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26 Novembre 2020

Nel campus della Google italiana ecco le declinazioni della sostenibilità

La storia di Vetrya, la Google italiana, che dieci anni fa ha ripensato il modello d'impresa improntandolo alla sostenibilità. Il fondatore e amministratore delegato Luca Tomassini a SustainEconomy.24 parla anche del contributo alla lotta al Covid e del nuovo Piano industriale che sarà presentato a metà dicembre   Innovazione e sostenibilità vanno di pari passo perché il modello di business va ripensato. Un'idea che Vetrya porta avanti da dieci anni. Luca Tomassini, fondatore, presidente e ceo del gruppo, definito da  tanti la Google italiana, ne parla a SustainEconomy.24, report di Luiss Business School e Il Sole 24 Ore Radiocor. Insieme al  contributo dato nella lotta al Covid e la spinta sul digitale, "uno dei pilastri del futuro". E il nuovo Piano industriale che sarà presentato a metà dicembre con l'obiettivo di diventare una digital company italiana partner dell'industry nella transizione del digitale, degli operatori tlc, media e utility.  Si parla tanto di sostenibilità. Per voi una parola d'ordine è l'innovazione. Sono conciliabili? Cosa vede in un futuro più sostenibile? « Non solo innovazione e sostenibilità sono conciliabili, ma non possono stare l'una senza l'altra. C'è ormai la consapevolezza che il nostro modello di crescita e sviluppo vada ripensato; abbiamo capito che non è possibile continuare a investire, sviluppare e fare impresa senza pensare agli impatti che tutto questo comporta sul futuro. In una parola, abbiamo capito che bisogna guardare avanti, alle prossime generazioni, per prendere decisioni come se chi arriverà dopo di noi fosse già qui e potesse dire la sua. E cos'è l'innovazione, se non lo sguardo rivolto al futuro? Io credo che salvaguardare la nostra casa comune richieda e richiederà sempre più la disponibilità di strumenti potenti, intelligenti e leggeri che ci aiutino a misurare il nostro impatto, a ottimizzare i nostri sforzi, a raccogliere informazioni per calcolare benefici e conseguenze delle nostre azioni, e regolarci di conseguenza. E penso che questi strumenti, che già oggi ci circondano, nel futuro sostenibile diventeranno la norma, supportando gli obiettivi di crescita insieme a quelli di sostenibilità». Lei ha dato vita a quella che viene definita la Google italiana, una piccola Silicon Valley in Umbria. Cosa significa sostenibilità in Vetrya? «Oggi si parla tanto di sostenibilità: noi abbiamo iniziato già dieci anni fa, quando il termine era sicuramente meno di moda, e abbiamo reso sostenibile il nostro modello di impresa. Siamo partiti da subito con un'impresa radicata nel territorio, orientata al rispetto delle persone, determinata a crescere non in maniera fine a se stessa, ma per generare sviluppo e benessere, e migliorare la qualità della vita di tutti quelli che hanno contribuito e contribuiscono al nostro successo. Per fare qualche esempio il nostro campus è disegnato attorno alle persone e accanto agli spazi operativi abbiamo previsto aree destinate a svago, sport, cultura e innovazione. Da subito abbiamo integrato l'impianto elettrico tradizionale con pensiline fotovoltaiche, e per il riscaldamento dell'acqua è stata impiegata una parabola a concentrazione solare. Una sorta di "girasole digitale" controllato da satellite, che insegue il sole; all'interno del parco auto sono state inserite diverse auto elettriche e il Corporate Campus è dotato di colonnine per la ricarica di veicoli elettrici direttamente da pannelli solari. Con l'avvento della pandemia abbiamo ulteriormente incentivato lo smartworking fino a raggiungere la quasi totalità dei nostri collaboratori, che possono lavorare con serenità e produttività». Parliamo del Covid-19 che ha modificato profondamente le nostre vite e evidenziato il ruolo delle tecnologie. La sua società ha cercato e sta cercando di dare un contributo. Ce ne parla? «Durante la crisi il cambiamento e l'innovazione non si sono arrestati, anzi hanno in un certo modo accelerato la loro corsa. Appena avuto sentore dell'importanza del fenomeno, abbiamo attivato le nostre migliori energie per sviluppare soluzioni all'altezza della sfida che ci si presentava, con la messa a punto prima di una soluzione di tracciamento presentata prima della call del ministero per l'Innovazione, poi di dispositivi indossabili per garantire il mantenimento della distanza di sicurezza sui luoghi di lavoro insieme ad una piattaforma digitale, che stiamo vendendo non solo in Italia. Con la piattaforma di videocomunicazione, Eclexia, abbiamo messo a disposizione dei nostri clienti uno strumento agile ed efficace per gestire al meglio le attività necessariamente remotizzate, come quelle legate alla formazione. Mi limito a questi esempi per dare un'idea di come abbiamo cercato e stiamo cercando di applicare la filosofia nella quale crediamo profondamente: quella di un digitale al servizio dell'uomo, che facilita la vita e offre sostegno per superare le situazioni più difficili».  Quali sono gli insegnamenti della pandemia?  « Paradossalmente questa pandemia ha offerto proprio la consapevolezza, anche a chi non l'aveva, che il mondo del digitale è uno dei pilastri del futuro. I maggiori comparti dell'economia riescono ad andare avanti grazie al digitale ma servono le infrastrutture.  Questo tipo di richiesta, stimolata dalla situazione di emergenza, è stata recepita soprattutto dagli operatori di tlc che stanno rivedendo i piani di investimento sulla parte infrastrutturale importante per lo sviluppo del digitale. E poi, grazie alla pandemia, abbiamo finalmente capito che l'innovazione, come ho già scritto, non chiede permesso: bisogna cogliere al volo l'opportunità di abbracciarla, se non vogliamo farci sorprendere ancora. Anche perché ci sono prati verdi su cui andare a sviluppare modelli di business basati digitale». Lei che è stato un precursore nelle tecnologie nel nostro Paese: dai cellulari a internet alla tv on demand. Cosa vede nel futuro? Pensa a qualcosa in particolare? «Da un'e-commerce più evoluto alla realtà aumentata e, soprattutto andare a sfruttare la possibilità di banda delle nuove reti come il 5G, il mondo dell'internet of Thing. Lo scenario che attualmente ci si presenta davanti potrebbe sembrare sconfortante. Ma mi piace parlare di un'operazione che ho chiamato "memoria del futuro": guardare indietro per guardare avanti per cogliere gli "assaggi" di quel che sarà. Ecco, io credo che l'errore peggiore che possiamo commettere sia quello della cecità, dell'assenza strutturale di lungimiranza, della sottovalutazione dei rischi, in una parola l'errore della mancata progettazione del futuro». E nel futuro di Vetrya? A breve presenterà il nuovo piano industriale… «Sa quali sono state le imprese statunitensi più virtuose nell'attraversare il periodo di crisi? Secondo gli analisti, sono quelle hanno agito prima che la crisi arrivasse; che si sono concentrate sulla crescita a lungo termine; che hanno mantenuto gli obiettivi cambiando semplicemente il modo per raggiungerli; e che sono state attente al risparmio, ovvero hanno preservato il loro capitale, la loro possibilità di sopravvivenza, azione e investimento. È esattamente quello che ha fatto e sta facendo il gruppo che guido, che tenendo fermo l'obiettivo dell'innovazione ha colto l'opportunità di un mercato affamato di digitale, con imprese che esprimono ancora in larghissima parte un fabbisogno di trasformazione del business, alle prese con le sfide della sicurezza, dello smartworking, di infrastrutture agili e di collaborazione efficiente. Noi da sempre mguardiamo a due cose: all'innovazione, tecnologia digitale e tlc, e ad anticipare le esigenze dei clienti. Ogni anno dobbiamo cercare di modulare le richieste e il nostro nuovo piano industriale vedrà questa rimodulazione con una forte attenzione a tutto quello che è il processo di Digital Trasformation  per diventare una digital company italiana partner dell'industry nella transizione del digitale, degli operatori tlc, di media editori e utility favorendo il cross selling tra tutte le nostre direzioni: Cloud computing; media comunication e industry, telco 5G e fibra ottica.   Conto per metà dicembre di presentarlo agli investitori e alla comunità finanziaria». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO  26/11/2020

