Digital Transformation
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07 Maggio 2020

Bonetti: «Colmare il digital divide per realizzare pari opportunità»

Con la didattica da remoto occorrono competenze e mezzi per tutti: l’intervista alla ministra per le Pari opportunità, Elena Bonetti, per DigitEconomy.24, il report Luiss Business School e Il Sole 24 Ore   Il tema del digital divide, diventato più impellente con l'accelerazione digitale del Paese dovuta al Covid, è anche un tema di dare pari opportunità ai cittadini. Lo sottolinea, in un'intervista a DigitEconomy.24, la ministra per le Pari opportunità, Elena Bonetti, in un momento in cui gli occhi del Paese sono puntati sulla riapertura delle scuole e sulla possibile interazione tra didattica da remoto e didattica nelle aule. Ora, spiega la ministra, è «urgente colmare ritardi, anche sulle competenze digitali», destinando «adeguate risorse economiche a colmare il divario». Il tema del reperimento delle risorse «esiste e i mesi che ci attendono saranno particolarmente complessi» ma «questa crisi – precisa - può e deve trasformarsi in un'opportunità, che vuol dire assumersi la responsabilità storica di fare scelte e investimenti per il futuro». L'emergenza, rileva Bonetti, «ha acceso i riflettori su tanti settori strategici, penso alla scienza, alla ricerca, al digitale, al terzo settore». Quanto infine alla proposta di Confindustria Digitale di dotare tutte le scuole dei computer per gli studenti, Bonetti la giudica «un'ipotesi che si muove nel solco delle pari opportunità e credo debba essere attentamente approfondita, prima che l'esigenza di colmare le disuguaglianze esploda come urgenza sociale». In vista di una riapertura delle scuole 'mista', con la didattica a distanza che avrà ancora un ruolo importante, secondo lei come si può colmare il digital divide ancora esistente in alcune aree e dare pari opportunità agli studenti in tutto il territorio nazionale? Queste settimane hanno fatto emergere con ancora più nitidezza le tante situazioni di fragilità del nostro Paese. La stessa didattica a distanza, che in molti casi ha dato risultati incoraggianti, grazie alla responsabilità e al lavoro congiunto di docenti e studenti, ci ha d'altro canto ricordato quanto il rischio di acuire le diseguaglianze sia sempre dietro l'angolo, sia per motivi strutturali sia contingenti. I dati Istat pubblicati nelle scorse settimane lo hanno confermato: un terzo delle famiglie italiane non ha un computer o un tablet in casa e la quota scende tra le famiglie con almeno un minore. Sono dati che ci fanno riflettere sull'urgenza di colmare i ritardi, anche sulle competenze digitali. C'è un punto di partenza da mettere a fuoco per la politica: l'educazione non è un fatto privato, ma un impegno che dobbiamo assumerci come comunità. Questo vuol dire, naturalmente, destinare adeguate risorse economiche a colmare il divario, ma anche investire in politiche educative di supporto. Quali iniziative si potrebbero intraprendere per raggiungere questi obiettivi? Col ministro dell'Università e della Ricerca Gaetano Manfredi ho ad esempio studiato una misura che preveda, per i laureandi in scienze dell'educazione, la possibilità di aiutare i bambini nella didattica a distanza, acquisendo crediti formativi. La crisi sanitaria ci può dare un'opportunità straordinaria sul fronte educativo. La politica e le istituzioni hanno il compito di coglierla e di mettere in campo tutte le azioni necessarie perché queste distanze si riducano e nessuno sia lasciato indietro. Colmare il digital divide, incentivando la creazione delle infrastrutture necessarie e la domanda, è anche un problema di reperimento delle risorse. Dove trovare i finanziamenti necessari? Il tema delle risorse esiste e i mesi che ci attendono saranno particolarmente complessi. Per le famiglie, per le imprese, per il Paese nella sua interezza. Come dicevo poc'anzi, però, questa crisi può e deve trasformarsi in un'opportunità, che vuol dire assumersi la responsabilità storica di fare scelte e investimenti per il futuro. Dobbiamo tracciare la strada per i prossimi anni e dobbiamo farlo bene. L'emergenza ha acceso i riflettori su tanti settori strategici, penso alla scienza, alla ricerca, al digitale, al terzo settore. È questo il momento per aprire una riflessione per valorizzare le professionalità e le competenze di cui il Paese dispone, per ripartire e affrontare le sfide dei prossimi anni. Il presidente di Confindustria Digitale, Cesare Avenia, in una recente intervista su DigitEconomy.24, ha chiesto di dotare le scuole di computer per tutti gli studenti, in modo tale da renderli autonomi e non dipendere dalle possibilità e dai mezzi della famiglia. È un'ipotesi percorribile? È un'ipotesi che si muove nel solco delle pari opportunità e credo debba essere attentamente approfondita, prima che l'esigenza di colmare le disuguaglianze esploda come urgenza sociale. Credo possa trattarsi di un passo in avanti molto significativo, che consentirebbe di rendere accessibile quel diritto all'educazione purtroppo non sempre garantito in diversi contesti familiari e sociali. 07/05/2020

07 Maggio 2020

Infratel: «Progetto rete unica fondamentale per il Paese»

