriva la rete fissa, il satellitare, il 5G. Ci saranno inoltre nuovi servizi al cliente che saranno la parte più remunerativa per le aziende. Per allora dobbiamo, dunque, anche avere i lavoratori che hanno acquisito completamente nuove competenze». Più in generale è l'intera popolazione italiana che ha bisogno di competenze digitali, il rischio è di avere le tecnologie e le reti senza le competenze per usarle. «Ci auguriamo - prosegue il sindacalista della Cisl - che tutti i lavoratori che sentono di avere lacune, richiedano alle aziende, durante l'orario di lavoro, di fare formazione che riteniamo debba essere un diritto individuale del lavoratore». Lo sforzo, gli fa eco Saccone, «va fatto almeno per un triennio e occorre non solo fare formazione, ma rivedere il mix generazionale». Secondo il sindacalista della Cgil, inoltre, a lungo andare, con i sistemi di Intelligenza artificiale, bisognerà anche aprire un dibattito sul tema dell'orario di lavoro. Savant Levra (Uilcom): «Formazione va fatta per tutta la vita lavorativa» L'azione di formazione, precisa Savant Levra, va effettuata «in maniera costante non limitandosi a interventi parziali e per brevi momenti ma per l'intero periodo della vita lavorativa».Acquisire competenze, tuttavia, costa parecchio, per Asstel le risorse necessarie sono ingenti». Partendo dal presupposto che la formazione venga svolta nell'orario di lavoro, il costo dipende dalle ore necessarie a formare le persone per acquisire le competenze per svolgere in modo professionale il proprio lavoro. Serao esemplifica: «In Tim per 37.500 lavoratori si è fatta una formazione grazie al fondo nuove competenze per un totale di 3 milioni di ore, ammontare che, moltiplicato per il costo orario, ci dà la dimensione dello sforzo economico necessario. Visto che servono milioni di ore in tutto il comparto e per tutte le aziende, dunque, c'è bisogno di centinaia di milioni da qui al 2025». Intanto il settore tlc (Tim, Vodafone, Open Fiber Wind Tre, i maggiori call center, Sielte) ha fatto richiesta nel 2020, nell'ambito del fondo competenze da 700 milioni di euro messo a disposizione dal governo tramite Anpal, per 55mila lavoratori, la metà di una platea di 110mila lavoratori di tutti i settori, e un totale di 4,5 milioni di ore di formazione (dati Anpal al del febbraio 2021). Inoltre, alle risorse pubbliche si aggiungono i 100 milioni stimati dalle aziende per un primo step sulle competenze digitali. «Se aggiungiamo – spiega Serao –, infatti, i soldi che le aziende spendono per la formazione ordinaria e la formazione prevista per legge come quella sulla sicurezza si tratta di centinaia di milioni di euro» fino al 2025. Di Raimondo: «fondo di solidarietà idoneo a realizzare il riequilibrio del settore» Oltre al fondo competenze, Asstel sottolinea l'importanza, in questo momento di profondo cambiamento