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23 Dicembre 2021

Msc Crociere: «Il percorso delle navi green è tracciato. Investimenti e visione dal Gnl all’idrogeno»

Leonardo Massa, managing director Italia, parla anche della capacità di gestire l'impatto della pandemia e dei numeri importanti Volontà aziendale, investimenti e visione per il futuro. Sono i tre binari per cui passa il percorso sostenibile di Msc Crociere. Un percorso ormai tracciato per navi sempre più green, dal Gnl nel presente all'idrogeno nel futuro. Leonardo Massa, managing director Italia di Msc, sottolinea anche l'importanza delle sinergie in Italia, dall'accordo con Snam e Fincantieri al lavoro con il Governo per far ripartire il settore durante la pandemia. E a pochi giorni dal nuovo anno, vede ancora un contesto difficile ma con la forza di chi ‘sa gestire' con un milione di ospiti nell'ultimo anno e mezzo. Il Gruppo Msc punta a raggiungere, entro il 2050, l'azzeramento delle emissioni nette delle attività marittime. Quali sono le prossime tappe di questo percorso? «Il tema della sostenibilità è per noi caldissimo perché accompagna e accompagnerà tutta l'industria crocieristica. Per Msc quello per la sostenibilità è un percorso che passa per tre binari: il primo è chiaramente quello della volontà aziendale di intraprendere questa strada che è costosa e impegnativa sotto il profilo economico e  noi abbiamo la fortuna, come azienda familiare pur multinazionale, di avere Gianluigi Aponte, Pierfrancesco Vago e tutto il consiglio di amministrazione che hanno fatto della sostenibilità nelle crociere - e in generale di tutte le attività dell'azienda perché noi siamo il primo gruppo al mondo per il trasporto di contenitori - un chiaro goal, dichiarato e ufficiale; il secondo è quello degli investimenti; la sostenibilità passa inevitabilmente per la strada degli investimenti in tecnologia e in quello che oggi è disponibile sul mercato per abbattere le emissioni; il terzo elemento, più da visione, è quello della ricerca, pensando al futuro, di cosa si può fare per rendere più sostenibile il business. Quindi, in generale, questi tre binari sono i driver della nostra azienda che stiamo percorrendo anche con progetti non strettamente legati alle navi. E cito, come esempio, ‘Ocean Cay', la nostra isola privata ai Caraibi, un progetto visionario che ha permesso di trasformare un ex sito di estrazione di sabbia in un paradiso e un'oasi naturale». Approfondiamo alcuni di questi temi, iniziando dal binario degli investimenti. Avete pianificato un investimento di 3 miliardi di euro per la costruzione di tre navi alimentate a Gnl. Che obiettivi avete per il 2022? «Abbiamo investimenti già in atto con risultati immediati che sono quelli delle navi a gas liquefatto naturale. La prima ci verrà consegnata il prossimo anno, a fine 2022, la Msc World Europa, un prototipo innovativo sia nelle dimensioni che nella progettualità, e poi altre due unità. Abbiamo investimenti già ultimati, per esempio con la versione degli scrubber per abbattere le emissioni nell'ambiente. E, poi, abbiamo investimenti più a medio-lungo termine, e penso all'accordo siglato con Snam e Fincantieri per la realizzazione di un progetto più visionario di navi alimentate a idrogeno. Anche gli investimenti, quindi guardano a passato, presente e futuro: quanto già realizzato come gli scrubber, quanto stiamo realizzando come le navi a Gnl e quanto realizzeremo, come le navi a idrogeno». Quindi le navi saranno sempre più ‘green'? «Il percorso ormai è tracciato. Anche le navi varate nel corso di questo 2021 e ancora prima sono sempre più green perché più la tecnologia si sviluppa, più le aziende che hanno voglia di investire possono ridurre il loro impatto ambientale». Torniamo sull'accordo con Snam e Fincantieri per valutare la realizzazione di navi da crociera alimentate a idrogeno. È l'esempio di sinergie che possono funzionare unendo le forze? «Assolutamente sì, per noi è centrale la sinergia con gli altri gruppi, principalmente italiani, e questo è un esempio di percorso straordinario sulla sostenibilità. A proposito della capacità del Paese di fare sistema, trovo straordinario il lavoro fatto nell'ultimo anno e mezzo con il Governo italiano a 360 gradi perché le crociere sono ripartite, a livello mondiale, in Italia grazie ad un protocollo messo in piedi da Msc ma avallato da Governo e comitato tecnico scientifico che già un anno e mezzo fa, quindi ad agosto 2020, ci ha permesso, per primi al mondo, di ripartire. E sulla base di quel protocollo è ripartita tutta l'industria crocieristica a livello mondiale. È un classico bell'esempio di quando l'Italia si unisce e riesce a diventare una best practice a livello mondiale». La compagnia punta a diventare il secondo brand cruise al mondo entro il 2025. Ora inizia un nuovo anno ma restano le incognite legate alla pandemia. Cosa si aspetta per il prossimo anno? «Mi aspetto un anno comunque di difficoltà in cui, rispetto all'anno precedente, alcune cose tenderanno a migliorare e normalizzarsi ma è sbagliato avere il 2019 come riferimento perché la nostra idea è che con questa situazione pandemica dovremmo conviverci per un tempo abbastanza lungo. Il nostro obiettivo è quello di dimostrare di essere particolarmente bravi nella gestione di questa pandemia. Lo dimostriamo sulla base di quello che abbiamo fatto in quest'ultimo anno e mezzo in cui abbiamo avuto un milione di ospiti che significa 7 milioni di notti alberghiere: cioè abbiamo occupato 7 milioni di stanze e servito 21 milioni di pasti. Con questi numeri ci candidiamo a livello internazionale ad essere una delle più grandi aziende ad aver dimostrato di saper gestire la pandemia. E saperla gestire non vuol dire che il Covid non esiste ma vuol dire monitorare, controllare e quando ci sono casi di positività essere in grado di gestire».  SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 23/12/2021

23 Dicembre 2021

Fs: «I treni sono green, ricostruire l’esperienza di viaggio dal primo all’ultimo miglio»

