Digital Transformation
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30 Ottobre 2025

Italgas: Embracing Digital Transformation

Autori: Enzo Peruffo, Viviana D’Angelo, Arina Tsirkuleva                                                                                                                                              Abstract: This case study explores the process of digital transformation at Italgas, a leading gas distributor in Italy and the third largest in Europe. For a company with a 185-year history, digitalization constitutes an important milestone. In the most tangible manner, it alters Italgas’ key asset – a 81,582-km distribution network – but also it reshapes its processes and operations and reskills its employees. In a nutshell, it enriches the identity of the company, transforming the organizational culture and mindset of the people who make up Italgas. In a broader context, digital transformation is Italgas’ response to the European energy transition scenario, which is geared toward a net zero emissions target and an integrated energy sector. In fact, in view of the European Green Deal, where renewables take centre stage and become integrated in a single system (including gas renewables, such as green hydrogen and biomethane), the digital transformation of a gas grid is the most efficient and readily available solution in facing the challenge of the emission reduction targets set within the new European agenda. The purpose of this case study is to reveal the management dynamics and the internal and external barriers, as well as the enabling factors, that have formed the elements of a successful implementation of digital transformation. In terms of expected learning outcomes, the case prepares students to understand and undertake digital transformation, i.e. digitalizing a whole range of operations and being aware of the critical areas that need to be monitored and assessed during this process. The introduction presents the central theme of the case to students. Section 1 provides an overview of Italgas and its 185-year history, highlighting its evolution and the previous challenges it faced in the Italian context. Section 2 introduces a larger institutional framework, focusing on future challenges related to the European Green Deal. In particular, it focuses on energy system integration, providing an overview of existing and future energy sources and discussing the place of the gas grid within this system and the role of energy distributing companies in particular. Section 3 focuses on the gas distribution industry, including the competitive environment, key players, the business model of gas distribution network operators and the key defining and enabling factors in the industry. Section 4 constitutes the core of the case. It reveals the ins and outs of the digital transformation of Italgas, focusing on the factors that have impeded and enabled the process, as well as the key challenges faced by its management and the solutions found along the journey. It depicts the digital transformation as taking place across three interrelated pillars: assets, processes and people. Section 5 addresses perspectives on the future advancement of digital transformation at Italgas and stimulates further reflections on the part of students. Download Case Study Richiedi Teaching Notes

30 Ottobre 2025

«Value and values»: purpose, reputation e scelte di brand nella fusione WINDTRE

Autori: Matteo Giuliano Caroli, Marco Francesco Mazzù                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                              Abstract: La nascita del brand unico WINDTRE rappresenta il punto finale di un importante processo di integrazione che ha coinvolto il business, la cultura e le infrastrutture della nostra azienda. WINDTRE, a distanza di soli due anni dal lancio sul mercato, è ora un marchio forte, riconoscibile, che ha centrato un duplice obiettivo: far sentire ‘a casa’ i clienti di Tre e di Wind raccontando, al contempo, una realtà nuova, quella dell’operatore mobile numero uno del Paese. Un risultato dovuto al rafforzamento dell’infrastruttura tecnologica e alla capacità di creare innovazione nel complesso mercato delle telecomunicazioni. La nuova rete mobile, integrata e potenziata grazie a significativi investimenti – sei miliardi in cinque anni – è oggi ai vertici della qualità per copertura e performance. Il network e le soluzioni integrate fisso-mobile consentono alle famiglie l’accesso ai servizi ormai fondamentali per la quotidianità, dallo smart working all’e-learning. Le nostre proposte supportano poi le imprese, non solo nell’ambito di connettività convergenti ed innovative sempre più performanti, ma anche nella sfida della trasformazione digitale e le abilitano all’utilizzo di soluzioni in campi come la Cybersecurity, l’Internet of Things o il Cloud computing. WINDTRE è stata capace, inoltre, di cogliere le opportunità offerte dai cosiddetti ‘settori adiacenti’ alle stesse telecomunicazioni. WINDTRE LUCE&GAS è, infatti, un esempio per poter operare nel mercato dell’energia, con l’obiettivo di proporsi come unico riferimento per la gestione congiunta delle utenze di casa. Download Case Study Richiesta Teaching Notes

