sostenibilità
sostenibilità
sostenibilità
sostenibilità

18 Marzo 2022

Ibarra (Engineering): «La tecnologia è driver economico e sociale. Abbiamo inserito la sostenibilità nel nostro stile d’impresa»

ll CEO a SustainEconomy.24: «Innovazione e digitale per un nuovo modello di 'design sociale'» Integrare gli obiettivi di business con i valori di sostenibilità, inclusione e diversity perché la tecnologia non è una commodity ma «deve essere un driver economico e sociale». Maximo Ibarra, ceo di Engineering, parla a SustainEconomy.24, report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School, del percorso che ha portato l'integrazione della sostenibilità nello stile imprenditoriale della digital transformation company, ma anche delle soluzioni su energia, mobilità, sistemi sanitari e istruzione. «Perché vogliamo essere asset del Paese» e, a maggior ragione in questa fase storica, contribuire a «un mondo più equilibrato socialmente, più sostenibile energeticamente, più sicuro sui territori e nei sistemi informatici». Insomma, sintetizza Ibarra, «l'innovazione e il digitale per un nuovo modello di ‘design sociale'».  Engineering sta portando avanti un percorso di accelerazione della sostenibilità che passa anche dalla decisione di aderire al Global Compact delle Nazioni Unite. Ce ne parla? «Engineering è una digital transformation company che da sempre integra gli obiettivi di business con i valori della sostenibilità, inclusione e diversity. Con l'adesione al Global Compact abbiamo sottoscritto i dieci principi in materia di diritti umani, ambiente, lavoro e lotta alla corruzione, consapevoli di fare un ulteriore passo verso un business etico e verso l'integrazione della sostenibilità nelle nostre strategie industriali, nel nostro modello di business e organizzativo e, più in generale, nel nostro stile imprenditoriale. Per questo abbiamo aumentato la nostra capacità di monitorare e rendicontare i progressi nel campo della sostenibilità, avviando un percorso di allineamento dei nostri obiettivi ai parametri dell'Agenda 2030, agli standard internazionali e ai parametri della Communication on Progress prescritti dal Global Compact». Iniziamo dalla sostenibilità ambientale e dalla lotta al cambiamento climatico. Concretamente cosa state facendo? «Per noi la tecnologia deve essere al contempo un driver economico e sociale. Realizziamo molti progetti di business che hanno un impatto positivo sul territorio. Nel settore Energy, dove lavoriamo al fianco di molti operatori, sviluppiamo quotidianamente soluzioni importanti, ad esempio di teleriscaldamento o teleraffrescamento da fonti rinnovabili e soluzioni software studiate per rispondere alle sfide ambientali di gestori di servizi energetici in ambito privato, utility e amministrazioni pubbliche locali che intendono monitorare e controllare l'efficienza energetica e progetti di riduzione dei consumi. Creiamo per loro sistemi innovativi basati sull'intelligenza artificiale. Lavoriamo moltissimo anche sull'efficientamento della mobilità urbana. Ad esempio, in comuni come Pisa, Verona, Napoli, così come in molte città della Germania, contribuiamo a migliorare la circolazione dei mezzi di trasporto e a gestire innovativi sistemi di smart parking, così da ridurre l'inquinamento atmosferico e acustico. In Sicilia stiamo portando avanti progetti di Smart Lighting che ottimizzano i sistemi di illuminazione pubblica, riducendo anche le emissioni di CO2. Internamente, oltre a quanto già fatto in termini di risparmio energetico, il nostro headquarter di Roma è dotato della certificazione LEED (Leadership in Energy and Environmental Design) ed è allo studio anche un piano strutturato per il risparmio energetico. Misuriamo la carbon footprint e stiamo migliorando il nostro approccio green ai Data Center, anche incrementando la capacità geotermica, oltre alla possibilità di utilizzare parte del calore dell'acqua per il riscaldamento degli uffici che prevede l'installazione di misuratori intelligenti di prestazione energetica in tutte le sedi». Inclusione, riduzione dei divari e delle differenze. La tecnologia e il digitale come possono essere inclusivi? «Oggi la tecnologia non è più una commodity che ci aiuta solamente a migliorare l'efficienza, ma è la strategia che ci dà la possibilità di migliorare il mondo in cui viviamo e lavoriamo. Grazie alla tecnologia possiamo abbreviare le distanze tra le persone, rendere i sistemi sanitari e l'istruzione sempre più inclusivi, così da non lasciare indietro nessuno. Per riuscire in tutto questo, però, bisogna puntare sul superamento del digital divide e sull'aumento del digital trust, facendo capire alle persone che l'innovazione tecnologica porta davvero benessere. Lo scorso anno ho avuto l'onore di coordinare, in qualità di chair, la Task Force DT del B20. Alcuni dati che abbiamo trovato sono impressionanti: il 60% del Pil mondiale atteso nel 2022 è direttamente connesso al digitale, ma, di contro, solo per rimanere nel nostro continente, secondo la Commissione Europea, il 42% degli europei manca di conoscenze digitali di base. Un paradosso che dobbiamo risolvere affinché il digitale possa realmente offrire maggiori opportunità di inclusione». Sarà possibile rispettare gli obiettivi del Pnrr di uno sviluppo tecnologico e digitale più omogeneo? «Il Pnrr è la risposta dell'Europa alla crisi pandemica ed è lo strumento che ci ha dato la possibilità di ripartire immaginando un nuovo momento di trasformazione per la società. Al centro del Pnrr due obiettivi sono assolutamente centrali: digitalizzazione e transizione energetica. Le emergenze di questi giorni sono innanzitutto umanitarie, ma ci dicono, con grande chiarezza, quanto questi due obiettivi non solo restano centrali ma lo saranno ancora di più quando auspicabilmente si troverà un modo di superare lo scontro. L'Europa e il nostro Governo sapranno prendere le decisioni più appropriate e noi, nel frattempo, continueremo a operare con grande rigore e impegno, svolgendo il nostro ruolo di asset per il Paese, supportandolo per velocizzare e facilitare il cambiamento. Per uno sviluppo più omogeneo è anche necessario accelerare la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione e fare in modo che le risorse del Pnrr diventino progetti davvero capaci di migliorare il rapporto tra cittadini e Istituzioni, di digitalizzare la sanità, implementando sistemi di prevenzione anche attraverso la Telemedicina, di dare nuova linfa all'ecosistema dell'istruzione, facendo in modo che si superi il mismatch tra la domanda di competenze delle aziende e l'offerta del mercato. Siamo stati tra i primi, già diversi anni fa, a vedere nel modello di Partenariato Pubblico Privato la via per accelerare la digitalizzazione della Pa». Prima la pandemia, poi le tensioni geopolitiche, le sfide di fronte a noi sono molteplici. Qual è il ruolo che vede per l'innovazione e del digitale? «L'emergenza globale ci ha messo duramente alla prova, ma ci ha anche mostrato nuove alternative, molte delle quali collegate all'innovazione tecnologica. Il ruolo della tecnologia sta cambiando: dall'essere focalizzato sull'efficienza e sul contenimento dei costi sta diventando un motore di crescita e un elemento sempre più ‘valoriale', in quanto strumento per disegnare un mondo più sostenibile e inclusivo. I drammatici eventi delle ultime settimane ci ricordano, in ogni immagine, quanto sia vitale per tutti pensare a un mondo più equilibrato socialmente, più sostenibile energeticamente, più sicuro sui territori e nei sistemi informatici. In tutte queste aree e molte altre, la tecnologia e il digitale sono elementi decisivi. Il ruolo che vedo per l'innovazione e il digitale è, pertanto, quello di strumento principe nelle mani dell'uomo per definire quello che io chiamo un nuovo modello di ‘design sociale'. Partendo da questa enorme responsabilità, in capo a chi governa le tecnologie, la sfida di tutte le sfide è la formazione e la capacità di completare le competenze tecnologiche con competenze umanistiche, sociali, psicologiche. Anche su questo fronte il nostro impegno è massimo. La nostra Academy, dove ogni anno migliaia di dipendenti nostri e dei nostri clienti hanno accesso a oltre 25mila ore di formazione, forma giovani talenti e si occupa di mantenere anche i professionisti già esperti allineati con la rapidità dell'evoluzione tecnologica. E portiamo questo enorme bagaglio di sapere direttamente anche nelle scuole».  SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 18/3/2022

