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23 Aprile 2021

«La sostenibilità è un must per volare. AdR accelera la trasformazione zero carbon»

L'amministratore delegato di Aeroporti di Roma, Marco Troncone, ne parla a SustainEconomy.24, report deIl Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School La sostenibilità per il settore aereo è ormai un ‘must do'; perché, se oggi non si vola per i rischi sanitari, domani potrebbe volare solo chi non presenta rischi ambientali. Marco Troncone, amministratore delegato di Aeroporti di Roma parla a SustainEconomy.24, report deIl Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School, dei progetti della società di gestione degli scali romani che accelera la trasformazione e, in modo deciso, anticipa al 2030 il target di zero emissioni di C02, guardando a fotovoltaico, colonnine elettriche, biocarburanti ma anche ricorrendo a strumenti di finanza sostenibile. Dopo la pandemia, il 2021 può essere l'anno del cambio di passo. La voglia di volare c'è, dice, e ci sono le condizioni per una mobilità sicura ma meno limitata. Come si concilia la sostenibilità con il comparto del trasporto aereo? «Ormai siamo passati ad una fase di integrazione della sostenibilità in ogni processo aziendale. Se fino a ieri era un ‘nice to have', cioè era bene farlo ma non indispensabile, ora invece è un "must do": oggi non si può più volare se non si ragiona in un'ottica di sostenibilità perché, superata l'attuale fase di emergenza sanitaria, la minaccia di rischi ambientali avrà potenzialmente le stesse proporzioni. In altre parole, domani opererà e potrà volare solo chi non presenterà rischi ambientali mentre gli altri si porranno fuori mercato. Sembra uno scenario esagerato ma sarà così e le politiche, sia a livello europeo che nazionale, puntano in questa direzione. Pur riconoscendo che parliamo di un settore che ha una significativa impronta ambientale, la risposta non può essere non volare, ma rimboccarsi le maniche per rendere il trasporto aereo più sostenibile: si può fare». Di fronte a questa esigenza qual è l'impegno di AdR? «C'è stata un'accelerazione profonda nell'ultimo anno e abbiamo deciso di approfittare del momento drammatico della pandemia per favorire la trasformazione sostenibile dei nostri aeroporti. Dopo aver affrontato l'emergenza sanitaria, rendendo gli scali tra i più sicuri al mondo, ora vogliamo pensare, avendo le spalle larghe, ad una trasformazione della società. Fermo restando il focus sull'eccellenza dei servizi e sulla sicurezza dei nostri scali, premiati da tanti riconoscimenti internazionali, abbiamo deciso di trasformarci accelerando lungo le due grandi direttrici strategiche dell'Innovazione – per un aeroporto ancora più moderno e strutturato - e della Sostenibilità». E come pensate di accelerare il percorso? «Il comparto europeo, anche attraverso Airports Council International Europe, l'organizzazione internazionale che raggruppa i principali scali e di cui facciamo parte, si è dato l'obiettivo di azzerare le emissioni di gas serra al 2050, obiettivo coerente con l'Accordo di Parigi. Noi non solo confermiamo questo target ma, nonostante la crisi, abbiamo deciso di anticiparlo al 2030, in largo anticipo rispetto ai riferimenti europei di settore. Siamo già carbon neutral dal 2013 (le nostre emissioni sono compensate dall'acquisto di certificati verdi) ma l'obiettivo è appunto azzerarle entro il 2030. Lo abbiamo annunciato alla fine dello scorso anno e oggi lo confermiamo». Negli scali romani, Fiumicino e Ciampino, che gestite, come pensate di raggiungere questi target? «Lavorando in prima battuta sull'evoluzione e trasformazione delle fonti di generazione elettrica. Abbiamo una centrale di cogenerazione in aeroporto che brucia metano e che prevediamo di smantellare e sostituire con due parchi fotovoltaici, ciascuno da 30 MW per un investimento importante di circa 50 milioni di euro che ci permetteranno di generare energia verde necessaria al nostro fabbisogno. Eviteremo poi di produrre CO2 dai nostri veicoli e trasformeremo tutta la flotta, realizzando una rete di distribuzione di ricarica. Saranno investimenti importanti. E accompagneremo questi sforzi anche con un programma di riduzione delle emissioni degli altri soggetti che gravitano intorno agli aeroporti, dagli aerei al sistema di accesso. Ci siamo dati l'obiettivo di abbattere del 10% le emissioni di Co2 derivanti dall'accessibilità agli scali, favorendo la mobilità con i veicoli elettrici, con apposite offerte per i parcheggi e favorendo l'utilizzo del treno: prevediamo un'espansione del 60% della stazione in aeroporto». Quanto agli aerei, invece. È pensabile un futuro green? «Sul fronte delle emissioni degli aeromobili la partita è più complessa ma va affrontata. Due sono i fronti. Uno, più futuribile, è quello dell'idrogeno. C'è tanta ricerca, da parte di Boeing o Airbus, per realizzare motori ad idrogeno ma non è facile. L'impatto strutturale sui velivoli sarà notevole e i progetti non sono ancora maturi. Qualcosa può succedere ma non nei prossimi 15 anni. A medio termine, invece, una strada non particolarmente rivoluzionaria è quello dei sustainable aviation fuel, i biocarburanti, che sono più a portata di mano, non necessitano di grandi cambiamenti nella rete di distribuzione ma adattamenti che, come AdR, ci impegniamo a fare entro il 2024. Soprattutto, è qualcosa che può essere fatto progressivamente perché i motori restano gli stessi e si può introdurre gradualmente una quota di biocarburante nel jet fuel tradizionale. Il problema al momento è che non ce ne è una grande disponibilità e il costo è ancora proibitivo per una dotazione complessiva. Ma ora siamo in fase iniziale, poi ci sarà un periodo di trasformazione della produzione industriale e di abbattimento dei costi unitari. Guardiamo avanti e riteniamo che questa strada sarà quella che nei prossimi 10 anni potrà prendere piede».Voi avete anche scelto di emettere dei green bond. Sono strumenti cui continuerete a guardare?«Sicuramente sì e fa parte di una strategia che avrà un seguito. Proprio perché la sostenibilità non è più uno slogan deve diventare parte integrante dei processi di business. In questo contesto vogliamo reperire risorse finanziarie green da utilizzare per iniziative sostenibili. Un primo progetto di green financing è stato varato a novembre scorso, con grande successo e abbiamo deciso di proseguire ma il green bond non sarà l'unico strumento; ci sono fronti anche più creativi e innovativi che possono essere utilizzati, altri tipi di obbligazioni che abbiamo studiato a fondo con spirito innovativo. Come vede il 2021 di AdR. Ci sarà la ripresa? «Sarà l'anno del cambio di passo ma resta un punto interrogativo se la ripresa sarà visibile e materiale già dalla prossima stagione estiva». Cosa serve perché la ripresa sia soddisfacente almeno come primo punto di ripartenza? «Dipenderà dall'effettiva ripresa della domanda del traffico e su questo siamo più ottimisti: pensiamo che la fiducia dei passeggeri e la voglia di volare ci sia tutta. Naturalmente ci sarà ancora di più se la campagna vaccinale accelererà ma riteniamo che ci siano dei positivi segnali, basta guardare gli Usa dove la campagna vaccinale è più avanzata e il traffico aereo sta riprendendo. Poi c'è un secondo elemento e riguarda la libertà di movimento. Su questo punto vogliamo essere propositivi e abbiamo avviato un dialogo costante con il Governo. Le condizioni per una mobilità più sicura e meno limitata ci sono; c'è la possibilità di viaggiare in sicurezza– e lo abbiamo già sperimentato a Fiumicino con ottimi risultati- attraverso i voli Covid Tested che prevendono un controllo su tutti i passeggeri prima della partenza al posto della quarantena fiduciaria. Questa procedura di viaggio, che ha portato il rischio di importazione del contagio a livelli residuali, andrebbe diffusa come policy nazionale a sostegno della ripresa economica e della competitività del nostro Paese: intorno a noi Paesi come Grecia e Spagna hanno già fissato date precise per le riaperture e l'Italia rischia di essere scavalcata». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 23/4/2021

