Digital Transformation
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14 Gennaio 2022

Il settore finanziario il più colpito dagli hacker, seguono manifattura e sanità

La fotografia che emerge dal rapporto 2021 di Ntt Data sugli attacchi informatici in 21 Paesi di tutto il mondo Il settore finanziario è al top della classifica, ma sono sempre più bersaglio degli attacchi informatici anche i comparti del manifatturiero e della sanità. È il quadro che si compone guardando le statistiche del Global Threat Intelligence Report del 2021 realizzato dal gruppo giapponese Ntt Data. Gli attacchi al comparto finanziario passano dal 17% nel 2018 al 23% nel 2020; il manifatturiero, che era al sesto posto in classifica nel 2018, si piazza al secondo posto nel 2020 con il 22%; la sanità passa dal 7 al 17% dell'anno scorso. Manifattura e sanità per lo più senza approccio strutturato alla cybersecurity «Nel corso degli ultimi anni, gli attacchi informatici - spiega Dolman Aradori, vicepresidente e Head of Security di Ntt Data Italia - sono aumentati. Ne è cresciuto il numero e soprattutto se ne sono diversificati i target: se pure ancora oggi la finanza è il settore più colpito, nel nostro Global Threat Intelligence Report 2021 emerge con chiarezza che anche la sanità e il comparto manifatturiero sono ormai bersagli primari». L'incremento nei settori manifatturiero e sanitario, prosegue il manager, si lega al fatto che le aziende appartenenti a questi settori per lo più non hanno un approccio strutturato alla problematica, mancando di efficaci strutture di controllo e processi di gestione. E soprattutto spesso presentano un parco macchine obsoleto e quindi più esposto a vulnerabilità anche già note da tempo. Si consideri che il tipico meccanismo del ransomware, per esempio, è quello di "attaccare" senza un target specifico e, quindi, aziende che hanno infrastrutture vulnerabili sono quelle più esposte e che più facilmente vengono "bucate". Un altro aspetto da considerare sono le informazioni che trattano: brevetti e proprietà intellettuale nel caso manifatturiero e dati personali per quanto riguarda la sanità. Italia ha capacità di rilevazione e reazione agli attacchi ancora bassa Le statistiche di Ntt Data si basano su 1.350 interviste online a technology e business decision-maker in grandi organizzazioni in 15 settori e 21 Paesi (in America, Europa, Medio Oriente e Africa, Asia, Australia e Nuova Zelanda), inclusi 1.046 professionisti It e di sicurezza informatica. I dati si riferiscono agli attacchi globali tra il primo gennaio 2020 e il 31 dicembre 2020. "A livello mondo, l'Italia – prosegue Aradori - non è il principale target mentre Usa, India, Giappone, e Germania sono tipicamente tra i più colpiti. Il diffondersi di malware aspecifici ha però incrementato il numero di incidenti informatici anche nella nostra nazione". Purtroppo, commenta Aradori, «la capacità di rilevazione e reazione in Italia è ancora bassa, in quanto la piccola e media azienda non può avere internamente la struttura necessaria per fare questo lavoro e il ricorso a fornitori di servizi specialistici di sicurezza gestita sono in questo momento in diffusione. Non si è pensato di lavorare in forma preventiva alla problematica, ma spesso si tende ad agire nel momento in cui si è già subito un attacco o aziende dello stesso settore lo hanno sperimentato». Carenza di personale di fronte alla crescente minaccia informatica La causa dell'incremento degli attacchi è da rinvenire nel sempre maggiore utilizzo degli strumenti digitali. Smart working, adozione del cloud, maggiore offerta di servizi digitali, informatizzazione dei processi produttivi hanno incrementato la superficie di attacco e messo in luce vulnerabilità sia tecniche sia organizzative delle aziende, sottolineando come il grado di maturità con cui il tema della cybersecurity è affrontato sia ancora oggi molto diverso in relazione al settore di appartenenza. «Sono sempre di più le imprese che spostano online gran parte dei propri dati e dei propri processi, ma manca il più delle volte – commenta il vicepresidente - un contestuale rafforzamento delle misure di cybersecurity. Le aziende sono ormai mature per la transizione digitale, ma non per la messa in sicurezza di quel che caricano online: è per questo che diventa fondamentale affidarsi a player competenti». Un altro fenomeno, conclude Aradori «generato da questa rapida crescita della minaccia informatica è la carenza di personale che abbia le competenze necessarie sia dal punto di vista operativo che gestionale per affrontare il problema; in conseguenza di ciò, temi come sensibilizzazione di dipendenti ed utenti finali, formazione, disponibilità di servizi gestiti e collaborazione pubblico e privato in materia di cybersecurity diventano temi sempre più rilevanti e di strettissima attualità». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 14/1/2022

03 Dicembre 2021

BT accelera su rete col laboratorio di robotica

Allo studio le tecniche di scavo usate dai mammiferi. Parla Howard Watson, Chief Technology Officer di Bt Nuove tecniche di locomozione robotica e di scavo ispirate ai mammiferi e agli insetti che passano buona parte della loro esistenza proprio a scavare. Sono tra gli studi che si stanno rivelando promettenti per la realizzazione delle infrastrutture di rete denominate “trenchless” e fanno parte del lavoro del laboratorio di test di robotica per le telecomunicazioni nel Regno Unito lanciato recentemente da BT che ha come obiettivo l’accelerazione della diffusione dell’infrastruttura di rete. Il laboratorio collabora con le università e altri servizi di pubblica utilità allo scopo proprio di sperimentare la nuova gamma di robotica sviluppata nel Regno Unito applicabile alle telecomunicazioni e alle sfide dell'ingegneria civile del settore dei servizi pubblici in tutto il mondo. L'obiettivo è di ridurre i costi medi di 'roll out' della rete Anche le tecniche robotiche magnetiche, di arrampicata e di attraversamento dei cavi stanno maturando, consentendo prove di proof-of-concept su pali di torri wireless e cavi aerei.  L’obiettivo, e l’auspicio, di BT è quello di riuscire quanto prima a impiegare le nuove tecnologie di robotica sviluppate nel laboratorio del Suffolk per ridurre i costi medi di “roll-out” della rete, che attualmente si attestano tra le 250 e le 350 sterline per stabile. L’iniziativa si inserisce nell’ambito dei piani di R&S di BT. Secondo quanto spiega a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) Howard Watson, Chief technology officer di BT, il gruppo «è uno dei principali investitori in R&S nel mondo delle telecomunicazioni, con una lunga storia di innovazione nelle telecomunicazioni che risale al 1837. I nostri investimenti in ricerca, nel campo della fibra ottica, del 5G, dell'intelligenza artificiale, della sicurezza informatica e in molti altri ancora, ci stanno aiutando a differenziarci sul mercato e a realizzare quello che è lo scopo della nostra azienda: we connect for good». Nel 2020-21 investiti 720 milioni di sterline in ricerca e sviluppo Nel corso del FY 2020/2021 BT ha investito in ricerca e sviluppo 720 milioni di sterline, depositando 109 domande di brevetto che si aggiungono all’attuale portafoglio di oltre 5.100 brevetti e domande di brevetto. Ma non è solo posa di fibra e di rete in fibra. L’incumbent britannico sta integrando il piano per connettere il Regno Unito con l’uso della tecnologia satellitare. Grazie alla realizzazione di un accordo con l’operatore Leo nel giro di un anno potrà integrare le divisioni consumer e business con questo tipo di tecnologia. I target di BT di copertura con la rete sono molti alti e si inseriscono in un contesto oggi molto competitivo. BT ha deciso di accelerare la copertura della rete: 25 milioni di edifici entro il 2026 La concorrenza tra operatori nella realizzazione delle migliori infrastrutture di rete fissa e mobile è, infatti, sempre più agguerrita. Oltre alla presenza di un incumbent come BT e un operatore come Vodafone, la fusione annunciata lo scorso anno tra O2 e Virgin Media, ha dato vita a un gruppo da 31 miliardi di sterline, ovvero 36 miliardi di euro e ha suscitato l'interesse di altre società come CityFibre, che ha un piano per collegare 8 milioni di edifici entro il 2025, e HyperOptic che punta a 5 milioni entro il 2024. Nell'ultimo anno fiscale (2020/21) Openreach, società della rete controllata da BT, ha superato il record di 2 milioni di edifici raggiunti con Fttp (Fiber to the Fiber-to-the-Premises, ovvero fibra fino allo stabile) e ora conta nel prossimo di poter raggiungere circa 4 milioni di edifici nel corso dell'anno. In considerazione del contesto politico, normativo ed economico, BT ha deciso di aumentare e accelerare la copertura totale della nuova rete Fttp passando da 20 a 25 milioni di edifici entro dicembre 2026. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 3/12/2021

