Digital Transformation
Digital Transformation
Digital Transformation
Digital Transformation

10 Settembre 2021

«Pronti all’offerta per il polo del cloud, ma serve par condicio di informazioni»

Parla Antonio Baldassarra, amministratore delegato di Seeweb, una delle aziende del Consorzio Italia Cloud, a a DigitEconomy.24, report Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School Il Consorzio Italia Cloud, che ha già manifestato interesse per il polo strategico nazionale, «parteciperà con un'offerta». Lo chiarisce Antonio Baldassarra, presidente e ad di Seeweb, una delle aziende che fa parte della compagine. Tuttavia, chiarisce a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) «ora siamo in attesa che il ministero dell'Innovazione precisi le condizioni per presentare l'offerta. Abbiamo appreso che c'è stato un dialogo tra il ministero e una serie di soggetti che ha presentato la manifestazione di interesse, chiediamo ora di avere le stesse informazioni degli altri». Per il resto, spiega Baldassarra, «malgrado avessimo auspicato un'affermazione più ampia dei requisiti richiesti ai vari soggetti per il trattamento dei dati, abbiamo apprezzato e rispettato l'approccio ecumenico del scelto dal Ministro». «La nostra non è un'azione di disturbo» La partita del cloud nazionale ha registrato l'interesse di pesi massimi come Tim e Leonardo. Ma quella del consorzio «non è un'azione di disturbo» e, nonostante le piccole dimensioni, le aziende in pista, spiega Baldassarra, hanno le carte in regola per poter gestire il cloud della Pa. Anzi, la commessa pubblica potrebbe essere lo stimolo alla crescita delle aziende italiane. Seeweb nasce nel '98 come service provider, agli albori di Internet, per poi intuire, dal 2005, le potenzialità del cloud computing. Di recente ha fondato, assieme a Sourcesense, Infordata, Babylon Cloud, Eht e NetaliaIl, il Consorzio Italia Cloud che, «è nato a inizio luglio in concomitanza con l'accelerazione che negli ultimi mesi si è avuta con l'azione del ministro Colao». Il consorzio, al momento, raggruppa sei realtà per un fatturato totale di 270 milioni di euro e 1.890 dipendenti. «Per fare cloud non è necessario essere player globali» «Operatori globali come Microsoft, Amazon e Google sono scesi in campo in vario modo per posizionarsi nella corsa al cloud italiano», ma per fare cloud, sottolinea Baldassarra, «non è necessario essere player globali». Bisogna, dunque, «sgombrare il campo da un tipico pregiudizio italiano secondo cui per fare il cloud bisogna avere una certa dimensione. Un tipo di ragionamento che ha portato alla candidatura di soggetti che non sono mai stati attori del cloud. Esistono, invece, operatori che giornalmente si confrontano col mercato e competono con quelli globali». Lo spirito del consorzio è, dunque, quello di proporre «una narrazione alternativa; è legittimo per i big player aspirare a entrare nel mercato italiano, ma lo è altrettanto per le società che si confrontano col mercato ogni giorno. Noi siamo certi di avere le capacità tecnologiche e le competenze necessarie. Ora bisognerà vedere nel dettaglio quali sono le richieste del Governo». D'altro canto, il consorzio, peraltro aperto all'ingresso di altre aziende, è pronto ad alleanze o collaborazioni: «Ci teniamo, tuttavia che qualsiasi forma potenziale di collaborazione venisse realizzata – spiega Baldassarra – valorizzando le imprese in prima battuta italiane, poi quelle europee, poi in terza battuta quelle al di fuori dell'Europa». «Il cloud della Pa è un'occasione per far crescere le imprese italiane» Resta, in conclusione, un punto fermo, secondo il ceo di Seeweb: «il cloud della Pa è un'occasione per far crescere le competenze e le imprese domestiche. Il nostro obiettivo è affermare che esistono aziende in grado di fare e che questo è uno dei casi in cui la commessa pubblica diventa uno dei motori della crescita del tessuto industriale del Paese. D'altronde, il ruolo propulsivo delle commesse pubbliche è stato decisivo anche per la crescita dei big Usa. Non ho dubbi che il Governo ne terrà conto».  SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 10/9/2021

08 Settembre 2021

Giornata Mondiale dell’Alfabetizzazione: l’impegno per la formazione digitale per costruire nuove opportunità di crescita