23 Aprile 2021

Il presidente della neonata ConfMobility racconta la vision e parla di scelte non più procrastinabili per il Paese a SustainEconomy.24, report di Luiss Business School e Il Sole 24 Ore Radiocor

Affiancare le imprese nel percorso complesso della mobilità sostenibile. Per questo è nata ConfMobility, un'associazione che può contare su un network di 4mila imprese del settore del trasporto, logistica e industriale su tutto il territorio nazionale. Il presidente Roberto Verano a SustainEconomy.24, report di Luiss Business School e Il Sole 24 Ore Radiocor, lancia un appello: «alcune scelte non sono più procrastinabili e ne va della competitività del Paese» Perché nasce Confmobility? «Nasce fondamentalmente per affiancare le imprese in questo percorso tortuoso e complesso della mobilità sostenibile, un percorso tracciato dall'agenda europea. Le aziende hanno bisogno di essere affiancate e supportate e questo partendo dal posizionamento sul mercato affinché questa transizione possa essere quantomeno non tutto un onere sulle loro spalle perché in questo momento ci sono già problemi di sostenibilità economica. E, poi, perché veramente possa essere un'occasione per essere più competitivi facendo un ragionamento non di categoria ma di processo. Di qui l'approccio trasversale dove noi avviciniamo chi produce, chi vende, chi distribuisce la mobilità sostenibile». Quali sono la mission e gli obiettivi che vi ponete? «Sulla vision e progetti, proprio perché non abbiamo un mandato di una categoria vogliamo essere molto pratici partendo dalle esigenze del mercato e, quindi, stiamo lanciando una serie di progetti concreti che vanno dal welfare in ottica di mobilità al Mobility management ai temi dell'intermodalità sostenibile. Progetti concreti, non politici e non di rappresentanza sindacale, perché lo lasciamo fare alle associazioni di categoria già presenti sul mercato». Tracciando un quadro della mobilità sostenibile, in Italia a che punto siamo e che cosa si aspetta? «È innegabile che siamo in ritardo come sistema Paese. Innanzitutto, c'è una questione culturale: non abbiamo quel senso ambientale e del green che c'è in altri Paesi d'Europa. Poi siamo uno dei paesi più motorizzati in Europa ma con il parco veicolare più vecchio e sostanzialmente fatichiamo a introdurre elementi di innovazione tecnologica green ed è difficile far decollare i progetti sulla mobilità sostenibile perché ci sono resistenze culturali e anche di competenze su quello che è la trasformazione digitale. Poi siamo un Paese molto frammentato e questo non lo scopriamo oggi con delle grandi complessità e, ovviamente, quella che potrebbe essere la spinta di investitori esteri per accedere a certi percorsi viene meno perché sappiamo che il nostro Paese è una giungla dal punto di vista burocratico. C'è veramente tanto da fare e siamo fiduciosi che questo nuovo ministero della Transizione ecologica possa veramente sfruttare al meglio le risorse del Recovery Fund per mettere direttamente in opera alcuni investimenti sulle infrastrutture legate all'intermodalità dove si può in tempi brevi ed essere molto più efficienti». Quindi l'auspicio è che effettivamente questa volta, anche con la spinta magari del Recovery Plan, ci possa essere un cambio di passo? «Più che auspicio è l'ultimo appello, alcune scelte non sono più procrastinabili e ne va della competitività del Paese e, quindi, in questo momento c'è solo da agire e poco da tergiversare». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 23/4/2021

09 Aprile 2021

Nano-Tech: «Tassi a doppia cifra per i mercati delle nanotecnologie. Il futuro è dei bio-materiali»

L'amministratore delegato della società marchigiana, Giuseppe Galimberti, ne parla a SustainEconomy.24 Dalla Carbon Valley, nelle Marche, si lavora a produrre materiali bio e multifunzionali innovativi per l'industria, soprattutto nei settori automotive, dalla Formula1 ai veicoli elettrici, e nell'aerospazio. Giuseppe Galimberti, amministratore delegato di Nano-Tech racconta a SustainEconomy.24, report di Luiss Business School e il Sole 24 Ore Radiocor, l'esperienza e i progetti della pmi innovativa in un mercato che offre opportunità enormi con tassi di crescita a doppia cifra. E non esclude la quotazione. Dalla Carbon Valley un distributore di materiali innovativi per l'industria. Parliamo di Nano-Tech e del vostro progetto. Come è nato e quali sono i vostri obiettivi? «È nato dalla passione di giovani ingegneri e dalla visione di un business angel. Entrambi hanno da subito intravisto le enormi possibilità che i nuovi materiali e l'uso di nanotecnologie avrebbero avuto già nel futuro più prossimo. La scelta di produrre materiali nella Carbon Valley è stata in parte casuale e in parte favorita dall'esistenza di un vero e proprio distretto della lavorazione del carbonio e dei materiali compositi». Che opportunità offre il mercato delle nanotecnologie e quali sono i settori cui vi rivolgete? «Le possibilità sono enormi, perché le nanotecnologie si possono applicare a qualsiasi settore. Il futuro è dei materiali multifunzionali, ovvero in grado di assolvere più funzioni contemporaneamente e questo con le nanotecnologie è diventato possibile. Le previsioni per i prossimi cinque anni parlano di mercati miliardari e con tassi di crescita a doppia cifra: è previsto che i cinque settori di riferimento per lo sviluppo degli attuali prodotti di Nano-Tech raggiungano un turnover di 71 miliardi quest'anno e, nello specifico per il mercato dei nano compositi è prevista una crescita (Cagr) del 16% all'anno. Nano-Tech si rivolge in particolare al settore automotive, dove abbiamo già consolidate collaborazioni con la F1 e produttori di veicoli di alta gamma, anche elettrici e al settore aerospaziale, dove i materiali richiedono appunto performance di alto livello». Avete messo a punto anche progetti per la realizzazione di bio-materiali. Ce ne parla? «Fin dall'inizio Nano-Tech ha avuto particolare attenzione ai temi della sostenibilità. Molti dei materiali prodotti hanno come caratteristica la leggerezza, per consentire la realizzazione di veicoli o aerei meno inquinanti. I bio materiali sono però la grande sfida del futuro e quella sulla quale Nano-Tech sta puntando. A partire dall'utilizzo di fibre naturali come rinforzante di materiali compositi fino alla realizzazione di polimeri bio. In questo senso vanno viste alcune iniziative con Università e centri di ricerca, anche internazionali». Guardando al futuro, qual è il vostro piano di sviluppo in numeri? E nel futuro potrà esserci anche la quotazione? «Il completamento di un impianto di produzione all'avanguardia nell'ultimo quarto del 2020 ha consentito, oltre che di internalizzare molti processi produttivi, di completare lo sviluppo di nuovi prodotti e di aggredire il mercato con più efficacia. In pochi mesi abbiamo acquisito commesse e programmi di produzione in un percorso che siamo soliti definire "Fast Track to Profitability", cioè la veloce adozione dei nostri materiali grazie alle migliori performance. Lo sviluppo però è continuo e il piano quinquennale di Nano-Tech, grazie ad una marginalità elevata, prevede di raggiungere un ebitda di 5 milioni al 2025 e non esclude una eventuale quotazione». Nano-Tech ha anche partecipato al progetto della Regione Marche con l'obiettivo di creare un hub tecnologico Regionale in grado di sviluppare nuove tecnologie applicate al settore della manifattura sostenibile. A che punto siamo? «È il progetto MARLIC, che prevede lo sviluppo di una piattaforma tecnologica di ricerca collaborativa nell'ambito della manifattura sostenibile, con l'obiettivo di riusare e riciclare i materiali compositi. La piattaforma prevede la creazione di un laboratorio, due progetti di ricerca, un progetto di trasferimento tecnologico e un'azione di diffusione dei risultati individuati e permetterà di realizzare iniziative strategiche per l'acquisizione e la sperimentazione di nuove conoscenze in un settore chiave come quello dei compositi di derivazione Bio. In particolare, il primo progetto consiste nella messa a punto di biomateriali e materiali avanzati misti attraverso lo studio e la creazione di nuove materie prime e/o seconde di derivazione naturale o di riuso. Nel secondo progetto si svilupperà invece un approccio di de-manufacturing in ottica di economia circolare secondo le regole delle 4R (Ridurre, Riutilizzare, Riciclare, Recuperare)». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 9/4/2021

