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18 Febbraio 2022

Cellnex: «Per essere sostenibili serve una cultura condivisa. I profitti partano da criteri e principi Esg»

L'ad di Cellnex Italia, Gianluca Landolina, annuncia la certificazione Easi e parla degli obiettivi di crescita a lungo termine Per essere veramente sostenibili nel lungo periodo serve una cultura condivisa nell'azienda e i profitti devono partire da criteri e principi Esg. Gianluca Landolina, amministratore delegato di Cellnex Italia, controllata dal gruppo spagnolo, quotato in Borsa, di infrastrutture di telecomunicazioni, leader in Europa con oltre 130.000 torri e un fatturato di circa 2 miliardi all'anno, racconta a SustainEconomy.24, report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School, l'approccio della società che punta al coinvolgimento di tutti i collaboratori e gli stakeholder sui temi Esg. E parla dei risultati raggiunti annunciando di aver ottenuto, prima azienda in Italia, la certificazione EASI, l'unico modello di sostenibilità aziendale riconosciuto da Accredia. Ma anche l'obiettivo di arrivare al 2025 al 100% di energia consumata certificata come green energy. Landolina mette in guardia dai rischi di greenwashing e da chi antepone la comunicazione ai fatti. Il nostro business delle torri, sottolinea, è anche muscolare, finanziario, ma soprattutto industriale e, forte di 6 miliardi investiti in Italia, vuole "traguardare non il profitto a breve ma la crescita a lungo termine". Si parla tanto di sviluppo sostenibile e di criteri Esg. Ma c'è anche chi paventa una ‘bolla' di sostenibilità, tentazione di greenwashing, difficoltà di conciliare i principi Esg con la redditività. E'così? «Ogni qualvolta qualcosa diventa di moda, inevitabilmente attira sia coloro che sono ‘sani' sia quanti lo sono meno; sicuramente, se persegui la sostenibilità soltanto per poterla comunicare probabilmente non otterrai poi grandi risultati, perché serve, invece, un lavoro preventivo sulla cultura aziendale. Che, per noi, in Cellnex, è iniziato 6 anni fa, quando non avevamo l'"ossessione" della sostenibilità e nessuno la pretendeva; lo facevamo per noi e abbiamo cercato di diffondere una cultura che non fosse mai monodirezionale ma andasse a raccogliere il percepito della popolazione aziendale in modo da raggiungere un compromesso che facesse stare bene tutti: sia l'azienda, come istituzione, sia le persone che la portano avanti. Da lì siamo stati stimolati con la prima certificazione, la seconda e, poi, la terza perché è la nostra cultura condivisa che ha permesso di raggiungere questi risultati. Il greenwashing, oggi, è un problema, è un rischio di chi mette la ‘press release' sulla sostenibilità davanti alla sostenibilità stessa, invece di mettere in prima linea quella cultura sostanziale che porta tanti benefici tra cui quello di essere veramente sostenibili nel lungo periodo». Partendo da queste premesse, come si conciliano le tematiche Esg con il business di Cellnex e che tipo di percorso state portando avanti? «Crediamo fermamente che la sostenibilità non debba essere solo un investimento o un costo perché in questo caso dipenderà sempre e soltanto da ‘un decisore' che stabilisce quando e perché ‘spendere' quei soldi per la sostenibilità. La sostenibilità, invece, deve entrare nei gangli decisionali dell'azienda e i profitti devono partire da criteri e principi di sostenibilità. E' necessario che la sostenibilità si autoalimenti insieme con il profitto: parlo delle famose tre ‘P', Planet, People e Profit, cui si va aggiungendo anche la Prosperità sociale. Dunque, quando tutto questo si autoalimenta - indipendentemente dal manager che decide di investire quando ci pensa o quando l'azionista glielo chiede - allora si sta facendo un percorso virtuoso di lungo periodo. Noi, facendo così, siamo arrivati all'importante risultato di avere la certificazione ‘EASI', Ecosistema aziendale di sostenibilità integrata». Ce ne parla? «Si tratta di una certificazione rilasciata da DNV Business Assurance ed è l'unica riconosciuta da Accredia, l'ente di accreditamento designato dal Governo italiano e sottoposto alla vigilanza del Mise. Essere certificati EASI significa che un soggetto terzo ha fatto una radiografia profonda e ha appurato che la sostenibilità è in effetti entrata in tutti i processi decisionali e di esecuzione micro e macro, a qualsiasi livello dell'organizzazione. Vale a dire che chiunque, nell'azienda, ha capito che la sostenibilità è sana, è sostenibile, crea un risparmio e concilia le famose tre P». Parliamo anche di ambiente e lotta al cambiamento climatico, importanti per una società di torri di telecomunicazioni. Che traguardi avete raggiunto e quali i prossimi obiettivi? «Cellnex Italia fa parte di un grande gruppo, Cellnex Telecom, che è presente in 13 Paesi in Europa e che si è dato un obiettivo molto sfidante con un Masterplan Esg, avviato nel 2021 e che traguarda al 2025, che ingloba 92 azioni che, chiaramente, scendono a cascata su tutti i Paesi del gruppo. Noi, come Italia, siamo assolutamente allineati e abbiamo seguito questo stimolo di virtuosità. Solo per citare un esempio: il 60% dell'energia elettrica che consumiamo oggi è certificata come green energy e, entro il 2025, l'obiettivo è che sia certificato il 100%. Ma teniamo tanto anche a coinvolgere in questa avventura quanti più stakeholder possibili. Si parla di moltiplicatore virtuoso quando un'azienda - che riesce a pensare ed agire in modo sostenibile - riesce a coinvolgere anche i fornitori. Così abbiamo invitato tutti i nostri principali fornitori ad avviare, anche loro, il percorso per la certificazione EASI. E sul tema vediamo che sono molto avanti e danno grandi soddisfazioni anche i nostri clienti - che sono gli operatori telefonici italiani – che stanno dimostrando di avere molto a cuore i principi e i criteri di sostenibilità sana e pura. Poi, mi piace ricordare che cerchiamo di aiutare il contesto nel quale ci muoviamo; negli ultimi anni abbiamo supportato tante associazioni, dal Banco Alimentare alla Comunità di Sant'Egidio, dalla Croce Rossa Italiana a Medici Senza Frontiere nel loro impegno verso un territorio disastrato dalla pandemia, con l'obiettivo di creare un rapporto che non sia mordi e fuggi ma sia sostenibile e possa diventare anche di partnership». E quali gli step che vede nel futuro di Cellnex? «Vogliamo corroborare e avere cura di questa risorsa incredibile che è la nostra cultura aziendale perché credo fermamente che il momento in cui si pensa di essere arrivati e, quindi, si allenta la tensione, è l'inizio del declino. E anche perché il contesto - e direi che lo abbiamo imparato bene in questi ultimi anni - può cambiare da un momento all'altro in maniera repentina. Quindi aumenteremo sempre più la nostra attenzione sulla salvaguardia della cultura condivisa. Tutto questo è fondamentale per un'azienda come Cellnex che, come da piani per i prossimi cinquant'anni, vuole progredire e crescere. Il business delle torri è sicuramente anche muscolare, ovvero finanziario. Abbiamo infatti portato a termine importanti acquisizioni, Cellnex ha investito decine di miliardi negli ultimi sei anni e, solo in Italia, circa sei da quando siamo arrivati. Ma il nostro business è soprattutto industriale, non traguardiamo il profitto nel breve ma la crescita e la consistenza del business nel medio lungo termine e per questo è necessaria la dedizione di tutte le persone che lavorano in azienda». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 18/2/2022

18 Febbraio 2022

Mancino (Rai Way): «La sostenibilità e l’innovazione integrate nella strategia aziendale. Il 2022 sarà un anno sfidante»