26 Novembre 2020

Ericsson: è responsabilità delle tlc essere sostenibili. Spinta dal 5G per l’Italia

L'ad di Ericsson in Italia, Emanuele Iannetti a SustainEconomy.24 parla delle potenzialità del 5G con benefici per l'Italia di oltre 14,2 miliardi  entro il 2025   La sostenibilità è al centro della missione di Ericsson perché essere realmente sostenibili e fare business in modo etico e responsabile crea  valore aziendale. Di fronte ad una  bolletta energetica mondiale per le reti mobili destinata ad aumentare   notevolmente è responsabilità delle aziende di tlc agire con soluzioni e reti 5G a minore impatto. L'amministratore delegato di Ericsson Italia, Emanuele Iannetti,  traccia a SustainEconomy.24, report di Radiocor e Luiss Business School  anche le  ricadute del 5G in Italia con benefici attesi ad oltre 14,2 miliardi  al 2025. Ma nel nostro Paese occorre ancora lavorare sulla copertura, sulla modernizzazione della Pa e colmare il gap sulle competenze digitali. Ericsson è stata di recente nominata tra le aziende più sostenibili al mondo. Come possono digitalizzazione, reti e banda larga contribuire alle sfide globali? «La sostenibilità è al centro della missione di Ericsson, "Contribuire a dare vita a un mondo intelligente, sostenibile e connesso", ed è integrata nella nostra strategia aziendale. Per più di un secolo le tecnologie di Ericsson hanno trasformato interi settori della società, e oggi ogni nostro prodotto, soluzione o progetto fornisce un contributo al raggiungimento dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG) delle Nazioni Unite. Estendere i benefici della digitalizzazione a un numero crescente di persone, significa ad esempio migliorare l'accesso all'istruzione e alle cure sanitarie, garantire maggiore inclusione finanziaria e sociale, superare le sfide ambientali globali». Quanto è importante mettere la sostenibilità al centro dell'agenda per un'azienda di telecomunicazioni? Qual è l'impatto sul business? «Essere realmente sostenibili e fare business in modo etico e responsabile sono oggi due elementi chiave per la creazione di valore aziendale. Abbiamo rilevato che la bolletta energetica per le reti mobili a livello globale è di circa 25 miliardi di dollari e prevediamo che questa cifra sia destinata ad aumentare poiché il traffico dati da dispositivi mobili crescerà di 4-5 volte fino al 2025.È responsabilità dell'intera industria delle telecomunicazioni agire per contenere questo aumento del consumo energetico e costruire soluzioni e reti 5G con un minore impatto ambientale. A supporto dei nostri clienti abbiamo sviluppato un modello denominato "Breaking the energy curve", che prevede una strategia olistica composta da quattro elementi: preparare le reti modernizzandole, attivare software per il risparmio energetico, far leva sulle nuove tecnologie per ridurre la necessità di hardware, e gestire l'infrastruttura introducendo ove possibile l'intelligenza artificiale. Questo approccio ha l'obiettivo di migliorare le prestazioni lungo tutta la catena del valore e differenziare Ericsson dai suoi concorrenti. Oltre a far cambiare direzione alla curva del consumo energetico, consentendo ai nostri clienti di ridurre le emissioni di CO2. Il settore ICT, che costituisce l'1,4% di tutte le emissioni globali di CO2, potrà contribuire a ridurre del 50% le emissioni di gas serra entro il 2030. Inoltre, secondo il report Exponential Climate Roadmap Action di Ericsson, la digitalizzazione può consentire la riduzione del 15% delle emissioni globali anche in altri settori quali energetico, utilities, trasporto e logistica, costruzioni, manifatturiero e agricoltura. Ericsson stessa ha ridotto le emissioni del 50% tra il 2012 e il 2016 e del 24% fino al 2019. Ora ci siamo posti l'ambizioso obiettivo di essere carbon neutral entro il 2030». Il 5G che ruolo può avere in un futuro sostenibile? «Per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile entro il 2030 la tecnologia 5G, il cloud e l'intelligenza artificiale ricopriranno un ruolo fondamentale. Mentre in passato ogni nuova generazione di reti mobili ha aumentato il consumo di energia e le emissioni di CO2, il 5G si presenta dal punto di vista energetico come lo standard più efficiente mai sviluppato, e contribuirà a spezzare questo trend. Le tecnologie emergenti - abilitate dal 5G - saranno fondamentali per consentire a industrie e città di ridurre la loro carbon footprint. Grazie al 5G molte realtà potranno migliorare la loro efficienza attraverso l'ottimizzazione delle risorse, il controllo remoto dei processi industriali e l'analisi dei dati relativi all'energia consumata». Parliamo dell'Italia. Ericsson è nel nostro Paese da oltre 100 anni. Quali sono le potenzialità e le carenze del Paese? «Ericsson è presente in Italia da 102 anni e ha contribuito a rendere le telecomunicazioni alla portata di tutti, grazie a importanti innovazioni tecnologiche. Attualmente, l'Italia sta vivendo un momento di importante trasformazione grazie allo sviluppo dell'infrastruttura 5G, che porterà considerevoli vantaggi a tutto il Paese. In chiave economica si parla di un beneficio pari a oltre 14,2 miliardi di euro entro il 2025 a fronte di 6,6 miliardi di euro di costi per l'implementazione delle reti. Questa tecnologia ha la potenzialità di colmare il digital divide raggiungendo zone dove è difficile portare la fibra, e può dare un forte impulso alla trasformazione digitale delle nostre industrie. Perché questo si avveri, occorre però lavorare per eliminare ogni barriera ed incertezza che impedisce agli operatori di poter investire massivamente ed in tempi rapidi sulle reti 5G, quali ad esempio le complesse procedure per l'ottenimento dei permessi e gli stringenti limiti elettromagnetici, di gran lunga inferiori rispetto alle soglie stabilite dall'Unione Europea. Il successo del 5G si misurerà dall'impatto che l'adozione di questa tecnologia avrà in termini di benefici per persone e imprese, di ricadute positive sulla ripresa economica e sulla trasformazione digitale del paese e sull'ambiente». Non possiamo non parlare dell'esperienza della pandemia che ha messo in risalto il ruolo e l'importanza delle nuove tecnologie. Cosa ha insegnato agli operatori del settore e su cosa bisogna lavorare? «Con milioni di persone a casa, c'è stato un forte aumento di traffico sulle infrastrutture di rete. Basti pensare che ad inizio pandemia in Italia la fruizione di Internet tramite connessione fissa è aumentata di 3 ore al giorno, mentre la connessione da mobile è aumentata di oltre 1 ora al giorno. Non solo le reti hanno tenuto, ma è cambiata anche la percezione dell'opinione pubblica sulle loro rilevanza strategica. Sono tre i pilastri su cui occorre lavorare in modo integrato. In primis, occorre portare connettività nelle aree non coperte, negli istituti scolastici, ospedali, borghi e nelle zone periferiche delle città. In secondo luogo, occorre offrire più servizi digitali ai cittadini, per cui è necessario un grande lavoro di modernizzazione della pubblica amministrazione. Infine, e forse questo è il punto più rilevante, è fondamentale colmare il gap sulle competenze digitali, per formare le nuove generazioni, gli amministratori pubblici, gli imprenditori e i manager del futuro». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO  26/11/2020