09 Aprile 2021

LVenture: «Italia ora più competitiva per le startup. Quest’anno lanciamo un acceleratore green»

Il ceo Luigi Capello traccia un quadro a SustainEconomy.24, report di Luiss Business School e Il Sole 24 Ore Radiocor Il venture capital sfiora numeri record in tutto il mondo e anche in Italia, dopo la frenata della prima parte del 2020. La spinta viene da nuovi settori, complice il cambio di abitudini dovuto alla pandemia: il food delivery, l'e-commerce e la sostenibilità. Luigi Capello, ceo di LVenture Group, holding di partecipazioni che investe in startup digitali e ne accelera il processo di sviluppo attraverso l'acceleratore LUISS EnLabs, parla a SustainEconomy.24, report di Luiss Business School e Il Sole 24 Ore Radiocor, di un'Italia ora più competitiva per le startup e di una grande attenzione ai temi della sostenibilità. Ma anche dei progetti futuri della società, che vede segnali positivi per il 2021 e annuncia il lancio di un acceleratore proprio in ambito green. Come sta andando il mondo delle startup? «Ho guardato i numeri di marzo e siamo a livelli record in tutto il mondo, nel venture capital a livello mondo sono stati investiti 40 miliardi di dollari solo nel mese di gennaio e, a livello Italia, i primi due mesi del 2021 registrano un +50% sui primi due mesi del 2020. Quindi il venture capital è un mercato che sta andando particolarmente bene». Come è cambiato il mercato e cosa sta spingendo la ripresa? «Abbiamo vissuto un 2020 in cui il venture capital ha avuto una frenata improvvisa e non ci sono stati round nei mesi di marzo ed aprile ma, poi, la pandemia ha fatto cambiare le abitudini ad ognuno di noi. Innanzitutto, del consumatore che è stato forzato ad un cambiamento quantico: con il food delivery abbiamo ordinato la cena a domicilio, la spesa ci è arrivata a casa, abbiamo scelto l'e-commerce e le app per i pagamenti. Secondo, le corporate che si sono rese conto che se non avessero cavalcato l'innovazione probabilmente non avrebbero retto all'impatto; di qui un grande interesse all'innovazione e alla ricerca di nuovi modelli di business, anche da parte della piccola azienda online che all'improvviso doveva sviluppare l'e-commerce. E, infine, il mercato venture capital e le risorse finanziarie del programma da 1,6 miliardi di Cdp, avviato a inizio 2020 ed entrato nel vivo. Queste tre novità hanno spinto nel secondo semestre del 2020 il venture capital che ha potuto recuperare i livelli del 2019. Una spinta che continua nel 2021 ed anzi è in fase di accelerazione». Dal punto di vista di LVenture ravvisa interesse per i temi della sostenibilità? «La sostenibilità è una mission per noi fondamentale cui diamo molta attenzione, ma abbiamo anche una serie di startup che hanno impatto sul tema. Ricordo, tra le altre MyFoody, una startup che fa promozione nei supermercati per i cibi in scadenza, con sistemi per comunicare al pubblico come comprarli a sconto, oppure Deesup, il marketplace del design e arredi di seconda mano che ha creato un mercato di sostenibilità e recupero e, ancora, Shampora che permette di creare prodotti per capelli su misura just in time, senza magazzino e utilizza packaging riciclato». Quali sono i vantaggi per una startup ora in Italia e cosa, invece, dovrebbe cambiare? «Prima eravamo un po' penalizzati, se pensiamo a quante volte si leggeva di ragazzi che andavano a Londra a creare una startup. Oggi quantomeno siamo competitivi, si è creato un humus positivo per cui non partiamo con handicap, siamo competitivi nei round iniziali e i soldi si trovano. Certo se mi dici che deveessere fatto un round da 300 milioni non so se in Italia è stato fatto negli ultimi anni. Per partire siamo competitivi. Cosa si deve fare? Le richieste sono sempre le stesse: rendere più fluenti le operazioni e sburocratizzare al massimo la filiera delle norme che si sono ossidate anno su anno. Quelle sulle startup sono nate nel 2012 e poi se ne sono susseguite tante altre, servirebbe una sintesi di queste norme fatta in modo pratico-operativo». Parliamo della società. Dopo il 2020 cosa vede nel 2021 di LVenture? «Il 2020 ha avuto un primo semestre difficile ma nel secondo abbiamo visto un recupero e abbiamo chiuso in termini di ricavi come l'anno precedente, a livello di ebitda e risultato netto rettificato siamo stati positivi e quindi direi siamo andati molto bene. Per il 2021 ci aspettiamo grandi cose, è passato già un trimestre e vediamo segni positivi: c'è un flusso di capitali che sta arrivando in maniera importante e ci aspettiamo importanti operazioni nelle nostre startup e, nella seconda parte dell'anno, interessanti opportunità di exit. I progetti principali del 2021 sono il lancio di un acceleratore proprio in ambito green e il lancio del nostro parallel fund: progetti che puntano a posizionare LVenture tra i campioni europei». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 9/4/2021

09 Aprile 2021

Gay (Digital Magics): «In Italia grande voglia di fare impresa. Startup e digitale per crescere guardando agli acceleratori»