L'amministratore delegato racconta obiettivi e traguardi in un'intervista a SustainEconomy.24 Un approccio alla sostenibilità che passa dall'integrazione con la strategia aziendale tanto che il Piano di sostenibilità traguarda al 2023 come il Piano industriale. E include anche l'innovazione, elemento distintivo del dna di Rai Way. Aldo Mancino, ceo della società di gestione e sviluppo delle reti di trasmissione e diffusione radiotelevisiva per la Rai, parla a SustainEconomy.24, report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School, di obiettivi e traguardi: dal 100% di energia elettrica rinnovabile al cda composto al 44% di donne alla riconfigurazione tecnologica del network per renderlo più efficiente in termini di consumi energetici. Il 2022 sarà un anno intenso e sfidante, assicura, con la tv digitale di nuova generazione nelle case degli italiani e lo sviluppo di un'infrastruttura per data center. Qual è l'approccio alla sostenibilità di Rai Way? E come si concilia con l'operatività? «Rai Way approccia la sostenibilità integrandola con la strategia aziendale e, conseguentemente, con l'operatività. Ecco perché il primo Piano di Sostenibilità di Rai Way, pubblicato ormai un anno fa, copre lo stesso orizzonte temporale del Piano Industriale 2023 e include, oltre ai classici pilastri Esg (ciò ambientale, sociale e di governance) anche l'innovazione, quale elemento distintivo del nostro Dna. Sostenibilità e innovazione proseguono quindi di pari passo tra loro e con l'operatività di un player infrastrutturale che connette le comunità, portando la radio e la televisione a tutti gli italiani, con una copertura capillare del Paese». Come è misurabile questo impegno? Ci fornisce alcuni dati? «Dal 2017 rendicontiamo il nostro impegno sul fronte della sostenibilità in modo puntuale e trasparente attraverso la Dichiarazione Non Finanziaria e offriamo disclosure sull'avanzamento degli obiettivi inclusi nel Piano di Sostenibilità, come, ad esempio, il 100% di energia elettrica rinnovabile o il consiglio di amministrazione composto al 44% di donne. In aggiunta, da un paio di anni, abbiamo deciso di andare oltre la compliance normativa e abbiamo avviato un percorso di engagement con le principali agenzie di rating Esg che, a cavallo tra il 2021 e il 2022, ha prodotto i primi risultati tangibili: upgrade rilevanti sono infatti arrivati nelle valutazioni di CDP, MSCI e Sustainalytics. Secondo Sustainalytics, Rai Way figura tra le prime 20 società al mondo in termini di rischio Esg considerato trascurabile». E' un impegno che richiede anche investimenti? «Certamente, sia in termini di tempo che dedichiamo a queste attività di monitoraggio e rendicontazione che, naturalmente, di risorse finanziarie. Basti pensare che 2/3 dei 150 milioni di euro che stiamo investendo nel progetto di riconfigurazione tecnologica del nostro network (il cosiddetto "Refarming") saranno destinati alla sostituzione degli apparatati trasmissivi tecnologicamente superati, comportando l'adozione di sistemi energeticamente più efficienti che ridurranno consumi e spesa per l'elettricità. Questa è solo una delle iniziative con cui vogliamo indirizzare la Carbon Neutrality entro il 2025, 25 anni in anticipo rispetto alle prescrizioni dell'Ue». Che tipo di sollecitazioni e risposte registrate dai vostri stakeholder? «Dialoghiamo costantemente con i nostri stakeholder, tanto esterni quanto interni, e circa un anno fa li abbiamo coinvolti nell'aggiornamento della nostra matrice di materialità, che sta alla base del nostro agire sostenibile: innovazione tecnologica, salute e sicurezza sul lavoro, consumi energetici ed emissioni elettromagnetiche sono emersi come i temi più rilevanti, insieme all'etica e alla trasparenza nella conduzione del business. Su ciascuno di essi la nostra attenzione è massima e i nostri stakeholder sono soddisfatti dei risultati che conseguiamo e che i soggetti internazionali ci certificano.Rete unica, polo delle torri: si prospetta un 2022 che vede le tlc sempre in prima linea». Come vede il 2022 di Rai Way? «Il 2022 per Rai Way sarà un anno sicuramente intenso e sfidante. Saremo ancora impegnati nel refarming che porterà la tv digitale di nuova generazione nelle case di tutte le famiglie, migliorando sensibilmente l'accesso ai contenuti in oltre 1.000 comuni italiani. Ma non solo. Come abbiamo annunciato lo scorso luglio, in un'ottica di diversificazione e all'interno di una strategia che risponde all'esigenza di digitalizzazione dei servizi e di nuove modalità distribuzione di contenuti, ci concentreremo sullo sviluppo di un'infrastruttura per data center con l'obiettivo di realizzare edge data center in 5-7 città entro il 2023. Nel farlo poniamo attenzione al tema della sostenibilità progettando secondo gli standard più evoluti e privilegiando l'utilizzo di componenti che consentono un efficientamento nell'utilizzo dell'energia, perlopiù da fonti rinnovabili, con conseguente ottimizzazione del livello di Power Usage Effectiveness e riduzione delle emissioni di C02. Prevediamo inoltre l'introduzione del massimo livello di automazione, che consentirà di ridurre le emissioni relative agli spostamenti necessari per l'operatività dei siti. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 18/2/2022

04 Febbraio 2022

Utilitalia: «Dalle utility generati 20 miliardi per la sostenibilità»