26 Novembre 2020

Inwit: la strategia sostenibile dai manager all’inclusività digitale. Serve una Legge Obiettivo per il 5G

L'amministratore delegato, Giovanni Ferigo, parla a SustainEconomy.24 di Luiss Business School e Il Sole 24 Ore - Radiocor, del Piano di sostenibilità triennale. E dell'impegno nella "rivoluzione" del 5G: servono una Legge Obiettivo e un'Alleanza di sistema, dice. In un Paese ancora non sufficientemente attrezzato   Il Piano di sostenibilità triennale e il prossimo debutto con il primo Report integrato. Giovanni Ferigo, l'amministratore delegato di Inwit, il più grande tower operator in Italia, da giugno nel Ftse Mib e da settembre nello Stoxx Eu 600, in una intervista a SustainEconomy.24, report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School parla della strategia per generare valore di lungo periodo. Un percorso che passa anche per il 5G «fattore chiave per abilitare città più sostenibili». Una rivoluzione, però, possibile solo se ci sarà una copertura capillare della rete mobile ultraveloce. La crisi innescata dal Covid ha spinto verso il digitale ma il Paese «ancora non è sufficientemente attrezzato» dice Ferigo. Bene, quindi, l'inserimento dell'implementazione delle reti 5G nelle linee guida del Recovery Plan. Ora servono una Legge Obiettivo per il 5G e un'Alleanza di sistema. E assicura: «Inwit è pronta a fare la sua parte». Cosa vuol dire, per una società come Inwit, contribuire ad un futuro più sostenibile? «Per Inwit la sostenibilità è parte integrante delle strategie aziendali con l'obiettivo di generare valore in una prospettiva di lungo periodo e contribuire alla crescita, al miglioramento e allo sviluppo sociale ed economico delle comunità in cui opera. In Inwit crediamo fermamente che il processo di definizione di un piano che persegua lo sviluppo sostenibile della nostra società e del nostro pianeta passi inevitabilmente dalla creazione delle condizioni interne migliori, che consentano di fare attecchire e germogliare la cultura della sostenibilità, permettendo quindi la creazione di valore di lungo periodo. Il 2020 è stato l'anno dello sviluppo di progetti e di numerose attività che hanno visto nascere alcuni processi tipici di un approccio al business moderno e sostenibile. È stato definito un Piano di Sostenibilità per gli anni 2021-2023, è stato avviato un processo di stakeholder engagement, sono state avviate le attività che porteranno alla pubblicazione del primo Report integrato di Inwit, relativo all'anno 2020 e redatto sulla base dei criteri internazionali dell'Integrated Reporting».  Come nasce e che cosa contiene il Piano di Sostenibilità triennale per il 2021-2023?  «Il Piano di Sostenibilità 2021-2023 è stato sviluppato partendo dall'Agenda Onu 2030 ed è focalizzato su 5 aree di impegno: Governance, People, Environment, Innovation, Community. Per quanto riguarda l'area Governance i target del Piano di Sostenibilità sono stati inseriti nel sistema di MBO e LTI dei nostri manager. Abbiamo avviato un processo di coinvolgimento dei nostri stakeholder e per rafforzare e rendere continuo questo dialogo ci siamo impegnati a definire una policy di Stakeholder Engagement. L'area People parte dal presupposto che le nostre persone sono centrali in questo percorso verso un modello di business sostenibile e costituiscono la risorsa primaria per la diffusione della cultura di sostenibilità all'interno e all'esterno dell'azienda. Nell'area Environment del Piano ci siamo impegnati a definire una strategia climatica che ci porti alla Carbon Neutrality nel 2025 come risultato di un processo di quantificazione del CO2, di riduzione del CO2 tramite efficienza energetica, produzione e acquisto da fonti rinnovabili e infine, con la compensazione delle emissioni di CO2 residue, ossia delle emissioni inevitabili, attraverso l'acquisto di crediti di carbonio. Nell' area Innovation entra di diritto la nostra attività a supporto degli operatori nella digitalizzazione del Paese. Prevediamo quindi di aumentare e rafforzare la micro-copertura mediante Small Cells e DAS (Distributed Antenna System) anche in una prospettiva di riduzione degli impatti ambientali. Di realizzare un ‘Tower upgrade' realizzando connessioni in fibra, sviluppare e installare piattaforme di sensoristica in ottica Internet of Things. Infine, con l'area Community guardiamo al contesto in cui operiamo: il nostro obiettivo è promuovere e sviluppare progetti di collaborazione per aumentare la copertura di Comuni di minori dimensioni, di aree rurali e siti di elevato valore sociale e culturale. Vogliamo contribuire da un lato a superare il digital divide geografico e dall'altro a favorire una maggiore inclusività digitale. In questa direzione è significativa l'installazione delle nostre antenne DAS in oltre 15 strutture ospedaliere, nei Musei e nelle Università. Quindi un programma articolato e sfidante, con precisi interventi e obiettivi, nel quale Inwit crede fermamente».  