Digital Transformation
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09 Maggio 2022

«Aperti a dialogare con le altre aziende e ad accordi per evitare duplicazioni»

Parla Guido Bertinetti, nuovo direttore Network e operations di Open Fiber, dopo l'accordo con Aspi Dopo l'accordo con Aspi e la creazione di un consorzio per assumere e formare manodopera, Open Fiber è pronta a dialogare con altre aziende, del settore telco e non, per risolvere assieme problemi comuni come quello della carenza di manodopera per costruire le reti. D’altro canto, la società è aperta ai co-investimenti e non esclude accordi per evitare duplicazione di investimenti (ha infatti dato il via libera all’accordo commerciale con Tim commerciale a cui manca l’ok del cda di Fibercop, ndr) e conta già «300 partner, nazionali e internazionali, che possono vendere i propri servizi su una rete che ha già raggiunto 14 milioni di unità immobiliari e che, a fine piano, ne raggiungerà 24 in tutta Italia». A fare il punto, con DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore e della Luiss Business School) è Guido Bertinetti, da qualche giorno nuovo direttore Network e operations di Open Fiber al posto di Gabriele Sgariglia. Secondo quanto detto di recente da Laura Cioli, ad di Sirti, per fronteggiare alla carenza di manodopera necessaria a costruire le nuove reti occorre fare sistema. Che cosa ne pensa Open Fiber? Servirebbe un tavolo comune tra le aziende di rete e le telco? La carenza di manodopera è un problema che interessa numerosi settori e certamente non risparmia quello delle telecomunicazioni. Il ministro Colao ha dichiarato che servirebbero nella filiera almeno diecimila addetti in più rispetto a quelli già in campo. Il dialogo e la sinergia tra aziende è fondamentale e, per fornire una risposta concreta al tema, Open Fiber ha lanciato in collaborazione con Aspi e Ciel il consorzio Open Fiber Network Solutions che prevede l’assunzione e la formazione di personale e che ci consentirà di completare il piano di copertura de Paese. Parliamo di circa mille persone aggiuntive sui cantieri nell’arco del primo anno di attività del consorzio. L’esempio del consorzio con Aspi per assumere e formare manodopera potrebbe fare da apripista nel settore? Pensate ad altre iniziative del genere e con che tipo di aziende? Fino a oggi Open Fiber non disponeva di squadre di operai di cantiere. Il consorzio ci permette di essere più flessibili e di movimentare i tecnici sul territorio laddove è necessario. Ma si tratta anche di un’iniziativa per il Paese, una risposta di sistema nell’ambito del mondo Cdp, che alla fine del 2021 è diventata il nostro azionista di maggioranza, che sfrutta le sinergie con Aspi e la sua esperienza nell’infrastrutturazione. In generale, OF è disponibile a dialogare con tutte le aziende, nel settore delle Tlc ma non solo, interessate a individuare soluzioni per problemi comuni. La via del co-investimento anche con aziende diverse dalle telco può essere auspicabile? Il piano di Open Fiber è stato strutturato per coprire tutto il territorio nazionale (aree bianche, nere e grigie). Questo non esclude che possano venire stipulati accordi per evitare la duplicazione degli investimenti. Come operatore wholesale only, OF continua a sviluppare accordi commerciali con tutti gli operatori interessati all’utilizzo della sua rete: sono già 300 i partner, nazionali e internazionali, che possono vendere i propri servizi su una rete che ha già raggiunto 14 milioni di unità immobiliari e che, a fine piano, ne raggiungerà 24 in tutta Italia. A livello di regolazione e permissistica ci sono ancora, nonostante i decreti di semplificazione, problemi nella realizzazione delle reti? Lo sforzo compiuto da Governo e Parlamento con gli ultimi provvedimenti di semplificazione è stato importante. È stato fatto molto, ma è fondamentale che queste riforme siano poi messe in pratica, perché in Italia l’applicazione delle norme primarie nei regolamenti e nelle pratiche degli enti locali è spesso lenta e non uniforme. Ancora oggi l’efficacia degli ultimi tre provvedimenti di semplificazione (2019, 2020, 2021) è ridotta a causa di un’implementazione disomogenea. Avete le competenze necessarie in Open Fiber per gli investimenti previsti nei bandi Pnrr e la digitalizzazione del Paese? Sì. Nei cinque anni di operatività dalla sua fondazione, Open Fiber ha impiegato quattro miliardi di euro di investimenti, che diventeranno 15 a fine piano. Attualmente stiamo lavorando per completare la rete nelle aree nere e bianche e attendiamo l’esito delle gare sulle aree grigie, per lo più distretti industriali, che riguardano un’altra fetta di Paese rimasta indietro dal punto di vista della connettività ultraveloce. La nostra rete ultraveloce non connetterà soltanto case e aziende, ma vuole essere il sistema nervoso del Paese. In quest’ottica il MoU siglato con Aspi consentirà lo sviluppo di tutta una serie di servizi innovativi in città, strade, autostrade, porti come il controllo intelligente di traffico e accessi, sistemi di irrigazione e monitoraggio del territorio fino alla mobilità elettrica. Open Fiber vuole fare la sua parte, sviluppando sinergie e collaborando a livello di sistema per aiutare il Paese a cogliere e vincere la sfida del Pnrr. È in dirittura d’arrivo il fondo bilaterale di settore che ha la finalità di consentire il turn over e il reskilling del comparto in vista delle nuove necessità. Può essere una buona opportunità anche per Open Fiber? Open Fiber è un’azienda giovane e solida che sta continuando ad assumere personale per completare un corposo piano industriale, quindi, in questo momento il fondo bilaterale non ci riguarda direttamente. Tuttavia, visto il momento di crisi del settore delle tlc aggravato dalla carenza di manodopera e dall’aumento del prezzo delle materie prime, ogni intervento di regia e semplificazione messo in campo anche dal Governo è sicuramente bene accetto per poter far fronte alle difficoltà del contesto e velocizzare le attività. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 6/5/2022

09 Maggio 2022

Asstel: «Il fondo bilaterale è pronto, fondamentale il sostegno del Governo»

