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30 Novembre 2020

Too big to gain? Chi guadagna dalle fusioni nel settore bancario

di Paolo Boccardelli, direttore Luiss Business School, pubblicato su la Repubblica Affari & Finanza, 30 novembre 2020  La recente pandemia ha contribuito ad aumentare i rischi di credito per le banche, accelerando alcuni trend tra i quali, in particolare, il consolidamento del settore. È il regolatore stesso che ha impresso un cambiamento alla sua strategia, un tempo poco incline all’integrazione tra banche senza l’avvio di costosi processi di aumento di capitale: oggi appare più favorevole, concedendo alle banche acquirenti l’opzione di portare a patrimonio il badwill della banca target. Persino le politiche nazionali di risposta alla pandemia sono diventate un fattore incentivante: basti pensare alla possibilità introdotta dal Governo italiano per le società che approveranno un'operazione di fusione nel 2021 di trasformare fino al 2% del patrimonio target in crediti d'imposta. Misure e stimoli utili a favorire le aggregazioni, nell’ipotesi che banche più grandi resistano meglio alla crisi. Ma a fronte di un possibile vantaggio di solidità, ben presente nella visione degli organi di vigilanza, Luiss Business School ha analizzato il legame tra la crescita dimensionale delle banche e i rendimenti per gli azionisti: ebbene, su un campione di oltre 3500 osservazioni di banche europee nel periodo 2010-2019, la ricerca ha messo in evidenza che la crescita dimensionale delle banche riduce la redditività per gli azionisti. Tale relazione negativa, tuttavia, viene moderata dall’adozione di specifici modelli di business e dalle capacità di gestione del credito. Nel dettaglio, è stato osservato che, a parità di altre condizioni, la crescita degli attivi e lo sfruttamento delle economie di scala per banche di minori dimensioni genera impatti positivi sul ROE, ma superata una soglia di circa 50 miliardi di euro, il contributo alla redditività per gli azionisti diventa negativo. La pendenza negativa di tale relazione, tuttavia, dipende dal tipo di modello di business adottato: le banche che lavorano con un modello di business più tradizionale fondato sul retail e con una leva inferiore per il funding presentano una relazione tra crescita dimensionale e redditività per gli azionisti meno negativa. In aggiunta, per tutte le banche, la capacità manageriale di gestire i rischi in modo proattivo risulta determinante. La ricerca ha preso in considerazione il “NPL ratio”, rappresentato dal rapporto tra i crediti deteriorati e il totale dei crediti, e il “migration rate”, ovvero il tasso di migrazione da crediti in bonis a crediti in sofferenza. La capacità di gestione del credito e di questi due indicatori ha effetti eterogenei in relazione alle dimensioni. In particolare, nelle banche più piccole e con impieghi inferiori a circa 23 miliardi di euro, la crescita del tasso di deterioramento dei crediti genera impatti significativamente negativi sui rendimenti per gli azionisti. Viceversa, le banche di maggiori dimensioni riescono ad assorbire la crescita del tasso di deterioramento senza effetti negativi sulla redditività e, anzi, mostrano una rilevante capacità di identificare opportunità di riprese di valore anche in presenza di un superiore migration rate. Tali risultati appaiono ancora più significativi in mercati a bassa crescita economica e sotto la media dell’area Euro, quali l’Italia. È pertanto nella gestione del rischio e dell’ottima allocazione del capitale verso gli impieghi che si gioca la partita della profittabilità bancaria. Questi risultati si inseriscono nel trend di rivoluzione digitale che sta vivendo il settore. Nel futuro business bancario sarà imprescindibile prevedere la trasformazione del core banking verso sistemi cloud e modelli di sviluppo agile, in cui la capacità innovativa e di costruzione di partnership con operatori digitali e del fintech rappresenteranno un fattore tanto importante quanto la scala degli investimenti. Ed è proprio alla luce di queste considerazioni che debbono essere interpretate le operazioni di M&A in Italia e in Europa. Il consolidamento e la crescita dimensionale restituiscono al mercato operatori più solidi e in grado di dispiegare su una base di clienti più grande la capacità innovativa e di trasformazione che il digital banking può offrire. Ma senza il favore di BCE e governi e senza gli incentivi, in particolare quelli fiscali delle DTA (imposte attive differite) nelle operazioni di integrazione, non appare per nulla scontato estrarre valore da tali operazioni, poiché è forte il rischio di vedere vanificate le economie di scala, soprattutto se le operazioni stesse non sono condotte da soggetti dotati di quella elevata capacità gestionale che solo alcuni leader di mercato possono fornire. Pertanto, se viene confermata la volontà di consolidare ulteriormente il settore bancario in Europa per ridurre i futuri rischi di default, risulta necessario insistere sulla presenza di incentivi fiscali a favore delle aggregazioni, poiché altrimenti gli azionisti delle banche in odore di integrazioni potrebbero non considerare convenienti tali operazioni, non solo per motivi legati alla governance, ma anche per le difficoltà di remunerazione dei loro investimenti.