L'intervista all'amministratore delegato, Marco Bellezza per DigitEconomy.24, il report Luiss Business School e Il Sole 24 Ore    La realizzazione di una rete unica, combinando quella di Tim con Open Fiber, è «fondamentale per il Paese» come ritiene il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, e gli eventuali profili concorrenziali saranno «approfonditi dalle autorità preposte». Lo rileva Marco Bellezza, amministratore delegato di Infratel, braccio operativo del Mise che realizza il piano Banda ultra-larga, in un momento in cui, anche su spinta dell'emergenza Covid, si è intensificato il dibattito sulla rete unica, infrastruttura che potrebbe accelerare la digitalizzazione del Paese. Si ragiona sul modello da adottare, se wholesale only, cioè che prevede l'offerta dell'infrastruttura solo all'ingrosso, o con operatore verticalmente integrato, come nel caso in cui il controllo della rete fosse in capo a Tim che commercializza anche i servizi al dettaglio. Quanto allo sblocco delle 5.000 centraline (i cabinet) che Tim realizzerà nelle aree bianche, zone non appetibili per il mercato dove Open Fiber si era aggiudicata tutti i bandi, Bellezza ricorda che l'autorizzazione è avvenuta in una situazione emergenziale: «Lo scenario post Covid - dichiara nell'intervista a DigitEconomy.24, report di Radiocor e Luiss Business School - nel settore telco sarà evidentemente diverso e i soggetti istituzionalmente preposti dovranno ragionare alla luce del mutato scenario». Intanto, nei primi mesi del suo mandato, l'amministratore delegato di Infratel ha avviato «un programma di semplificazione» dei rapporti con Open Fiber «in modo da accelerare la realizzazione delle opere». Quali le ragioni dei ritardi riscontrati sul piano Banda ultra-larga? Il piano Bul (Banda ultra-larga) è in corso di realizzazione con particolare riferimento alle aree bianche del Paese. Non si può negare che il piano sconti dei ritardi dovuti a molteplici fattori: dalle iniziali difficoltà a ottenere permessi da parte del concessionario, criticità in larga parte superate, salvo casi come Anas, alle inevitabili esigenze di assetto da parte di Open Fiber che è partita come una startup dopo essersi aggiudicata tutti i bandi pubblicati. In questi primi mesi qui a Infratel Italia, in sinergia con il ministero dello Sviluppo economico ho avviato un programma di semplificazione nei nostri rapporti con Open Fiber in modo da accelerare la realizzazione delle opere ed entro metà giugno lanceremo un nuovo sito per il piano Banda ultra-larga (Bul), in modo che ogni cittadino possa avere contezza in maniera semplice sullo stato di avanzamento dei lavori, sulle coperture ed eventualmente sulle ragioni per le quali il cantiere il vicino a casa non va avanti. L'attuale situazione ha dimostrato che forse non esiste un problema di domanda, ma piuttosto di offerta: come si può quindi accelerare lo sviluppo? Mi permetto di rilevare come l'attuale situazione emergenziale ha ridotto le distanze sul lato della domanda rispetto alla media Ue. In questo quadro bisogna utilizzare tutte le tecnologie disponibili e acquisire a tutti i livelli una maggiore consapevolezza sul carattere strategico del piano Bul. Strategico in termini competitivi e di sicurezza nazionale. Open Fiber si è aggiudicata a suo tempo tutti i bandi Infratel basandosi sul modello di business di operatore wholesale only: come vede un'eventuale combinazione fra le reti di Open Fiber e Tim, che invece è un operatore verticalmente integrato?  Il ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli ritiene fondamentale il progetto rete unica per lo sviluppo del Paese. I profili concorrenziali andranno approfonditi dalle autorità preposte. Recentemente, sono stati sbloccati 5.000 cabinet di Tim per portare la banda ultra-larga nelle aree bianche dove pure dovrebbe intervenire Open Fiber: come gestire la concorrenza in queste aree dopo l'emergenza?  Il Decreto Cura ha abilitato in una fase emergenziale tutte le infrastrutture presenti nel Paese come giusto che fosse in questa fase. Lo scenario post Covid nel settore telco sarà evidentemente diverso e i soggetti istituzionalmente preposti dovranno ragionare alla luce del mutato scenario. Quali iniziative e proposte potrebbero stimolare la didattica digitale e lo smart working, che si sono dimostrati pilastri fondamentali nell'emergenza? In sede di Cobul (Comitato per la banda ultra-larga) è stato stabilito di avviare il piano scuole, per portare la banda ultralarga in 32.213 plessi scolastici nei prossimi 2 anni e avviare il piano voucher per offrire connettività gratuita a cittadini e imprese. Una prima misura importante per il rilancio del Paese nella fase post Covid che ci auguriamo arrivi presto. Dove prendere i fondi per potenziare le scuole, che la stessa Ue indica prioritarie nelle linee guida al 2025?  I fondi derivano dai risparmi di gara e dagli stanziamenti già previsti a livello di fondi nazionali e comunitari.

23 Aprile 2020

Ericsson: «Ora accelerare investimenti sulle reti, servono misure urgenti»