29 Febbraio 2024

Leader e talenti al centro per vincere le sfide del digitale di domani

Per la quarta edizione dell'evento DAB – Digital Advisory Board focus su cambiamento e le sfide in continua evoluzione che porta con sé. Lavorare sulla leadership sarà la carta decisiva L'evoluzione di società e organizzazioni nel segno del digitale corre veloce. Per questo alle aziende è richiesta flessibilità, ma anche fiuto per i talenti digitali da attrarre e coltivare. Il tema è stato il cuore pulsante dell'incontro “Il digitale di domani: ecosistemi, talenti e sostenibilità”, quarto appuntamento del Digital Advisory Board promosso da Luiss Business School e Cisco. A ragionare attorno a questi tempi 20 top manager italiani, impegnati in prima linea nella trasformazione digitale delle loro aziende. Il percorso del Digital Advisory Board Il digitale pone le aziende davanti a tre sfide: attrarre e crescere i talenti digitali; la ridefinizione di leadership e competizione per vincere nell'ecosistema digitale; etica, sostenibilità e digitale come coordinate future per fare business. Si tratta di temi interconnessi, che hanno ripercussioni anche sul presente delle imprese. Chi riuscirà a bilanciare questi aspetti, potrà essere più competitivo e posizionarsi al meglio in un mondo in rapida evoluzione. Nuovi talenti e mismatch Nel suo intervento dal titolo “Ecosistemi, talenti e sostenibilità: suggerimenti di lavoro” Giuseppe Italiano, Full Professor Computer Science Luiss Business School, Professor Artificial Intelligence And Machine Learning, Luiss Guido Carli, ha posto l'accento sulla leadership empatica. Unita all'attenzione per le passioni e il benessere delle persone sono la chiave per attrarre e trattenere i talenti nella trasformazione digitale. "Nel contesto attuale sembra però emergere un potenziale doppio mismatch – si legge nel paper presentato da Italiano – Da un lato, abbiamo il noto fenomeno di un mismatch di competenze, con uno skill gap sempre più evidente tra le competenze richieste dal mercato del lavoro, soprattutto in area digitale, e le competenze effettivamente possedute dai lavoratori. [...] D’altro canto, si sta delineando un potenziale disallineamento anche tra le aspettative dei talenti, in particolare dei più giovani, e le opportunità di lavoro tradizionali. A differenza delle generazioni precedenti, oggi molti giovani non sembrano più attratti da un’occupazione stabile in una grande azienda, magari dal brand internazionale, ma sono soprattutto alla ricerca di un progetto, di un’idea stimolante su cui investire il loro futuro e per cui valga la pena impegnarsi al massimo, anche se questo viene proposto da una piccola realtà o da una startup". La soluzione: atmosfera inclusiva, valorizzazione del benessere dei dipendenti, promozione dell'apprendimento e sviluppo delle capacità, ma anche retribuzioni competitive e opportunità di crescita professionale. Comunicare la propria mission e valori sarà fondamentale per creare l'engagement necessario. "In questo contesto il ruolo dei leader è sempre più importante, in quanto devono saper coniugare l’attenzione al mondo digitale con la cura dei rapporti e delle relazioni umane. Per fare questo, potrebbe anche essere necessario riprogettare i rapporti tra leadership e collaborazione, tra talento delle persone e aree aziendali, in modo che siano improntati all’empatia, alle soft skill, alla cura e al potenziamento delle persone". Coopetition e leadership Le dinamiche aziendali si stanno spostando sempre più verso ecosistemi, in cui le aziende collaborano e competono allo stesso tempo, alla ricerca di nuove opportunità. Questo concetto, noto come “coopetition” (cooperare con i competitor), richiede un nuovo mindset ma anche nuove forme di leadership. Insieme a grandi opportunità, come la condivisione dei dati, chi guida le aziende è chiamato anche a risolvere eventuali problemi nella catena di co-creazione del valore. "I leader devono saper bilanciare opportunamente la competizione e la collaborazione, navigando attraverso complesse reti di relazioni aziendali e sviluppando partnership strategiche con altre organizzazioni. Devono essere flessibili e aperti al cambiamento, adattando costantemente le proprie strategie alle esigenze mutevoli dell’ecosistema digitale, pur mantenendo una visione chiara della propria azienda e delle opportunità di mercato". Non solo innovazione: alla ricerca di etica e sostenibilità I nuovi talenti sono alla ricerca di aziende e progetti che mettano al centro l'innovazione e la crescita, ma anche etica e sostenibilità. Impegnarsi al massimo in aziende con mission improntate alla creazione di valore legato ai criteri ESG è tra le principali leve di engagement. Per questo l’integrazione di etica, sostenibilità e digitale sembra di fondamentale importanza per il futuro delle imprese. "Le aziende devono impegnarsi a operare in modo etico, rispettando i diritti umani, l’ambiente e i principi di giustizia sociale, adottando pratiche commerciali sostenibili, riducendo l’impatto ambientale e contribuendo al benessere della società nel suo complesso. Questo non è soltanto un imperativo etico, ma anche una richiesta crescente da parte dei consumatori, degli investitori e degli altri stakeholder. I leader devono essere profondamente consapevoli delle implicazioni etiche delle loro decisioni e delle loro azioni e devono essere pronti a promuovere una cultura aziendale basata su valori etici e sulla sostenibilità". «Questa è una iniziativa molto importante perché conferma la collaborazione che Luiss Business School ha con le grandi aziende, in questo caso Cisco, nello sviluppare progetti di approfondimento su temi molto importanti - ha dichiarato Matteo Caroli, Associate Dean for Sustainability & Impact, Luiss Business School - in particolare il tema della digitalizzazione nelle imprese come strumento anche per attrarre e sviluppare le risorse umane. Il lavoro che abbiamo fatto con Cisco e gli Hr manager di molte grandi e medie aziende italiane in questi mesi ha evidenziato come la capacità di gestire le tecnologie digitali sia fondamentale per una ottima gestione del capitale umano e per l’attrazione dei talenti e in questo senso ci ha fornito molti spunti utili anche nel costruire i nostri percorsi formativi di master». «È il quarto anno che noi svolgiamo questa attività di collaborazione con Luiss Business School e tantissimi manager di diversi settori industriali per capire quali sono le sfide e le opportunità della trasformazione digitale - ha spiegato Gianmatteo Manghi, Amministratore Delegato, Cisco Italia - In questa edizione ci siamo focalizzati su tre cose. La prima: avere indicazioni pratiche e concrete su come gestirle all’interno di una organizzazione, come gestire e attrarre i talenti, giovani, che ci aiutano nella trasformazione digitale. Due: come fare in modo di costruire un ecosistema, cioè collaborare con soggetti che sono anche esterni all’impresa, perché la digitalizzazione non può essere solo autarchica, ma deve interessare tutti i soggetti con cui cooperiamo. Tre: la sostenibilità. Il digitale deve aiutare la sostenibilità, sociale e ambientale e abbiamo cercato di capire come rendere il digitale un abilitatore della sostenibilità». La quarta edizione dell'evento DAB – Digital Advisory Board dal titolo "Il digitale di domani: ecosistemi, talenti e sostenibilità" si è tenuto il 28 novembre presso Villa Blanc, sede Luiss Business School, Roma. Hanno partecipato Matteo Caroli, Associate Dean for Sustainability & Impact , Direttore BU Applied Research, Luiss Business School; Gianmatteo Manghi, Amministratore Delegato Cisco Italia; Giuseppe Italiano, Full Professor Computer Science Luiss Business School, Professor Artificial Intelligence And Machine Learning, Luiss Guido Carli; Enrico Mercadante, Director, Architectures & Innovation Cisco South Europe; Gianluigi Me, IT Operations Manager, Adjunct Professor, Luiss; Fabio Pressi, Ceo a2a e-mobility Federica Santini, Presidente Trenord; Tiziana Mennuti, HR Director & Legal Affairs, RDS; Enrico Pompamea, Non-Fuel Marketing Development Manager, Kuwait Petroleum Italia; Fabrizio Rauso, Strategic Advisor.

01 Agosto 2023

Digital Transformation e nuovi modelli di Business

La digital transformation oggi non rappresenta più una scelta, ma una necessità imprescindibile per ogni azienda che desideri rinnovarsi e rafforzare la propria formula di business. I rapidi cambiamenti digitali hanno trasformato gli strumenti di azione: i social media hanno scardinato le strutture e le logiche tradizionali di comunicazione; l’omnichannel si è imposta come nuova logica di gestione dei canali distributivi; le piattaforme hanno introdotto nuovi modelli di business flessibili e potenti. In questo contesto, venerdì 15 settembre, presso il Milano Luiss Hub, si terrà l’evento dal titolo "Digital Transformation e nuovi modelli di Business". L'incontro, che si terrà dalle 19.00 alle 20.30, sarà incentrato sulle trasformazioni digitali che stanno ridefinendo il mondo degli affari. Moderato da Alberto Mattiacci, Direttore Scientifico dell’Executive Master in Marketing - Major in Digital Marketing, l'evento ospiterà i relatori Duccio Vitali, CEO di Alkemy, e Bernadette Bevacqua, CEO di Sperlari, i quali condivideranno le loro esperienze e prospettive nell'ambito della digitalizzazione aziendale. I temi affrontati rappresentano, altresì, il fulcro di alcuni percorsi formativi offerti presso il Milano Luiss Hub, i cui programmi sono incentrati sulla Digital Transformation, come l’Executive Master in Digital Marketing e l'MBA Part-Time. Questi percorsi sono progettati appositamente per professionisti desiderosi di assumere un ruolo di primo piano nel cambiamento digitale, ampliando la loro visione strategica, consolidando il bagaglio di competenze, accelerando la crescita della loro carriera e sviluppando una maggiore consapevolezza del proprio progetto professionale. Al termine dell'incontro, i partecipanti avranno l'opportunità di interagire con lo Staff Luiss Business School e il Direttore Scientifico Alberto Mattiacci, porre domande e curiosità sulla struttura del programma, sui contenuti e sul processo di candidatura. Per partecipare all’evento è necessaria la registrazione. var d=document,w="https://tally.so/widgets/embed.js",v=function(){"undefined"!=typeof Tally?Tally.loadEmbeds():d.querySelectorAll("iframe[data-tally-src]:not([src])").forEach((function(e){e.src=e.dataset.tallySrc}))};if("undefined"!=typeof Tally)v();else if(d.querySelector('script[src="'+w+'"]')==null){var s=d.createElement("script");s.src=w,s.onload=v,s.onerror=v,d.body.appendChild(s);} 01/08/2023