L'incubatore di startup Made in Italy riceve ogni anno oltre 1.500 candidature di progetti e il tema della sostenibilità è una costante, spiega l'amministratore delegato a SustainEconomy.24, report di Luiss Business School e Il Sole 24 Ore Radiocor. E i programmi di accelerazione sono il futuro Le imprese italiane e le startup sono molto ben posizionate in tema di sostenibilità. Marco Gay, socio e amministratore delegato di Digital Magics, incubatore di startup Made in Italy e pmi innovative che operano nell'ambito del digitale, quotato su Aim Italia, parla della grande voglia di fare impresa nel nostro Paese testimoniata da 1.500 candidature che l'incubatore riceve ogni anno. La pandemia ha reso più concreta la trasformazione digitale ma occorrono politiche industriali, spiega Gay da past presidente dei Giovani di Confindustria e attuale presidente di Confindustria Piemonte. E, forte di 73 startup attive a portafoglio che, l'ultimo anno, hanno visto il fatturato aggregato superare i 62 milioni, con una crescita del 14%, guarda ai programmi di accelerazione «parte importante della nostra attività ma anche un cardine dello sviluppo dei settori industriali». Quanta attenzioni riscontrate nel mondo delle imprese e delle startup verso la sostenibilità? «Il tema della sostenibilità a 360 gradi ha un impatto, anche grazie al crescendo di attenzione negli ultimi anni, che sicuramente trova un grande riscontro nelle imprese e nelle startup. Le imprese italiane sono molto ben posizionate con una forte attenzione all'ambiente e all'ecosistema del territorio e per le startup - anche per una questione di attenzione generazionale e per il fatto che i progetti nascono già con forti criteri di sostenibilità - è diventata una costante. Ad esempio abbiamo una delle nostre startup, che si chiama AWorld che proprio della sostenibilità ha fatto il suo core business ed è stata scelta dall'Onu come piattaforma di supporto per la campagna Act Now. Oppure Macingo, una delle principali piattaforme italiane di sharing delivery di trasporti ingombranti che ha permesso di abbattere le emissioni di C02. Sono solo due esempi per spiegare che non solo riscontro una attenzione sul tema ma anche che per l'ecosistema delle startup la sostenibilità è un tema industriale. E, soprattutto, danno l'idea di una sensibilità assai concreta». Voi supportate la crescita di una nuova generazione di imprenditori. C'è voglia di fare impresa? «C'è una grandissima voglia di fare impresa: mediamente ogni anno noi riceviamo oltre 1.500 candidature di progetti, già confermati da team, di imprenditori che vogliono essere supportati da Digital Magics. Lo ritengo un dato interessantissimo se pensiamo che le startup sono poco più di 11mila al registro delle imprese, e quindi, 1.500 tutti gli anni denotano una grande voglia di fare impresa e di crescita. Quindi la voglia c'è, ed è anche solida, ed è anche vista in maniera corretta con idee innovative che vedono il concorso di team che all'inizio cercano di essere complementari per poi crescere ed accelerare». Dal vostro punto di vista quali sono i settori, in questa fase, più dinamici? «Vediamo dinamismo nei settori Fintech e Insurtech, nel mondo del software e service al servizio del 4.0 e della trasformazione digitale delle imprese e nel mondo del marketplace ed e-commerce che nell'ultimo anno hanno avuto una forte accelerazione. Sono i settori in cui noi, come azienda, stiamo facendo e abbiamo fatto i maggiori investimenti e stiamo vedendo grande vivacità. Accanto a questi non bisogna dimenticare i settori del food, dell'health dove, soprattutto negli ultimi mesi, c'è stata una propensione maggiore a fare impresa. E poi c'è il mondo delle smart city e di tutto quello che riguarda anche i cosiddetti abilitatori di innovazione che sono Iot, Cloud, 5G, Intelligenza artificiale. E che noi però, come azienda, giudichiamo come componenti molto trasversali a tutti i progetti che andiamo a individuare. Sono ambiti in cui c'è anche una grande crescita che segue la crescita del mercato per tutto quello che è trasformazione tecnologica e digitale». Cosa è cambiato nell'ultimo anno? «Quello che abbiamo visto tanto cambiare nell'ultimo anno è una maggiore concretezza nei confronti della trasformazione digitale; prima c'era l'idea di doverla fare o le aziende che dovevano cimentarsi, oggi l'industria dell'innovazione e delle startup è un'industria a tutti gli effetti del nostro Paese. Si è trovata di fronte ad una opportunità di maturazione accelerata e, quindi, ha fatto quel passo avanti cui tutto l'ecosistema lavora alacremente perché diventi strutturale e continuativo nel tempo». Soffermiamoci ora sull'attività di Digital Magics. Quanto avete investito finora e quali sono i vostri target? «Noi oggi abbiamo 73 startup attive a portafoglio e per noi attive vuol dire che sono all'inizio della fase di mercato e non sono nella fase finale della nostra collaborazione che è quella verso la exit dalla partecipazione o della cancellazione della partecipazione che, ahimè, fa parte dell'ecosistema delle startup. Quest'anno abbiamo avuto una raccolta importante delle nostre società in portafoglio che hanno raccolto, come capitali di rischio, oltre 27 milioni di euro e di questi circa il 10% lo abbiamo investito noi come Digital Magics. Il fatturato aggregato delle nostre startup a portafoglio ha superato i 62 milioni di euro con una crescita del 14%, tra il 2019 e il 2020 a parità di perimetro. Un dato molto importante perché, con un portafoglio di partecipazioni in cui la maggioranza ha una vita inferiore ai 4 anni, avere una crescita del 14% vuol dire che l'ecosistema sta crescendo e sta iniziando a diventare importante. Ma guardando al futuro ci sono, soprattutto, i programmi di accelerazione che diventano una parte importante della nostra attività ma anche un cardine dello sviluppo dei settori industriali. È il caso della sostenibilità - e stiamo concludendo in questi giorni un programma di accelerazione proprio sulla crescita e la sostenibilità insieme a Lazio Innova, il fondo della Regione Lazio - o nel Fintech e Insurtech che per noi sono settori importanti e strategici - e siamo e saremo non solo protagonisti ma anche partner, e ciò ci inorgoglisce, del programma di accelerazione Fintech e Insurtech della rete dei programmi nazionali di accelerazione di Cdp Venture Capital. Poi abbiamo una grande attenzione per il mondo delle nuove tecnologie, il 5G e l'Intelligenza Artificiale, tutti settori che possono e potranno dare, partendo da un settore come quello italiano che è soprattutto business to business, un grande impulso alla crescita industriale». Mettendo il cappello di chi ha rappresentato e continua a rappresentare le imprese quali sono le necessità, cosa servirebbe? «Innanzitutto fare i vaccini potrebbe dare un impulso a voltare pagina e non solo per la serenità dei cittadini ma per una vera ripartenza economica. Abbiamo bisogno di una politica industriale che vada ad agire su settori strategici ma anche su dei fattori di sviluppo che sono la connettività e anche le infrastrutture immateriali come la banda ultra larga e il 5G. C'è bisogno di una politica industriale che vada in questo senso, c'è bisogno di riforme strutturali concrete, da quella del fisco alla Pa, di cui questo Paese ha bisogno e di cui hanno bisogno le aziende che nascono, operano e devono crescere in questo Paese per poi espandersi anche all'estero. Di un ecosistema che deve essere non senza regole, perché le regole servono a competere meglio sul mercato, ma che deve aiutare a crescere. Mi ha sempre molto stupito come aziende eccellenti sul nostro Paese diventano straordinarie quando vanno all'estero. Quindi, sintetizzando: una politica industriale, riforme e tutto il mondo delle competenze, della riqualificazione professionale e della scuola con grande attenzione agli Its. Sono tre pilastri che probabilmente si possono davvero racchiudere tutti sotto le politiche industriali. Ma se noi vogliamo vedere l'innovazione, la trasformazione digitale, il Made in Italy del futuro, si deve passare tramite la sua grande storia ma anche tramite la possibilità di avere uno stupendo cammino davanti a noi». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 9/4/2021

09 Aprile 2021

La storia e i progetti della startup che, durante il lockdown ha ideato il delivery italiano di frutta e verdura 100% made in Italy scartata per difetti estetici