Ne parla Fabrizio Favara, chief strategy officer del Gruppo Fs Italiane a SustainEconomy.24 La ripartenza passa per soluzioni di trasporto intermodali e integrate che minimizzino l'impatto sull'ambiente. Va ricostruita l'esperienza di viaggio perché il treno, che è il vettore più green, deve essere il mezzo principale ma è necessario abilitare l'intero sistema e promuovere la intermodalità ferro-strada-aereo-mare dal primo all'ultimo miglio. Fabrizio Favara, chief strategy officer del Gruppo Fs Italiane parla a SustainEconomy.24, report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School, dei target del Gruppo e degli investimenti che supereranno i 10 miliardi annui nei prossimi 10 anni. La trasformazione e la ripresa economica del Paese passano verso modelli più sostenibili. La mobilità ferroviaria quale contributo può dare? «La ripartenza proposta dall'Europa, attraverso il Green Deal e la più recente strategia "Fit for 55", ha fissato obiettivi sempre più stringenti per un sistema dei trasporti europeo a zero emissioni con soluzioni intermodali e integrate che minimizzino l'impatto sull'ambiente, come l'infrastruttura ferroviaria che è la più sostenibile. E' significativo un dato del 2019: in Italia la gomma rappresenta il 92% degli spostamenti ed è responsabile di quasi il 94% delle emissioni complessive dei trasporti, mentre la ferrovia, che rappresenta il 6%, produce lo 0,1% di emissioni. Per una transizione ecologica verso una mobilità più green, occorre, pertanto, ricostruire un'esperienza di viaggio che abbia sempre più il treno come mezzo principale. Ma il trasporto ferroviario da solo non basta; è necessario abilitare un sistema perché la vera sfida è culturale. Le politiche di trasporto e i player che lavorano nel settore devono promuovere insieme la sostenibilità nel lungo periodo e accrescere l'intermodalità ferro-strada-aereo-mare, in cui l'infrastruttura ferroviaria possa accogliere i flussi di traffico che arrivano dalle altre infrastrutture e la strada "intelligente" li distribuisca in modo capillare e sostenibile nel primo e ultimo miglio». Parliamo delle società del Gruppo Fs e degli obiettivi orientati alla mobilità sostenibile. Quali sono i vostri target? «Vogliamo ridurre le emissioni e la dipendenza dai combustibili fossili e aumentare, sostanzialmente, l'utilizzo di fonti rinnovabili, puntando sempre di più sull'economia circolare. Nei cantieri gestiti dal Gruppo  i materiali impiegati provenienti da processi di riciclo sono oltre il 60%. I nostri treni di recente costruzione sono efficienti dal punto di vista energetico, silenziosi e veloci. I Frecciarossa 1000, ad esempio, sono più leggeri dei precedenti (riducono di circa il 5% la massa per posto a sedere), sono costruiti con materiale innovativo riciclabile al 94%, mentre i circa 600 nuovi treni regionali di ultima generazione, eco-sostenibili, arrivano fino al 97% di materiale riciclabile, oltre a ridurre i consumi di energia del 30% rispetto i treni della generazione precedente. Inoltre, ad oggi, più di 2/3 dei quasi 17.000 km di rete ferroviaria in Italia sono elettrificati e altri 1.800 km sono in corso di elettrificazione, di cui 700 km saranno pronti entro il 2026. Stiamo sperimentando anche soluzioni innovative come l'idrogeno, che può sostituire il diesel laddove l'elettrificazione dei binari non risulta conveniente». Come si traduce questo percorso in termini di investimento? «Circa il 13% delle risorse assegnate all'Italia, relative al Pnrr per interventi in coerenza con la transizione ambientale è stato destinato allo sviluppo di infrastrutture per la mobilità sostenibile. Oltre 24 miliardi di euro da rendicontare entro il 2026 sono assegnati al Gruppo Fs per rendere l'infrastruttura ferroviaria sempre più digitalizzata, resiliente ai cambiamenti climatici, integrata e interconnessa ai corridoi Europei. Sono previsti e in corso importanti investimenti di potenziamento anche per i quattro Corridoi transeuropei TEN-T di trasporto passeggeri e merci che attraversano l'Italia. Poi, ci sono le stazioni: 700 milioni di euro per interventi strutturali su 54 stazioni al Sud. Abbiamo inoltre i contratti di programma e di servizio che porteranno gli investimenti complessivi a superare i 10 miliardi di euro all'anno, nei prossimi 10 anni. Questo comporterà un grande sforzo nel mettere a terra gli investimenti, da affrontare con una pianificazione adeguata, di concerto con le istituzioni e gli stakeholder». Sta cambiando il modo di viaggiare. Come saranno le stazioni del futuro? Come il vostro piano strategico decennale potrà orientare le scelte? «Le stazioni saranno sempre più hub multimodali di interscambio tra ferro, gomma, micromobilità e sharing, ma anche con piste ciclabili e percorsi pedonali. Più di un quinto della popolazione italiana vive o lavora a meno di 1 km da una delle oltre 2.200 stazioni ferroviarie italiane. Oltre il 50% di italiani abita o lavora a meno di 3 km da una fermata del treno. È pertanto di fondamentale importanza collegare efficacemente le stazioni ai territori che le ospitano, in un più ampio piano di riassetto urbanistico e di rilancio territoriale in cui fondamentale è l'interazione con le comunità locali. Per questo stiamo attuando un approccio "data-driven" guidato da una conoscenza capillare dei territori, dall'analisi dei comportamenti e dei bisogni delle persone che li abitano. Il piano decennale su cui stiamo lavorando, e che verrà presentato a febbraio 2022, consentirà di intervenire in modo significativo sul sistema nazionale di mobilità sostenibile e integrata di persone e merci. L'intento è favorire l'uso del treno, rendendo sempre più efficace la sua integrazione con gli altri sistemi di trasporto sostenibile, e utilizzando la strada per l'ultimo miglio dove la ferrovia non arriva». Da un lato le risorse del Pnrr e dall'altro le incognite legate alla pandemia. Sta per iniziare un nuovo anno: cosa aspettarsi? «Il 2022 sarà ancora un anno di transizione: lo scenario pandemico è in rapida evoluzione e impone di accelerare verso soluzioni più sostenibile e integrate. Il Pnrr rappresenta senza dubbio un'opportunità senza precedenti per la ripresa e il rilancio del Paese e perché abbia successo è fondamentale il lavoro di squadra di tutti i player del settore insieme alle istituzioni e alle comunità coinvolte. La trasformazione digitale e la transizione ecologica stanno cambiando anche il mercato del lavoro e la messa a terra degli investimenti non può prescindere dalle persone. Per questo occorre investire sempre più sullo sviluppo e sulla capitalizzazione delle competenze, sulla formazione dei giovani e sulla ricerca. C'è infatti carenza di forza lavoro e il settore dovrà fare fronte ad un'addizionale richiesta di figure professionali pari a circa 150.000 unità tra operai generici e specializzati, ma anche ingegneri».  SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 23/12/2021

23 Dicembre 2021

Delphina: «Le scelte ecosostenibili premiano, i nostri hotel sempre più green»

Elena Muntoni, Sustainability director del gruppo alberghiero sardo e figlia di uno dei fondatori, spiega che fare delle scelte etiche e in chiave sostenibile ripaga sempre e dà i suoi frutti nel lungo periodo, anche da un punto di vista economico   'We are green': con questo marchio la catena alberghiera sarda Delphina sintetizza l'impegno per l'ambiente e il desidero di offrire una vacanza sempre più ecosostenibile. Elena Muntoni, sustainability director di Delphina hotels & resorts, e di una delle due famiglie proprietarie, racconta a SustainEconomy.24, report di Il sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School, le buone pratiche che hanno consentito alla società, pochi giorni fa, di essere premiata ancora ai World Travel Awards come gruppo alberghiero indipendente più green al mondo. Dall'energia 100% verde alla sostituzione della plastica alla valorizzazione del territorio: perché, spiega, fare scelte etiche e sostenibili ripaga in termini di risposta dei clienti e anche economici. Solo qualche giorno fa Dephina è stata premiata ai World Travel Awards come gruppo alberghiero indipendente più green al mondo. Quali sono i punti di forza e come si concretizza il vostro impegno?  «Nascere, crescere e vivere in Sardegna ci rende profondamente legati a questa terra e ci fa sentire responsabili e in dovere di proteggere quest'isola con un patrimonio unico ma altrettanto delicato. Spinti dal desiderio di offrire una vacanza sempre più ecosostenibile, abbiamo creato e registrato il marchio ‘We are green' per rappresentare l'impegno di Delphina a favore dell'ambiente. Un protocollo di buone pratiche e azioni concrete adottate fin dalla progettazione delle strutture e poi estese alla fase gestionale e promozionale con iniziative di tutela e valorizzazione del territorio». Energia verde, riduzione della plastica. Quali sono i risultati raggiunti nei vostri resort? E quali sono gli obiettivi futuri? «Utilizziamo esclusivamente energia 100% verde proveniente da fonti rinnovabili per tutti gli hotel, resort, ville, residence, Spa e nella sede centrale Delphina. Questo ci ha consentito di risparmiare 13.828 tonnellate di CO2 nel quadriennio 2017-2020: l'equivalente della CO2 assorbita da circa 97.765 alberi in un anno intero. A partire dal 2019 abbiamo eliminato le bottiglie di plastica dai frigobar in tutte le camere, mentre nei bar viene proposta l'acqua in vetro, tetrapak o in lattina. Abbiamo sostituito la plastica con materiali biodegradabili per lunch-box, cannucce, posate, piatti e bicchieri, utilizzati durante le escursioni. Dal 2019 abbiamo inoltre abolito le bottiglie di plastica per tutti i collaboratori delle strutture e della sede centrale e lo staff ha ricevuto una borraccia in alluminio da ricaricare nelle fontanelle o nei dispenser installati appositamente in tutte le strutture. Un'iniziativa che, in epoca pre-covid, ha permesso a Delphina di risparmiare 68.700 bottiglie di plastica all'anno. Un ninvestimento che rappresenta un impegno economico per l'acquisto e la gestione di fontanelle e dispenser, ma che viene ripagato in termini di brand reputation e dall'apprezzamento dei nostri ospiti, molto sensibili a queste tematiche». Riscontrate, quindi, che il viaggiare e il turismo sostenibile si stanno diffondendo sempre più tra i clienti? «Il turismo responsabile si abbina sempre di più al desiderio di autenticità in tutte le sue sfumature: dalla ricerca di paesaggi autentici alla scoperta dell'essenza del territorio, oltre al bisogno sempre più sentito di entrare in contatto in maniera più profonda con sé stessi, vivere in totale libertà il mare e rilassarsi. Una vacanza ecosostenibile e di qualità valorizza uno stile di vita sano, permette di entrare in contatto con i sapori e le tradizioni dell'isola. Anche i nostri ospiti lo percepiscono e la scelgono consapevolmente per fare la loro parte nella salvaguardia del pianeta». Una scelta green può rappresentare anche un punto di forza nella difficile ripartenza post pandemia? «Sì, in questi anni abbiamo imparato che fare delle scelte etiche e in chiave sostenibile ripaga sempre e dà i suoi frutti nel lungo periodo, anche da un punto di vista economico. E possiamo dirlo dopo 29 anni di esperienza: quando abbiamo iniziato non si parlava tanto di sostenibilità e le iniziative a favore dell'ambiente non erano ancora così diffuse. Questo periodo storico che stiamo vivendo ci ha fatto capire quanto il cambiamento sia diventato necessario e urgente, per questo la sensibilizzazione verso questi temi è importantissima e cruciale nello sviluppo di un turismo ecosostenibile». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 23/12/2021