27 Gennaio 2023

Ingovernabili? Forse no: strategie per disciplinare gli ecosistemi digitali

Presentato alla Luiss Business School il libro “Ingovernabili – Grandi piattaforme, nuovi monopoli e la lotta per la concorrenza” di Andrea Minuto Rizzo e Roberto Sommella, edito da Luiss University Press Quando si guarda agli attori economici che compongono veri e propri ecosistemi digitali, si pensa anche alla difficile sfida che essi rappresentano per la tutela della concorrenza, il benessere dei consumatori, la democrazia economica. Società come Google, Meta, Amazon ed Apple appaiono ingovernabili, impossibili da imbrigliare in un quadro normativo necessariamente internazionale. Questo il punto di partenza centrale del volume Ingovernabili – Grandi piattaforme, nuovi monopoli e la lotta per la concorrenza di Andrea Minuto Rizzo e Roberto Sommella (Luiss University Press). Ingovernabili – Grandi piattaforme, nuovi monopoli e la lotta per la concorrenza: i temi Ingovernabili ripercorre la storia della nascita delle piattaforme e degli ecosistemi digitali, cercando di delineare delle soluzioni alla difficile sfida della tutela della concorrenza, come presidio non solo del benessere dei consumatori, ma anche della democrazia economica. A fronte della capitalizzazione prodotta dalle Big Tech – circa 14 trilioni di dollari – si osserva una sempre più profonda disuguaglianza economica, che si traduce in un crescente divario sociale. Le autorità hanno a che fare non più con imprese operanti in mercati che a certe condizioni riescono ad auto-correggersi, ma con veri e propri ecosistemi digitali, fortezze in grado di tenere a distanza i propri concorrenti e di operare per molti aspetti con la forza di realtà statali. Da questo nasce l’esigenza di introdurre nuove forme di regolamentazione ex ante complementari agli interventi antitrust, che obblighino i colossi tecnologici ad abbassare le barriere, favorendo l’arrivo dei concorrenti; l’applicazione più aggressiva delle norme sul controllo delle concentrazioni; la cooperazione tra le autorità di concorrenza e i regolatori settoriali (per esempio nel campo della protezione dei dati personali); e una maggiore collaborazione a livello internazionale. Alla ricerca di un punto di equilibrio «Solo le società che si sviluppano riescono ad essere solidali perché ci vogliono le risorse per essere solidali. E solo le società solidali riescono a svilupparsi. In una società in cui la materia prima è il cervello, non c'è nessuna società che si sviluppa se non include, se non coinvolge e non valorizza. Ingovernabili dimostra la perenne transizione di questi rapporti – ha spiegato Luigi Abete, Presidente, Luiss Business School, in apertura dell'incontro. – Il libro dimostra come ci si trovi in uno stato di evoluzione della tecnologia, della rete, dell'organizzazione dei fattori produttivi e distributivi, con aziende che, di fatto, sono ingovernabili. Dall'altra parte, ci sono dei soggetti, le autorità antitrust, che cercano di regolarle in base ad approcci diversi: quelli di estrazione americana, più attenti alla qualità del consumatore; quelli di estrazione europea, più intrusiva. Manca un punto di equilibrio. Il libro documenta il problema nella sua evoluzione, sostenendo che è necessario avere la capacità di affrontarlo con cognizione della complessità e con la capacità di adeguare le norme, oltre che di applicarle in modo coerente. In fondo, questo è l'equilibrio che si richiede alle istituzioni che, se troppo statiche, restano fuori dalla Storia e , se troppo dinamiche, non sono più istituzioni, perché non razionalizzano i comportamenti della società». Governare con un approccio trasversale «Secondo noi i big tech sono ancora ingovernabili – ha sottolineato Andrea Minuto Rizzo, Responsabile Affari Istituzionali dell’Unione Europea e Internazionali, Ferrovie dello Stato Italiane, e autore del volume. – Secondo noi questa condizione rimane perché non esiste un modello regolatorio univoco, ma esistono risposte prese nel contesto e in uno specifico tempo politico. Bisogna trovare un trade off adeguato tra una normativa efficace e implementabile rapidamente. Ma si deve anche tenere conto delle spinte innovative che gli operatori portano sul mercato. È necessario che ci sia un approccio trasversale tra le giurisdizioni: bisogna parlarsi e trovare una convergenza, partendo da posizioni molto distanti e con tempi lunghi per mettere tutti d'accordo. In più ci vuole una flessibilità d'approccio». D'altro canto, come sostiene Gabriella Muscolo, Partner, Franzosi Dal Negro Setti with Muscolo; già componente AGCM, «l'Europa si sta ponendo come una fabbrica di regole digitali. Per questo, di fronte a mercati dematerializzati, ci si aspetta che i Gafa (Google, Amazon, Facebook, Apple) scelgano gli Stati Uniti». I modelli di business dei Gafa Le multinazionali della Silicon Valley capitalizzano circa 14 trilioni di dollari, dando occupazione a 1,6 milioni di persone, mentre le «Big three» dell’auto di Detroit nel 1990 davano lavoro a 1,2 milioni di persone, ma valevano 37 miliardi. Ciò accade anche perché i business model dei Gafa non si reggono sulla singola impresa, ma sull'interazione tra diversi attori. Ma, invece di alimentare una concorrenza aperta, queste aziende la blindano. «Ciò richiede un adattamento dei modelli di analisi della concorrenza – ha dichiarato Raffaele Oriani, Dean, Luiss Business School - Oggi i Gafa competono su diversi mercati allo stesso tempo, quindi la violazione di determinati fenomeni sani della concorrenza dovrebbe riguardare in modo più ampio l'ecosistema». Inoltre, pensando alla forza lavoro degli ecosistemi digitali, il Dean di Luiss Business School ha rimarcato che «la digital transformation sta distruggendo alcuni lavori e non possiamo pensare di arrestare questo fenomeno. C'è bisogno di un reskill delle competenze. Per questo, cerchiamo di insegnare ai nostri allievi come relazionarsi a un mercato del lavoro in perpetua evoluzione». Tuttavia, come sottolinea Guido Scorza, componente, Garante per la protezione dei dati personali, i veri lavoratori delle Big Tech sono molti di più della cifra dichiarata nel libro. «Sono circa 3 o 4 miliardi di persone perché i servizi e il valore delle big tech sono prodotti dagli utenti, i cosiddetti schiavi del clic: cioè da noi. Oggi siamo davanti a un bivio significativo in cui potrebbe cambiare tutto, è offerta dalla disciplina sulla privacy europea in cui il re è nudo: sono le Big Tech che hanno bisogno dei dati degli utenti per sostenere il loro modello di business.» Rimettere al centro l'umano Una delle soluzioni allo scenario delineato da Ingovernabili sta nel rimettere al centro il fattore umano. «L'uomo deve tornare al centro del dibattito, con le giuste provocazioni, come quella rappresentata dal libro – ha concluso Roberto Sommella, Direttore, MF-Milano Finanza, e autore del volume. - Ci sono elementi ingovernabili nella nostra vita, ma che bisogna comunque provare a governare. Davanti a una guerra o a una pandemia, l'elemento umano diventa cruciale. Per questo non dobbiamo avere paura dell'intelligenza artificiale. Dobbiamo avere paura dell'ignoranza artificiale, alimentato dall'uso smodato dei social, dall'uso del pensiero degli altri, dall'odio diffuso volgarmente in rete». La presentazione di “Ingovernabili – Grandi piattaforme, nuovi monopoli e la lotta per la concorrenza” di Andrea Minuto Rizzo e Roberto Sommella (Luiss University Press) si è tenuta il 25 gennaio nell'aula Carlo Azeglio Ciampi di Villa Blanc, sede di Luiss Business School. All'evento hanno partecipato: Luigi Abete, Presidente, Luiss Business School; Francesco Boccia, Senatore della Repubblica; Andrea Minuto Rizzo, Responsabile Affari Istituzionali dell’Unione Europea e Internazionali, Ferrovie dello Stato Italiane, e autore; Federico Mollicone, Presidente Commissione Cultura, Scienza e Istruzione, Camera dei Deputati; Gabriella Muscolo, Partner, Franzosi Dal Negro Setti with Muscolo, già componente AGCM; Raffaele Oriani, Dean, Luiss Business School; Guido Scorza, componente, Garante per la protezione dei dati personali; Roberto Sommella, Direttore, MF-Milano Finanza, e autore. Ha moderato l'incontro Eva Giovannini, giornalista, inviata e conduttrice, Rai. 27/01/2023