dell'utilizzo del fondo bilaterale di solidarietà del settore: «è un elemento idoneo – secondo Di Raimondo - a realizzare e sostenere il riequilibrio strutturale del settore nonché il finanziamento di formazione professionale e riqualificazione, con maggiore flessibilità e in una logica ‘tailor made' rispetto alle esigenze della filiera delle telecomunicazioni. In questo senso, il fondo offre anche agli interventi contingenti di sussidio una prospettiva non più emergenziale, ma di risoluzione strutturale». In questo scenario le risorse europee non possono avere un ruolo di secondo piano. Asstel, sottolinea Di Raimondo, «ha avviato un dialogo con le istituzioni per promuovere un supporto economico esterno, aggiuntivo al finanziamento da parte di imprese e lavoratori, che ne acceleri l'operatività nella fase di start-up. È evidente che non possiamo sprecare le ingenti risorse del Next Generation EU per investire sul futuro e dunque sul capitale umano. Non progetti spot, ma riforme strutturali che abbiano una visione di medio-lungo termine e questo scenario, bisogna far riferimento a un mix di strumenti esistenti e in divenire, in grado di offrire supporto agli investimenti delle imprese. Assumono pertanto particolare rilievo, gli strumenti di politica attiva, come il contratto di espansione, per l'attuazione di un patto intergenerazionale volto a stimolare l'evoluzione delle competenze e il rafforzamento della base occupazionale». Oltre all'azione sulle competenze occorre cambiare il mix generazionale Oltre ad agire sulle competenze infatti, concordano sindacati e imprese, occorre cambiare il mix generazionale. «Nell'ultimo decennio, anche a causa di un turnover spontaneo estremamente limitato, si è registrato – spiega Di Raimondo - un innalzamento continuo e generalizzato dell'età media della filiera che si attesta oltre i 40 anni, fino a raggiungere anche oltre i 50 anni di età in alcune realtà. Quello del ricambio generazionale è un tema che richiede particolare attenzione. Favorire l'assunzione di giovani dotati delle skill adeguate ai nuovi processi produttivi è indubbiamente, una chiave di volta importante nell'architettura generale del lavoro che cambia, con effetti positivi in termini di competitività e produttività». Ma quali sono le figure che mancano? «Stiamo facendo uno sforzo con le aziende – spiega Serao - per condividere le figure professionali di cui c'è maggiore necessità, legate soprattutto al mondo delle tecnologie a banda ultra-larga e 5G. Mancano, innanzitutto, i progettisti di rete e i giuntisti che servono nella stesura della fibra». Per stendere solo la fibra, infatti, il conto è di almeno 5mila risorse aggiuntive. In questo panorama un ruolo fondamentale sarà svolto, per le figure professionali future, da scuola e università. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 19/3/2021