L'intervista all'amministratore delegato Emanuele Iannetti , oggi su Digit.Economy.24, il report Luiss Business School e Il Sole 24 Ore   «La sicurezza delle reti 5G e in generale di tutte le infrastrutture critiche è fondamentale. La sicurezza cibernetica e la sicurezza nazionale sono due aspetti indissolubilmente legati». E' la posizione di Ericsson, secondo quanto spiega l'ad Italia, Emanuele Iannetti, in un'intervista a DigitEconomy.24 (report di Radiocor e Luiss Business School), condividendo la linea del Copasir nel dibattito sulla nuova tecnologia. Mancano pochi giorni, alla scadenza europea del 30 aprile per l'applicazione del toolbox europeo, la cassetta degli attrezzi messa a punto dalla Ue che prevede misure per mitigare i rischi, per progettare e implementare le reti 5G in modo sicuro. Guardando al nostro Paese, sottolinea Iannetti, «senza entrare nel merito delle decisioni prese, è evidente che l'Italia si sia mossa con anticipo rispetto agli altri Paesi europei, dimostrando forte attenzione al tema. Occorre tuttavia accelerare sulla costituzione del team di esperti e sulla definizione delle procedure». Questo è inoltre il momento di puntare sulle reti che si sono dimostrate cruciali nell'emergenza: «Riteniamo - afferma - che gli investimenti sulle reti non si possano fermare proprio ora, e che anzi vadano prese delle misure urgenti, a livello istituzionale, per consentire agli operatori una implementazione rapida delle reti di nuova generazione». In vista della scadenza europea del 30 aprile, qual è la posizione di Ericsson sulla sicurezza delle reti 5G in Europa? Ericsson accoglie con favore il pacchetto di strumenti concordato dagli Stati membri dell'Unione Europea, che intende affrontare i rischi di sicurezza connessi alla introduzione della tecnologia 5G, già identificati dall'assessment europeo. Agli Stati membri viene ora chiesto di compiere i prossimi passi insieme, prendendo in considerazione sia le misure tecniche, sia quelle strategiche, sulla base di valutazioni oggettive dei rischi e delle misure di attenuazione necessarie in Europa. La sicurezza tecnica passa attraverso un approccio olistico che deve tener conto della mitigazione in quattro aree specifiche: standard, prodotti e processi di sviluppo, implementazioni e configurazioni della rete. Messe insieme, queste quattro aree definiscono lo stato di sicurezza delle reti live e quindi, di fatto, l'esperienza di sicurezza dell'utente finale. Basandosi sulle raccomandazioni tecniche presenti nel toolbox, i singoli governi potranno evitare di sviluppare approcci nazionali specifici, come ad esempio test e certificazioni aggiuntive che provocherebbero una frammentazione del mercato, ritardi nell'implementazione delle tecnologie ed incoerenze tra mercati, con il rischio di minare la fiducia nei sistemi di collaudo e certificazione. Avvalersi di standard globali e di best practice condivise e riconosciute è fondamentale per consentire la gestione efficiente delle minacce, generare economie di scala, evitare la frammentazione e garantire l'interoperabilità dei sistemi europei. Le giurisdizioni che finora hanno adottato decisioni sulla sicurezza nazionale in merito al 5G hanno designato Ericsson come un fornitore di fiducia. In tutte le situazioni, Ericsson viene considerato un fornitore estero che ha soddisfatto con successo tutte le valutazioni indipendenti per quanto riguarda sia i criteri tecnici, sia non tecnici. Rispetto alla cornice europea ci sono altri strumenti necessari per tutelare le reti 5G? Le minacce alle reti 5G non si limitano al software e anche le mitigazioni tecniche hanno i loro limiti. Garantire la sicurezza delle infrastrutture di telecomunicazioni – e quindi, la fiducia – richiede un approccio omnicomprensivo su standard, attrezzature, software, implementazioni di rete e sicurezza operativa. Alcuni Paesi hanno proposto di eseguire test post-sviluppo software o di avere accesso al codice sorgente come soluzione per garantire la sicurezza e l'integrità delle reti 5G. Ma i moderni sistemi di telecomunicazioni vengono sviluppati continuamente e di conseguenza il software viene aggiornato frequentemente. Quindi qualsiasi test post sviluppo venga effettuato si presenterà sempre come un'analisi di sicurezza del software o dell'hardware in quel determinato momento, in quella specifica configurazione di test. Anche la consegna del codice sorgente non è una garanzia di sicurezza per dei sistemi che vengono aggiornati