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04 Marzo 2022

Tap: «Pronti ad assicurare le forniture a Italia e Ue con aumento capacità. E in futuro l’idrogeno»

Il managing director, Luca Schieppati, ne parla a SustainEconomy.24 Nel suo primo anno di operatività il gasdotto Tap, che porta gas dall'Azerbaijan ha trasportato in Europa oltre 8 miliardi di metri cubi di gas, di cui 6,8 miliardi in Italia ed ha contribuito ad annullare il differenziale storico di circa il 10% che l'Italia pagava sul prezzo all'ingrosso rispetto ad altri Paesi europei. Il gasdotto, in prima linea in questi giorni di  particolare congiuntura e crisi storica, può aumentare i volumi già quest'anno ed è pronto ad anticipare il raddoppio della capacità. Come spiega Luca Schieppati, managing director di Tap, in un'intervista a SustainEconomy.24, il report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School. Il gasdotto Tap si sta rivelando importante in questa particolare fase di congiuntura e geopolitica. A che punto siete? Quali sono i numeri di Tap oggi? «I primi flussi di gas dall'Azerbaigian sono arrivati in Italia, nel Terminale di Ricezione di Melendugno, il 31 dicembre 2020. Nel suo primo anno di operatività, Tap ha trasportato in Europa oltre 8 miliardi di metri cubi di gas naturale, di cui circa 6,8 in Italia, contribuendo significativamente a rafforzare la sicurezza degli approvvigionamenti del nostro Paese e dell'intero continente». É possibile accelerare o anticipare i target per quest'anno per contribuire a ridurre i prezzi, contenere il caro-bollette e affrontare i rischi di approvvigionamenti? «In termini di costo della materia prima, già nel corso del 2021 l'entrata in esercizio di Tap ha contribuito, insieme ad altri fattori, ad annullare sostanzialmente, e talvolta perfino ad invertire, il differenziale storico di circa il 10% che l'Italia pagava sul prezzo all'ingrosso del gas naturale rispetto alle altre nazioni del Centro e del Nord Europa. Nel breve termine, consci delle criticità connesse all'attuale congiuntura di elevata domanda e scarsa offerta, ci stiamo concentrando nel raggiungere il pieno utilizzo dell'attuale capacità del gasdotto, ovvero 10 miliardi di metri cubi/anno sulla base dei contratti di trasporto a lungo termine. Anche utilizzando la capacità offerta da Tap a breve termine, mediante le aste sulla piattaforma Prisma, ulteriori volumi aggiuntivi potrebbero poi essere disponibili dall'area del Caspio nel corso dell'anno. In un orizzonte di lungo periodo, è in corso la consultazione pubblica per sondare l'interesse del mercato per un'espansione di capacità che tipicamente si origina quando avviene l'incontro tra nuova disponibilità di domanda, ovvero l'interesse del mercato italiano ed europeo ad assicurarsi su base vincolante ulteriori volumi di gas rispetto agli attuali 10 miliardi di metri cubi, e di offerta, in altre parole la produzione aggiuntiva nell'area del Caspio. Possiamo anticipare di circa un anno rispetto ai due originariamente previsti la conclusione di questa procedura e, a fronte di una sua conclusione positiva, possiamo avviare gli investimenti necessari e concluderli in un arco temporale di circa 4 anni». Parliamo di transizione. Il Tap ha caratteristiche green? «Nuovi volumi di idrogeno e altri gas rinnovabili potranno essere trasportati in futuro lungo la nostra infrastruttura. È un percorso che abbiamo già intrapreso; abbiamo completato con Snam un primo studio per il trasporto di idrogeno in miscela con il gas naturale ed è in corso la preparazione per prove di laboratorio per testare i materiali e porre il nostro gasdotto ‘a prova di futuro'». Quindi vede concretamente la possibilità di trasportare idrogeno in futuro? «Mi riallaccio alle risposte precedenti e mi permetto di sottolineare come in realtà l'espansione della capacità sia davvero il modo migliore, se non l'unico, per Tap di contribuire a facilitare la realizzazione delle ambizioni energetiche e climatiche italiane ed europee. Nuovi volumi di idrogeno e altri gas rinnovabili potranno essere trasportati attraverso l'espansione della capacità di Tap e relativi adeguamenti per veicolare l'idrogeno in miscela con il gas naturale, essendo la capacità attuale sostanzialmente prenotata nella sua totalità dagli attuali contratti di trasporto a lungo termine». E che ruolo può svolgere il gas nella transizione? «Nei colloqui tenutisi a Baku durante il Southern Gas Corridor Advisory Council, cui ho avuto l'onore e il piacere di partecipare, la Commissaria Ue all'Energia Kadri Simson ha ribadito il ruolo del gas naturale e di Tap nel garantire sia la sicurezza degli approvvigionamenti sia una just transition verso una progressiva decarbonizzazione. A beneficiare di nuovi ulteriori flussi dall'Azerbaijan sarebbero non solo i Paesi membri, tra cui l'Italia, ma anche quelli dell'area dei Balcani Occidentali, ancora fortemente dipendenti dall'utilizzo su larga scala di carbone e di lignite». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 3/4/2022

04 Marzo 2022

Batistoni (Enea): «Dalla fusione nucleare energia pulita e sicura. Il 2050 è il nostro traguardo»