Il dg, Giordano Colarullo, racconta l'impegno, in termini di investimenti, nella filiera dell'acqua e del ciclo dei rifiuti. E sul tema energia, parla dell'ultimo decreto sul caro-bollette, "deludente" e "iniquo". Dalle utility un valore aggiunto annuale di 11 miliardi nella sostenibilità che arrivano a 20 miliardi considerando l'intera filiera; ma anche investimenti in crescita nell'idrico, con un gap ancora troppo elevato tra le gestioni industriali e quelle "in economia" e l'attenzione al tema del ciclo dei rifiuti per rispettare i target europei. Giordano Colarullo, direttore generale di Utilitalia, la Federazione che riunisce oltre 400 imprese nei servizi pubblici in Italia, con un valore della produzione superiore al 2% del Pil, in un'intervista a SustainEconomy.24, report di Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School, sottolinea l'importanza del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. E parla dell'ultimo decreto sul caro-bollette, "deludente" e "iniquo" perché, se va bene un contributo solidaristico, è sbagliata l'idea e servono misure strutturali. Economia circolare, sostenibilità: le utility italiane dichiarano un impegno in prima linea. Cosa si è fatto e quanto ancora si deve fare? «Abbiamo di recente pubblicato il rapporto di sostenibilità 2021 in collaborazione con la Fondazione Utilitatis che misura il valore aggiunto economico annuale distribuito dal settore sul territorio e ai vari stakeholder che ha raggiunto gli 11 miliardi e, considerando l'intera filiera e le spese per i fornitori, si porta a 20 miliardi. E' importante sottolineare, poi, come gli investimenti di questo gruppo di imprese, seppure in un anno pandemico, non si sono fermati e hanno raggiunto i 4,5 miliardi (oltre il 14% dei ricavi), di cui oltre 600 milioni nella decarbonizzazione, quasi 300 milioni nella digitalizzazione e più di 180 milioni nell'economia circolare. E' la natura stessa del business e la vocazione di servizio pubblico delle imprese - che hanno nel proprio dna l'attenzione all'ambiente e al sociale - a renderle un punto di riferimento per lo sviluppo sostenibile». Analizzando i vari comparti, sul fronte del settore idrico restano ancora tante disomogeneità territoriali e servono investimenti importanti. Qual è la sua visione e cosa occorre? «Il settore ha registrato una crescita enorme dal 2012, dall'ingresso della regolazione tariffaria che ha chiarito le regole sul riconoscimento dei costi; così da una cifra di investimenti sotto il miliardo si è passati sostanzialmente ad una proiezione che vede l'Italia intorno ai 4 miliardi per il 2022, in aggregato per l'industria, e una cifra che più o meno ci porta a 5-6 miliardi per la rete infrastrutturale italiana. Investimenti che stanno permettendo un grande recupero sul contenimento sul fenomeno, ad esempio, delle perdite idriche. Certo, c'è un gran divario tra le zone d'Italia facile da spiegare con la sostanziale differenza tra le gestioni industriali, con investimenti che si aggirano attorno ai 50-60 euro per abitante, e i soggetti non industriali, le cosiddette gestioni ‘in economia' operate dagli enti locali, dove il livello di investimenti va sui 4-7 euro pro capite. Un ordine di grandezza così diverso che moltiplica i ritardi e spiega la distribuzione a macchia di leopardo che riscontriamo al Sud, soprattutto in Campania, Calabria e in Sicilia. E' un'equazione quasi matematica: no gestione industriale, no servizio e no investimento e purtroppo il cluster è tutto il sud. Quindi per noi è lì che bisogna intervenire. Con il Pnrr sono stati assegnati al comparto fondi pari a 3,5 miliardi, non sono cifre enormi ma messe su un comparto con tariffa possono essere un booster. Certo, bisogna avere il coraggio di applicare lo spirito di riforma del Pnrr a tutti i livelli di governo fino alle periferie amministrative». Un altro settore che potrebbe avere grandi potenzialità è quello dei rifiuti. «Ci sono due dati che bisogna tenere sempre a mente. Il primo, l'Italia come Paese ha fatto molto bene sulla raccolta differenziata avendo raggiunto i target europei in alcune parti d'Italia molto prima della scadenza, anche se restano sempre delle sacche di lentezza e, ahimè, coincidono sempre con il sud e in alcuni casi anche con il centro. Secondo, ora dobbiamo volgere l'angolo visuale dalla differenziazione della raccolta al riciclaggio. Senza una decisa inversione di tendenza sarà impossibile raggiungere i target Ue che prevedono il raggiungimento del 65% di riciclaggio effettivo dei rifiuti urbani e ridurre l'utilizzo della discarica al 10%. E' un'impresa non banale per il Paese perché oggi noi usiamo la discarica anche il doppio, cioè arriviamo intorno al 20%. Ora da qui al 2035 sono 13 anni, ma l'appuntamento è dietro l'angolo se pensiamo che quando si tratta di dover introdurre innovazioni tecnologiche e impiantistiche a volte si impiegano 4-5 anni solo per le autorizzazioni. Anche qui vediamo una grande opportunità negli interventi previsti dal Pnrr che hanno indirizzato un miliardo e mezzo per il miglioramento della raccolta differenziata e propedeutica al riciclaggio e 600 milioni su progetti nell'ambito del riciclaggio delle frazioni non riciclabili. Per rispettare gli obiettivi europei e annullare l'export di rifiuti tra le aree del Paese, abbiamo stimato che il fabbisogno impiantistico ammonta a 5,8 milioni di tonnellate. E almeno una trentina di impianti per il trattamento dell'organico e per il recupero energetico delle frazioni non riciclabili». Da ultimo il tema dell'energia, le rinnovabili e il caro bollette. Sono stati adottati interventi sugli incentivi e una sorta di tassa sugli extra profitti per gli impianti rinnovabili. Per Utilitalia qual è la strada da seguire? «Il provvedimento adottato appare deludente. E' un concetto scivoloso quello degli extra-profitti perché in realtà molte imprese non ne hanno veramente beneficiato. Il disegno prospettato, pertanto, potrà essere altamente dannoso e dovrà essere valutato nella fase implementativa. Dicevo che lo riteniamo deludente perché finisce per colpire una classe di soggetti che, se ha avuto dei benefici, li ha avuti per le condizioni dei mercati internazionali, ma come è accaduto per chi produce gas. E se la misura potrà offrire, in qualche modo, un contributo solidaristico, nell'opinione pubblica va a dipingere un'idea sbagliata perché il prezzo sale per colpa di infrastrutture che non sono state costruite o per le posizioni di chi produce gas, soprattutto la Russia. Lo riteniamo un provvedimento iniquo e, peraltro, colpisce paradossalmente le tecnologie che, invece, dovrebbero essere incentivate per la transizione. Dall'altro lato non si introducono, in questo decreto, delle misure strutturali e il rischio è che dopo un trimestre il problema si ripresenti. Non è con misure tampone che si risolve il problema, è necessario mettersi a lavorare su due direttrici: certamente sul tema dell'approvvigionamento del gas e, poi, fare un ragionamento sul sistema dei mercati tutelati per valutare se il sistema attuale di approvvigionamenti, che ha comunque un Acquirente Unico, possa essere spinto a guardare alla fine della maggior tutela nel 2024».  SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 4/2/2022

04 Febbraio 2022

Neri (Algowatt): «La nostra ripartenza con soluzioni sostenibili. Un nuovo piano industriale entro marzo»

Il presidente e fondatore ne parla a SustainEconomy.24 Una ripartenza e un nuovo piano industriale entro marzo. Stefano Neri, presidente e fondatore di AlgoWatt, la GreenTech company quotata sul mercato Euronext Milan, che unisce al suo interno l'esperienza di due realtà distinte come TerniEnergia e Softeco, racconta a SustainEconomy.24, la trasformazione del gruppo, attivo ora nella progettazione, sviluppo e integrazione di soluzioni per la gestione sostenibile e socialmente responsabile dell'energia e delle risorse naturali. Dal Piano di ristrutturazione, che ha permesso di ridurre l'indebitamento e riporterà il gruppo in utile, alla "felice intuizione" di guardare ai settori innovativi e ricchi di chance. Con AlgoWatt ha scritto un nuovo capitolo: una green tech company che punta all'economia sostenibile. Transizione energetica ed ecologica, trasformazione digitale, progettazione, sviluppo e implementazione di soluzioni per la gestione sostenibile e socialmente responsabile dell'energia, della mobilità e delle risorse. Quale percorso state portando avanti?  «Il nostro percorso procede principalmente sull'esecuzione del Piano di ristrutturazione sottoscritto lo scorso anno ed è la principale missione dal punto di vista societario, perché ci ha consentito di ridurre un indebitamento storicamente attorno ai 66 milioni di euro a 10 milioni, con una riduzione importante di circa 56 milioni di euro. Inoltre, avendo alienato gli asset che ci connotavano più come una utility che come una società destinata allo sviluppo tecnologico e all'automazione, ci troviamo in una sorta di ripartenza. Per questo abbiamo scelto di focalizzare la digitalizzazione e l'automazione soprattutto nei settori ambientale ed energetico che sono quelli che hanno connotato la storia di TerniEnergia». A proposito di transizione energetica ed ecologica, con il Green New Deal e il Pnrr, sono diventati temi di grande attualità. Che tipo di opportunità di crescita ci sono nel mercato cui vi siete affacciati?  «Il turnaround industriale della TerniEnergia, passato anche in parte con l'acquisizione della storica Softeco di Genova, è stata un'intuizione che risale oramai a 5-6 anni fa e le misure che ha richiamato sono la conferma della bontà di quell'intuizione, nel senso che oggi le attività che Algowatt svolge sono perfettamente riflesse nei goal che, sia a livello nazionale sia a livello sovranazionale, vengono individuati dalle istituzioni. Questo significa che, strategicamente, c'è stata una lungimiranza rara e forse anche un po' di fortuna. In concreto credo che non abbiamo mai avuto un bouquet di misure di sostegno a questi settori innovativi come in questo momento. Per Algowatt, questo passa attraverso la digitalizzazione e la creazione di algoritmi da inserire nella gestione ambientale e dell'economia circolare in generale, dove abbiamo una storia importante, e, sotto il profilo della transizione energetica, significa dotare le reti, in particolare quelle elettriche, di ulteriori misure di sicurezza e di intelligenza, soprattutto per adeguarle a quelle che sono le necessità di una pluralità di fonti di produzione prima inesistenti, che mettono a dura prova l'attuale assetto delle reti. In questo rientra anche tutto il tema delle comunità energetiche che è di grande attualità. Quindi possiamo dire che il nostro piano si fonda sulle chance che sono offerte dal contesto normativo di questi anni». State portando avanti il piano di risanamento e lei ha scritto di recente agli azionisti anticipando anche il ritorno all'utile. Cosa vede nel 2022? «La società si è dotata di un nuovo management di altissimo profilo, a testimoniare che si è superata la fase della ristrutturazione e si è passati nella fase di execution del Piano. Il nuovo management sicuramente andrà alla definizione e alla pubblicazione di un nuovo piano industriale per il prossimo triennio e credo che questo avverrà entro il prossimo mese di marzo».  SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 4/2/2022