03 Dicembre 2021

«Interesse dei fondi per la rete non è negativo ma rispettare regole e concorrenza»

Parla Rosario Pingaro, vicepresidente del Namex e ad di Convergenze L'interesse dei fondi per le infrastrutture di tlc, come quello di Kkr per Tim, «non è di per sé negativo, ma è importante che ci siano regole certe per l'utilizzo della rete, nel rispetto della libera concorrenza». È la posizione di Rosario Pingaro, vicepresidente del Namex, il maggiore Internet exchange point in Italia, nonché amministratore delegato di Convergenze, operatore di tecnologia integrato attivo nei settori tlc, energia ed e-mobility. Nel tratteggiare con DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore e della Luiss Business School) le opportunità oggi sul tavolo per il futuro dell'infrastruttura, Pingaro sottolinea la sua contrarietà alla soluzione di creare una rete unica, obiettivo che si otterrebbe sostanzialmente mettendo assieme quella di Tim con Open Fiber. Un argomento tornato di attualità visto che a breve dovrebbe andare in porto l'operazione del passaggio di quote da Enel a Macquarie in Open Fiber e la contestuale ascesa di Cdp al 60 per cento della società della fibra. Tim, invece, è impegnata nell'analisi dell'offerta del fondo americano che, per estrarre valore dalla società vorrebbe dividere la rete dai servizi. «Rete unica? La partita non può essere giocata da un unico grande attore» «Il mercato libero, fatto di tanti piccoli operatori in concorrenza tra loro, ha generato innovazione e miglioramento continuo nell'offerta tlc in moltissimi Paesi del mondo, inclusa l'Italia. Per ciò che riguarda la rete unica, di cui tanto si discute come migliore soluzione per dotare il nostro Paese di un'infrastruttura digitale capillare e di ultima generazione, dal mio punto di vista, la partita non può essere giocata da un unico grande attore, ma dovrebbe prevedere il contributo delle telco di piccole e medie dimensioni presenti in tutta Italia, che perseguano la stessa finalità, ossia infrastrutturare le aree ancora affette da digital divide, in maniera molto efficiente e nel rispetto di regole certe e durature imposte dal legislatore». «Un piano di investimenti multiplo consentirebbe maggiore capillarità d'azione» Poste queste premesse, Pingaro ritiene che «un piano di investimenti multiplo permetterebbe in ogni caso una maggiore capillarità di azione, dando pari opportunità alle aree al di fuori dei grandi centri urbani, e velocizzerebbe allo stesso tempo la realizzazione dell'opera, grazie al contributo sinergico e su più fronti da parte di molteplici soggetti». Certamente, secondo il vicepresidente del Namex, «le forze in gioco sono tante, sicuramente è necessario un coordinamento e delle regole comuni, ma credo questa sia la via giusta per sfruttare quanto già fatto finora dalle telco nazionali e locali, in attesa di un vero e proprio piano per la rete unica, ancora dai contorni troppo sfumati. Inoltre, anche per quanto riguarda il discorso economico non ritengo fondamentale che gli investimenti facciano capo ad un'unica fonte: il caso di Convergenze dimostra al contrario come con un oculato piano di investimenti anche un piccolo operatore possa fare molto per cablare il territorio». «Per investitori internazionali il settore delle tlc è sempre più attrattivo e strategico» In conclusione, l'auspicio è che «gli stakeholder del settore tlc possano comprendere i vantaggi del mercato libero e che il Governo metta in campo proposte più concrete per agevolare gli operatori di telecomunicazioni a svolgere il loro lavoro in un contesto sempre più competitivo, affinché il processo di digitalizzazione del Paese possa continuare senza interruzioni, anche in assenza di un unico macro-operatore». Tornando quindi all'interesse dei fondi per le infrastrutture, «il recente rumor relativo all'offerta da parte del colosso indiano Reliance per comprare la big di telecomunicazioni inglese British Telecom, poi smentito dai diretti interessati, e anche l'interesse del fondo Usa Kkr su Tim, dimostra come il settore delle telecomunicazioni sia ritenuto sempre più strategico e attrattivo da parte degli investitori internazionali». Ed è in questo contesto che Pingaro chiede, di fronte all'interesse di fondi o player di grandi dimensioni internazionali, regole certe per l'utilizzo della rete, nel rispetto della libera concorrenza. «La diversificazione - conclude - rimane una prerogativa per il successo del processo di trasformazione digitale e per questo i Paesi dovrebbero dotarsi di normative e stabilire principi comuni per impedire che ci siano problemi di utilizzo e sviluppo della rete». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 3/12/2021

03 Dicembre 2021

«Sovranità digitale europea non è protezionismo, ma attenti a rapporti con Cina»