23 Dicembre 2021

Tomasi (Aspi): «Il nostro piano per una rete solida e sostenibile. Anticipiamo le esigenze della mobilità del domani»

L'amministratore delegato di Autostrade per l'Italia racconta a SustainEconomy.24 anche gli obiettivi e le sfide di Free To X che punta a un network di oltre 100 stazioni di ricarica al 2023 Porre la sostenibilità al centro di tutte le fasi di vita dell'infrastruttura autostradale è l'impegno del piano di Autostrade per l'Italia per una rete solida e diffusa. L'amministratore delegato di Aspi, Roberto Tomasi, racconta a SustainEconomy.24, gli obiettivi e le sfide di Free To X, la startup nata quest'anno, che punta a realizzare un network di 100 stazioni di ricarica da completare entro il 2023, e che viaggia con una frequenza di 4/5 stazioni ogni mese. Il traffico non è ancora ai livelli pre-pandemia, ma l'auto sembra essere maggiormente resiliente tra i diversi sistemi di trasporto scelti dai cittadini. Una nuova visione di mobilità è uno dei pilastri del Piano di Autostrade per l'Italia. Ma è possibile combinare gli obiettivi di profitto e di eccellenza operativa con una attenzione ai parametri della sostenibilità? «Non solo è possibile ma è anche doveroso. L'Italia è in una fase di ricostruzione, sta vivendo un periodo simile a quello del dopoguerra nella seconda metà del ‘900. La sfida della crescita oggi, però, non può prescindere dal contesto in cui deve compiersi. Il Piano di Trasformazione avviato nel 2020 è il punto di partenza di un percorso destinato a ridefinire visione e strategia del Gruppo, ponendo la sostenibilità al centro del processo. Autostrade per l'Italia vuole essere leader nell'applicazione dei criteri di sostenibilità nella realizzazione e gestione di una infrastruttura complessa e, come tale, vuole portare il proprio contributo alle iniziative per un "Green New Deal". Nel corso del 2021, Autostrade per l'Italia ha consolidato questa ambizione, definendo i temi materiali e gli obiettivi di sostenibilità e lanciando una serie di iniziative volte a inserire stabilmente criteri di Esg nella gestione del ciclo di vita dell'infrastruttura. In questo ambito, è stato anche avviato un processo di certificazione Esg e sono stati sottoscritti gli impegni per una transizione "Net Zero" con SBTi. Garantire una rete sicura e resiliente; mettere al centro la competenza, in un ambiente di lavoro inclusivo; favorire una nuova esperienza di viaggio con l'offerta di servizi innovativi e, soprattutto, porre la sostenibilità al centro di tutte le fasi di vita dell'infrastruttura, rappresentano le sfide per un Gruppo che punta a svolgere un ruolo chiave nello sviluppo di un nuovo modello di mobilità sostenibile da porre al servizio del Paese. E ottenere anche un posizionamento negli indici delle agenzie internazionali di rating Esg». Con Free To X volete cambiare l'esperienza di viaggio. E l'attenzione ai viaggiatori passa dal cashback alla realizzazione della più estesa rete italiana di colonnine di ricarica per veicoli elettrici sulla rete autostradale. A che punto siete? E quali sono i prossimi passi? «Free To X è la nostra start-up, nata nel 2021, proprio con l'obiettivo di sviluppare servizi avanzati per la mobilità, offrendo soluzioni per migliorare l'esperienza di viaggio a 360°, puntando su innovazione, tecnologia e Esg. La strategia industriale di Free To X è pienamente in linea con gli obiettivi del Recovery Fund e della Legge di Stabilità e facilita gli spostamenti di medio-lungo raggio sulle quattro ruote, considerati prioritari da moltissimi cittadini a seguito della pandemia. Il primo progetto in cui la nuova società si è impegnata è la realizzazione in Italia della più grande rete di ricarica ad alta potenza (High Power Charger – HPC) per veicoli elettrici, in ambito autostradale. L'entrata in funzione, lo scorso maggio, della prima stazione HPC (con colonnine in grado di erogare almeno 300 kW di potenza, da 4 a 8 punti di ricarica che permettono tempi medi di ricarica di 15 – 20 minuti) per i veicoli elettrici, nell'area di servizio di Secchia Ovest e della seconda stazione, situata a nord di Roma, si è dato inizio alla realizzazione del Network di 100 stazioni che assicureranno da nord a sud una interdistanza media di 50 km in autostrada. Tale piano verrà completato entro il 2023, con un investimento complessivo di 75 milioni di euro, completamente autofinanziati dalla società e consentirà tempi di "rifornimento" celeri e compatibili con un viaggio anche di lunga percorrenza con un'auto elettrica (ad esempio Milano-Roma) e assicurando un'esperienza di viaggio simile a quella di un veicolo con motore tradizionale a combustione interna. Ad oggi il piano sta vedendo l'avvio delle attività con una frequenza di 4/5 stazioni ogni mese; è stato presentato il 100% delle richieste di allaccio ai distributori locali e la totalità dei progetti di realizzazione; oltre il 50% ha ricevuto il via libera dagli enti locali».  Lei crede che si arriverà ad avere autostrade a emissioni zero, con veicoli elettrici a batteria o a idrogeno? «Secondo i dati dell'osservatorio sulla mobilità elettrica di Motus-E, tra gennaio e novembre 2021 sono stati venduti in Italia circa 125 mila mezzi elettrici. Le previsioni di mercato parlano di una forte crescita di questo settore: il target al 2030 è di oltre 6 milioni di veicoli full-electric in circolazione. Di qui, per noi l'istanza di investire fortemente sull'infrastrutturazione della rete autostradale. Il nostro compito è farci trovare pronti all'accelerazione che anche la mobilità sta vedendo sul fronte della sostenibilità e di contribuire noi stessi a fare in modo che lo sviluppo sostenibile viaggi a una maggiore velocità. Sul principio della neutralità tecnologica Free To X ha avviato progetti per la realizzazione di stazioni di ricarica fuori rete e stazioni per alimentazioni alternative come, per esempio, Lng e idrogeno. Ritengo che l'unico modo per far penetrare sistemi sostenibili di mobilità sia dapprima creare una rete solida e diffusa su tutto il Paese». Gli italiani chiedono un cambio di paradigma nel modo di viaggiare?  «Credo che il punto centrale sia non tanto l'esistenza di una richiesta quanto il dovere di saperla anticipare, soprattutto nel settore infrastrutturale è necessario muoverci oggi per essere pronti alle esigenze di domani. Storicamente e ciclicamente le rivoluzioni infrastrutturali producono un diretto e sostanziale sviluppo, nel caso specifico sostenibile. Questo approccio di lungo periodo è alla base del nostro piano industriale che ci vede impegnati per il Sistema Paese con 21,5 miliardi di euro che saranno dedicati alla mobilità a tutto tondo. Stiamo, come noto, intervenendo su tutte le infrastrutture della nostra rete con dei piani di ammodernamento che possano estenderne la vita utile, affinché siano sostenibili negli anni e adeguate per i viaggiatori. Intanto il mondo e anche il nostro Paese stanno andando nella direzione della digitalizzazione e anche qui il nostro contributo avviene tramite Free To X insieme a un piano di trasformazione digitale che ha come obiettivo l'uso della tecnologia per facilitare il viaggio, per esempio mostrando in anticipo i tempi di percorrenza attesa sulle nostre autostrade per pianificare al meglio e in modo sostenibile gli spostamenti». Siamo alle porte del Natale e all'inizio di un nuovo anno, ancora con la minaccia della pandemia. Cosa si aspetta?   «La variante Omicron è giustamente sotto la massima attenzione ed è doveroso che tutti continuiamo a fare il massimo per il contenimento del virus. In questi due anni abbiamo registrato importanti cali di traffico, soprattutto durante i periodi di intenso lockdown e abbiamo cercato di contribuire alla ripartenza senza fermare mai i nostri presidi operativi e anche portando avanti i lavori di ammodernamento sulle opere infrastrutturali con 300 cantieri aperti mediamente ogni giorno. I flussi sono risaliti da allora, non ancora ai livelli di traffico pre-pandemia ma senz'altro l'auto sembra essere maggiormente resiliente tra i diversi sistemi di trasporto. Un ruolo a sé poi è ricoperto dal traffico pesante, anche per via dell'evoluzione dei consumi online, registrata in questi due anni che ha coinvolto tutta la filiera dell'autotrasporto in movimento sulle autostrade. Considerando lo scenario attuale diventa ancora più importante sviluppare soluzioni che possano contribuire a snellire i flussi, pianificare il viaggio e lavorare su ogni nodo che possa facilitare il percorso, aumentando così la sostenibilità del viaggio». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 23/12/2021