17 Giugno 2022

«Primi servizi Gaia X al summit di Parigi a novembre, lavoriamo a un hub negli Usa»

Parla l'ad Francesco Bonfiglio che giudica fondamentale per il ruolo dell'Europa la creazione di data space comuni Anticipazioni su servizi Gaia X al summit di Parigi di novembre e primi servizi sul mercato a fine anno. A fare un punto è Francesco Bonfiglio, ceo dell'associazione Gaia-X, un progetto nato nel 2019 in Germania con l'obiettivo di creare un'infrastruttura federata di servizi cloud a livello europeo. Ora, a due anni dalla creazione dell'associazione no profit, i temi sul tappeto sono la sicurezza, e su questo fronte Gaia X si è allineata ai tre standard dettati dall'agenzia europea Enisa, e la creazione di data space europei, oggetto di molte critiche da parte di chi ha timori sulla condivisione dei dati. Sul primo fronte, spiega Bonfiglio a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School), «non credo che la polemica rispetto alla partecipazione di attori non europei, americani e asiatici, abbia senso di esistere. Noi ed Enisa stiamo definendo regole europee che garantiscono la sicurezza dei dati nazionali». Sul secondo «se pensiamo che l'Europa possa avere un ruolo nell'economia senza controllare le piattaforme dove si scambino i dati stiamo fallendo». Sulla base di queste premesse Gaia X si aprirà sempre più anche ai Paesi extra europei che vogliano condividere il set di regole dell'associazione. Bonfiglio volerà a breve in Qatar e si lavora a un hub statunitense, in Texas. Rispetto al piano quinquennale lanciato l'anno scorso da Gaia X avete riscontrato ritardi, anche alla luce della mutata situazione geopolitica? Il piano è rimasto invariato. Il 2021 è l'anno di costituzione dell'associazione e abbiamo ottenuto i risultati che volevamo, definendo le specifiche, l'architettura, le regole. Il secondo obiettivo era quello di definire le specifiche tecniche dei federation services, dei servizi che Gaia X si propone di realizzare in modo da implementare un modello distribuito alternativo a quello ipercentralizzato degli hyperscaler. Anche questo è stato fatto. Il terzo obiettivo è avviare un progetto di servizi completi da immettere sul mercato. Ci siano riusciti; l'anno scorso si è chiuso molto bene. Che cosa vi aspettate per il 2022, riuscirete a centrare l'obiettivo di immettere sul mercato i primi servizi? Il 2022 è l'anno dell'adoption. Quest'anno, dunque, l' obiettivo è la definizione della compliance, ovvero di quei componenti software che messi assieme e "inscatolati" in un luogo virtuale possano far ottenere o meno un certificato di conformità riguardo a Gaia X. In quest'ambito siamo a metà del guado, ma stiamo procedendo secondo piani di marcia precisi. Nel 2022, inoltre, c'è un fenomeno interessante, difficile da gestire. Da una parte ci sono i membri di Gaia X che si sono riuniti in consorzi, come quello dell'automotive o dell'agrifood; in parallelo ci sono working group sui data space che stanno lavorando su settori importanti, ad esempio l'health care. Dopo la pandemia, infatti, ci sono la necessità e l'aspettativa di avere data space comuni, ad esempio, per i dati sanitari, mettendo assieme ricerca, ospedali, case farmaceutiche e Paesi diversi. I progetti stanno marciando, entro la fine dell'anno ci saranno i primi servizi. Su quali tipi di servizi state lavorando? Abbiamo varie categorie di servizi: la compliance che permette di validare la carta d'identità di un servizio digitale, verificando se un servizio è trusted o meno, se è verificabile, trasparente e controllabile. La label ci dice se il servizio è buono o cattivo, non è l'associazione a deciderlo ma un governo sovrano oppure un settore come quello dell'energia o delle banche. Si definiscono cioè etichette, un insieme di valori che devono essere soddisfatti. Noi, ad esempio, abbiamo definito una label Gaia X basata su un insieme di oltre 50 regole desunte da tutta la regolamentazione europea. Su questo punto vorrei soffermarmi: Gaia X, infatti, introduce una forte spinta all'automazione della regolamentazione in un mondo dove vengono prodotte migliaia di pagine di regole che devono essere facilmente traducibili, pena costituire un ostacolo per il mercato. Soprattutto per le pmi, che non possono permettersi di investire nella comprensione della regolamentazione. Bisogna, quindi, passare a un modello in cui le certificazioni possano essere verificate automaticamente da Gaia X. Mostreremo qualche anticipazione già al summit di Parigi di novembre prossimo. Garantirete anche la sicurezza, fattore, alla luce del conflitto e nel contesto generale sempre più importante? Assolutamente sì. Uno dei problemi fondamentali della sicurezza è la capacità di identificare chi eroga il servizio, chi lo gestisce, e la sua struttura. Poter ispezionare un servizio è uno degli obiettivi di Gaia X. Anche la sicurezza è fatta di regole. L'Enisa, ovvero la recente Agenzia europea per cybersecurity, sta lavorando su tre livelli di label: fondamentale, intermedio e alto. La scelta di Gaia X è stata quella di allinearci, prevedendo ugualmente tre livelli. C'è una grande discussione sul livello 3 di Enisa che è quello più stringente e alcuni operatori extra europei si stanno lamentando del set di regole considerandolo troppo restrittivo. In pratica si richiede che i servizi siano erogati in Europa da erogatori europei e che ne sia conosciuta la struttura, senza controlli da parte di aziende o giurisdizioni non europee. Torniamo cioè al problema del conflitto tra il Cloud act americano e il Gdpr. In questo contesto serve e servirà sempre di più un approccio reg tech, per rendere le regole semplici e applicabili da tutti e dare garanzia all' utilizzatore delle tecnologie sulla loro affidabilità e conformità. In sintesi, quello che sta facendo Gaia X è, dunque, armonizzare un set di regole comuni, avere una tecnologia che le verifica, rendendo questo approccio aperto a chiunque voglia essere conforme. Le regole scelte da Gaia X si armonizzano con i requisiti del bando per il Polo strategico nazionale italiano? I principi sono gli stessi. Il Polo è una delle iniziative dei vari Stati membri per realizzare una piattaforma di servizi sicura che risponda a delle regole. Lo sforzo è di allineamento tra tutte le regole che l'Europa si dà anche attraverso Enisa. Trovo improbabile che una volta definito lo standard gli Stati membri non si adeguino. C'è tuttavia la polemica, soprattutto in materia di cybersecurity, rispetto alla partecipazione a questi progetti di attori non europei Non credo che la polemica rispetto alla partecipazione di attori non europei, americani e asiatici, abbia senso di esistere. Noi ed Enisa stiamo definendo regole europee che garantiscono la sicurezza dei dati nazionali. Credo che gli operatori dovranno solo fare la propria scelta, seguire le regole definite dall'Europa o no. Per me la seconda opzione non c'è perché in un mercato globale o si seguono le regole o non si lavora. Sono convinto che noi stiamo definendo regole del gioco in Europa a cui tutti quanti si adegueranno e che quello che stiamo facendo è utile anche fuori dall'Europa, interessante per Usa, Giappone, Corea. Quali gli sviluppi prevedibili fuori dall'Europa? In Gaia X abbiamo già molti membri non europei, abbiamo 17 hub di cui due non europei, in Giappone e Corea. A breve andrò a visitare diversi ministri in Qatar che hanno enorme interesse per quello che stiamo facendo. Sto, inoltre, avendo molte interlocuzioni con gli Usa ed è in uno stato avanzato il progetto di far partire il nuovo hub in Texas. Se trovassimo altre economie e Stati che vogliono portare al tavolo di Gaia X i loro progetti ben vengano. Ci sono altre critiche anche sul fronte della creazione di data space comuni, non tutti sono d'accordo a condividere i propri dati anche per ragioni di sicurezza La creazione di data space comuni è uno degli elementi portanti nel processo di digitalizzazione ed è fortemente voluto dalla Commissione europea. Se pensiamo che l'Europa possa continuare ad avere una catena del valore completamente chiusa tra i Paesi europei ci stiamo sbagliando, se pensiamo che l'Europa possa avere un ruolo nell'economia senza controllare le piattaforme dove si scambino i dati, stiamo fallendo. Quando creeremo reti che permettano di scambiare i dati è ovvio che queste catene del valore dovranno aprirsi ad altri Paesi, altrimenti tali catene si spezzano. Che interesse dovrebbero avere gli hyperscaler americani a partecipare a Gaia X? Gli Usa hanno proprie regole, ma si stanno muovendo molto rapidamente nel valutare quelle definite in Europa come il Gdpr. La California, ad esempio, sta valutando standard simili a quelli europei. Stanno capendo che il futuro dell'economia sarà fatto di infrastrutture economiche, di interconnessioni fisiche che siano affidabili per definizione. Noi stiamo creando un modello di riferimento che viene considerato non solo dall'Europa ma anche dagli altri Paesi come un antesignano. Vedo anch'io spesso polemiche da parte di chi non capisce il valore dei data space e si chiede il perché non ci si concentri sulla costruzione del cloud europeo. Questa è una mentalità che deve cambiare. Chi pensa che può stare sul mercato senza condividere i propri dati avrà grandi difficoltà a meno che non si chiami Google o Microsoft. Un progetto industriale di cloud europeo, invece, richiederebbe anni, ma se arrivasse un grande imprenditore e decidesse di investire trilioni di euro per un'infrastruttura cloud Gaia X compliant avrebbe le porte aperte. Per concludere credo che l'Europa abbia un grande bisogno di rebranding; c'è gente che dice che non sarà possibile colmare il gap tecnologico, e noi questo gap non lo abbiamo, oppure afferma che non sarà possibile colmare il gap di mercato, ma questo è colmabile per definizione perché altrimenti l'economia sarebbe stagnante. La regolamentazione cerca di rendere il mercato fair, ma non possiamo aspettarci che qualcuno risolva i nostri problemi e forse dovremmo smetterla di credere che la soluzione venga dagli altri. È quanto stiamo facendo con grande fatica e grande impegno. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 17/6/2022