L'esperto Gerard Pogorel anticipa le linee del documento dell'European Libéral Forum, la Fondazione parlamentare del Gruppo europeo "Renew"  Autonomia strategica digitale europea: un obiettivo fondamentale da raggiungere che necessita di una serie di azioni e iniziative a livello politico e normativo. Lo spiega Gerard Pogorel, esperto internazionale di tlc e professore emerito di economia, che sta lavorando all'elaborazione di un documento da portare all'appuntamento di febbraio sulla sovranità digitale europea per conto del European Libéral Forum, la Fondazione parlamentare del Gruppo europeo "Renew" di cui fa parte anche il partito del presidente francese, Emmanuel Macron. Anticipando a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) alcune linee che saranno l'ossatura del documento da portare in Parlamento, Pogorel spiega che «la sovranità strategica digitale non significa essere protezionisti, tutt'altro, significa invece apertura». Per la sovranità strategica servono forti input di politica industriale Inoltre, la sovranità strategica «suppone input forti di politica industriale pubblica. È infatti importante che l'Europa si occupi, come sta cominciando a fare nell'ambito dei chip o dell'intelligenza artificiale, di politica industriale», ma sempre con un coordinamento forte con l'industria. Tutto questo non può prescindere «da un forte consenso internazionale dei partner e alleati», proprio nel contesto di apertura necessaria del concetto di autonomia strategica. Vanno prese in considerazione «tutte le tecnologie critiche, da qualunque parte provengano, con il minor numero di eccezioni possibili. Vanno, inoltre, garantite fortemente la privacy e la sicurezza, anziché la concorrenza». Serve un quadro chiaro di regole anche di fronte all'interesse per le reti Un capitolo a parte, aggiunge Pogorel, va dedicato alla Cina con la quale bisogna «puntare su rapporti di rivalità e di forza, in un delicato bilanciamento di potere, considerati gli ingenti scambi commerciali in atto con questo Paese». Inoltre l'autonomia digitale strategica implica «un quadro chiaro di regole» e un orientamento deciso «all'innovazione, rimuovendo o alleggerendo in caso, gli ostacoli normativi». Le linee che saranno parte fondante del documento dell'European Liberal Forum si inseriscono in un contesto di appetiti per le infrastrutture strategiche europee, che, dopo le torri, suscitano oggi i più forti interessi da parte dei fondi. Pensiamo, ad esempio, a Tim, per cui il fondo statunitense Kkr ha inoltrato una manifestazione di interesse, o alla britannica BT: i rumor, poi smentiti, hanno parlato di un'imminente offerta da parte del colosso indiano Reliance. Oltre all'opa, il gruppo del miliardario Mukesh Ambani, avrebbe valutato un'alleanza con Openreach, la controllata di BT per la fibra ottica. Testimoniando ancora una volta l'interesse per l'infrastruttura. «È evidente che l'interesse internazionale si è spostato sull'infrastruttura di rete che garantisce ritorni crescenti. Non si tratta anche in questo caso di fare protezionismo, ma servono regole chiare e bisogna tutelare - conclude Pogorel - l'autonomia strategica digitale europea in maniera aperta con obiettivi innovativi». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 3/12/2021

03 Dicembre 2021

Ibarra: «Puntiamo a diventare champion tech al 2025, poi valutiamo la Borsa»

Il CEO di Engineering traccia il percorso della società, tra prospettive del Pnrr, assunzioni e il progetto di cloud federata Le prospettive che si aprono con il Pnrr, vista la presenza di Engineering in tutti i settori industriali, assunzioni di 800-1000 dipendenti l'anno, e il progetto per partecipare al polo nazionale strategico per il cloud, con una proposta di «cloud federato» presentata assieme Fastweb. Passa anche da questi elementi il piano di crescita di Engineering, società attiva nel settore dei software e servizi It, in cui è arrivato di recente come amministratore delegato, e socio, Maximo Ibarra, già ceo di Sky Italia, l'olandese Kpn e di Wind L'obiettivo è di diventare nel 2025 «il tech champion digitale italiano, presente anche nei mercati esteri. Stiamo lavorando – spiega Ibarra nell'intervista a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) per disegnare questa traiettoria». Nel percorso delineato, la quotazione in Borsa «è una delle opzioni possibili per un'azienda delle nostre dimensioni con le ambizioni che abbiamo in questo momento». Per Engineering, che nel 2020 ha fatturato 1,24 miliardi e conta 12mila dipendenti, si tratterebbe di un ritorno visto che la società è stata quotata nel periodo 2000-2016, quando, al seguito del successo dell'Opa di Mic Bidco, è avvenuto il delisting. Che prospettive e progetti si aprono per Engineering con il Pnrr? Il Pnrr riguarda tutti i settori industriali in cui siamo presenti. Premetto che una delle caratteristiche di Engineering è proprio l'esperienza maturata in tutti i settori, dai trasporti ai media, alle telecom, alle PA, dal mondo della finanza alla difesa e all'automotive. Engineering può, dunque, assicurare vantaggi e valore aggiunto decisivi in tutti i comparti, relativamente alle diverse tecnologie, sia per la parte software sia per quella infrastrutturale. Stiamo affiancando i nostri clienti nell'identificare quali siano i progetti di sviluppo su cui puntare e che assicurino il massimo beneficio dal Pnrr, anche sfruttando le opportunità offerte dalle partnership pubblico-private. Una variabile del successo del Piano nazionale di ripresa e resilienza consiste nella conoscenza dei settori su cui impatta, e noi l'abbiamo. Vantiamo, infatti, una conoscenza molto approfondita dei clienti, conosciamo non solo i loro problemi attuali, ma anche il percorso da fare nei prossimi 5 anni. Tutto ciò ci consente di avere una visione molto chiara rispetto alla trasformazione digitale che devono compiere le aziende. C'è un tema strettamente legato al Pnrr, ovvero la mancanza di competenze digitali in Italia. Riguarda anche voi? La mancanza di competenze è un'emergenza mondiale emersa anche durante i lavori della task force del B20 per la Digital transformation che ho presieduto. Sicuramente noi siamo molto attrattivi rispetto al mondo dei giovani talenti. Abbiamo costruito un rapporto molto intenso con le principali università, abbiamo un asset distintivo, ovvero la nostra Academy, un vero e proprio campus con circa 100 docenti, interni ed esterni, persone che insegnano ai dipendenti che entrano in Engineering, o a quanti vanno riqualificati, gli aspetti più importanti delle diverse tecnologie in un'ottica di "long life learning". Inoltre, partecipiamo a un numero ingente di progetti di ricerca e iniziative internazionali, come Gaia X ad esempio, attraverso i quali tocchiamo con mano il futuro della tecnologia, e facciamo così attività di Ricerca e sviluppo pura che poi ci serve per capire in anticipo i passi da compiere. Lavoriamo quindi per alimentare costantemente la nostra attitudine all'innovazione, e mantenere così il forte posizionamento nella futura, inevitabile, guerra dei talenti. Attualmente incontrate difficoltà a trovare le competenze? No, al momento la situazione è sotto controllo e continuiamo ad assumere a ritmo molto elevato, 800-1000 persone l'anno, anche se constatiamo qualche tensione nella ricerca di persone con una certa esperienza nel mondo della tecnologia. Se ci fossero disponibili più risorse con un background tecnologico, le potremmo subito formare, attraverso la nostra Academy, per le esigenze del mercato. Le aree che necessitano maggiore ricerca sono il cloud, la cybersecurity, e i vari digital enabler come Iot, smart cities, la blockchain. Riguardo in particolare al cloud, avete avanzato una proposta al Mitd per il polo strategico nazionale assieme a Fastweb. Quali le caratteristiche? Abbiamo puntato su un'offerta non banale, non una semplice infrastruttura del cloud, visto che di fatto esistono tante strutture disponibili pubbliche e private. E' una proposta in cui crediamo molto. Non posso dare dettagli ma in generale la nostra caratteristica è quella di creare una federazione di infrastrutture, ossia di data center, molto sofisticata che offra tutte le garanzie dal punto di vista della sicurezza e qualità. In questo ci ha molto aiutato la partecipazione a progetti come Gaia X perché abbiamo previsto strumenti e metodologie già coerenti con i principi europei di governo del dato. Un altro aspetto importante riguarda la garanzia della facilità della migrazione da parte della PA e delle altre strutture strategiche dello Stato nel nuovo polo. Un ulteriore punto importante è quello della gestione del dato. I vari enti, istituzioni, dipartimenti della Pa lavorano su settori diversi, e visto che noi conosciamo tutti i comparti, siamo nelle condizioni di garantire la migliore e più sicura soluzione possibile. In sintesi, la nostra proposta punta su sicurezza, flessibilità, infrastruttura future proof, federazione di data center con livello di sofisticazione elevato, grande facilità nella migrazione e una gestione ecosistemica del dato. È un modello aperto ad alleanze? La struttura della nostra proposta ci consente di aprire anche ad altre eventuali collaborazioni. Non abbiamo costruito un design chiuso, al contrario è aperto. Siamo due aziende con un forte radicamento in Italia, siamo vissute e cresciute nel nostro Paese, abbiamo una storia solida e affidabile. Riteniamo che questo sia un altro aspetto rilevante. L' obiettivo ultimo è quello costruire un'infrastruttura future proof. Ci si aspetta che il bando sia definito entro le prime settimane del 2022 per realizzare il progetto entro la fine dell'anno. È una sfida importante ma noi abbiamo le competenze per poter dare esecuzione al progetto nei tempi indicati dal Ministro Colao. Come può il progetto Gaia X aiutare nella realizzazione del polo strategico? Il progetto Gaia X ha il vantaggio di mettere assieme le esperienze, le practice migliori. E' come avere un osservatorio privilegiato su quella che dovrebbe essere l'ideale infrastruttura cloud dal punto di vista della sua evoluzione. Far parte dell'iniziativa e di tutte quelle ad essa correlate ci permette di mettere un piede nel futuro e portare il nostro bagaglio di esperienze. La ricaduta pratica è che, come dicevo, gli aspetti che stanno emergendo da Gaia X sono già incorporati nella proposta che abbiamo presentato al Ministero. Nell'ottica della crescita e dello sviluppo del vostro business contemplate anche la quotazione in Borsa?Al momento siamo concentrati nel far sì che Engineering al 2025 sia l'azienda più innovativa, il tech champion digitale italiano, presente anche nei mercati esteri. Stiamo lavorando per disegnare questa traiettoria. È chiaro che un'Ipo è una delle opzioni possibili per un'azienda delle nostre dimensioni con le ambizioni che abbiamo in questo momento. Ma questo tema lo affronteremo successivamente, al momento siamo focalizzati affinché il progetto "Engineering 2025" prenda corpo. Abbiamo target molto ambiziosi riguardanti la crescita dei ricavi e della marginalità, una presenza più forte nelle tecnologie di oggi e del futuro e ovviamente anche una presenza internazionale che sia più robusta di quella che abbiamo oggi. Su quali Paesi punterete? Lo stiamo definendo. Puntiamo a rafforzarci dove siamo presenti e a trovare altri sbocchi, auspicabilmente in mercati attigui, europei per posizionarci come una Engineering fortissima in Italia e in Europa senza trascurare mercati in cui oggi siamo presenti. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 3/12/2021