La storia e i progetti della startup che, durante il lockdown ha ideato il delivery italiano di frutta e verdura 100% made in Italy scartata per difetti estetici L'idea è nata durante il lockdown: portare a casa dei consumatori box di frutta e verdura a rischio spreco perché bocciate in estetica. Eccellenze italiane, presidi Slow Food e prodotti con una alta specificità geografica, spiega il ceo e founder di Babaco Market, Francesco Giberti, a SustainEconomy.24, report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School. Del resto cresce sempre più la sensibilità degli italiani per i consumi sostenibili: nel corso del 2020 il 54% ha, infatti, diminuito o, addirittura annullato gli sprechi alimentari. E grazie ad una crescita costante della base utenti del 30% mese su mese, Babaco Market guarda a nuove città. Babaco Market, delivery italiano di frutta e verdura antispreco è nato durante il lockdown. A circa un anno qual è il bilancio e qual è la risposta dei consumatori italiani? «Babaco Market è nato a maggio 2020, nel periodo di pieno lockdown, quando abbiamo riscontrato un grande cambiamento da parte dei consumatori nel rapporto col cibo e abbiamo pensato di lanciare il nuovo servizio. A quasi un anno dalla nostra nascita, possiamo dire di aver raggiunto un bilancio molto positivo. A oggi, gli utenti iscritti al servizio sono circa 1.800. I consumatori rispondono molto bene alla nostra mission e sono molto soddisfatti del servizio che mette loro a disposizione frutta e verdura 100% made in Italy, sempre fresca e di stagione. Piace molto quello che chiamiamo "l'effetto Babaco", ovvero la sorpresa che ogni box porta con sé. Poiché il contenuto è frutto di quanto viene recuperato direttamente dal campo, i consumatori scoprono solo al momento dell'apertura della box i prodotti da loro acquistati. Sono tutti prodotti eccellenti, ma alcuni sono delle vere chicche che difficilmente avrebbero potuto acquistare nei supermercati, come le carote di Polignano o le arance bionde del Gargano. Mettiamo a disposizione dei nostri iscritti eccellenze italiane, presidi Slow Food e prodotti con una altissima specificità geografica e questo genera sorpresa ed entusiasmo». C'è richiesta per i consumi sostenibili? E sensibilità contro lo spreco? «La consapevolezza verso l'importanza di ridurre gli sprechi nel nostro Paese è in costante crescita: nel corso del 2020 il 54% degli italiani ha, infatti, diminuito o, addirittura annullato gli sprechi alimentari, ricorrendo a strategie che vanno dalla riscoperta degli avanzi in cucina a una maggiore attenzione alla data di scadenza. Il nostro modello di business ruota proprio intorno alla riduzione degli sprechi andando ad agire a monte della filiera per recuperare frutta e verdura che per ragioni estetiche rischiano di essere sprecate. Al momento collaboriamo con circa 80 realtà agricole distribuite su tutto il territorio nazionale. L'interesse dei consumatori per il nostro servizio è dimostrato da una crescita costante della base utenti del 30% mese su mese. Inoltre, visto quanto ci sta a cuore la tematica antispreco, cerchiamo di fornire ai nostri utenti consigli per contribuire in maniera attiva alla salvaguardia del pianeta, valore che è centrale per la filosofia di Babaco Market. In occasione della Giornata nazionale contro lo spreco alimentare abbiamo lanciato il progetto #Youcantwastethis per dare consigli antispreco insieme all'influencer Lisa Casali di Ecocucina e sensibilizzare i consumatori. Le piattaforme social per noi funzionano molto bene e ci permettono di diffondere la nostra vision, condividere le ricette realizzate anche con la collaborazione di nutrizionisti e arrivare a una clientela sempre più ampia». Avete iniziato a Milano e in Lombardia pensate di estendere la vostra iniziativa anche in altre parti d'Italia? Attualmente distribuiamo in abbonamento a 32 comuni in totale tra Milano, hinterland, Monza e Brianza. Dalla partenza ad oggi, in meno di un anno, abbiamo già consegnato 14.000 box. Sicuramente tra i nostri obiettivi di quest'anno ci sono l'estensione del bacino di copertura su Torino e altre città come Varese, Bergamo e Brescia con circa 60mila box e l'aggiunta di nuovi prodotti all'offerta attuale di Babaco Market». Che margini di crescita ha il settore in Italia? E quali sono i vostri target? «Nel 2020 gli acquisti online nel comparto food & grocery sono cresciuti del 55% rispetto al 2019 per un valore assoluto di quasi un miliardo di euro e dopo l'accelerazione data dalla pandemia la crescita è destinata a proseguire, dato confermato dalla crescita costante delle nostre metriche. Il nostro target attuale è prevalentemente femminile, green, attento alla propria forma fisica e alla propria alimentazione, ma trasversale a più fasce d'età, includendo millennials, generazione Z e mamme che prediligono un consumo familiare sempre più sano, etico ed ecologico». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 9/4/2021

26 Marzo 2021

Cementir: Caltagirone Jr., «Avanti sulla svolta green e sul cemento a impatto zero»