09 Marzo 2020

Intesa – UBI e il caso Lombardia. Tre domande sul futuro del credito

Commento di Raffaele Oriani, Associate Dean Luiss Business School, pubblicato su Affari & Finanza L’offerta pubblica di scambio lanciata da Intesa Sanpaolo su UBI arriva in un momento senza dubbio complesso per il settore bancario italiano, soggetto, da un lato, a forti pressioni sulla redditività e, dall’altro, alle sfide poste dall’innovazione digitale, con il numero di sportelli sul territorio nazionale che si è ridotto del 15% negli ultimi 3 anni. La più recente analisi di KPMG sulle semestrali dei gruppi bancari italiani mette in luce nel primo semestre del 2019 una riduzione de 4,5% del margine di interesse e del 5,4% delle commissioni nette. Si pone con forza oggi la necessità di modificare i business model, con particolare riguardo alle fonti dei ricavi, alla razionalizzazione dei costi e all’impatto delle tecnologie digitali. Un recente report di S&P mostra che ancora oggi il margine di interesse rappresenta circa il 50% dei ricavi delle banche italiane e che la penetrazione dell’online banking in Italia, attestandosi al di sotto del 50%, è più bassa rispetto a quella della maggior parte degli altri Paesi europei. In un tale contesto, l’annunciata operazione è particolarmente significativa perché coinvolge due tra le prime cinque banche in termini di presenza territoriale. A livello nazionale, l’operazione porterebbe alla nascita di un gruppo bancario che avrebbe circa il 20% degli sportelli, al netto di quelli che è previsto vengano ceduti a BPER e senza considerare ulteriori possibili razionalizzazioni della rete. La situazione, tuttavia, a prescindere dalle considerazioni che gli azionisti delle due banche vorranno fare, si presta a diverse valutazioni nel momento in cui, guardando ai dati di Banca d’Italia, si analizzano le quote di mercato degli sportelli a livello regionale, dove si registra una significativa eterogeneità. In alcune regioni, come Trentino, Veneto, Sardegna e Sicilia, la presenza di UBI è molto limitata e non vi sarebbero, dunque, conseguenze rilevanti in termini di competizione. In altre regioni, come ad esempio Lazio e Toscana, gli sportelli di UBI rappresentano una quota compresa tra il 5 e il 6% del totale, divenendo una ragionevole opzione di espansione per Intesa. Ci sono, tuttavia, alcune Regioni, come Lombardia, Calabria e Puglia, dove UBI e Intesa avrebbero complessivamente più del 25 % degli sportelli, mentre nelle Marche si arriverebbe fino al 40%. Non a caso, l’Offerta di Intesa prevede, per ora a titolo indicativo, una più significativa cessione di sportelli in alcune di queste regioni a BPER, che in Sardegna, caso simile, ha il 60% del mercato. Inoltre, è proprio in tali regioni, e in particolare in Lombardia dove Intesa ed UBI hanno una presenza molto simile (rispettivamente il 13,8% e il 12,8% degli sportelli), che sarebbe più probabile assistere, nella eventuale fase di integrazione, a una maggiore riduzione del numero delle filiali. A valle dell’eventuale esito positivo dell’operazione complessiva, sarà quindi necessario rivalutare la situazione concorrenziale. Come potrebbe cambiare dunque la competizione nel sistema bancario italiano? Ci sono alcuni aspetti rilevanti che andrebbero considerati per rispondere a questa domanda. In primo luogo, vi è ancora spazio in Italia per ulteriori operazioni di concentrazione. I dati forniti dalla BCE ci dicono che gli asset delle prime banche italiane rappresentavano nel 2018 il 45,6% del totale. Questo dato è in linea con quello francese (47,8%), ma è significativamente inferiore a quello della Spagna, dove le cinque banche più grandi detengono il 68,5% delle attività. Tuttavia, l’analisi della concorrenza va effettuata anche a livello regionale. In alcune regioni esiste ancora una quota di mercato contestabile – si pensi alla Puglia o alla Liguria, dove le situazioni della Banca Popolare di Bari e di Carige potrebbero favorire eventuali aggregazioni - mentre in altre il mercato è già sufficientemente concentrato. Ulteriori fusioni in queste aree non potrebbero che portare a un’accelerazione del taglio degli sportelli. Occorre, dunque, valutare con attenzione se, al fine di garantire crescita dimensionale e miglioramento della redditività, non sia preferibile privilegiare operazioni di acquisizione di operatori bancari all’estero, possibilmente in mercati con tassi di crescita più interessanti. Un secondo tema riguarda gli effetti sul sistema del credito. La citata analisi di KPMG mostra una crescita sostanzialmente nulla dei crediti verso la clientela da parte delle banche italiane. La domanda che quindi ci si dovrebbe porre è se il consolidamento di due tra i maggiori operatori bancari nel mercato italiano, con la conseguente probabile riorganizzazione territoriale che ne conseguirà, possa generare effetti sulla disponibilità di credito alle imprese, soprattutto di piccole dimensioni. Il terzo aspetto riguarda gli obiettivi delle operazioni. Ulteriori concentrazioni avranno senso solo se in grado di incidere in modo efficace sui business model e sulle leve di creazione del valore, consentendo un rafforzamento nelle aree di business a più elevata marginalità (ad esempio, private banking e wealth management) e favorendo gli investimenti nell’innovazione digitale, con una particolare attenzione ai servizi di pagamento, che oggi offrono le maggiori opportunità di crescita, ma che sono al contempo esposti a forte concorrenza da parte di operatori non bancari. Infine, non è detto che le operazioni nel settore debbano necessariamente essere fusioni orizzontali. Alla luce di quanto discusso sopra, opportunità interessanti potrebbero nascere dall’acquisizione di società fintech che consentano alle banche, da un lato, di offrire in modo innovativo servizi già in portafoglio e, dall’altro, di ampliare la gamma di potenziali prodotti per i propri clienti. Un recente report di Hampleton & Partners evidenzia che nel corso del 2019 a livello globale sono state effettuate 439 acquisizioni di società fintech, per un controvalore di 130 miliardi di dollari, ma che nessuno dei principali acquirenti risulta essere un grande gruppo bancario. Senza dubbio, un punto su cui riflettere. 09/03/2020 