18 Marzo 2022

MaticMind: «Conciliamo l’informatica con la sostenibilità. Un futuro da protagonisti in fibra, cloud e cybersecurity»

Il presidente e azionista di maggioranza, Carmine Saladino, ne parla a SustainEconomy.24 Conciliare le esigenze informatiche con la sostenibilità. Maticmind, system integrator che lavora per grandi aziende private e clienti pubblici come ministeri, strutture sanitarie ed enti locali, guarda alla trasformazione digitale del Paese con una strategia di crescita e l'impegno a facilitare il percorso. Come racconta Carmine Saladino, presidente e azionista di maggioranza della società che conta una partecipazione al 42% del Fondo Italiano d'Investimento (Cdp), a SustainEconomy.24, il report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School. Con un futuro di crescita, da protagonisti nel cloud, nella cybersecurity e nella fibra. La trasformazione digitale del Paese passa per resilienza, cybersecurity, cloud, ma anche sostenibilità ambientale e sociale. Quali sono il percorso e l'apporto di una realtà come Maticmind? «Il nostro impegno è quello di conciliare le esigenze informatiche dei clienti con quelle legate alla sostenibilità. Il gruppo Maticmind vanta più di mille clienti, fra realtà pubbliche e private, e per ogni cliente progetta soluzioni su misura. Oggi sicuramente la cybersecurity e il cloud sono centrali nello sviluppo del Paese: si stima infatti che il mercato della cybersicurezza in Italia cresca del 13% l'anno, mentre quello del cloud del 20%. Sono numeri importanti che mostrano come l'Italia stia rapidamente facendo dei passi in avanti necessari. Dico necessari perché, purtroppo, ancora oggi il 90% degli attacchi hacker inizia con la ricezione di una semplice mail. Per contrastare questo fenomeno Maticmind forma i suoi clienti, perché la sensibilizzazione è la prima arma di contrasto; in un secondo momento, mettiamo in piedi un'architettura a prova di attacco e grazie ad un centro operativo attivo 24 ore su 24, il Security Operation Center, monitoriamo attivamente le infrastrutture informatiche. Un lavoro che richiede attenzione e prontezza di reazione, stessi concetti che adottiamo in ambito green. Il tema della sostenibilità ambientale è ormai al centro di tutte le agende, a maggior ragione in questo momento in cui una guerra orribile sta provocando l'aumento incontrollato dei prezzi dell'energia. Molteplici sono i benefici e i risparmi che la diffusione dell'Ict abilita. Pensiamo, fra le altre cose, all'ottimizzazione delle reti elettriche (Smart Grid) o alla riduzione dei consumi per gli spostamenti indotta dalla diffusione del Remote Working. Con i nostri data center siamo in grado di garantire una gestione efficiente anche dal punto di vista energetico: ad esempio, nel processo di raffreddamento dei data center garantiamo un risparmio energetico di circa il 60%. Per conciliare l'evoluzione del gruppo con la responsabilità ambientale e sociale abbiamo creato recentemente un'apposita business unit, Digital Automation Solutions & Services, che nasce con l'obiettivo di fornire servizi di Building Automation, IoT e progettazione, nel rispetto della sicurezza e della qualità dell'ambiente». Viviamo una fase di crisi per l'industria e la produttività, complici anche i venti di guerra dopo la pandemia. Ci sono però le opportunità del Pnrr per migliorare anche le infrastrutture tecnologiche del Paese. Come si inserisce la vostra società in questo scenario? «La digitalizzazione del Paese è uno dei cardini del Pnrr. Maticmind vuole apportare il proprio contributo garantendo lo sviluppo delle migliori soluzioni per l'evoluzione del sistema industriale e l'accessibilità ai servizi della Pa da parte dei cittadini. La pandemia ha messo in luce alcune carenze strutturali cui il Paese si sta impegnando a sopperire. Il settore industriale privato, per mantenere gli alti livelli competitività sui mercati internazionali, ha bisogno di una forte spinta alla digitalizzazione, con integrazione digitale della supply chain, digital twin degli impianti, algoritmi AI per la manutenzione preventiva. Anche la Pubblica Amministrazione deve confrontarsi con nuovi processi e nuove modalità di erogare servizi alla cittadinanza. La sfida è tutta nella Rivoluzione Digitale: dematerializzazione documentale, digitalizzazione dei processi, rapporto virtuoso con il cittadino. Devo dire che sono stati fatti già molti passi in avanti: da marzo 2020 ad oggi siamo riusciti a colmare un gap importante. Per fare un esempio a tutti noto: smart working e smart office. Grazie a realtà come la nostra, milioni di dipendenti sia pubblici che privati, hanno potuto lavorare da remoto utilizzando gli strumenti necessari, con la massima sicurezza nella protezione e condivisione dei dati. Siamo andati anche oltre, perché in vista di una ripresa e di un ritorno alla normalità abbiamo studiato e realizzato un nuovo tipo di ufficio, smart e hi-tech, in grado di configurare la postazione in base alle esigenze dell'utilizzatore, capace di riconoscere l'utente che ne sta usufruendo, rendendo le postazioni condivisibili, garantendo un link costante fra lavoro in presenza e da casa. Alla base di tutto il processo di digitalizzazione, ci sono sempre le reti di telecomunicazione ed è noto a tutti che diverse zone del Paese sono ancora prive delle infrastrutture necessarie. Attraverso la controllata Fibermind vogliamo essere protagonisti nella progettazione delle reti più moderne ed efficienti, con particolare riferimento alle infrastrutture in fibra ottica e 5G. Su questo il Paese deve saper investire al meglio e grazie ai fondi del Pnrr credo che saremo in grado di compiere un ulteriore passo in avanti, garantendo a tutta l'Italia alti standard digitali». Avete un Piano industriale sfidante con una crescita sia per linee interne che esterne. Cosa c'è nel futuro di Maticmind? «Di recente abbiamo annunciato acquisizioni nel campo della progettazione ultrabroadband e 5G. Inoltre, abbiamo rafforzato la nostra leadership nella cybersecurity grazie a 2 importanti operazioni con cui abbiamo inaugurato il 2022. Negli ultimi anni abbiamo ampliato il nostro portafoglio per offrire soluzioni a 360 gradi. Il futuro ci vedrà protagonisti, vogliamo consolidare la nostra leadership nel settore Ict italiano e valutiamo nuove possibilità di espansione, verso il cloud e i servizi IT. Abbiamo chiuso il 2021 con un fatturato superiore ai 330 milioni di euro, siamo pronti a migliorarci». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 18/3/2022

18 Marzo 2022

Fabbroni (Sesa): «La sostenibilità nello Statuto per creare valore»