Importanti le ricadute per il sistema industriale, spiega la responsabile della Sezione Sviluppo e Promozione della Fusione dell'Enea Sviluppare la fusione nucleare per produrre energia sicura, pulita e illimitata. Paola Batistoni, responsabile della Sezione Sviluppo e Promozione della Fusione dell'Enea, racconta a SustainEconomy.24, report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School, la road map della ricerca a livello europeo e italiano con l'obiettivo di arrivare a energia in rete intorno al 2050. Parla delle importanti ricadute per il sistema industriale e anche degli investimenti di magnati come Gates o Bezos. Il lavoro sulla fusione nucleare quanto contribuirà a garantire energia pulita in futuro? «Noi stiamo sviluppando l'energia da fusione proprio per questo motivo, per vedere di rendere disponibile all'umanità una fonte di energia che non produce anidride carbonica, quindi non produce gas climalteranti, è sicura ed è illimitata con risorse disponibili per centinaia di migliaia di anni, forse milioni. Una fonte di energia che, a differenza delle rinnovabili, ha una regia programmabile. Quindi, la ricerca sulla fusione è finalizzata a realizzare una fonte di energia con queste buone caratteristiche che possa integrare le rinnovabili e contribuire davvero ad una società completamente decarbonizzata». Ci aiuta a capire cosa si sta facendo a livello di ricerca? «Intanto occorre chiarire che alla fusione stanno lavorando tutti i Paesi avanzati. In Italia, come nel resto del mondo, le ricerche sono cominciate alla fine degli anni ‘50 ma sono cominciate da zero. Per realizzare la fusione nucleare in laboratorio, infatti, occorre portare la materia in condizioni estreme, confinando in gabbie magnetiche un gas di idrogeno a temperature 10 volte più elevate di quelle che abbiamo nel centro del sole - tipicamente 150 milioni di gradi - e questo è necessario perché la fusione avviene all'interno delle stelle dove però c'è una densità di materia molto più elevata. Pertanto, riuscire a realizzare in laboratorio le condizioni per la fusione è stato oggetto di ricerche per anni ed ha richiesto lo sviluppo di nuovi campi della fisica. Ora riusciamo a raggiungere queste condizioni nei nostri laboratori, e ottenere la fusione e controllarla per tempi relativamente lunghi. Due terzi del mondo - l'Europa, gli Stati Uniti, la Russia, l'India, il Giappone la Corea del Sud – stanno collaborando al primo reattore, sempre sperimentale, ma della taglia di un reattore vero e proprio, che si chiama Iter (International Thermonuclear Experimental Reactor) che stiamo costruendo in Francia e che dovrà produrre 500 megawatt di potenza di fusione, per tempi lunghi - dalle decine di minuti fino all'ora. Per dimostrare la fattibilità scientifica e tecnologica della fusione. Abbiamo, poi, Eurofusion, un programma europeo coordinato da Euratom, a cui collaborano tutti i Paesi europei, che ha elaborato una road map per arrivare ad avere energia da fusione; naturalmente una tappa fondamentale della roadmap sarà il successo di Iter, poi ci sono attività parallele per sviluppare le tecnologie necessarie per passare dal reattore sperimentale a quello dimostrativo in grado di immettere energia elettrica in rete». A livello di tempi cosa prevedete?  «Non siamo all'anno zero, abbiamo già soluzioni che però devono essere testate e qualificate per essere utilizzate in un reattore di potenza. Per questo diciamo che ci servono ancora circa trent'anni. Sui tempi siamo molto chiari: dobbiamo finire di costruire Iter e fare la sperimentazione almeno per una decina di anni e, in parallelo, sviluppare tutte le tecnologie, per poi avere, finalmente, energia in rete. Quindi realisticamente la metà del secolo è il nostro traguardo». Quali sono il ruolo e l'apporto dell'Italia? «L'Italia ha una lunghissima tradizione sulla fusione. E i laboratori Enea hanno iniziato a studiare gas ionizzati già negli anni '60. Stiamo contribuendo in maniera importante al programma europeo e siamo i secondi contributori del consorzio Eurofusion dopo la Germania. Siamo forti nella fisica dei plasmi e nella sperimentazione, in tante tecnologie dai materiali speciali che servono per i reattori, ai magneti e cavi superconduttori, stiamo veramente lavorando a 360 gradi. Grazie alla nostra presenza come presidio di ricerca e alla collaborazione che abbiamo sempre avuto con il settore industriale, l'industria italiana - per quanto riguarda il reattore Iter - ha avuto commesse per 1,8 miliardi, una grossa frazione dell'investimento europeo. È un caso di successo con ricadute sul nostro sistema produttivo e un impatto economico. Enea partecipa a Eurofusion coordinando circa venti istituti, fra cui il Cnr, Infn, molte università e alcune industrie. Nei prossimi anni, l'Italia contribuirà alla roadmap europea con un nuovo grande esperimento di fusione in via di costruzione presso l'Enea di Frascati, chiamato Divertor Tokamak Tesrìt (DTT), nell'ambito di una collaborazione tra Enea, Eni e altri istituti e università italiani, con un investimento totale di circa 600 milioni di euro». Si è arrivati dunque, ad una fase della ricerca in cui c'è una forte collaborazione internazionale ma anche importanti opportunità? «E' un settore dove c'è grande collaborazione internazionale ma c'è anche competizione sugli aspetti industriali perché ci sono ricadute industriali notevoli e un interesse strategico da parte di tutti i Paesi per lo sviluppo tecnologico. C'è anche da dire che, negli ultimi anni, c'è stato un forte interesse anche dei privati. Grazie agli investimenti di personaggi noti come Bill Gates, Jeff Bezos, circa 40 società in tutto il mondo hanno raccolto alcuni miliardi di dollari da destinare alla fusione. E si affacciano a questo settore, a mia opinione, perché capiscono che siamo arrivati ad un certo punto di maturità e perché c'è un gran bisogno di fonti di energia che non siano climalteranti. Alcuni propongono configurazioni leggermente diverse e più semplici o si ripromettono di sviluppare soluzioni tecnologiche più spinte in maniera di arrivare alla fusione prima rispetto alla nostra valutazione. Pensiamo che tutto questo interesse e questo sforzo dei privati sia assolutamente positivo e che possa portare a soluzioni migliori. Siamo, invece, un po' scettici sulle promesse di tempi molto più brevi. Il nostro approccio, tipico delle imprese pubbliche, è più conservativo, assume meno rischi, ma comunque con una strada ben tracciata». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 4/3/2022

04 Marzo 2022

Anev: «L’Italia ha il potenziale eolico per centrare i target e abbassare i prezzi. Ma la burocrazia è freno»

Il presidente dell'associazione, Simone Togni, avverte: le ultime novità normative innescano la fuga degli investitori L'Italia ha un potenziale eolico importante in grado di centrare i target di decarbonizzazione al 2030, aiutare a tagliare le bollette e ridurre la dipendenza dal gas russo. Ma, con la burocrazia, non riusciremo mai a raggiungere questi obiettivi. Simone Togni, presidente di Anev, l'Associazione nazionale energia del vento, ne parla a SustainEconomy.24, report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School. E le ultime novità normative, dice, non fanno che peggiorare la situazione innescando una fuga degli investitori. L'energia eolica può svolgere un ruolo importante nella transizione. A che punto siamo in Italia?  «Il potenziale eolico nazionale al 2030 è pari a 19,3 GW. In Italia siamo giunti ad una potenza eolica installata pari a 10,93 GW ma la crescita negli ultimi anni è stata lenta e non adeguata al passo richiesto dalla transizione. Negli ultimi nove anni i dinieghi delle soprintendenze sono stati costanti e le autorizzazioni sono passate da 1.200 MW nel triennio 2012-2014 a 750 MW nel 2015-2017 (con un calo del 40%), fino ai miseri 125 MW nell'ultimo triennio 2018-2020 con un calo dell'80%. Il Pniec prevede, al 2030, il raddoppio della capacità eolica rispetto a quella installata in Italia oggi, a 20 GW, che consentirà una produzione di energia elettrica superiore ai 40 TWh. Purtroppo, con l'attuale sistema burocratico non arriveremo mai a raggiungere gli obiettivi prefissati; infatti, ci vogliono in media 5 anni e mezzo per autorizzare i nuovi impianti contro l'anno previsto. L'inizio dei lavori del primo impianto eolico offshore in Italia, a Taranto, è la dimostrazione del fatto che abbiamo aziende all'avanguardia, ma devono essere messe in condizione di lavorare, senza ostacoli burocratici». Quali sono le potenzialità che vede in un prossimo futuro e a lungo termine?  «Il settore eolico è tranquillamente in grado di garantire l'installazione della potenza elettrica necessaria a centrare i target di decarbonizzazione al 2030 e di arrivare a ben oltre i 30 GW al 2050, considerando anche le applicazioni off-shore. Questo consentirebbe di triplicare l'attuale produzione elettrica e coprire circa il 20% dei consumi nazionali con grande beneficio in termini di riduzione delle emissioni di gas climalteranti e di risparmio di barili di petrolio equivalenti. E aiuterebbe significativamente ad abbassare il costo della bolletta energetica del nostro Paese, considerando che il costo dell'energia eolica è intorno ai 65 €/MWh contro gli oltre 200 €/MWh che oggi sono quotati in borsa a causa del costo del gas. Tale crescita garantirebbe, poi, un importante incremento delle prospettive occupazionali: dalle sedicimila attuali fino a quasi centomila unità, soprattutto in aree del Paese notoriamente ‘depresse'. Purtroppo, il quadro normativo e regolatorio attuale difficilmente ci consentirà di raggiungere questi obiettivi se non si attueranno politiche di semplificazione profonde». A proposito di autorizzazioni e burocrazia, gli ultimi decreti possono aiutare? «Purtroppo, le ultime novità normative non fanno che peggiorare la situazione. Il Dl Sostegni Ter prevede, a favore delle imprese, un intervento stimato in 1,7 miliardi, volto a contenere l'aumento dei costi delle bollette prelevando dalle tasche dei produttori di rinnovabili che vendono l'energia elettrica sul libero mercato oltre due terzi del valore dell'energia riconosciuto alle altre fonti. Questa norma ha visto la luce senza una condivisione con i corpi intermedi rappresentativi dei vari settori colpiti, e questo metodo non può essere condiviso. La reazione è stata unanime, basti pensare che hanno congiuntamente mandato una lettera di protesta al premier Draghi i rappresentanti dei produttori di energia, dei consumatori, delle imprese tecnologiche del settore energetico e le associazioni ambientaliste. La norma mette in grave rischio il corretto svolgimento delle dinamiche di mercato e non risolve minimamente la situazione emergenziale. Questa norma, qualora non venisse eliminata, comporterebbe una fuga degli investitori dal nostro Paese». Quindi i target dell'Italia sul fronte delle rinnovabili sono a rischio? E quanto aiuterà il Pnrr? «Gli obiettivi che il nostro Paese ha assunto in sede comunitaria sono fortemente a rischio se non si agirà velocemente a dare certezze del rispetto delle regole di mercato e se si attueranno le attese politiche di semplificazione necessarie. L'ultimo report di WindEurope e Anev riporta dati sconcertanti per tutta Europa: per raggiungere il target rinnovabili del 40% al 2030, l'Ue dovrebbe installare 30 GW di eolico ogni anno. Per dare un elemento di confronto in Europa si sono installati solo 11 GW nell'ultimo anno e circa 18 GW all'anno nei prossimi anni. Quote così basse mettono in pericolo il Green Deal e stanno danneggiando il settore eolico europeo. Ci troviamo di fronte ad obiettivi che sulla carta potrebbero dare impulso alla transizione ecologica, risolvendo anche la dipendenza del vecchio continente dal gas russo, ma che di fatto anche per mezzo di norme che danneggiano il settore, non si riuscirà a raggiungere». Parliamo appunto del caro energia. Crede che gli interventi strutturali decisi siano sufficienti? «Gli interventi presi dal Governo non solo non saranno sufficienti a contrastare il caro energia, ma sono lesivi di interi settori industriali. E l'attuale conflitto in Ucraina non aiuterà. La crisi energetica è causata dall'aumento del costo del gas che si sta ripercuotendo sui costi finali dell'energia elettrica ed è un elemento di criticità per il sistema produttivo e per le famiglie. Questa situazione di impennata dei costi energetici è causata dal crescente costo di produzione dell'energia da fonti fossili, in particolare dal gas, mentre le fonti rinnovabili, per loro natura, hanno un costo fisso. Infatti, in questi giorni, quando il prezzo dell'energia elettrica in Italia ha toccato i 250 €/MWh, in alcuni mercati del Nord Europa, grazie alla elevatissima produzione di energia dal vento e dal sole, il prezzo del kWh è sceso in negativo. L'Italia ha voluto, negli anni, contrastare lo sviluppo di queste tecnologie e ora ne paga le conseguenze. Si sarebbe dovuto intervenire sia negli anni passati tramite la transizione energetica promessa e non attuata, sia tramite sistemi di approvvigionamento adeguati delle risorse necessarie. Oggi dobbiamo correre per recuperare il tempo perso e lo possiamo ancora fare, basti pensare che ci sono progetti presentati per le autorizzazioni e che hanno chiesto già la connessione a Terna per ben oltre il numero previsto al 2030. Vanno analizzati in tempi rapidissimi e, nel dovuto rispetto del paesaggio e delle norme ambientali previste, autorizzati subito. Mettendo tali impianti a mercato, e non levandoli come sciaguratamente ha fatto il nostro Governo, il prezzo dell'energia elettrica scenderà insieme alla nostra dipendenza energetica. La nostra proposta al Governo è spingere sulle nuove rinnovabili senza indugio, scoraggiare l'utilizzo delle fonti fossili tagliando gli ingentissimi sussidi a loro riconosciuti, in questo modo abbatteremo i costi della bolletta elettrica e procederemo verso la transizione ecologica con decisione». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 4/3/2022