Le competenze digitali rappresentano un fattore discriminante per l’accesso a Internet. Il divario esistente tra persone che accedono alla rete e individui con competenze digitali carenti suggerisce la necessità di intervenire in modo mirato e specifico per favorire l’alfabetizzazione digitale Commento di Paolo Boccardelli, Direttore Luiss Business School L'8 settembre in tutto il pianeta si celebra la Giornata Mondiale dell'Alfabetizzazione, una ricorrenza istituita dall'Organizzazione delle Nazioni Unite per sensibilizzare l'opinione pubblica sulla necessità di assicurare i percorsi di apprendimento di bambini, giovani e adulti. Si stima che nel mondo ci siano 773 milioni di persone non alfabetizzate , fenomeno aggravato sia dalla pandemia Covid-19 sia dalle crisi migratorie. Tuttavia, anche in questo momento di difficoltà globale, numerose organizzazioni sono al lavoro per garantire l'accesso all'istruzione e la costruzione di nuove opportunità di crescita per ogni tipo di Paese. La crisi legata al Covid-19 è stata un banco di prova importantissimo per le competenze digitali: sono cresciute le applicazioni digitali legate alle prestazioni sanitarie; è aumentato l'impegno delle imprese chiamate a garantire la continuità dei propri servizi tra smart working e prestazioni da remoto; numerosi settori rimasti indietro sono stati costretti a digitalizzarsi in parallelo con l'emergenza, rincorrendo. Per far fronte a queste richieste pressanti del nostro tempo, abbiamo dovuto interrogare i nostri livelli di alfabetizzazione digitale, un fronte caldo su cui il mondo della formazione con Luiss Business School in testa, è fortemente impegnato. Alfabetizzazione in Italia e UE: lo scenario che emerge dall'indice DESI In generale, negli ultimi quattro anni il livello europeo di questo bagaglio di conoscenze ha continuato ad aumentare lentamente, raggiungendo circa il 60% delle persone con almeno competenze digitali di base, e oltre il 30% con competenze digitali di base superiori. Tuttavia, c'è ancora molto da fare. Secondo il Digital Economy and Society Index (DESI) 2020 l’Italia si colloca all'ultimo posto nell'UE per quanto riguarda la dimensione del capitale umano. Solo il 42% delle persone di età compresa tra i 16 e i 74 anni possiede almeno competenze digitali di base e solo il 22% dispone di competenze digitali superiori a quelle di base. Le competenze digitali rappresentano un fattore discriminante per l’accesso a Internet, e il divario esistente tra persone che accedono alla rete e individui con competenze digitali carenti suggerisce la necessità di intervenire in modo mirato e specifico per favorire l’alfabetizzazione digitale. Secondo l’ISTAT, nel 2019 nella fascia d’età 16-74 anni, il 44,3% delle donne possiede competenze digitali complessive basse rispetto al 39% degli uomini. Viceversa, il 26% delle donne ha competenze digitali complessive elevate rispetto al 32,1% degli uomini. In Italia, tra i motivi per cui le famiglie non possiedono accesso a Internet, rientrano il fatto che nel 56,4% dei nuclei nessuno sa usare internet e che il 25,5% non lo considera utile oppure interessante.Sul versante aziendale, sempre il Digital Economy and Society Index segnala che il 35% delle imprese italiane scambia informazioni elettroniche, una percentuale in linea con il 34% delle compagnie europee. Il 22% delle stesse è impegnato sul fronte della gestione dei dati e comunicazione attraverso i social media, percentuale leggermente inferiore rispetto alla media europea, pari al 25%. Il 15% delle imprese investe in cloud (in Europa lo fa il 18%), ma solo il 7% investe in big data rispetto al 12% delle imprese europee. Questo gap tra la media nazionale e quella comunitaria suggerisce un'altra carenza, forse più cruciale: quella di tecnici alfabetizzati digitalmente, capaci di interpretare questi dati e trasformarli in occasione di business. Business Translator: chi sono e perché le nostre aziende ne hanno sempre più bisogno Non saper trasformare i dati in attività d'impresa può avere un'importante ricaduta anche sulla leadership. Infatti, in Italia ma anche all'estero, la data driven leadership è ancora un miraggio. C'è ancora molto lavoro da fare. L'intelligenza artificiale è una delle strade perseguibili, ma non senza trascurare il quadro giuridico in cui incorniciare il fenomeno. Un ruolo molto importante lo avranno anche le regolamentazioni, come il Nuovo regolamento europeo sull’intelligenza artificiale su cui la Commissione Europea è al lavoro. Stando a ciò che è stato proposto sinora, questo quadro normativo non penalizza eccessivamente gli investimenti, ma in futuro sarà utile capire come si calerà nel tessuto delle imprese europee e italiane. Al momento l'intelligenza artificiale è già presente in molti settori della società: è nei device che usiamo come privati cittadini, ma ci sono anche tecnologie avanzate per l’analisi dei dati nell’industria 4.0, ovvero nei macchinari acquistati dalle imprese che hanno rinnovato il loro parco macchine. Ma la verità è che non basta la tecnologia per essere un membro che crea valore attraverso la rivoluzione digitale.Si stima che l'intelligenza artificiale potrebbe produrre benefici fino al 40% in termini di produttività nei Paesi sviluppati . Di conseguenza, la figura Business Translator diventa più rilevante, cioè persone che all’interno delle funzioni organizzative tradizionali sono in grado di comprendere le potenzialità di queste tecnologie dell’analisi dei dati e calarle sul business attraverso nuovo marketing, nuova finanza e nuova manutenzione. Queste funzioni richiedono un investimento sulla formazione di competenze nei professionisti che sono già nelle imprese o che arriveranno all’utilizzo saggio e intelligente, nonché di valore di tutta questa potenzialità. Enti come Luiss Business School sono chiamati a colmare il mismatch tra competenze richieste e talenti, oltre ad aiutare le aziende e rendere più fluidi i rapporti tra domanda e offerta del mondo del lavoro. In questo momento storico, è necessario guardare a ogni comparto della nostra economia anche con la lente dell'investimento, per assicurare la crescita e la sostenibilità dei diversi settori nel tempo. In questo contesto la formazione subisce un grande salto di specie. Le capacità di gestione tecnica non bastano più: in ogni ambito economico chi opera è chiamato a interfacciarsi con una necessaria e onnipresente trasformazione digitale. Il che significa non solo gestire delle infrastrutture, ma avere anche quelle competenze di innovazione e di servizio per stare accanto a imprese, istituzioni, piccoli operatori, professionisti individuali, con capacità legate ai dati, all'intelligenza artificiale, alla cybersecurity.Passare da una visione chiusa a una aperta di open innovation e di ecosistemi significa trasformare radicalmente le competenze. Nel farlo, il ruolo delle istituzioni di formazione diventa centrale: bisogna essere in grado di lavorare insieme non tanto sulle competenze hard, quanto sulla capacità di vedere le nuove tecnologie in funzione dentro le organizzazioni. Oggi una "famiglia" completa è costituita da un ingegnere dei dati, un analista dei dati e almeno cinque business translator. Tutto questo non può diventare realtà se non formando i talenti e formando i professionisti con un deciso intervento di upskilling e reskilling. La rivoluzione del lavoro richiede nuove competenze nella gestione dello stesso anche all'interno delle organizzazioni sindacali e del settore legato alla gestione delle risorse umane. Abbiamo bisogno di competenze nuove, che accademie come la nostra hanno il dovere di provare a costruire. 8/9/2021

26 Luglio 2021

Francesca Mastrogiacomi: «Nell’era post-digitale abbiamo bisogno di facilitatori di cambiamento»