La tutela ambientale e la crescita economica sono parti integranti di un unico ecosistema, spiega il ceo della società che punta a 2,3 miliardi di ricavi nell'anno che si chiuderà ad aprile. Gli obiettivi di successo e crescita sostenibile nello Statuto. Alessandro Fabbroni, ceo di Sesa, ripercorre con SustainEconomy.24, report di Radiocor e Luiss Business School, il percorso della società attiva nell'innovazione tecnologica e nei servizi informatici e digitali per le imprese, quotata allo Star, che punta a 2,3 miliardi di ricavi nell'anno che si chiuderà ad aprile. Perché, spiega, la tutela ambientale e la crescita economica sono parti integranti di un unico ecosistema. Sesa ha inserito gli obiettivi di crescita sostenibile nel proprio Statuto. Ci parla del vostro percorso? «Nel gennaio 2021 l'assemblea di Sesa ha approvato all'unanimità (100% del capitale e quorum dell'82%) l'integrazione nello statuto dell'impegno a perseguire il successo e la crescita sostenibile a beneficio di tutti gli stakeholder. Il consenso ottenuto ha rafforzato il percorso in materia di sostenibilità e di evoluzione della governance, prevedendo obiettivi Esg per tutte le figure chiave e confermando l'impegno a supportare proattivamente lo sviluppo di modelli di creazione di valore innovativi e sostenibili. Il Gruppo Sesa è inoltre da sempre impegnato in politiche e programmi di sostenibilità a beneficio delle proprie risorse umane, con un piano welfare tra i più articolati del settore, finalizzato a promuovere il work-life balance degli oltre 4.000 dipendenti. Siamo sensibili al tema della tutela ambientale e il gruppo si impegna a operare secondo i principi dello sviluppo sostenibile, attraverso programmi di gestione responsabile delle risorse naturali, lo sviluppo dell'offerta di servizi e tecnologie digitali abilitanti l'efficientamento energetico e la produzione da fonti rinnovabili e la mobilità sostenibile. Sesa sta riducendo il proprio impatto diretto, diminuendo i consumi e i rifiuti prodotti e privilegiando le risorse ecosostenibili. Seguiamo le best practice internazionali per minimizzare l'impatto ambientale e sviluppare nuove tecnologie per il risparmio energetico, per la riduzione delle emissioni e per aumentare le performance e la qualità dei mezzi utilizzati. Per attuare questi impegni, abbiamo redatto una Politica Ambientale di Gruppo, ottenendo nel 2021 la certificazione ambientale e introducendo un Sistema di Gestione Ambientale». Avete avviato il processo di certificazione B Corp. A che punto siete? «La certificazione B Corp è uno degli step che fanno parte del nostro percorso di evoluzione, all'insegna della crescita sostenibile. La certificazione è coerente con la mission del gruppo di promuovere la digitalizzazione di imprese ed organizzazioni, supportandole nella propria trasformazione verso la sostenibilità, e si focalizza sull'impegno e la continua evoluzione di 4 aree fondamentali: governance, persone, comunità e ambiente. Nel corso del 2021 abbiamo misurato l'impatto ambientale e sociale attraverso il B Impact Assessment (BIA), sviluppato da B Lab, che misura il valore prodotto, considerando non solo gli aspetti economici ma anche quelli ambientali e sociali. Un punto di partenza per il miglioramento progressivo delle performance di sostenibilità aziendale, con l'obiettivo di superare la soglia di eleggibilità necessaria ad ottenere la certificazione B Corp. Il piano prevede un approccio incrementale/bottom-up, certificando le principali società del gruppo in modo progressivo». Nel settore in cui operate, è possibile conciliare la redditività e l'attenzione ai risultati con la creazione di valore a beneficio di tutti gli stakeholder? «Attraverso la creazione di valore durevole per tutti gli stakeholder, Sesa ritiene di poter massimizzare anche il valore di lungo termine degli azionisti, in quanto il benessere delle persone e delle comunità, la tutela ambientale e la crescita economica sono parti integranti di un unico ecosistema. La tecnologia e la digitalizzazione si rivelano sempre più fondamentali per semplificare e rendere più efficienti le attività umane, anche e soprattutto nelle organizzazioni aziendali. In particolare, la digitalizzazione dei processi si sta dimostrando un passaggio cruciale per migliorare la circolazione delle informazioni, con evidenti vantaggi anche in termini di sostenibilità ambientale e di circolarità». Avete appena diffuso i risultati dei 9 mesi. Cosa si aspetta per Sesa nel nuovo anno? «I primi nove mesi dell'esercizio al 30 aprile 2022 si sono chiusi con un forte aumento di ricavi e redditività, rispettivamente del 15% e 40%, spinti dalla crescita del perimetro di attività e dalla domanda di digitalizzazione di imprese ed organizzazioni. Il nostro gruppo si conferma così operatore di riferimento e polo di aggregazione nel settore IT. Nell'intero esercizio puntiamo a realizzare 2,3 miliardi di euro di ricavi con 4.250 dipendenti ed una crescita della redditività di oltre il 30% a livello operativo (circa 166 milioni) e del 35% a livello di redditività netta (circa 80 milioni). Continueremo a investire nello sviluppo di competenze digitali, risorse umane e business application con l'obiettivo di proseguire il nostro track record di lungo termine, che ha visto crescere mediamente i ricavi di oltre il 10% e la redditività di oltre il 15% all'anno tra il 2011 e il 2021, generando valore sostenibile a beneficio di tutti gli stakeholder. In particolare, la nostra strategia di sviluppo focalizzata su competenze digitali verticali e risorse umane resta fondamentale in uno scenario internazionale di crescente incertezza come quello attuale». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 18/3/2022

18 Marzo 2022

Zerynth: «La nostra piattaforma IoT per aiutare le imprese in innovazione 4.0 e sostenibilità»

Gabriele Montelisciani, uno dei fondatori e ceo della startup: trasformare le macchine per ridurre i consumi e migliorare i prodotti L'utilizzo di una piattaforma IoT (Internet of Things) per aiutare le imprese del manifatturiero a spingere su innovazione e sostenibilità trasformando presse, torni e telai in impianti 4.0. E' l'obiettivo di Zerynth, una startup fondata nel 2015, che vuole aiutare aziende manifatturiere e system integrator a trarre valore dai dati e aprirsi all'efficientamento di prodotti e processi e al risparmio energetico. In tutti i settori industriali, dall'automotive alla refrigerazione industriale, dallo smaltimento dei rifiuti alla nautica fino all'agricoltura. L'azienda che ha, come socio, il fondo Vertis Venture 3 Technology Transfer che ha investito due milioni di euro, acquisendo il 36%, punta a raddoppiare il fatturato quest'anno. Come racconta uno dei fondatori e ceo, Gabriele Montelisciani, a SustainEconomy.24, report di Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School. Zerynth è una startup che supporta le aziende nella digitalizzazione dei processi industriali. Come volete trasformare l'industria? «Le aziende, e lo vediamo soprattutto in questa fase storica, hanno bisogno di essere più efficienti e di ottenere il massimo dai propri asset industriali; quindi, nell'ambito di questa necessità, noi mettiamo a disposizione una soluzione basata su tecnologia IoT, Internet delle cose, che permette di connettere asset industriali di qualsiasi tipo e di qualsiasi età in modo da ottenere il maggior numero di informazioni nel minor numero di tempo e con il più basso investimento possibile per l'impresa. In tal modo, l'impresa ha tutte le informazioni necessarie per prendere decisioni di efficientamento, sia energetico che del processo produttivo o di riorganizzazione della produzione o, perché no, anche creare nuovo valore aggiunto, nuovi prodotti o servizi. Senza dover andare a sostituire un macchinario industriale, una pressa, un tornio, un telaio, che può arrivare a un valore di qualche milione di euro». Avete supportato le imprese in settori come quelli del risparmio energetico ma anche della sicurezza dei rifiuti. Come aiutate le imprese ad accelerare sui temi della sostenibilità? «Lo facciamo in due modi. Innanzitutto, fornendo le informazioni direttamente dalla macchina per mettere in condizione l'imprenditore di prendere delle decisioni di ottimizzazione ed efficientamento nel modo più consapevole possibile. Un esempio, nel settore delle materie plastiche, è il lavoro fatto con Armal. Abbiamo sviluppato un sistema IoT industriale per il monitoraggio in tempo reale del consumo energetico delle presse che ha consentito di ridurre i consumi energetici del 40%, con picchi fino al 70%. Oppure, nel settore dello smaltimento dei rifiuti, dove non esisteva un sistema che, con tecnologia molto semplice ma molto efficace, potesse dare in tempo reale le informazioni sui livelli del percolato all'interno della discarica. E tutto questo senza cambiare le macchine, che è il secondo elemento». State guardando ad altri settori? «C'è un settore interessante - un manifatturiero un po' allargato - che è quello dell'agricoltura e vivaistica industriale. In questi contesti acqua e risorse energetiche sono il punto veramente problematico e dare la possibilità, anche qui, in un modo estremamente semplice, all'imprenditore che gestisce il processo, di avere i dati sui consumi, sulla corretta crescita delle piante o dei frutti, va nella direzione di efficientare il sistema e creare maggiore valore aggiunto, riducendo anche i costi non solo di produzione ma anche sul cliente finale, un elemento oggi molto importante. Spesso le informazioni sono i veri fertilizzanti». Anche alla luce del Pnrr ci sono prospettive interessanti per voi. Vi siete dati degli obiettivi? «L'obiettivo che ci siamo dati è superare la logica dell'azione mirata ad ottenere semplicemente un supporto economico con gli incentivi sul 4.0 per acquistare una nuova macchina ma piuttosto avere il Pnrr che dà una visione più ampia di filiera e di controllo dell'intero processo e investire sulle aziende che vogliono veramente investire in tecnologie per efficientare». Come Zerynth, invece, che obiettivi avete? «Abbiamo chiuso il 2021 con circa un milione di euro di fatturato e veniamo da un percorso che è iniziato due anni fa con un investimento venture capital di due milioni di euro. Abbiamo come obiettivo quest'anno di raddoppiare il nostro fatturato e di aumentare fortemente il nostro organico. L'obiettivo è quello di diventare, anche attraverso partner industriali importanti, nel settore Ict, il punto di riferimento per tutte le Pmi, e anche le grandi imprese, che vogliono investire in digitalizzazione semplice ed efficace senza grossi investimenti o cambiamenti all'interno del proprio impianto».  SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 18/3/2022