17 Giugno 2022

Conferenza Stato Regioni: «Rischio stallo nella migrazione al cloud, serve tavolo»

Parla Michele Fioroni, coordinatore della commissione innovazione tecnologica e digitalizzazione della Conferenza Stato Regioni L'abilitazione tecnologica della pubblica amministrazione passa necessariamente dal cloud e, in vista della creazione del Polo strategico nazionale, le Regioni si sono dette disponibili a partecipare. Lo spiega a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) Michele Fioroni, coordinatore della commissione Innovazione tecnologica e digitalizzazione della Conferenza Stato Regioni. Tuttavia, nota Fioroni, le regole per la classificazione delle infrastrutture sono state riviste e saranno presentate solo a gennaio 2023. Di fronte a questa situazione di stallo occorre allora «un tavolo tecnico con il governo». «Regioni disponibili a collaborare per valorizzare investimenti nel cloud» La Strategia Cloud Italia, spiega Fioroni, «si prefigge l'obiettivo di migrare verso le infrastrutture cloud i dati e i servizi delle pubbliche amministrazioni e alla composizione del Polo strategico nazionale ovvero l'infrastruttura ad elevata affidabilità che ospiterà i servizi strategici e critici. Come coordinatore della Commissione per l'Innovazione tecnologica e la digitalizzazione fin dalla presentazione della Strategia Cloud Italia nel settembre del 2021 ho rappresentato la disponibilità delle Regioni a una collaborazione tecnica al fine di valorizzare le esperienze e gli investimenti regionali realizzati in questi anni. Vista l'eterogeneità del sistema infrastrutturale che ha caratterizzato e in parte tuttora caratterizza il nostro Paese, infatti, AgiD nel giugno 2019 ha condotto un censimento delle infrastrutture locali. I risultati hanno evidenziato ben 35 infrastrutture candidabili all'utilizzo da parte del Polo strategico nazionale». Le nuove regole per la classificazione emanate solo a gennaio del 2023» Il quadro di classificazione delle infrastrutture digitali fin qui adottato dallo Stato è, però, stato profondamente rivisto. «Il decreto dell'Agenzia per la cybersicurezza nazionale del 18 gennaio 2022, concernente la qualificazione dei servizi e delle infrastrutture cloud della pubblica amministrazione e la circolare Agid n.1/2022 hanno infatti modificato il quadro di riferimento, tuttavia le nuove regole per la classificazione verranno emanate solo a gennaio 2023. In quest'arco di tempo la qualificazione dei Csp (Cloud service provider) e dei Cloud IaaS (Infrastrutture-as-a-Service), PaaS (Platform-as-a-Service) e SaaS (Software-as-a-Service), secondo quanto previsto da AgID, rimane sospesa e non è chiaro come verranno attuate le attività di verifica e analisi dei sistemi delle pubbliche amministrazioni, né quali siano le infrastrutture conformi ai requisiti dell'Agenzia per la cybersicurezza nazionale per i dati e servizi critici e ordinari». Dal punto di vista di Fioroni «questa situazione di stallo è critica se vista in relazione alla strategia di migrazione al cloud delle Pubbliche amministrazioni prevista dal Pnrr. Durante la seduta della commissione per l'Innovazione tecnologica e la digitalizzazione del 16 maggio abbiamo, dunque, affrontato questa criticità su proposta di diverse Regioni e abbiamo concordato circa la necessità di istituire un tavolo tecnico con il Governo per addivenire ad una soluzione comune, necessità che abbiamo presentato, anche in relazione ad altri temi, in Conferenza delle Regioni e delle Province autonome a fine maggio scorso». In sostanza, continua il coordinatore della commissione, «il patrimonio delle Regioni, alla luce anche delle attività espletate ai sensi delle circolari AgiD, deve essere preservato e messo a sistema nella rete nazionale. In Umbria, ad esempio, attraverso una serie di iniziative progettuali, abbiamo portato avanti l'ulteriore qualificazione del data center regionale come Cloud service provider come richiesto dalla circolare AgID numero 2 del 2018». Le Regioni, sottolinea Fioroni, «in questi anni hanno prodotto un sistema di infrastrutture di estrema complessità ed oggi ospitanti in produzione migliaia di servizi e sistemi essenziali per l'azione amministrativa, sistema che deve essere valorizzato e che necessita al tempo stesso di essere aggiornato da figure professionali assunte stabilmente in organico per continuare ad adeguarlo alle sfide che si presenteranno. È essenziale lavorare in sinergia per valorizzare quanto di positivo è stato realizzato nel territorio nazionale e per implementare la non più procrastinabile migrazione al cloud ed a sistemi ad alta sicurezza dei dati e dei servizi delle pubbliche amministrazioni». «La digitalizzazione va accompagnata da un piano per adeguare le competenze» Un'attenzione particolare è richiamata anche al problema delle competenze necessarie per realizzare «la dematerializzazione dei processi della pubblica amministrazione». Una società interconnessa tramite i dati, spiega Fioroni, «è potenzialmente più aggregabile ed esposta. È questo il paradosso delle società digitalizzate che impone che la trasformazione digitale sia accompagnata da un consistente piano di adeguamento delle competenze che, nella pubblica amministrazione italiana, sono spesso condizionate da un'età media piuttosto elevata. Ma non solo; l'attuale quadro tecnologico è composto da tecnologie a rapida obsolescenza che impongono un processo di formazione continua per fare sì che il set di competenze delle persone sia sempre allineato all'evoluzione della tecnologia. Abbiamo più volte evidenziato al Governo come le pubbliche amministrazioni locali abbiamo la necessità di assumere personale qualificato da assumere al di là del Pnrr in maniera stabile e per poter garantire non solo la migrazione al cloud, ma anche la progressiva erogazione di servizi digitali ai cittadini e alle imprese». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 17/6/2022