19 Marzo 2021

Di Franco (Atos): «Assumeremo 300 dipendenti in tre anni nella nuova sede di Bologna»

L'amministratore delegato del gruppo di servizi IT sottolinea l'importanza di tutelare il concetto di sovranità europea del dato Atos, che costruirà, «entro l'anno», il secondo calcolatore al mondo a Bologna, si candida a diventare «polo aggregatore» nella filiera dei supercomputer. Lo dichiara a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) Giuseppe Di Franco, amministratore delegato della divisione italiana, spiegando quanto sia importante tutelare il concetto di sovranità europea del dato, evitando che il Vecchio Continente resti schiacciato nella competizione cinese e americana. Intanto nella nuova sede di Bologna l'azienda si prepara ad assumere 200-300 dipendenti in due-tre anni. Di recente Atos è inoltre diventata partner industriale di Noovle, la nuova azienda dei data center di Tim: «ll nostro obiettivo è essere partner di trasformazioni digitali, agendo da partner industriale per portare know how, competenze ed esperienza internazionale». Assieme a Nvidia costruirete Leonardo, uno dei cinque supercalcolatori più potenti al mondo, all'interno del tecnopolo di Bologna, gestito dal consorzio interuniversitario Cineca. Quando sarà pronto? Leonardo è uno dei più grandi supercomputer, secondo al mondo, dopo uno disponibile in Giappone. È in grado di eseguire 250 miliardi di operazioni al secondo. Siamo in fase realizzativa, il progetto vedrà la luce al termine di quest'anno. C'è un aspetto molto importante che sta dietro questa logica di investimento, cioè quello di dare una grande capacità elaborativa a imprese, enti, Pa per poter realizzare dei modelli di simulazione, come quelli per le smart city o la ricerca scientifica. A Bologna verrà realizzato l'80% della capacità di tutta Italia e il 20% di quella europea. Avete già le competenze necessarie per portare avanti questo lavoro? Innanzitutto Atos, unico produttore europeo, investe da anni sull' High performance computing (Hpc). D'altronde il fatto che parte importante della ricerca scientifica e tecnologica sia fatta su strumenti europei ha un valore molto importante. Sperimentiamo oggi in tema di vaccini contro il Covid quanto stiamo pagando per non aver investito abbastanza sulla ricerca scientifica. All'interno di Atos, dunque, le competenze ci sono, ma vanno incrementate nel territorio. Abbiamo, intanto, deciso di aprire una nostra sede a Bologna e di iniziare un percorso di collaborazione con le università per reclutare giovani talenti, seguendo la falsariga di quanto già abbiamo sperimentato nel Sud Italia, A Napoli, dove abbiamo 300 dipendenti. Quante persone assumerete a Bologna? La sede di Bologna, che è già aperta, ospiterà in due-tre anni circa 200-300 persone, in analogia con quanto accaduto a Napoli. Al momento stiamo organizzando il recruiting. Quello di Bologna è un progetto molto importante, Atos opera con grandi player nazionali come Eni, Enel, Snam, Terna e Tim. A che punto è, invece, il progetto di cloud europeo Gaia-X di cui siete co-fondatori? Oggi il piano, che era partito per iniziativa di varie aziende tedesche e francesi, vede anche la partecipazione di tante imprese italiane guidate da Confindustria. Si pone l'obiettivo di arrivare a una compliance delle normative europee e all'interoperabilità tra i grandi player. È molto importante mantenere il controllo dei dati pur spostandosi da un operatore all'altro. E il set di regole condivise consente di avere la sovranità del dato. Intanto, in Italia, siamo diventati partner industriali di Tim che ha creato un'azienda dedicata, Noovle. Sareste interessati anche a una partecipazione finanziaria in Noovle? ll nostro obiettivo è essere partner di trasformazioni digitali, agiamo da partner industriale per portare know how, competenze ed esperienza internazionale. Tornando al concetto di sovranità europea del dato, le aziende del Vecchio Continente hanno oggi le risorse necessarie per competere a livello globale? Sono molto convinto della rilevanza dell'Europa in questo settore, servono però capacità di investimento e massa critica per poter competere con gli investimenti americani e cinesi. Oggi credo che la tecnologia europea rischi di restare compressa tra gli investimenti statunitensi e cinesi ma, allo stesso tempo, credo molto al fatto che Europa debba posizionarsi e garantire capacità di investimento e aggregazione. Far nascere grandi player, cioè, che possano garantire la nostra sovranità tecnologica. Atos, inoltre, è un player a livello mondiale, con 12 miliardi di fatturato, a Bologna abbiamo vinto contro concorrenti americani e cinesi. Atos potrebbe, dunque, fare da polo aggregatore in Europa? Sì, sarebbe interessante guidare la filiera, Atos potrebbe diventare un polo aggregatore, ma lo potrebbero essere anche realtà come il Cineca. Che cosa vi aspettate dal Recovery Plan? È un'opportunità enorme che ha due grandi dimensioni. Una ha come obiettivo la trasformazione digitale, e può consentire il recupero della produttività del lavoro. L'Italia, peraltro, è uno dei Paesi europei che ha la produttività più bassa. L'altra dimensione punta alla decarbonizzazione, che è un altro tema interessante. A questo proposito va ricordato che digitalizzare è uguale a decarbonizzare. Sono grandi opportunità, un'occasione per la nazione. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 19/3/2021

19 Marzo 2021

Riccardi (Aubay): «Sulle competenze serve uno sforzo con sindacati, Confindustria e Governo»