04 Marzo 2022

Toto (Renexia): «I nostri progetti per produrre energia green nel Mediterraneo»

ll direttore generale parla del parco eolico offshore di Taranto che sarà completato in un mese e del maxi progetto Med Wind, all'impronta della sostenibilità e attenzione al territorio Sulle rinnovabili si sta andando nella giusta direzione: occorre accelerare perché sono fonti accessibili, pulite e inesauribili tali da poter evitare le fluttuazioni dei prezzi dell'energia che stanno caratterizzando questa fase storica. Ma bisogna garantire tempi certi. Riccardo Toto, direttore generale di Renexia, la subholding del gruppo Toto che si occupa di energia green, racconta a SustainEconomy.24, report di Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School l'esperienza internazionale negli Usa e parla dei progetti in Italia: il parco eolico offshore di Taranto, il primo nel Mediterraneo che sarà completato entro un mese e dove si studia anche  la  fattibilità, in futuro, dell'idrogeno, e il maxi progetto per Med Wind, il parco offshore floating nel Canale di Sicilia per un investimento da 9 miliardi. «Non ci sono problemi di autorizzazione» assicura ma «se non sarà sostenibile a 360 gradi ci fermeremo». La transizione energetica ed ecologica e la crisi geopolitica richiedono una accelerazione sulle rinnovabili. E il tema si lega inevitabilmente anche al caro energia. Si sta andando nella giusta direzione e cosa occorre per favorire questa accelerazione? «Riteniamo che si stia andando nella giusta direzione, c'è una spinta forte verso le energie rinnovabili. Si sta vivendo una crisi non dovuta alle quantità del gas, ma al prezzo quadruplicato per motivi che vanno al di là dei costi di produzione e sono legati al mercato e alimentati dai venti di guerra. L'energia generata dalle fonti rinnovabili, invece - soprattutto se si tratta di fonti presenti sul territorio o nelle acque nazionali- non subisce fattori esogeni consentendo al prezzo di rimanere fisso. Si tratta di fonti che, oltre ad essere pulite e accessibili, sono anche inesauribili, e il fatto che nessuno può aprire e chiudere il rubinetto può avere un impatto importante sull'economicità della risorsa. A ciò vanno sommate le numerose ricadute in ambito sociale che si avranno quando la produzione partirà in modo massiccio. L'Italia è nella posizione di utilizzare al meglio queste risorse; certo, sicuramente, c'è la necessità di sburocratizzare gli iter per le autorizzazioni dei progetti. Si sta procedendo in questa direzione, i tempi sono effettivamente ancora lunghi, ma ciò che è importante è avere certezza dei progetti e dei tempi». Parliamo dei progetti di Renexia. State realizzando a Taranto il primo parco eolico offshore del Mediterraneo. A che punto siete? Quali sono i numeri in termini di investimento e i risultati attesi? «Stiamo montando la terza turbina e riteniamo che entro un mese circa, l'impianto possa essere completato. Beleolico è un parco che consentirà di dare energia, totalmente verde, a 60mila persone e un contributo importante al territorio perché consente di programmare l'investimento sui 25 anni della durata della concessione. Per noi si tratta di un investimento da circa 80 milioni e le stime sui risultati attesi sono positive. E' il primo in Italia e nel Mediterraneo e, oltre a fornire questa energia avrà anche un ulteriore sviluppo: stiamo, infatti, verificando qual è la migliore technicality per trasformare una quota parte dell'energia in idrogeno, in un territorio dove ci sono molte industrie, c'è l'ex-Ilva e la raffineria. Naturalmente tutto si è svolto con un'attenzione particolare all'ambiente, sono state eseguite tutte le analisi e presi tutti gli accorgimenti sulla sostenibilità. E il coinvolgimento del territorio è stato assolutamente rilevante e, proprio in questi giorni, siamo presenti presso alcuni punti della città per spiegare il progetto e le ricadute sul territorio». Più difficoltà sta incontrando il progetto del maxi parco eolico nel mare di Sicilia. Quali sono le potenzialità? «Il parco eolico Med Wind - previsto a 60 km dalla costa siciliana e a 45 km dall'isola di Marettimo e non sarà oggettivamente visibile dalla costa - è un progetto importantissimo per noi, ideato a seguito dell'esperienza negli Stati Uniti. Qui abbiamo totalmente invertito il paradigma: siamo partiti dalle necessità del territorio e dalla sostenibilità totale del progetto tant'è che l'abbiamo presentato, prima di tutto, alle associazioni ambientaliste per condividere con loro lo studio del progetto. Abbiamo fatto una serie di sondaggi per assicurarci che lo specchio d'acqua interessato fosse quello giusto e andasse a interessare un'area idonea per questo tipo di costruzione. Il sistema eolico offshore floating, quindi non infisso sul fondale marino, garantisce la salvaguardia della fauna e della flora marina e, in certi casi, può contribuire a ripopolarsi. E' un progetto oggettivamente rilevante - perché parliamo di 2,9 gigawatt per un investimento di 9 miliardi - che potrà dare energia a circa 3,4 milioni di famiglie, taglierà circa 2,7 milioni di tonnellate annue di C02 e consentirà di risparmiare circa 100 milioni di euro all'anno sulle bollette dei siciliani. Inoltre, stiamo cercando di costruire una filiera totalmente italiana attorno al progetto. Secondo uno studio di Deloitte, è prevista la creazione di circa 6.600 posti di lavoro in Sicilia per il periodo di costruzione e più di 700-800 posti di lavoro fissi per tutti i 25 anni di operation del parco. L'iter autorizzativo procede e contiamo prima dell'estate di poter consegnare la SIA (Studio Impatto Ambientale). Per quanto riguarda le recenti osservazioni sollevate dalla commissione cultura dell'Assemblea Regionale Siciliana, teniamo a precisare che, dalle indagini svolte, non è emerso nessun vincolo dal punto di vista archeologico; siamo pronti a confrontarci e sono già stati previsti una serie di incontri ulteriori con le amministrazioni competenti per poter condividere il progetto perché, come abbiamo sempre detto, lo porteremo a termine se avremo la certezza che sia sostenibile a 360 gradi sia dal punto di vista ambientale, sia dal punto di vista economico. Dagli studi realizzati finora c'è un grande ritorno economico in termini di indotto e nessun impatto ambientale negativo». Invece continua la crescita negli Usa. Ce ne parla? «Stiamo continuando a lavorare sugli Stati Uniti, in particolare nello Stato del Maryland, dove ci siamo aggiudicati ulteriori 800 megawatt a tariffa. In questo momento abbiamo quindi circa 1.100 megawatt tariffati. Il progetto sta andando avanti, e stiamo anche completando tutta la documentazione necessaria per la realizzazione di una steel factory nell'area di Baltimora che creerà diversi posti di lavoro. Siamo molto soddisfatti». Ci sono altri progetti per Renexia? «Siamo impegnati nell'installazione delle prime aree di servizio per ricarica elettrica sull'autostrada A24-A25 dove stiamo installando colonnine da 350 Kw ad altissima velocità che consentiranno di ricaricare una macchina tra i 5 e i 6 minuti, un notevole passo avanti rispetto al passato».  SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 4/3/2022