Un percorso che passa anche per il 5G?  «La digitalizzazione del Paese è un'opportunità di sviluppo che integra pienamente tutte e tre le dimensioni della sostenibilità: economica, sociale e ambientale. Il 5G sarà una delle tecnologie abilitanti per la promozione di una società più sostenibile, favorendo innovazione, inclusione, riduzione delle disuguaglianze, faciliterà l'adozione di modelli produttivi sempre più circolari. Il 5G è, infatti, un fattore chiave per abilitare città più sostenibili, fornendo la connettività su misura necessaria per la smart mobility, per servizi pubblici ed edifici più intelligenti, che svolgeranno un ruolo significativo nello spingere le transizioni digitali e in ambito green. Ma questa "rivoluzione" sarà possibile solo se ci sarà una copertura capillare della rete mobile ultraveloce, non soltanto in outdoor con le torri di telecomunicazioni ma – grazie ai sistemi DAS o alle small-cells, che permettono di coprire con il segnale mobile aree particolari - anche all'interno di edifici, stazioni, ospedali, aeroporti, musei, aziende, università, centri commerciali e luoghi di aggregazione».  La pandemia da Covid-19 ha reso le tlc sempre più fondamentali: smartworking, didattica a distanza, uso delle piattaforme digitali. Quale è la situazione e che cosa serve per migliorare in futuro?  «La seconda ondata del Covid-19 ha costretto molte persone, come era accaduto negli scorsi mesi, a svolgere a distanza le proprie attività quotidiane. Lo smart working e la didattica a distanza stanno già determinando inevitabilmente un aumento esponenziale del traffico dati, che però non sempre è supportato da una connessione veloce diffusa in misura omogenea su tutto il territorio nazionale. Mentre la crisi ci spinge verso il digitale cresce l'evidenza che il Paese non sia ancora sufficientemente attrezzato per traghettarci tutti verso questo futuro. Questa nuova diffusa consapevolezza può costituire oggi una imperdibile opportunità per orientare le scelte che guideranno la ripresa e per riuscire a colmare i gap strutturali che l'Italia ancora sconta rispetto ai principali partner europei e internazionali. È quindi senz'altro un'ottima notizia il fatto che il Governo intenda includere nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza l'implementazione delle reti 5G come una delle priorità sulle quali concentrare gli investimenti del Next Generation Eu. Al tempo stesso appare sempre più importante il varo di una "Legge Obiettivo per il 5G". Con un'"Alleanza di Sistema", tra Istituzioni, Imprese, Associazioni di Comuni e altri soggetti, si possono rimuovere gli ostacoli esistenti e porre le basi per lo sviluppo e la crescita del Paese anche attraverso il 5G. Inwit è pronta a fare la sua parte». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO  26/11/2020

17 Novembre 2020

Famiglia, fecondità e lavoro in Italia

Quali interventi e policy sono necessari per sostenere lo sviluppo della natalità e un sistema di welfare che sappia conciliare efficacemente genitorialità e lavoro: iscriviti al webinar di “Italia 2030”, il progetto MiSE e Luiss Business School per l’Italia sostenibile!  Sostenere la realizzazione dei desideri di fecondità delle coppie italiane, che vengono spesso rimandati nel tempo quando non disattesi per problemi legati all’incertezza del lavoro, del reddito e alle difficoltà di conciliazione fra genitorialità e attività lavorativa, costituisce senz’altro una priorità per lo sviluppo del Paese. Dalla crisi sanitaria del Covid-19, un vero e proprio stress test sul sistema del lavoro e di welfare italiano, sono affiorate fragilità e diseguaglianze che dettano nuove necessità di intervento, che guardi sia all’immediato, sia a obiettivi di medio e lungo termine. Nel webinar verrà presentato il lavoro di analisi della situazione emerso dal tavolo su “Fecondità e lavoro”, istituito presso il centro di ricerca Dondena dell’Università Bocconi di Milano e coordinato da Letizia Mencarini, mentre i successivi interventi programmati animeranno la discussione su genitorialità e lavoro in Italia tra vecchi problemi e nuove emergenze. Coordinatore: Letizia Mencarini, Dondena, Università Bocconi Intervengono: Massimiliano Mascherini, Eurofound Stefania Multari, Confartigianato Imprese Emmanuele Pavolini, Università di Macerata e Alleanza per l’Infanzia Paola Profeta, Dondena, Università Bocconi Lucia Scorza, Confindustria Ulrike Sauerwald, Valore D Eleonora Vanni, Legacoopsociali Cristina Zanuzzi, Enel Italia Il webinar è gratuito, per partecipare è necessaria la registrazione.  REGISTRATI SCARICA IL PAPER SCARICA LE SLIDE Rivedi il webinar

12 Novembre 2020

Bei: «Entro il 2025 metà dei finanziamenti dedicati a clima e ambiente»