18 Febbraio 2022

Google: «Ricerche online sostenibili e il nostro impegno per l’ambiente. Zero emissioni al 2030 e data center green»

Kate Brandt, chief Sustainability officer di Google, racconta il percorso della big company e gli investimenti green con una forte risposta di utenti e imprese Carbon neutral dal 2007, Google punta a zero emissioni al 2030 in tutte le operazioni e nella catena del valore. Kate Brandt, Chief Sustainability Officer di Google, racconta in un'intervista a SustainEconomy.24, il percorso della big company Usa che passa dai data center sostenibili, alimentati da energia carbon neutral e water positive. Al guidare gli utenti nelle scelte sostenibili nei viaggi, negli alloggi, negli investimenti finanziari o nell'acquisto di un prodotto e nei percorsi eco-friendly su Google Maps, in arrivo in Europa nel 2022. «Entro il 2025, ci aspettiamo di aver attivato oltre 2 miliardi di euro di investimenti in nuovi progetti per generare energia pulita e infrastrutture green in Europa, che speriamo aiutino anche a creare più di 2.000 nuovi posti di lavoro», sottolinea Brandt. Che vede una forte risposta da parte degli utenti e delle imprese. «Negli ultimi cinque anni in Google abbiamo visto un aumento di quasi 5 volte nelle ricerche online di beni sostenibili». L'impegno per l'ambiente di Google ha già raggiunto obiettivi importanti. Carbon neutral dal 2007, Google punta a zero emissioni al 2030. A che punto siamo? «Siamo in grado di assumerci questi impegni perché la sostenibilità è un valore fondamentale fin dalla fondazione di Google, più di 20 anni fa. Nel 2007 siamo stati la prima grande azienda a diventare carbon neutral, e nel 2017 abbiamo compensato il nostro uso di energia con il 100% di energia rinnovabile, e lo abbiamo fatto per quattro anni di fila. Ora il nostro nuovo obiettivo è quello di raggiungere entro il 2030 emissioni nette zero in tutte le nostre operazioni e nella catena del valore. E prima del 2030 puntiamo a ridurre la maggior parte delle nostre emissioni (rispetto al 2019). Siamo orgogliosi dei progressi che stiamo facendo. Cinque dei nostri data center, compresi quelli in Danimarca e Finlandia, sono alimentati al 90% o quasi di energia carbon neutral». Ma la sfida della sostenibilità non si ferma all'ambiente e al cambiamento climatico. Avete annunciato innovazioni nelle ricerche, nei percorsi, nelle soluzioni di viaggio. Qual è l'obiettivo? «Vogliamo rendere la tecnologia disponibile per tutti, organizzando le informazioni da tutto il mondo e rendendole universalmente accessibili e utili. Questo obiettivo, insieme al nostro impegno per la sostenibilità, si traduce nell'aiutare a rendere più semplice fare scelte sostenibili. Questo vale per i viaggi, così come per la scelta di un alloggio, un investimento finanziario o l'acquisto di un prodotto. Nel 2021, abbiamo introdotto nuove funzioni per prenotare voli o per esempio i percorsi eco-friendly su Google Maps (in arrivo in Europa nel 2022). Quando le persone cercano su Google informazioni sul cambiamento climatico, mostriamo loro informazioni credibili da fonti autorevoli, tra cui le Nazioni Unite». State potenziando anche la rete dei data center sempre con attenzione alla sostenibilità? «Per più di un decennio, abbiamo lavorato per rendere i data center di Google tra i più efficienti al mondo, progettando, costruendo e gestendo ognuno di essi per massimizzare l'uso efficiente di energia, acqua e materiali, migliorando le loro prestazioni ambientali anche quando la domanda dei nostri prodotti è aumentata. Nel 2020 abbiamo raggiunto il 67% di energia carbon-free su base oraria in tutti i data center, rispetto al 61% del 2019. In media, un data center di Google è due volte più efficiente dal punto di vista energetico di un tipico data center aziendale. Rispetto a cinque anni fa, forniamo una potenza di calcolo più alta di circa sei volte utilizzando la stessa quantità di energia elettrica. Inoltre, ci impegniamo affinché nessuno dei nostri rifiuti vada in discarica: nel 2020, il nostro tasso globale di deviazione in discarica per le operazioni dei data center era dell'81%. Stiamo anche costantemente lavorando per ridurre, reintegrare e ripristinare l'acqua nei nostri uffici e data center per diventare water positive entro il 2030. Questo significa che "restituiremo" il 120% dell'acqua che consumiamo, in media, nei nostri uffici e data center e aiuteremo a ripristinare e migliorare la qualità dell'acqua e la salute degli ecosistemi nelle società in cui operiamo. Lavoriamo, poi, per aiutare i nostri clienti a essere più sostenibili. Un esempio sono i due nuovi strumenti che abbiamo lanciato di recente. Il primo è il Google Cloud Region Picker, che aiuta i clienti a scegliere una Google Cloud Region considerando i parametri chiave tra cui il carbon footprint. E lo strumento "Carbon Footprint" utile in quanto riporta le emissioni di carbonio associate all'utilizzo della Google Cloud Platform di ogni cliente». In questa ottica state lavorando anche a soluzioni di intelligenza artificiale che possano accompagnare la transizione. Ce ne parla? «Il machine learning ci ha permesso di ridurre del 30% l'energia usata per il raffreddamento dei data center di Google e la tecnologia può anche aiutare nella decarbonizzazione delle città. Abbiamo recentemente condiviso un progetto di ricerca che, attraverso l'intelligenza artificiale, può aiutare le città a migliorare il traffico utilizzando in maniera più efficiente i semafori. In Israele è già stato adottato con successo: abbiamo visto una riduzione del 10-20% del consumo di carburante e del tempo di ritardo agli incroci. Presto estenderemo questo progetto ad altre città. Stiamo anche aiutando le città a ridurre 5 gigatonnellate di emissioni di CO2 entro il 2030, attraverso il nostro Environmental Insights Explorer (EIE)». In termini di investimenti è un impegno importante? Che ripaga? «Quando si tratta di impegnarsi per un mondo più sostenibile ed ecologico, le azioni e gli investimenti parlano più delle parole. Entro il 2025, ci aspettiamo di aver attivato oltre 2 miliardi di euro di investimenti in nuovi progetti per generare energia pulita e infrastrutture green in Europa, che speriamo aiutino anche a creare più di 2.000 nuovi posti di lavoro. Siamo anche impegnati a sostenere altre organizzazioni. Per citare solo uno dei tanti esempi: l'anno scorso abbiamo lanciato attraverso Google.org una Impact Challenge sul Clima, mettendo a disposizione 10 milioni di euro per il finanziamento di idee coraggiose che utilizzino la tecnologia per accelerare il progresso dell'Europa verso un futuro più sostenibile. E, pochi mesi fa abbiamo annunciato un nuovo progetto, Restor, disponibile in tutto il mondo - fondato da Crowther Lab e alimentato da Google Earth Engine e Google Cloud, che permette a chiunque di analizzare il potenziale di riqualificazione di qualsiasi area, fornendo dati accurati su qualsiasi zona». Che tipo di sensibilità riscontrate a queste tematiche? «Credo che ciò che è buono per il pianeta sia buono per il business. Sempre più aziende e clienti se ne stanno rendendo conto. Negli ultimi cinque anni in Google abbiamo visto un aumento di quasi 5 volte nelle ricerche online di beni sostenibili. I clienti stanno attivamente scegliendo opzioni sostenibili rispetto a quelle non sostenibili. E le aziende stanno giustamente spostando i loro modelli di business per soddisfare queste aspettative. Un paio dei molti esempi ravvicinati che abbiamo visto attraverso il nostro Google Cloud sono Groupe Rocher e Stella McCartney: il Groupe Rocher, azienda francese a conduzione familiare e mission-driven, ha firmato un accordo di collaborazione quinquennale con Google Cloud, mettendo la digitalizzazione sostenibile al centro della strategia di innovazione e crescita. Anche quello che abbiamo fatto con Stella McCartney è molto importante per noi. L'industria della moda è uno dei maggiori contributori alla crisi climatica ed ecologica globale - rappresentando fino all'8% delle emissioni globali di gas serra. Nel 2019, abbiamo deciso di creare uno strumento, costruito su Google Earth Engine, che utilizza il cloud computing di Google, per valutare il rischio ambientale di diverse fibre nelle varie regioni in relazione a fattori ambientali. Utilizzando lo strumento insieme al lavoro esistente sulla sostenibilità, il team di Stella McCartney è stato in grado di identificare le fonti di cotone in Turchia che stavano affrontando un aumento dei rischi idrici e climatici. In Italia, abbiamo recentemente lanciato una collaborazione simile con Eni e Boston Consulting per presentare una piattaforma digitale per lo sviluppo sostenibile delle filiere chiamata Open-es». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 18/2/2022