17 Giugno 2022

Consorzio Italia Cloud: «Gara per il Psn occasione mancata, serviva più coraggio»

Parla Michele Zunino, ad di Netalia e presidente del Consorzio. Nel mondo delle Pa locali condizioni perché nascano alternative cloud al polo La gara per il cloud di Stato «è un'occasione mancata» e «bisognava avere più coraggio». È la posizione di Michele Zunino, amministratore delegato di Netalia e presidente del Consorzio Italia Cloud, in vista dell'assegnazione della gara per il Polo nazionale strategico che vede concorrenti la cordata Tim, Sogei, Leonardo contro Fastweb e Aruba. Quest'ultima cordata è data, secondo quanto anticipato dal Sole 24 Ore, per ora in vantaggio anche se la prima ha diritto a pareggiare l'offerta. Per Zunino, che sottolinea come nel mondo delle Pa locali ci siano le condizioni perché nascano alternative al polo, è fondamentale, al fine garantire la sovranità tecnologica, «avere il controllo anche dei servizi che vengono erogati e ciò avviene solo se l'erogatore del servizio ha il pieno controllo della tecnologia. Questa è la grande scommessa che stiamo facendo come Consorzio Italia Cloud». Come giudica la gestione della gara per il Polo nazionale strategico? È un'occasione mancata. La gara per il cosiddetto cloud di Stato poteva avere esternalità positive in termini di crescita di competenze delle Pmi italiane del settore. Bisognava avere un po' più di coraggio e andare oltre la messa in sicurezza dei dati della Pa per disegnare un percorso di medio-lungo termine che potesse essere di maggiore utilità al sistema Paese. Quello che poteva essere un grande disegno di politica industriale sembra oggi assomigliare di più a un appalto dove lo Stato e il privato si spartiscono il rischio. Ma non è chiaro come sarà accolto dalle amministrazioni: è una risposta che potremo darci solo tra qualche anno. Quello che è possibile percepire già adesso è che il mondo della Pa locale si sta attivando diversamente da quel progetto, quindi è molto probabile che ci saranno degli scenari di mercato diversi dal Polo strategico nazionale che sembra essere più indirizzato verso alcune delle grandi Pa centrali. Ma il mercato è molto più ampio e ci sono le condizioni perché nascano delle alternative. Come raggiungere l'obiettivo di rendere il cloud di Stato un'infrastruttura strategica per il Paese? Considerando il cloud come un'infrastruttura abilitante e non solo come uno strumento. Vedendolo cioè come un elemento a supporto di una serie di necessità dei mercati, dell'economia in generale e dei territori. Perché vedo così importante il tema del cloud? Stiamo vivendo un momento di grande trasformazione, e rischiamo di delegare agli strumenti di intelligenza artificiale gran parte della nostra competitività. Chi ha a disposizione una grande quantità di dati e capacità di calcolo, è già in grado di prevedere l'andamento di certi comportamenti dei soggetti economici e di conseguenza decidere su cosa e dove investire. Quello che ne deriva è che la capacità di calcolo e di sfruttamento legale dei dati della Pa può diventare una risorsa strategica all'interno di un sistema come il nostro. Pensare che tutta questa capacità di calcolo, di cui avremo sempre più bisogno. provenga da giganti economici che non rispondono al nostro perimetro giuridico-normativo e che potrebbero, in virtù di cambiamenti geopolitici, cambiare le condizioni di fornitura, è un rischio che abbiamo deciso di assumerci e che ci condanna alla dipendenza tecnologica. Si può mitigare questo rischio con una gestione italiana del cloud? Credo che questo rischio possa ancora essere mitigato. Il tema non è tanto la performance o l'aspetto di innovazione, ma è prevalentemente legato alla capacità di essere autonomi. Per fare un esempio, 10 anni fa abbiamo concluso una serie di accordi molto favorevoli all'Italia per la fornitura gas, senza preoccuparci di dotarci di un'alternativa. Senza differenziare le fonti. Quando sono cambiate le condizioni geopolitiche quello che era un elemento competitivo è diventato un ostacolo da gestire. Parallelamente, il rischio che vedo nel settore del cloud è che laddove affidassimo ai grandi player globali in forma esclusiva la capacità di calcolo della Pa, dovremo poi attenderci delle significative ripercussioni sul sistema, e non solo per chi non ha partecipato alla gara. Io credo che sia necessario fare distinzione tra la tecnologia di base ed il servizio operativo. Una cosa è comprare hardware e software dai produttori, disponibili su canali di vendita tradizionale, altra cosa è comprare servizi gestiti da soggetti che non rientrano in un ambito regolatorio comunitario, definito. Noi cloud provider italiani prendiamo tecnologie da ogni parte del mondo, anche perché non si può controllare la filiera tecnologica legata all'innovazione, ma garantiamo che la gestione tecnologica sia fatta secondo certi principi e schemi. È un quadro ben diverso quello che si ha quando i grandi provider sono già gestori della tecnologia e non solo fornitori di tecnologia. Diventano cioè fornitori di servizi. Di fronte a domande puntuali sulla capacità di definire il confine di titolarità dei loro dati hanno difficoltà a fare affermazioni definite, rimangono sul generico. Condivido, quindi, il pensiero del professor Baldoni (direttore dell'Agenzia della cybersecurity nazionale, ndr) che ritiene necessario avere il controllo degli impianti tecnologici. Il nodo resta quello di avere il controllo anche dei servizi che vengono erogati e ciò avviene solo se l'erogatore del servizio ha il pieno controllo della tecnologia. Questa è la grande scommessa che stiamo facendo come Consorzio Italia Cloud. Riteniamo che sia possibile farlo, sta succedendo in molti Paesi europei dove vengono definite regole più rigide. Come mai voi che all'inizio eravate in lizza non avete partecipato alla gara per il Psn? Il Consorzio ha valutato che non ci fossero le condizioni per partecipare, la gara era scritta in modo dettagliato e preciso, lontano dal modello che secondo noi andava promosso di valorizzazione degli investimenti già fatti. Pensare di fare tabula rasa delle competenze esistenti centralizzando tutto in un sistema nuovo non è quello che il consorzio intende fare. Vi candidate comunque a collaborare o formare future partnership con i vincitori? Sì, nella misura in cui le condizioni iniziali per questa gara sono cambiate molto nel tempo, c'è stata un'evoluzione, anche grazie alle attività del Consorzio. Il primo risvolto positivo è che le Pa non avranno obbligo di conferire i dati al Psn. Le Pa, dunque, hanno una certa libertà di scelta, soprattutto le locali. La gara si orienta prevalentemente alle Pa centrali e comunque non le obbliga. È molto significativa in tal senso la notizia che Inail, Inps e Istat hanno costituito una in house, una loro struttura. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 17/6/2022