Al via il percorso di formazione Flex Digital Teaching for Learning targato Luiss Business School. Gli obiettivi sono tantissimi, ma quello più importante resta uno: formare professionisti capaci di ridisegnare le esperienze di apprendimento dentro e fuori le aziende  Francesca Mastrogiacomi si occupa di formazione da sempre. Con 12 anni di esperienza manageriale internazionale in ambienti di lavoro innovativo come Google, esperta in digital transformation, innovazione, gestione del cambiamento, strategia, sales e operations, ha focalizzato la sua attenzione su didattica, ricerca e learning design. Dalla sua visione è nato il nuovo Flex Digital Teaching for Learning di Luiss Business School, un programma di formazione e strategie di didattica a distanza pensato per chi già lavora in realtà legate alla formazione o opera in questo campo in ambito aziendale.   Francesca Mastrogiacomi, la pandemia ci ha catapultati in un mondo nuovo, dove ci siamo trovati a fronteggiare l'inaspettato, nel managing the unexpected: che ruolo ha la formazione in questo?   Milton H. Erickson diceva «È il cambiamento che porta a nuove prospettive molto più di quanto nuove prospettive portino al cambiamento». Nella parola “managing” c’è l’idea della “gestione”, di una sorta di controllo o contenimento. Con l’ignoto e il nuovo a volte funziona la capacità di lasciare andare vecchi schemi per accogliere l’inaspettato. Insegnare e imparare sono i lati della stessa medaglia: formatori e studenti condividono lo stesso laboratorio di co-creazione attiva di conoscenza. Il docente ci mette gli strumenti metodologici, critici e dei contenuti stimolo, strutturati sapientemente. Lo studente usa agevolmente nuovi strumenti e ambienti digitali, ci mette la curiosità e la capacità di risolvere nuovi problemi insieme ai suoi pari. Soprattutto con gli adulti è l’apprendimento esperienziale, se opportunamente sostenuto da dinamiche di facilitazione e di debrief, che ingenera apprendimento profondo e cambiamenti duraturi nella vita quotidiana.   Il Covid ha portato la digital transformation nel cuore delle aziende. Annullata la socialità, siamo stati costretti a cercarla e a ricrearla altrove, online. Non sempre le competenze si sono rivelate all’altezza. Perché? Come rimediare?   Si è reso necessario un cambio di paradigma per le organizzazioni pubbliche e private. In tempi pre-pandemici, la trasformazione digitale si è preoccupata troppo di piattaforme o tecnologie e troppo poco delle implicazioni per le persone. Ora, alcune delle sfide sono: rimettere il benessere delle persone al centro; intessere le reti delle piattaforme digitali con quelle di una ritrovata socialità; facilitare nuove modalità sostenibili e efficaci per il lavoro, lo studio, lo svago. Il nostro Paese è ai primi posti per il numero di cellulari pro-capite al mondo, eppure, in Italia il digital divide c’era prima del Covid e c’è ancora. È necessario un cambio di mindset nel modo di affrontare le situazioni di quotidiana emergenza. A volte abbiamo strumenti più che adeguati ma non sappiamo come usarli.   Il 36,7% dei docenti intervistati per un sondaggio condotto nell'ambito del progetto formativo Luiss Business School "Con la Scuola" ha confessato che la pandemia e la didattica a distanza hanno reso più difficile il coinvolgimento dei ragazzi. Cosa è successo?  Il feedback è un regalo prezioso, che va ascoltato e agito. Col corpo, con lo sguardo e le parole i partecipanti ci parlano di come sta andando. Se non sono coinvolti, c’è qualcosa che non va. Di sicuro, tre ore continuative di lezione frontale, senza lavori di gruppo e non guidati da un coinvolgente progetto di ricerca non funzionano. Ora i partecipanti possono spegnere le videocamere e rendere esplicito quello che prima era solo uno spegnimento del loro livello di attenzione. Il digitale esaspera e rende visibile ciò che non funziona e ciò che non funzionava.   Secondo il Rapporto Unicef The Future We Want, più di 6 studenti su 10 hanno dichiarato che la digitalizzazione ha creato stress nello studio. Progettare un modo più efficace di fare formazione attraverso il digitale può migliorare questa situazione?   Sì, penso che la questione sia insita nel sistema scolastico così come è strutturato in Italia. Lo stress era già alto anche nel rapporto OCSE del 2016, dove gli studenti italiani erano tra i più stressati e i meno performanti nelle classifiche mondiali. Semplicemente traslare il tema in ambienti digitali acuisce il problema, lo sposta e non lo risolve. Progettare un modo più efficace di fare formazione attraverso il digitale è una opportunità per rivedere il nostro approccio e migliorare questa situazione con un modello sostenibile e efficace per il nostro sistema scuola. Il digitale sfida la dimensione del “controllo” sulle dinamiche di classe tradizionale. Per questo nel nostro corso abbiamo inserito moduli dedicati all’allenamento di quelle soft skills necessarie per chi gestisce le aule reali e virtuali, per aiutare a gestire l’ambiguo, lo stress, allenare la resilienza e gestire inevitabili dinamiche conflittuali. Il digitale è una opportunità fantastica per liberarsi finalmente di tante cose che non andavano bene e recuperare quelle dimensioni che invece funzionavano e dar loro più spazio, accelerarle come solo il digitale sa fare, penso a: la socialità, l’interazione, la ricerca.   Quali soluzioni offre il Digital Teaching for Learning per riavvicinare apprendenti e formatori?   Nel nostro corso di Digital Teaching for Learning stimoliamo le buone pratiche di progettazione in contesti sincroni e asincroni attraverso la condivisione tra esperti guidata da “domande potenti”: Come uso il tempo? Come strutturo i contenuti per evitare il sovraccarico cognitivo? Come gestisco le pause e il ritmo? Come attivo i partecipanti sulla ricerca del materiale didattico? Come facilito gli apprendenti nei lavori di gruppo? Come li alleno a gestire la socialità per finalità educative? Come uso le piattaforme digitali a vantaggio del processo di insegnamento e apprendimento? Come valuto? Per rispondere insieme a queste domande abbiamo pensato di coinvolgere i partecipanti in qualità di esperti nella loro pratica professionale, invitandoli a condividere attivamente le loro esperienze. Vogliamo confrontarci su come applicare efficaci modelli pratico/teorici di integrazione didattica con le piattaforme ICT. Offriremo occasioni di sperimentazione con strumenti pratico/teorici di facilitazione di dinamiche di apprendimento autonomo e esperienziale, in presenza e a distanza. Applicheremo tecniche di debrief nella condivisione tra pari nei Teaching Lab. Ci confronteremo su tematiche e sfide di grande attualità̀ nei contesti organizzativi, legate all’evoluzione della tecnologia e alla trasformazione digitale. Svilupperemo un nuovo approccio alla progettazione didattica in contesti blended di insegnamento e apprendimento digitali, in presenza e a distanza, creando un network di professionisti nel mondo dell’innovazione nel campo della formazione.  Durante la pandemia i consumi di contenuti digitali sono aumentati. Secondo una ricerca targata McKinsey il 92% degli intervistati continuerà ad acquistare intrattenimento e altri contenuti online: quali opportunità per le aziende?   La pandemia ha esasperato questi trend nella fruizione, che possono avere delle implicazioni su alcuni modelli di business, nel mondo dell’education, ad esempio. Per questo le opportunità di business sono molteplici. In primo luogo, si potrebbe andare a definire la strategia dei contenuti proprietari e di terze parti su più piattaforme in modo sinergico, guardando sia ciò che viene pubblicato gratuitamente sulle piattaforme più usate sia creando partnership efficaci con chi crea contenuti per lavoro. Poi bisognerebbe annusare i nuovi trend come video, podcast e infografiche e chiedersi come pubblicare MOOC tenendo conto che l'utente è abituato alla qualità di piattaforme e di contenuti come Amazon e Netflix. Ma per non restare irretiti nei falsi miti dell’edutainment, la domanda guida dovrebbe essere «ma dove è il valore aggiunto per la formazione?».  Che risposta si è data?  Secondo me si dovrebbe guardare alla qualità dell’esperienza, della socialità che si costruisce attorno ai contenuti, al ruolo di supporto del formatore che diviene facilitatore di un percorso di apprendimento attraverso uno storytelling innovativo. Si dovrebbero avere in mente anche le piattaforme su cui si appoggeranno, contenuti e esperienze. Questi aspetti di facilitazione, design e innovazione sono i pilastri del programma Digital Teaching for Learning , corso di metodologia e-learning concepito anche per quelle figure in azienda che aiutano la formazione aziendale a traghettare verso nuove modalità e piattaforme digitali.   A quali figure aziendali si rivolge questo aspetto del Digital Teaching for Learning?  Abbiamo pensato a quei manager e professionisti che operano nell’ambito della formazione, progettazione, sviluppo di nuovi programmi e modalità di erogazione; manager e professionisti del settore risorse umane e HR, Learning Development, Learning Design, Corporate Academies. Soprattutto per loro abbiamo previsto momenti di confronto con esperti sui trend della formazione aziendale negli ultimi venti anni e con imprenditori innovativi su piattaforme social per la creazione di efficaci accademie digitali.   Chi è il Facilitatore di Cambiamento? Perché serve alle aziende oggi più che mai?   Nell’insegnamento di qualsiasi disciplina si è al servizio del processo di apprendimento e dello studente. La sfida è quella di diventare facilitatori. In contesti innovativi e trasformativi, saremo più spesso impegnati come facilitatori di cambiamento, piuttosto che come esperti di materia o fornitori di contenuti. Come dicono Marshall Goldsmith, Alan Mulally e Sam Shriver "In azienda, facilitare diviene un atto quotidiano di leadership". Per innovare, le aziende possono facilitare la creazione di ambienti di lavoro psicologicamente sicuri dove poter rischiare e fare in modo che le persone che identificano i problemi, si sentano libere di metterli sul tavolo in modo da poter poi trovare soluzioni. L’innovazione necessita di un leader che faciliti dinamiche collaborative in contesti psicologicamente sicuri, dove si impara dagli errori e si trovano soluzioni più velocemente con un approccio iterativo e creativo.   Investire in formazione significa pensare a sé stessi come a un asset: perché?   Soprattutto in momenti di crisi come questi la formazione si rivela una opportunità, figlia di un processo di valutazione delle risorse disponibili per risolvere nel migliore dei modi uno o più problemi. Allora, diventiamo noi stessi risorsa, bene prezioso, capitale umano, soggetto agente, patrimonio da investire in nuove attività e progetti.   Programmi vs Contenuti: come si rimette la conoscenza al centro del processo di apprendimento?   Il 16 novembre 2012 è stato pubblicato il decreto n. 254, “Regolamento recante indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, a norma dell’articolo 1, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 89”, firmato dal Ministro Francesco Profumo. Nel testo si abolisce la parola "programmi" e si legge: «il bisogno di conoscenze degli studenti non si soddisfa con il semplice accumulo di tante informazioni in vari campi, ma solo con il pieno dominio dei singoli ambiti disciplinari e, contemporaneamente, con l’elaborazione delle loro molteplici connessioni. È quindi decisiva una nuova alleanza fra scienza, storia, discipline umanistiche, arti e tecnologia, in grado di delineare la prospettiva di un nuovo umanesimo».  Come il digitale ha cambiato il mondo dell’insegnamento e dell’apprendimento?   Più che di digitale, io parlerei già di post-digitale. La nostra è un'epoca in cui il "digitale" è diventato un attributo privo di significato perché quasi tutti i media sono elettronici e si basano sull'elaborazione delle informazioni digitali. È solo una piattaforma che abilita, accelera, migliora, personalizza, socializza. Quello che le tecnologie possono fare per noi nell'istruzione è riportare lo studente al centro del "viaggio di apprendimento", rafforzando nel contempo la centralità dei nostri allievi nella progettazione dell'apprendimento e nella valutazione dei programmi.   Traiettorie evolutive della formazione: dove va la formazione?   Alcuni trend ce li portiamo dietro già dai tempi pre-pandemici: le pratiche Data-Driven, la personalizzazione dell'esperienza di apprendimento, il focus sulle soft skill, la digitalizzazione della didattica frontale, l'apprendimento attraverso piattaforme Social e Mobile, il Microlearning e il video. Il post pandemia ne ha confermati alcuni e fatti emergere altri, come il ribilanciamento dei modelli di apprendimento, l'umanizzazione dell'online learning, l'utilizzo delle tecnologie di AI e chatbot per seguire il discente, il tracciamento e l'analisi dei dati, i nuovi trend di contenuti immersivi, l'enfasi sulle materie STEM, l'approccio esperienziale. Inoltre, si impone una maggiore enfasi sui programmi Train-The-Trainer di formazione dei formatori, aiutandoli nella transizione a nuove modalità di design e erogazione. Ed è qui che Luiss Business School, con il Flex in Digital Teaching for Learning, può fare la differenza.   SCOPRI DIGITAL TEACHING FOR LEARNING 26/07/2021