Il tema della sostenibilità è strategico, spiega il Presidente e AD del gruppo a SustainEconomy.24, report di Radiocor e Luiss Business School Il cemento è la seconda materia prima più utilizzata al mondo dopo l'acqua. Quindi la riduzione dell'impatto ambientale e la sostenibilità diventano una sfida. Che per un gruppo del cemento, che opera in 18 Paesi, diventa un tema strategico. Ne è convinto Francesco Caltagirone Jr., amministratore delegato di Cementir, che a SustainEconomy.24, report di Luiss Business School e Radiocor, racconta l'impegno del gruppo per il sociale ma anche per la salute e la sicurezza dei lavoratori e parla della svolta «green» che passa dal target di riduzione del 30% delle emissioni di CO2 ad un Piano, quello 2021-2023, che mette sul piatto 107 milioni di investimenti in sostenibilità e digitalizzazione. A partire dalla tecnologia «brevettata in casa» per prodotti a impatto zero. Il tema della sostenibilità è ormai imprescindibile in qualunque ambito produttivo ed anche in un settore tradizionale come quello della produzione di cemento. Come lo affronta un gruppo multinazionale che opera in aree geografiche e contesti culturali e sociali diversi? «Anche per Cementir come ormai per tutto il mondo produttivo il tema della sostenibilità è un tema strategico. Noi operiamo in contesti molto diversi fra loro: dalla Scandinavia all'Egitto, dagli Usa alla Cina ci dobbiamo confrontare ogni giorno con culture e legislazioni profondamente differenti che impongono un approccio aperto ed innovativo. Per questo abbiamo fissato 25 obiettivi di sostenibilità, coerenti con le linee guida definite dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, che coprono le aree prioritarie del gruppo ed il cui scopo ultimo è spingerci ad adottare tutte le misure necessarie e le soluzioni tecnologiche più innovative per ridurre al minimo l'impatto delle nostre attività sull'ambiente, creare un ambiente di lavoro sano, sicuro e inclusivo, rispettare i diritti umani e creare un rapporto costruttivo e trasparente con le comunità locali e i partner commerciali». Ci può declinare qualcuno di questi obiettivi e le attività intraprese da Cementir? «Uno dei nostri obiettivi principali è garantire la sicurezza sul lavoro e la soddisfazione lavorativa del personale. Entro il 2030 tutte le società del Gruppo opereranno con un sistema di gestione per la salute e la sicurezza certificato che ci permetterà di analizzare le cause di eventuali incidenti e condividere le "lesson learned". In più monitoriamo costantemente il livello di engagement del personale. Nel 2018 abbiamo lanciato Cementir Academy, un centro di formazione che mira a sviluppare e migliorare le capacità tecniche, comportamentali e gestionali di tutti i nostri dipendenti. Queste azioni "interne" sono accompagnate da azioni verso l'esterno come, ad esempio, il supporto finanziario all'Işıkkent Educational Campus, in Turchia». E sul fronte della riduzione dell'impatto ambientale delle vostre attività come vi state muovendo? «Cementir ha già intrapreso in modo convinto la svolta "green" dandosi l'obiettivo di ridurre del 30% le emissioni di CO2 entro il 2030 e, con il piano industriale 2021-2023 approvato a febbraio, ha messo sul piatto 107 milioni di investimenti in sostenibilità e digitalizzazione. Gli investimenti saranno concentrati in Danimarca dove il gruppo punta a costruire un nuovo impianto di calcinazione finalizzato alla produzione di FUTURECEM, tecnologia sviluppata e brevettata "in casa" che riduce la quantità di clinker nel cemento, e in Belgio dove il forno dell'impianto di Gaurain-Ramecroix sarà ammodernato per portare l'uso di combustibili alternativi dal 40% all'80%. Contemporaneamente stiamo implementando sempre di più l'uso del gas naturale nei nostri impianti al posto del carbone. Dal prossimo anno l'impianto in Danimarca sarà connesso alla rete nazionale di distribuzione del gas e nei prossimi due o tre anni la stessa cosa avverrà Belgio ed in Egitto mentre negli Usa l'utilizzo è già attivo. Sempre in ottica di sostenibilità, nello stabilimento di Aalborg l'eccesso di calore dell'impianto viene recuperato per fornire teleriscaldamento a 36 mila famiglie che presto diventeranno 50 mila e sarà installato un impianto pilota di cattura della CO2. Mi lasci ricordare, infine che recentemente Cementir ha ricevuto una valutazione "B" dal Carbon Disclosure Project (CDP), che ci colloca tra i primi player del settore e al di sopra della media europea». Quali sono le difficoltà che incontrate di fronte a sfide come l'obiettivo europeo di riduzione delle emissioni di CO2 del 30% entro il 2030? «Bisogna innanzitutto riflettere sul fatto che il cemento è la seconda materia prima più utilizzata al mondo dopo l'acqua. Ciò detto, la riduzione dell'impatto ambientale è una sfida che l'industria in generale e quella del cemento in particolare non può non accettare anche perché la pandemia ha acuito la sensibilità dell'opinione pubblica per le tematiche ambientali e reso ancora più urgente l'adeguamento, non solo delle infrastrutture, ma del modo in cui è organizzata la nostra società. L'ottimizzazione dei processi produttivi, logistica inclusa, e l'aggiornamento tecnologico degli impianti, per quanto complessi, sono i due obiettivi principali che vedo. Non va trascurata però anche l'importanza della filiera. È indispensabile che l'approccio sostenibile, ormai completamente recepito a monte della filiera, sia acquisito anche a valle e che, quindi, anche l'utilizzo delle materie prime avvenga in un'ottica sostenibile». Quanto conta l'innovazione in un settore tradizionale come il vostro? «La capacità di innovazione anche in un settore tradizionale come la produzione di cemento è fondamentale. Cementir, per esempio, sta sviluppando nuovi tipi di cemento basati sulla tecnologia proprietaria FUTURECEM che consente una riduzione del contenuto di clinker nel cemento e di conseguenza una riduzione delle emissioni di CO2 del processo produttivo. Analogamente stiamo sviluppando applicazioni e prodotti innovativi tra cui il calcestruzzo ad altissime prestazioni (UHPC), il cemento armato in fibra di vetro (GFRC), il calcestruzzo magnetico e la stampa 3D». Cosa vedete nel 2021? «Ovviamente speriamo che il 2021 sia l'anno di uscita dalla crisi pandemica. Per quanto riguarda Cementir posso solo dire che l'esercizio 2020, pur con le sue complessità, si è concluso con un utile di 102 milioni di euro, superiore di oltre il 20% al risultato dell'anno precedente e superiore anche alle attese del mercato. Per il 2021 contiamo di portare i nostri ricavi consolidati a circa 1,3 miliardi, di incrementare ulteriormente il margine operativo lordo tra i 285 ed i 295 milioni e di portare l'indebitamento finanziario netto a circa 30 milioni, includendo investimenti industriali di circa 95 milioni. Sono naturalmente obiettivi che non tengono conto di eventuali recrudescenze pandemiche che speriamo tutti non ci siano». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 26/3/2021

26 Marzo 2021

Ance: «Le costruzioni artefici del cambiamento sostenibile. Superbonus e cantieri per ripartire»

ll Presidente Gabriele Buia, intervistato da SustainEconomy.24, report di Radiocor e Luiss Business School, chiede di aprire i cantieri a cominciare dagli interventi per mettere in sicurezza e rendere sostenibili territori e città Il settore delle costruzioni è uno dei principali artefici del cambiamento in chiave sostenibile. Incentivi come il superbonus stanno aiutando e Ance, spiega il presidente Gabriele Buia a SustainEconomy.24, report di Radiocor e Luiss Business School, chiede la proroga a tutto il 2023. Gli ultimi dati a disposizione dimostrano, infatti, le grandi potenzialità dello strumento visto che al 15 marzo risultano avviati oltre 6.500 interventi per quasi 750 milioni. Ma chiede, con le risorse del Recovery Plan, di far ripartire i cantieri e, soprattutto, quello della manutenzione ma anche avviare le riforme, a partire da quella della Pa. È passato un anno da quando, in pieno lockdown, l'Associazione nazionale dei costruttori edili chiese un Piano Marshall. «Quel piano manca ancora ma le soluzioni ci sono e occorre cominciare a metterle in atto». Presidente, come possono contribuire edilizia e costruzioni agli obiettivi di sviluppo sostenibile? «Il nostro settore è uno dei principali artefici del cambiamento in chiave sostenibile delle città, dei territori, del Paese. La riduzione delle emissioni di Co2, il risparmio energetico del patrimonio edilizio, l'economia circolare, la messa in sicurezza e salvaguardia dell'ambiente sono tutti temi che impattano in modo diretto e indiretto con l'edilizia. Una grande sfida che come Ance siamo consapevoli di dover interpretare nel migliore modo possibile per soddisfare i bisogni e migliorare la qualità della vita di tutti noi». Cosa fa Ance per spingere le aziende del settore verso la sostenibilità? «Già nel 2018 abbiamo elaborato un piano per la sostenibilità e a questo tema abbiamo dedicato la nostra Assemblea nazionale, consapevoli che ben 15 dei 17 obiettivi dell'Agenda 2030 dell'Onu per lo sviluppo sostenibile sono connessi con le nostre attività. Abbiamo poi creato già da tempo un gruppo di lavoro interno che si occupa di promuovere la cultura e la pratica della sostenibilità sia presso le istituzioni che presso le nostre imprese. La sostenibilità è un concetto ampio e articolato, non può ridursi solo alla green economy, abbraccia molti altri ambiti a cominciare da quello dell'inclusione sociale. Le politiche per le città devono tener conto di queste istanze e le nostre imprese sono pronte a fare la propria parte. Con questa convinzione, abbiamo da poco sostenuto la nascita di Edera, il primo centro italiano nato per accelerare la decarbonizzazione e la rigenerazione dell'ambiente costruito. Un'iniziativa con la quale vogliamo dimostrare ancora una volta che la sostenibilità non è né una teoria indefinita, né un vincolo da sopportare ma può essere, già da oggi, la nostra normalità». Incentivi come il superbonus stanno aiutando e possono aiutare spingendo gli investimenti? «Il superbonus al 110% è sicuramente un esempio di politica di sviluppo del settore in linea con le esigenze di risparmio energetico e di tutela del territorio. Gli ultimi dati a disposizione dimostrano le grandi potenzialità dello strumento visto che al 15 marzo risultano avviati già 6.512 interventi per un ammontare complessivo di quasi 750 milioni. C'è il rischio, però, che le opere non vengano concluse nei tempi previsti, dato l'orizzonte temporale molto limitato del beneficio, che non tiene conto di tutta la tempistica necessaria per l'esecuzione dei lavori. Per questo come Ance stiamo chiedendo di prorogare l'incentivo quantomeno fino a fine 2023. Bisogna però snellire anche le procedure, per favorire l'accesso ai benefici e velocizzare i tempi di rilascio dei permessi». La pandemia ha frenato la ripresa. Si discute tanto delle risorse del Recovery Fund e il Governo sta ultimando il Piano di Ripresa e Resilienza. Quali sono le azioni prioritarie? «Il tempo a disposizione per definire priorità e modalità operative è minimo. Bisogna definire al più presto un percorso decisionale e procedurale efficiente che ci consenta di spendere nei tempi previsti le risorse disponibili. Occorre, dunque, eliminare sovrapposizioni e definire tempi perentori per ogni decisione dell'amministrazione pubblica. E' chiaro ormai a tutti, infatti, che allocare fondi non basta, occorre spenderli e aprire i cantieri, a cominciare dagli interventi per mettere in sicurezza e rendere sostenibili territori e città. Dobbiamo far partire, infatti, il grande cantiere della manutenzione che, contrariamente a quanto dichiarato da molti in queste settimane, non è in contrasto con quanto previsto dal Recovery Plan. Due sono i binari di intervento da far partire contemporaneamente. Il primo dovrà sfruttare tutte le semplificazioni esistenti e gli snellimenti possibili per mettere subito a terra le risorse, aprire i cantieri e, sul fronte privato, far decollare il Superbonus. L'altro prevede di avviare il lavoro sulle riforme strutturali indispensabili per la crescita, a partire dalla riforma della Pa che deve essere potenziata e messa nelle condizioni di essere più efficiente e professionale». In pieno lockdown avevate proposto una sorta di Piano Marshall. Un anno dopo a che punto siamo? «Alcuni passi in avanti sono stati fatti. Ma manca ancora quel piano e quella visione complessiva che ci consenta di porre le basi per una crescita duratura e solida del nostro Paese. Le soluzioni ci sono. Occorre cominciare a metterle in atto». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 26/3/2021