continuamente come le reti di telecomunicazioni e non comprende la valutazione delle vulnerabilità. Naturalmente se queste decisioni che spettano ai regolatori verranno attuate in un determinato Paese ci vedranno aderire nel pieno rispetto delle norme che verranno definite. Aumentare gli investimenti degli operatori e dei fornitori su nuove funzionalità tecniche di sicurezza deve poter procedere di pari passo con la capacità del mercato di riconoscere e remunerare tutte quelle iniziative volte ad accrescere la sicurezza e la resilienza dei sistemi. Una maggiore visibilità sugli investimenti in sicurezza potrebbe introdurre nuovi elementi di premialità del mercato, oggi troppo polarizzato sul parametro del costo. L'Italia ha un sufficiente quadro normativo entro il quale operare dopo il perimetro di sicurezza adottato di recente? Senza entrare nel merito delle decisioni prese, è evidente che l'Italia si sia mossa con anticipo rispetto agli altri Paesi europei, dimostrando forte attenzione al tema. Occorre tuttavia accelerare sulla costituzione del team di esperti e sulla definizione delle procedure, in modo da garantire un risultato utile in tempi certi e dare agli operatori elementi decisionali definitivi circa la selezione dei partner tecnologici con i quali si stanno avviando le attività operative.   Osserviamo, inoltre, che il toolbox dell'Unione Europa ha riconosciuto limiti alle mitigazioni tecniche e questo ha comportato la necessità di introdurre misure strategiche che riguardino, ad esempio, l'adozione di una supply chain diversificata, con più fornitori e misure per mitigare i rischi individuali dei fornitori sulla base di fattori non tecnici. A tal fine, Ericsson è già stata sottoposta a tali valutazioni in altri Paesi extra UE, e finora in tutte le situazioni è stata sempre designata come fornitore sicuro e affidabile. Prima dell'esplodere della pandemia, il Copasir ha invocato nuovamente rassicurazioni da parte del Governo italiano sulla sicurezza delle reti 5G. Condividete questa posizione? Assolutamente. La sicurezza delle reti 5G e in generale di tutte le infrastrutture critiche è fondamentale. La sicurezza cibernetica e la sicurezza nazionale sono due aspetti indissolubilmente legati. Qualsiasi decisione sulla sicurezza nazionale di un paese membro dell'UE deve essere presa in modo autonomo e indipendente. Nel contesto dell'UE, le valutazioni non tecniche devono essere applicate in modo obiettivo sulla base di criteri per la valutazione del rischio definiti a livello europeo. Questo è necessario per garantire un ambiente normativo prevedibile e armonizzato in tutta Europa. Per la crisi in corso stanno rallentando gli investimenti sul 5G? Le infrastrutture italiane si sono rivelate affidabili grazie agli ingenti investimenti realizzati dagli operatori di telecomunicazioni in questi anni. L'emergenza Coronavirus ha reso più lampante l'importanza cruciale delle infrastrutture di rete e la necessità di potenziare ancor più le reti a banda larga e ultra-larga. È grazie alle reti, sia mobili sia fisse, che oggi milioni di cittadini possono continuare a studiare, lavorare e comunicare con i propri cari. Riteniamo che gli investimenti sulle reti non si possano fermare proprio ora, e che anzi vadano prese delle misure urgenti, a livello istituzionale, per consentire agli operatori un'implementazione rapida delle reti di nuova generazione.  La pandemia in corso rende inoltre ancora più evidente che in un mondo in rapido cambiamento e ad alta volatilità, la capacità di adattamento delle organizzazioni e delle filiere industriali è un fattore di successo imprescindibile. Con riferimento agli impatti anche sul mercato, possiamo affermare che la supply chain di Ericsson è resiliente e pensata per essere sempre vicino ai clienti. La nostra strategia prevede, infatti, la presenza di siti produttivi in più paesi, come ad esempio Stati Uniti, Cina, Estonia, Polonia, Romania, Brasile, Messico e India. Abbiamo inoltre una strategia di sviluppo software globale. Gli ingegneri che lavorano al codice sono presenti in tutto il mondo, ma il software Ericsson è verificato, firmato e distribuito centralmente dalla Svezia. La vocazione europea di Ericsson è poi testimoniata da un dato non di poco conto: il 60% dei nostri 25.000 ricercatori si trova in nove Paesi Europei, tra cui l'Italia, dove abbiamo ben tre centri di Ricerca e Sviluppo. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 23/04/2020 