04 Marzo 2022

Tap: «Pronti ad assicurare le forniture a Italia e Ue con aumento capacità. E in futuro l’idrogeno»

Il managing director, Luca Schieppati, ne parla a SustainEconomy.24 Nel suo primo anno di operatività il gasdotto Tap, che porta gas dall'Azerbaijan ha trasportato in Europa oltre 8 miliardi di metri cubi di gas, di cui 6,8 miliardi in Italia ed ha contribuito ad annullare il differenziale storico di circa il 10% che l'Italia pagava sul prezzo all'ingrosso rispetto ad altri Paesi europei. Il gasdotto, in prima linea in questi giorni di  particolare congiuntura e crisi storica, può aumentare i volumi già quest'anno ed è pronto ad anticipare il raddoppio della capacità. Come spiega Luca Schieppati, managing director di Tap, in un'intervista a SustainEconomy.24, il report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School. Il gasdotto Tap si sta rivelando importante in questa particolare fase di congiuntura e geopolitica. A che punto siete? Quali sono i numeri di Tap oggi? «I primi flussi di gas dall'Azerbaigian sono arrivati in Italia, nel Terminale di Ricezione di Melendugno, il 31 dicembre 2020. Nel suo primo anno di operatività, Tap ha trasportato in Europa oltre 8 miliardi di metri cubi di gas naturale, di cui circa 6,8 in Italia, contribuendo significativamente a rafforzare la sicurezza degli approvvigionamenti del nostro Paese e dell'intero continente». É possibile accelerare o anticipare i target per quest'anno per contribuire a ridurre i prezzi, contenere il caro-bollette e affrontare i rischi di approvvigionamenti? «In termini di costo della materia prima, già nel corso del 2021 l'entrata in esercizio di Tap ha contribuito, insieme ad altri fattori, ad annullare sostanzialmente, e talvolta perfino ad invertire, il differenziale storico di circa il 10% che l'Italia pagava sul prezzo all'ingrosso del gas naturale rispetto alle altre nazioni del Centro e del Nord Europa. Nel breve termine, consci delle criticità connesse all'attuale congiuntura di elevata domanda e scarsa offerta, ci stiamo concentrando nel raggiungere il pieno utilizzo dell'attuale capacità del gasdotto, ovvero 10 miliardi di metri cubi/anno sulla base dei contratti di trasporto a lungo termine. Anche utilizzando la capacità offerta da Tap a breve termine, mediante le aste sulla piattaforma Prisma, ulteriori volumi aggiuntivi potrebbero poi essere disponibili dall'area del Caspio nel corso dell'anno. In un orizzonte di lungo periodo, è in corso la consultazione pubblica per sondare l'interesse del mercato per un'espansione di capacità che tipicamente si origina quando avviene l'incontro tra nuova disponibilità di domanda, ovvero l'interesse del mercato italiano ed europeo ad assicurarsi su base vincolante ulteriori volumi di gas rispetto agli attuali 10 miliardi di metri cubi, e di offerta, in altre parole la produzione aggiuntiva nell'area del Caspio. Possiamo anticipare di circa un anno rispetto ai due originariamente previsti la conclusione di questa procedura e, a fronte di una sua conclusione positiva, possiamo avviare gli investimenti necessari e concluderli in un arco temporale di circa 4 anni». Parliamo di transizione. Il Tap ha caratteristiche green? «Nuovi volumi di idrogeno e altri gas rinnovabili potranno essere trasportati in futuro lungo la nostra infrastruttura. È un percorso che abbiamo già intrapreso; abbiamo completato con Snam un primo studio per il trasporto di idrogeno in miscela con il gas naturale ed è in corso la preparazione per prove di laboratorio per testare i materiali e porre il nostro gasdotto ‘a prova di futuro'». Quindi vede concretamente la possibilità di trasportare idrogeno in futuro? «Mi riallaccio alle risposte precedenti e mi permetto di sottolineare come in realtà l'espansione della capacità sia davvero il modo migliore, se non l'unico, per Tap di contribuire a facilitare la realizzazione delle ambizioni energetiche e climatiche italiane ed europee. Nuovi volumi di idrogeno e altri gas rinnovabili potranno essere trasportati attraverso l'espansione della capacità di Tap e relativi adeguamenti per veicolare l'idrogeno in miscela con il gas naturale, essendo la capacità attuale sostanzialmente prenotata nella sua totalità dagli attuali contratti di trasporto a lungo termine». E che ruolo può svolgere il gas nella transizione? «Nei colloqui tenutisi a Baku durante il Southern Gas Corridor Advisory Council, cui ho avuto l'onore e il piacere di partecipare, la Commissaria Ue all'Energia Kadri Simson ha ribadito il ruolo del gas naturale e di Tap nel garantire sia la sicurezza degli approvvigionamenti sia una just transition verso una progressiva decarbonizzazione. A beneficiare di nuovi ulteriori flussi dall'Azerbaijan sarebbero non solo i Paesi membri, tra cui l'Italia, ma anche quelli dell'area dei Balcani Occidentali, ancora fortemente dipendenti dall'utilizzo su larga scala di carbone e di lignite». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 3/4/2022

04 Marzo 2022

Batistoni (Enea): «Dalla fusione nucleare energia pulita e sicura. Il 2050 è il nostro traguardo»