Parla la direttrice dell'associazione delle telco, Laura Di Raimondo, che chiede ora un tavolo per il comparto con tutti i ministeri coinvolti Manca poco all’avvio del fondo bilaterale di settore per le telco e l’associazione di categoria Asstel torna a chiedere un aiuto economico da parte del Governo per la fase di start up. Perché il comparto, spiega Laura Di Raimondo, direttrice dell’associazione a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) ha problemi di sostenibilità economica, come dimostrano gli ultimi dati sull’andamento dei ricavi e, allo stesso tempo, è centrale nel processo di digitalizzazione del Paese. Per questo occorre un tavolo del settore «a tutto tondo, con tutti i ministeri coinvolti». Necessario un profondo reskilling, da formare 100mila dipendenti l'anno Il settore, in questa fase ha necessità, inoltre, di un profondo reskilling, proprio per andare incontro alle nuove esigenze del mercato dei servizi digitali. Dal 2021 al 2025 si prevede in media la formazione di oltre 100mila dipendenti all’anno della filiera e l’erogazione di quattro giornate medie di formazione per persona, con una spesa complessiva di oltre 110 milioni di euro. Anche a supporto di questa esigenza nasce il fondo bilaterale di settore, finanziato per due terzi dalle aziende e per un terzo dai dipendenti. «Il 20 aprile scorso abbiamo firmato l’accordo con le organizzazioni sindacali, dando seguito a quanto previsto nell’avviso comune sottoscritto lo scorso 12 novembre 2020 unitamente al rinnovo del ccnl delle tlc, che individua le diverse azioni che si possono attuare attraverso il fondo di solidarietà bilaterale del settore delle tlc. L’accordo è stato trasmesso al ministero del Lavoro per l’avvio dei passaggi autorizzativi che si concluderanno con l’emanazione di un decreto ministeriale e a quel punto il fondo potrà essere operativo. Abbiamo chiesto al Governo la possibilità di avere un supporto pubblico o all’interno del Pnrr o attraverso la fiscalità dello stato per le finalità del fondo, aggiuntivo rispetto al finanziamento da parte di imprese e lavoratori, che ne acceleri la piena operatività soprattutto nella fase di avvio. Riteniamo fondamentale questo sostegno, anche in considerazione del ruolo che la filiera delle telecomunicazioni può e vuole giocare per il raggiungimento degli obiettivi di digitalizzazione del Paese». Un comitato costituito da Asstel, sindacati e ministeri per amministrare il fondo L’amministrazione del fondo è deputata a un comitato composto da quattro componenti di Asstel e quattro nominati dai sindacati di settore Slc Cgil, Fistel Csl, uilcom Uil e Ugl Telecomunicazioni, da due rappresentanti con qualifica di dirigente, rispettivamente del ministero del Lavoro e delle politiche sociale e del ministero dell’Economia e delle finanze. Il presidente sarà scelto tra i propri membri. Alle riunioni parteciperà anche il collegio sindacale dell’Inps, nonché il direttore generale dello stesso istituto o un suo delegato, con voto consultivo. Nell’atto costitutivo è previsto anche l’obbligo di bilancio in pareggio e non possono essere erogate prestazioni in carenza di disponibilità. Gli interventi a carico del fondo sono, dunque, concessi entro i limiti delle risorse già acquisite. Tra le prestazioni che possono essere erogate l’accordo prevede il finanziamento di programmi formativi di riconversione o riqualificazione professionali, anche in concorso con gli appositi fondi nazionali e/o dell’Unione europea. «Da tempo chiediamo un tavolo di settore a tutto tondo con tutti gli stakeholder» Dal fondo di settore, passando per le necessità di reskilling e upskilling, alla richiesta di alzare i limiti elettromagnetici, agli strumenti per accompagnare e supportare le imprese nei cambiamenti in corso. «Da tempo abbiamo chiesto – aggiunge Di Raimondo - un tavolo sul settore a tutto tondo in cui fossero presenti tutti i Ministeri e gli stakeholder coinvolti. Siamo convinti sia fondamentale avviare un percorso, un punto di raccordo per ragionare su tutta la filiera delle tlc, necessario anello di congiunzione per la messa a terra del Pnrr. Oltre al fondo bilaterale di settore - spiega la dirigente – c’è la necessità di alzare i limiti elettromagnetici che restano tra i più bassi d’Europa, e occorre risolvere il problema della sostenibilità economica della filiera che, da un lato, ha un alto tasso di investimenti, dall’altro è in sofferenza su ricavi e marginalità. Servono dunque azioni mirate e di sistema». Per Asstel, inoltre, «un aspetto chiave per la ripresa del settore, oltre che del Paese, passa da un rapporto di collaborazione, nel pieno rispetto dei ruoli e delle prerogative di ciascuno, tra tutti gli attori che contribuiscono alla definizione dello scenario e del quadro normativo, allo scopo di creare un contesto favorevole ad investimenti e innovazione. La trasformazione digitale è un driver chiave per la competitività dell’interno sistema Paese e in prospettiva porterà benefici anche in termini di ambiente e, quindi, transizione ecologica».Quanto al tema delle competenze, e in particolare della necessità di figure professionali mancanti, «un aspetto importante per la realizzazione dei piani previsti riguarda l’aumento della capacità produttiva nelle attività di costruzione delle reti di nuova generazione e lo sviluppo di nuovi servizi. Per questo e per la competitività futura delle imprese della filiera delle tlc occorre investire in nuove professionalità, soprattutto digitali, che concorrano a promuovere una crescita qualitativa del lavoro che, insieme a una formazione permanente che accompagni i processi di upskilling e reskilling, possa aiutare a sviluppare le infrastrutture di cui il Paese si deve dotare. Questa, d’altronde, è una delle finalità del fondo di solidarietà che può rappresentare una leva di risoluzione strutturale dei processi di trasformazione e transizione verso lo sviluppo tecnologico a beneficio di lavoratori e imprese. La trasformazione ecologica e quella digitale vanno, infatti, affrontate con una visione e misure strutturali e permanenti» SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 6/5/2022

09 Maggio 2022

«Un’unica rete nazionale auspicabile anche per 5G, riduce rischi di investimento»