17 Giugno 2022

«Per il controllo del cloud la scala critica è europea, il Vecchio Continente è indietro»

Parla Giuseppe Di Franco, ad di Atos Italia in vista dell'aggiudicazione della gara per il cloud della Pa. Necessario rendere interoperabili le piattaforme L'Italia sulla sua sicurezza del cloud «non è competitiva, non si può paragonare alla capacità di grandi poli come Usa e Cina, un livello ragionevole di scala critica per essere credibili nel controllo del dato è europeo». Giuseppe Di Franco, presidente e amministratore delegato di Atos Italia, fa un punto sullo stato del cloud nel nostro Paese in vista dell'aggiudicazione della gara per il Polo nazionale del cloud. «L'Italia – dice in un'intervista a DigitEconomy.24, report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School - si deve porre all'interno di un quadro europeo, oltre che su vaccini, sulla guerra, anche per quanto riguarda la trasformazione tecnologica». Di Franco sottolinea che occorre puntare, per il successo del Polo Strategico, sull'unificazione delle piattaforme, «sull'interoperabilità tra i soggetti diversi della Pa. Se, infatti, si unificano i dati ma restano piattaforme differenti, i dati stessi non potranno essere utilizzati». Al momento sono in gara due cordate: Tim, Sogei, Leonardo e Cdp e Aruba-Fastweb; quest'ultima, secondo quanto riportato di recente dal Sole 24 Ore, è in vantaggio, ma la prima ha diritto a pareggiare l'offerta. Si avvicina l'aggiudicazione del Polo nazionale strategico del cloud, quali gli elementi su cui lavorare? Il cloud è un percorso ineludibile di evoluzione tecnologica che le aziende pubbliche e private stanno intraprendendo; un trend unico e incontrovertibile nel mondo dell'Ict. Non si può essere né in accordo né in disaccordo. È un fenomeno tecnologico che introduce opportunità ed elementi di attenzione. Parlando del cloud di Stato, penso che, per quanto riguarda la Pa, il tema che resta aperto, una volta realizzato il cloud nazionale, è quello dell'unificazione delle piattaforme, ovvero consentire l' interoperabilità tra soggetti diversi della Pa. Per fare un esempio, realizzando il cloud nazionale, la cartella sanitaria non sarà automaticamente condivisibile tra Regioni e Governo o tra Regioni e Paesi europei. Lo diventerà se poi verranno unificate le piattaforme. Se, infatti, si unificano i dati ma restano piattaforme differenti, i dati stessi non potranno essere utilizzati. A spingere verso il risultato dell'unificazione non potrà essere l'impresa privata, ma le Regioni oppure il Governo. Quello su cui occorre avere consapevolezza è che il cloud di Stato è un passaggio infrastrutturale, non di servizio applicativo al cliente o al cittadino finale che è quello di cui c'è bisogno. È uno step, ma occorre conoscere il percorso ulteriore da compiere. Che ruolo può svolgere Atos in tal senso? In questo contesto il ruolo svolto da Atos è quello di lavorare alla creazione di piattaforme che, usando soluzioni cloud, consentano l'interoperabilità. È quello che stiamo facendo nel mondo Enel, forse il più evoluto da questo punto di vista, dove abbiamo completato integralmente il trasferimento al cloud. Stiamo lavorando alla realizzazione di servizi basati sul cloud che aumentino ulteriormente l'efficienza. Il cloud è il trampolino della digitalizzazione di Enel. Atos in Italia collabora, inoltre, con Google e Microsoft che stanno realizzando data center per supportare i percorsi di digitalizzazione. Saremo un provider importante di capacità elaborativa in entrambi i casi. Siete partner di Google e di recente avete partecipato al lancio della Region Google Cloud a Milano. Che rapporti avete col colosso americano? Atos ha un ruolo in questo lancio, noi siamo presenti; per noi Google è, infatti, un partner strategico. Abbiamo rapporti sia a livello di gruppo sia a livello italiano, lavoriamo su diversi progetti, pensiamo sia un momento molto significativo di posizionamento e localizzazione degli investimenti di Google in Italia. All'evento abbiamo presentato un progetto congiunto con Tim sull'intelligenza artificiale per la manutenzione predittiva delle reti prima che il guasto si verifichi. Si parla della necessità di avere un controllo della gestione italiano o, al limite, europeo, è d'accordo? Un elemento importante è sapere che all'interno dei data center dei colossi globali ci sono un cuore e una capacità elaborativa al 100% europea. Un altro fattore positivo è rappresentato dall'enorme opportunità di crescita di competenze e posti di lavoro; tutto questo apre a nuove opportunità e nuovi servizi e alla crescita del sistema economico. Gli investimenti avranno un effetto moltiplicativo enorme. Parlando di Atos, ad oggi da inizio anno sono state assunte 300 persone, stiamo scommettendo su un percorso positivo di queste 300 persone, oltre il 50% delle quali sono in ambito cloud. A livello nazionale penso si misurerà in decine di migliaia di posti di lavoro. Il vero nodo non sarà quello di aumentare postazioni di lavoro ma avere da università e formazione le risorse necessarie. Il collo di bottiglia è, quindi, la capacità di sfornare le posizioni richieste. L'Europa sta facendo abbastanza per competere con i giganti di Usa e Cina? Probabilmente uno degli aspetti più importanti è quello di mettersi al passo della ricerca scientifica e tecnologica. Atos in questo campo ha stipulato accordi con 8 diverse università italiane. Noi cerchiamo di dare un contributo per chiudere il gap di competenze che si è venuto a creare. Un secondo elemento è quello fare squadra a livello europeo, ad esempio prendere atto delle soluzioni, dell'assetto normativo che sta cercando di promuovere Gaia X. A che punto è, dalla vostra prospettiva, il progetto Gaia X? Molto deve essere ancora fatto per recepire le linee guida di Gaia X. L'Italia, ma anche l'Europa, sono indietro. Basti un dato: le società tecnologiche in Europa rappresentano il 2% della capitalizzazione di Borsa, come rilevato dal Forum Ambrosetti. È un dato che rende bene l'idea di quanto sia vecchia l'economia europea; il problema è coprire il gap, saper svolgere il gioco europeo di crescita. Atos, dal canto suo, oltre a essere tra i fondatori di Gaia X, è un'azienda europea, la logica che segue è quella degli accordi e delle alleanze. Oltre alla sovranità tecnologica c'è il problema della sicurezza Sì, il problema della sicurezza è un elemento di preoccupazione insito nel concetto di digitalizzazione. Concordo pienamente con Roberto Baldoni, direttore dell'Agenzia nazionale per la cybersicurezza, sul punto che la scala italiana non è competitiva, non si può paragonare alla capacità di grande poli come Usa e Cina. Penso che un livello ragionevole di scala critica per poter essere credibili nel controllo del dato è ancora una volta quello europeo. L'Italia si deve porre all'interno di un quadro europeo, come è successo per i vaccini anti Covid o per la guerra russo-ucraina. Penso che nella grande trasformazione tecnologica l'Italia debba avere un ruolo da giocatore europeo. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 17/6/2022