Importanti le ricadute per il sistema industriale, spiega la responsabile della Sezione Sviluppo e Promozione della Fusione dell'Enea Sviluppare la fusione nucleare per produrre energia sicura, pulita e illimitata. Paola Batistoni, responsabile della Sezione Sviluppo e Promozione della Fusione dell'Enea, racconta a SustainEconomy.24, report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School, la road map della ricerca a livello europeo e italiano con l'obiettivo di arrivare a energia in rete intorno al 2050. Parla delle importanti ricadute per il sistema industriale e anche degli investimenti di magnati come Gates o Bezos. Il lavoro sulla fusione nucleare quanto contribuirà a garantire energia pulita in futuro? «Noi stiamo sviluppando l'energia da fusione proprio per questo motivo, per vedere di rendere disponibile all'umanità una fonte di energia che non produce anidride carbonica, quindi non produce gas climalteranti, è sicura ed è illimitata con risorse disponibili per centinaia di migliaia di anni, forse milioni. Una fonte di energia che, a differenza delle rinnovabili, ha una regia programmabile. Quindi, la ricerca sulla fusione è finalizzata a realizzare una fonte di energia con queste buone caratteristiche che possa integrare le rinnovabili e contribuire davvero ad una società completamente decarbonizzata». Ci aiuta a capire cosa si sta facendo a livello di ricerca? «Intanto occorre chiarire che alla fusione stanno lavorando tutti i Paesi avanzati. In Italia, come nel resto del mondo, le ricerche sono cominciate alla fine degli anni ‘50 ma sono cominciate da zero. Per realizzare la fusione nucleare in laboratorio, infatti, occorre portare la materia in condizioni estreme, confinando in gabbie magnetiche un gas di idrogeno a temperature 10 volte più elevate di quelle che abbiamo nel centro del sole - tipicamente 150 milioni di gradi - e questo è necessario perché la fusione avviene all'interno delle stelle dove però c'è una densità di materia molto più elevata. Pertanto, riuscire a realizzare in laboratorio le condizioni per la fusione è stato oggetto di ricerche per anni ed ha richiesto lo sviluppo di nuovi campi della fisica. Ora riusciamo a raggiungere queste condizioni nei nostri laboratori, e ottenere la fusione e controllarla per tempi relativamente lunghi. Due terzi del mondo - l'Europa, gli Stati Uniti, la Russia, l'India, il Giappone la Corea del Sud – stanno collaborando al primo reattore, sempre sperimentale, ma della taglia di un reattore vero e proprio, che si chiama Iter (International Thermonuclear Experimental Reactor) che stiamo costruendo in Francia e che dovrà produrre 500 megawatt di potenza di fusione, per tempi lunghi - dalle decine di minuti fino all'ora. Per dimostrare la fattibilità scientifica e tecnologica della fusione. Abbiamo, poi, Eurofusion, un programma europeo coordinato da Euratom, a cui collaborano tutti i Paesi europei, che ha elaborato una road map per arrivare ad avere energia da fusione; naturalmente una tappa fondamentale della roadmap sarà il successo di Iter, poi ci sono attività parallele per sviluppare le tecnologie necessarie per passare dal reattore sperimentale a quello dimostrativo in grado di immettere energia elettrica in rete». A livello di tempi cosa prevedete?  «Non siamo all'anno zero, abbiamo già soluzioni che però devono essere testate e qualificate per essere utilizzate in un reattore di potenza. Per questo diciamo che ci servono ancora circa trent'anni. Sui tempi siamo molto chiari: dobbiamo finire di costruire Iter e fare la sperimentazione almeno per una decina di anni e, in parallelo, sviluppare tutte le tecnologie, per poi avere, finalmente, energia in rete. Quindi realisticamente la metà del secolo è il nostro traguardo». Quali sono il ruolo e l'apporto dell'Italia? «L'Italia ha una lunghissima tradizione sulla fusione. E i laboratori Enea hanno iniziato a studiare gas ionizzati già negli anni '60. Stiamo contribuendo in maniera importante al programma europeo e siamo i secondi contributori del consorzio Eurofusion dopo la Germania. Siamo forti nella fisica dei plasmi e nella sperimentazione, in tante tecnologie dai materiali speciali che servono per i reattori, ai magneti e cavi superconduttori, stiamo veramente lavorando a 360 gradi. Grazie alla nostra presenza come presidio di ricerca e alla collaborazione che abbiamo sempre avuto con il settore industriale, l'industria italiana - per quanto riguarda il reattore Iter - ha avuto commesse per 1,8 miliardi, una grossa frazione dell'investimento europeo. È un caso di successo con ricadute sul nostro sistema produttivo e un impatto economico. Enea partecipa a Eurofusion coordinando circa venti istituti, fra cui il Cnr, Infn, molte università e alcune industrie. Nei prossimi anni, l'Italia contribuirà alla roadmap europea con un nuovo grande esperimento di fusione in via di costruzione presso l'Enea di Frascati, chiamato Divertor Tokamak Tesrìt (DTT), nell'ambito di una collaborazione tra Enea, Eni e altri istituti e università italiani, con un investimento totale di circa 600 milioni di euro». Si è arrivati dunque, ad una fase della ricerca in cui c'è una forte collaborazione internazionale ma anche importanti opportunità? «E' un settore dove c'è grande collaborazione internazionale ma c'è anche competizione sugli aspetti industriali perché ci sono ricadute industriali notevoli e un interesse strategico da parte di tutti i Paesi per lo sviluppo tecnologico. C'è anche da dire che, negli ultimi anni, c'è stato un forte interesse anche dei privati. Grazie agli investimenti di personaggi noti come Bill Gates, Jeff Bezos, circa 40 società in tutto il mondo hanno raccolto alcuni miliardi di dollari da destinare alla fusione. E si affacciano a questo settore, a mia opinione, perché capiscono che siamo arrivati ad un certo punto di maturità e perché c'è un gran bisogno di fonti di energia che non siano climalteranti. Alcuni propongono configurazioni leggermente diverse e più semplici o si ripromettono di sviluppare soluzioni tecnologiche più spinte in maniera di arrivare alla fusione prima rispetto alla nostra valutazione. Pensiamo che tutto questo interesse e questo sforzo dei privati sia assolutamente positivo e che possa portare a soluzioni migliori. Siamo, invece, un po' scettici sulle promesse di tempi molto più brevi. Il nostro approccio, tipico delle imprese pubbliche, è più conservativo, assume meno rischi, ma comunque con una strada ben tracciata». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 4/3/2022

04 Marzo 2022

Anev: «L’Italia ha il potenziale eolico per centrare i target e abbassare i prezzi. Ma la burocrazia è freno»

Il presidente dell'associazione, Simone Togni, avverte: le ultime novità normative innescano la fuga degli investitori L'Italia ha un potenziale eolico importante in grado di centrare i target di decarbonizzazione al 2030, aiutare a tagliare le bollette e ridurre la dipendenza dal gas russo. Ma, con la burocrazia, non riusciremo mai a raggiungere questi obiettivi. Simone Togni, presidente di Anev, l'Associazione nazionale energia del vento, ne parla a SustainEconomy.24, report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School. E le ultime novità normative, dice, non fanno che peggiorare la situazione innescando una fuga degli investitori. L'energia eolica può svolgere un ruolo importante nella transizione. A che punto siamo in Italia?  «Il potenziale eolico nazionale al 2030 è pari a 19,3 GW. In Italia siamo giunti ad una potenza eolica installata pari a 10,93 GW ma la crescita negli ultimi anni è stata lenta e non adeguata al passo richiesto dalla transizione. Negli ultimi nove anni i dinieghi delle soprintendenze sono stati costanti e le autorizzazioni sono passate da 1.200 MW nel triennio 2012-2014 a 750 MW nel 2015-2017 (con un calo del 40%), fino ai miseri 125 MW nell'ultimo triennio 2018-2020 con un calo dell'80%. Il Pniec prevede, al 2030, il raddoppio della capacità eolica rispetto a quella installata in Italia oggi, a 20 GW, che consentirà una produzione di energia elettrica superiore ai 40 TWh. Purtroppo, con l'attuale sistema burocratico non arriveremo mai a raggiungere gli obiettivi prefissati; infatti, ci vogliono in media 5 anni e mezzo per autorizzare i nuovi impianti contro l'anno previsto. L'inizio dei lavori del primo impianto eolico offshore in Italia, a Taranto, è la dimostrazione del fatto che abbiamo aziende all'avanguardia, ma devono essere messe in condizione di lavorare, senza ostacoli burocratici». Quali sono le potenzialità che vede in un prossimo futuro e a lungo termine?  «Il settore eolico è tranquillamente in grado di garantire l'installazione della potenza elettrica necessaria a centrare i target di decarbonizzazione al 2030 e di arrivare a ben oltre i 30 GW al 2050, considerando anche le applicazioni off-shore. Questo consentirebbe di triplicare l'attuale produzione elettrica e coprire circa il 20% dei consumi nazionali con grande beneficio in termini di riduzione delle emissioni di gas climalteranti e di risparmio di barili di petrolio equivalenti. E aiuterebbe significativamente ad abbassare il costo della bolletta energetica del nostro Paese, considerando che il costo dell'energia eolica è intorno ai 65 €/MWh contro gli oltre 200 €/MWh che oggi sono quotati in borsa a causa del costo del gas. Tale crescita garantirebbe, poi, un importante incremento delle prospettive occupazionali: dalle sedicimila attuali fino a quasi centomila unità, soprattutto in aree del Paese notoriamente ‘depresse'. Purtroppo, il quadro normativo e regolatorio attuale difficilmente ci consentirà di raggiungere questi obiettivi se non si attueranno politiche di semplificazione profonde». A proposito di autorizzazioni e burocrazia, gli ultimi decreti possono aiutare? «Purtroppo, le ultime novità normative non fanno che peggiorare la situazione. Il Dl Sostegni Ter prevede, a favore delle imprese, un intervento stimato in 1,7 miliardi, volto a contenere l'aumento dei costi delle bollette prelevando dalle tasche dei produttori di rinnovabili che vendono l'energia elettrica sul libero mercato oltre due terzi del valore dell'energia riconosciuto alle altre fonti. Questa norma ha visto la luce senza una condivisione con i corpi intermedi rappresentativi dei vari settori colpiti, e questo metodo non può essere condiviso. La reazione è stata unanime, basti pensare che hanno congiuntamente mandato una lettera di protesta al premier Draghi i rappresentanti dei produttori di energia, dei consumatori, delle imprese tecnologiche del settore energetico e le associazioni ambientaliste. La norma mette in grave rischio il corretto svolgimento delle dinamiche di mercato e non risolve minimamente la situazione emergenziale. Questa norma, qualora non venisse eliminata, comporterebbe una fuga degli investitori dal nostro Paese». Quindi i target dell'Italia sul fronte delle rinnovabili sono a rischio? E quanto aiuterà il Pnrr? «Gli obiettivi che il nostro Paese ha assunto in sede comunitaria sono fortemente a rischio se non si agirà velocemente a dare certezze del rispetto delle regole di mercato e se si attueranno le attese politiche di semplificazione necessarie. L'ultimo report di WindEurope e Anev riporta dati sconcertanti per tutta Europa: per raggiungere il target rinnovabili del 40% al 2030, l'Ue dovrebbe installare 30 GW di eolico ogni anno. Per dare un elemento di confronto in Europa si sono installati solo 11 GW nell'ultimo anno e circa 18 GW all'anno nei prossimi anni. Quote così basse mettono in pericolo il Green Deal e stanno danneggiando il settore eolico europeo. Ci troviamo di fronte ad obiettivi che sulla carta potrebbero dare impulso alla transizione ecologica, risolvendo anche la dipendenza del vecchio continente dal gas russo, ma che di fatto anche per mezzo di norme che danneggiano il settore, non si riuscirà a raggiungere». Parliamo appunto del caro energia. Crede che gli interventi strutturali decisi siano sufficienti? «Gli interventi presi dal Governo non solo non saranno sufficienti a contrastare il caro energia, ma sono lesivi di interi settori industriali. E l'attuale conflitto in Ucraina non aiuterà. La crisi energetica è causata dall'aumento del costo del gas che si sta ripercuotendo sui costi finali dell'energia elettrica ed è un elemento di criticità per il sistema produttivo e per le famiglie. Questa situazione di impennata dei costi energetici è causata dal crescente costo di produzione dell'energia da fonti fossili, in particolare dal gas, mentre le fonti rinnovabili, per loro natura, hanno un costo fisso. Infatti, in questi giorni, quando il prezzo dell'energia elettrica in Italia ha toccato i 250 €/MWh, in alcuni mercati del Nord Europa, grazie alla elevatissima produzione di energia dal vento e dal sole, il prezzo del kWh è sceso in negativo. L'Italia ha voluto, negli anni, contrastare lo sviluppo di queste tecnologie e ora ne paga le conseguenze. Si sarebbe dovuto intervenire sia negli anni passati tramite la transizione energetica promessa e non attuata, sia tramite sistemi di approvvigionamento adeguati delle risorse necessarie. Oggi dobbiamo correre per recuperare il tempo perso e lo possiamo ancora fare, basti pensare che ci sono progetti presentati per le autorizzazioni e che hanno chiesto già la connessione a Terna per ben oltre il numero previsto al 2030. Vanno analizzati in tempi rapidissimi e, nel dovuto rispetto del paesaggio e delle norme ambientali previste, autorizzati subito. Mettendo tali impianti a mercato, e non levandoli come sciaguratamente ha fatto il nostro Governo, il prezzo dell'energia elettrica scenderà insieme alla nostra dipendenza energetica. La nostra proposta al Governo è spingere sulle nuove rinnovabili senza indugio, scoraggiare l'utilizzo delle fonti fossili tagliando gli ingentissimi sussidi a loro riconosciuti, in questo modo abbatteremo i costi della bolletta elettrica e procederemo verso la transizione ecologica con decisione». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 4/3/2022