22 Novembre 2019

The Italian Banking Conference 2019

Quali sono i Business model del futuro per le banche?      Si terrà a Roma il 28 novembre alle ore 10:00 presso Villa Blanc (via Nomentana 216), sede della Luiss Business School, la terza edizione di “The Italian Banking Conference” organizzato da Luiss Business School in partnership con The Ruling Companies. Cambiamenti e nuove sfide: quale sarà l'evoluzione del settore bancario? Crisi, inasprimento delle tensioni commerciali, incognita Brexit, nuovi protagonisti che hanno fatto irruzione sulla scena come criptovalute e rivoluzione digitale, sullo sfondo di una economia globale in continua evoluzione. Anche le banche sono chiamate a rispondere con urgenza alla sfida del cambiamento che le proietterà nel futuro. A dibattere su questi temi saranno tra gli altri Roberto Gualtieri, Ministro dell’Economia e delle Finanze, Luigi Abete, Presidente Luiss Business School, Carlo Barbera, Amministratore Delegato Bancassurance Vita e Previdenza, Pierpio Cerfogli, Vice Direttore Generale BPER Banca, Massimo Doris, Amministratore Delegato Banca Mediolanum, Roberto Ghisellini, Vice Direttore Generale Crédit Agricole Italia, Gian Maria Gros-Pietro, Presidente Intesa Sanpaolo, Ugo Loser, Amministratore Delegato e Direttore Generale Arca Fondi SGR, Andrea Munari, Amministratore Delegato BNL Gruppo BNP Paribas, Flavio Valeri, Chief Country Officer Deutsche Bank Italia, Andrea Viganò, Managing Director, Executive Chairman BlackRock Italia. SCOPRI IL PROGRAMMA   REGISTRATI  #ItaBanking2019  22/11/2019