Lo scoglio da superare, secondo il manager, è la carenza di formazione, in particolare, tra i 50-60enni Bene il Recovery Fund, che può aprire tante opportunità, ma c'è uno scoglio importante da superare, che è quello della carenza di competenze, soprattutto nella fascia di mezzo dei 50-60enni. Occorre, secondo Paolo Riccardi, ceo di Aubay Italia, azienda di servizi e consulenza It, occuparsi del tema della riconversione delle competenze, e per far questo bisogna portare avanti un lavoro cross-aziendale, con Confindustria Digitale e il coinvolgimento del Governo. Il rischio, altrimenti, racconta il manager a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) è quello di trovarsi tra qualche anno con «competenze eccellenti tra i 25-40enni e una crisi occupazionale che, nel giro di tre anni, potrebbe colpire i 50-60enni». Inoltre, nell'ottica del Recovery Fund, un passaggio fondamentale è il rafforzamento del «capitale umano che, dal nostro punto di vista, non è stato finora sufficientemente preso in considerazione». «Nell'anno horribilis 2020 ricavi in linea con l'esercizio precedente» La pandemia di coronavirus ha trovato Aubay, che conta 2.200 dipendenti in Italia, 6.000 nel mondo, resiliente: «I ricavi - racconta Riccardi che è anche direttore generale del gruppo Aubay e quarto azionista - sono in linea con il 2019, con un leggero calo, dello 0,7%, su quelli italiani e un aumento del 2,5% di quelli del gruppo. Aubay Italia chiude il 2020, anno horribilis del Covid, infatti, a 116 milioni mentre il gruppo ne realizza per 426 milioni. Aubay è un'azienda sana, liquida, vediamo nelle linee guida del Recovery Plan i capisaldi di investimento che dovrebbero produrre un'accelerazione che si riverbererà sulle nostre attività tradizionali». In un'ottica generale, intanto, «la pandemia ha accelerato l'evoluzione del digitale: mentre in epoca pre Covid si procedeva a rilento, l'emergenza ha creato una tempesta, ma anche grandissime opportunità. Ora è in arrivo il Recovery Fund che mette a disposizione forti investimenti per l'innovazione. Si apriranno spazi importantissimi: innanzitutto relativamente al completamento delle infrastrutture, visto che solo il 30% della popolazione italiana ha la banda ultra larga, ed è evidente che senza fibra e 5G sarà complicato attuare la transizione 4.0». Competenze necessarie per l'utilizzo delle infrastrutture Ma veniamo ai nodi da risolvere che riguardano le competenze, necessarie per l'utilizzo delle infrastrutture. «Il problema che troviamo rilevante dal nostro punto di vista e crediamo sia paradossalmente più importante, è legato all' inadeguatezza di competenze digitali sul mercato. Solo il 40% della popolazione ha, infatti, conoscenze di base rispetto al 60% medio in Europa e siamo molto indietro nell'ambito delle lauree Stem».Inoltre, mentre nell'Ict è più semplice trovare competenze, nelle altre aziende le competenze digitali vanno costruite: «da noi il 70% dei dipendenti ha competenze digitali, il 30% se le sta costruendo. In un'azienda manifatturiera, ad esempio, le percentuali sono ribaltate». Coscienti della necessità di un approccio generale, cross-aziendale e settoriale, Aubay sta lavorando con Confindustria Digitale e sindacati: «Riteniamo che il tema delle competenze sia prioritario alla stregua di quello degli investimenti, altrimenti rischiamo di avere le infrastrutture senza le competenze tecnico-organizzative necessarie». Guardando in particolare al settore It, sottolinea il manager, «il problema di competenza riguarda la fascia over 50, un'età di mezzo da alimentare con nuovi skill per evitare problemi occupazionali. Stiamo facendo una mappa delle competenze da convertire, ma servono progetti che vadano oltre la singola azienda con una regia, attraverso Confindustria Digitale». Solo il 40% delle aziende ha il chief Information security officer In questo scenario va coinvolto il governo: «gli esecutivi precedenti avevano già pensato di operare su questi temi, d'altronde finché i soldi erano pochi la trasformazione digitale procedeva a rilento, ora il rischio è che i soldi ci siano ma i percorsi di accelerazione siano improvvisi. Riteniamo, dunque, che se non si lavora anche nel Recovery sulle competenze per tempo, il rischio è che ci si trovi impreparati». Un settore da non sottovalutare è in particolare quello della cybersecurity «dove mancano ancora tante figure specializzate e solo il 40% delle grandi aziende ha al suo interno il chief information security officer (Ciso)». Quanto infine al quadro normativo, Aubay valuta in maniera positiva l'introduzione del Gdpr e ricorda come in una bozza della scorsa legge di bilancio ci fosse la proposta di creare un istituto italiano di cybersicurezza: «Credo che se il nostro sistema non inizierà a produrre soluzioni di sicurezza informatica si rischia di diventare ostaggio delle grandi aziende straniere. Eravamo stati - conclude Riccardi - molto colpiti in senso positivo dal fatto che fosse stata pensata una cabina di regia nazionale, la riteniamo, anche sotto questo profilo, necessaria». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 19/3/2021