10 Dicembre 2021

Lovrinovich (Guida Michelin): «Più attenzione a territorialità e sostenibilità. Premiamo i più responsabili»

Il direttore della guida italiana traccia un bilancio del panorama della ristorazione stellata e delle scelte sostenibili Cresce l'attenzione alla territorialità e alla sostenibilità e le esperienze culinarie appaiono più ricercate ma con una maggiore creatività in grado anche di ridurre lo spreco. Il direttore della Guida Michelin Italia, Sergio Lovrinovich, a pochi giorni dalla pubblicazione della nuova edizione, traccia un bilancio del panorama della ristorazione che ha meritato le iconiche stelle a SustainEconomy.24, report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School.  Tante le novità al Sud e tra i giovani. E parla anche delle stelle verdi che vogliono promuovere chi si impegna per una gastronomia più sostenibile e responsabile. Avete appena pubblicato la nuova Guida Michelin che assegna le iconiche stelle. Sta cambiando il mondo della ristorazione? Ci sintetizza il quadro che emerge dalla nuova edizione? «Sono stati due anni molto particolari e difficili che hanno portato diversi cambiamenti. Abbiamo assistito ad un utilizzo abbastanza capillare dei menu degustazione o, comunque, di menu à la carte più ristretti, a base di materie prime stagionali; questo tipo di scelta può facilitare le preparazioni in cucina, acuire la creatività e potenzialmente ridurre lo spreco. Ne sono scaturite esperienze culinarie ancora più ricercate, uniche e personalizzate, in stile ‘omakase', o proposte in cui lo chef ha carta bianca e può esprimere la sua creatività secondo la disponibilità degli ingredienti. Cresce l'attenzione alla territorialità e alla sostenibilità, preziosi passi verso una ristorazione sempre più responsabile. Nella selezione Italia 2022 troviamo novità stellate in 14 regioni, con tante novità al Sud, compresi due nuovi ristorante 2 stelle in Campania. Un altro dato molto interessante è che il 50% degli chef che hanno preso la stella ha un'età pari o inferiore a 35 anni. In diversi casi sono degli under 30». Oltre alle mitiche stelle che distinguono le cucine più meritevoli, avete deciso di riservare una particolare attenzione al tema della sostenibilità ed è nata la stella verde. Ce ne parla? «La sostenibilità ispira e nutre l'intera strategia di Michelin. Domani tutto sarà sostenibile in Michelin. Questa è la visione del Gruppo e ad essa è dedicata l'energia di tutti i dipendenti. La Guida Michelin, come riferimento internazionale nel campo della gastronomia, vuole quindi impegnarsi per promuovere coloro che si impegnano per una gastronomia più sostenibile, e quindi una società più sostenibile. Valutiamo ogni aspetto della gastronomia che tocca da vicino o da lontano temi legati allo sviluppo sostenibile: la produzione delle materie prime, il loro smaltimento, il modo in cui viene gestito un ristorante passando anche attraverso la formazione dei giovani, le azioni mirate a minimizzare l'utilizzo delle risorse energetiche e l'impatto della struttura sull'ambiente, l'impegno sociale. La gastronomia è uno strumento per veicolare i messaggi e pensare a un mondo più virtuoso. I nostri lettori sono i primi a condividere con noi i loro pensieri sull'argomento e noi li ascoltiamo».  SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 10/12/2021

10 Dicembre 2021

Romito: «La cucina del futuro deve essere consapevole e accessibile. Aprirò un Campus per formare gli chef»