19 Novembre 2021

«Governi e operatori mettano al sicuro le infrastrutture critiche dei cavi sottomarini»

Parla l'AD di Retelit, Federico Protto, tracciando una panoramica di come cambia il settore, tra nuovi modelli, rotte e punti di approdo Per il business dei cavi sottomarini si fanno strada nuovi modelli, nascono nuove rotte e nuovi punti di approdo. A tracciare una panoramica di un settore con sempre più importanti risvolti economici e geopolitici è Federico Protto, ad di Retelit, uno dei protagonisti italiani nel campo. In un'economia, come quella di cavi e data center rimodellata radicalmente dagli Hyperscaler tipo Google e Facebook, l'Italia può avere «un ruolo fondamentale» grazie alla sua posizione geografica. La Sicilia, Bari e la Liguria rappresentano secondo l'ad del gruppo italiano «i principali punti di approdo». Un apporto importante, per fronteggiare sabotaggi e spionaggio, va svolto dai Governi che assieme agli operatori devono assicurare che le infrastrutture critiche vengano messe al sicuro e monitorate. Come stanno cambiando i modelli di investimento nel business dei cavi? Grazie alle evoluzioni tecnologiche che permettono di supportare un maggiore numero di fibre rispetto a prima (oggi i nuovi cavi arrivano a supportare fino a 24 coppie di fibre) e la possibilità di poter avere degli apparati indipendenti per ogni coppia di fibra, le prospettive di sviluppo dei sistemi di cavi sottomarini si sono ampliate enormemente aprendo la strada a nuovi modelli. In questo contesto ai consorzi tradizionali dove più operatori condividono percentuali di uso dei cavi, si sono affiancati nuovi modelli in cui i proprietari del cavo di fatto sono proprietari di coppie di fibre che possono utilizzare in maniera indipendente. Questo nuovo modello ha stimolato l'investimento degli Hyperscaler vista anche la forte domanda di questi ultimi dovuta alla crescita di traffico. Infine, la nuova distribuzione del traffico, dovendo soddisfare requisiti di diversificazione, bassa latenza e resilienza, fattori molto meno critici nel passato, ha creato l'esigenza di nuove rotte e nuovi punti di approdo. Ad oggi Hyperscaler come Facebook, Amazon, Microsoft e Google stanno rimodellando radicalmente l'economia del settore dei cavi sottomarini e i data center.Questi sono presenti praticamente in ogni nuovo sistema di cavi transatlantico o transpacifico.Dal 2015 ad oggi il settore dei cavi sottomarini, dominato tradizionalmente dai monopolisti e dai Carrier, è cambiato radicalmente. Oggi, infatti, al fianco di questi soggetti ci sono operatori regionali come Retelit e gli Hyperscaler. Se prima i modelli consortili si basavano su modelli chiusi, in cui l'operatore che investiva era lo stesso che controllava l'infrastruttura sul territorio e quindi la Cable Landing Station, i servizi di Backhaul e la capacità, e lo Stato era azionista di controllo dell'operatore, oggi i nuovi modelli consortili introducono le open landing station e la spinta agli operatori regionali alternativi. In questo contesto, Retelit ha investito nel Consorzio AAE-1, creando un nuovo landing point a Bari, garantendo una diversificazione delle rotte, permettendo di raggiungere Francoforte (che è il più importante nodo di traffico IP al mondo) dall'Asia con la migliore latenza possibile. Inoltre, ha realizzato una rete di Backhaul da Bari all'Europa con nuove tecnologie (200 Gbps) adeguate agli importanti volumi di traffico. Ha inoltre investito anche in altri hub sottomarini (a Marsiglia e in Sicilia) creando possibilità di reti "meshed" tra i diversi sistemi e offrendo un'opzione per aumentare la resilienza degli stessi. Come ha inciso la pandemia di Covid, anche a livello indiretto, in questo business? Il Covid non ha impattato particolarmente sulla costruzione dei cavi sottomarini. Mentre sul business relativo alla vendita di banda, la pandemia ha avuto un impatto positivo dovuto alla crescita del traffico internet a livello globale – quest'ultima (fonte TeleGeography) è aumentata del 34% nel 2020 per poi tornare ai livelli medi di crescita degli ultimi dieci anni del 29% nel corso del 2021. I cavi sottomarini, tuttavia, negli ultimi anni hanno subito un cambio di utilizzo. Basti pensare che nel 2010 i cavi sottomarini venivano utilizzati per la quasi totalità per la distribuzione del traffico internet mentre solo il 10% veniva utilizzato dagli hyperscaler. Oggi la distribuzione del traffico sui cavi è totalmente cambiata ed il 60% dell'utilizzo dei cavi è fatto dagli hyperscaler ed è in costante crescita. Su quali aree punterà Retelit nei prossimi anni? Geograficamente, l'area che ha registrato la crescita più rapida di banda Internet comprende il traffico tra Europa e Africa e tra Europa ed Asia. L'Europa oggi si trova in una posizione privilegiata, al centro dello scambio globale e verso i continenti emergenti, tra cui appunto l'Africa e il Middle East, risultando il principale hub di approdo del traffico. E in questo Italia gioca un ruolo fondamentale: la Sicilia storicamente, poi Bari e infine oggi la Liguria rappresentano i principali punti di approdo dei cavi sottomarini nel nostro Paese. Retelit sin dal 2014 ha investito sulle infrastrutture di atterraggio di nuova generazione per attrarre verso l'Italia il traffico dei cavi. In particolare su Bari (costruendo una landing station di proprietà per atterrare il cavo sottomarino Asia Africa Europe-1 di cui è il membro Italiano del consorzio e un POP di rete ad alta velocità per connettere le altre landing station presenti a Bari tra le quali quella del cavo IG-1 (che collega la Puglia alla Grecia) per il quale recentemente è stato annunciato l'accordo con WIS per l'upgrade tecnologico a 400 Gbps del sistema. Inoltre, Retelit è socio di Open Hub Med, Data Center per collegare i cavi sottomarini che approdano in Sicilia, facilitando quindi la comunicazione tra cavi e il trasporto del traffico verso l'Europa dal Sud Italia. E più recentemente sulla Liguria dove Retelit ha costruito una piattaforma di atterraggio da Savona e Genova fino a Milano dedicata ai nuovi cavi provenienti dal Mediterraneo. Come fronteggiare le criticità riscontrate nel settore, come il sabotaggio e lo spionaggio? L' intercettazione dei cavi sottomarini potrebbe fornire ai leader stranieri informazioni preziose, mentre l'interruzione dei cavi potrebbe rallentare notevolmente le comunicazioni tra alleati. Le backdoor potrebbero anche essere inserite durante il processo di produzione dei cavi nei ripetitori o negli apparati all'interno delle Cable Landing Station per raccogliere informazioni sensibili. Esistono addirittura sottomarini in grado di "inserirsi" nei cavi di comunicazione sottomarini e ottenere i dati che vi transitavano senza manometterli. I Governi insieme agli operatori del settore devono assicurare che le infrastrutture critiche quali Cable Landing Station e i punti di approdo dei cavi vengano messe al sicuro e monitorate. Così come il monitoraggio dei fondali e della costa e sistemi di controllo delle interferenze sui cavi possono assicurare che la parte sott'acqua sia sicura da intromissioni. Non da ultimo è importante un efficace controllo sui fornitori di tecnologie per la trasmissione e la rigenerazione del segnale. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 19/11/2021

19 Novembre 2021

Studio Astrid: «Business dei cavi sottomarini cresce ma manca una strategia Ue»

Il 99% delle comunicazioni internazionali passa per l'infrastruttura che si estende per 1,3 milioni di chilometri. In 30 anni investiti quasi 50 miliardi Il 99% del traffico delle comunicazioni internazionali avviene tramite cavi sottomarini, un'infrastruttura che si estende per oltre 1,3 milioni di chilometri. Sono i numeri di un business in crescita che dal 1990 al 2020 ha registrato investimenti per quasi 50 miliardi di dollari. 120mila, 103mila e 116 mila: sono i chilometri in più che saranno costruiti nei prossimi tre anni. Nel periodo 2016-2020 si era registrata in media una messa in posa di circa 67mila chilometri aggiuntivi ogni anno. A scattare una fotografia dettagliata del settore è uno studio Astrid, firmato dai ricercatori Valerio Francola e Gordon A . Mensah, che mette, tra l'altro, in luce i problemi di sicurezza del settore e la necessità di un ruolo più rilevante della Ue che al momento sembra mancare di una strategia, nell'ambito della competizione Cina-Usa. Si aspetta una crescita significativa nelle Americhe, in Asia australiana ed Emea All'inizio del 2021 si contavano 426 cavi sottomarini in servizi in tutto il mondo; numero che si modifica costantemente, man mano che nuovi cavi entrano in servizio e i vecchi vengono smantellati. «Una crescita significativa della rete dei cavi sottomarini fino al 2023 avverrà nelle regioni delle Americhe, dell'Asia australiana e dell'Emea» ed è "stimolata dalle esigenze infrastrutturali dei fornitori di contenuti, ma anche dalla necessità di sviluppare nuove rotte e dalla sostituzione di infrastrutture obsolete nelle Americhe, in Europa e in Africa. L'implementazione di nuove infrastrutture diversificherà il traffico, in particolare tramite i collegamenti tra mercati in crescita in Sud America, Europa e Africa, consolidandone anche la struttura», precisano gli studiosi. 100 interruzioni l'anno al flusso di dati per incidenti naturali o causati dall'uomo Non sono trascurabili gli aspetti legati alla sicurezza. Un primo tipo di rischio è rappresentato dai danni accidentali provocati in prossimità delle coste, dove i cavi sottomarini sono esposti a eventuali danni provocati da ancoraggi di imbarcazioni o attività di pescherecci, nonostante i più recenti siano progettati secondo lo standard "cinque nove" che consente di raggiungere una percentuale altissima di affidabilità (99,999%). Gli incidenti naturali o causati dall'uomo generano una media di circa cento interruzioni all'anno sul flusso di informazioni e dati. Su questo versante, precisa lo studio, è in atto una discussione sulla necessità di creare perimetri di sicurezza nei tratti di passaggio dei cavi in prossimità delle coste. Da questo punto di vista «esistono molti dubbi sul fatto che i cavi siano adeguatamente tutelati dal diritto internazionale esistente». Si guarda a una nuova legge internazionale sui cyber attacchi I cavi sono, d'altronde, finanziati generalmente e controllati da consorzi di società di telecomunicazioni o dalle Big Tech, di conseguenza si tratta di infrastrutture non legate a una particolare nazionalità. Resta in ogni caso il tema degli attacchi alle infrastrutture informatiche, compresi appunto i cavi sottomarini. Ci sono diverse sollecitazioni che spingerebbero verso una nuova legge internazionale sui cyber attacchi in grado di porre un argine agli attacchi alle infrastrutture civili. C'è poi il rischio di intercettazione e va considerato che, in base alle informazioni emerse dal caso Snowden nel 2013, le intrusioni nelle linee di comunicazione non hanno più come obiettivo esclusivamente l'informazione classificate. Governi e agenzie di spionaggio sono sempre più coinvolti in una vasta raccolta di informazioni sulla popolazione in tutto il mondo. Non solo di metadati quindi, ma anche di contenuti. Nel Mediterraneo si nota particolarmente la mancanza di coordinamento europeo Il tema della sicurezza è legato al profilo geopolitico dell'industria. Stati Uniti e Cina si muovono in maniera diversa nel settore. I primi lavorano a livello globale per creare le migliori condizioni affinché le big americane, come Google e Facebook, possano operare. La seconda si impegna tramite il proprio modello di azienda statale e, come nel caso del produttore di cavi in fibra ottica Hengtong Group, per promuovere i propri interessi nazionali, non solo quelli delle imprese. In questo contesto l'Europa sembra in ritardo rispetto al rapido sviluppo di Stati Uniti e Cina. Nell'area del Mediterraneo, in particolare, si esemplifica la mancanza di coordinamento a livello europeo che impedisce il raggiungimento della cosiddetta "Sovranità strategica". È  evidente come vi sia una mancanza di strategia globale per il settore. «L'inerzia delle istituzioni europee - conclude lo studio - viene controbilanciata da iniziative di aziende di Paesi membri con maggiore esposizione, e interesse, verso la connettività con Africa e il Medio Oriente, spesso in consorzio con aziende di potenze concorrenti come la Cina. Di riflesso, negli ultimi anni, aziende come Huawei, Google e Facebook hanno aumentato la propria presenza nel mercato dei cavi sottomarini che collegano gli Stati europei e non europei del Mediterraneo a parti del mondo». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 19/11/2021