23 Aprile 2020

Confindustria Digitale: «app  “Immuni” va collegata a banca dati affidabile»

L'intervista al presidente dell'associazione, Cesare Avenia, oggi su Digit.Economy.24, il report Luiss Business School e Il Sole 24 Ore   L'app per il tracciamento dei contagiati deve essere accompagnata «dallo sviluppo di una banca dati sanitaria dei cittadini, perché non c'è app che tenga senza dati disponibili e affidabili». L'app cioè «andrebbe inquadrata subito in un progetto più ampio e ambizioso di sanità digitale in cui il tracciamento rappresenta il passaggio obbligato» per uscire dall'emergenza. Lo sostiene Cesare Avenia, presidente di Confindustria digitale, in un'intervista a DigitEconomy.24 (report di Radiocor e Luiss Business School), delineando un piano di interventi per gestire la crisi e in particolar modo la fase due, proprio puntando sulla digitalizzazione. Lo strumento tecnologico per attivare la banca dati «già esiste, è il Fascicolo sanitario elettronico, che ha articolazioni regionali che convergono verso una piattaforma nazionale messa a punto dall'Agid». In questo panorama, al fine di colmare il digital divide che ancora affligge l'Italia e procedere nella digitalizzazione, un ruolo importante lo ricopre il dibattito sulla creazione di un'unica infrastruttura di accesso, combinando la rete Tim con Open Fiber: «I benefici di una rete unica – dice – sono evidenti», «si può realizzare con una regia governativa autorevole e difendendo gli interessi di tutti gli operatori coinvolti». Presidente Avenia, la digitalizzazione si è rivelata cruciale nella gestione della crisi, a che punto è l'Italia e quali le maggiori criticità? Nel disastro che stiamo vivendo l'unica nota positiva è che tutti stanno toccando con mano l'importanza della digitalizzazione. Credo che una cosa fondamentale sia proprio il cambiamento culturale avvenuto, finalmente abbiamo capito tutti le potenzialità delle tecnologie digitali. Noi ne eravamo coscienti e per questo spingevamo in questa direzione. Non dobbiamo però pensare che, finita l'emergenza, torneremo a comportarci come in passato. Non dobbiamo dimenticare quello che stiamo vivendo e pensare invece a completare i processi di digitalizzazione, in modo da ampliare e rendere duraturi i benefici.  Dobbiamo pure comprendere che quella che stiamo sperimentando è un'applicazione parziale delle opportunità che offre la digitalizzazione. Ad esempio, per quanto riguarda lo smart teaching si sta per fortuna correndo ai ripari, ma ci sono molte limitazioni, penso a quei bambini e a quelle famiglie che non sono collegati in rete o che hanno un Pc o tablet a disposizione. Che cosa stanno facendo? Quanti di questi bambini stiamo perdendo? Come si potrebbe realizzare un'applicazione della digitalizzazione più ampia e profonda nella scuola? Bisogna dotare la scuola dei fondi necessari per fornire nelle situazioni di emergenza strumenti a tutti, non è pensabile che gli studenti possano o n on possano collegarsi on line secondo i mezzi informatici che trovano a casa. Quanti fondi ci vorrebbero per realizzare questa operazione? Il costo sarebbe comunque molto inferiore al danno che ha il Paese nel perdersi generazioni di studenti. Riguardo al tema di fornire a tutti pari opportunità, emerge la questione del digital divide, zone di Italia dove ancora non arriva la connessione veloce. Una rete fissa di tlc unica potrebbe essere d'aiuto? E' un tema di cui si discute da tantissimi anni e sul quale attualmente c'è un dibattito. Dal mio punto di vista è un tema che deve essere portato avanti, i benefici di una rete unica sono evidenti. Certamente la modalità per realizzarla oggi, nel 2020, è diversa da quella che si poteva attuare anni fa. In questi anni gli operatori telefonici hanno fatto i loro investimenti che vanno considerati. La rete unica si può realizzare con una regia governativa autorevole e difendendo gli interessi di tutti gli operatori coinvolti. Quali suggerimenti Confindustria Digitale avanza al Governo per la gestione della fase due? Non dobbiamo dimenticare, e questa è la prima raccomandazione che faccio agli esperti, che siamo in un contesto globale, entrare in una fase due che non tenga conto di quello che fanno gli altri Paesi sarebbe miope. Inoltre, per entrare nella fase due, sono necessari dati certi. Serve cioè una banca dati autorevole quanto più completa possibile, solo dopo si possono usare algoritmi di intelligenza artificiale per andare a modulare gli interventi. Poi non ci dimentichiamo che, se è vero che il primo presidio medico per i sintomatici di Covid va realizzato in casa, nella fase due si possono aumentare i consulti medici a distanza, evitando di affollare gli ospedali. E in questo campo il 5G consente di fare videochiamate accurate, come se il medico vedesse il paziente di fronte a lui. La tecnologia può essere d'aiuto nel contrasto alla diffusione di future pandemie? L' epidemia ci sta facendo vedere in maniera violenta il problema della sostenibilità ambientale, e la digitalizzazione può essere d'aiuto nel risolverlo. Da amministratore delegato di Ericsson avevo avviato 17 anni fa lo smart working e per motivare i dipendenti avevo pubblicato sul sito della nostra azienda quanti alberi non sarebbero stati tagliati grazie al lavoro da casa che evita traffico e inquinamento. Certo, ci vuole un approccio molto equilibrato, sostenibile anche dal punto di vista economico. Ora lo smart working lo stiamo facendo obbligatoriamente, domani dobbiamo continuare a usarlo in maniera virtuosa. Per la fase due è stata scelta l'app "Immuni" per il tracciamento dei contagiati. A che condizioni secondo lei avrà successo? Ci sono profili di privacy da tutelare? L'app è uno strumento necessario per il cittadino, il quale deve potersi muovere in modo sicuro, avendo la possibilità di capire se ha avuto contatti con persone contagiate. Rispetto della privacy, dati anonimizzati e trattati con massima sicurezza sono condizioni essenziali che la tecnologia può assicurare. Ma il percorso di diffusione presso la popolazione dell'applicazione deve essere accompagnato dallo sviluppo di una banca dati sanitaria dei cittadini, perché non c'è app che tenga senza dati disponibili e affidabili. Insomma l'app, a mio avviso, andrebbe inquadrata subito in un progetto più ampio e ambizioso di sanità digitale in cui il tracciamento rappresenta il passaggio obbligato dall'emergenza, ma anche l'occasione per spingere l'acceleratore verso un sistema avanzato di gestione dei dati sanitari della popolazione, di video consulto, di scambio telematico di dati fra medici e ospedali diversi. Lo strumento tecnologico già esiste, è il Fascicolo sanitario elettronico, che ha articolazioni regionali che convergono verso una piattaforma nazionale messa a punto dall'Agid. A oggi il Fse è stato attivato da 18 regioni, di cui 11 aderenti al sistema di interoperabilità dell'Agid, ma presenta un livello di implementazione dei servizi molto differenziato sul territorio. Dare impulso a questo strumento, renderlo omogeneo su tutto il territorio nazionale, significherebbe poter disporre di una banca dati gestita da un ente pubblico competente, in grado di offrire garanzie sia sulla privacy sia dal punto di vista della cybersecurity. La strada per il successo dell'app dunque esiste, è percorribile immediatamente e come si è fatto per lo smart working e per la didattica a distanza, aspetta solo di essere liberata con norme semplificatrici e obblighi di attuazione. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 23/04/2020

23 Aprile 2020

«Inwit è una tower company a tutti gli effetti, best practice in Europa»