Per lo chef 3 stelle Michelin la sostenibilità deve guidare le scelte quotidiane e mangiare bene deve diventare una condizione universale La sostenibilità deve diventare una consuetudine, un'abitudine, il denominatore comune che guida le scelte quotidiane perché non ci possiamo più permettere di rimandare. Niko Romito, chef tre stelle Michelin e imprenditore, che ha fatto dell'etica e delle scelte consapevoli il suo stile, racconta a SustainEconomy.24, report di Luiss Business School e Il Sole 24 Ore Radiocor, l'impegno per la cucina del futuro, «consapevole e accessibile» perché la creatività deve rimanere personale ma deve essere utile. Parla della riduzione degli sprechi, l'attenzione alla territorialità e alla stagionalità perché il cibo sarà il driver della sostenibilità dell'economia e dell'ambiente. E, osserva, «mangiare bene non può essere una scelta ma una condizione universale». Anche per questo aprirà, entro il 2023 un Campus per formare gli chef del futuro. Cosa significa sostenibilità per uno chef 3 stelle? «Il concetto di sostenibilità deve diventare una consuetudine, un'abitudine, il denominatore comune che guida le scelte quotidiane della gente e non può essere che così, il mondo non può più prescindere perché non ce lo possiamo più permettere. Il tema della sostenibilità del cibo ci impone regole molto rigide perché dopo anni in cui abbiamo immaginato di poter rimandare il cambiamento ora davvero non c'è più tempo. Noi cuochi dobbiamo far mangiare bene, la nostra creatività deve rimanere personale e identitaria ma dev'essere utile, deve perseguire lo stesso obiettivo senza sacrificare la personalità del singolo. Dobbiamo ragionare su un nuovo modello di formazione per diffondere i dogmi della cucina del futuro, consapevole e accessibile; il mio impegno è in una ricerca incessante su come le tecniche e gli insegnamenti dell'alta cucina possono essere messi in circolo in format popolari, per fare arrivare la massima qualità al maggior numero di persone La formazione di alta qualità dei nuovi cuochi, dei cuochi del futuro è ciò che rende capillare questo intento perché è la consapevolezza che guida le scelte di tutti noi. Mi sono chiesto come possiamo instaurare un dialogo con l'agroindustria per poter 'scalare' la qualità, cioè come possiamo sfruttare la forza produttiva e distributiva che solo l'industria ha, mantenendo integra l'eccellenza qualitativa di trasformazione dell'alta ristorazione e della ristorazione di ricerca. Bisogna colmare il divario enorme che c'è nel pensiero comune, nell'attribuzione del 'buono' al prodotto artigianale e del 'meno buono' al prodotto industriale. Questo è uno stereotipo che oggi è fuori dal tempo, perché se riusciamo a 'guidare' il processo industriale con il sapere e la competenza di un cuoco, che poi traduce le conoscenze acquisite dalla ricerca, in un'offerta gastronomica coerente, allora la sinergia può diventare importante nel determinare quel cambiamento culturale collettivo che oggi è necessario». Quanto sono importanti le 3 R (riciclare recuperare riutilizzare) nella sua visione?  «Il cibo sarà sempre di più al centro della costruzione di un futuro possibile per il pianeta. Diventerà un driver decisivo dell'economia, della salute, della sostenibilità ambientale. Oggi i valori che hanno segnato il mio percorso di cuoco e di imprenditore, ispirati a una creatività sostenibile, sono sempre più al centro della riflessione sul futuro del nostro settore: la riduzione degli sprechi alimentari attraverso il ciclo e il riciclo di tutte le parti delle materie prime; la territorialità che prediligendo le filiere corte aiuta l'economia agricola di qualità e il recupero delle coltivazioni autoctone; la stagionalità, che eviti al cibo viaggiare da un capo all'altro del mondo inquinando; il recupero di alimenti unici della dieta mediterranea come i legumi; l'applicazione di metodi standardizzati di trasformazione del cibo per renderlo parte della soluzione e non dell'aggravarsi della salute collettiva». L'alimentazione e il benessere sono al centro dell'agenda internazionale: qual è il suo approccio? «Al centro del mondo ora c'è la salute e lo abbiamo capito davvero quando tutto quello che ognuno di noi considerava prezioso, importante, lussuoso, è diventato superfluo, inconsistente e inutile di fronte alla minaccia alla salute mondiale. Quindi il cuoco del futuro dovrà cucinare avendo bene in mente che l'esercizio creativo dev'essere subordinato a perseguire un obiettivo etico imprescindibile e cioè la salute di chi mangia. Noi cuochi dobbiamo lavorare per questo, dobbiamo studiare, pensare, provare e riprovare per trovare l'equilibrio perfetto tra gusto e salute, tra bilanciamento nutrizionale e soddisfazione del palato. Nel mondo di oggi il lusso è comprendere, conoscere e soprattutto scegliere. Ma mangiare bene non può più essere una scelta, dev'essere una condizione universale. Gusto e salute sono due elementi che possono e devono coesistere. Il nostro lavoro, il lavoro dei cuochi ma anche quello dei medici, è di educare le persone a mangiare meglio offrendo soluzioni che siano salutari e al contempo gratificanti. Bisogna formare le figure che saranno portabandiera di questo cambiamento ma anche di diffondere un'educazione alimentare nella collettività, perché per saper scegliere bisogna conoscere e comprendere». Quali sono le principali iniziative già intraprese e quali in cantiere? «L'area di intervento che ritengo più incisiva rispetto a questo argomento è quella della ristorazione collettiva, perché la partita evidentemente si gioca sui grandi numeri. Dobbiamo fare lo sforzo di rendere gli investimenti e lo studio applicati all'alta ristorazione, la chiave con la quale rendere accessibile a tutti un cibo di qualità che tenga insieme salute e riduca gli sprechi alimentari. Il mio è un percorso imprenditoriale e gastronomico, che va dal ristorante gourmet alla mensa dell'ospedale. Nel momento in cui il mio laboratorio di studio e ricerca che è al Reale, riesce a far arrivare al grande pubblico parte delle conoscenze sviluppate e dei risultati acquisiti, allora significa che stiamo lasciando un segno che può arrivare a tutti. Nel 2016, in collaborazione con la Sapienza, è nato il progetto Intelligenza Nutrizionale, di cui ho già parlato diffusamente, con cui di fatto, abbiamo riscritto i protocolli di trasformazione del cibo di due ospedali di Roma. Abbiamo reingegnerizzato i processi di trasformazione degli alimenti, di servizio e di lavoro legati al cibo, con l'obiettivo di aumentarne la piacevolezza e insieme il potere nutrizionale. Questo è un progetto che è molto più di uno chef stellato nella cucina di un ospedale. Se fosse solo questo non sarebbe né particolarmente nuovo né probabilmente duraturo. L'obiettivo è il ripensamento – dal punto di vista gestionale oltre che alimentare – dell'intera catena ristorativa. Lo sviluppo di questi protocolli, partendo dalla lezione dell'alta cucina, creano prodotti per il grande pubblico, consentono di standardizzare processi e procedure e di garantire una qualità costante nel tempo. Quello che ho imparato nei laboratori del Reale l'ho trasferito su tutto quello che cucino. Perché è partendo da un nuovo approccio alla trasformazione degli alimenti che si crea e si diffonde una consapevolezza nuova, collettiva sul ruolo del cibo nel preservare e migliorare la salute, nel tutelare l'ambiente e nel generare una nuova energia emotiva e fisica. Sono convinto che facendo dialogare i format gastronomici con le tecniche e conoscenze dell'alta ristorazione si può ottenere un risultato di qualità, costante e sostenibile oltre a creare un'economia territoriale che genera posti di lavoro. Per questo ho deciso di creare un Campus universitario di ricerca e alta formazione, che aprirà le porte entro il 2023, che immagini e istruisca la nuova figura del cuoco. Uno degli obiettivi fondamentali è quello di democratizzare e di rendere accessibile il cibo di qualità a fasce di persone e a modelli di ristorazione quanto più ampi possibile. Ad un certo punto nella vita c'è anche voglia di far qualcosa a prescindere dal proprio obiettivo originario, di lasciare qualcosa di utile e che porti beneficio a persone e ambienti che sono in situazioni socialmente difficili. Osservando e vivendo la direzione in cui sta andando il mondo, vivendo in prima persona il problema sociale del cibo, della malnutrizione e di tutta la filiera agroalimentare, ho capito che i cuochi del futuro devono essere formati diversamente, più consapevolmente». Qual è il ruolo del territorio per uno chef che non ha mai abbandonato Castel di Sangro? «Credo anche che, sempre di più, il cibo sia ambasciatore dell'ecosistema da cui proviene; e intendo con questa parola non solo il territorio agricolo ma anche il contesto culturale, le abitudini di preparazione e consumo degli alimenti che sono diverse da Paese a Paese, da famiglia a famiglia, e che contribuiscono a creare la nostra identità. Il cibo rappresenta tutto questo, e oggi ne abbiamo sempre più consapevolezza. Gli scarti nella cultura contadina italiana sono stati la scintilla per inventare, riusare, dare nuova vita, attraverso la trasformazione creativa, al cibo. Tanto dell'unicità straordinaria della gastronomia italiana si fonda sul principio morale che il cibo non si butta. Si può dare ad esso nuova dignità grazie ad un gusto palatale imprevisto e una apparenza visiva essenziale. E riportarlo così a tavola per la gioia di chi lo mangerà.  Da questo pensiero atavico che ha attraversato generazioni di donne mi sono fatto contaminare non solo nella mia creatività culinaria, ma anche come imprenditore che vive quotidianamente la responsabilità di creare valore dal suo lavoro senza arrecare danno alla società, alla comunità, al pianeta.  Chi conosce la storia mia e di Cristiana, che è la padrona di casa del Reale, sa quanto siamo legati ad un'idea di territorio, di radici, di cultura locale come elemento distintivo del nostro essere imprenditori del cibo, dell'accoglienza, della formazione. Nel mio percorso ho dovuto dire dei no risultati fondamentali per rendere unico questo crescita professionale e imprenditoriale. Forse il più importante è stato a chi mi proponeva, dopo soli pochi anni di professione, di guidare un grande ristorante abbandonando l'Abruzzo. Ecco, non abbandonare la mia terra, su tutte le altre scelte, mi ha reso il cuoco, l'imprenditore, l'uomo che oggi sono. Non abbandonare i sapori della mia terra, ma anzi dedicarmi con sforzo alla ricerca dell'essenza della loro unicità, mi ha permesso di definire il mio stile distintivo e, apparentemente, semplice. Uno stile che elaborato e perfezionato insieme ai meri ragazzi nel mio quartier generale di Casadonna a Castel di Sangro, sulle montagne abruzzesi oggi ogni giorno viene gustato e apprezzato dai palati di donne e uomini a Pechino, Dubai, Shanghai, Roma, Milano e domani Parigi, Mosca e chissà dove altro ancora. Probabilmente solo restando qui nel mio piccolo paese arroccato sulla montagna abruzzese la mia filosofia ha potuto contaminare diversi continenti e capitali mondiali».  SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 10/12/2021