19 Marzo 2021

Per l’84% dei manager l’azienda ha subito almeno un attacco informatico in 2 anni

Secondo la ricerca di British Telecom sulla cybersecurity. In Italia mancano skill Il 76% dei manager considera "eccellente/buona" la strategia It messa in campo dalla propria azienda per rispondere agli attacchi informatici. Ma «l'84% degli stessi manager confessano anche che la loro azienda ha subito nel corso degli ultimi due anni un attacco informatico». Lo afferma Hila Meller, vicepresidente Security Europe di British Telecom e Global lead resources, commentando una ricerca messa a punto di recente sulla cybersecurity. Lo studio è stato condotto da BT in collaborazione con la società indipendente Davies Hickman Partners e ha coinvolto oltre 7.000 fra manager aziendali, dipendenti e consumatori di tutto il mondo. Meller (vicepresidente cybersecurity): «l'Italia riesce a far fronte agli attacchi» Per quanto riguarda il caso del nostro Paese, spiega Meller a DigtEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School), «l'Italia è senza dubbio fra quella schiera di Paesi industrializzati che meglio riesce a far fronte ai crescenti e più sofisticati attacchi da parte del cybercrime attraverso una proficua collaborazione tra agenzie statali e soggetti privati come le imprese». Tuttavia, come il resto d'Europa, e forse di più, «soffre della mancanza di professionisti con skill adeguati ad affrontare la complessità delle sfide imposte dal mercato, sia per fattori culturali (sono ad esempio ancora poche le ragazze che intraprendono una carriera nell'ambito della sicurezza informatica) sia per un aspetto di carattere linguistico (molte aziende limitano la ricerca a talenti in campo informatico che devono però parlare necessariamente italiano)». Il 45% dei dipendenti ha evitato di segnalare un incidente di sicurezza Da altri dati del report, prosegue Meller, emerge «un certo candore, meno della metà degli intervistati ha dichiarato di aver ricevuto formazione sulla sicurezza dei dati, ma solo uno su tre è pienamente consapevole delle politiche e delle procedure da adottare per proteggere la sicurezza dei dati della propria organizzazione. Diretta conseguenza di questo approccio sono una serie di tendenze comportamentali preoccupanti: il 45% dei dipendenti ha detto di essere incorso in un incidente di sicurezza, ma di aver evitato di segnarlarlo e forse ancora più preoccupante, che il 15% dei partecipanti alla ricerca abbia ammesso di aver dato a colleghi il proprio log-in e la propria password aziendale». La chiave è la formazione continua del personale Per porre rimedio a questa situazione la chiave è la formazione continua del personale. «È necessario che il personale sia consapevole che le misure di sicurezza, a partire dalle più basic, sono necessarie. Non a caso il modo più facile per fare breccia nel sistema di sicurezza di un'organizzazione è di farlo attraverso chi vi lavora e quello che colpisce è che spesso gli attacchi informatici non sono particolarmente sofisticati. Basti pensare che email di phishing che includono nell'oggetto "Linkedin" hanno un open rate di circa il 50 per cento. Per battere il cybercrime la sola tecnologia non basta, abbiamo bisogno anche di un "firewall umano"». Una rilevanza fondamentale è rivestita dal ruolo del Chief information security officer che «non è solo chiamato a proteggere le aziende dagli attacchi informatici e a gestire i rischi, ma gioca un ruolo cruciale nel gestire il coinvolgimento dei dipendenti, l'adozione di nuove tecnologie e la percezione del brand (la ricerca ha rivelato che quasi due terzi dei consumatori raccomanderebbero un'azienda che fa un grande sforzo per custodire i loro dati al sicuro e un numero simile ha confermato che la sicurezza è più importante della convenienza quando si sceglie da chi comprare). È necessario che nelle organizzazioni il Ciso (Chief information security officer) acquisisca sempre maggior visibilità e possa essere al centro del processo di decisionale e di pianificazione strategica». BT, dal canto suo, protegge l'azienda e i suoi clienti ogni giorno da 6.500 potenziali cyberattack. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 19/3/2021