23 Luglio 2021

3PItalia vince in Rti la gara da 36 milioni per digitalizzare le Pa

Lo annuncia l'amministratore delegato Carlo Ghezzi. La società avrà il ruolo di dare consulenza e supportare la gestione dei progetti Entrare nella stessa stanza della Pa per fornire consulenza e supporto nella gestione dei progetti di digitalizzazione. È quanto farà 3PItalia che si è aggiudicata, in aggregazione con la capofila e mandataria Bip, società di consulenza fondata da Nino Lo Bianco, una gara Consip da 36 milioni di euro per il supporto alla digitalizzazione delle Pa locali e centrali. Lo annuncia a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) Carlo Ghezzi, amministratore delegato della società fondata a inizio 2020 da Linkem e Easygov. «Sarà un'operazione almeno a tre attori: la Pa, la Rti di cui fa parte 3P Italia e i fornitori di soluzioni di tecnologie; 3P avrà il ruolo di supportare l'organizzazione, la pianificazione, il controllo e il coordinamento generale dei programmi di digitalizzazione dei prossimi anni, affiancando le pa con un ruolo di advisor terzo nel governo e nella gestione delle iniziative». Il contratto dura 24-36 mesi, ma la durata dei singoli servizi, spiega Ghezzi, «si allinea alla durata dei singoli progetti alla quale si applicheranno». La commessa è divisa in tre lotti, 3PItalia e Bip sono presenti in tutti mentre gli altri otto partner sono spalmati sulle vare parti. «L'accordo quadro offre alla pa la la possibilità di essere affiancate e supportata» La gara riguarda un accordo quadro e, per la prima volta, spiega Ghezzi, «offre alle pubbliche amministrazioni la possibilità di essere affiancate e supportate per realizzare una serie di interventi di digitalizzazione delle Pa». Per Ghezzi «si rafforza un concetto di partenariato pubblico e privato che è il fattore distintivo della nostra azienda. È un'occasione unica per dare slancio all'attività della pubblica amministrazione nella realizzazione di una serie di servizi e investimenti in ambito digitale». L'accordo quadro potrebbe essere letto anche in chiave Pnrr, visto che poi concretamente sarà proprio l'attuazione dei progetti finanziati con risorse Ue il vero banco di prova per le amministrazioni italiane. «Si tratta di un'opportunità anche in vista della gestione del Pnrr» «Sicuramente ci aspettiamo che questo accordo possa essere un'opportunità anche per le pa che dovranno gestire il Pnrr. Le amministrazioni beneficiarie potranno ingaggiare i nostri servizi proprio per monitorare e ottimizzare la spesa e gli interventi previsti dal piano», chiarisce Ghezzi. La nuova commessa costituirà una parte importante del giro d'affari di 3P Italia che, nel suo primo anno di vita, nel 2020, ha realizzato 500mila euro di ricavi, nel 2021 ha totalizzato 1 milione, nel 2022 punta al raddoppio, per arrivare al 2023 con 4 milioni di ricavi. «La nostra quota nella commessa della gara Consip è variabile rispetto ai 36 milioni ed è legata ai risultati e alle pa che sapremo coinvolgere. Ora parte una fase in cui potremmo fare promozione del nuovo strumento». «Con le nuove concessioni assumeremo, magari personale con già un rapporto con le Pa» 3P nasce con un project financing da 5 milioni di euro con il comune di Brescia per 5 anni. A fine dicembre è arrivata un'altra concessione per 18 anni in project financing da 18 milioni di euro per la provincia di Lecco. Al momento la società ha 15 dipendenti, ma con l'arrivo delle nuove commesse, quest'anno potrebbe assumere 10 persone, per arrivare nel 2022 a 40 dipendenti. «Laddove attiveremo le concessioni – spiega Ghezzi - la logica è di assumere in maniera correlata, magari personale che ha già un rapporto con le pa locali». Nel futuro prossimo la società guarda all' intelligenza artificiale e alla blockchain per agevolare la vita delle pubbliche amministrazioni. «Sono allo studio dei servizi che venderemo nelle concessioni. Ad esempio, stiamo studiando come digitalizzare, attraverso smartphone e blockchain, la concessione dei permessi». Infine, l'azienda si propone «come broker di trasferimento delle buone pratiche. Crediamo molto – conclude Ghezzi – nelle community di Pa che si mettono assieme per risolvere i problemi». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 23/7/2021

23 Luglio 2021

Expert.ai: «Puntiamo sugli Usa e sviluppi con la Pa, 2021 in recupero»