19 Novembre 2021

«Per i cavi sottomarini limitare il predominio Big Tech e fronteggiare la Cina»

Parla Adolfo Urso, presidente del Comitato parlamentare. Attraverso l'infrastruttura passa il 99% delle comunicazioni internazionali Limitare il predominio delle Big Tech e fronteggiare la supremazia economica e tecnologica della Cina. Sono le priorità da affrontare anche in tema di cavi sottomarini, attraverso i quali passa il 99% del traffico delle comunicazioni internazionali. È la posizione di Adolfo Urso, presidente del Copasir, nell'intervista a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School). Peraltro, nel settore dei cavi sottomarini, l'Italia per la sua posizione politica, economica e geografica, «proprio perché confine di ogni cosa, può essere al contempo vittima e protagonista». Occorre dunque, favorire le connessioni negli hub di Genova e Palermo, muovendosi «davvero e in modo consapevole e condiviso come un Sistema Paese in una logica europea e occidentale». Dai cavi sottomarini passa il 99% del traffico delle comunicazioni internazionali e 10 miliardi di transazioni finanziarie ogni giorno. Come tutelare la sicurezza dei dati visto che ci sono casi di guasti o attacchi cyber? Gli aspetti inerenti alla "sicurezza" possono essere di due tipi: i cosiddetti "danni accidentali" presenti in ogni tipo di attività e quelli generati da attacchi esterni, "intenzionali". Nel primo caso la tecnologia usata è certamente ben più sicura di altre forme di trasmissioni. I perimetri di sicurezza sono elevati anche nei tratti di passaggio più critici, vicino alle coste, ancorché si può sempre migliorare. Quanto al secondo aspetto, che è poi quello che interessa il Copasir, vi è ancora molto da fare. È stato creato il "perimetro di sicurezza nazionale cibernetico" che va ovviamente implementato; è stato esteso l'ambito di copertura del "golden power", strumento che va a sua volta affinato per renderlo più efficace; è stata istituita, seppur con dieci anni di ritardo, la Agenzia nazionale per la cybersicurezza che sicuramente può aiutare anche a diffondere cultura e procedure di sicurezza in ogni ambito, ai fini della resilienza del Paese. È, però, necessario sviluppare pure una politica nazionale, tecnologica e industriale, che consenta all'Italia di meglio valorizzare le sue imprese e la sua posizione strategica nel Mediterraneo come asse di collegamento tra il Continente europeo, il bacino Atlantico con i due Continenti del futuro: Asia e Africa. Abbiamo la tecnologia e le aziende e la posizione geografica e geopolitica per svolgere un ruolo importante, con una strategia statale che in questo campo non può assolutamente mancare. Come ha detto recentemente il presidente del Consiglio alle Camere, "lo Stato deve essere presente sulla frontiera tecnologica". Di questo si tratta. Del futuro del Paese, non solo delle imprese. Nel business dei cavi sottomarini sono entrati gli Over the Top americani o le Big Tech, spesso non legati a una particolare nazionalità. Questo può creare problemi dal punto di vista dell'applicazione del diritto? Sicuramente sì, è un problema che si pone anche chiunque abbia una vera visione liberale, negli Stati Uniti come in Europa, e che certamente va affrontato in Ue e nei fori internazionali. Il tema della sicurezza dei dati è strettamente legato a quello geopolitico visto che la sfida tra Stati Uniti, Cina ed Europa si gioca anche sui cavi sottomarini. Alcuni Paesi, come Usa e Gran Bretagna, hanno espresso preoccupazione per la realizzazione di cavi da parte di aziende vicine al Governo cinese. Condividete questi timori? Il Copasir è già intervenuto sulla materia due anni fa nella Relazione al Parlamento sul sistema delle telecomunicazioni, durante la presidenza Guerini, quando io ero vicepresidente. Abbiamo indicato come procedere nell'uso della tecnologia straniera per evitare rischi per la sicurezza nazionale, indicando nello specifico quella cinese. È in atto una competizione globale tra sistemi, qualcuno, e non a caso, parla di "scontro di civiltà", i cui risvolti geopolitici sono ormai evidenti e di cui l'Italia può essere al contempo vittima o protagonista, proprio perché è confine di ogni cosa. Insomma: dobbiamo essere consapevoli che occorre nel contempo limitare il predominio di Big Tech, le cui dimensioni economiche possono superare persino i Pil degli Stati, e fronteggiare la supremazia tecnologica ed economica della Cina. In tal senso, il ruolo dello Stato riassume la sua rilevanza anche in Occidente, come garante delle libertà. In ogni caso, dobbiamo lavorare insieme con le altre democrazie occidentali, per preservare la nostra sovranità, come italiani e come europei. Qual è in questo contesto l'obiettivo che potrebbero porsi l'Italia e la Ue per realizzare la sovranità dei dati anche in un difficile contesto come quello dei cavi sottomarini? Sui cavi sottomarini vi è di fatto una competizione anche tra Paesi europei: la Germania ovviamente ha interesse a sviluppare l'hub di Francoforte, che negli anni ha assunto un ruolo decisivo, dopo la caduta dell'Unione Sovietica, nei collegamenti con l'Est ed ora intende incrementare quelli con l'Asia, anche saltando il bacino del Mediterraneo, in connessione con l'Oman. Parigi punta su Marsiglia, di fatto aggirando la Penisola. Noi dovremmo favorire le connessioni negli hub di Palermo e Genova. Abbiamo aziende importanti e significative, che potrebbero svolgere un ruolo ancor più significativo se vi fosse una strategia Paese che tenga insieme tutto: gli attori, pubblici e privati. Non può sfuggire quanto accaduto con la rete Interoute, per la quale il Governo precedente non ha ritenuto di utilizzare i poteri speciali del "golden power". L'Italia può riaffermare un ruolo geopolitico, economico e industriale in Europa e nel Mediterraneo, ma occorre muoversi davvero e in modo consapevole e condiviso come un Sistema Paese in una logica europea e occidentale. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 19/11/2021