07 Febbraio 2021

La fotografia scattata dall’Autorità nell’ambito del tavolo Pisano 

    Urge portare la banda ultra-larga in almeno 204 Comuni italiani che, in oltre il 10% degli indirizzi civici, non hanno nessuna possibilità di connessione a Internet da postazione fissa, anche includendo gli accessi radio fwa. E' la fotografia scattata nell'ambito dei lavori del tavolo tecnico Pisano, con la collaborazione dell'Agcom, aperto nella fase del lockdown. Il quadro ottenutoè già al netto delle aree dove Tim ha autonomamente deciso di investire, con l'apertura di circa 7mila Cabinet, portando cioè la fibra fino agli armadi di strada (Fttc).In 73 Comuni non c'è neanche copertura mobile minima In particolare, secondo quanto risulta a DigitEconomy.24 (report di Radiocor e Luiss Business School), 46 piccoli comuni sono senza alcuna copertura di rete fissa, in 204 comuni la percentuale di civici senza copertura internet è superiore al 10%, in 130 la quota è superiore al 20%, mentre in 1.074 comuni i civici non coperti sono meno del 10 per cento. Di tali civici poco oltre il 90% erano già stati classificati come bianchi a seguito della consultazione Infratel nella fase preliminare alla predisposizione dei bandi Bul e quindi dovranno essere cablati da Open Fiber che si è aggiudicata le gare. Se si include anche la rete mobile, secondo un requisito di velocità minima indoor di 2 Mbps, il numero di comuni "No Internet", quindi con percentuale di civici senza copertura superiore al 10%, scenderebbe da 204 a 73. La maggior parte si concentra in Piemonte, nelle province di Cuneo, Alessandria, Torino e Asti, nel Molise, nella Liguria e in Sicilia. Tra i comuni che si trovano maggiore difficoltà si contano Pontechianale, Oncino, Macchia Valfortore, Marcetelli, Marmore, Castelmagno, Bellino, Pradleves, Gorreto, Valprato Soana, Rondanina, Villamiroglio, Acceglio, Serole, Sant'Alessio in Aspromonte.Santella (Agcom): portare connettività al più presto possibile «Il problema è di portare la connettività da rete fissa in questi comuni il più presto possibile -spiega Giovanni Santella a capo della Direzione reti dell'Agcom - anche proponendo un anticipo, per questi Comuni, dei piani attuali di roll-out di Open Fiber, per renderli compatibili con le esigenze dei cittadini a seguito dell'emergenza Covid». Per questo motivo l'Agcom sta completando il rapporto tecnico, con la collaborazione dei principali operatori di reti e servizi Tlc, da sottoporre al tavolo tecnico Pisano, coordinato da Guido Scorza. Le proposte di Eolo, dei satellitare e di Open Fiber«Il rapporto tecnico conterrà - chiarisce ancora Giovanni Santella -oltre all'analisi dei Comuni "No Internet" anche i possibili interventi che si possono fare urgentemente, che accolgono le proposte di Eolo, Open Fiber e dei gestori satellitari». Sulla rete radio Eolo ha dato una preliminare disponibilità per i selezionati dall'Agcom ma a patto di avere incentivi o aiuti a investire in queste aree a fallimento di mercato denominate da alcuni aree 'bianchissime'. «Stiamo collaborando al tavolo, abbiamo dato il nostro contributo – chiarisce dal canto suo Francesco Nonno, direttore regolamentazione di Open Fiber- che consiste in una forte accelerazione del nostro intervento in una parte consistente dei comuni individuati».