L'AD Stefano Spaggiari fa il punto sulle prospettive della società che usa l'intelligenza artificiale per la comprensione e l'analisi dei testi Con l’intelligenza artificiale «non vedo rischi per l’occupazione, le nostre applicazioni forniscono una sorta di esoscheletro cognitivo, ma ai comandi ci sono sempre gli uomini. Ancora oggi qualunque pezzo di Ai è frutto di una programmazione, sotto c’è comunque una scelta fatta da un uomo». Stefano Spaggiari è tra i fondatori, oggi presidente, di expert.ai (prima Expert System), una società pioniera nell’utilizzo dei sistemi di intelligenza artificiale per la comprensione del linguaggio. Avviata negli anni ’90 con i primi correttori dell’italiano venduti al gigante Microsoft, nel febbraio del 2014 si quota in Borsa per crescere. Nell’azionariato, oltre ai soci fondatori, che hanno circa il 18-19%, c’è dal 2019 con circa il 9%, la società Ergo, costituita da un pool di investitori privati tra i quali Claudio Costamagna, Diego Piacentini e Francesco Caio. expert.ai punta attualmente sull’ampliamento del lavoro con la Pa, che potrà sfruttare le risorse del Pnrr, e a crescere negli Usa, dove ha già una sede vicino Washington: «A settembre - dice Spaggiari a DigitEconomy.24, report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School – apriremo la sede a Boston». Intanto, alla luce del piano industriale approvato l’anno scorso e dopo un 2020 funestato dal Covid (chiuso con ricavi in calo a 30,6 milioni ed ebitda negativo per 1,9 milioni rispetto ai 5,5 milioni dell’anno precedente), «stiamo andando - annuncia il presidente - nella direzione giusta, siamo in una fase di recupero. Quest’anno dovrebbe essere un anno auspicabilmente migliore». Oggi l’intelligenza artificiale è improvvisamente, spinta anche dall’effetto pandemia, diventata un must per le aziende. Negli anni ’90, quando l’azienda nasce nel classico garage ad opera di Spaggiari con i compagni di università Paolo Lombardi e Marco Varone, la situazione è ben diversa e, nonostante le attese altissime sui primi sistemi di intelligenza artificiale, non ci sono, su larga scala, computer con una capacità tale da far girare gli algoritmi. «Sviluppammo una tecnologia di correttore grammaticale della lingua italiana e provammo a venderlo a Microsoft. A quel tempo il colosso statunitense stava facendo una selezione per adottare i correttori delle lingue più importanti. Noi corremmo contro colossi dell’epoca e vincemmo». Un altro step fondamentale arriva con la creazione di una vera e propria piattaforma di intelligenza artificiale la cui ambizione, spiega Spaggiari, era quella di simulare le capacità cognitive umane nel momento in cui leggiamo un testo. Attualmente il gruppo, che ha tra i clienti media Associated Press, Dow Jones-Wall Street Journal e anche la testata Il Sole 24 Ore, elabora due grandi gruppi di applicazioni: l’information intelligence, cioè la raccolta e l’analisti di grandi quantitativi di informazione, e l’automazione dei processi. «Dietro grandi aziende di servizi, a partire dalle assicurazioni, ci sono delle operazioni – prosegue Spaggiari – attraverso le quali vengono elaborate quantità incredibili di documenti. Ad esempio, la gestione dei sinistri inizia con un plico di documenti, in genere da 50-70 pagine. Finora le persone li leggevano e cominciavano a istruire la pratica, estrapolando nomi, luoghi, geografie, dinamiche, cercando di capire le conseguenze». Grazie all’Ai «abbiamo fatto il training al sistema perché fosse in grado di supportare in modo significativo chi fa questo lavoro. Prima servivano 58 minuti per fare l’analisi di un plico, ora ne bastano 5. Lasciando al momento all’intelligenza umana la parte qualitativa più importante, e affrancando tutto il lavoro noioso e lungo di lettura ed estrazione dei dati». La macchina che lavora al posto dell’uomo? «Siamo per fortuna lontani – commenta Spaggiari – dalla prospettiva dell’intelligenza artificiale che ruba il posto all’uomo». «Non vedo – chiarisce ancora - rischi per l’occupazione, vedo un efficientamento per cui le persone vengono impiegate in attività intellettualmente più stimolanti. D’altronde le persone intelligenti sono merce rara, se riusciamo ad affrancarle dalle attività lunghe e noiose le possiamo sfruttare per le loro qualità migliori, e questo è nell’interesse di tutti». Con il successo dell’intelligenza artificiale e la rinnovata competitività nel mercato l’azienda, che dà lavoro a circa 300 persone nel mondo, si è focalizzata «sullo sviluppo di piattaforme e soluzioni, ci siamo trasformati in una società di fornitura di servizi di Ai per clienti finali o terze parti che possono sviluppare le proprie applicazioni».  L’ultima svolta, a livello manageriale, è arrivata con l’arrivo in azienda dello statunitense Walt Mayo che ha assunto il ruolo di amministratore delegato il 24 febbraio 2020 e che sarà fondamentale nell’espansione negli Usa, uno dei perni del piano industriale quadriennale presentato dall’azienda l’anno scorso per il 2020-24 e incentrato proprio sulla crescita e lo sviluppo del gruppo a livello internazionale, con particolare riferimento agli Stati Uniti. La nuova strategia punta a realizzare nel 2024 100 milioni di ricavi e 22 milioni di ebitda. Il 22 giugno scorso, intanto, expert.ai ha lanciato la nuova piattaforma ibrida basata sulla comprensione del linguaggio naturale. Accessibile via cloud, la piattaforma di expert.ai, trasformando qualsiasi documento basato sul linguaggio in dati strutturati, consente di rendere più veloce l’acquisizione delle informazioni strategiche e di accrescere la conoscenza in tutti i processi e le attività che coinvolgono l’uso di informazioni espresse in linguaggio naturale. Altre frontiere si aprono poi con il Pnrr. «Stiamo lavorando soprattutto sulla Pa, dove prima eravamo presenti solo nel settore della sicurezza e della difesa poiché non c’erano le risorse se non per l’ordinaria amministrazione.  Stiamo, quindi, potenziando la divisione Pa per andare oltre la nicchia che ci eravamo ritagliati.  Ci sarebbero – chiosa Spaggiari - tonnellate di documenti che potrebbero essere processati quantomeno in modo semi automatico». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 23/7/2021

23 Luglio 2021

«Solo investendo in nuove tecnologie l’Europa preserverà l’autonomia strategica»