04 Febbraio 2022

Eni Rewind: «Dalle bonifiche impianti rinnovabili e una nuova vita ai rifiuti. Investiamo 5 miliardi»

Tre quarti dei progetti completati tra il 2025 e il 2030 e il 90% dei suoli decontaminati al 2030, assicura l'ad Paolo Grossi che vede più tecnologie, più mercato e più partnership Una storia iniziata nel 2003, quando Enichem conferisce le attività produttive a Polimeri Europa (oggi Versalis) e viene ridenominata Syndial, per gestire la bonifica dei siti ex industriali e la gestione delle acque e dei rifiuti, attraverso l'economia circolare. E che ha portato Eni Rewind – questo il nuovo nome scelto nel 2019 per accompagnare la crescita della società in linea con la sostenibilità e l'apertura al mercato– ad essere global contractor di Eni in Italia e all'estero.  Con 3.800 ettari e obiettivi ambiziosi per dare nuova vita alle aree bonificate, dagli impianti rinnovabili al riciclo dei rifiuti. Tre quarti dei progetti saranno completati e il 90% dei suoli decontaminati al 2030. Con una manovra finanziaria importante che cuba 5 miliardi entro i prossimi 10 anni, con 3 miliardi già spesi. Come racconta Paolo Grossi, l'amministratore delegato di Eni Rewind, che a SustainEconomy.24, report di Il Sole 24 Ore Radiocor, traccia i risultati raggiunti da Marghera a Porto Torres a Ravenna e gli obiettivi futuri: più tecnologie, più mercato, più partnership e dialogo con gli stakeholder. Alla base del lavoro di Eni Rewind ci sono i principi dell'economia circolare per valorizzare i terreni industriali, le acque e i rifiuti attraverso progetti di bonifica. Parliamo di progetti importanti da Marghera a Ravenna. A che punto siete e quali i prossimi obiettivi? «All'interno del perimetro della società abbiamo 3.800 ettari tutti di proprietà e una ventina di siti importanti che in passato ospitavano grandi poli petrolchimici. Di questi 3.800 ettari, circa il 40% - quindi 1.600 ettari - è oggetto di progetti di bonifica in corso, in gran parte decretati e autorizzati negli ultimi 5-10 anni e la buona notizia è che, tra il 2025 e il 2030, i 3/4 dei progetti in corso saranno completati. E non solo, contiamo di avere, al 2030, il 90% delle aree libere e decontaminate come suolo e riutilizzabili per varie opzioni di valorizzazione. Il restante 10%, circa 400 ettari, è interessato da progetti, in fase di implementazione e che richiedono qualche anno in più, ma contiamo al 2040 di aver esaurito tutte le bonifiche dei suoli. Il trattamento delle acque di falda, invece, richiede più tempo e proseguirà per altri 10-15 anni. Nel frattempo, comunque, il completamento degli interventi sui suoli permette di poter riutilizzare le aree e poter avviare altre attività. E proprio per questo, negli ultimi anni, abbiamo adottato un approccio dei progetti di bonifica ‘per lotti' in modo da non dover aspettare la conclusione di tutti gli interventi per iniziare a utilizzare le aree risanate». Che tipo di utilizzo offrono le aree bonificate? «Abbiamo destinato queste aree, con i colleghi di Eni gas e luce (ridenominata Plenitude), per costruire importanti impianti fotovoltaici e in futuro anche eolici, a Porto Torres e Ravenna che, parzialmente, contribuiscono allo sforzo di costruire il portafoglio di energia rinnovabile del Paese. Abbiamo identificato attualmente circa 600 ettari ma contiamo di poterli portare a 1.000 ettari, vale a dire il 25% delle nostre aree. Gli altri due principali utilizzi delle aree bonificate si traducono nella realizzazione degli impianti di trattamento di acqua e di rifiuti, industriali e, più di recente anche urbani. E, infine, terzo filone, mettiamo sempre a disposizione le nostre aree anche per terzi, siglando protocolli con Confindustria o con gli stakeholder locali, per promuovere nuove iniziative di sviluppo che possono beneficiare di aree di grande estensione, con pontili per ricevere e spedire via mare in prossimità ai grandi snodi ferroviari e autostradali».  A proposito dello sviluppo di impianti industriali per la trasformazione della frazione organica dei rifiuti urbani, che opportunità possono derivare?  «Il riciclo dei rifiuti, sia urbani che speciali, oltre a essere una necessità è un obbligo perché l'Europa ha assunto l'impegno, entro il 2035, di ridurre sotto il 10% la quota di rifiuti che viene smaltita in discarica e di aumentare oltre il 65% la quota di rifiuti che, invece, viene riciclata e, quindi, utilizzata come nuova materia seconda. Che va vista come un'opportunità perché - essendo l'Italia comunque carente e importatrice di queste materie - se, anche parzialmente, riusciamo a produrre bio-olio, biogas o bioplastiche riciclando rifiuti e materiali di scarto, ne avremo un beneficio non solo importante in termini ambientali, ma, prospetticamente, anche in termini economici. Noi stiamo approcciando questa sfida con l'impegno Eni di introdurre, oltre alla disponibilità degli asset, anche tecnologie innovative proprietarie, sviluppate nei nostri laboratori o in partnership con le università e anche con il mondo delle startup. Come Eni Rewind, stiamo lavorando dal 2018 alla nuova tecnologia ‘Waste to Fuel' per la trasformazione dei rifiuti organici, che ha il vantaggio di recuperare acqua riutilizzabile per usi industriali e produrre un bio-olio che può essere utilizzato come carburante per le navi piuttosto che come materia alternativa al petrolio in raffineria, per produrre bio-diesel. Una tecnologia che evita, inoltre, la produzione di compost che oggi tende a essere in eccesso e ha una serie di potenziali criticità nell'utilizzo in agricoltura. Un caso emblematico è Ravenna dove abbiamo completato la bonifica in un'area di circa 26 ettari e per metà abbiamo utilizzato quest'area per un parco fotovoltaico, peraltro con uno storage lab in fase di costruzione, e sull'altra metà andremo a realizzare un impianto per bio-pile e accanto stiamo realizzando una piattaforma polifunzionale per rifiuti industriali in jv con Hera». Che tipo di impegno finanziario richiede questo percorso in termini di investimenti? «Questi interventi, fino ad oggi, parlando di quelli all'interno delle proprietà Eni Rewind, hanno comportato una spesa di tre miliardi di euro e gli interventi che andremo a completare sostanzialmente nell'arco dei prossimi 10 anni cubano ulteriori due miliardi di euro. Complessivamente è una manovra molto importante di oltre 5 miliardi. Riagganciandoci alla storia della nostra società c'è da sottolineare che più dell'80% di questi interventi, sia quelli già spesi che quelli futuri, sono relativi a ex poli petrolchimici in cui operiamo come ‘proprietari incolpevoli', avendo ereditato aree, negli anni '70-80, che, quando erano in esercizio erano di proprietà e in gestione del gruppo Rovelli o Montedison». Cosa vede nel futuro di Eni Rewind, in Italia, all'estero e in attività di servizio a società terze? «In prospettiva vediamo più tecnologie, più mercato (sia estero che in Italia che per terzi), più partnership e stakeholder engagment. Più tecnologia perché indubbiamente, crediamo, come Eni, di poter dare un valore aggiunto con la nostra ricerca e il know how industriale guardando non solo ai rifiuti correnti ma, in prospettiva, al riciclo dei pannelli solari o delle batterie. Più mercato perché attualmente, seppure abbiamo iniziato a operare per terzi, oltre il 90% della nostra attività è ancora rivolta ai business Eni. Anche la quota estera attualmente è limitata a 3-4 Paesi e vorremmo crescere soprattutto in Africa e in Medio Oriente dove la presenza storica di Eni ci fa conoscere dagli stakeholder industriali e istituzionali. Quanto all'apertura del servizio a terzi, mai come oggi credo che la riconversione e la bonifica siano elementi di interesse per tanti gruppi e noi vogliamo affiancarli e cercare di proporre nuove soluzioni. Più partnership, perché per lo specifico core business in cui operiamo, è essenziale costituire alleanze industriali strategiche e collaborazioni con le principali università e centri di ricerca. Essere una grande impresa internazionale ci consente, e al tempo stesso ci obbliga, a mettere in campo le best available technology a livello mondiale. La partnership e il dialogo saranno poi sempre più importanti, nell'ottica del riciclo, anche coi grandi produttori industriali. Quando parliamo di batterie o di pannelli fotovoltaici se il prodotto è pensato e progettato anche nella scelta di materiali, pensando di massimizzarne il recupero si può fare la differenza e minimizzare il costo del riciclo. Il tutto poi con l'attenzione costante al confronto e una politica di ‘porte aperte' invitando tutte le comunità oltre che rappresentanti di stakeholder a visitare i nostri siti». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 4/2/2022