L'intervista a Giovanni Ferigo, Amministratore Delegato Inwit, oggi su Digit.Economy.24, il report Luiss Business School e Il Sole 24 Ore   Inwit è «una tower company a tutti gli effetti per tipologia di business e per modalità operative», una «best practice che troverà molti estimatori nel mondo delle tlc europee». Lo afferma l'amministratore delegato Giovanni Ferigo nell'intervista a DigitEconomy.24 (report di Radiocor e Luiss Business School), la prima dopo la fusione con le torri di Vodafone, rivendicando il modello di business scelto dall'azienda e mettendo dei punti fermi sul futuro. Di recente, sempre nel corso di un'intervista a DigitEconomy.24, Gianluca Landolina, ceo di Cellnex Italia, aveva dichiarato di ritenere razionale per gli azionisti di Inwit, Tim e Vodafone, valutare a un certo punto di lasciare il controllo «a un soggetto indipendente che fa questo di mestiere». Il mercato, prosegue Ferigo, «chiede una separazione tra servizi e infrastrutture per valorizzare meglio i diversi asset. Gli operatori in questo modo valorizzano le loro torri (anche con incassi cash) e trasferiscono parte degli investimenti alle società infrastrutturali». Proprio stamattina, nel frattempo, Tim e Vodafone hanno completato la cessione, su base proporzionale, di 80 milioni di azioni di Inwit pari a circa l'8% del capitale. L'offerta è stata effettuata attraverso una procedura di accelerated book-building riservata a investitori istituzionali. Guardando alla crisi attuale per la pandemia, Inwit si dice pronta, nel post coronavirus, a sostenere lo sviluppo dei servizi digitali. «Sono sicuro – dice Ferigo – che le tlc daranno un notevole contributo alla ripresa economica del Paese». Intanto la società ha ultimato la copertura di 18 ospedali con sistemi Das, micro antenne che permettono agli operatori di realizzare connessioni più efficienti, facilitando così il contatto tra i malati di Covid e i loro familiari. La conclusione della fusione con Vodafone Towers ha portato alla creazione della prima tower company italiana. Quali sono i prossimi progetti per il mercato italiano e quale contributo potete dare alla ripartenza dell'economia nazionale dopo lo stop dovuto al coronavirus? Il primo aprile è nato un ‘campione nazionale' delle infrastrutture per le telecomunicazioni wireless. Una realtà che si avvale dell'esperienza nel settore dei due principali operatori nazionali che nel corso degli anni hanno creato e sviluppato la telefonia mobile in Italia, facendone uno strumento di uso quotidiano per milioni di cittadini, sia per lavoro che per divertimento. Con le sue 22mila torri Inwit è in grado di assicurare una copertura capillare di tutto il territorio nazionale per lo sviluppo di tutte le tecnologie wireless (telefonia mobile, fixed wireless access, internet of things) a tutti gli operatori. Le tristi vicende di queste settimane stanno dimostrando che è diventato essenziale per il nostro Paese dotarsi di un sistema di connessioni in tutto il territorio che permetta la possibilità di svolgere varie attività da remoto collegandosi via internet. Smart working, telemedicina, educazione e formazione a distanza, videoconferenze all'interno delle aziende, videochiamate per tenere in contatto le persone, ma anche intrattenimento on demand non saranno più attività riservate a pochi, ma diventeranno un'esigenza quotidiana per tutti. Inwit nasce da un'esperienza nazionale ed è fortemente radicata sul nostro territorio. Per questo sosterrà e accompagnerà la diffusione in tutta Italia di questi servizi tramite le sue infrastrutture che saranno potenziate e messe a disposizione di tutti gli operatori. Sono sicuro che l'Italia uscirà dalla difficile situazione attuale e che le tlc daranno un notevole contributo alla ripresa economica del Paese. L'attuale emergenza ha dimostrato quanto sia fondamentale l'infrastruttura tecnologica, con il 5G che rappresenta il futuro . Quali i piani di Inwit? Le infrastrutture di Inwit saranno essenziali per il roll out di questa nuova tecnologia che per le sue caratteristiche richiede molti siti di trasmissione. Potenzieremo la nostra capacità di accogliere gli apparati trasmissivi degli operatori e la capillarità delle nostre tower. Ma non solo: saremo in prima fila nel realizzare le micro coperture con small cells e sistemi Das (Distributed antenna system, ndr) che sono una necessità già adesso per garantire performance ottimali con le attuali tecnologie e diventeranno un ‘must' assoluto per garantire una completa ed efficiente copertura con il 5G. Con i nostri impianti gli operatori garantiranno un segnale stabile e potente per i luoghi più densamente affollati come stazioni, ospedali, punti di ritrovo, grandi complessi di uffici, centri commerciali, musei, stadi e altre infrastrutture sportive. Proprio in questi giorni abbiamo ultimato la copertura di 18 ospedali in tutta Italia con sistemi Das, mettendo a disposizione degli operatori gratuitamente questi sistemi di micro antenne che permetteranno loro di realizzare coperture sempre efficienti, in grado di gestire l'enorme traffico che si sta generando intorno ai nosocomi e che, come raccontano le cronache di questi giorni, spesso sono l'unico sistema di comunicazione, tramite smartphone e tablet, tra i malati e i loro famigliari. Avete registrato o prevedete rallentamenti nella realizzazione degli investimenti a causa del coronavirus? La nostra attività sta proseguendo secondo i programmi. Naturalmente la ‘nuova' Inwit avrà un suo piano industriale con obiettivi di sviluppo importanti. Le tlc, come già detto, saranno uno dei settori trainanti per la ripresa economica nazionale e mondiale, con importanti investimenti per adeguare le attuali reti e sviluppare il 5G. Noi faremo la nostra parte collaborando con tutti gli operatori. Secondo il ceo di Cellnex Italia sarebbe razionale per gli azionisti Tim e Vodafone a un certo punto prendere in considerazione l'ipotesi di «lasciare il controllo a un soggetto indipendente che fa questo di mestiere». E' una valutazione condivisibile, magari nel lungo periodo? Inwit è attualmente il risultato dell'unione delle infrastrutture dei due principali operatori mobili nazionali, che hanno contribuito a creare un soggetto leader sia come numero che come qualità degli impianti. Una società, quotata in Borsa, che ha come obiettivo sociale la realizzazione e la gestione di impianti per tutte le tecnologie wireless da mettere a disposizione di tutti gli operatori. Siamo a tutti gli effetti una Tower company per tipologia di business e per modalità operative. E' vero che siamo legati a Tim e a Vodafone da contratti e accordi pluriennali per la fornitura di infrastrutture, ma questo ci dà una stabilità finanziaria che ci permette di investire in nuovi impianti a disposizione di tutti, avendo le spalle coperte. In questi anni si è molto discusso in Europa se gli operatori debbano continuare a gestire le ‘towers' in proprio o cederle a soggetti terzi. Fino a questo momento a vendere sono stati soprattutto i piccoli e medi operatori, mentre i big stanno ancora valutando la situazione. Credo che Inwit sia una ‘best practice' che troverà molti estimatori nel mondo delle tlc europee, che sono sicuramente diverse da quelle ‘made in Usa', perché risponde a diverse esigenze del mercato e degli operatori. Il mercato chiede una separazione tra servizi e infrastrutture per valorizzare meglio i diversi asset. Gli operatori in questo modo valorizzano le loro torri (anche con incassi cash) e trasferiscono parte degli investimenti alle società infrastrutturali. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 23/04/2020