18 Febbraio 2022

Ibm: AI e cloud ibrido accelerano il “Journey to Sustainability” per ridurre i rischi del cambiamento climatico

L'analisi degli esperti: le tecnologie avanzate supportano le aziende ma servono azioni a livello di ecosistema Le tecnologie avanzate (cloud, intelligenza artificiale, quantum computing, IoT) possono svolgere un ruolo importante nella lotta ai cambiamenti climatici. E le Big Tech, che si trovano ad operare trasversalmente su più fronti, fungono da punto nodale del ‘Journey to Sustainability' per diversi tipi di industria e stakeholder: possono supportare le aziende nell'individuare i problemi, implementare nuovi sistemi, monitorare i risultati, formulare previsioni e adattare le proprie scelte, anche economiche, al percorso per il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità. Gli esperti di Ibm, partendo dalla valutazione dei loro sistemi, hanno realizzato un'analisi sul ruolo della tecnologia a supporto delle aziende in questa sfida; ma - osservano – servono un'azione a livello di ecosistema, avviare progetti pilota per creare una value chain, testarla e replicarla in via esponenziale e pianificare nuove strategie per contenere i danni economici, materiali e di occupazione. «Le sfide climatiche e ambientali non possono essere risolte con metodi antiquati: è importante agire da subito e lavorare insieme per accelerare il progresso scientifico facendo leva sulle metodologie e tecnologie più innovative, come AI, Robotica, Quantum Computing, High Performance Computing (HPC) e su un approccio basato su cloud ibrido, in grado di valutare e interpretare i dati più rilevanti e rendere disponibili previsioni future sempre più accurate sugli impatti che il clima può portare sulle infrastrutture», spiegano Luca Lo Presti, Executive Partner - Energy & Utilities at Ibm e Patrizia Guaitani, Distinguished Engineer, Technology Technical Community Leader, a SustainEconomy.24, il report di Luiss Business School e Il Sole 24 Ore Radiocor. Per spiegare come lo sviluppo di progetti virtuosi e sostenibili si ottiene grazie alla cooperazione tra diverse industrie che apportano, ciascuna per sua competenza, un elemento di valore, gli esperti citano, ad esempio, la transizione energetica. Gli obiettivi di riduzione di CO2 in relazione ai veicoli elettrici diventano implementabili solo se il settore pubblico e privato procedono di pari passo all'installazione delle colonnine di ricarica sul territorio, mentre la società di distribuzione elettrica abilita questi punti e le società del settore automobilistico convergono verso la produzione di modelli a ricarica elettrica. Oppure ricordano un modello già presente nei Paesi del nord Europa, dove con una specifica piattaforma realizzata da Ibm, enti pubblici contribuiscono all'efficienza energetica mettendo a disposizione il controllo dei consumi di elettricità, in funzione dei momenti di disponibilità di energia rinnovabile da parte dell'operatore elettrico. Un esempio di ‘value chain' trasversale tra diversi settori industriali che sarà replicato anche in Italia, in particolare, per lo sviluppo delle cosiddette comunità energetiche (condomini, aree urbane), che potranno diventare parte attiva nella produzione di energia (prosumer). Ma soprattutto l'analisi evidenzia il ruolo di AI e cloud ibrido. Lo dimostrano le applicazioni, ad esempio, dell'Ibm Environmental Intelligence Suite, un pacchetto software che combina le ultime innovazioni di intelligenza artificiale e automazione sviluppate da Ibm Research con le tecnologie già esistenti per l'analisi meteorologica e geospaziale. Uno strumento utile per aiutare organizzazioni pubbliche e private a rispondere ai rischi meteorologici e climatici che, allo stesso tempo, permette di effettuare una rendicontazione delle emissioni di carbonio delle imprese. O i progetti che hanno integrato le informazioni rese disponibili dalla piattaforma Ibm The Weather Company con i dati del cliente per costruire una dashboard utile ad evidenziare situazioni di allerta o rischio sui singoli punti della rete (entro 1 km) legati a condizioni metereologiche avverse, consentendo quindi di aumentare la resilienza dell'asset, ridurre i costi di manutenzione e contribuire efficacemente agli obiettivi di sostenibilità. Visti gli impatti del clima su diversi segmenti di mercato e la necessità di incrementare la resilienza di tutte le infrastrutture italiane (quali strade, ponti, linee elettriche, ferrovie, dighe), soluzioni di questo tipo potranno essere sempre più necessarie nel prossimo futuro. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 18/2/2022

18 Febbraio 2022

Cellnex: «Per essere sostenibili serve una cultura condivisa. I profitti partano da criteri e principi Esg»