Il vicepresidente della banca europea, Dario Scannapieco parla a SustainEconomy.24 delle policy per la sostenibilità ma anche dell'impegno economico per fronteggiare l'emergenza Covid. E il Recovery Fund, dice "è un'opportunità unica e ultima per Italia" a patto di discontinuità con il passato   Pionieri nella sostenibilità con 31 miliardi di green bond emessi in 16 valute e l'impegno a non finanziare più dal 2022 progetti che utilizzano fonti fossili. Ma anche le nuove policy per allinearsi agli Accordi di Parigi: destinare il 50% delle operazioni dal 2025 in poi a finanziamenti dedicati ad azione climatica e sostenibilità ambientale e attivare nel periodo 2021-2030 investimenti per circa mille miliardi di euro a favore di clima e ambiente. Dario Scannapieco, vicepresidente della Bei parla a SustainEconomy.24, report di Luiss Business School e Il Sole 24 Ore Radiocor dell'impegno per la sostenibilità della banca europea. Ma anche dell'impegno sul fronte anti-Covid con la presidenza dell'European Guarantee Fund, una sorta di Piano Juncker con cui la Bei potrà mobilitare fino a 200 miliardi. Il Recovery Fund, spiega, è un'opportunità "unica, ultima, determinante" per l'Italia solo se ci sarà discontinuità con il passato. Parliamo della missione di Bei per la sostenibilità. Siete stati pionieri tra le istituzioni. Ci traccia un quadro della vostra strategia e dei risultati raggiunti? «Quando parliamo di essere pionieri dobbiamo parlarne su due fronti: sul fronte della raccolta perché siamo stati i primi nel 2007 ad emettere i green bond e, da allora, abbiamo emesso circa 31 miliardi di green bond in 16 valute. Dal lato dei prestiti c'è stata da sempre una fortissima attenzione e la nostra, essendo una banca che ha obiettivi di policy, ha tra i target l'ambiente. Sono quelli che si chiamano gli obiettivi di performance. Che cosa abbiamo fatto? Abbiamo deciso di fare un due passi in più: il primo è stato approvare una energy landing policy, ovvero una politica di prestiti nel settore dell'energia, in base alla quale dalla fine dell'anno prossimo non presteremo più finanziamenti a progetti che utilizzano fonti fossili standard; dall'altra abbiamo deciso di intraprendere una serie di policy della banca per essere allineati agli Accordi di Parigi». Quindi ci racconta cosa prevedete di fare da qui in avanti? «Questi impegni significano non finanziare più una serie di progetti con forte componente fossile: ovvero se le grandi imprese energivore - pensiamo a siderurgia e cemento - presentano progetti che hanno forte dipendenza, ovviamente non li finanziamo, ma siamo pronti a finanziarli per tutto quello che riguarda riconversione e transizione verso tematiche ambientali. Il secondo impegno è portare, entro il 2025, dall'attuale 30% al 50% la quota di finanziamenti annuali che hanno un impatto positivo su clima o ambiente. Da ultimo, nella decade 2021-2030 considerata decisiva per la lotta al cambiamento climatico, vogliamo attivare investimenti per circa mille miliardi di euro a favore di clima e ambiente. Questo vuol dire sostegno alla ricerca, infrastrutture, mobilità urbana. La mobilità va un po' ripensata, anche perché se guardiamo agli indicatori, stiamo riducendo l'inquinamento un po' ovunque tranne che nel settore dei trasporti. Staremo molto più attenti nel finanziare alcuni aeroporti e il nostro consiglio di amministrazione sta decidendo se abbandonarli oppure no, con delle eccezioni. E anche per le strade cerchiamo di spostare quanto più il traffico su rotaia». Quanto al vostro proposito di non finanziare più progetti legati alle fonti fossili come vi muoverete? «La nostra idea è di esaurire la quota di progetti che erano già in avanzata fase di istruttoria e poi di non generarne altri. E di dare un segnale di maggiore attenzione verso l'efficienza energetica, le rinnovabili e le nuove tecnologie e anche, la gestione ottimale delle risorse naturali. Proprio in questi giorni abbiamo fatto un'operazione nuova, si chiama Hydrobond, per sostenere piccole utility nel settore dell'acqua che da sole non avrebbero la forza per accedere ai finanziamenti della Bei». E' inevitabile, però, fare i conti con la pandemia. Come la state affrontando? «La pandemia è un episodio che avrà ripercussioni molto rilevanti sul modo di vivere. Intanto ci ha insegnato l'importanza di avere reti digitali di elevata qualità. Ci ha insegnato che molto del lavoro si può fare da casa e ha modificato nettamente gli stili di vita. Sappiamo d'altra parte che è un episodio che avrà anche una conclusione. Come Bei abbiamo aumentato, a bocce ferme, l'attività a supporto delle Pmi, le più colpite, per avere liquidità e finanziare il capitale circolante in modo che abbiano ossigeno per sopravvivere fino alla fine della pandemia. Abbiamo poi dato un grande impulso alla ricerca e sviluppo in ambito farmaceutico: ci sono una serie di imprese sia attive nella ricerca del vaccino che nella definizione di cure che abbiamo sostenuto per oltre 1,1 miliardi di euro. La risposta immediata al Covid ha portato a prestiti in Italia per 6,5 miliardi nel periodo marzo-luglio, il 35% di quanto ricevuto da tutti i Paesi europei. E abbiamo finanziato con 2 miliardi il settore della sanità per aumentare i posti in terapia intensiva, sub-intensiva e rafforzare i pronto soccorso. Poi abbiamo lanciato un'iniziativa nuova, ed io sono presidente di questo comitato dei contributori: l'European Guarantee Fund, una sorta di Piano Juncker con cui la Bei potrà mobilitare fino a 200 miliardi, che, con il contribuito degli Stati Ue, potrà offrire strumenti di garanzia e controgaranzia agli operatori finanziari in modo che il credito vada a sostegno delle Pmi. E' una bella risposta congiunta europea e stiamo iniziando a firmare già le prime operazioni». Ma, secondo lei, la pandemia è destinata a influire su un percorso verso una maggiore sostenibilità? «Le crisi possono essere anche uno strumento di ripensamento e rilancio; è sempre stato così nella storia. Bisogna avere l'accortezza e l'intelligenza di coglierne gli elementi di discontinuità rispetto al passato che sono emersi e concentrare le risorse ed investire in quello che di nuovo ci ha suggerito la pandemia. Basti pensare che oggi le priorità, nell'Ue, sono tre: clima, digitalizzazione e, ora, un tema di coesione sociale. La seconda ondata sta dimostrando che c'è da lavorare sulla coesione sociale, soprattutto nelle aree, all'interno dell'Unione, che avevano meno resilienza». Il Recovery Fund è una grande opportunità, soprattutto per l'Italia. Come si deve muovere il nostro Paese e quali dovranno essere le priorità?  «Darò una risposta su due fronti. Partiamo dai numeri: dal 2000 ad oggi l'Italia è cresciuta del 7,7% rispetto al 32% della Francia e al 30,6% della Germania e al 40% di media Ue. Quindi l'Italia non sa crescere. Perché? Perché abbiamo procedure farraginose, incapacità amministrativa nel preparare i progetti e incapacità di implementazione; dobbiamo prenderne atto. Quindi il Recovery Fund non va visto solo nell'ottica di una quantità di risorse finanziarie che saranno disponibili ma va colta l'opportunità per ripensare il sistema di effettuazione degli investimenti pubblici da parte dell'Italia. Quindi la parola chiave che io ricollego al Recovery Fund è ‘discontinuità con il passato'. Se noi pensiamo di approcciare questa opportunità - che non è grande, è unica - con i metodi vecchi, siamo destinati a perdere. Se agiamo in discontinuità con il passato, con procedure più snelle, con persone competenti messe a gestire i progetti, allora il Recovery Fund può divenire un'opportunità unica. E dico anche che, oltre ad essere unica, è anche l'ultima perché la dinamica del debito pubblico è tale che, senza spingere fortemente sull'acceleratore della crescita e liberarci di questo tetto alla crescita del Pil - che se guardiamo i dati è evidente che esiste perché l'Italia negli ultimi 40 anni non è mai crescita più del 2% e allora c'è un tema strutturale – allora sarà difficile avere un debito pubblico sostenibile perché è chiaro che dobbiamo agire sul denominatore del rapporto debito pubblico/Pil». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 12/11/2020