10 Dicembre 2021

Petrini (Slow Food): «Serve un cambio di paradigma. Attenzione all’economia locale, non all’online»

Carlo Petrini, il fondatore del movimento, vede una sensibilità maggiore, soprattutto dei giovani per il cibo buono, pulito e giusto. E spiega che il senso vero della sostenibilità sta nell'essere qualcosa che dura nel tempo C'è una sensibilità maggiore dei cittadini, e soprattutto dei giovani alla sostenibilità e all'attenzione al cibo «buono, pulito e giusto», come il suo motto. Ne è convinto Carlo Petrini, punto di riferimento del settore agroalimentare e fondatore di Slow Food, l'associazione internazionale no profit nata più di trenta anni fa come antidoto alla ‘fast life' e oggi presente in 160 Paesi, in tutti i continenti. In un'intervista a SustainEconomy.24, report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School, Petrini sottolinea la necessità di un cambio di paradigma perché, spiega, il senso vero della sostenibilità sta nell'essere qualcosa che dura nel tempo. Abbandonare il consumo e il profitto, quindi, per focalizzarsi sui beni comuni e l'economia circolare. E alla politica dice: serve attenzione all'economia locale e ai territori e non ad un'economia online decentralizzata di pochi che non pagano le tasse nei Paesi in cui operano. Ora si parla solo di transizione e sostenibilità. Lei è stato un precursore, nella difesa del cibo "buono, pulito e giusto" e dei territori. È davvero cambiato qualcosa in questi anni? È cresciuta una sensibilità su questo fronte, da parte di molti cittadini e sicuramente da parte dei giovani. Si comincia a capire compiutamente che parlare di cibo, e immaginare un nuovo sistema alimentare, è strettamente connesso ad un'operazione di salvaguardia dell'ambiente, dell'equità e della dignità del mondo contadino. C'è una sensibilità maggiore». Quindi vede una risposta nei cittadini-consumatori? «Sì, perché c'è un modo anche concreto per dimostrare le proprie opinioni e questo modo concreto è come si fanno gli acquisti. Vedo una sensibilità maggiore sul rafforzamento dell'economia locale, sintetizzato sotto il simbolo del kilometro zero. È un atteggiamento che ha cambiato completamente il modo di pensare di molti cittadini, attraverso i mercati contadini e le buone pratiche di un'economia che è più attenta alla biodiversità e alle risorse locali che non agli interessi delle grandi multinazionali». Oggi, nel mondo del cibo e della ristorazione, cosa vuol dire essere sostenibili? Quali sono i valori che rendono questo settore sostenibile? «Innanzitutto, c'è una grande confusione sul termine ‘sostenibilità'. Molti pensano che derivi da ‘sostenere' e quindi se si fanno delle scelte devono essere fatte per sostenere gli investimenti economici e la produzione. Invece, non è questo il significato della sostenibilità che deriva, piuttosto, da ‘sustain', il pedale del pianoforte che allunga la durata delle note; allora hanno ragione i francesi quando traducono sostenibile con ‘durable'. Perché il senso vero della sostenibilità è qualunque iniziativa che io intraprendo - nel metodo di produrre o di distribuire o di viaggiare o di realizzare allevamenti o produzioni di cibo - tale che i risultati di queste azioni possano durare di più nel tempo. È questo il significato vero ed è un cambio di paradigma. Prima si pensava che le cose prima si consumavano è meglio era, e se duravano poco anche meglio, purché il sistema produttivo e distributivo e consumistico fosse l'elemento più importante che valorizzava il Pil, oggi si comincia a capire che i risultati delle nostre azioni devono mirare a fare in modo che quel prodotto e quella iniziativa che ho intrapreso abbia una più lunga durabilità. Allora capiamo anche che c'è un diverso modo di concepire il rapporto che abbiamo con la natura. Prima il focus più importante era il consumo e il profitto oggi il baricentro si sposta sui beni comuni, sui beni relazionali e su un certo tipo di economia circolare che garantisce che non si butta via niente, che c'è meno spreco e che i prodotti durano di più». La pandemia non ha aiutato le piccole realtà del territorio. Se potesse lanciare un appello alle istituzioni e alla politica cosa direbbe? Cosa si potrebbe fare? «Questo disastro della pandemia ha anche messo in evidenza forme di resistenza che molte persone hanno applicato nelle loro scelte quotidiane e anche la natura si è ripresa uno spazio che gli avevamo tolto. Ma dal punto di vista delle comunità io ho visto prove straordinarie di solidarietà: forme di negozi di vicinato, forme di aiuto reciproco, è stato anche un fenomeno di mobilitazione generosa. Cosa raccomanderei in questa fase di passaggio per quanto riguarda le scelte politiche ed economiche? Di concentrarsi fortemente sull'economia locale perché se sposto il baricentro verso un'economia locale, la ricchezza che possiamo generare a partire dai nostri territori e metto meno in evidenza quella economia e quelle produzioni che sono di tipo monopolistico, allora farò l'interesse di più persone e non l'interesse di pochi che, molto spesso, traggono benefici dei territori ma poi non pagano le tasse nei Paesi in cui operano, e sto parlando di grandi nomi. In questo momento darei più importanza ai mercati contadini, alle realtà di territori e ai negozi dei piccoli centri piuttosto che ad un'economia online decentralizzata e frutto di poche persone». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 10/12/2021

10 Dicembre 2021

Patuanelli: «Tuteliamo le eccellenze del made in Italy e informiamo i consumatori. Un ufficio al Mipaaf per la gastronomia»