Parla il giurista Innocenzo Genna della trasformazione in corso, del consolidamento e degli impatti sull'occupazione Le grandi telecom europee devono affrontare scenari di mercato in forte evoluzione, caratterizzati dal costante declino dei margini nelle telecomunicazioni, dagli elevati costi richiesti per le nuove reti in fibra ottica e 5G, nonché dall'esigenza di scalare le nuove catene del valore, dove il peso crescente è costituito dai servizi innovativi e dall'economia dei dati, mentre la connettività tende ad essere considerata come una commodity. Tali trend di mercato sono particolarmente critici per le telecom tradizionali (incumbent e principali operatori mobili), le quali risultano appesantite da ulteriori caratteristiche storiche: elevati livelli di indebitamento, numero di dipendenti troppo alto rispetto alle caratteristiche attuali del mercato, nonché necessità di soddisfare le aspettative di dividendi regolari degli azionisti, in particolare dei fondi. Risultano invece meno toccati da queste criticità gli operatori alternativi (che hanno livelli minori di indebitamento e costi) e quelli non quotati, i quali non devono distribuire dividendi annualmente ma possono pianificare con i propri investitori ed azionisti strategie di più lungo periodo. «Telco tradizionali tra cambiamento e separazione delle reti d'accesso dai servizi» Da tale scenario di mercato deriva una serie di cambiamenti strutturali che riguardano, per le ragioni anzidette, soprattutto le grandi telecom tradizionali: in primo luogo una tendenza al consolidamento tra operatori, ed in secondo luogo la sperimentazione di nuovi modelli organizzativi, in particolare la separazione delle reti d'acceso dai servizi. Il consolidamento viene perseguito da molti operatori per ridurre i costi ed aumentare la redditività, in un'ottica soprattutto difensiva. Alcune operazioni appaiono a rischio vista la tradizionale riluttanza della Commissione europea ad autorizzare una riduzione di operatori di rete mobili in ciascun mercato nazionale. Non si tratta però di una regola aurea e la stessa Commissione ha autorizzato tali operazioni quando esse non sembravano in grado di mettere a rischio la concorrenza nel caso specifico (ad esempio, in Olanda con la fusione tra T-Mobile e Tele2 nel 2018). «Con rete unica Ue potrebbe ordinare di mettere in vendita le infrastrutture ridondanti» In altri casi il consolidamento è stato autorizzato a condizione che venisse facilitata l'entrata di un nuovo operatore tramite la dismissione di spettro e reti da parte delle società che si fondevano (come nel caso di Hutchinson e Wind nel 2017 in Italia, che hanno consentito l'entrata di Iliad). Una soluzione del genere è prevedibile anche per Tim ed Open Fiber, qualora le due società confermassero l'intenzione di fondersi: le reti ridondanti, in particolare a Milano e nelle aree metropolitane in Italia, verrebbero verosimilmente messe in vendita su ordine della Commissione europea. A parte questi casi particolari, non si intravedono complessità specifiche per i casi di consolidamento, che la Commissione peraltro incoraggia qualora consentano di razionalizzare le risorse per gli investimenti o di creare dei player di livello internazionale. Gli uffici di Bruxelles manifestano infatti frustrazione verso le operazioni di consolidamento puramente nazionali, ritenendo invece più utili, nell'ottica dell'integrazione del mercato interno, le fusioni che unifichino players di paesi diversi e che quindi siano suscettibili di creare campioni continentali. Al momento queste operazioni di consolidamento paneuropeo sono scarse e solo pochi operatori vi si sono cimentati in tempi recenti, tra questi Iliad, Vodafone e Altice. Al contrario, i grandi incumbent europei (BT, Deutsche Telekom, Telefonica, Orange e Tim) da circa 20 anni hanno esaurito la spinta espansiva degli anni 2000 (quella della bolla Internet), ed hanno indirizzato la propria crescita solo nell'ambito di specifici mercati nazionali. La Commissione Europea vorrebbe scuotere questa inerzia e sarebbe sicuramente disposta a fare delle concessioni qualora i grandi player europei si mostrassero disponibili a delle fusioni transazionali. «Per i fondi la separazione della rete è uno strumento di investimento ‘protetto'» Il tema della separazione delle reti è perseguito dai fondi infrastrutturali, che ritengono troppo rischioso investire in operatori verticalmente integrati, stanti le criticità sopra evidenziate (margini declinanti ed investimenti crescenti), anche alla luce della maggiore profittabilità degli operatori Ott (Over the Top come Google o Facebook, ndr), Internet e cloud. La separazione della rete diventa quindi uno strumento per un investimento infrastrutturale "protetto", soprattutto quando la rete è monopolista o quasi: in tali casi, si tratta di un investimento ventennale che peraltro, nel caso della fibra ottica, non richiede particolari costi di mantenimento. Il modello potrebbe anche estendersi alle reti 5G, viste le difficoltà che gli operatori mobili trovano nel finanziarne il roll-out: una singola rete nazionale 5G ridurrebbe drasticamente i rischi di investimento, pur richiedendo un assetto innovativo circa le modalità di accesso, trattandosi di una novità assoluta nel settore mobile (dove gli operatori tradizionalmente difendono il modello verticalmente integrato). Un progetto del genere era stato avanzato dall'amministrazione Trump nel 2018, come soluzione per permettere agli Stati Uniti di competere validamente con la Cina nella corsa del 5G, ma poi è stata accantonata. L'attuale situazione geopolitica in Europa potrebbe però di nuovo rendere interessante questo modello, anche dal punto di vista strategico. «Recuperi occupazionali se si accompagna la ristrutturazione con i piani di rilancio» Sia le fusioni tra operatori che le separazioni delle reti possono creare delle ridondanze di forza-lavoro, poiché tali operazioni sono condotte con l'esigenza di ridurre i costi, ed inoltre prevedono il roll-out di tecnologie più efficienti (fibra, 5G) delle attuali (rame, 3/4G), che richiedono meno manutenzione (e quindi di manodopera). Tuttavia, recuperi occupazionali sono possibili da parte degli operatori più innovativi, i quali accompagnino le loro ristrutturazioni con piani di rilancio basati sull'innovatività: ad esempio investimenti in tecnologia cloud, nei servizi ed in generale in software e tecnologia, riportando ricerca ed innovazione all'interno delle società ed arrestando il processo di outsourcing che, negli ultimi 10 anni, ha trasformato le telecom europee da operatori tecnologici quali erano in grandi organizzazioni commerciali. Un trend a cui purtroppo si assiste anche nel settore cloud, dove le grandi telecom europee tendono prevalentemente a porsi come partner commerciali dei grandi cloud provider americani, piuttosto che investire loro stesse in tecnologia cloud e software. Innocenzo Genna, Giurista specializzato nella normativa europea del digitale SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 6/5/2022

22 Aprile 2022

«Task force e formazione per le10mila figure mancanti alle aziende di rete»