L'intervento di Alessandro Profumo, Amministratore delegato di Leonardo, su DigitEconomy.24, report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School Il digitale ha un impatto trasformativo su ogni aspetto dell'industria e della società contemporanea. Si tratta di una vera e propria rivoluzione, al centro della quale ci sono i Big Data: siamo circondati da una quantità crescente di nuove informazioni, per poter raccogliere e gestire le quali sono ormai necessari sistemi avanzati capaci di integrare l'Hpc (High performance computing) per il supercalcolo con soluzioni di Intelligenza Artificiale e Cloud Computing. «Le infrastrutture digitali richiedono risorse e competenze» Le nuove infrastrutture del digitale, basate sulle tecnologie dell'Hpc, richiedono però un grande investimento in termini di risorse e, soprattutto, competenze specializzate. Il ciclo di obsolescenza delle tecnologie digitali è, in media, di poco più di cinque anni: non è più pensabile poter gestire l'innovazione con la velocità e con i metodi del ventesimo secolo. Oggi sono richieste figure professionali di alto profilo, capaci di un costante aggiornamento on the job e di adattarsi alle trasformazioni dell'industria digitale. Investire nelle nuove tecnologie, oltretutto, non è solo un modo per creare occupazione qualificata, ma è cruciale per contribuire alla sovranità tecnologica e alla competitività dell'Italia e dell'Europa. La nuova frontiera della digitalizzazione è il digital twin Oggi la frontiera della digitalizzazione dell'industria è rappresentata dal digital twin, il gemello digitale, e sono molte le imprese che si stanno attrezzando per questa tecnologia rivoluzionaria: nel settore automobilistico, Tesla ha investito centinaia di milioni di dollari in un nuovo Hpc - già tra i primi cinque più potenti al mondo – per sfruttare il digital twin a supporto delle tecnologie per la guida autonoma. L'azienda di Palo Alto utilizza i big data per costruire simulazioni virtuali, in modo da addestrare le reti neurali che alimentano i suoi sistemi di pilotaggio automatico. Ferrari e Dallara, cuore della Motor Valley Italiana, applicano il digital twin per il design e la progettazione dei propri veicoli. Anche nell'industria dell'aerospazio, della difesa e della sicurezza la digitalizzazione è l'elemento chiave sia nell'innovazione sia nella competitività. Il Dipartimento della Difesa statunitense, ad esempio, ha dichiarato che in futuro accetterà forniture solamente da quelle aziende in grado di garantire prodotti concepiti con un digital twin. I vantaggi derivanti dall'utilizzo di soluzioni digitali, del resto, sono indiscutibili: raccogliendo dati attraverso una sensoristica diffusa è possibile modellizzare i comportamenti di un gemello fisico, studiandone il comportamento in un ambiente virtuale capace di simulare i suoi comportamenti anche in situazioni estreme; ciò consente di operare in maniera predittiva, anticipando potenziali pericoli e imprevisti prima che avvengano nella realtà. Big data e algoritmi consentono di modificare eventuali anomali di un prodotto L'utilizzo combinato dei big data e di algoritmi dedicati, attraverso il digital twin, consente di intervenire durante tutte le fasi di progettazione di un prodotto per modificare eventuali anomalie, in maniera veloce e sicura, guidandone lo sviluppo passo dopo passo sulla base di parametri in continua evoluzione, mentre il grado di complessità può aumentare ulteriormente nel momento in cui diversi modelli digitali interagiscono tra loro. Tutto questo ha ricadute positive a tutti i livelli del processo industriale: i costi di sviluppo diminuiscono mentre aumenta la sicurezza, soprattutto in fase di testing; un uso più efficiente di materiali e carburante aumenta la sostenibilità d'impresa e la manutenzione predittiva garantisce una riduzione dei fermi macchina. Digital Twin al centro dell'approccio di Leonardo Il digital twin è al centro dell'approccio con cui Leonardo si sta preparando alle sfide tecnologiche di domani, aprendo a nuove opportunità applicative non soltanto nell'ambito dell'AD&S, ma nella società nel suo complesso. L'integrazione tra il digitale e le infrastrutture spaziali, in particolare, offre nuove possibilità: la rete integrata di satelliti permette la raccolta di dati che – grazie alla loro rielaborazione attraverso l'Intelligenza Artificiale – consentono di formulare analisi predittive molto puntuali e utili per numerose applicazioni: dal monitoraggio delle infrastrutture critiche (centrali e impianti industriali, reti energetiche e di trasporto) all'ottimizzazione delle attività agricole, dal controllo del traffico aereo e automobilistico fino alla prevenzione e gestione delle emergenze, come incendi, fenomeni metereologici estremi e crisi sanitarie localizzate. La Commissione Europea ha lanciato l'ambizioso progetto Destination Earth - a supporto della sua agenda verde e digitale - per creare un digital twin integrale del nostro pianeta, in modo da studiare l'evoluzione climatica della terra e gli effetti dell'antropizzazione sull'ambiente. Solo investendo nelle nuove tecnologie l'Europa preserverà l'autonomia strategicaUna strategia strutturata per una transizione digitale rapida e sicura rappresenta un elemento essenziale per favorire la competitività delle nostre aziende, a livello nazionale ed internazionale, e garantire in questo modo un presidio efficace della sovranità tecnologica europea. Solo investendo nelle nuove tecnologie strategiche il continente potrà preservare la propria autonomia strategica, per fronteggiare le crisi e le minacce di un mondo sempre più incerto. La transizione digitale rappresenta la via maestra da cui passa il rilancio del Paese. Per assicurarsi un futuro di sviluppo e crescita, l'Italia dovrà – e siamo sicuri saprà – imboccarla con decisione: ne va del futuro delle nuove generazioni, principali eredi del mondo digitale che sapremo costruire insieme a loro.   *Amministratore Delegato di Leonardo SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 23/7/2021

23 Luglio 2021

«Università chiave per tutelare le competenze con l’avvento dell’Ai»

Davanti alla sfida etica, politica ed economica che si profila, il punto di padre Benanti, professore di Teologia morale e bioetica, tra gli esperti Mise per l'Ai Intelligenza artificiale, paradossalmente, impatterà prima sui colletti bianchi, non sui colletti blu. Ci sarà una trasformazione molto forte che toccherà tutta la società, soprattutto la classe media, che va gestita a livello politico ed economico. Ci potranno essere modelli diversi, a seconda che l'innovazione nasca nei Paesi democratici o autoritari, con il rischio di una nuova "cortina di ferro" , dove le basi non sono quelle missilistiche ma i data center. In questo contesto servono delle alleanze, e l'università ha un ruolo chiave, diventa «piazza aperta alle competenze» . Padre Paolo Benanti, professore di Teologia morale e bioetica alla Pontificia Università Gregoriana, tra i maggiori esperti di etica, bioetica e intelligenza artificiale, disegna, in un colloquio con DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore e della Luiss Business School) gli scenari e le sfide che il mondo dovrà affrontare con l'avvento dell'Intelligenza artificiale. I primi lavoratori a essere impattati sono i colletti bianchi, non quelli blu «La macchina cibernetica che sta alla base dell'Intelligenza artificiale, non prende solo il posto dell'esecuzione meccanica, come diceva Marx, per la macchina industriale, ma sottrae al lavoratore, oltre alla fatica, la capacità di fare quel tipo di lavoro. Questo è l'orizzonte della sfida che le Ai presentano. Le Ai, cioè, diventano performanti, acquisendo il know how del lavoratore stesso, correggendolo e trasformandolo. Conseguentemente tutta una serie di lavori può essere surrogata dalla macchina». Ma quali sono i lavori maggiormente a rischio? «Bisogna ricordare – afferma Benanti che ha fatto parte della task force Intelligenza Artificiale per coadiuvare l'Agenzia per l'Italia digitale ed è stato selezionato dal Mise nel gruppo di esperti per elaborare la strategia sull'intelligenza artificiale e la blockchain - che c'è il paradosso di Moravec: per la macchina è più facile compiere processi cognitivi alti che non bassi. Ad esempio, una piccola calcolatrice solare da pochi centesimi fa un'equazione cubica, per aprire una porta serve una mano robotica da 700mila euro. Un bambino apre la maniglia della porta a tre anni, ma deve arrivare almeno in terza media per fare la radice cubica. Questo per dire che i primi lavori a essere automatizzati non saranno i colletti blu, ma i colletti bianchi che hanno a che fare con dati e informazioni. Per la prima volta la trasformazione potrebbe toccare la middle class L'impatto per la prima volta nella storia toccherà la middle class, la classe media che fornisce la base di quella forma di società che conosciamo e che potremmo chiamare borghese. Ci sarà quindi una grande trasformazione, e questa necessità di cambiamento fa sì che i commentatori dell'impatto dell'Ai si dividano in due: per i tecno-fobici ci sarà un collasso della società, per i tecno-ottimisti la società non potrà che migliorare».Secondo Benanti, invece, è da privilegiare lo scenario realistico che comporta un'esigenza di governare le sfide. «Dobbiamo considerare che viviamo in condizione di equilibrio che possiamo definire A, alla fine di questa trasformazione arriveremo a una condizione di equilibrio B. La vera sfida consiste nella curva con cui ci sposteremo da A a B. Se la curva dovesse essere troppo rigida l'impatto sociale potrebbe essere troppo forte. Se la curva dovesse scendere troppo lentamente il contesto di competizione internazionale potrebbe far sì che i sistemi che non si adeguano soccombono. Di fronte a una sfida da governare dal punto di vista politico ed economico Si tratta di una sfida da governare che non è solo tecnologica, ma, in prima istanza, è politica ed economica. Anche il contesto in cui si genera la soluzione tecnologica ne indirizza l'esito. Come emerso al G7, soluzioni che vengono da Paesi autoritari tenderanno a essere autoritarie, soluzioni da Paesi di matrice più democratica tenderanno a mettere in piedi strutture più democratiche». Come per tutte le sfide servono quindi piani, strategie e poi «occorre lavorare come sistema Paese, Europa, a seconda di come lo vogliamo declinare. In base a come imposteremo il problema ci saranno più soluzioni possibili. Dove più si coopera per creare un contesto complesso, dove più competenze collaborano, avremo più soluzioni possibili. A mio parere quello che siamo chiamati a fare è creare una società definita dalle tre lettere Mhc (meaningful human control), ovvero mantenere una società dove l'uomo abbia un controllo significativo».In questo scenario se c'è un posto che diventa sempre più strategico, conclude Benanti, è «l'università, intesa come piazza aperta alle competenze. Più si automatizza la società e più il ruolo degli uomini diventa fondamentale, e i ruoli di addestramento e formazione degli uomini diventano necessari. La formazione è, quindi, la chiave». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 23/7/2021