25 Luglio 2019

Il futuro delle professioni in ambito bancario si gioca sul campo della formazione

"Il calo dei desk è una tendenza globale, per queste funzioni si va verso una progressiva automazione di tutte le operazioni. Servono quindi riqualificazioni professionali e soprattutto nuove competenze: penso all'analisi dei dati e alle opportunità dell'intelligenza artificiale. Le sfide del futuro si giocano a monte, sul campo della formazione": Raffaele Oriani, Associate Dean Luiss Business School, nell'intervista di Camilla Conti per Il Giornale. Tassi a zero, Fintech e postumi della crisi finanziaria cui si aggiungeranno presto anche gli effetti del consolidamento europeo. È una sorta di tempesta perfetta quella che si sta abbattendo sul sistema bancario, non solo italiano ma europeo, che deve trovare un nuovo centro di gravità permanente. Le voci sui 10mila esuberi predisposti nel nuovo piano che Unicredit presenterà a dicembre sono la conferma di una ristrutturazione permanente del settore del credito a livello globale o il sacrificio necessario per adeguarsi alle nuove regole del gioco? Secondo Raffaele Oriani, associate Dean alla Luiss Business School e ordinario di Finanza, «il settore bancario è cambiato nell'ultimo decennio per tre ragioni principali. La prima è legata alla crisi finanziaria del 2008 che ha modificato la propensione al rischio degli investitori rivoluzionando settori come quello della finanza strutturata. La seconda è la svolta Fintech, che ha rivoluzionato il ruolo della rete distributiva: è cambiata l'interfaccia tra il cliente e la banca. La filiale serve ancora per acquisire clienti, ma, dopo, tutto viene gestito altrove, online: serve quindi un nuovo tipo di personale operativo e questo business model non è stato ancora del tutto digerito». La terza ragione, secondo Oriani, riguarda i bassi tassi d'interesse, che erodono implacabilmente i margini di intermediazione, riducendo le possibilità per una banca di lavorare bene sul fronte dei ricavi. Il risultato è che «la gestione del personale operativo del front desk non può non passare dall'efficientamento della rete distributiva». Il caso di Unicredit non è dunque isolato, anzi. È una tendenza globale che si consolida. Bisognerà capire quanto sarà drammatica. Perché «una cosa è rinunciare alle assunzioni in cambio di prepensionamenti, un altro è procedere con tagli drastici come è avvenuto in Deutsche Bank dove un numero consistente del personale in esubero non verrà ricollocato», prosegue Oriani. Ai tagli strutturali presto si potrebbero inoltre aggiungere anche le razionalizzazioni degli organici frutto del necessario consolidamento bancario che ancora stenta a partire. «Big come Unicredit e Intesa sono già in grado di competere a livello europeo; il vero impatto delle aggregazioni e delle conseguenti riorganizzazioni interne riguarderà le banche di medie e piccole dimensioni», sottolinea l'esperto della Luiss. Come se ne esce? «Comparti come il private banking e il wealth management offrono servizi ad alto valore aggiunto richiedendo elevate competenze specialistiche, mentre il profilo professionale di impiegato di rete per attività a basso valore aggiunto è destinato a scomparire: per queste funzioni si va verso una progressiva automazione di tutte le operazioni. Servono quindi riqualificazioni professionali e soprattutto nuove competenze e ibridazioni con altre discipline: penso all'analisi dei dati e alle opportunità dell'intelligenza artificiale». Le sfide del futuro si giocano a monte, ovvero sul campo della formazione: «Alla Luiss Business School abbiamo programmi e master focalizzati su questi temi, laboratori di data management e digital skills. L'obiettivo - conclude Oriani - è formare ragazzi che siano al tempo stesso specialisti dell'analisi dei dati ed esperti nella comprensione del business. Quello è il profilo perfetto, qualcuno che capisca i dati e li usi per risolvere i problemi». Scopri l'offerta formativa Luiss Business School sulla Digital Transformation: Digital ecosystem – major of the master in Management and Technology  Big Data and Management  Executive programme in Innovation, Big Data & Digital Transformation 25/07/2019 

03 Dicembre 2018

Nuove tecnologie: non solo minacce, ma anche opportunità per il consolidamento e la competitività delle banche italiane