L'ad di Cellnex Italia, Gianluca Landolina, annuncia la certificazione Easi e parla degli obiettivi di crescita a lungo termine Per essere veramente sostenibili nel lungo periodo serve una cultura condivisa nell'azienda e i profitti devono partire da criteri e principi Esg. Gianluca Landolina, amministratore delegato di Cellnex Italia, controllata dal gruppo spagnolo, quotato in Borsa, di infrastrutture di telecomunicazioni, leader in Europa con oltre 130.000 torri e un fatturato di circa 2 miliardi all'anno, racconta a SustainEconomy.24, report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School, l'approccio della società che punta al coinvolgimento di tutti i collaboratori e gli stakeholder sui temi Esg. E parla dei risultati raggiunti annunciando di aver ottenuto, prima azienda in Italia, la certificazione EASI, l'unico modello di sostenibilità aziendale riconosciuto da Accredia. Ma anche l'obiettivo di arrivare al 2025 al 100% di energia consumata certificata come green energy. Landolina mette in guardia dai rischi di greenwashing e da chi antepone la comunicazione ai fatti. Il nostro business delle torri, sottolinea, è anche muscolare, finanziario, ma soprattutto industriale e, forte di 6 miliardi investiti in Italia, vuole "traguardare non il profitto a breve ma la crescita a lungo termine". Si parla tanto di sviluppo sostenibile e di criteri Esg. Ma c'è anche chi paventa una ‘bolla' di sostenibilità, tentazione di greenwashing, difficoltà di conciliare i principi Esg con la redditività. E'così? «Ogni qualvolta qualcosa diventa di moda, inevitabilmente attira sia coloro che sono ‘sani' sia quanti lo sono meno; sicuramente, se persegui la sostenibilità soltanto per poterla comunicare probabilmente non otterrai poi grandi risultati, perché serve, invece, un lavoro preventivo sulla cultura aziendale. Che, per noi, in Cellnex, è iniziato 6 anni fa, quando non avevamo l'"ossessione" della sostenibilità e nessuno la pretendeva; lo facevamo per noi e abbiamo cercato di diffondere una cultura che non fosse mai monodirezionale ma andasse a raccogliere il percepito della popolazione aziendale in modo da raggiungere un compromesso che facesse stare bene tutti: sia l'azienda, come istituzione, sia le persone che la portano avanti. Da lì siamo stati stimolati con la prima certificazione, la seconda e, poi, la terza perché è la nostra cultura condivisa che ha permesso di raggiungere questi risultati. Il greenwashing, oggi, è un problema, è un rischio di chi mette la ‘press release' sulla sostenibilità davanti alla sostenibilità stessa, invece di mettere in prima linea quella cultura sostanziale che porta tanti benefici tra cui quello di essere veramente sostenibili nel lungo periodo». Partendo da queste premesse, come si conciliano le tematiche Esg con il business di Cellnex e che tipo di percorso state portando avanti? «Crediamo fermamente che la sostenibilità non debba essere solo un investimento o un costo perché in questo caso dipenderà sempre e soltanto da ‘un decisore' che stabilisce quando e perché ‘spendere' quei soldi per la sostenibilità. La sostenibilità, invece, deve entrare nei gangli decisionali dell'azienda e i profitti devono partire da criteri e principi di sostenibilità. E' necessario che la sostenibilità si autoalimenti insieme con il profitto: parlo delle famose tre ‘P', Planet, People e Profit, cui si va aggiungendo anche la Prosperità sociale. Dunque, quando tutto questo si autoalimenta - indipendentemente dal manager che decide di investire quando ci pensa o quando l'azionista glielo chiede - allora si sta facendo un percorso virtuoso di lungo periodo. Noi, facendo così, siamo arrivati all'importante risultato di avere la certificazione ‘EASI', Ecosistema aziendale di sostenibilità integrata». Ce ne parla? «Si tratta di una certificazione rilasciata da DNV Business Assurance ed è l'unica riconosciuta da Accredia, l'ente di accreditamento designato dal Governo italiano e sottoposto alla vigilanza del Mise. Essere certificati EASI significa che un soggetto terzo ha fatto una radiografia profonda e ha appurato che la sostenibilità è in effetti entrata in tutti i processi decisionali e di esecuzione micro e macro, a qualsiasi livello dell'organizzazione. Vale a dire che chiunque, nell'azienda, ha capito che la sostenibilità è sana, è sostenibile, crea un risparmio e concilia le famose tre P». Parliamo anche di ambiente e lotta al cambiamento climatico, importanti per una società di torri di telecomunicazioni. Che traguardi avete raggiunto e quali i prossimi obiettivi? «Cellnex Italia fa parte di un grande gruppo, Cellnex Telecom, che è presente in 13 Paesi in Europa e che si è dato un obiettivo molto sfidante con un Masterplan Esg, avviato nel 2021 e che traguarda al 2025, che ingloba 92 azioni che, chiaramente, scendono a cascata su tutti i Paesi del gruppo. Noi, come Italia, siamo assolutamente allineati e abbiamo seguito questo stimolo di virtuosità. Solo per citare un esempio: il 60% dell'energia elettrica che consumiamo oggi è certificata come green energy e, entro il 2025, l'obiettivo è che sia certificato il 100%. Ma teniamo tanto anche a coinvolgere in questa avventura quanti più stakeholder possibili. Si parla di moltiplicatore virtuoso quando un'azienda - che riesce a pensare ed agire in modo sostenibile - riesce a coinvolgere anche i fornitori. Così abbiamo invitato tutti i nostri principali fornitori ad avviare, anche loro, il percorso per la certificazione EASI. E sul tema vediamo che sono molto avanti e danno grandi soddisfazioni anche i nostri clienti - che sono gli operatori telefonici italiani – che stanno dimostrando di avere molto a cuore i principi e i criteri di sostenibilità sana e pura. Poi, mi piace ricordare che cerchiamo di aiutare il contesto nel quale ci muoviamo; negli ultimi anni abbiamo supportato tante associazioni, dal Banco Alimentare alla Comunità di Sant'Egidio, dalla Croce Rossa Italiana a Medici Senza Frontiere nel loro impegno verso un territorio disastrato dalla pandemia, con l'obiettivo di creare un rapporto che non sia mordi e fuggi ma sia sostenibile e possa diventare anche di partnership». E quali gli step che vede nel futuro di Cellnex? «Vogliamo corroborare e avere cura di questa risorsa incredibile che è la nostra cultura aziendale perché credo fermamente che il momento in cui si pensa di essere arrivati e, quindi, si allenta la tensione, è l'inizio del declino. E anche perché il contesto - e direi che lo abbiamo imparato bene in questi ultimi anni - può cambiare da un momento all'altro in maniera repentina. Quindi aumenteremo sempre più la nostra attenzione sulla salvaguardia della cultura condivisa. Tutto questo è fondamentale per un'azienda come Cellnex che, come da piani per i prossimi cinquant'anni, vuole progredire e crescere. Il business delle torri è sicuramente anche muscolare, ovvero finanziario. Abbiamo infatti portato a termine importanti acquisizioni, Cellnex ha investito decine di miliardi negli ultimi sei anni e, solo in Italia, circa sei da quando siamo arrivati. Ma il nostro business è soprattutto industriale, non traguardiamo il profitto nel breve ma la crescita e la consistenza del business nel medio lungo termine e per questo è necessaria la dedizione di tutte le persone che lavorano in azienda». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 18/2/2022

18 Febbraio 2022

Mancino (Rai Way): «La sostenibilità e l’innovazione integrate nella strategia aziendale. Il 2022 sarà un anno sfidante»