23 Luglio 2021

«Ai nei call center per comunicare meglio, troppa automazione controproducente»

Parla Cecilia Braggiotti di Afiniti, società statunitense che ha creato il software per trovare la persona più "affine" dall'altra parte della chiamata  L'intelligenza artificiale nel mondo dei call center, dove sono necessarie sempre nuove competenze, non sostituirà gli uomini. E la ragione è anche economica: «Il ritorno dell'investimento nelle interazioni umane è di gran lunga maggiore del ritorno dell'investimento nelle interazioni con le macchine. In poche parole: gli umani preferiscono ancora parlare con gli umani». Lo spiega la vice president senior global head of growth & healthcare della statunitense Afiniti e già general manager di Afiniti Italia, Cecilia Braggiotti, a Digiteconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School). La statunitense Afiniti, società creata dall'imprenditore pachistano Zia Chishti, ha creato  un software capace di trovare, durante la chiamata al call center, la persona più "affine", quella che meglio si combina con  le aspettative di chi è del cliente. Un sistema che ha creato qualche preoccupazione tra sindacati e lavoratori italiani. «La realtà - dice Braggiotti - è che non siamo più vicini alla comprensione dell'intelligenza umana di quanto non fossimo 40 anni fa». E chi ha spinto troppo sui sistemi di automazione «ha poi dovuto fare i conti con la soddisfazione dei propri clienti». Il timore, usando il software di Afiniti, è che ci siano lavoratori scarsamente adoperati e valorizzati. Si corre questo rischio? No, direi proprio il contrario. Afiniti aiuta le persone a comunicare meglio attraverso l'Intelligenza artificiale. La nostra Intelligenza Artificiale analizza un insieme di fattori e connette le persone in base alle loro affinità; Afiniti abbina un cliente e un operatore in modo da ottimizzare l'interazione tra i due. L'abbinamento aumenta le possibilità di esito positivo della chiamata, sia per il cliente che per l'azienda. Così facendo, forniamo un miglior servizio al cliente, un'esperienza migliore all'operatore e infine un incremento del fatturato all'azienda. Tutto ciò senza modificare i carichi di lavoro sui singoli operatori, reclutamento, formazione, valutazione o processi di assegnazione. Il mondo dei call center è oggi in grande cambiamento: nel lungo periodo si teme che possa essere interamente o quasi sostituito da sistemi di Intelligenza artificiale. È un orizzonte a cui ci dobbiamo preparare? C'è molto clamore sull'intelligenza artificiale, ma la realtà è che non siamo più vicini alla comprensione dell'intelligenza umana di quanto lo fossimo 40 anni fa. I computer sono sempre più veloci, ma non hanno le capacità decisionali, semantiche o emotive degli esseri umani. Sicuramente alcuni player stanno cercando di automatizzare diversi processi sostituendo l'attività degli operatori. Tuttavia queste automazioni non sono sempre efficaci. In particolare, nel mondo dei call center, abbiamo notato che chi ha spinto troppo sull'automazione ha poi dovuto fare i conti con la soddisfazione dei clienti. Il ritorno dell'investimento nelle interazioni umane è di gran lunga maggiore del ritorno dell'investimento nelle interazioni con le macchine. In poche parole: gli umani preferiscono ancora parlare con gli umani. I lavoratori dei call center dovranno avere sempre maggiori e diverse competenze? La figura dei lavoratori di call center si sta sempre più specializzando e le professionalità stanno crescendo rispetto al passato. L'innovazione tecnologica e l'avvento della multi-canalità rendono necessarie nuove competenze sia in termini tecnologici sia di comunicazione. Il settore dei call center sta crescendo così come le professionalità stanno evolvendo più velocemente che mai: l'intelligenza artificiale è uno strumento molto importante in questa evoluzione. A quali nuovi prodotti state lavorando e quali differenze principali intravede tra il mondo dei call center in Italia e negli Usa? Ad oggi, la nostra intelligenza artificiale è utilizzata da grandi organizzazioni operanti in settori diversi come le telecomunicazioni, utilities, banche, assicurazioni, e l'assistenza sanitaria. Stiamo sviluppando alcuni nuovi prodotti e applicazioni della nostra tecnologia, che possono essere utilizzati ovunque sia utile creare un "pair" migliore: app mobile, chat bot, videoconferenze o anche punti vendita retail. Le differenze principali tra il mondo dei call center in Italia e negli Usa sono guidate da fattori di scala e da una regolamentazione e incentivazione differente. Stiamo avendo un grande successo negli Stati Uniti e usiamo la loro esperienza per guidare la nostra crescita in Italia. Sul tema della scalabilità stiamo investendo molto al fine di portare il nostro valore non solo ai grandi call center con decine di migliaia di agenti, ma anche alle piccole e medie aziende. Inoltre i nuovi sviluppi, con l'inesorabile crescita dei canali digitali, sono costantemente mirati alla multi-canalità. L'obiettivo che accomuna i due mercati è utilizzare la potenzialità dell'intelligenza artificiale per aiutare le aziende ad avere clienti più soddisfatti e aumentare la loro fidelizzazione. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 23/7/2021