26 Marzo 2021

Covivio: «Il 100% di immobili certificati green entro il 2025 e benessere per le città»

L'intervista di Alexei Dal Pastro, amministratore delegato Italia a SustainEconomy.24, report di Radiocor e Luiss Business School Il 100% di immobili certificati green entro il 2025 e il taglio di un terzo delle emissioni tra il 2010 e il 2030 ma soprattutto creare benessere. Alexei Dal Pastro, amministratore delegato Italia di Covivio, la società nata dalla fusione tra Beni Stabili e Foncière des Régions e di cui l'imprenditore Leonardo Del Vecchio ha il 26% del capitale, racconta a SustainEconomy.24 l'attenzione alle tematiche Esg e ai progetti futuri. Nel 2021 il gruppo proseguirà con la rotazione degli asset per reinvestire il ricavato delle cessioni nello sviluppo di immobili innovativi. In Italia una pipeline di progetti per circa un miliardo di euro, focalizzati soprattutto su Milano. Covivio ha inserito la sostenibilità come asset della strategia di gruppo. Come si traduce nei progetti per le città del futuro? «L'attenzione alle tematiche Esg è coerente con la mission di Covivio: "Build sustainable relationships and well-being". Una strategia di sostenibilità che concentra su tre pilastri: migliorare l'impatto sull'ambiente tramite l'integrazione di spazi verdi in tutti i nostri progetti di sviluppo, la certificazione green dell'intero portafoglio e la riduzione delle emissioni di anidride carbonica; massimizzare il benessere e la soddisfazione dei clienti e dei team; rafforzare il nostro impegno sociale tramite la creazione di una Fondazione per la promozione di iniziative a favore delle pari opportunità e della salvaguardia dell'ambiente. Un impegno riconosciuto anche dal GRESB (Global ESG Real Estate Benchmark) che nel 2020 ha assegnato a Covivio la posizione di Sector Leader globale nella categoria "Diversified Office/Residential – Listed Companies". Il nostro approccio allo sviluppo si basa su iniziative che puntino a creare valore non solo per la porzione di territorio oggetto dell'intervento, ma per l'intera città, tramite la costruzione di ambienti sempre più sostenibili, sicuri e inclusivi, con l'obiettivo di promuovere maggiore coesione e senso di appartenenza al territorio tra gli abitanti come dimostrano i progetti che ci vedono impegnati, da The Sign a Symbiosis passando per Vitae e il futuro Scalo di Porta Romana». Volete contribuire attivamente anche alla riduzione delle emissioni. Ci parla dei prossimi target? E questo include costruzioni efficienti dal punto di vista energetico? «Di fronte alle sfide climatiche, Covivio prosegue i suoi sforzi di riduzione dell'impronta di carbonio del suo patrimonio e, a tale scopo, fa leva sugli strumenti e sulle partnership costruite nell'arco di diversi anni con i propri clienti e stakeholder. Il Gruppo ha in particolare definito un percorso ambizioso e distintivo in termini di emissioni che prevede la riduzione del 34% delle emissioni di gas effetto serra tra il 2010 e il 2030. Per raggiungere questo obiettivo, Covivio punta tra l'altro a raggiungere il 100% di immobili certificati "green" entro il 2025. A fine 2020 circa il 90% del patrimonio di immobili in Italia risulta già certificato». Il 2020 ha mostrato per Covivio resilienza con risultati importanti. Quali sono stati i punti di forza e cosa vi aspettate dal nuovo anno? «Il nostro patrimonio ha dimostrato grande resilienza grazie alla diversificazione e all'alta qualità, in un contesto di crisi senza precedenti. La centralità dei nostri asset, la potenzialità dei nostri sviluppi, la flessibilità della nostra offerta e la competenza riconosciuta dei nostri team, vicinissimi al cliente, costituiscono le basi per una performance sostenibile. Nel 2021 proseguiremo con la rotazione dei nostri asset per reinvestire il ricavato delle cessioni nello sviluppo di immobili innovativi e allineati alla domanda di uffici. In Italia abbiamo già in pipeline progetti per circa un miliardo di euro, focalizzati soprattutto su Milano, che ha un grande potenziale: nel panorama europeo è evidente come questa città abbia un forte gap tra immobili disponibili di grade A e domanda. Noi continueremo a lavorare per colmare questo gap». In Italia appunto il vostro focus è soprattutto su Milano. Ci parla dei progetti di sviluppo? «Su Milano siamo attivamente coinvolti in diversi nuovi progetti, primo fra tutti quello di rigenerazione dello Scalo di Porta Romana insieme a Coima e Prada. Un progetto che vuole restituire alla città un quartiere all'avanguardia e di qualità, che risponda a un mix di destinazioni d'uso e di servizi: uffici, abitazioni, spazi verdi, punti di aggregazione sociale e culturale. Un quartiere attrattivo e un punto di riferimento per l'intera comunità, non solo per gli abitanti della zona. Oltre allo Scalo, nel 2021 porteremo avanti alcuni importanti progetti di riqualificazione di nostri immobili storici nel centro di Milano e continueremo lo sviluppo dei nostri business district di The Sign e Symbiosis. Proprio in Symbiosis, nel 2021 partiranno anche i lavori di Vitae, l'innovativo e ambizioso intervento di rigenerazione urbana ispirato alla cosiddetta progettazione biofila, che prevede la compresenza di spazi pubblici e privati e il coinvolgimento della comunità». La pandemia da Covid-19, con le nuove modalità di lavoro, cambia i vostri progetti? «Gli effetti della pandemia rafforzeranno alcune caratteristiche della domanda, come la tecnologia, la sicurezza, la flessibilità e la sostenibilità, e daranno un forte impulso alla rilocalizzazione delle aziende in immobili di nuova concezione. Assistiamo infatti a un'importante domanda di sostituzione che offre molte opportunità agli sviluppatori: il «cantiere Milano» di Covivio lo conferma. Gli uffici, anche dopo la pandemia e l'ondata di smart working, resteranno una scommessa immobiliare importante per le aziende, continueranno a essere spazi essenziali per il trasferimento di valori e identità, per la collaborazione e l'innovazione». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 26/3/2021