L'amministratore delegato racconta obiettivi e traguardi in un'intervista a SustainEconomy.24 Un approccio alla sostenibilità che passa dall'integrazione con la strategia aziendale tanto che il Piano di sostenibilità traguarda al 2023 come il Piano industriale. E include anche l'innovazione, elemento distintivo del dna di Rai Way. Aldo Mancino, ceo della società di gestione e sviluppo delle reti di trasmissione e diffusione radiotelevisiva per la Rai, parla a SustainEconomy.24, report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School, di obiettivi e traguardi: dal 100% di energia elettrica rinnovabile al cda composto al 44% di donne alla riconfigurazione tecnologica del network per renderlo più efficiente in termini di consumi energetici. Il 2022 sarà un anno intenso e sfidante, assicura, con la tv digitale di nuova generazione nelle case degli italiani e lo sviluppo di un'infrastruttura per data center. Qual è l'approccio alla sostenibilità di Rai Way? E come si concilia con l'operatività? «Rai Way approccia la sostenibilità integrandola con la strategia aziendale e, conseguentemente, con l'operatività. Ecco perché il primo Piano di Sostenibilità di Rai Way, pubblicato ormai un anno fa, copre lo stesso orizzonte temporale del Piano Industriale 2023 e include, oltre ai classici pilastri Esg (ciò ambientale, sociale e di governance) anche l'innovazione, quale elemento distintivo del nostro Dna. Sostenibilità e innovazione proseguono quindi di pari passo tra loro e con l'operatività di un player infrastrutturale che connette le comunità, portando la radio e la televisione a tutti gli italiani, con una copertura capillare del Paese». Come è misurabile questo impegno? Ci fornisce alcuni dati? «Dal 2017 rendicontiamo il nostro impegno sul fronte della sostenibilità in modo puntuale e trasparente attraverso la Dichiarazione Non Finanziaria e offriamo disclosure sull'avanzamento degli obiettivi inclusi nel Piano di Sostenibilità, come, ad esempio, il 100% di energia elettrica rinnovabile o il consiglio di amministrazione composto al 44% di donne. In aggiunta, da un paio di anni, abbiamo deciso di andare oltre la compliance normativa e abbiamo avviato un percorso di engagement con le principali agenzie di rating Esg che, a cavallo tra il 2021 e il 2022, ha prodotto i primi risultati tangibili: upgrade rilevanti sono infatti arrivati nelle valutazioni di CDP, MSCI e Sustainalytics. Secondo Sustainalytics, Rai Way figura tra le prime 20 società al mondo in termini di rischio Esg considerato trascurabile». E' un impegno che richiede anche investimenti? «Certamente, sia in termini di tempo che dedichiamo a queste attività di monitoraggio e rendicontazione che, naturalmente, di risorse finanziarie. Basti pensare che 2/3 dei 150 milioni di euro che stiamo investendo nel progetto di riconfigurazione tecnologica del nostro network (il cosiddetto "Refarming") saranno destinati alla sostituzione degli apparatati trasmissivi tecnologicamente superati, comportando l'adozione di sistemi energeticamente più efficienti che ridurranno consumi e spesa per l'elettricità. Questa è solo una delle iniziative con cui vogliamo indirizzare la Carbon Neutrality entro il 2025, 25 anni in anticipo rispetto alle prescrizioni dell'Ue». Che tipo di sollecitazioni e risposte registrate dai vostri stakeholder? «Dialoghiamo costantemente con i nostri stakeholder, tanto esterni quanto interni, e circa un anno fa li abbiamo coinvolti nell'aggiornamento della nostra matrice di materialità, che sta alla base del nostro agire sostenibile: innovazione tecnologica, salute e sicurezza sul lavoro, consumi energetici ed emissioni elettromagnetiche sono emersi come i temi più rilevanti, insieme all'etica e alla trasparenza nella conduzione del business. Su ciascuno di essi la nostra attenzione è massima e i nostri stakeholder sono soddisfatti dei risultati che conseguiamo e che i soggetti internazionali ci certificano.Rete unica, polo delle torri: si prospetta un 2022 che vede le tlc sempre in prima linea». Come vede il 2022 di Rai Way? «Il 2022 per Rai Way sarà un anno sicuramente intenso e sfidante. Saremo ancora impegnati nel refarming che porterà la tv digitale di nuova generazione nelle case di tutte le famiglie, migliorando sensibilmente l'accesso ai contenuti in oltre 1.000 comuni italiani. Ma non solo. Come abbiamo annunciato lo scorso luglio, in un'ottica di diversificazione e all'interno di una strategia che risponde all'esigenza di digitalizzazione dei servizi e di nuove modalità distribuzione di contenuti, ci concentreremo sullo sviluppo di un'infrastruttura per data center con l'obiettivo di realizzare edge data center in 5-7 città entro il 2023. Nel farlo poniamo attenzione al tema della sostenibilità progettando secondo gli standard più evoluti e privilegiando l'utilizzo di componenti che consentono un efficientamento nell'utilizzo dell'energia, perlopiù da fonti rinnovabili, con conseguente ottimizzazione del livello di Power Usage Effectiveness e riduzione delle emissioni di C02. Prevediamo inoltre l'introduzione del massimo livello di automazione, che consentirà di ridurre le emissioni relative agli spostamenti necessari per l'operatività dei siti. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 18/2/2022

04 Febbraio 2022

Utilitalia: «Dalle utility generati 20 miliardi per la sostenibilità»

Il dg, Giordano Colarullo, racconta l'impegno, in termini di investimenti, nella filiera dell'acqua e del ciclo dei rifiuti. E sul tema energia, parla dell'ultimo decreto sul caro-bollette, "deludente" e "iniquo". Dalle utility un valore aggiunto annuale di 11 miliardi nella sostenibilità che arrivano a 20 miliardi considerando l'intera filiera; ma anche investimenti in crescita nell'idrico, con un gap ancora troppo elevato tra le gestioni industriali e quelle "in economia" e l'attenzione al tema del ciclo dei rifiuti per rispettare i target europei. Giordano Colarullo, direttore generale di Utilitalia, la Federazione che riunisce oltre 400 imprese nei servizi pubblici in Italia, con un valore della produzione superiore al 2% del Pil, in un'intervista a SustainEconomy.24, report di Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School, sottolinea l'importanza del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. E parla dell'ultimo decreto sul caro-bollette, "deludente" e "iniquo" perché, se va bene un contributo solidaristico, è sbagliata l'idea e servono misure strutturali. Economia circolare, sostenibilità: le utility italiane dichiarano un impegno in prima linea. Cosa si è fatto e quanto ancora si deve fare? «Abbiamo di recente pubblicato il rapporto di sostenibilità 2021 in collaborazione con la Fondazione Utilitatis che misura il valore aggiunto economico annuale distribuito dal settore sul territorio e ai vari stakeholder che ha raggiunto gli 11 miliardi e, considerando l'intera filiera e le spese per i fornitori, si porta a 20 miliardi. E' importante sottolineare, poi, come gli investimenti di questo gruppo di imprese, seppure in un anno pandemico, non si sono fermati e hanno raggiunto i 4,5 miliardi (oltre il 14% dei ricavi), di cui oltre 600 milioni nella decarbonizzazione, quasi 300 milioni nella digitalizzazione e più di 180 milioni nell'economia circolare. E' la natura stessa del business e la vocazione di servizio pubblico delle imprese - che hanno nel proprio dna l'attenzione all'ambiente e al sociale - a renderle un punto di riferimento per lo sviluppo sostenibile». Analizzando i vari comparti, sul fronte del settore idrico restano ancora tante disomogeneità territoriali e servono investimenti importanti. Qual è la sua visione e cosa occorre? «Il settore ha registrato una crescita enorme dal 2012, dall'ingresso della regolazione tariffaria che ha chiarito le regole sul riconoscimento dei costi; così da una cifra di investimenti sotto il miliardo si è passati sostanzialmente ad una proiezione che vede l'Italia intorno ai 4 miliardi per il 2022, in aggregato per l'industria, e una cifra che più o meno ci porta a 5-6 miliardi per la rete infrastrutturale italiana. Investimenti che stanno permettendo un grande recupero sul contenimento sul fenomeno, ad esempio, delle perdite idriche. Certo, c'è un gran divario tra le zone d'Italia facile da spiegare con la sostanziale differenza tra le gestioni industriali, con investimenti che si aggirano attorno ai 50-60 euro per abitante, e i soggetti non industriali, le cosiddette gestioni ‘in economia' operate dagli enti locali, dove il livello di investimenti va sui 4-7 euro pro capite. Un ordine di grandezza così diverso che moltiplica i ritardi e spiega la distribuzione a macchia di leopardo che riscontriamo al Sud, soprattutto in Campania, Calabria e in Sicilia. E' un'equazione quasi matematica: no gestione industriale, no servizio e no investimento e purtroppo il cluster è tutto il sud. Quindi per noi è lì che bisogna intervenire. Con il Pnrr sono stati assegnati al comparto fondi pari a 3,5 miliardi, non sono cifre enormi ma messe su un comparto con tariffa possono essere un booster. Certo, bisogna avere il coraggio di applicare lo spirito di riforma del Pnrr a tutti i livelli di governo fino alle periferie amministrative». Un altro settore che potrebbe avere grandi potenzialità è quello dei rifiuti. «Ci sono due dati che bisogna tenere sempre a mente. Il primo, l'Italia come Paese ha fatto molto bene sulla raccolta differenziata avendo raggiunto i target europei in alcune parti d'Italia molto prima della scadenza, anche se restano sempre delle sacche di lentezza e, ahimè, coincidono sempre con il sud e in alcuni casi anche con il centro. Secondo, ora dobbiamo volgere l'angolo visuale dalla differenziazione della raccolta al riciclaggio. Senza una decisa inversione di tendenza sarà impossibile raggiungere i target Ue che prevedono il raggiungimento del 65% di riciclaggio effettivo dei rifiuti urbani e ridurre l'utilizzo della discarica al 10%. E' un'impresa non banale per il Paese perché oggi noi usiamo la discarica anche il doppio, cioè arriviamo intorno al 20%. Ora da qui al 2035 sono 13 anni, ma l'appuntamento è dietro l'angolo se pensiamo che quando si tratta di dover introdurre innovazioni tecnologiche e impiantistiche a volte si impiegano 4-5 anni solo per le autorizzazioni. Anche qui vediamo una grande opportunità negli interventi previsti dal Pnrr che hanno indirizzato un miliardo e mezzo per il miglioramento della raccolta differenziata e propedeutica al riciclaggio e 600 milioni su progetti nell'ambito del riciclaggio delle frazioni non riciclabili. Per rispettare gli obiettivi europei e annullare l'export di rifiuti tra le aree del Paese, abbiamo stimato che il fabbisogno impiantistico ammonta a 5,8 milioni di tonnellate. E almeno una trentina di impianti per il trattamento dell'organico e per il recupero energetico delle frazioni non riciclabili». Da ultimo il tema dell'energia, le rinnovabili e il caro bollette. Sono stati adottati interventi sugli incentivi e una sorta di tassa sugli extra profitti per gli impianti rinnovabili. Per Utilitalia qual è la strada da seguire? «Il provvedimento adottato appare deludente. E' un concetto scivoloso quello degli extra-profitti perché in realtà molte imprese non ne hanno veramente beneficiato. Il disegno prospettato, pertanto, potrà essere altamente dannoso e dovrà essere valutato nella fase implementativa. Dicevo che lo riteniamo deludente perché finisce per colpire una classe di soggetti che, se ha avuto dei benefici, li ha avuti per le condizioni dei mercati internazionali, ma come è accaduto per chi produce gas. E se la misura potrà offrire, in qualche modo, un contributo solidaristico, nell'opinione pubblica va a dipingere un'idea sbagliata perché il prezzo sale per colpa di infrastrutture che non sono state costruite o per le posizioni di chi produce gas, soprattutto la Russia. Lo riteniamo un provvedimento iniquo e, peraltro, colpisce paradossalmente le tecnologie che, invece, dovrebbero essere incentivate per la transizione. Dall'altro lato non si introducono, in questo decreto, delle misure strutturali e il rischio è che dopo un trimestre il problema si ripresenti. Non è con misure tampone che si risolve il problema, è necessario mettersi a lavorare su due direttrici: certamente sul tema dell'approvvigionamento del gas e, poi, fare un ragionamento sul sistema dei mercati tutelati per valutare se il sistema attuale di approvvigionamenti, che ha comunque un Acquirente Unico, possa essere spinto a guardare alla fine della maggior tutela nel 2024».  SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 4/2/2022