I sindacati delle telco (Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil) avanzano le loro proposte per risolvere la carenza in vista dei bandi Pnrr Una mappatura del Mise per capire quali sono le figure realmente mancanti; usare il fondo bilaterale del settore telco per il reskilling, avviare un tavolo tra le aziende di rete, costruire una task force per riconvertire il personale nelle tlc. I sindacati di settore (Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil) mettono sul tavolo le loro proposte per cercare di risolvere la carenza di oltre 10mila figure professionali nelle aziende di rete. Carenza che potrebbe impattare direttamente sulla realizzazione delle nuove infrastrutture previste dal Pnrr. È importante, sottolineano le sigle all'unisono, pensare anche al dopo 2026 quando, una volta cablato il Paese, occorrerà formare il personale assunto ad hoc e pensare al futuro delle imprese. Slc Cgil: «Programmazione assente, ragioniamo anche su ricollocazione dopo il 2026» Sul tema della carenza di personale, afferma Riccardo Saccone, segretario nazionale della Slc Cgil, «credo ci sia un problema di assenza di programmazione. Inoltre, dobbiamo essere in grado tra 4-5 anni, una volta terminati i lavori sulle nuove reti, di formare nuovamente una parte del personale, altrimenti rischiamo di avere assunzioni a tempo che non servono più una volta cablato il Paese. Oltre a un ragionamento sulla ricollocazione, probabilmente c'è da portare avanti anche un programma di formazione perché abbiamo già nelle aziende alcune figure non utilizzate al meglio che possono essere formate nuovamente». In più, secondo il sindacalista, occorrerebbe «come fatto per il primo piano Infratel, una cabina di regia con tutte le aziende del settore, il sindacato, il governo. Una volta passata la fase di picco i tecnici utilizzati per realizzare le reti potrebbero diventare tecnici a tutto tondo, ad esempio per l'assistenza ai clienti». Serao (Fistel): «Mancano figure per connettere la fibra alle case e per le opere edili» Le società di ingegneria di rete, sottolinea Giorgio Serao della segreteria nazionale Fistel Cisl, «insieme ai fornitori di apparati hanno un ruolo fondamentale nel processo di realizzazione delle reti in fibra. In Italia abbiamo 5-6 operatori di livello nazionali (Sielte, Sirti solo per citare le più grandi) che negli ultimi 10 anni hanno realizzato un grande processo di formazione dei tecnici per orientarli verso le nuove figure professionali necessarie alle attività di fibra (come i giuntisti) e alla progettazione di rete, utilizzando al meglio le risorse pubbliche. In questo momento, tuttavia, si sconta una mancanza di figure professionali per connettere la fibra alle abitazioni, e manca la manodopera per le opere edili necessarie alla stesura della fibra». Per il sindacalista sarebbe, dunque, «interessante se il Mise facesse una mappatura delle figure professionali necessarie per sostenere le imprese di rete; in più sarebbe auspicabile una task force tra Mise, aziende tecnologiche in crisi e realtà con eccessi di manodopera anche nel settore delle tlc, operazione che potrebbe portare alla riconversione professionale di migliaia di lavoratori e garantire alle imprese di rete una forza lavoro esperta». Entro il 2026, anno in cui inizierà a diminuire la necessità di lavoratori una volta poste i fondamentalo della gigabit society, bisognerà, inoltre, prevedere «una graduale riduzione dei dipendenti, occorre quindi iniziare a guardare al futuro sia in termini di consolidamento delle imprese sia in termini di nuovi servizi da offrire ai cittadini. In questo ambito le società di rete vanno completamente ripensate». Gozzo (Uilcom): «Usare il fondo bilaterale di settore per la formazione» Un'altra strada da seguire secondo Fabio Gozzo, segretario nazionale della Uilcom Uil, è quella di «instaurare rapporti tra grandi committenti e grandi aziende, spesso infatti il lavoro è parcellizzato tra piccole realtà cercando il prezzo migliore e questo non facilita gli investimenti e gli iter formativi. Se ne parla talvolta come se fosse un'emergenza, ma da anni si conosce la questione, se solo se si pensa ai piani di Open Fiber, Tim, Flash Fiber. Alcuni processi andavano pianificati. Ora occorre formare le persone, creare un legame con gli istituti tecnici e, per quanto riguarda la progettazione, con le università». Per il sindacalista al fine di uscire dall'impasse bisogna cominciare a pianificare gli inserimenti. Inoltre, stiamo realizzando un fondo di settore delle telco che, se verrà subito implementato con risorse pubbliche, potrà garantire una partenza più veloce, e quindi una più veloce riqualificazione dei percorsi formativi interni al settore. Un altro strumento da utilizzare dovrebbe essere quello di un tavolo autonomo delle aziende in modo tale che si scelgano tre-quattro imprese per fare da general contractor ed evitare che, a fronte di una domanda crescente, si deprimano comunque i prezzi. Occorre, infine, un patto tra le aziende di rete e i loro principali clienti per salvaguardare e implementare l'occupazione». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 22/4/2022

22 Aprile 2022

Bain & Co: «L’uso dell’Ai per progettare le reti di tlc giova agli investimenti»

A fare il punto su cybersecurity e infrastrutture delle telco è il partner Mauro Colopi. Italia ancora indietro a livello globale Cybersecurity e reti di tlc in costruzione sono due punti importanti nella recente applicazione dell'intelligenza artificiale. Un mercato che cresce a doppia cifra ma che vede l'Italia ancora indietro nell'intercettazione degli investimenti a livello globale, essendo partita in svantaggio rispetto alle altre primarie economie mondiali. A fare il punto in un momento in cui, tra conflitto ucraino e bandi del Pnrr, gli investimenti in sicurezza da un lato e sulle reti dall'altro diventano sempre più centrali, è Mauro Colopi, partner di Bain & Company. «Il mercato della cybersecurty ha trend di sviluppo accelerato, cresce a doppia cifra» «Per quanto riguarda l'applicazione dell'intelligenza artificiale, la parte cybersecurity - dichiara a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) - è un mercato che ha ormai un trend accelerato in termini di sviluppo, con crescita a doppia cifra». Nel tempo inoltre spiega l'esperto, emerge sempre più un concetto di cybersecurity di filiera. «Mentre fino a qualche anno fa la sfida – dice Colopi – era quella di mettere in sicurezza la propria azienda, ora c'è la problematica ulteriore di mettere in sicurezza l'intera filiera. Si pensi, ad esempio, alle infrastrutture correlate tipo quelle dell'energy, caratterizzate tra l'altro da una frammentazione del mercato molto rilevante. In questi casi ci sono alcuni grandi attori che hanno muscoli e spalle sufficienti per tenere il passo riguardo alla domanda di cybersecurity, e poi c'è una costellazione di piccole e piccolissime realtà che fanno più fatica». Per restare nella filiera dell'energy, Colopi porta l'esempio del rischio di black out per un determinato territorio, ma una stessa tendenza si è notata, ad esempio, nella filiera dei trasporti. «Negli ultimi mesi – aggiunge - sono accaduti casi evidenti di criticità per la continuità di business in diversi settori del mercato del trasportation. Anche in questo caso ci sono realtà più mature, capaci di tenere il passo, altre che dovranno accelerare». Dalle nuove esigenze di mercato non è escluso il settore pubblico, «anche in ottica di continuità di servizi alla cittadinanza, alle imprese, e anche per lo Stato. Non a caso ci sono stanziamenti rilevanti nel Pnrr proprio per questa dimensione». «Spesso vulnerabilità non è nella tecnologia ma nell'uso delle persone» La maggiore richiesta di Ai, per Bain&Co, va di pari passo con l'evoluzione del mercato: «c'è – prosegue Colopi - la necessità di accelerazione delle tecnologie, ma d'altra parte i servizi professionali mostrano un passo molto accelerato. Peraltro, in molti casi l'elemento di vulnerabilità non è la tecnologia di per sé, ma il comportamento non adeguato a livello cyber da parte delle persone, sia dei dipendenti di azienda sia dei singoli cittadini. La questione, dunque, riguarda anche l'education e formazione». Passando a esaminare un altro tema di attualità, cioè l'utilizzo dell'Ai per le reti di tlc in costruzione, spiega Colopi, ci sono interessanti opportunità. «Il percorso di innovazione e infrastrutturazione del mercato delle telco prosegue in maniera importante sia sul fisso sia sul mobile, e questo che accomuna tutti i Paesi ed è anche un fattore competitivo importante. In questo campo c'è un'applicazione di intelligenza artificiale, in termini di geolocalizzazione e di priorità agli interventi, molto interessante soprattutto per il mobile. Il 5G per sua natura ha per il momento una pervasività di roll out molto specifica e, quindi, essere in grado di capire quali sono le aree prioritarie e su quali invece si può impattare in un secondo momento fa la differenza su due dimensioni, sia in termini di vantaggio competitivo sia riguardo all'effettiva qualità del servizio erogata al cliente. Ci sono, infatti, aree e casistiche dove una banda particolarmente larga non è solo utile ma essenziale e aree che invece possono essere soggette a una minore tensione di capacità trasmissiva. L'impiego nella progettazione delle reti dell'Ai ben si presta a supportare in maniera sempre più smart l'allocazione degli investimenti, combinando le variabili tradizionali dell'operatore con i comportamenti di utilizzo del servizio da parte di imprese e consumatori». «In generale l'Italia rischia di colmare il gap esistente nell'Ai con i maggiori Paesi» Allargando lo sguardo alla posizione dell'Italia in generale nell'uso dell'intelligenza artificiale, «vale quanto – rimarca Colopi – rilevato nei mesi scorsi: anche per il Paese c'è uno sviluppo straordinariamente veloce, una crescita stabile a doppia cifra, il punto è che l'intero mercato globale su questi comparti si muove in maniera molto esuberante. Il rischio è, dunque, di crescere, ma non a sufficienza per colmare il gap di partenza rispetto alle altre economie primarie a livello mondiale. Questo rischio permane». Quanto all'intercettazione degli investimenti, intorno all'1,5% della spesa mondiale, «non è cambiato molto, un punto problematico in Italia è rappresentato dalle competenze. Uno dei potenziali limiti è non avere il necessario pull di talenti che supportino pienamente l'innovazione prevista». Considerando gli attuali fattori benefici, tra cui il Pnrr, «credo che questo gap si stia colmando mettendo a sistema una serie di elementi: da una parte programmi di governo strutturati che aiutano nel tempo ad alimentare una domanda anche con un buon orizzonte previsionale; dall'altra l'evoluzione degli operatori del mercato con il ricorso a talenti delocalizzati rispetto ai centri tradizionali di erogazione dei servizi, quindi muovendosi anche nelle aree del Sud Italia che hanno dei bacini di formazione molto interessanti». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 22/4/2022