19 Novembre 2021

«Milano ha le carte per essere hub, non temiamo Hyperscaler, sono nostri clienti»

Parla Elisabetta Romano, AD di Sparkle (gruppo Telecom), illustrando le opportunità del settore per il sistema Paese nel contesto geopolitico  Il baricentro dei cavi sottomarini, infrastrutture dove passano il 99% del traffico delle comunicazioni internazionali e 10 miliardi di dollari di transazioni finanziarie ogni giorno, si sta spostando più a Sud. E questo rende l'Italia, che al momento non ha nessun hub internazionale, più centrale. In questo contesto, afferma Elisabetta Romano, ad di Sparkle, società del gruppo Telecom Italia, Milano «ha tutte le carte in regola» per diventare un hub a tutti gli effetti. Sparkle, presente in 32 Paesi nel mondo, non è nemmeno spaventata dall'avanzata nel settore degli hyperscaler che restano, dice Romano a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School), tra i migliori clienti. L'Asia e il Sud America sono tra le frontiere su cui punterà Sparkle che proprio quest'anno festeggia il centenario dalla fondazione di Italcable di cui è erede. Quanto al rapporto con i competitor, il settore rappresenta la "coopetion": «il mondo delle tlc ha avuto sempre il difetto della chiusura, ritengo invece – chiosa Romano - che l'apertura sia un aspetto fondamentale per la trasformazione dell'industria». In quali aree concentrerete i vostri investimenti? Oggi la maggior parte dei dati passa attraverso i cavi sottomarini e i volumi raddoppiano ogni due anni richiedendo nuove infrastrutture per soddisfare la domanda crescente di connettività. Questo significa che bisogna continuare a investire in nuove infrastrutture, soprattutto nelle aree a forte crescita come in Asia e in Europa dove l'infrastruttura esistente è quasi satura. Per questo stiamo continuando a investire in nuovi cavi, come il sistema di cavi sottomarini Blue & Raman che dall'India va verso l'Europa. Ma stiamo investendo anche in Sud America, in Europa e in Africa. Come cambierà il business, considerato il contesto economico e geopolitico? I due decenni appena trascorsi sono stati caratterizzati da un'esplosione di dati, internet, digitale. Nel prossimo decennio il traffico continuerà ad aumentare e si sposterà nel Sud-Est del mondo: i maggiori sviluppi sono attesi verso l'Asia e l'Africa. Il baricentro delle infrastrutture internazionali si sposta dunque più a Sud e questo mette l'Italia al centro delle direttrici di traffico dati. Con la costruzione di Blue & Raman, realizziamo un'autostrada digitale tra l'Europa e l'Asia con un percorso assolutamente unico e alternativo rispetto ai cavi esistenti, un aspetto rilevante nelle telecomunicazioni per evitare colli di bottiglia. Basti pensare, facendo un parallelismo con il trasporto fisico, a quanto successo con la nave incagliata nel canale di Suez. Anche per i cavi, da un punto di vista tecnico e architetturale, è importante avere strade alternative e con Blue & Raman realizziamo una serie di primati: per la prima volta nell'ambito del Mediterraneo non si passa per il canale di Suez, ma si arriva in Giordania per via terrestre. Anche in Sicilia, per la prima volta, non si passa per il Canale di Sicilia ma per lo stretto di Messina. La terza cosa significativa è che arriviamo a Genova mentre finora tutti i cavi dall'Asia arrivano a Marsiglia e Parigi che sono, quindi, diventate due delle città più importanti. L'Italia potrà recuperare questo gap con la Francia e Milano diventare un hub internazionale? Se consideriamo i dieci hub internet più importanti nel mondo, sei sono città europee - due di queste sono per l'appunto francesi -, nessuno degli hub principali è italiano. È senz'altro positivo che in Europa ci siano sei hub, ciò dimostra la centralità del Vecchio Continente, ma la notizia meno buona è che tra questi non ci sia nessuna città italiana. Milano ha tutte le carte in regola per diventare un hub a tutti gli effetti. C'è già un buon ecosistema, sono presenti gli Hyperscaler come Google, con cui Tim sta lavorando, si sta iniettando traffico dall'Asia. Un discorso che vale, anche se in minor misura, per Genova dove stiamo creando un'infrastruttura di atterraggio molto capiente per attirare, oltre al Blue Raman, anche cavi sottomarini di altri operatori. In generale siamo orgogliosi di fare qualcosa di rilevante non solo per Sparkle ma anche per l'Italia. Quando un'azienda riesce a conciliare obiettivi di business con l'impatto positivo per il Paese a cui appartiene, penso sia un traguardo molto positivo.   L'ingresso massiccio degli Hyperscaler nel business dei cavi sottomarini vi crea preoccupazioni? No, non siamo assolutamente spaventati. Lavoriamo con Google, che è nostro partner, ma anche con gli altri. È vero che nell' ultimo decennio, se prima compravano da noi tutta la capacità di cui avevano bisogno, adesso costruiscono con noi l'infrastruttura, ma continuano comunque a comprare. Sono tra i nostri clienti più importanti perché hanno tantissima necessità di banda e di trasporto Internet che un solo operatore non può soddisfare. Gli hyperscaler sono stati in pratica costretti a entrare nel campo per costruire le loro infrastrutture, ma non è il loro core business. Ad esempio, consideriamo la partnership con Google per la costruzione di Blue & Raman molto costruttiva, ben riuscita, con ambiti di azione ben definiti. Come ci si può difendere al meglio dagli attacchi hacker? Per noi la sicurezza è un aspetto fondamentale di cui teniamo conto sin dalle prime fasi della progettazione. In Sparkle abbiamo un gruppo dedicato e un Soc, Security operations center nella nostra sede centrale ad Acilia. Ovviamente quando si parla di cybersecurity è un po' il gioco di ‘guardie e ladri' perché gli attacchi diventano sempre più sofisticati. Al G20 di Trieste abbiamo partecipato a una sperimentazione, con uno spin off del Cnr, applicando la fisica quantistica alla sicurezza direttamente sulla fibra. La tecnologia sta andando molto avanti, e la sicurezza diventa insita al mezzo. In vista dei progetti di incrementare gli investimenti e le infrastrutture pensate di aumentare l'occupazione? Sparkle conta oggi circa 750 persone, 500 in Italia e 250 sparse per il mondo. Dobbiamo crescere, soprattutto all'estero, seguendo le direttrici dove costruiremo le nuove infrastrutture, in Sud America, Africa, nel Medio Oriente. Inoltre, stiamo investendo molto sul comparto entreprise. In sostanza abbiamo tre tipi di clienti: operatori come noi, visto che nessuno nel nostro mondo ha tutto; Ott e hyperscaler che rappresentano come suddetto una fetta importantissima; clienti entreprise, ambito su cui Sparkle finora ha lavorato, ma in maniera timida. Quest'anno nel nostro piano industriale ci puntiamo molto di più, soprattutto partendo dal fatto che il 60% dei clienti di Tim in Italia ha sede all'estero. Siete aperti a nuove alleanze con i competitor? Noi rappresentiamo la "coopetion" alla lettera, lavoriamo con tutti gli operatori del mondo, Verizon, At&t, Deutsche Telecom, con Telstra in Australia, con gli operatori arabi e con quelli africani. In Italia siamo i primi service provider, e siamo tra i primi dieci nel mondo. Il nostro concetto di partenza è di apertura, collaboriamo anche con aziende italiane, come Retelit. Il mondo delle tlc ha avuto sempre il difetto della chiusura, ritengo invece che l'apertura sia un aspetto fondamentale per la trasformazione dell'industria. Sparkle ha abbracciato questo paradigma. Vedete un problema per l'Italia di tutela della sovranità nazionale sui dati che passano attraverso i cavi? Per definizione il concetto di sovranità è in contraddizione col nostro mestiere, noi gestiamo connettività che va oltre i confini nazionali. La sovranità nazionale vale per i service provider nazionali, non per chi, come noi, gestisce una rete internazionale. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 19/11/2021