04 Febbraio 2022

Neri (Algowatt): «La nostra ripartenza con soluzioni sostenibili. Un nuovo piano industriale entro marzo»

Il presidente e fondatore ne parla a SustainEconomy.24 Una ripartenza e un nuovo piano industriale entro marzo. Stefano Neri, presidente e fondatore di AlgoWatt, la GreenTech company quotata sul mercato Euronext Milan, che unisce al suo interno l'esperienza di due realtà distinte come TerniEnergia e Softeco, racconta a SustainEconomy.24, la trasformazione del gruppo, attivo ora nella progettazione, sviluppo e integrazione di soluzioni per la gestione sostenibile e socialmente responsabile dell'energia e delle risorse naturali. Dal Piano di ristrutturazione, che ha permesso di ridurre l'indebitamento e riporterà il gruppo in utile, alla "felice intuizione" di guardare ai settori innovativi e ricchi di chance. Con AlgoWatt ha scritto un nuovo capitolo: una green tech company che punta all'economia sostenibile. Transizione energetica ed ecologica, trasformazione digitale, progettazione, sviluppo e implementazione di soluzioni per la gestione sostenibile e socialmente responsabile dell'energia, della mobilità e delle risorse. Quale percorso state portando avanti?  «Il nostro percorso procede principalmente sull'esecuzione del Piano di ristrutturazione sottoscritto lo scorso anno ed è la principale missione dal punto di vista societario, perché ci ha consentito di ridurre un indebitamento storicamente attorno ai 66 milioni di euro a 10 milioni, con una riduzione importante di circa 56 milioni di euro. Inoltre, avendo alienato gli asset che ci connotavano più come una utility che come una società destinata allo sviluppo tecnologico e all'automazione, ci troviamo in una sorta di ripartenza. Per questo abbiamo scelto di focalizzare la digitalizzazione e l'automazione soprattutto nei settori ambientale ed energetico che sono quelli che hanno connotato la storia di TerniEnergia». A proposito di transizione energetica ed ecologica, con il Green New Deal e il Pnrr, sono diventati temi di grande attualità. Che tipo di opportunità di crescita ci sono nel mercato cui vi siete affacciati?  «Il turnaround industriale della TerniEnergia, passato anche in parte con l'acquisizione della storica Softeco di Genova, è stata un'intuizione che risale oramai a 5-6 anni fa e le misure che ha richiamato sono la conferma della bontà di quell'intuizione, nel senso che oggi le attività che Algowatt svolge sono perfettamente riflesse nei goal che, sia a livello nazionale sia a livello sovranazionale, vengono individuati dalle istituzioni. Questo significa che, strategicamente, c'è stata una lungimiranza rara e forse anche un po' di fortuna. In concreto credo che non abbiamo mai avuto un bouquet di misure di sostegno a questi settori innovativi come in questo momento. Per Algowatt, questo passa attraverso la digitalizzazione e la creazione di algoritmi da inserire nella gestione ambientale e dell'economia circolare in generale, dove abbiamo una storia importante, e, sotto il profilo della transizione energetica, significa dotare le reti, in particolare quelle elettriche, di ulteriori misure di sicurezza e di intelligenza, soprattutto per adeguarle a quelle che sono le necessità di una pluralità di fonti di produzione prima inesistenti, che mettono a dura prova l'attuale assetto delle reti. In questo rientra anche tutto il tema delle comunità energetiche che è di grande attualità. Quindi possiamo dire che il nostro piano si fonda sulle chance che sono offerte dal contesto normativo di questi anni». State portando avanti il piano di risanamento e lei ha scritto di recente agli azionisti anticipando anche il ritorno all'utile. Cosa vede nel 2022? «La società si è dotata di un nuovo management di altissimo profilo, a testimoniare che si è superata la fase della ristrutturazione e si è passati nella fase di execution del Piano. Il nuovo management sicuramente andrà alla definizione e alla pubblicazione di un nuovo piano industriale per il prossimo triennio e credo che questo avverrà entro il prossimo mese di marzo».  SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 4/2/2022

04 Febbraio 2022

Eni Rewind: «Dalle bonifiche impianti rinnovabili e una nuova vita ai rifiuti. Investiamo 5 miliardi»