22 Aprile 2022

«Italtel cambia pelle, una nuova sede e diversificazione del business»

Parla il neo ad Benedetto Di Salvo tra nuove iniziative e il problema della mancanza di figure in vista del Pnrr. Vinta la gara per la piattaforma di Banca d'Italia Italtel, dopo il salvataggio, il riassetto e l'arrivo del nuovo top management, si appresta a cambiare pelle. Lo annuncia a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) Benedetto Di Salvo, nuovo amministratore delegato del gruppo dell'Itc. L'azienda, oggi controllata al 54% da Psc, al 28% da Clessidra e per il 18% da Tim, punta a raggiungere ricavi per 300 milioni di euro, si è da poco trasferita in una nuova sede e guarda alla diversificazione del business, con l'obiettivo di coprire nuove fette di business come la telemedicina, la migrazione verso il cloud, l'industry 4.0.ù «Stiamo cambiando – afferma Di Salvo - la pelle di Italtel e lavoreremo sempre più in collaborazione con hyperscaler e partner tradizionali per rendere semplice la migrazione verso il cloud». Di recente si è anche aggiudicata l'assegnazione del rinnovo della piattaforma Human Communication per Banca d'Italia. La piattaforma è utilizzata da 4 banche centrali europee, quella italiana, francese, tedesca e spagnola, per servizi interbancari. Resta il problema della carenza di risorse da risolvere assieme agli altri attori del sistema al fine di progettare e realizzare le nuove reti previste dal Pnrr. «Le sollecitazioni e il dialogo con il Governo restano aperti, ma permane la criticità – spiega il manager - legata al numero di risorse che devono essere rese disponibili». Per la società «è fondamentale avere una visibilità pluriennale delle attività ed evitare nei futuri appalti approcci al massimo ribasso ed offerte anomale, per preservare la remunerabilità degli investimenti richiesti». A novembre scorso avete presentato un documento con Sirti al ministero della Transizione digitale, segnalando che mancano oltre 10mila risorse per la realizzazione delle nuove reti di tlc, compreso quanto previsto dal Pnrr. C'è allo studio qualche soluzione? La criticità permane, rimane l'esigenza di fare scale-up in termini di risorse su tutta la filiera della realizzazione delle reti ultra broadband. Se consideriamo le aspettative del piano Italia a 1 Giga, sommando i progetti di sviluppo di Tim e Open Fiber, esiste una carenza importante sulla filiera sia sulla progettazione, ambito che ci vede protagonisti in prima persona, sia sulla realizzazione della rete. Oggi abbiamo uno dei settori di progettazione di reti ftth e fwa più strutturato d'Italia con circa 200 persone dedicate, ma stimiamo che in tutto l'ecosistema dei progettisti in Italia ci sia la necessità di un forte incremento del personale attuale per far fronte al picco che avremo quest'anno e in parte anche nel prossimo. Siamo in attesa dell'aggiudicazione dei bandi per le aree grigie, abbiamo una coda di attività sulle aree bianche e un calo temporaneo di impegno, ma sappiamo che ci aspetta un incremento di attività. In Italtel abbiamo investito in maniera massiva sulla progettazione Ubb (Ultra broad band), assumendo tanti giovani, l'area dedicata alla progettazione è la struttura più giovane che abbiamo con un'età media di 35 anni, sono quasi tutti laureati: è un patrimonio che vogliamo preservare. Nel frattempo, abbiamo in corso un piano di formazione su queste figure, visto che non esistono competenze già formate sul mercato, occorre formarle da zero, ed è quello che abbiamo fatto negli ultimi anni. Siamo in attesa che il quadro si chiarisca. Il percorso corretto per fare scale up di risorse è la creazione di un'academy diffusa sul territorio nazionale e formare ulteriori risorse. Il piano di digitalizzazione del governo traguarda il 2026; per noi è fondamentale avere una visibilità pluriennale delle attività ed evitare nei futuri appalti approcci al massimo ribasso ed offerte anomale, per preservare la remunerabilità degli investimenti richiesti. Dal Governo avete avuto delle indicazioni sul problema della mancanza di risorse professionali? Le sollecitazioni e il dialogo con il Governo restano aperti, ma permane la criticità legata al numero di risorse che devono essere rese disponibili. Per noi bisogna prioritariamente capire il quadro che abbiamo davanti in termini di contratti legati alle nuove aggiudicazioni. Cercate soluzioni assieme ai vostri competitor? Dialoghiamo con tutti i soggetti della filiera per trovare il massimo delle sinergie possibili, così come abbiamo fatto con Sirti quando abbiamo discusso al Ministero. Questo è un tema di sistema. Sulle competenze obsolete va invece avanti il piano di reskilling? Quello che noi andremo a implementare, accelerando un percorso già avviato, è il piano di diventare un system integrator in grado di coprire un numero ampio di soluzioni, occupando spazi di mercato in aree ad alto tasso di crescita come la cybersecurity, alcuni verticali Iot, soluzioni in ambito 5G, cloud e nell'automazione delle reti. Per noi diversificare è una priorità assoluta così come accelerare un programma di reskilling di competenze interne verso le aree ad alto tasso di crescita. In questa ottica stiamo portando avanti un piano di certificazioni tecnologiche molto aggressivo e abbiamo la fortuna di far leva su un capitale umano molto tecnico. Italtel vuole, inoltre, diventare più rilevante nel mercato della pa ed enterprise, un campo in cui investiremo in termini di presenza non solo tecnologica ma commerciale, rivedendo ad hoc i nostri organici. Tutto ciò non esclude che in alcuni ambiti si debba ricorrere anche all'inserimento di skill esterne per accelerare la crescita. Nell'ambito della progettazione ultra-broadband, una fetta dei nostri progettisti, pari al 25%, proviene da un percorso di riconversione e ha partecipato a programmi di formazione ad hoc. Farete ricorso agli ammortizzatori sociali per far fronte al piano di trasformazione delle competenze? E' un tema che tratteremo in futuro, certamente l'azienda deve essere sostenibile dal punto di vista dei costi visto che ci muoviamo in un mercato altamente competitivo, quindi utilizzeremo tutte le leve a nostra disposizione. Ha parlato di diversificazione, su quali nuove soluzioni state puntando? Nel mondo della telemedicina la nostra soluzione DoctorLink è stata da poco qualificata ed è sulla piattaforma Cloud marketplace di Agid. Permette di scambiare informazioni multimediali per consentire telediagnosi e dare supporto a pazienti con malattie croniche che non hanno possibilità di essere ospedalizzati. Va nella direzione di rendere un miglior servizio sanitario alla popolazione. Un altro ambito su cui stiamo puntando è la transizione 4.0, la trasformazione dell'industria. Siamo presenti anche in alcuni competence center come ad esempio il Made del Politecnico di Milano e, nell'ambito dell'industry 4.0, abbiamo realizzato infrastrutture di rete, di cybersecurity, soluzioni per gli analytics. Poi c'è il tema della migrazione verso il cloud, ambito molto importante anche per il Pnrr, affrontando l'obiettivo della digitalizzazione e modernizzazione della pa. In questo settore abbiamo appena lanciato Fast-Shift assieme a Microsoft e Cisco. E' una soluzione che permette di accelerare i tempi di migrazione al cloud azure senza modificare le applicazioni e le infrastrutture di rete. Tirando le somme, stiamo cambiando la pelle di Italtel e lavoreremo sempre più in collaborazione con hyperscaler e partner tradizionali per rendere semplice la migrazione verso il cloud.Last but not least, nei giorni scorsi ci siamo aggiudicati l'assegnazione del rinnovo della piattaforma Human Communication per Banca d'Italia. Si tratta della piattaforma dei contact center utilizzata tra 4 banche centrali europee, quella italiana, francese, tedesca e spagnola, per servizi interni, interbancari. Italtel aveva già realizzato la piattaforma pre-esistente che viene fatta evolvere tecnologicamente. Un altro passo molto importante compiuto dall'azienda è il recente cambio di sede, abbiamo lasciato quella storica di Castelletto per Caldera Park , un luogo di lavoro da 4.200 metri quadrati, dinamico e collaborativo che aiuterà il team working del nostro personale oltre ad essere cost effective. Su che target di ricavi puntate? Stiamo rivedendo i nostri piani, sono stati anni molto difficili per Italtel e ora stiamo risalendo la china. Italtel è una multinazionale presente in Italia e all'estero e, attualmente, stiamo rivedendo la nostra strategia internazionale per concentrarci solo nei Paesi dove c'è un alto potenziale di crescita o dove sono già presenti grandi aziende italiane. Alla luce di tutto ciò la nostra ambizione è tornare a un livello complessivo globale di ricavi superiore ai 300 milioni di euro. Quando sarà pronto l'aggiornamento del piano industriale? Come già annunciato, stiamo lavorando sulla revisione del piano industriale e saremo pronti per luglio. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 22/4/2022