12 Novembre 2020

Consob: «In Italia luci e ombre su report Esg, pensare anche a incentivi»

Anna Genovese, commissario Consob, descrive lo scenario italiano a SustainEconomy.24, report di Luiss Business School e il Sole 24 Ore Radiocor. Positivi social e green bond ma completare le regole e attenzione alle bolle speculative   Lo scenario italiano presenta luci e ombre, tra società che vantano una lunga tradizione di bilanci sociali e una platea ancora vasta di imprese che non si è ancora dedicata a reportistica Esg. Per Anna Genovese, commissario Consob, i tempi sono maturi per intervenire per una maggiore diffusione delle Dichiarazioni non finanziarie volontarie, anche pensando a degli incentivi. Perché sono tanti i vantaggi e per non farsi trovare impreparati di fronte ad un percorso Ue, in tal senso ormai imminente. Bene green bond e social bond ma con attenzione all’uso opportunistico dell’acronimo Esg e completare le regole Cresce l’attenzione degli investitori ai temi della sostenibilità e sta crescendo anche la declinazione dei temi Esg nelle imprese italiane. Nello scenario italiano, a che punto siamo? «Nello scenario italiano sono presenti luci ed ombre. Alcuni emittenti sono presenti nel segmento di mercato dei green bond, che registra tassi di crescita a due cifre. Non poche società quotate ricevono anche buoni rating di sostenibilità dalle agenzie specializzate. Ci sono diverse imprese che vantano una lunga tradizione di bilanci sociali e - a partire dal 2016, quando la disciplina sulle Dnf (dichiarazioni non finanziarie) ha esaltato la funzione di questa reportistica - ci sono state società che hanno cominciato a sperimentare cambiamenti di governance e di modello di business con orientamento Esg. Va ricordato, poi, il nuovo Codice di autodisciplina delle quotate, in vigore con la stagione assembleare 2021, che definisce il successo sostenibile come obiettivo del Cda e del management. A fronte di ciò, la scena italiana restituisce anche una vasta platea di imprese, incluse non poche quotate, che fino al 2019 non si è cimentata in alcuna reportistica Esg. Un punto di debolezza, come emerge anche da una Survey che Consob ha svolto nel 2020 in collaborazione con Assogestioni e i cui risultati sono in fase di elaborazione». Come lei ha appena sottolineato, sul fronte della volontarietà delle Dnf siamo ancora lontani. La Consob sta spingendo ad una maggiore sensibilizzazione. Come si potrebbe intervenire e quali sono i vantaggi? «L’obbligo della Dnf è previsto solo per società ricomprese nel perimetro vincolato dalla Direttiva che pone, fra le altre condizioni, la soglia dei 500 dipendenti. I tempi sono maturi per considerare interventi che portino ad aumentare il numero di imprese italiane che redigono la Dnf. Gli interventi potrebbero essere vari. Non solo l’eventuale abbassamento delle soglie dimensionali per l’obbligo, a cui fra l’altro il legislatore Ue già sta pensando. Sarebbero da considerare anche interventi che incentivino la Dnf volontaria, modulando meglio i contenuti e/o i benefici/incentivi connessi, di carattere fiscale e non. Si potrebbe pensare a sistemi premianti nell’ambito delle commesse pubbliche o dell’accesso a sussidi ambientali, visto anche il contenuto dei piani riferiti al Green Deal nazionale e al Recovery Fund dell’Ue. Consob, preso atto dello scarso numero di Dnf volontarie, ha indetto una pubblica call, aperta fino al 30 novembre. È importante che, malgrado il periodo complicato, la partecipazione delle imprese sia ampia e qualificata. Quanto ai vantaggi sono molteplici perché, in generale, la Dnf volontaria è una opportunità. Senza tralasciare, poi, che la reportistica Esg consente alle imprese di intraprendere un percorso che, come attestato da autorevoli analisi, migliora la performance, accresce la capacità di attrarre investitori e di ottenere finanziamenti bancari. Peraltro il percorso Ue di ampliamento del perimetro dell’obbligo di Dnf per tutte le società quotate appare segnato, assai probabile e imminente. Quindi l’utilizzo del formato Dnf può consentire alle imprese di farsi trovare pronte a questo passaggio». Quanto i temi di finanza sostenibile stanno orientando la regolazione finanziaria? «Moltissimo. L’ammontare di investimenti necessari per la riconversione del sistema produttivo e per mitigare gli effetti delle emissioni di CO2 è di gran lunga superiore alle risorse a disposizione del pubblico e gli investimenti privati sono essenziali. Il piano europeo per la neutralità climatica al 2050 richiede fra il 2021-2030, secondo stime Ce, uno sforzo aggiuntivo da 350 miliardi. Nel contempo la consapevolezza degli investitori su rischi e opportunità Esg è crescente e anche la terribile pandemia in corso sta contribuendo a generare questa consapevolezza. Le scelte di investimento, tuttavia, vengono fatte anche in funzione di altri fattori. Perciò interviene la corposa regolazione finanziaria dedicata, che - in larga parte in costruzione - copre anche altri aspetti, tra cui l’informazione da prospetto, la considerazione dei fattori Esg nella gestione delle spa quotate, gli indici di riferimento per i benchmark climatici e per la tassonomia delle attività economiche e altro ancora. Il piano delle istituzioni Ue in materia di finanza sostenibile è imponente. Il progetto è ambizioso, la scelta politica è chiara. Si auspica che l’Ue sia seguita anche da altre giurisdizioni sia perché solo un impegno globale può consentire di incidere su fenomeni come la crisi climatica, sia perché è indispensabile che, nel durante, le piazze finanziarie Ue continuino ad essere anche competitive. Cambiano anche gli strumenti, social bond, emissioni green. Cosa cambia per un regolatore che vigila sui mercati? «Le trasformazioni in corso certamente influenzano l’attività dell’Autorità. La sensibilità degli investitori nei confronti di rischi e opportunità Esg porta a registrare, per strumenti così etichettati, performance finanziarie migliori rispetto a quelle degli strumenti tradizionali. Il fenomeno porta anche alla utilizzazione di queste tematiche come driver per la distribuzione di prodotti e servizi di investimento. Di recente Consob ha autorizzato l’operatività di diversi gestori che intendono commercializzare quote di fondi, che integrano fattori Esg nelle proprie politiche di investimento e che, a determinate condizioni, possono essere sottoscritti anche dal pubblico retail. L’insieme di questa offerta innovativa è connotata da forte positività, al pari di ogni altra iniziativa che, in condizioni di adeguata tutela dell’investitore, consente di tramutare il risparmio in investimento e di far affluire capitali all’economia reale. Tuttavia in un quadro di regole ancora incompleto e con oggettiva scarsità di informazioni attendibili e comparabili, la focalizzazione dell’offerta e della domanda su profili Esg dell’investimento non è priva di rischi. In particolare deve essere fronteggiato il possibile green-washing e il rischio di una utilizzazione puramente opportunistica dell’acronimo Esg. Questa utilizzazione, specie se gli strumenti sono offerti al pubblico retail, può determinare mis-selling e bolle speculative che prima o poi scoppiano. Anche per questo, il 12 marzo scorso, Consob, a quadro legislativo vigente, ha pubblicato al riguardo un richiamo di attenzione diretto agli intermediari che hanno un ruolo cruciale nella distribuzione di prodotti di investimento». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 12/11/2020