26 Marzo 2021

Lendlease: «Il real estate traguarda al 2040 con rigenerazione urbana e le città del futuro»

In Italia una pipeline di circa 5 miliardi di euro da consegnare nei prossimi 10-15 anni. Andrea Ruckstuhl, Head of Continental Europe racconta a SustainEconomy.24, report di Radiocor e Luiss Business School, i progetti a Milano, Mind e Santa Giulia Era il 1973 quando il fondatore spiegava che le aziende devono occuparsi oltre che del ritorno economico per gli azionisti di un ritorno ambientale e sociale. Da allora la sostenibilità ispira l'attività di Lendlease, gruppo australiano del real estate che gestisce asset per un valore di 36 miliardi di dollari australiani (circa 24 miliardi di euro) e traguarda alle città del 2040. In Italia, spiega a SustainEconomy.24, report di Luiss Business School e Radiocor, Andrea Ruckstuhl, Head of Continental Europe, il gruppo vuole essere uno dei maggiori sviluppatori di progetti di rigenerazione urbana a livello nazionale, con una pipeline di circa 5 miliardi di euro da consegnare nei prossimi 10-15 anni. L'obiettivo è di creare a Milano nuovi ecosistemi inclusivi, resilienti e capaci di attivare circuiti virtuosi. Esempio sono Mind che darà vita a un distretto dell'innovazione e Santa Giulia in partnership con Risanamento Spa. Con l'ambizione di crescere ancora. Gli operatori del Real estate sono chiamati a costruire le città del domani. Voi state già operando una rigenerazione delle città, con quali impatti in termini di obiettivi ambientali e sostenibili? «L'impegno alla rigenerazione urbana caratterizza la nostra impostazione ormai dagli ultimi 30 anni, e abbiamo circa 110 miliardi di dollari dedicati allo sviluppo di 21 progetti. Del resto la rigenerazione urbana è un'occasione straordinaria con circa il 60% della popolazione mondiale che entro il 2030 vivrà nelle città. Ma certo si tratta di progetti che maturano e vengono realizzati in un periodo molto lungo, ben oltre un orizzonte politico, ben oltre un orizzonte di ciclo di mercato e dobbiamo traguardare al 2040 e a temi sociali e ambientali che necessariamente devono superare le norme esistenti. L'interesse per questi temi è proprio nel dna dell'azienda - a partire dal fondatore che nel 1973 già indicava che le aziende dovevano occuparsi oltre del ritorno economico per gli azionisti di un ritorno ambientale – ed è nelle scelte per i nostri azionisti. Abbiamo recentemente dichiarato al mercato due impegni ambientali e sociali: entro il 2025 arrivare allo zero carbon su tutti i nostri progetti nel mondo ed entro il 2040 arrivare all'absolute zero carbon sia in progetti in sviluppo che in quelli in gestione con fondi pensioni e fondi sovrani. Per arrivarci bisogna progettare adesso e fare scelte importanti adesso nonostante una normativa un po' arretrata. Un altro impegno che abbiamo preso è creare, entro il 2025, a livello di gruppo, circa 250 milioni di dollari di outcare sociale. E l'ultimo filone è l'inclusività: la rigenerazione può avere un effetto negativo se non si occupa dell'inclusività delle comunità già presenti sull'area e comprende le esigenze e il dna del luogo in cui operiamo». Anche alla luce di queste premesse perché l'Italia e il mercato italiano? «Noi siamo in Italia dalla fine degli anni 1990; poi, una decina di anni fa, quando eravamo presenti in una quarantina di Paesi, abbiamo deciso di selezionare Paesi e città che avevano le caratteristiche più adatte alla nostra esperienza di rigenerazione urbana. In Europa oggi abbiamo Londra e Milano. E sicuramente Milano ha dimostrato delle caratteristiche di opportunità perché non aveva tanti progetti di rigenerazione urbana ma un tessuto ricco e variegato di una città ancora in crescita demografica con una ricchezza culturale e una ricchezza di comunità». Soffermiamoci sui progetti italiani partendo dal business district di Santa Giulia. A che punto siamo? «Siamo partiti con lo sviluppo dei due lotti rimanenti dell'area più a sud, la più vicina alla stazione di Rogoredo e abbiamo completato entrambe le strutture dei due edifici SparkOne e SparkTwo: è un progetto che sta andando avanti bene dove abbiamo già un ‘anchor tenant' per gli uffici e anche la componente di retail sta procedendo; nonostante la crisi siamo sorpresi della voglia di ripartire e, quindi, stiamo già traguardando ovviamente al 2022 come occupazione. Entrambi gli edifici si inseriscono in un progetto complessivo, il progetto di Milano Santa Giulia appunto, per il quale abbiamo un accordo con Risanamento. E grazie all' accelerazione dell'arena olimpica - per i Giochi Olimpici invernali Milano-Cortina 2026 - il processo urbanistico per l'area nord sta per ripartire rapidamente». Mind, nell'area che ha ospitato Expo2015, sarà uno dei primi distretti dell'innovazione al mondo carbon neutral. Qual è il ruolo di Lendlease? E quale sarà il plus di Mind? «C'è una partnership pubblico-privata con Arexpo e noi siamo concessionari dell'area per 99 anni; questo significa che possiamo sviluppare circa 500.000 metri quadri in linea con la visione di Mind di realizzare un pezzo di città ma con una vocazione per la ricerca l'educazione e l'innovazione. Oltre all'ospedale Galeazzi, all'Human Technopole, al nuovo Campus dell'Università Statale e alla Cascina Triulza, abbiamo realizzato un'ulteriore ‘ancora' nell'ultimo anno e mezzo, un'iniziativa che prenda il meglio di quanto visto in giro per il mondo per supportare un ‘ecosistema dell'innovazione'. Federated Innovation, questo il nome dell'iniziativa, è stata fondata da 32 aziende e vuole essere un modello unico di collaborazione tra grandi aziende, piccole imprese, startup, università e centri di ricerca e vede già più di 300 attori collegati. E' l'interpretazione futura dell'innovazione ripensata con l'uomo al centro guardando alle città del futuro e alle scienze della vita. Ma Mind sarà anche un'isola senza combustibili fossili, con l'efficientamento energetico e la mobilità elettrica, edifici nearly zero energy con l'attenzione ai materiali e un target del 98%del materiale smontato che viene riciclato. La vera ambizione è di collegare il mondo della sostenibilità ambientale e sociale e misurare effettivamente il benessere delle persone». Dopo questi due progetti guardate ancora a qualcosa in Italia? «Noi stiamo continuando a guardare, partiremo con questi progetti attivamente perché ci piace far vedere i progetti più che raccontarli, faremo vedere i primi edifici ma sicuramente abbiamo ambizioni di crescere». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 26/3/2021