18 Febbraio 2022

Google: «Ricerche online sostenibili e il nostro impegno per l’ambiente. Zero emissioni al 2030 e data center green»

Kate Brandt, chief Sustainability officer di Google, racconta il percorso della big company e gli investimenti green con una forte risposta di utenti e imprese Carbon neutral dal 2007, Google punta a zero emissioni al 2030 in tutte le operazioni e nella catena del valore. Kate Brandt, Chief Sustainability Officer di Google, racconta in un'intervista a SustainEconomy.24, il percorso della big company Usa che passa dai data center sostenibili, alimentati da energia carbon neutral e water positive. Al guidare gli utenti nelle scelte sostenibili nei viaggi, negli alloggi, negli investimenti finanziari o nell'acquisto di un prodotto e nei percorsi eco-friendly su Google Maps, in arrivo in Europa nel 2022. «Entro il 2025, ci aspettiamo di aver attivato oltre 2 miliardi di euro di investimenti in nuovi progetti per generare energia pulita e infrastrutture green in Europa, che speriamo aiutino anche a creare più di 2.000 nuovi posti di lavoro», sottolinea Brandt. Che vede una forte risposta da parte degli utenti e delle imprese. «Negli ultimi cinque anni in Google abbiamo visto un aumento di quasi 5 volte nelle ricerche online di beni sostenibili». L'impegno per l'ambiente di Google ha già raggiunto obiettivi importanti. Carbon neutral dal 2007, Google punta a zero emissioni al 2030. A che punto siamo? «Siamo in grado di assumerci questi impegni perché la sostenibilità è un valore fondamentale fin dalla fondazione di Google, più di 20 anni fa. Nel 2007 siamo stati la prima grande azienda a diventare carbon neutral, e nel 2017 abbiamo compensato il nostro uso di energia con il 100% di energia rinnovabile, e lo abbiamo fatto per quattro anni di fila. Ora il nostro nuovo obiettivo è quello di raggiungere entro il 2030 emissioni nette zero in tutte le nostre operazioni e nella catena del valore. E prima del 2030 puntiamo a ridurre la maggior parte delle nostre emissioni (rispetto al 2019). Siamo orgogliosi dei progressi che stiamo facendo. Cinque dei nostri data center, compresi quelli in Danimarca e Finlandia, sono alimentati al 90% o quasi di energia carbon neutral». Ma la sfida della sostenibilità non si ferma all'ambiente e al cambiamento climatico. Avete annunciato innovazioni nelle ricerche, nei percorsi, nelle soluzioni di viaggio. Qual è l'obiettivo? «Vogliamo rendere la tecnologia disponibile per tutti, organizzando le informazioni da tutto il mondo e rendendole universalmente accessibili e utili. Questo obiettivo, insieme al nostro impegno per la sostenibilità, si traduce nell'aiutare a rendere più semplice fare scelte sostenibili. Questo vale per i viaggi, così come per la scelta di un alloggio, un investimento finanziario o l'acquisto di un prodotto. Nel 2021, abbiamo introdotto nuove funzioni per prenotare voli o per esempio i percorsi eco-friendly su Google Maps (in arrivo in Europa nel 2022). Quando le persone cercano su Google informazioni sul cambiamento climatico, mostriamo loro informazioni credibili da fonti autorevoli, tra cui le Nazioni Unite». State potenziando anche la rete dei data center sempre con attenzione alla sostenibilità? «Per più di un decennio, abbiamo lavorato per rendere i data center di Google tra i più efficienti al mondo, progettando, costruendo e gestendo ognuno di essi per massimizzare l'uso efficiente di energia, acqua e materiali, migliorando le loro prestazioni ambientali anche quando la domanda dei nostri prodotti è aumentata. Nel 2020 abbiamo raggiunto il 67% di energia carbon-free su base oraria in tutti i data center, rispetto al 61% del 2019. In media, un data center di Google è due volte più efficiente dal punto di vista energetico di un tipico data center aziendale. Rispetto a cinque anni fa, forniamo una potenza di calcolo più alta di circa sei volte utilizzando la stessa quantità di energia elettrica. Inoltre, ci impegniamo affinché nessuno dei nostri rifiuti vada in discarica: nel 2020, il nostro tasso globale di deviazione in discarica per le operazioni dei data center era dell'81%. Stiamo anche costantemente lavorando per ridurre, reintegrare e ripristinare l'acqua nei nostri uffici e data center per diventare water positive entro il 2030. Questo significa che "restituiremo" il 120% dell'acqua che consumiamo, in media, nei nostri uffici e data center e aiuteremo a ripristinare e migliorare la qualità dell'acqua e la salute degli ecosistemi nelle società in cui operiamo. Lavoriamo, poi, per aiutare i nostri clienti a essere più sostenibili. Un esempio sono i due nuovi strumenti che abbiamo lanciato di recente. Il primo è il Google Cloud Region Picker, che aiuta i clienti a scegliere una Google Cloud Region considerando i parametri chiave tra cui il carbon footprint. E lo strumento "Carbon Footprint" utile in quanto riporta le emissioni di carbonio associate all'utilizzo della Google Cloud Platform di ogni cliente». In questa ottica state lavorando anche a soluzioni di intelligenza artificiale che possano accompagnare la transizione. Ce ne parla? «Il machine learning ci ha permesso di ridurre del 30% l'energia usata per il raffreddamento dei data center di Google e la tecnologia può anche aiutare nella decarbonizzazione delle città. Abbiamo recentemente condiviso un progetto di ricerca che, attraverso l'intelligenza artificiale, può aiutare le città a migliorare il traffico utilizzando in maniera più efficiente i semafori. In Israele è già stato adottato con successo: abbiamo visto una riduzione del 10-20% del consumo di carburante e del tempo di ritardo agli incroci. Presto estenderemo questo progetto ad altre città. Stiamo anche aiutando le città a ridurre 5 gigatonnellate di emissioni di CO2 entro il 2030, attraverso il nostro Environmental Insights Explorer (EIE)». In termini di investimenti è un impegno importante? Che ripaga? «Quando si tratta di impegnarsi per un mondo più sostenibile ed ecologico, le azioni e gli investimenti parlano più delle parole. Entro il 2025, ci aspettiamo di aver attivato oltre 2 miliardi di euro di investimenti in nuovi progetti per generare energia pulita e infrastrutture green in Europa, che speriamo aiutino anche a creare più di 2.000 nuovi posti di lavoro. Siamo anche impegnati a sostenere altre organizzazioni. Per citare solo uno dei tanti esempi: l'anno scorso abbiamo lanciato attraverso Google.org una Impact Challenge sul Clima, mettendo a disposizione 10 milioni di euro per il finanziamento di idee coraggiose che utilizzino la tecnologia per accelerare il progresso dell'Europa verso un futuro più sostenibile. E, pochi mesi fa abbiamo annunciato un nuovo progetto, Restor, disponibile in tutto il mondo - fondato da Crowther Lab e alimentato da Google Earth Engine e Google Cloud, che permette a chiunque di analizzare il potenziale di riqualificazione di qualsiasi area, fornendo dati accurati su qualsiasi zona». Che tipo di sensibilità riscontrate a queste tematiche? «Credo che ciò che è buono per il pianeta sia buono per il business. Sempre più aziende e clienti se ne stanno rendendo conto. Negli ultimi cinque anni in Google abbiamo visto un aumento di quasi 5 volte nelle ricerche online di beni sostenibili. I clienti stanno attivamente scegliendo opzioni sostenibili rispetto a quelle non sostenibili. E le aziende stanno giustamente spostando i loro modelli di business per soddisfare queste aspettative. Un paio dei molti esempi ravvicinati che abbiamo visto attraverso il nostro Google Cloud sono Groupe Rocher e Stella McCartney: il Groupe Rocher, azienda francese a conduzione familiare e mission-driven, ha firmato un accordo di collaborazione quinquennale con Google Cloud, mettendo la digitalizzazione sostenibile al centro della strategia di innovazione e crescita. Anche quello che abbiamo fatto con Stella McCartney è molto importante per noi. L'industria della moda è uno dei maggiori contributori alla crisi climatica ed ecologica globale - rappresentando fino all'8% delle emissioni globali di gas serra. Nel 2019, abbiamo deciso di creare uno strumento, costruito su Google Earth Engine, che utilizza il cloud computing di Google, per valutare il rischio ambientale di diverse fibre nelle varie regioni in relazione a fattori ambientali. Utilizzando lo strumento insieme al lavoro esistente sulla sostenibilità, il team di Stella McCartney è stato in grado di identificare le fonti di cotone in Turchia che stavano affrontando un aumento dei rischi idrici e climatici. In Italia, abbiamo recentemente lanciato una collaborazione simile con Eni e Boston Consulting per presentare una piattaforma digitale per lo sviluppo sostenibile delle filiere chiamata Open-es». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 18/2/2022