04 Febbraio 2022

Carrère (Suez): «Con l’economia circolare e digitale aiutiamo l’Italia a stare al passo con l’Ue»

«Aspettiamo il decreto biometano, è una soluzione contro il caro-prezzi» dice a SustainEconomy.24 la Presidente e Ceo di Suez Italia che parla anche del progetto di contatori intelligenti con Acea Suez ha un obiettivo ambizioso sulla sostenibilità a livello di Gruppo e, in Italia, accanto alle due attività ‘core' (di gestore dei servizi idrici integrati e di progettazione e realizzazione di impianti di potabilizzazione e depurazione) sta lavorando, in particolare, alla digitalizzazione delle reti, ai contatori intelligenti, alla produzione di biometano da rifiuti e a soluzioni innovative per la qualità dell'aria. Il Gruppo francese, secondo in Europa per il trattamento di acque e rifiuti, vuole sostenere l'Italia affinché possa stare al passo con l'Europa, complici anche le risorse e le ambizioni del Pnrr. Tutto ciò tenendo in considerazione l'importanza di accelerare le tempistiche di ottenimento degli iter autorizzativi e di contare su più operatori industriali dell'acqua al Sud, come spiega Aurélia Carrère, presidente e ceo di Suez Italia, a SustainEconomy.24, report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School. Carrère parla anche del modello "che funziona" delle partnership con i clienti locali e con aziende come Acea, di cui Suez è azionista al 23,3%. L'impegno per lo sviluppo sostenibile e per l'economia circolare è un pilastro per il Gruppo Suez che opera lungo tutta la catena del valore nei settori dell'acqua, della gestione dei rifiuti e dell'aria. Come si concretizza questo impegno? E quali i risultati? «Il Gruppo ha un ulteriore obiettivo molto ambizioso sulle emissioni di Co2, in conformità con gli accordi di Parigi e i target di 1,5° di riscaldamento all'orizzonte 2100 e validato da SBTi (Science Based Target initiative). Il Gruppo ha, inoltre, una proposta di valore per i propri clienti che si basa su 5 pilastri: l'impatto positivo sul clima, l'attenzione alla salute e qualità della vita, l'impatto positivo sul capitale naturale e la preservazione della biodiversità, la circolarità di tutte le nostre attività e soluzioni e infine , molto importante, la fiducia consolidata con i clienti locali, perché vi sono dei servizi che non è possibile delocalizzare». Parliamo dell'Italia dove Suez è presente con progetti e investimenti per sostenere la transizione ecologica e ambientale. Che ruolo avete e intendete avere in Italia? «Siamo in Italia da 60 anni e siamo state tra le prime aziende private che hanno partecipato alla nascita delle Concessioni sui servizi integrati dell'acqua in Toscana. Da più di 20 anni, partecipiamo alle Concessioni in società miste ad Arezzo, Firenze e Siena dove siamo in partnership con Acea e i comuni. A questa nostra attività di gestori del servizio idrico, si aggiunge il business infrastrutturale sulla progettazione e realizzazione di impianti di potabilizzazione e depurazione: in tutto abbiamo costruito 700 impianti municipali e industriali. In parallelo a queste due attività ‘core business', stiamo applicando il nostro know how in Italia in nuovi mestieri: nell'acqua, accompagnando la digitalizzazione per l'efficientamento della gestione di reti e impianti e nell'energia rinnovabile, con la produzione di biometano da rifiuti e da fanghi di depurazione e soluzioni per il monitoraggio della qualità dell'aria e degli odori». Le ambizioni del Pnrr e l'attenzione crescente a queste tematiche nel nostro Paese quanto possono favorire e sostenere il percorso di Suez? «Per quanto riguarda lo sviluppo delle nostre attività in Italia il Pnrr è veramente un elemento chiave che può permetterci di stare al passo con l'Europa. Mi rendo conto che ripeto spesso questo concetto ma, per fare un esempio, nel settore idrico, l'Italia investe la metà della media europea e sono state riscontrate delle disparità fra il Nord Italia e il Mezzogiorno. Il Pnrr mette a disposizione quasi 4 miliardi per la depurazione, l'infrastruttura idrica primaria, e la digitalizzazione; quasi 2 miliardi per il biometano e 1,5 miliardi per i rifiuti. I fondi sono e saranno disponibili e alcuni progetti di investimento sono già stati approvati. Ci sono però alcuni punti a cui bisogna fare attenzione: innanzitutto gli iter autorizzativi, che nel Paese, in passato, richiedevano tempi lunghi, e vanno ora snelliti. Questo perchè l'Unione Europea ha richiesto che tutti gli investimenti siano completati entro il 2026. Un altro punto a cui guardiamo con attenzione è il decreto sulle condizioni di sostegno al biometano. Questo decreto, che attendiamo nelle prossime settimane, è molto importante perché, in questa fase, con i prezzi dell'energia che si stanno impennando, sia per le aziende che per le famiglie, è importante avere un'indipendenza energetica e quindi disporre del biogas locale prodotto dai fanghi o dai rifiuti che permette di avere maggiori margini di manovra. L'ultimo punto da sviluppare, per assicurare che con il Pnrr si raggiungano i migliori risultati, è disporre di una rete di operatori idrici nel Mezzogiorno più forte perché adesso, dove non ci sono operatori industriali dell'acqua, c'è il rischio di non avere accesso ai fondi del Pnrr per realizzare queste infrastrutture». Siete presenti nel Paese in partnership con le municipalizzate e con aziende italiane, come nel caso di Acea, di cui siete azionisti. È un modello che funziona? «La partnership con entità pubbliche, è un modello che funziona molto bene perché integra i bisogni della collettività, dal momento che noi ci occupiamo del servizio pubblico e abbiamo bisogno di rispondere a fondo alle problematiche del territorio dove interveniamo. A questo va aggiunto che, appartenendo a un gruppo di livello internazionale, questo ci permette di disporre e di proporre tutte le innovazioni tecnologiche che abbiamo già sperimentato in altri Paesi. Un esempio recente è la partnership con la regione Campania con cui abbiamo realizzato i progetti di modernizzazione degli impianti di depurazione delle acque di Cuma e Napoli Nord, i maggiori in Europa e questo, a dimostrazione che possiamo fare cose concrete insieme». State lavorando anche con Acea alla progettazione di contatori intelligenti per l'idrico. E' qualcosa che avete già fatto in altri Paesi? Ce ne parla?  «Stiamo lavorando con Acea per i contatori intelligenti. L'Italia è molto in ritardo rispetto ad altri Paesi d'Europa. In Francia abbiamo già 9 milioni di contatori intelligenti installati, in Spagna più di 3 milioni e in Italia solo 500 mila, per questo dobbiamo accelerare per implementarli. Questi contatori permettono due cose: innanzitutto, agevolano le persone al controllo del consumo dell'acqua, al controllo della fattura e a preservare le risorse; in secondo luogo la digitalizzazione della rete e il monitoraggio consentono di velocizzare la ricerca delle fughe d'acqua, un tema importante in Italia dove abbiamo circa il 40% di perdite nella rete. Credo che la partnership con Acea sia molto interessante perché conoscono il mercato, le funzionalità dei contatori da installare e le aspettative dei residenti. Per questo insieme proporremo, quindi, le ultime tecnologie di comunicazione». In questo percorso quanto può aiutare la digitalizzazione? «La digitalizzazione, per noi, non è solo uno strumento ma fa parte integrante dei nostri processi. Nel mestiere dell'acqua, il vantaggio della digitalizzazione è a esempio quello di poter lavorare in tempo reale: per allertare su episodi di crisi (alluvioni, fughe d'acqua, etc.), per permettere di valutare velocemente il fenomeno e dimensionare il livello di risposta o per capire se si è veramente risolto il problema».  SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 4/2/2022