20 Maggio 2022

Dadone: «Al via 7 hub per superare il divario tra domanda e offerta di lavoro»

Il progetto Myc, ovvero "Match young competence", è rivolto agli under 35. «Sul digitale - dice la ministra - occorre permettere a tutti di acquisire le competenze» Novara, Verona, Brindisi, Guidonia, Vallo della Lucania, Enna e Nuoro. Sono le prime sette sedi scelte per il lancio, che avverrà probabilmente in autunno, dei Myc (Match young competence), sette hub per rafforzare la vocazione imprenditoriale e le competenze dei giovani, agendo sulla formazione e lavorando con aziende, realtà private e pubbliche, enti di formazione. L’obiettivo, annuncia a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) la ministra per le Politiche giovanili Fabiana Dadone, è quello di «superare il divario tra domanda e offerta di lavoro agendo sul disallineamento tra i profili e le competenze ricercate dalle aziende da un lato e la formazione e le esperienze dei giovani dall’altro». E di fronte alla carenza delle competenze digitali e in campo della cybersecurity in particolare, la ministra sottolinea la necessità di non perdere «quel treno di riorientamento organizzativo e quindi anche sociale e culturale» innescato dalla pandemia che «anzi andrebbe colto e rafforzato per permettere a tutti i cittadini, tanto nel settore privato quanto in quello pubblico, di acquisire competenze e conoscenze adeguate in un mondo sempre più smart, interconnesso e quindi anche esposto ai rischi cyber». Si tratta di un progetto sperimentale rivolto ai giovani e alle aziende, che permette alle realtà pubbliche e a quelle private dei vari territori di lavorare insieme, in maniera sinergica, con uno scopo unitario: sviluppare la vocazione imprenditoriale e rafforzare le competenze per l’autoimpiego e l’autoimprenditorialità degli under 35, puntando al lavoro e alla formazione dei giovani per contribuire allo sviluppo e al rilancio delle comunità territoriali. I Myc, in questa fase sperimentale, saranno realizzati a Novara, Verona, Brindisi, Guidonia, nel Cilento, ad Enna e Nuoro. Aziende, associazioni di categoria, università, istituti scolastici, ITS, enti locali, professionisti saranno impegnati insieme, in una cornice snella ma definita, per raggiungere obiettivi comuni, coordinati dal Dipartimento per le politiche giovanili e il servizio civile universale, per il tramite di Invitalia. Intendiamo con il progetto “Myc: match youth competence” superare il divario tra domanda e offerta di lavoro agendo sul disallineamento tra i profili e le competenze ricercate dalle aziende da un lato e la formazione e le esperienze dei giovani dall’altro. Ogni Myc offrirà servizi, svolgerà eventi informativi, orientativi e di incrocio domanda/offerta nonché percorsi di orientamento e formazione sulle competenze trasversali e su quelle imprenditoriali, guardando a una o più vocazioni territoriali specifiche: ad esempio la biotecnologia, la transizione ecologica, l’agroalimentare, la moda, il design, la logistica, la nautica, il marketing territoriale, la ristorazione e l’accoglienza, la cybersecurity, l’aerospazio, etc. Metodologie e format interattivi e altamente esperienziali, basati su simulazioni, gamification, role-playing, challenge, lavori di gruppo sono le leve con le quali ogni Myc offrirà i propri servizi in favore dei giovani non solo per trasferire conoscenze e competenze, ma per sviluppare il pensiero creativo, la capacità di risoluzione dei problemi e l’orientamento innovativo (c.d. growth mindset). Quali le esigenze che hanno portato allo studio di questo progetto e quali gli obiettivi? Ogni settore produttivo lamenta la difficoltà a trovare risorse umane formate, esperte, capaci. Con i 7 centri in via sperimentale cerchiamo di segnare una best practice che parta dalla mappatura dei fabbisogni e dell’esistente in termini di formazione e professionalizzazione per organizzare con tempi rapidi percorsi di orientamento e formazione ad hoc. Puntiamo a farlo però con il contributo di tutti gli attori dei territori e dei settori interessati. Sinteticamente i tre obiettivi centrali sono: facilitare la transizione scuola-lavoro, sviluppare la vocazione imprenditoriale nei giovani e favorire la realizzazione di stage di lavoro all’estero. I servizi e le attività dei Myc sono rivolti ai giovani in età scolare e post scolare (14-35 anni) e sono declinati su tre differenti ambiti di destinatari: studenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado (14-18 anni); studenti universitari (19-24 anni) e giovani disoccupati o in cerca di occupazione (19-35 anni) con uno sguardo ovviamente rivolto anche ai Neet. Quali sono i tempi stimati di realizzazione? Si stanno definendo gli aspetti organizzativi e amministrativi, l’individuazione delle sedi direzionali e il coinvolgimento dei primi partner di ciascun Myc nei vari territori. Prevediamo nel prossimo autunno di inaugurare i Myc per lanciare in via formale le linee di intervento in ambito orientativo, informativo, formativo e di incrocio domanda/offerta di lavoro.C'è in Italia, anche fra i giovani, un forte problema di competenze digitali e in particolare di cybersecurity, come si può risolvere e in che tempi? Lo sforzo messo in atto dai colleghi di Governo è ampio e sta cominciando a produrre i primi risultati. È evidente che il Paese ha un ritardo che in occasione della crisi pandemica è stato notevolmente ridotto anche per la necessità di ridefinire l’organizzazione del lavoro e dei servizi. Certamente quel treno di riorientamento organizzativo e quindi anche sociale e culturale non dovrebbe essere perso, anzi andrebbe colto e rafforzato per permettere a tutti i cittadini, tanto nel settore privato quanto in quello pubblico, di acquisire competenze e conoscenze adeguate in un mondo sempre più smart, interconnesso e quindi anche esposto ai rischi cyber. Il Pnrr può essere la soluzione, anche alla luce degli ultimi imprevisti avvenimenti come il conflitto russo-ucraino? Sicuramente. Anche se è sotto gli occhi di tutti che tra gli strascichi pandemici, la crisi causata dalla invasione russa in Ucraina e l’impatto di quest’ultima sui mercati e sui settori produttivi, le risorse stanziate per far fronte ai danni dal Covid-19 rischiano di essere fortemente intaccate nella loro utilità ed efficacia. Come coinvolgere le ragazze nello studio delle materie Stem? Educando e formando le famiglie, penso, innanzitutto. Purtroppo, veniamo da decenni di una certa cultura che ha da un lato spinto le varie generazioni a rincorrere la formazione scolastica classica, diremmo, o comunque umanistica a discapito di quella scientifica, tecnica o professionale. Dall’altro abbiamo subito un orientamento di genere della formazione, con evidenti ricadute in termini di impoverimento dell’offerta e di un conseguente mancato sviluppo, di una cultura sociale e familiare che vede uomo e donna paritari a lavoro, nella gestione delle cure familiari, etc. È un problema unico che va affrontato in maniera organica.Per quanto riguarda le materie scientifico-tecnologiche ci sono numerosi casi di campagne role model per permettere alle ragazze di vedere concretamente i risultati e le possibilità di donne che come loro hanno scelto la strada di una formazione tecnologica o scientifica. Credo che l’esempio, la testimonianza diretta, di “persone normali” rappresenti oggi per i nostri giovani in generale e per le ragazze in particolare la leva migliore per diffondere e divulgare le buone pratiche, le opportunità, le potenzialità del mondo in cui viviamo. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 20/05/2022