22 Aprile 2022

Cioli (Sirti): «Di fronte alla carenza di manodopera occorre fare sistema»

Parla l'ad dell'azienda di rete che punterà sempre più sulla diversificazione. Consolidamento nel settore? «L'obiettivo principale è lo sviluppo» Di fronte alla carenza di manodopera delle aziende di rete e alle criticità del settore «occorre fare sistema» tra le realtà imprenditoriali, con i regolatori e le istituzioni: «se gestita in maniera ragionevole con strumenti innovativi», la crisi può anche trasformarsi in opportunità, legata a un progetto Paese. Parola di Laura Cioli, già ceo di Gedi, Rcs Mediagroup e CartaSi (ora Nexi), nella sua prima intervista come ad di Sirti, azienda di rete controllata al 100% dal fondo Pillarstone. Le imprese del settore dovrebbero, spiega la manager a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School), «cercare di far crescere il numero complessivo delle risorse e non, ad esempio, competere semplicemente sui profili senza una visione di sistema». Superando il concetto di competizione ed entrando in una «visione di progetto di sistema» come quello di realizzare le nuove infrastrutture di tlc per il Paese. Nel frattempo, l'azienda, che conta 3.800 dipendenti e ricavi (nel 2020) per 733 milioni, sta cercando di diversificare il business. Puntando, spiega Cioli, nominata ceo a gennaio scorso, in particolare sulle attività di trasformazione digitale, cybersecurity e networking in testa. Il consolidamento nel settore? « Per me al momento l'obiettivo principale è lo sviluppo, non il consolidamento o il risparmio». Il problema della carenza di manodopera nelle aziende di rete è ormai noto, avete avuto delle risposte da parte del Governo? Oggi c'è una potenziale carenza di manodopera per migliaia di addetti, è un fattore acclarato sul quale tutti siamo d'accordo. Non vorrei essere una voce fuori dal coro, ma secondo me la crisi di manodopera può essere gestita in modo ragionevole con strumenti innovativi. Può, cioè, essere trasformata in opportunità, legata a un progetto molto rilevante per il Paese. Stiamo, infatti, vivendo un momento di grande sviluppo grazie al Pnrr, ma anche per il desiderio e la volontà dei cittadini e del Paese di dotarsi delle infrastrutture digitali chiave. Credo che questa sia una fase in cui tutti gli elementi della filiera, che vanno dal regolatore alle istituzioni alle imprese di rete, debbano dare una grande prova di maturità e responsabilità. Dobbiamo uscire dal concetto di competizione, come singoli, ed entrare in una visione di progetto di sistema. Tutto ciò si traduce in tante cose: chi definisce le regole le può semplificare; noi imprese di rete dovremmo cercare di far crescere il numero complessivo delle risorse e non, ad esempio, competere semplicemente sui profili senza una visione di sistema. Nessuno deve considerare le condizioni a contorno come se fossero un problema di altri, esiste ad esempio un tema di costo dei materiali che non può essere affrontato da un pezzo della filiera, ma va risolto assieme. Altrimenti non funziona. Non ci può essere uno che vince e uno che perde, questo è il momento in cui penso si possa dire che o vinceremo tutti assieme o perderemo tutti assieme e, se perderemo, perderà il Paese. Il fatto che si riesca a realizzare i progetti passa attraverso il saper giocare come una squadra, anche se ciascuno avrà il suo ruolo, anche se ci saranno delle regole, ma con un'armonia che deve essere superiore rispetto al passato. Per il vostro settore, come per quello delle telco, si è parlato di consolidamento. L'obiettivo di giocare come squadra passa anche attraverso ipotesi di condivisione, joint venture o consolidamento? Il tema critico non è risparmiare costi, è cercare di aumentare la capacità, abbiamo bisogno di essere di più, lavorare in modo organico ed efficiente. Qualsiasi fattore porti a far crescere il numero dei lavoratori a disposizione è benvenuto se fatto in modo sostenibile, economico e nel rispetto delle regole. Il consolidamento in genere avviene, invece, quando bisogna stringere, risparmiare, fare sinergie, e quindi in questo momento non è fondamentale. Se ci fossero elementi funzionali a far crescere la capacità ben vengano, ma mettere assieme quanto già c'è non fa crescere le risorse nel mercato. Per me al momento l'obiettivo principale è lo sviluppo, non il consolidamento o il risparmio. Che cosa ne pensa dell'ipotesi di utilizzare gli immigrati per trovare le risorse della manodopera? Occorre un tavolo ad hoc con le istituzioni? Penso che le persone che mettiamo in campo debbano essere ben formate e lavorare in contesti sicuri e regolati. Per noi la nazionalità è irrilevante, l'importante è avere le risorse attraverso percorsi di formazione ben fatti che tutelino le persone e la loro sicurezza. I bacini di reclutamento principali sono le scuole. Stiamo, pertanto, sperimentando percorsi innovativi, ad esempio formando nelle carceri delle persone che possono essere inserite nel lavoro sempre nel rispetto delle regole. Secondo me non c'è bisogno neanche di così tanti tavoli, occorre invece voglia di fare, di costruire, un po' di fantasia e creatività nell'individuare dei bacini di risorse da utilizzare. Che tempi occorre rispettare per soddisfare l'esigenza di manodopera? Stiamo già nel pieno dell'attività, siamo nella fase di crescita delle risorse. Già prima dell' assegnazione delle gare del Pnrr ai nostri clienti, abbiamo in corso tante attività da portare avanti con loro nelle varie aree. Bisogna, quindi, inserire sempre più risorse e lo facciamo già. Siamo una macchina che si sta già preparando a un potenziale lavoro incrementale. Se da un lato necessitate di nuove risorse, dall'altro alcune figure sono diventate obsolete con il passaggio dal rame alla fibra, continuerete a usare gli ammortizzatori sociali? È chiaro che noi abbiamo una parte del business in grande sviluppo e un'altra che, necessariamente, non lo è più. Sul fronte delle infrastrutture c'è un grande processo di trasformazione. Facciamo di tutto per operare il reskilling, ma in alcuni casi non ci sono le condizioni. Quindi, c'è il ricorso ad ammortizzatori laddove la situazione lo renda necessario. Oltre allo sviluppo del vostro business classico, lei ha annunciato con la sua nomina la diversificazione e lo sviluppo verso altri settori contigui, l'azienda sta cambiando pelle? La parte più importante su cui oggi stiamo puntando è quella dello sviluppo delle attività di trasformazione digitale, con particolare riferimento al networking e alla sicurezza. Su quest'ultima tematica, sempre più importante, abbiamo acquisito una società di