21 Gennaio 2022

“Decarbonizzare è la più grande occasione di investimenti”

“Ci concentriamo sulla sostenibilità non perché siamo ambientalisti, ma perché siamo capitalisti e siamo legati da un rapporto di fiducia con i nostri clienti”. Larry Fink, amministratore delegato di BlackRock, la più grande società di investimento del mondo, che pochi giorni fa ha annunciato di aver superato i 10mila miliardi di dollari in gestione, si sofferma sul tema della sostenibilità nella sua ormai consueta lettera aperta di inizio anno agli amministratori delegati delle aziende in cui investe in tutto il mondo.  Perché “ogni azienda e ogni settore saranno trasformati dalla transizione verso un mondo a zero emissioni” e “la decarbonizzazione dell'economia globale creerà la più grande opportunità di investimento della nostra vita”. E’ una lunga lettera che parte da una premessa. “Nel mondo odierno globalmente interconnesso, un'azienda deve creare valore ed essere apprezzata dall'intera gamma di stakeholder al fine di fornire valore a lungo termine per i propri azionisti. È attraverso un efficace capitalismo degli stakeholder che il capitale viene allocato in modo efficiente, le aziende ottengono livelli di redditività duratura e il valore viene creato e mantenuto nel lungo termine. Ma non dobbiamo farci ingannare: la giusta ricerca del profitto è ancora ciò che anima i mercati e la redditività a lungo termine è la misura con cui i mercati determineranno in definitiva il successo della tua azienda” premette Fink.   Ma complice un mondo che cambia, con la transizione e la pandemia, “alla base del capitalismo c'è il processo di reinvenzione costante: il modo in cui le aziende devono evolversi continuamente mentre il mondo intorno a loro cambia o rischiano di essere sostituite da nuovi concorrenti”. E qui l’accelerazione sulla transizione su cui, rivolto ai ceo, non usa mezzi termini. “Poche cose influenzeranno le decisioni di allocazione del capitale – e quindi il valore a lungo termine della tua azienda – più dell'efficacia con cui affronterai la transizione energetica globale negli anni a venire” avverte. “Sono passati due anni da quando ho scritto che il rischio climatico è un rischio di investimento. E in quel breve periodo abbiamo assistito a uno spostamento ‘tettonico’ del capitale. Gli investimenti sostenibili hanno ora raggiunto i 4 trilioni di dollari.  Anche le azioni e le ambizioni verso la decarbonizzazione sono aumentate. Questo è solo l'inizio: lo spostamento verso gli investimenti sostenibili sta ancora accelerando. Che si tratti di capitale destinato a nuove iniziative incentrate sull'innovazione energetica o di trasferimento di capitale dagli indici tradizionali a portafogli e prodotti più personalizzati, vedremo più soldi in movimento. Ogni azienda e ogni settore saranno trasformati dalla transizione verso un mondo a zero emissioni. La domanda è: sarai tu a guidare o ti farai guidare?” chiede. Perchè “ogni settore sarà trasformato da una nuova tecnologia sostenibile” e “credo che la decarbonizzazione dell'economia globale creerà la più grande opportunità di investimento della nostra vita” ma allo stesso tempo “lascerà indietro le aziende che non si adattano, indipendentemente dal settore in cui si trovano”.  La decarbonizzazione dell'economia “sarà accompagnata da un'enorme creazione di posti di lavoro” e “i prossimi 1.000 unicorni non saranno motori di ricerca o società di social media ma saranno innovatori sostenibili e scalabili: startup che aiutano il mondo a decarbonizzare e rendere la transizione energetica alla portata di tutti i consumatori” prevede Larry Fink.    “Ci concentriamo sulla sostenibilità non perché siamo ambientalisti, ma perché siamo capitalisti e siamo legati da un rapporto di fiducia con i nostri clienti” afferma. Certo, osserva, la trasformazione non sarà dall’oggi al domani e quindi non si dovrà tradurre in un disinvestimento totale, rimarcando l’impegno di Blackrock e l’invito ad aziende e governi.  “La transizione verso le emissioni zero è irregolare e diverse parti dell'economia globale si muovono a velocità differenti. Non accadrà dall'oggi al domani. Dovremo passare dalle sfumature del marrone alle sfumature del verde. Ad esempio, per garantire la continuità di forniture energetiche a prezzi accessibili durante la transizione, i combustibili fossili tradizionali come il gas naturale svolgeranno un ruolo importante sia per la produzione di energia e riscaldamento in alcune regioni, sia per la produzione di idrogeno. Il ritmo del cambiamento sarà molto diverso nei paesi in via di sviluppo e nei paesi sviluppati. Ma tutti i mercati richiederanno investimenti senza precedenti nella tecnologia di decarbonizzazione. Mentre perseguiamo questi obiettivi ambiziosi - che richiederanno tempo - i governi e le aziende devono garantire che le persone continuino ad avere accesso a fonti energetiche affidabili e convenienti. Questo è l'unico modo per creare un'economia verde che sia equa e giusta ed evitare le disuguaglianze sociali”. E se invita le aziende a “fissare obiettivi a breve, medio e lungo termine per la riduzione dei gas serra” perché “il capitalismo ha il potere di plasmare la società e agire come un potente catalizzatore per il cambiamento”, allo stesso tempo spiega che “le aziende non possono farlo da sole e non possono essere la polizia climatica”. “Abbiamo bisogno che i governi forniscano percorsi chiari e una tassonomia coerente per la politica di sostenibilità, la regolamentazione e la divulgazione in tutti i mercati. Devono inoltre sostenere le comunità colpite dalla transizione, contribuire a catalizzare capitali per i mercati emergenti e investire nell'innovazione e nella tecnologia che saranno essenziali per decarbonizzare l'economia globale”. Così come “è stata la partnership tra governo e settore privato che ha portato allo sviluppo di vaccini anti Covid-19 in tempi record” osserva, “quando sfruttiamo il potere sia del settore pubblico che di quello privato, possiamo ottenere risultati davvero incredibili. Questo è ciò che dobbiamo fare per arrivare alle emissioni zero”. In questo scenario, “disinvestire da interi settori – o semplicemente trasferire asset ad alta intensità di carbonio dai mercati pubblici ai mercati privati ​​– non porterà il mondo a emissioni zero. E BlackRock non persegue il disinvestimento dalle compagnie petrolifere e del gas come politica. Riteniamo che le società che guidano la transizione rappresentino un'opportunità di investimento vitale per i nostri clienti”. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 21/1/2022

21 Gennaio 2022

Assogestioni: «Per 3 italiani su 4 la svolta green passa dagli investimenti ma serve informazione»