12 Novembre 2020

L’Italia colmi il gap sui green bond sovrani

  Le proposte al Governo sull’utilizzo di strumenti di finanza sostenibile per l’impiego delle risorse del Next Generation Ue e le risposte attese. Il segretario generale del Forum per la Finanza sostenibile, Francesco Bicciato, parla di green e social bond e invita l’Italia a colmare il gap. La pandemia sta mettendo a dura prova il rilancio economico ma ha messo anche in evidenza la necessità di spingere sulla finanza sostenibile. Quali sono le strade da percorrere? “L’errore è non pensare già da adesso al modello di sviluppo che vorremmo fosse al centro delle politiche del Governo quando sarà finita la pandemia. Modello che si deve fondare su due principi: sul rapporto tra ambiente ed economia/finanza, dicotomia antica che occorre superare perché un ambiente più sostenibile è il framework ideale per il rilancio economico e occupazionale, consolidato dai dati più recenti. L’altro principio è di carattere istituzionale. Nei primi mesi del 2020, in piena pandemia, la Commissione Ue ha precisato che partirà il Next Generation, ma i principi devono essere gli stessi del Green New Deal con l’aggiunta del sostegno al sistema sanitario e con due atti non rinviabili: la nuova legge sul clima e la riforma dell’action plan sulla finanza sostenibile. E’ importante che la politica economica del Governo sia chiaramente indirizzata a questi pilatri. Da qui la nostra lettera. Parliamo appunto della lettera inviata al presidente del Consiglio e a cinque ministri con le proposte sull’utilizzo di strumenti di finanza sostenibile per l’impiego delle risorse Ue. Ce ne parla? Schematizzando la lettera sui punti chiave, le nostre proposte, da un lato, insistono sulla questione dello sviluppo sostenibile in campo ambientale con fortissima attenzione all’inclusione sociale. Dall’altro spieghiamo che dalla spesa dell’80% delle risorse europee nella decarbonizzazione italiana conseguirebbe un aumento del 30% del Pil e incremento del tasso di occupazione del’11% entro il 2030: non è solo 'disinvesting' dalle fonte fossili ma diventa 'investing’ virtuoso. Così abbiamo pensato di mettere nero su bianco la nostra proposta in 8 punti: dall’impiegare la tassonomia europea delle attività eco-compatibili, allineare gli strumenti di finanza pubblica ai benchmark climatici ad emettere green e social bond sovrani e regionali. Pronti a fornire il nostro patrimonio di esperienza dal momento che il Forum compie 20 anni e aderiscono quasi 120 organizzazioni. Perché la partnership pubblico-privato può fungere da moltiplicatore: se abbiamo 209 miliardi da spendere e ci allineiamo agli Sdgs e allineiamo gli obiettivi di imprese e del pubblico arriviamo ad una leva di moltiplicazione di quelle risorse fino a 700-800 miliardi. Sono meccanismi pronti ma non se ne parla molto. Promuovere social e green bond. A che punto siamo in Italia? Fino a poco tempo fa era molto chiara la funzione dei green bond mentre sui social bond c’era poca letteratura o, comunque, non avevano avuto successo. Ora focalizzandosi sul settore sanitario e con il sostegno dell’Ue, diventano uno strumento fondamentale per sfruttare i fondi dell’Ue. Certo, sui green bond sovrani siamo indietro e occorre che anche l’Italia colmi il gap. Anche se il ministro Gualtieri li ha annunciati e arriveranno. Ora si parla anche dell’utilizzo di un terzo del Next Generation Ue con questi strumenti: è un’ottima occasione ma serve attenzione perché i green bond hanno standard Ue ben precisi e devono essere utilizzati in modo trasparente. Visto che il mercato italiano privato sui green bond è avanti, la cosa più intelligente è uno sviluppo pubblico-privato; quando il Mef emetterà un green bond sovrano punti molto sull’esperienza che la finanza sostenibile ha avuto negli ultimi dieci anni. Si è aperta la nona edizione della settimana SRI, appuntamento del Forum dedicato all’investimento sostenibile e responsabile. Cosa vi aspettate? Abbiamo numeri di partecipazione impressionanti, lanceremo ufficialmente le proposte e ci aspettiamo le prime risposte da parte del Governo. Ci piacerebbe, visto che ci mettiamo a disposizione senza nessun altro interesse di bottega, avere qualche risposta. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO  12/11/2020