cybersecurity, Wellcomm Engineering, e abbiamo già una divisione Digital Solutions che ha competenze di sicurezza e anche di networking. Stiamo investendo in modo significativo per muoverci nella catena del valore di fornitura dei servizi, seguendo quello che chiede il mercato. Noi abbiamo competenze di tecnologie e infrastrutture a tutti i livelli in varie aree e vorremmo anche sollevare le aziende clienti dall'esigenza di occuparsi della complessità dei sistemi e degli impianti, e lasciarle concentrare sul loro core business. Dal punto di vista della dimensione, i business più importanti sono quello, classico, di sviluppo dell'infrastruttura e quello dei sistemi digitali, anche perché le altre attività sono in fase un po' più embrionale, ma se il mercato ce lo chiedesse in maniera coerente con quella che è Sirti oggi, noi saremmo pronti. Avete le competenze per puntare sulle nuove frontiere? Abbiamo le competenze, ma il mercato si evolve, con particolare riferimento al mondo del networking e della sicurezza. Stiamo comunque crescendo inserendo persone nuove che hanno caratteristiche fondamentali. Per non rimanere indietro dobbiamo, quindi, crescere anche dimensionalmente, ma per fortuna abbiamo una domanda in crescita. Ci sono aree di sviluppo, ci sono state già in passato e lo saranno, come mi auguro, anche in futuro. Pensate di crescere anche attraverso qualche acquisizione? Non abbiamo niente in programma in questo momento, ma se la domanda fosse se siamo aperti alle acquisizioni risponderei che, se ci fossero opportunità funzionali ai nostri progetti, le guarderemmo come sempre. Con la solita attenzione a creare valore. Sirti è passata attraverso fasi complicate, ora è in una posizione non complicata, in un mercato che dà tante opportunità, quindi siamo pieni di energia e desiderio di contribuire allo sviluppo. Se questo richiederà qualcosa di non organico lo guarderemo, ma il percorso principale è quello di diventare sempre più bravi a costruire quello che già sappiamo fare. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 22/4/2022

08 Aprile 2022

«Abbiamo cambiato modello di produzione per affrontare la crisi dei microchip»

Lo spiega Nicola De Mattia, CEO del gruppo Targa Telematics, tech company che gestisce circa 2 milioni di asset connessi La crisi dei microchip, acuita dalle recenti tensioni geopolitiche, è un problema globale che ha colpito e colpisce aziende di ogni settore. Ma c'è chi, come Targa Telematics, tech company italiana con 20 anni di esperienza nel settore dei veicoli connessi partecipata al 50% da Investindustrial, ha trovato delle soluzioni per resistere alle criticità. Lo spiega a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) Nicola De Mattia, ceo del gruppo. «La crisi dei microchip senza dubbio ha colpito anche noi, tuttavia abbiamo affrontato le difficoltà cambiando i processi di progettazione con un effort non indifferente». In pratica, spiega il manager, «prima si attuava la progettazione di un apparato per poi cercare di approvvigionarsi, ora si è ribaltato il modello: in un primo momento si cerca di approvvigionarsi, si vedono quali sono i chip con le caratteristiche richieste e poi si progetta l'apparato. La progettazione della scheda madre avviene, cioè, solo una volta che si ha la certezza di aver a disposizione i chip». «Problema dei microchip si protrarrà fino a metà 2023, ma con meno criticità» Questo cambiamento, racconta il manager, è avvenuto tra fine 2020 e 2021, quando sono stati riprogettati gli apparati per non subire interruzioni di produzione e, quindi, di fornitura ai clienti: «gli orizzonti temporali della carenza dei microchip ormai sono abbastanza chiari, il problema si protrarrà fino a metà del 2023, ma già dalla seconda metà del 2022 prevediamo un alleggerimento delle criticità». La pandemia è all'origine delle problematiche e, nonostante gli investimenti siano stati repentini, per arrivare a costruire una soluzione duratura occorre tempo. «L'Europa si deve muovere all'unisono sulle problematiche strategiche» «Ci sono impianti produttivi - prosegue l'amministratore delegato - che hanno un orizzonte temporale di tre anni per diventare operativi. In questo contesto, serve che l'Europa si muova all'unisono sulle problematiche strategiche: il fatto di avere know how e competenze all'interno del Continente è diventato fondamentale. Con le attuali tensioni geopolitiche non possiamo rischiare di essere dipendenti da aree a rischio». In generale, poi, è cambiata proprio la prospettiva: «è in crisi il processo di globalizzazione degli scorsi anni, la politica europea - spiega De Mattia - lo ha capito bene e ben venga questo tipo di approccio, ma a patto che la politica non vada oltre il suo mestiere che è quello di dare indirizzi e poi lasciare che sia il mercato a far emergere i player. Il rischio da evitare è che la politica vada oltre e tuteli gli interessi nazionali se non addirittura i campioni nazionali, realizzando una sorta di protezionismo». Gli aiuti cioè «vanno fissati su basi meritocratiche e di reale affermazione tecnologica e di mercato». «Il 2021 record di fatturato ed ebitda, nel 2022 prevediamo crescita di circa il 30%» È importante, secondo Targa Telematics, fare in fretta. «Per dare un orientamento, l'Unione Europea immagina di detenere un market share di circa il 20% al 2030. È importantissimo partire subito, poiché il raddoppio della quota è un obiettivo che non si realizza dall'oggi al domani. Dobbiamo necessariamente uscire da questa situazione in cui siamo dipendenti da aree ad altissimo rischio geopolitico». Pur non essendo coinvolta nella manifattura di chip, Targa Telematics auspica ovviamente che «i fornitori siano messi in grado di continuare regolarmente con le forniture e che le produzioni di auto riescano a essere continuative e regolari». Tornando invece all'azienda, Targa Telematics ha il quartier general a Treviso e una sede a Torino, nel 2020 ha registrato ricavi per 40 milioni di euro e conta 130 dipendenti e 950 clienti. Di recente nella compagine azionaria della società, che gestisce circa 2 milioni di asset connessi, ha fatto il suo ingresso, con circa il 50%, Investindustrial. A livello di conti, il gruppo, annuncia il ceo, «sta vivendo un momento buono. Nel 2021, nonostante due mesi con restrizioni, abbiamo registrato il record di fatturato ed ebitda, nel 2022 prevediamo una crescita sostanziosa intorno a un ulteriore 30 per cento. I nostri piani sono estremamente sfidanti, anche in relazione al piano di internazionalizzazione che stiamo perseguendo». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 8/4/2022