23 Aprile 2020

«Fondamentale sviluppare la fibra, mancano gli investimenti necessari»

Così Luigi de Vecchi, Chairman Emea Banking, Capital Markets & Advisory di Citi, nel corso del suo intervento al webinar della Luiss Business School. L'approfondimento su DigitEconomy.24, il report Luiss Business School e Il Sole 24 Ore   La crisi porta con sé anche delle opportunità e una di queste riguarda proprio la banda ultra larga e le nuove tecnologie: è questo uno dei punti chiave espressi da Luigi de Vecchi, chairman Emea Banking, Capital Markets & Advisory di Citi, intervenuto a un webinar della Luiss Business School.  Secondo de Vecchi, «questa crisi ci dirà che l'Italia deve riformarsi e trovare la forza per uscirne con una visione diversa del mondo. Mi auguro che le scelte dell'Italia saranno quelle giuste: dobbiamo assicurarci di restare ben incardinati in Europa, Italia non riuscirebbe a fronteggiare crisi da sola». Il manager ha inoltre evidenziato come sia necessario «ragionare su come avviare una grande politica di investimenti visionari. Una serie di settori è rimasta indietro, come le tlc: non siamo riusciti a creare unica società della rete, non sono stati effettuati investimenti fondamentali con la necessaria attenzione. Sviluppo della fibra è fondamentale e mi auguro venga pensata una nuova politica visionaria». Serve, per de Vecchi, «immaginare un rapporto diverso fra pubblico e privato: non c'è dubbio che in questa fase il pubblico dovrà entrare in maniera significativa in economia per salvare o rilanciare imprese, ma ciò che mi auguro è creare cooperazione e spirito di corpo». Dal manager un messaggio di ottimismo sull'attuale emergenza Coronavirus: «da tutte le crisi si esce, pandemiche e finanziarie: per una azienda e un Paese è importante saperlo e mettersi in condizione di reggere lungo il tunnel, più o meno lungo. Dipenderà dai settori, ma in generale si ragiona su un anno durissimo, ma a fine 2020 inizio 2021 si ripartirà». La questione, per de Vecchi, è «sapere cosa fare in questo periodo per mettersi in condizione di uscirne al meglio» e in queste fasi «fondamentale è la liquidità». de Vecchi ha infine affrontato il tema dell'Europa, ritenendo l'attuale momento «determinante: si vedrà fino a che punto ci sia l'intenzione politica di credere all'idea di Europa. Servono messaggi di concordia e soprattutto iniziative finanziarie, fiscali e politiche per dimostrare che ci sono valori importanti sottostanti». Per il banchiere, «creare un fondo sovrano europeo potrebbe essere un' idea innovativa, anche nell'ottica della creazione di campioni europei». Prossimi protagonisti sul sito della Luiss Business School per i suoi webinar saranno: il 27 aprile l'avvocato Franco Gianni, socio fondatore dello studio Gianni, Origoni, Grippo, Cappelli & Partners, con Fabio Corsico, direttore del corso internazionale della Luiss Business School in Family Business Management; il 29 aprile Marco Morelli, amministratore delegato uscente di Mps; e il 6 maggio Aldo Bisio, a capo di Vodafone in Italia che tratterà proprio i temi del digitale. Il 24 aprile si terrà invece "L'intelligence economica ai tempi di Covid-19", il secondo appuntamento del ciclo "Appunti per l'interesse nazionale", dove ospite d'onore sarà l'ambasciatore Giampiero Massolo, presidente di Fincantieri. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO  23/04/2020

09 Aprile 2020

Cellnex: «Puntiamo a crescere, su Inwit interessati al controllo»