L'intervista del Ministro delle Politiche agricole a SustainEconomy.24 Sostenibilità e tutela del made in Italy e dell'enogastronomia «che porta sulle tavole del nostro Paese e all'estero le eccellenze del patrimonio agroalimentare». Il ministro delle Politiche agricole, Stefano Patuanelli in un'intervista a SustainEconomy.24, il report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School, parla delle principali sfide del comparto. A partire dalla sostenibilità che «è la chiave di volta di ogni modello agricolo futuro». Si sofferma sulla difesa del made in Italy e quanto al tavolo sull'enogastronomia, voluto per un settore, quello della ristorazione, in difficoltà con la pandemia, e «che aveva bisogno di avviare e mantenere un dialogo aperto con le istituzioni», racconta della proposta di creare al ministero un ufficio dedicato alle politiche di settore. E ribadisce la contrarietà al Nutriscore, l'etichetta nutrizionale a semaforo: è inaccettabile perché il consumatore ha bisogno di essere informato e non condizionato. Nell'alimentare e nel cibo made in Italy si parla sempre più di sostenibilità. È una moda o vede risultati concreti? «La sostenibilità rappresenta la chiave di volta di ogni modello agricolo futuro. I regimi ecologici, i cosiddetti "ecoschemi" rappresentano un elemento innovativo e fortemente caratterizzante della nuova Pac. Forniscono un sostegno a favore dell'applicazione da parte degli attori del settore agroalimentare di regimi volontari per il clima, l'ambiente e il benessere degli animali. Se non si riuscirà a mettere in equilibrio l'esigenza della produzione e della sostenibilità economica con la sostenibilità ambientale, l'abbandono delle terre, delle zone più svantaggiate diventerà realtà. Proprio per questo dobbiamo investire nelle tecnologie. Tramite l'ammodernamento dei processi produttivi possiamo aumentare la sostenibilità, la resilienza, la transizione verde e l'efficienza energetica del settore». Ministro, lei è in prima linea nella difesa e promozione delle nostre eccellenze sulle tavole italiane ed estere. Cosa serve al settore? «I nostri prodotti di eccellenza sono frutto di tradizioni, territori e comunità agricole, e rappresentano un punto di forza sul piano dell'economia locale e per il made in Italy nel mondo. Il nostro sistema agroalimentare va accompagnato per tutelare la qualità e l'eccellenza che lo contraddistingue. Diventa a questo punto fondamentale favorire un sempre maggior coordinamento tra i diversi attori del mondo agroalimentare, sia nel pubblico che nel privato, e continuare a portare avanti campagne promozionali adeguate e azioni comunicative mirate. Solo così potremo parlare di sviluppo competitivo dei territori, corretta conoscenza delle produzioni regionali di qualità targate made in Italy, consapevolezza da parte del consumatore della qualità del prodotto che si trova a consumare. Le battaglie condotte dal Ministero in materia di etichettatura di origine e di etichettatura nutrizionale sono basate sulla ferma convinzione che la totale trasparenza sia lo strumento principale per tutelare i prodotti di qualità e tutta la filiera, rendendo un servizio al cittadino.È noto l'impegno del ministero in termini di salvaguardia della dieta mediterranea e del prodotto di qualità rispetto a contraffazioni e italian sounding. In questo senso un contributo fondamentale è svolto dall'ICQRF che tutelare e valorizza l'agroalimentare italiano attraverso il contrasto a tutti quei comportamenti fraudolenti che minano le corrette relazioni di mercato. La scorsa settimana è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto legislativo sulle pratiche sleali che entrerà in vigore dal 15 dicembre. Una legge importantissima che garantirà finalmente un maggiore equilibrio tra produttori, distributori e consumatori». La pandemia è stato un duro colpo per il settore della ristorazione. Ha convocato il tavolo tecnico dedicato alla gastronomia italiana per avvicinare le Istituzioni al comparto. Qual è la fotografia emersa e quali vogliono essere i propositi di questo strumento? «È fondamentale per il nostro Paese investire nella giusta direzione per tutelare l'enogastronomia, che porta sulle tavole del nostro Paese e all'estero le eccellenze del nostro patrimonio agroalimentare. Abbiamo pensato, io e la viceministra allo Sviluppo economico Todde, quando abbiamo deciso di convocare il primo tavolo della gastronomia, che il settore avesse bisogno di avviare e mantenere un dialogo aperto con le istituzioni, per affrontare tutte le criticità e rappresentare le proprie esigenze e progettualità. I problemi sono tanti e toccano le competenze di vari ministeri: il Mipaaf, il Mise, il Lavoro. Per quanto di mia competenza ho proposto di realizzare al Mipaaf un ufficio dedicato alle politiche di settore e di filiera, che credo possa rappresentare un importante punto di riferimento amministrativo per ricavare risposte efficaci ed efficienti da questo scambio di idee e di vedute». Il Green Deal può giocare un ruolo anche nella formazione del consumatore verso sistemi alimentari più consapevoli e sostenibili. Cosa si può fare e che tipo di risposta vede a livello dei cittadini? «Il Green Deal è strettamente legato al tema dell'informazione nutrizionale. Un cibo fatto da pochi e semplici ingredienti è dal punto di vista economico e ambientale molto più sostenibile di tutti quei cibi iper trasformati che portano a un maggior consumo di acqua, a un maggior consumo di energia, ad esigenze di trasporto molto complesse e quindi a un maggior impatto sull'ambiente. Proprio per questo, per le nostre metodologie produttive e per i nostri prodotti, è inaccettabile adottare l'etichetta nutrizionale a semaforo, il Nutriscore. Il consumatore ha bisogno di essere informato e non condizionato. Cercheremo di convincere anche altri Paesi, e ci stiamo riuscendo, perché riteniamo sbagliato per i cittadini e i consumatori europei un approccio basato su un algoritmo, senza alcuna base scientifica».  SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 10/12/2021

26 Novembre 2021

La moda di seconda mano ancora non conquista l’Italia, il vintage è di nicchia

La fotografia nell'indagine di Kearney Italia. Eppure qualcosa sta cambiando, complici le app Il vintage ancora non conquista gli italiani e se lo fa è per motivi di convenienza e non di scelte etiche. Eppure qualcosa sta cambiando, complici le app. Emerge dall'indagine di Kearney Italia, parte della multinazionale statunitense di consulenza strategica, che confronta l'Italia con Francia, Germania e Stati Uniti secondo due dimensioni: la quota di consumatori che hanno acquistato prodotti di seconda mano negli ultimi 12 mesi e i motivi dello shopping ‘vintage'. La quota di consumatori italiani che acquista l'usato è la metà rispetto agli altri Paesi (solo il 20% degli intervistati contro una media del 38% negli altri Paesi). Il segmento più incline all'acquisto è tra i 45-55enni con il 33% (il 43% delle donne contro un 28% di uomini), mentre in altri Paesi le generazioni più giovani mostrano più interesse. In tutti i Paesi analizzati, il motivo principale per l'acquisto è "risparmiare denaro"; in Italia pesa il 31%, principalmente per le donne (34% contro il 30% dei maschi) e nella popolazione più anziana (48% per +55anni). Gli Stati Uniti sono di gran lunga il Paese più attento ai costi con il 54% degli intervistati che cercano di "risparmiare", la Francia con il 31% è il Paese con la più alta attenzione all'ambiente e alla sostenibilità, seguita da Germania (22%) e Italia (20%), mentre ultimi sono gli Stati Uniti (5%). I consumatori italiani non hanno una visione chiara dell'usato rispetto ad altri Paesi (il 22% risponde a ragioni "altre" contro il 5% di altri Paesi). I consumatori del Sud Italia mostrano più interesse per l'usato (26% vs 20% altrove) e insieme ai consumatori del Centro Italia sono a caccia di affari, mentre i consumatori del Nord Italia mostrano driver di acquisto diversi. « Il vintage è stato finora un business ‘di nicchia', soprattutto in Italia dove la maggioranza dei giovani, per esempio, continua ad amare le novità (80%) rispetto ai coetanei tedeschi (55%) e americani (52%) molto più attratti dal second hand», spiega Dario Minutella, senior manager di Kearney a SustainEconomy.24, report di Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School. «La Germania tra le scelte d'acquisto di capi seconda mano ha come priorità il sostegno al business locale, mentre la Francia è l'unica che realmente mostra una sensibilità etica. Da noi il tema della sostenibilità resta ancora fuori dalle ragioni di acquisto del vintage, se lo facciamo è per trovare il risparmio, l'affare. Eppure, il mercato segna un trend di crescita interessante, soprattutto grazie allo sviluppo di applicazioni per vendere e scambiare prodotti usati che hanno creato un nuovo segmento di mercato destinato a crescere nel tempo. Un business che vale 40 miliardi ma che è ancora lontano dall'idea del vintage come volano per sostenere scelte etiche. Prevale appunto la motivazione della convenienza, che non per forza è negativa e che può comunque spingere la moda verso una maggiore circolarità del business». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 26/11/2021

26 Novembre 2021

Gucci: «Raccontiamo un approccio autentico del lusso sostenibile. E la cooperazione è vincente»

