Il socio fondatore di Lexia Avvocati illustra i punti di forza e le lacune del quadro normativo nazionale
Negli ultimi anni, il settore del Fintech in Italia ha assistito ad una forte crescita. La nascita di nuovi modelli di business ha condotto il legislatore e le autorità di vigilanza ad avviare diverse iniziative volte alla creazione di un ecosistema solido e attrattivo per gli investitori, anche internazionali. Molto è stato fatto e sicuramente molto è ancora da fare. Con un poco di orgoglio, si può ricordare che l’Italia è uno dei pochi Paesi europei ad aver avviato una Sandbox dedicata agli operatori Fintech, ossia un percorso per la sperimentazione di modelli di business innovativi sotto la supervisione delle autorità di vigilanza. Questa iniziativa rappresenta un evidente indice dell’attenzione che il governo e le autorità stanno prestando al settore e della volontà di promuoverne la crescita. A valle della chiusura della prima finestra di presentazione delle domande di ammissione, si registra già una particolare apertura da parte delle autorità di vigilanza coinvolte.
«Ancora numerose le riforme di cui il settore avrebbe bisogno»
Sono però ancora numerose le riforme di cui il settore avrebbe bisogno per esprimere appieno le proprie potenzialità, non solo attraverso interventi volti a semplificare la regolamentazione attuale, ma anche introducendo discipline innovative che consentano agli operatori di cogliere appieno le opportunità offerte dall’evoluzione tecnologica. Al riguardo, si può ricordare che la Germania o la Svizzera, ad esempio, hanno già da tempo introdotto leggi volte a consentire l’utilizzo della tecnologia blockchain per facilitare l’emissione di partecipazioni in società o fondi attraverso un sistema semplice ed immediato, che consenta di superare gli adempimenti notarili previsti dal nostro sistema normativo ed i relativi costi. L’Italia è purtroppo ancora in attesa di un intervento di riforma di questo tipo, che allinei le nostre norme a quanto previsto dai Paesi più avanzati – intervento di cui beneficerebbero, in primo luogo, start-up e Pmi.L’Italia poi non ha, ad oggi, un quadro regolamentare specificamente dedicato al settore delle cripto-attività ed alla finanza decentralizzata, che costituisce oggi la frontiera dell’innovazione in materia finanziaria. La normativa di maggiore rilevanza è sicuramente quella contenuta nel decreto antiriciclaggio, che impone ai soggetti che operano tramite valute virtuali il rispetto di determinati obblighi in materia di contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo.
«Di recente l’obbligo di iscrizione al registro tenuto dall’Oam»
Di recente introduzione è invece l’obbligo per i prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valute virtuali di iscriversi ad un registro tenuto dall’organismo agenti e mediatori (Oam), a cui seguono diversi obblighi di reportistica e monitoraggio. Il set di norme indirizzate alle cripto-attività potrà inoltre espandersi a seguito dell’approvazione ed entrata in vigore del regolamento europeo cosiddetto MiCa, che si pone l’obiettivo di creare una disciplina di regolamentazione delle cripto-attività unica per l’intero territorio dell’Unione europea.Si pensi anche a fenomeni del settore Fintech e Blokchain di più recente genesi ma che sono esplosi velocemente, come il mercato degli NFT (token non fungibili) e delle Decentralised Autonomous Organisations (DAO), ambiti che non sono ancora destinatari di una regolamentazione ad hoc.
Nel nostro ordinamento alcune norme non sono al passo con i tempi
Dall’altro lato, il nostro ordinamento prevede ancora alcune norme che non sono al passo con i tempi e costituiscono un freno all’innovazione nel settore della finanzia digitale, rischiando di dirottare progetti innovativi verso giurisdizioni meno restrittive. Ad esempio, in Italia per ricoprire l’incarico di amministratore delegato di una banca o di un altro intermediario autorizzato, è necessario avere almeno quattro o cinque anni di precedente esperienza come amministratore di un’altra banca o società comparabile, con la conseguenza che sono spesso esclusi professionisti competenti ma di giovane età. Un ulteriore esempio è costituito dalle imprese Fintech operanti nel settore della prestazione di servizi di investimento (si pensi, ad esempio, al robot advisory, al micro-investing, etc.) per le quali l’Italia richiede un capitale sociale minimo pari a più del doppio, in alcune ipotesi, rispetto a quanto previsto in altre giurisdizioni europee. Inoltre, in Italia non è possibile prestare questi servizi appoggiandosi alla licenza di un soggetto già autorizzato – come cosiddetto “agente collegato”. La conseguenza è che molte start-up si rivolgono a Paesi che presentano un regime maggiormente favorevole. Sicuramente l’Italia può aspirare ad assumere un ruolo di leadership nel panorama dell’innovazione finanziaria in Europa, anche grazie all’elevata reputazione del suo sistema di vigilanza finanziaria, alla qualità del capitale umano, di molteplici incentivi fiscali e programmi di finanziamento disponibili per le start-up innovative e l’assunzione di risorse qualificate, nonché per il trasferimento in Italia di manager e professionisti. Il percorso fatto ad oggi dovrebbe essere accompagnato da una visione a lungo termine e da una politica legislativa che favorisca la crescita del settore Fintech e di cui beneficerebbe l’intero sistema Italia.
20/05/2022