Sono queste alcune delle conclusioni di LUISS Business School presentate durante l’evento “The Italian Banking Conference 2018”, che si è tenuto il 29 novembre 2018, presso il Milano LUISS Hub. Le nuove tecnologie possono migliorare significativamente la solidità del sistema bancario italiano, così come misurata dal rapporto tra il capitale di migliore qualità e le attività ponderate per il rischio (CET1 ratio, 13,8% il dato a fine dicembre 2017 secondo Bankitalia). Intelligenza Artificiale, Machine Learning, Blockchain e Bot possono contemporaneamente ridurre l’impatto dei Non Performing Loans – ad esempio attraverso meccanismi predittivi del merito di rischio - nonché i costi delle banche, liberando risorse umane per compiti a maggior valore aggiunto. Inoltre, i Big Data permettono di fornire un numero maggiore di informazioni commerciali, con un un’analisi più puntuale dei rischi, per un significativo impatto sulla trasparenza. Sono queste alcune delle conclusioni di LUISS Business School presentate durante “The Italian Banking Conference 2018”. L’Italia è tuttavia molto indietro rispetto a quanto sta avvenendo nel settore a livello internazionale. Solo nella prima metà del 2018 i deal di finanziamento delle FinTech da parte dei fondi di Venture Capital hanno superato la cifra record di 26 Miliardi di Dollari a livello globale: in Italia, per quanto le iniziative in corso di realizzazione siano 283, il controvalore complessivo dei finanziamenti è di appena 135 Milioni di Euro, lasciando quindi spazio a nuovi concorrenti. Peraltro, il 49% degli investimenti è destinato a servizi automatizzati per il cliente, come servizi di CRM e consulenza finanziaria, migliorati attraverso soluzioni di intelligenza artificiale e Chatbot; il 7% a tecnologie per la gestione dell’identità elettronica e il riconoscimento, utilizzate per la sottoscrizione di servizi finanziari; mentre solo il 4 per mille a sistemi Distributed Ledger che utilizzano la blockchain. Questo lascia inevitabilmente il campo a nuovi operatori in grado di minacciare significativamente il settore bancario tradizionale nel nostro Paese. «L’Italia investe ancora drammaticamente poco nelle nuove tecnologie, sia da un punto di vista infrastrutturale che di competenze digitali», ha dichiarato il Prof. Paolo Boccardelli, Direttore LUISS Business School. «I dati dimostrano che la Digital Transformation è un’opportunità senza precedenti per i grandi player bancari, prima ancora che per i giganti tecnologici. Ma è necessario accelerare, per evitare di dissipare un vantaggio competitivo facendo anche leva sulle competenze interne, sulle infrastrutture e sulla conoscenza del cliente». Durante la Italian Banking Conference 2018 LUISS Business School ha voluto aprire una finestra di dialogo fra imprese, istituzioni e accademia per favorire il confronto sulle prospettive di sviluppo del sistema bancario nazionale. La giornata, che ha visto il coinvolgimento di alcuni tra i più illustri nomi dell’economia e della finanza, è stata un'occasione di riflessione e di confronto, in cui, oltre agli impatti trasformativi delle grandi piattaforme tecnologiche, si è dibattuto sul futuro dell’Unione Bancaria Europea e sul nuovo approccio adottato da banche e intermediari finanziari nella gestione dei crediti in sofferenza. «La ristrutturazione delle banche italiane è stata fatta in ritardo, e dunque in modo più complicato, ma è avvenuta. Ora possiamo partecipare alla seconda parte di questo processo, senza subirlo, ovvero l’unione bancaria europea» ha dichiarato Luigi Abete, Presidente della LUISS Business School e di Bnp Paribas Italia a Lastampa.it. Per Ignazio Angeloni, Membro del Consiglio di Vigilanza Banca Centrale Europea, la strada verso il completamento dell’Unione bancaria è ancora lunga. Come ha dichiarato a Il Sole 24 ore: «È vero che i crediti deteriorati sono stati ridotti, ma esistono alcuni rischi sovrani molto forti e alcuni eventi recenti in Paesi dell’Unioni che li rendono molto preoccupanti». RASSEGNA STAMPA  Dalla carta stampata Hardvard Business Review Italia – La pubblicazione dell’intervento del Direttore LUISS Business School Paolo Boccardelli in occasione di “Italian Banking Conference 2018” Il Sole 24 Ore – Angeloni: la vera unione bancaria è lontana Il Giornale – La tecnologia rende le banche più solide MF – Milano Finanza – Banche indietro sul fintech Dal web LaStampa.it – Gros-Pietro:”Dietro gli npl si nascondono i troppi debiti delle aziende” Affaritaliani.it – LUISS Business School: The Italian Banking Conference, presentati gli scenari Radiocor/ Borsaitaliana.it – BTP: Gros-Pietro, buon investimento ma serve bilanciamento portafoglio GALLERY 03/12/2018 