12 Novembre 2020

La storia di Nativa e le B Corp. Standard per misurare la sostenibilità e restare sul mercato

La scelta di un modello sostenibile è ormai un imperativo per le aziende, un pre-requisito per continuare ad operare sul mercato, spiega Eric Ezechieli, co-founder di Nativa, prima B Corp italiana, a SustainEconomy.24, report di Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School   Adottare un modello sostenibile è ormai un imperativo per le aziende, un pre-requisito per continuare ad operare sul mercato. E l’innovazione delle B Corp è stato creare standard per misurare quanto le aziende siano realmente sostenibili. Eric Ezechieli, co-founder insieme a Paolo Di Cesare di Nativa, una delle aziende fondatrici del movimento B Corp in Europa e prima B Corp italiana, racconta la storia della società e parla della risposta “estrememente positiva dell’imprenditorialità italiana. Presente in 130 settori e in 50 paesi, il movimento globale B Corp sta crescendo rapidamente e conta oggi più di 2.500 membri con l’obiettivo di riscrivere il modo di fare impresa. In Italia si contano ad oggi oltre 100 B Corp. Promuovere la sostenibilità e aiutare le aziende a far coesistere il profitto con obiettivi virtuosi. Come è nata la vostra idea di una BCorp? «B Corp è un concetto nato una quindicina di anni fa ed ha avuto il merito di chiarire in maniera netta e cristallina cosa significhi fare business in maniera sostenibile. Diciamo che di sostenibilità nel business se ne parla da anni ma fino a 15 anni fa non era chiaro quando fosse sostenibilità annunciata e quanto fosse sostanza. Quello che è successo con le B Corp è stato creare degli standard di misurazione che consentono di capire in maniera chiara se una azienda è o non è sostenibile, vale a dire se sta creando valore economico, ambientale e sociale oppure sta creando valore economico e non necessariamente ambientale e sociale. Perché  B Corp? Nativa ha come caratteristica di essere stata la prima B Corp in Europa perché  crediamo profondamente in questo modello;  è una direzione ineluttabile e ci sono vantaggi nel farlo. Abbiamo anche la fortuna di lavorare con aziende leader e possiamo affiancare e accelerare il loro percorso. Del resto è ormai conclamato e emerso come indispensabile incorporare nella strategia delle aziende, oltre agli shareholder, anche gli stakeholder. E’ un vero e proprio cambio di prospettiva. I tempi cambiano; dopo 50 anni in cui è stata dominante la dottrina della shareholder primacy, ora diventa indispensabile un cambio di modello, perché un’azienda che non includa nella propria equazione di business le persone e l’ambiente diventa meno performante». Quali sono i vantaggi per le aziende che scelgono questa strada? «Propongo di parlare da una prospettiva diversa: più che di vantaggi, direi che quello che sta emergendo è l’imperativo del fare questa scelta perché un’azienda evoluta non può permettersi di non farlo. E’ un imperativo che diventa pre-requisito per continuare a operare sul mercato. La penalty se non si sceglie questa strada è molto vicina all’estromissione dal mercato. Poi ci sono, sicuramente, una serie di vantaggi in termini di gestione della reputazione, di creazione di valore del brand, di attrazione di talenti, di riduzione costi. Sono decine di effetti collaterali positivi che attribuiscono un valore ma a monte c’è il fatto che non adottare questo modello  diventa la formula per l’autodistruzione dell’azienda». Nativa è una delle aziende fondatrici del movimento B Corp in Europa, nonché prima B Corp italiana e partner in Italia di B Lab.  Avete anche collaborato con il Senato per l’introduzione della legge Società Benefit. Come rispondono l’Italia e le imprese italiane? «Quello che abbiamo riscontrato è che in Italia c’è una risposta estremamente positiva e un’attivazione del meglio dell’imprenditorialità italiana su questi temi. Le aziende italiane hanno storicamente un forte radicamento sul territorio, spesso sono aziende familiari e pensano con prospettiva più a medio-lungo temine e intergenerazionale e, quindi, l’incorporazione della sostenibilità e tendere verso lo status di B Corp sono stati recepiti in modo veloce e molto positivo. Tanto che oggi abbiamo più di 100 aziende certificate come B Corp, che vuol dire che soddisfano i più alti standard di performance ambientale, sociale e economica e più di 500 aziende che hanno adottato lo status giuridico di società benefit, l’andare a scrivere nell’oggetto sociale dell’azienda che lo scopo è bilanciare la creazione di valore tanto  per gli stakeholder che per gli shareholder». Le chiederei, se ci sono, a livello di aziende, comparti più resistenti o più disponibili? «In Italia, come nel resto del mondo, l’adozione di questi modelli avanzati di sostenibilità è abbastanza trasversale. Non ci sono settori in cui si concentrano. Nel mondo ci sono più di 150 settori diversi e in Italia almeno 30-40 settori diversi in cui ci sono B Corp: dall’alimentare ai servizi, dalla finanza al fashion, alle assicurazioni. È estremamente interessante perché ci dimostra che una prospettiva di sostenibilità non è specifica di una certa industry ma può essere adottata a 360 gradi». Come si concilia tutto ciò con il particolare momento storico che stiamo vivendo? Con l’emergenza e la crisi sanitaria ed economica? «Quello che è emerso, nell’ultimo anno è che le aziende che hanno un migliore profilo di sostenibilità e quelle che diventano B Corp, anche nelle condizioni estremamente complesse e drammatiche che stiamo vivendo, tendenzialmente performano meglio delle altre aziende per una serie di ragioni: hanno relazioni virtuose con gli ecosistemi di cui sono parte, con i fornitori, i clienti perché hanno una serie di meccanismi di innovazione e gestione dell’emergenza. Perché anche di fronte alle difficoltà si riprendono più’ velocemente. Le aziende sostenibili sono poi quelle che hanno maggiore capacità di innovare e mettere in campo più velocemente soluzioni. Da ultimo, ci sono le valutazioni che vengono dal mondo degli investimenti, dai grossi fondi, BlackRock in primis: è ormai risaputo che aziende che hanno un profilo di sostenibilità migliore performano meglio delle altre e quindi anche da parte della comunità finanziaria forte spinta che incentiva in questa direzione. Questo momento di crisi è sicuramente un acceleratore perché mettiamo in discussione lo standard di quello che abbiamo fatto negli ultimi decenni». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 12/11/2020