05 Novembre 2021

Ruffinoni (Ntt Data Italia): «Pronti ad assumere 800 persone con profili Stem»

Java, cybersecurity, data intelligence, esperti di piattaforme Sap e cloud tra le competenze più ricercate Servono al più presto 800 nuovi profili con studi Stem che Ntt Data Italia, società che si occupa di system integration, servizi professionali e consulenza strategica, ha difficoltà a trovare. La fame di competenze nel digitale riguarda un po' tutti i livelli del settore in un momento in cui si profila un nuovo modo di lavorare, «una terza via», dice l'ad Walter Ruffinoni, tra presenza in ufficio e lavoro totalmente da remoto, aprendo nuove opportunità. Tra le figure più ricercate, spiega il manager a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) sono ruoli con competenze Java, cybersecurity, data intelligence, esperti di piattaforme Sap e cloud. Di quanti dipendenti in più ha bisogno oggi la vostra azienda? In Ntt Data le persone fanno la differenza, siamo un'azienda di persone costruita attorno alle persone. Ricercare, assumere e trattenere i talenti è una attività per noi cruciale: avere i migliori talenti ci permette di offrire i migliori servizi ai nostri clienti, che sono le medie e grandi aziende italiane e straniere. Nella mia visione di Italia 5.0 credo fortemente nella tecnologia come abilitatore di nuovi servizi e nuove esperienze che mettono l'uomo al centro. Abbiamo visto che la tecnologia ha anche abilitato nuovi modi di lavorare: l'esperienza di questi ultimi due anni ci sta insegnando che in futuro ci sarà una "terza via" al lavoro che non sarà totalmente in presenza in ufficio e nemmeno totalmente virtuale, ma un mix bilanciato tra i due e con anche la possibilità di usare nuovi spazi fluidi e dinamici condivisi da più aziende e gestite da nuove figure professionali. Queste nuove modalità di lavoro possono essere molto interessanti anche per i giovani che entrano nel modo del lavoro con la possibilità di coniugare la crescita professionale con la vita nei luoghi di origine. Il brand Ntt Data in Italia conta su 5.000 persone in otto città: Milano, Roma, Torino, Treviso, Genova, Pisa, Napoli e Cosenza e quest'anno cerchiamo almeno 800 profili con studi Stem. Che tipo di figure sono le più ricercate? Siamo focalizzati su laureandi e laureati in materie Stem (Scienze Tech Ingegneria e Matematica) nelle principali università italiane e straniere, ma la nostra attenzione si rivolge anche ai diplomati di istituti tecnici. Abbiamo infatti posizioni aperte per ruoli con competenze Java, cybersecurity, Data intelligence, esperti di piattaforme Sap e cloud per citarne alcune. Quest'anno con la nostra Excellence School abbiamo inoltre dato la possibilità per 80 studenti e studentesse in 4 facoltà dedicate alle professioni più ricercate, come programmazione, data intelligence, architetture cloud, cyber security e consulenza It della durata di 4 mesi, al termine dei quali, i partecipanti possono sostenere un esame di certificazione attinente alla faculty e hanno la possibilità di essere assunti in Ntt Data. L'Excellence School si rivolge sia ai giovani laureati dei corsi Stem triennali e magistrali, sia ai diplomati del settore informatico, è totalmente gratuita e costituisce una rilevante porta d'accesso al mercato del lavoro, fornendo non solo competenze tecniche e pratiche. Grazie a un mix di formazione da remoto, esperienze laboratoriali e un training on the job sotto la supervisione di tutor esperti, gli studenti potranno approfondire le proprie conoscenze teoriche, ma anche lavorare direttamente su sistemi e programmi. Ampio spazio anche per le soft skills attraverso laboratori di apprendimento innovativi, studiati appositamente per chi non ha esperienza nel mondo aziendale, e con l'obiettivo di inserire in azienda giovani professionisti con competenze a 360 gradi. Crediamo che la formazione debba essere valorizzata a tutti i livelli, e siamo impegnati da anni su questo fronte sia all'esterno sia all'interno. Che cosa si potrebbe fare per stimolare l'incontro tra domanda e offerta? La spinta verso la digitalizzazione dei servizi e dei prodotti se da un lato ha aiutato la nostra crescita, dall'altro sta generando uno skill gap che rende difficile trovare le risorse con competenze adeguate. Ogni anno siamo presenti in quasi tutte le Università sul territorio italiano e abbiamo anche docenze a diversi corsi universitari per raggiungere gli studenti più meritevoli. Con le università del territorio, infatti, il dialogo è molto stretto, e la popolazione aziendale beneficia periodicamente di programmi formativi pensati appositamente. Crediamo che la collaborazione aziende-università sia uno degli strumenti più efficaci per allineare la formazione delle competenze con le necessità delle aziende. Crediamo, inoltre, nell'educazione tecnologica sin da bambini: con il coding nelle scuole abbiamo portato il pensiero computazionale nelle primarie (oltre 2200 ore di lezione erogate dai volontari Ntt Data in oltre 100 istituiti in tutta Italia) e con progetti specifici dedicati all'utilizzo sicuro degli strumenti tecnologici per bambini e adolescenti.  SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 5/11/2021