Tre quarti dei progetti completati tra il 2025 e il 2030 e il 90% dei suoli decontaminati al 2030, assicura l'ad Paolo Grossi che vede più tecnologie, più mercato e più partnership Una storia iniziata nel 2003, quando Enichem conferisce le attività produttive a Polimeri Europa (oggi Versalis) e viene ridenominata Syndial, per gestire la bonifica dei siti ex industriali e la gestione delle acque e dei rifiuti, attraverso l'economia circolare. E che ha portato Eni Rewind – questo il nuovo nome scelto nel 2019 per accompagnare la crescita della società in linea con la sostenibilità e l'apertura al mercato– ad essere global contractor di Eni in Italia e all'estero.  Con 3.800 ettari e obiettivi ambiziosi per dare nuova vita alle aree bonificate, dagli impianti rinnovabili al riciclo dei rifiuti. Tre quarti dei progetti saranno completati e il 90% dei suoli decontaminati al 2030. Con una manovra finanziaria importante che cuba 5 miliardi entro i prossimi 10 anni, con 3 miliardi già spesi. Come racconta Paolo Grossi, l'amministratore delegato di Eni Rewind, che a SustainEconomy.24, report di Il Sole 24 Ore Radiocor, traccia i risultati raggiunti da Marghera a Porto Torres a Ravenna e gli obiettivi futuri: più tecnologie, più mercato, più partnership e dialogo con gli stakeholder. Alla base del lavoro di Eni Rewind ci sono i principi dell'economia circolare per valorizzare i terreni industriali, le acque e i rifiuti attraverso progetti di bonifica. Parliamo di progetti importanti da Marghera a Ravenna. A che punto siete e quali i prossimi obiettivi? «All'interno del perimetro della società abbiamo 3.800 ettari tutti di proprietà e una ventina di siti importanti che in passato ospitavano grandi poli petrolchimici. Di questi 3.800 ettari, circa il 40% - quindi 1.600 ettari - è oggetto di progetti di bonifica in corso, in gran parte decretati e autorizzati negli ultimi 5-10 anni e la buona notizia è che, tra il 2025 e il 2030, i 3/4 dei progetti in corso saranno completati. E non solo, contiamo di avere, al 2030, il 90% delle aree libere e decontaminate come suolo e riutilizzabili per varie opzioni di valorizzazione. Il restante 10%, circa 400 ettari, è interessato da progetti, in fase di implementazione e che richiedono qualche anno in più, ma contiamo al 2040 di aver esaurito tutte le bonifiche dei suoli. Il trattamento delle acque di falda, invece, richiede più tempo e proseguirà per altri 10-15 anni. Nel frattempo, comunque, il completamento degli interventi sui suoli permette di poter riutilizzare le aree e poter avviare altre attività. E proprio per questo, negli ultimi anni, abbiamo adottato un approccio dei progetti di bonifica ‘per lotti' in modo da non dover aspettare la conclusione di tutti gli interventi per iniziare a utilizzare le aree risanate». Che tipo di utilizzo offrono le aree bonificate? «Abbiamo destinato queste aree, con i colleghi di Eni gas e luce (ridenominata Plenitude), per costruire importanti impianti fotovoltaici e in futuro anche eolici, a Porto Torres e Ravenna che, parzialmente, contribuiscono allo sforzo di costruire il portafoglio di energia rinnovabile del Paese. Abbiamo identificato attualmente circa 600 ettari ma contiamo di poterli portare a 1.000 ettari, vale a dire il 25% delle nostre aree. Gli altri due principali utilizzi delle aree bonificate si traducono nella realizzazione degli impianti di trattamento di acqua e di rifiuti, industriali e, più di recente anche urbani. E, infine, terzo filone, mettiamo sempre a disposizione le nostre aree anche per terzi, siglando protocolli con Confindustria o con gli stakeholder locali, per promuovere nuove iniziative di sviluppo che possono beneficiare di aree di grande estensione, con pontili per ricevere e spedire via mare in prossimità ai grandi snodi ferroviari e autostradali».  A proposito dello sviluppo di impianti industriali per la trasformazione della frazione organica dei rifiuti urbani, che opportunità possono derivare?  «Il riciclo dei rifiuti, sia urbani che speciali, oltre a essere una necessità è un obbligo perché l'Europa ha assunto l'impegno, entro il 2035, di ridurre sotto il 10% la quota di rifiuti che viene smaltita in discarica e di aumentare oltre il 65% la quota di rifiuti che, invece, viene riciclata e, quindi, utilizzata come nuova materia seconda. Che va vista come un'opportunità perché - essendo l'Italia comunque carente e importatrice di queste materie - se, anche parzialmente, riusciamo a produrre bio-olio, biogas o bioplastiche riciclando rifiuti e materiali di scarto, ne avremo un beneficio non solo importante in termini ambientali, ma, prospetticamente, anche in termini economici. Noi stiamo approcciando questa sfida con l'impegno Eni di introdurre, oltre alla disponibilità degli asset, anche tecnologie innovative proprietarie, sviluppate nei nostri laboratori o in partnership con le università e anche con il mondo delle startup. Come Eni Rewind, stiamo lavorando dal 2018 alla nuova tecnologia ‘Waste to Fuel' per la trasformazione dei rifiuti organici, che ha il vantaggio di recuperare acqua riutilizzabile per usi industriali e produrre un bio-olio che può essere utilizzato come carburante per le navi piuttosto che come materia alternativa al petrolio in raffineria, per produrre bio-diesel. Una tecnologia che evita, inoltre, la produzione di compost che oggi tende a essere in eccesso e ha una serie di potenziali criticità nell'utilizzo in agricoltura. Un caso emblematico è Ravenna dove abbiamo completato la bonifica in un'area di circa 26 ettari e per metà abbiamo utilizzato quest'area per un parco fotovoltaico, peraltro con uno storage lab in fase di costruzione, e sull'altra metà andremo a realizzare un impianto per bio-pile e accanto stiamo realizzando una piattaforma polifunzionale per rifiuti industriali in jv con Hera». Che tipo di impegno finanziario richiede questo percorso in termini di investimenti? «Questi interventi, fino ad oggi, parlando di quelli all'interno delle proprietà Eni Rewind, hanno comportato una spesa di tre miliardi di euro e gli interventi che andremo a completare sostanzialmente nell'arco dei prossimi 10 anni cubano ulteriori due miliardi di euro. Complessivamente è una manovra molto importante di oltre 5 miliardi. Riagganciandoci alla storia della nostra società c'è da sottolineare che più dell'80% di questi interventi, sia quelli già spesi che quelli futuri, sono relativi a ex poli petrolchimici in cui operiamo come ‘proprietari incolpevoli', avendo ereditato aree, negli anni '70-80, che, quando erano in esercizio erano di proprietà e in gestione del gruppo Rovelli o Montedison». Cosa vede nel futuro di Eni Rewind, in Italia, all'estero e in attività di servizio a società terze? «In prospettiva vediamo più tecnologie, più mercato (sia estero che in Italia che per terzi), più partnership e stakeholder engagment. Più tecnologia perché indubbiamente, crediamo, come Eni, di poter dare un valore aggiunto con la nostra ricerca e il know how industriale guardando non solo ai rifiuti correnti ma, in prospettiva, al riciclo dei pannelli solari o delle batterie. Più mercato perché attualmente, seppure abbiamo iniziato a operare per terzi, oltre il 90% della nostra attività è ancora rivolta ai business Eni. Anche la quota estera attualmente è limitata a 3-4 Paesi e vorremmo crescere soprattutto in Africa e in Medio Oriente dove la presenza storica di Eni ci fa conoscere dagli stakeholder industriali e istituzionali. Quanto all'apertura del servizio a terzi, mai come oggi credo che la riconversione e la bonifica siano elementi di interesse per tanti gruppi e noi vogliamo affiancarli e cercare di proporre nuove soluzioni. Più partnership, perché per lo specifico core business in cui operiamo, è essenziale costituire alleanze industriali strategiche e collaborazioni con le principali università e centri di ricerca. Essere una grande impresa internazionale ci consente, e al tempo stesso ci obbliga, a mettere in campo le best available technology a livello mondiale. La partnership e il dialogo saranno poi sempre più importanti, nell'ottica del riciclo, anche coi grandi produttori industriali. Quando parliamo di batterie o di pannelli fotovoltaici se il prodotto è pensato e progettato anche nella scelta di materiali, pensando di massimizzarne il recupero si può fare la differenza e minimizzare il costo del riciclo. Il tutto poi con l'attenzione costante al confronto e una politica di ‘porte aperte' invitando tutte le comunità oltre che rappresentanti di stakeholder a visitare i nostri siti». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 4/2/2022