20 Luglio 2021

La trasformazione digitale nelle organizzazioni pubbliche e private

In partenza il nuovo corso per la formazione dei Responsabili per la Transizione al Digitale Con il profilarsi del PNRR - Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza nell’ambito del programma Next Generation EU - NGEU e dei fondi della programmazione 2021-2027 nel quadro del Decennio Digitale Europeo saranno disponibili nei prossimi mesi risorse per finanziare e accelerare la transizione digitale delle imprese e della pubblica amministrazione. È un periodo epocale per quanto riguarda le risorse per l’ammodernamento delle organizzazioni pubbliche e private e per l’attuazione dell’Agenda Digitale Europea con oltre 1.800 miliardi di euro a livello EU, configurandosi come il più ricco set di interventi mai finanziato dal bilancio dell’Unione Europea. Nello specifico grazie al PNRR saranno disponibili oltre 40 miliardi di euro per la transizione digitale, destinati prevalentemente a pianificare e realizzare progetti concreti per ammodernare la PA e le imprese, trasferire efficacemente ai vari livelli competenze manageriali e digitali, migliorare il sistema educativo, sviluppare un’efficace sanità digitale e supportare le realtà che investiranno nel digitale. Diventerà indispensabile poter mappare i fabbisogni, introdurre importanti innovazioni di processo nelle organizzazioni, identificare le più idonee dotazioni materiali e immateriali, garantire il necessario supporto specialistico all’attuazione concreta dei progetti, con attenzione particolare al tema della digitalizzazione e dell’innovazione dei processi lavorativi e operativi. Fondamentale quindi il ruolo del Responsabile per la Transizione al Digitale, nuova figura professionale che diventerà il “driver” per stimolare il cambiamento, avviare processi di trasformazione digitale e fungere da facilitatore con un ruolo trasversale tra le varie funzioni e dipartimenti coinvolti di un’organizzazione. Un’occasione da non perdere per vincere la sfida della modernizzazione delle realtà pubbliche e private e consegnare alle future generazioni un’Italia più inclusiva, efficiente, produttiva e coesa. Le organizzazioni “tradizionali” stanno affrontando o si accingono ad affrontare un percorso di trasformazione digitale, purtroppo spesso prive di tecnologie adeguate, di competenze specifiche in termini di innovazione di processo e figure professionali affidabili e competenti.  La nuova edizione dell’Executive Programme il Responsabile per la Transizione al Digitale e della Conservazione Documentale – RTD mira a fornire le necessarie competenze giuridiche, organizzative e tecnologiche in base alla normativa più recente nell’ambito dell’Ufficio per la Transizione al Digitale o del Sistema di Gestione e Conservazione Documentale. Tale corso è rivolto a responsabili di aziende e amministrazioni pubbliche, professionisti, dirigenti, quadri e funzionari che all’interno di una organizzazione partecipano al processo di trasformazione digitale o di gestione e dematerializzazione dei documenti sia attraverso attività sviluppate internamente che in outsourcing. Si formerà così una figura in grado di svolgere un ruolo aziendale particolarmente delicato: adeguare i modelli di business e trasferire le competenze necessarie per adottare nella propria organizzazione, efficaci sistemi di gestione documentale e rispettare anche le nuove disposizioni legislative. L’Executive Programme si sviluppa in 10 incontri e si svolge in modalità blended (on campus e online) per un totale di 36 ore complessive di formazione d’aula. Il corso diretto dal Prof. Nunzio Casalino sarà tenuto da docenti universitari, esperti pubblici e consulenti in materia di trasformazione digitale e nell’ambito dei settori dei processi di gestione documentale e dematerializzazione, della semplificazione amministrativa, della progettazione di servizi online, dell’organizzazione aziendale e della gestione innovativa delle risorse umane, della riorganizzazione degli archivi e conservazione, dei metodi e sistemi di classificazione dei documenti digitali. SCOPRI DI PIÙ 20/07/2021

10 Luglio 2021

«Videosorveglianza nei parchi archeologici e ospedale 4.0: puntiamo sul 5G»

Parla Giovanni Casto, Presidente di Softlab spa, a DigitEconomy.24, report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School Un sistema di sorveglianza in un parco archeologico che consentirà attraverso il 5G di monitorare gli accessi e controllare da remoto edifici e aree verdi. È  una delle applicazioni a cui lavora, come system integrator SoftLab spa, assieme a un operatore di tlc che fornirà la connessione e a un fornitore internazionale che metterà le macchinette Cpe,i dispositivi per collegarsi e far funzionare l'applicazione. In futuro si potrà prevedere anche la possibilità di un riconoscimento facciale e consentire così gli accessi ai dipendenti, anche senza l'utilizzo di un badge. Softlab spa, peraltro, è stata una dei protagonisti di un'operazione di ‘reverse merger' tra le prime in Italia. In particolare il gruppo Softlab ha conferito un ramo d'azienda (Tech Rain) all'interno di Acotel, società  quotata in Borsa attiva in settori come il digital entertainment, e ha acquisito la maggioranza della quotata che ha cambiato nome, da Acotel a SoftLab spa. «Crediamo molto nelle potenzialità delle reti 5G, focus sui casi d'uso» Ora la società, spiega il presidente Casto a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) «crede molto nelle potenzialità delle reti 5G e si è già da tempo focalizzata in un percorso di specializzazione e generazione di casi d'uso in grado di massimizzare i benefici introdotti dalla tecnologia, come fattore abilitante, grazie alla garanzia di bassa latenza e banda larga. Le competenze ed esperienze maturate in ambito 5G sono trasversali alla consulenza di business, alla system integrator per la realizzazione di software dedicati ai singoli casi d'uso e al disegno e gestione delle infrastrutturale». L'approccio utilizzato «consente di collaborare con i vendor produttori di apparati, tra cui i produttori di Cpe, dispositivi contenenti la Sim card in grado di collegarsi alla rete mobile in modo del tutto analogo a quanto avviene con uno smartphone che diventano abilitanti nell'ambito del Fwa, la tecnologia che consente di portare connettività dove non c'è la fibra, con prestazioni rilevanti». Inoltre, aggiunge Casto, Softlab ha «rapporti con noti operatori Tlc, in particolare con una realtà internazionale specializzata in dispositivi e sistemi di telecomunicazione che già utilizza, nell'ambito del piano di deploy delle reti di quinta generazione, Cpe 5G e con una multinazionale di telefonia cellulare e fissa, con cui stiamo studiano strategie ed architetture per l'utilizzo delle reti 5G e del Fwa in ambito videosorveglianza». Dal monitoraggio dei parametri vitali  agli apparati indossabili In ambito healthcare, tramite, il partner Aditech, il gruppo collabora alla proposizione di una piattaforma di Telemedicina ADilife, con molteplici funzioni di utilizzo che vanno dal monitoraggio di parametri vitali tramite l'utilizzo di apparati biomedicali indossabili e wireless, alla prevenzione con il controllo di eventuali parametri di soglia o di riferimento, alla condivisione di pareri medici tra professionisti o di video collaborazione con la messa in comune di immagini medicali fino alla televisita». Tra le funzionalità principali rientrano: gestione cronicità, gestione organizzazione attività televisita, diario clinico, gestione piano nutrizionale, gestione piano diagnostico terapeutico, segnalazione reazioni avverse. Insomma, una sorta di ospedale 4.0, che di fatto è una realtà virtuale e che consente di avere professionisti qualificati a domicilio a costi certi, per risolvere ogni tipo di necessità. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 10/7/2021