L'aggiornamento dell'Osservatorio Assogestioni-Censis dimostra che gli italiani vedono nella sostenibilità un'occasione per mobilitare i risparmi ma non sono disposti a pagare direttamente i prezzi della transizione green e chiedono informazioni più mirate Gli italiani riconoscono la sostenibilità come una spinta per il futuro, una frontiera da seguire e una grande occasione per mobilitare i propri risparmi. Il cambiamento climatico, però, li spaventa e sulla questione sostenibilità chiedono una consulenza più mirata. Due cose, però, le hanno ben chiare: non sono disposti a pagare direttamente il prezzo della transizione green e sono convinti che il mondo finanziario possa essere protagonista della svolta sostenibile. Emerge dall'aggiornamento dell'Osservatorio Assogestioni-Censis sulla sostenibilità analizzato da SustainEconomy.24. Secondo l'indagine, il 79,9% degli italiani ha, quindi, paura del cambiamento climatico, in particolare dell'aumento sopra 1,5 gradi della temperatura della Terra. Una percentuale che arriva all'83,8% nel Nord-Est e all'82,7% tra le donne. Nonostante i timori, però, il 73,9% degli italiani afferma che, se per bloccare il riscaldamento globale e non inquinare si ricorrerà a soluzioni che faranno aumentare i prezzi di energia, beni e servizi, allora bisognerà cercare altre strade. Lo pensa il 69,5% di chi risiede nel Nord-Ovest, il 73,9% nel Nord-Est, il 79,4% nel Centro e il 74,1% al Sud. Se i combustili fossili vanno limitati, tuttavia non piacciono le alternative che generano un'inflazione a trazione ‘green'. Del resto, il 44% degli italiani è contrario a pratiche all'insegna della sostenibilità che determinino ulteriori iniquità sociali. Il 74,6% degli italiani ritiene poi che ci sia troppa confusione sui temi del riscaldamento globale e della sostenibilità. Se ne parla tanto, ma la moltiplicazione delle informazioni non aiuta a capire. Lo pensa il 72,1% dei residenti nel Nord-Ovest, il 75,7% nel Nord-Est, il 77,2% nel Centro e il 74,5% al Sud. Solo il 26,2% afferma di sapere precisamente cosa si intende per sostenibilità, il 60,8% ne ha una conoscenza per grandi linee e comunque non sarebbe in grado di spiegarlo ad altre persone. Allora come conciliare la paura per il riscaldamento globale con il rischio di inflazione indotta dalle politiche green?  Per gli italiani la soluzione passa anche per la finanza, anzi per 3 italiani su 4. Secondo il 76,6%, infatti, la finanza giocherà un ruolo importante e saranno cruciali gli investimenti Esg. Tuttavia, pur riconoscendone l'importanza, ancora il 64,4% degli italiani dice di saperne poco o niente. Il 63,4% ne ha solo sentito parlare. Secondo Assogestioni orientare una parte dei 1.600 miliardi di euro delle famiglie giacenti sui conti correnti (+5% rispetto allo scorso anno) verso l'acquisto di prodotti finanziari Esg sarebbe un boost per la transizione ecologica, Ma perché ciò avvenga, per l'84,6% degli italiani occorrono chiarezza e semplicità delle informazioni. E il 72,5% individua nella consulenza finanziaria un attore positivo, che potrebbe promuovere la finanza sostenibile.  SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 21/1/2022

21 Gennaio 2022

Un rating Esg per misurare la sostenibilità del risparmio gestito

L'ad di Fida, azienda italiana attiva nella raccolta e redistribuzione dei dati del risparmio gestito, Gianni Costan, parla del primo giudizio di sostenibilità italiano del settore C'è un sempre maggiore riposizionamento verso le tematiche Esg da parte di gestori di fondi e un'attenzione a sondare le preferenze degli investitori a queste tematiche nella valutazione dei portafogli. Partendo da questo scenario Fida, azienda italiana leader nella raccolta e redistribuzione dei dati del risparmio gestito, ha lanciato ‘Fida Esg Rating', il primo giudizio di sostenibilità a livello italiano del settore. Per soddisfare, come racconta l'amministratore delegato Gianni Costan a SustainEconomy.24, report di Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School, le richieste crescenti di trasparenza offrendo agli asset manager opportunità di riconoscimento della propria attività ed agli investitori strumenti di ricerca e selezione. Le tematiche Esg ormai hanno un ruolo di primo piano negli strumenti finanziari. Dal vostro punto di osservazione qual è lo scenario italiano? «Dal nostro osservatorio volto prevalentemente verso gestori di fondi comuni ed etf, distributori e consulenti, stiamo rilevando, soprattutto negli ultimi mesi, un'attività intensa di riposizionamento e adeguamento delle procedure a tali tematiche come richiesto dal mercato, imposto dalle normative e condiviso dagli operatori. Nell'ambito della raccolta di informazioni che abbiamo realizzato presso le società di gestione dei fondi ed etf finalizzata al nostro rating Esg, abbiamo riscontrato un interesse ed una risposta che ha superato le aspettative. Negli ultimi mesi si è intensificata l'interlocuzione dandoci la possibilità di realizzare ulteriori approfondimenti e poter accrescere l'informazione al mercato. Vediamo quindi un'attenzione specifica anche alla comunicazione delle attività svolte dagli operatori. La distribuzione, in campo finanziario ma anche assicurativo, ove non lo ha già fatto, si sta organizzando per rilevare le preferenze degli investitori sul tema della sostenibilità nel processo di profilazione e nella valutazione dei portafogli per i controlli di adeguatezza. Da questo punto di vista le metodologie sono ancora in fieri, in coerenza con l'evoluzione in corso della normativa ed in particolare dei relativi dettagli tecnici. Allo stato riteniamo che quindi la maturazione debba ancora avvenire, ma è un fatto certamente fisiologico». Avete lanciato il primo rating del risparmio gestito nel campo della sostenibilità a livello italiano. Ci parla dello strumento e delle finalità? «La tematica del green-washing ed in generale la molteplicità delle fonti di valutazione a volte contraddittorie ci ha spinto a pensare ad una metodologia proprietaria composita che incrociasse diversi elementi al fine di aumentare la robustezza e la coerenza dei risultati. A fianco della tradizionale e classica analisi di sostenibilità del contenuto dei portafogli abbiamo pertanto deciso di realizzare una due diligence delle politiche in ottica Esg implementate nelle società di gestione, volta a verificarne la Csr (Corporate Social Responsability), le procedure organizzative e la struttura della gamma prodotti. Tramite una specifica survey periodica sono raccolte informazioni quali-quantitative direttamente dalle società di gestione e asset manager per comprendere l'approccio alle tematiche Esg in maniera completa anche a prescindere dalle scelte specifiche di investimento e comunque proiettate al medio periodo. I dati raccolti contribuiscono a definire il grado di sostenibilità previsto dal processo di investimento delle società di gestione e quello dei prodotti, ottenuto combinando le analisi del contenuto dei portafogli dei fondi ed etf tramite un modello proprietario e la classificazione da regolamento Sfdr (Sustainable Finance Disclosure Regulation). Fida intende così soddisfare le richieste crescenti di trasparenza dei propri utenti offrendo agli asset manager opportunità di riconoscimento della propria attività ed agli investitori strumenti efficaci di ricerca e selezione». Di fronte al diffondersi di tanti prodotti targati Esg ci possono essere rischi? La normativa dovrebbe aiutare di più? «La normativa, come in altri casi, è un driver fondamentale e sta svolgendo una funzione di forte accelerazione. Come in tutte le fasi di transizione le prassi non sono ancora consolidate, i requisiti di conformità non ancora del tutto definiti e pertanto il comportamento degli operatori non è omogeneo. Pensiamo però che la strada intrapresa sia tutt'altro che generica e rileviamo come man mano che le prescrizioni diventano più cogenti (requisiti tecnici della Sfdr, la tassonomia, l'integrazione della Mifid2 e quindi i riferimenti alle preferenze sul tema da parte degli investitori finali) la normativa diventa più efficace anche nel rendere il quadro più omogeneo e agevole la comprensione delle caratteristiche dei prodotti. Le innovazioni richieste, oltre che importanti, sono particolarmente impegnative anche dal punto di vista organizzativo, pertanto riteniamo corretto lasciare al settore il tempo necessario per adeguarsi. Anche Fida adotta dei criteri di prudenza in tal senso prima di emettere il proprio rating». Che scenario vedete per il nuovo anno? «Questo sarà l'anno in cui dalle disquisizioni di tipo teorico, le analisi, e la prima fase, in buona parte commerciale, di adeguamento dell'offerta alla sostenibilità, si passerà alle modifiche più strutturali in modo diffuso. Sta accadendo tra i produttori con rilevanti innovazioni di gamma e mutamenti nelle strategie di gestione, così come nell'ambito della distribuzione con le modifiche nei processi di profilazione ed adeguatezza. Anche la domanda, pur immatura, sta conoscendo una crescente presa di coscienza della tematica ed interesse sempre più specifico. La sostenibilità può significare per l'investitore un modo per proteggersi da un rischio finora sottovalutato così come un buon proposito sul quale investire. Forse su questa distinzione le analisi sono state ancora limitate. Così come quelle sui costi aggiuntivi che la ricerca della sostenibilità implica, per ora non ancora considerati esplicitamente quale elemento di trade off. E' su questi aspetti che con la disponibilità di classificazioni sempre più omogenee, società indipendenti come Fida potranno svolgere il proprio ruolo informativo e formativo». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 21/1/2022