18 Febbraio 2022

Ibm: AI e cloud ibrido accelerano il “Journey to Sustainability” per ridurre i rischi del cambiamento climatico

L'analisi degli esperti: le tecnologie avanzate supportano le aziende ma servono azioni a livello di ecosistema Le tecnologie avanzate (cloud, intelligenza artificiale, quantum computing, IoT) possono svolgere un ruolo importante nella lotta ai cambiamenti climatici. E le Big Tech, che si trovano ad operare trasversalmente su più fronti, fungono da punto nodale del ‘Journey to Sustainability' per diversi tipi di industria e stakeholder: possono supportare le aziende nell'individuare i problemi, implementare nuovi sistemi, monitorare i risultati, formulare previsioni e adattare le proprie scelte, anche economiche, al percorso per il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità. Gli esperti di Ibm, partendo dalla valutazione dei loro sistemi, hanno realizzato un'analisi sul ruolo della tecnologia a supporto delle aziende in questa sfida; ma - osservano – servono un'azione a livello di ecosistema, avviare progetti pilota per creare una value chain, testarla e replicarla in via esponenziale e pianificare nuove strategie per contenere i danni economici, materiali e di occupazione. «Le sfide climatiche e ambientali non possono essere risolte con metodi antiquati: è importante agire da subito e lavorare insieme per accelerare il progresso scientifico facendo leva sulle metodologie e tecnologie più innovative, come AI, Robotica, Quantum Computing, High Performance Computing (HPC) e su un approccio basato su cloud ibrido, in grado di valutare e interpretare i dati più rilevanti e rendere disponibili previsioni future sempre più accurate sugli impatti che il clima può portare sulle infrastrutture», spiegano Luca Lo Presti, Executive Partner - Energy & Utilities at Ibm e Patrizia Guaitani, Distinguished Engineer, Technology Technical Community Leader, a SustainEconomy.24, il report di Luiss Business School e Il Sole 24 Ore Radiocor. Per spiegare come lo sviluppo di progetti virtuosi e sostenibili si ottiene grazie alla cooperazione tra diverse industrie che apportano, ciascuna per sua competenza, un elemento di valore, gli esperti citano, ad esempio, la transizione energetica. Gli obiettivi di riduzione di CO2 in relazione ai veicoli elettrici diventano implementabili solo se il settore pubblico e privato procedono di pari passo all'installazione delle colonnine di ricarica sul territorio, mentre la società di distribuzione elettrica abilita questi punti e le società del settore automobilistico convergono verso la produzione di modelli a ricarica elettrica. Oppure ricordano un modello già presente nei Paesi del nord Europa, dove con una specifica piattaforma realizzata da Ibm, enti pubblici contribuiscono all'efficienza energetica mettendo a disposizione il controllo dei consumi di elettricità, in funzione dei momenti di disponibilità di energia rinnovabile da parte dell'operatore elettrico. Un esempio di ‘value chain' trasversale tra diversi settori industriali che sarà replicato anche in Italia, in particolare, per lo sviluppo delle cosiddette comunità energetiche (condomini, aree urbane), che potranno diventare parte attiva nella produzione di energia (prosumer). Ma soprattutto l'analisi evidenzia il ruolo di AI e cloud ibrido. Lo dimostrano le applicazioni, ad esempio, dell'Ibm Environmental Intelligence Suite, un pacchetto software che combina le ultime innovazioni di intelligenza artificiale e automazione sviluppate da Ibm Research con le tecnologie già esistenti per l'analisi meteorologica e geospaziale. Uno strumento utile per aiutare organizzazioni pubbliche e private a rispondere ai rischi meteorologici e climatici che, allo stesso tempo, permette di effettuare una rendicontazione delle emissioni di carbonio delle imprese. O i progetti che hanno integrato le informazioni rese disponibili dalla piattaforma Ibm The Weather Company con i dati del cliente per costruire una dashboard utile ad evidenziare situazioni di allerta o rischio sui singoli punti della rete (entro 1 km) legati a condizioni metereologiche avverse, consentendo quindi di aumentare la resilienza dell'asset, ridurre i costi di manutenzione e contribuire efficacemente agli obiettivi di sostenibilità. Visti gli impatti del clima su diversi segmenti di mercato e la necessità di incrementare la resilienza di tutte le infrastrutture italiane (quali strade, ponti, linee elettriche, ferrovie, dighe), soluzioni di questo tipo potranno essere sempre più necessarie nel prossimo futuro. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 18/2/2022