08 Aprile 2022

Motus-E: «Auspichiamo soluzione della crisi dei chip a fine 2022»

Parla Francesco Naso, segretario generale dell'associazione che raggruppa 43 stakeholder della mobilità elettrica La speranza è che la crisi dei semiconduttori si risolva nell’ultimo trimestre dell’anno, tensioni politiche permettendo mentre la soluzione è puntare sulla diversificazione dei produttori. Intanto anche il conflitto ucraino sta impattando direttamente sui microchip visto che nelle catene di fornitura ci sono anche elementi, come il neon, provenienti dall’Ucraina. A fare un bilancio del momento attuale per i microchip è Francesco Naso, segretario generale di Motus-E, l’associazione, nata nel 2018, che con 43 associati raccoglie tutti gli stakeholders della mobilità elettrica compreso Volkswagen, Enel X, Hyundai e anche il produttore di microchip ST. «L’anno scorso – dichiara Naso a DigitEconomy.24, report del Sole 24 Ore-Radiocor e della Luiss Business School - prevedevamo che la situazione si potesse risolvere a metà 2022, ora auspichiamo si possa trovare una soluzione nell’ultimo trimestre del 2022, considerato anche il grosso punto interrogativo costituito dalle tensioni geopolitiche attuali». La crisi ha colpito tutta l'auto, ma soprattutto il settore elettrico che necessita di più sensori Il problema, che impatta particolarmente nei produttori di veicoli elettrici, «è nato lo scorso anno quando c’è stato un forte rimbalzo di produzione dopo l’emergenza Covid e un aumento dei volumi richiesti per l’automotive. Il fatto che gran parte dei semiconduttori dei microchip fosse destinato all’aumento dei volumi dell’elettronica domestica ha contribuito a creare la mancanza di chip, particolarmente sentita dal mercato dell’auto. La crisi ha investito tutto il mercato dell’auto tradizionale, non solo quello della mobilità elettrica che, va detto, ha una serie di sensori in più e necessita di una serie di semiconduttori in più. Alcune case automobilistiche – racconta Naso - si sono ritrovate a scegliere dove destinare i microchip che riuscivano a ottenere. Alcuni li hanno direzionati solo sulla produzione elettrica, pensiamo ad esempio a Mirafiori nell’ultimo quadrimestre del 2021». «Pechino potrebbe cogliere la crisi ucraina per aumentare l'escalation della produzione» Come se ne esce? «Il problema – spiega Naso – è che creare una fabbrica di semiconduttori ex novo o ampliare le esistenti non è facile, vista l’incertezza sulla domanda di semiconduttori che è molto alta. C’è un margine di errore del 3-4 per cento. Intanto la politica europea è giustamente mirata all’indipendenza della produzione. La Cina dal canto suo, a fronte dell’esigenza di aumentare la produzione pur non avendo un ritorno certo, è riuscita a fare qualcosa. Pechino inoltre potrebbe cogliere l’occasione della crisi ucraina per aumentare ulteriormente l’escalation». Un’altra strategia, seguita ad esempio dall’americana Intel, «è quella di andare sul mercato con microchip di nuova generazione, prodotti più economici. Il gruppo americano sostiene, dunque, di non poter garantire i volumi anche perché si tratta talvolta di semiconduttori che non produce più e che, quindi, il mercato dell’auto dovrebbe cambiare i semiconduttori che utilizza». «Filiere di fornitura complicatissime, anche Ucraina coinvolta» Quanto al ruolo della Ue, «per il momento ci sono state dichiarazioni di programma, previsioni di prestiti ponte vantaggiosi per produttori europei come per l’italo-francese STMicroelectronics che siamo orgogliosi di avere come nostro associato. ST, tuttavia, non si posiziona su tutta la pletora di semiconduttori di veicoli, ma solo su alcuni segmenti, meno sugli adas e su power train, dove ci sono produttori come Infineon e Renaissance». Alla luce del contesto, per risolvere la situazione, «sicuramente bisogna spingere sulla produzione europea e farlo molto velocemente, occorre andare oltre gli accordi di programma, vanno bene i prestiti, ma poi bisogna realizzare gli investimenti. Questo servirà per gli anni a venire. L’autonomia è difficile da raggiungere, tra piano europeo e piano americano lanciato dal Presidente Joe Biden non si supera il 30% della produzione, ma è importante avere una differenziazione. Nel breve periodo, invece, dobbiamo sperare che le tensioni non inaspriscano ulteriormente la situazione». Concentrandosi sugli effetti diretti del conflitto ucraino, «occorre considerare che oltre ad alcuni elementi prodotti proprio dall’Ucraina, ci sono altre crisi che si possono prospettare per le materie prime e i lavorati che provengono dalla Russia. Ad esempio, guardando al nostro business, le case automobilistiche sono costrette a rimodulare le forniture dei cablaggi perché in gran parte provengono dall’Ucraina. Le filiere di fornitura - conclude Naso - sono complessissime e non tutti si aspettavano che l’Ucraina fosse diretto fornitore».  SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 8/4/2022