Antonella Centra, executive vice president, general counsel, Corporate Affairs & Sustainability di Gucci parla del percorso del marchio icona del lusso made in Italy «Il lusso è per sua vocazione sostenibile ma quello che fa la differenza è tradurre i buoni propositi in fatti concreti». Un marchio icona del lusso made in Italy come Gucci, che quest'anno ha festeggiato i 100 anni, "racconta" un percorso autentico e rigoroso che lo vede carbon neutral dal 2018. Antonella Centra, executive vice president, general counsel, Corporate Affairs & Sustainability di Gucci parla, in un'intervista a SustainEconomy.24, report di Il sole 24 Ore Radiocor e Luiss  Business School, della strategia basata su due pilastri: pianeta e persone. Ma anche del lavoro sui materiali con l'ultima novità, Demetra, un materiale animal-free, derivante da fonti sostenibili, rinnovabili e bio-based, utilizzando gli stessi processi impiegati per la concia e che sarà messo a disposizione di altri brand. E dell'attenzione all'intera filiera e della decisione di adottare, per primi nel settore privato in Italia, il bilancio di genere. E nella sostenibilità, aggiunge, non ci deve essere concorrenza. Gucci ha delineato da tempo un percorso green, eppure si fa fatica ad immaginare il connubio tra lusso e sostenibilità. Come si concilia il mondo fashion con la generazione di valore? «In realtà il lusso è per sua naturale vocazione sostenibile, perché crea prodotti destinati a durare e a mantenere il proprio valore nel tempo. Partendo da questo assioma, quando si segue un approccio rigoroso e autentico lungo tutta la catena di fornitura, dalla fase di progettazione creativa alla ricerca e selezione dei materiali fino ai processi produttivi, la sostenibilità diventa un eco-sistema in grado di generare valore. Quello che fa davvero la differenza per tradurre i buoni propositi in fatti concreti, è l'approccio con cui un'enunciazione di principio diventa parte di un'intera visione e strategia aziendale. Nel nostro caso, ci siamo dati un obiettivo specifico di riduzione dell'impatto ambientale ad una certa data, potendo contare su un sistema scientifico di misurazione e, mentre facciamo progressi significativi in questo percorso di riduzione, ci siamo "autotassati" per la parte di emissioni residue, investendo in iniziative che mirano alla protezione della natura, delle biodiversità e in programmi di agricoltura rigenerativa. In questo modo restituiamo, creando un circolo virtuoso, anche in termini di occupazione e di ricadute positive sul territorio e sul valore del Made in Italy. In Gucci abbiamo iniziato a comunicare esternamente e internamente solo dopo essere stati certi di avere qualcosa di autentico da raccontare. Per noi la strategia sostenibile è infatti un percorso di continuo miglioramento». Avete lanciato Gucci Equilibrium che oltre ad un modo di pensare sostenibile si traduce in azioni e risultati concreti. Ce ne parla? «Gucci Equilibrium è la naturale conseguenza del nostro percorso sostenibile basato su due pilastri: il pianeta e le persone; è il racconto dei principi in cui crediamo e delle azioni concrete che perseguiamo per generare un cambiamento positivo attraverso un approccio scientifico. Ogni anno misuriamo e monitoriamo infatti le prestazioni ambientali dei nostri uffici, negozi e magazzini di tutto il mondo attraverso un vero e proprio conto economico ambientale. Dedichiamo molta cura nella scelta delle materie prime presenti nelle nostre collezioni, dall'adesione a rigorosi e ambiziosi standard che garantiscono un approvvigionamento e metodi di lavorazione sostenibili, alla tracciabilità e ricerca di soluzioni innovative; e infatti quest'anno abbiamo lanciato Demetra – un materiale realizzato con materie prime animal-free, derivanti in larga parte da fonti sostenibili, rinnovabili e bio-based, utilizzando le stesse competenze e processi impiegati per la concia. L'attenzione per il pianeta non può prescindere però dall'attenzione verso le persone, dal rispettare e preservare l'eco-sistema dell'eccellenza manifatturiera italiana fatta di piccole e medie imprese che per Gucci rappresentano circa il 95% dei fornitori. Un modo di agire sostenibile funziona infatti solo se applicato lungo tutta la filiera ed è per questo che condividiamo attivamente con i nostri fornitori i nostri valori, le nostre buone pratiche e spesso anche il nostro know-how trasversale. Ne è un esempio il Programma Sviluppo Filiere attuato con Banca Intesa, un programma in essere dal 2015, ma che prima a causa dell'emergenza sanitaria e poi grazie alle opportunità offerte dal Pnrr, abbiamo rinnovato affinché si adattasse velocemente alle nuove esigenze dei fornitori fornendo inizialmente supporto per superare l'emergenza causata dalla pandemia da Covid-19 e avviare piani di rilancio e di crescita e ora per sostenerli lungo la transizione ecologica». L'aver raggiunto in anticipo alcuni target pone altri obiettivi? Quali saranno i prossimi progetti? «I  risultati raggiunti ci dicono che stiamo proseguendo sulla giusta strada ma dobbiamo andare avanti, cercando anche di anticipare alcuni obiettivi. Le questioni emerse dalla Cop26 e dal Summit del G20 sono chiare e le soluzioni non possono più attendere piani di lungo periodo: c'è urgenza di intervenire ora. Con la nostra campagna globale per l'uguaglianza di genere ‘Chime For Change' abbiamo contribuito, in meno di dieci anni, ad oltre 442 progetti e iniziative a favore delle donne in 89 Paesi; solo per fare un esempio, supportiamo attivamente 'I was a Sari', un'impresa sociale che sostiene un gruppo di donne lavoratrici provenienti dalle comunità svantaggiate di Mumbai nel diventare artigiane di prim'ordine e raggiungere l'indipendenza economica. Ma possiamo fare ancora di più per rendere Gucci e la nostra comunità più equi ed inclusivi. Con lo stesso approccio scientifico con cui rendicontiamo i nostri risultati ambientali e in linea con gli Obiettivi dell'Agenda Onu 2030 e della Strategia Nazionale per la parità di genere, abbiamo infatti deciso di intraprendere un percorso di analisi di genere anche all'interno della nostra realtà, adottando per primi, nel settore privato in Italia, il bilancio di genere. Vogliamo infatti fotografare la nostra situazione in tema di gender equality, ma soprattutto analizzare le basi su cui costruire la nostra strategia relativamente alle politiche di genere. L'obiettivo resta sempre quello di far meglio e di più». Dai materiali agli store, Gucci punta a diventare il luxury brand italiano più sostenibile? Siete un marchio iconico, potete essere d'esempio per il mercato e i clienti? «Non la metterei in termini di primato a meno che non si intenda come stimolo al miglioramento per altri che sono più indietro nel percorso. La sostenibilità è un ambito in cui non ci deve essere concorrenza perché "l'unione fa la forza" e le sinergie consentono di fare progressi nell'ambito della innovazione, nella scalabilità delle soluzioni e nell'adozione delle migliori pratiche nel rapporto con i propri fornitori. Per questa ragione, ad esempio, abbiamo messo a disposizione di tutto il mercato l'innovazione introdotta con Demetra. Un materiale nato grazie al connubio tra il know how degli esperti della nostra produzione e quello delle concerie. Un processo, quello della concia, tradizionalmente applicato alla pelle, applicato - invece - ad un materiale bio-based. Il risultato è talmente sorprendente che non ci siamo sentiti di "tenerlo" solo per noi. La decisione del nostro presidente e ceo Marco Bizzarri di diventare ‘carbon neutral' nel 2018, lanciando quindi con il ‘Ceo Carbon Neutral Challenge' l'appello ad altre aziende di ogni settore ad unirsi, ha accelerato il raggiungimento degli obiettivi anche grazie al fatto che si è raggiunta una maggiore chiarezza e consapevolezza da parte di tutti i nostri dipendenti e un loro ingaggio a contribuire. Se questo è avvenuto a livello interno possiamo anche immaginare che il circolo virtuoso si possa instaurare all'esterno e che si realizzi sia tra aziende dello stesso settore che tra appartenenti a settori diversi. La parola chiave è quindi apertura: sia in termini di atteggiamento mentale, affinché la sostenibilità divenga prassi quotidiana nei comportamenti individuali, sia in termini di atteggiamento cooperativo, con lo scopo di identificare e scalare soluzioni vincenti». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 26/11/2021