28 Settembre 2017

The Italian Banking Conference 2017: il racconto

Una giornata di studi sul tema del rilancio del sistema bancario italiano: il 18 settembre, si è tenuto l’evento “The Italian Banking Conference 2017” organizzato dalla LUISS Business School in partnership con The Ruling Companies e Harvard Business Review – HBR.  Le singole sessioni, i contributi dei relatori e i momenti principali di un evento che ha ospitato alcuni tra i nomi più importanti del settore bancario italiano e delle istituzioni economiche, per una riflessione su regolamentazione, competitività, sistema bancario europeo e nuovi modelli organizzativi per la concorrenza. Video – pillole Ignazio Angeloni - The Italian Banking Conference 2017 Giuseppe Castagna - The Italian Banking Conference 2017 Andrea Viganò - The Italian Banking Conference 2017 Emma Marcegaglia - The Italian Banking Conference Donato Iacovone - The Italian Banking Conference 2017 Ugo Loser - The Italian Banking Conference 2017 Gian Maria Gros-Pietro - The Italian Banking Conference 2017 Fabio Panetta - The Italian Banking Conference 2017 Luigi de Vecchi - The Italian Banking Conference 2017 Flavio Valeri - The Italian Banking Conference 2017 Sessioni Sessione 1 https://youtu.be/TEmC1_yVzGE Saluti istituzionali e apertura dei lavori Emma Marcegaglia, Presidente LUISS Guido Carli Luigi Abete, Presidente BNL Gruppo BNP Paribas e Presidente LUISS Business School Relazione Introduttiva Pier Carlo Padoan, Ministro dell’Economia e delle Finanze Apertura Lavori Paolo Boccardelli, Direttore LUISS Business School Tema: Fare banca nell’era dei tassi negativi  Moderatore: Enrico Sassoon, Presidente The Ruling Companies Association Relatori:  Ignazio Angeloni, Membro del Consiglio di Vigilanza European Central Bank Giuseppe Castagna, Amministratore Delegato Banco BPM Gian Maria Gros-Pietro, Presidente del Consiglio di Amministrazione di Intesa Sanpaolo Giampiero Maioli, Responsabile del Crédit Agricole per l’Italia Victor Massiah, Amministratore Delegato UBI Banca Andrea Munari, Amministratore Delegato BNL Gruppo BNP Paribas Alessandro Penati, Presidente Quaestio Capital Management Sessione 2 https://youtu.be/jTAHdiIbxu8 Tema: La futura regolamentazione del sistema bancario europeo Moderatore: Janina Landau, Giornalista Class CNBC e Milano Finanza Relatori: Luigi de Vecchi, Chairman of Continental Europe for Corporate and Investment Banking in Citi    Fabio Panetta, Vice Direttore Generale Banca d’Italia Giovanni Sabatini, DG Abi, Presidente ExCo EBF Flavio Valeri, Chief Country Officer, Deutsche Bank Italia Sessione 3 https://youtu.be/0UBzhiegliw Tema: Tecnologia, occupazione, nuova concorrenza e nuovi modelli organizzativi Moderatore: Simone Spetia, Giornalista e conduttore Radio24 Massimo Arrighetti, Amministratore Delegato Sia Alessandro D’Agata, Direttore Generale CheBanca! Luca Gasparini, Responsabile Direzione Marketing e Digital Crédit-Agricole Cariparma Rony Hamaui, Presidente Intesa ForValue Donato Iacovone, EY Managing Partner Italy, Spain and Portugal Ugo Loser, Amministratore Delegato ARCA sgr Marco Siracusano, Responsabile BancoPosta Andrea Viganò, Country Head for Italy, BlackRock #ITABanking2017: il live tweeting Italian Banking Conference 2017 27/09/2017