21 Gennaio 2022

Corsello (AllianzGI): «Sostenibilità è driver per azioni e reddito fisso. Sempre più presente nei portafogli italiani»

ll Country Head Italy della società parla a SustainEconomy.24 anche del nuovo anno, ancora volatile, e conferma la preferenza per le azioni rispetto alle obbligazioni Gli ultimi 10 anni hanno dimostrato come, con ogni crisi, la sostenibilità diventa una tendenza più forte, agendo come elemento stabilizzante e generando ritorni più elevati per gli investitori. Enzo Corsello, Country Head Italy di Allianz Global Investors, una delle principali società di gestione attiva a livello mondiale, che gestisce fondi sostenibili dal 1999, registra come i fattori Esg e i temi della sostenibilità stiano acquisendo uno spazio sempre più rilevante nei portafogli degli investitori italiani, sia istituzionali che retail. E, in un'intervista a SustainEconomy.24, report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School, vede la sostenibilità come un elemento destinato a offrire un driver di performance addizionale sia alle azioni che al reddito fisso, e da considerare, quindi, come discriminante imprescindibile nella costruzione del portafoglio. E per il nuovo anno, ancora volatile, conferma la preferenza per le azioni rispetto alle obbligazioni. Allianz Global Investors gestisce un'ampia gamma di fondi di investimento sostenibili. Perché scegliere di investire sostenibile? E come conciliate le scelte strategiche con la sostenibilità? «AllianzGI gestisce fondi sostenibili dal 1999, in tutte le asset class e affrontando i temi chiave che abbracciano il futuro del nostro pianeta, sia dal punto di vista ambientale che sociale. L'investimento sostenibile è diventato ancora più cruciale nel mondo post-pandemia e Cop26 ha evidenziato quanto il settore privato possa contribuire a gran parte del lavoro divenuto ormai impellente e necessario. Gli ultimi dieci anni hanno inoltre dimostrato che, con ogni crisi, la sostenibilità diventa una tendenza più forte, agendo come un elemento stabilizzante che contribuisce a offrire più resilienza nel sistema economico e a generare ritorni più elevati per l'investitore rispetto a un investimento non sostenibile. E' dunque inevitabile che le nostre scelte strategiche integrino l'analisi dei fattori Esg, sia come strumento fondamentale nel calcolo del rischio nelle gestioni dei nostri prodotti, che come driver di un impatto reale positivo sull'ambiente e sulle performance».Come gli investitori possono generare un impatto positivo attraverso le scelte di portafoglio? «Un chiaro esempio è dato dai fondi che sono allineati agli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite (gli SDGs). Queste strategie aiutano gli investitori ad indirizzare i propri investimenti in ambiti utili ad affrontare importanti questioni di interesse globale: il quadro di riferimento degli SDG consente infatti di investire in modo efficace a favore di ambiente e società traducendosi a sua volta in investimenti tematici, quali ad esempio quelli che riguardano la scarsità delle risorse idriche, la sicurezza alimentare, l'economia circolare, le energie rinnovabili, la salute sostenibile e la transizione energetica». Che tipo di risposta riscontrate nei clienti italiani? «I fattori Esg e i temi della sostenibilità stanno acquisendo uno spazio sempre più rilevante nei portafogli degli investitori italiani, sia istituzionali che retail. Se guardiamo alla clientela istituzionale, le motivazioni principali alla base di tale scelta sono rappresentate dalla coerenza degli investimenti sostenibili con le finalità istituzionali e la possibilità di coniugare l'impatto socio ambientale con un congruo ritorno economico gestendo più efficacemente i rischi finanziari. Anche la clientela retail si sta orientando sempre più verso questo approccio, nonostante diverse ricerche evidenzino come la conoscenza dell'Esg e della stessa sostenibilità sia ancora molto contenuta. Per questo motivo in Allianz Global Investors riteniamo che tra le iniziative più efficaci per far conoscere la finanza sostenibile ci siano quelle di educazione finanziaria, rivolte sia ai professionisti della consulenza finanziaria, con la costruzione di laboratori ad-hoc che affrontano l'argomento in chiave innovativa, sia alla clientela finale, attraverso eventi che coniugano formazione e intrattenimento illustrando come gli investimenti sostenibili possono consentire di allineare gli obiettivi dell'uomo a quelli del pianeta». La pandemia di coronavirus incide sui processi di investimento e sull'approccio degli investitori? «La pandemia ha fortemente caratterizzato il corso dei mercati e le scelte degli investitori dal suo primo manifestarsi fino alla pubblicazione dei primi studi sulla efficacia dei vaccini risalenti al Novembre 2020. In questa prima fase si è registrata una delle correzioni di borsa più rapide e profonde degli indici azionari dell'ultimo secolo, seguita da una progressiva stabilizzazione e risalita delle quotazioni supportata da interventi di politica monetaria e fiscale senza precedenti. Dopo i primi dati che dimostravano l'efficacia dei vaccini lo scenario è radicalmente cambiato e i mercati hanno sempre più marginalizzato il ruolo della pandemia come driver rilevante nel determinare la direzione dei mercati, focalizzandosi maggiormente sulla condotta delle banche centrali e sull'andamento di alcuni variabili chiave come inflazione, tassi di interesse e utili aziendali. Anche l'impatto sulla crescita economica determinato dai lockdown e dalle restrizioni imposte al comportamento degli agenti economici a fronte delle ondate successive della pandemia è sempre stato interpretato dagli investitori come temporaneo, con le assunzioni di crescita economica che venivano semplicemente traslate in avanti e invece di essere definitivamente cancellate. Di conseguenza l'impatto delle restrizioni per il contenimento della pandemia sui livelli degli indici azionari è risultato ridotto e contenuto». Si è appena aperto un nuovo anno ma restano le incognite legate alla pandemia e anche volatilità e alti prezzi. Come preparate i portafogli di investimento? «Ci aspettiamo un anno difficile per i mercati finanziari connotato dal rallentamento della crescita economica, dalla riduzione marcata degli stimoli fiscali e monetari, e da una dinamica inflazionistica ancora sostenuta sebbene in decelerazione. Il primo corollario di tale situazione sarà l'aumento della volatilità e la maggiore rilevanza delle valutazioni e dei fondamentali delle società nel processo di investimento. Pur a fronte di tale contesto complicato reiteriamo la nostra preferenza per le azioni rispetto alle obbligazioni e suggeriamo di costruire un portafoglio che abbia una componente azionaria pesata intorno al 55/60% e una componente obbligazionaria al 40/45%. Pensiamo infatti che una crescita degli utili robusta pur in presenza di una probabile contrazione dei multipli dovrebbe permettere ritorni positivi in singola cifra (tra il 5 e il 7%) per gli indici azionari, a fronte di un mercato obbligazionario che dovrebbe offrire ancora un potenziale ritorno nell'intorno di zero. Tuttavia, l'esposizione obbligazionaria risulta rilevante per il suo forte potere di diversificazione e decorrelazione rispetto alle azioni. A fronte di una volatilità che è ragionevole assumere in forte aumento, suggeriamo inoltre di allocare una quota importante del portafoglio (non inferiore al 10/15%) alla liquidità, per beneficiare di un buffer di protezione nelle fasi di ribasso e di uno strumento per ricomprare il mercato a fronte di eventuali, probabili, correzioni dei corsi di borsa, e di considerare l'obbligazionario cinese e l'esposizione al tasso variabile in dollari come fonte di ulteriore di decorrelazione dei portafogli. Consideriamo infine il tema della sostenibilità come un elemento destinato a offrire un driver di performance addizionale sia alle azioni che al reddito fisso e da considerare quindi come discriminante imprescindibile nella costruzione del portafoglio». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 21/1/2022