L'intervista al ceo Italia, Gianluca Landolina   Nonostante l'epidemia di coronavirus i piani di investimento di Cellnex Italia, divisione italiana dell'operatore europeo indipendente di torri per le telecomunicazioni controllato dai Benetton, non sono cambiati «di un centesimo». In più si continua a puntare a una crescita per linee interne ed esterne, guardando anche a Inwit, che da poco ha concluso l'operazione di fusione delle torri di Tim con quelle di Vodafone. Lo dichiara, nel corso di un'intervista a DigitEconomy.24 l'amministratore delegato del gruppo, Gianluca Landolina. Riguardo alla possibilità di creare un maxipolo con Inwit, eventulità che secondo il top manager sarebbe logica in un'ottica finanziaria industriale, spiega: «Ad oggi tutte le operazioni inorganiche le abbiamo fatte acquisendo il controllo. Certo finora abbiamo sempre puntato al controllo perché col controllo riusciamo a fare sinergie.». Quanto all'attuale emergenza coronavirus, Cellnex auspica che il Parlamento accolga, nell'ambito del dl Cura Italia, la proposta di un procedimento autorizzativo più agile, con «una sorta di silenzio assenso» e totale responsabilità del proponente, per andare avanti senza intoppi sugli investimenti. Con l'epidemia di coronavirus avete cambiato i vostri piani di investimento per l'anno in corso? Non stiamo modificando di un centesimo i nostri progetti, manteniamo un atteggiamento positivo e ottimista, siamo consapevoli del fatto che una porzione di investimenti in questo momento non potremo realizzarla, ma puntiamo a un'accelerazione decisa a fine anno. Abbiamo un piano di aumentare la dotazione di antenne, migliorare la capacità, permettere che una buona parte di investimenti autorizzati prima dell'emergenza venga realizzata. Quali iniziative avete preso per contrastare l'epidemia di coronavirus? Abbiamo messo tutti in smart working, d'altronde eravamo pronti, prima nelle aree del Nord, poi in tutto il resto d'Italia. Quello che è importante è anche lavorare sulla cultura del lavoro a distanza, non basta essere pronti tecnicamente, ma bisogna esserlo anche culturalmente. I nostri dipendenti stanno lavorando più di prima per soddisfare le esigenze attuali, in maniera molto efficace. Lo sentiamo come un dovere morale. Stiamo soffrendo non tanto nella capacità di andare avanti, fare manutenzioni, ma per il fatto che, nonostante le nostre attività siano state dichiarate essenziali, le nostre squadre non sempre hanno libero accesso all'interno del territorio nazionale, prescindendo dalle aree rosse. Quali criticità avete riscontrato? A volte c'è asincronia tra quello che è stato deciso a livello centrale, in questo caso da un decreto della Presidenza del consiglio, e le decisioni di chi esercita il controllo delle disposizioni a livello locale. Inoltre ci sono delle assenze, giustificate, di persone negli uffici locali, un gap che è difficile da colmare. Una parte della nostra velleità di investire sta subendo uno stop. Come si possono superare queste problematiche? Auspichiamo che in Parlamento, nell'ambito del decreto "Cura Italia", venga stabilito un processo autorizzativo agile e rapido, una sorta di silenzio assenso con totale assunzione di responsabilità da parte del proponente, cioè nostra, che prevede anche la sottoposizione a qualsivoglia controllo successivo. Tutto ciò per assicurare un contributo di servizio migliore rispetto a prima dell'emergenza e circoscritto alle infrastrutture già esistenti. Sul "Cura Italia" stiamo avendo con le istituzioni un'interlocuzione costante, abbiamo avanzato alcune proposte concrete che speriamo vengano recepite in Parlamento. Che altre iniziative avete messo in campo per l'emergenza coronavirus? Stiamo cercando di aiutare i nostri clienti, cioè gli operatori telefonici la cui rete è molto congestionata. Spesso inoltre, a fronte di un traffico aumentato esponenzialmente, non vengono utilizzati dagli utenti servizi che per le telco comportano ricavi incrementali, considerata ad esempio la grande quantità di tariffe flat esistente. Ne deriva una situazione di sofferenza. Noi, quindi, per venire loro incontro, intendiamo dare sei mesi di ospitalità gratuita nelle infrastrutture offrendo sia le spese di installazione sia, alla fine dei sei mesi, anche quelle di disinstallazione. Anche se ci troviamo in una situazione economica difficoltosa per il coronavirus, valutate ugualmente aggregazioni o acquisizioni? Sì certamente, questo tipo di operazioni sono nel nostro dna. Noi cresciamo ogni anno, organicamente e anche acquisendo infrastrutture. E' la storia e anche il futuro di Cellnex. Rispetto a questi obiettivi non ci distraiamo assolutamente, anche se è difficile avere in questo momento interlocutori mentalmente disponibili. Valutate anche la creazione di un maxi polo con Inwit che ha appena terminato il processo di aggregazione con le torri di Vodafone e se sì siete interessati anche a una quota di minoranza? Ad oggi tutte le operazioni inorganiche le abbiamo fatte acquisendo il controllo. Certo finora abbiamo sempre puntato al controllo perché col controllo riusciamo a fare sinergie. D'altronde gli operatori telco guadagnano sei euro per ogni euro investito nelle torri, le tower company come noi ne guadagnano 20. Per questa ragione mi aspetto, in base a questo ragionamento razionale, che a un certo punto gli azionisti possano prendere in considerazione di lasciare il controllo a un soggetto indipendente che fa questo di mestiere. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 09/04/2020

09 Aprile 2020

 Nicita (Agcom): «Operatori telco incentivino uso dell’app»

L'intervista al commissario dell'AGCOM membro della commissione Pisano oggi su DigitEconomy.24, il report Luiss Business School e Il Sole 24 Ore   L'app per il tracciamento del contagio avrà successo «se la usiamo. Credo che gli operatori telco possano dare una mano nel fornire opportuni incentivi legati all'utilizzo volontario dell'app». Parola di Antonio Nicita, commissario Agcom nonché membro della commissione Pisano che si occupa anche dell'app. Secondo Nicita l'app può essere utilizzata, in maniera diversa, nella gestione di tutte le fasi dell'emergenza che per il commissario Agcom sono quattro. Si va dalla prima, che è quella che stiamo vivendo e «finché vi siamo dentro la raccolta di dati può essere utile solo unitamente a un campionamento, quale quello annunciato dall'Istat, che possa darci una capacità predittiva sulla durata della fase», all'ultima fase, la numero quattro: «è quella – spiega - che ci prepara al futuro ove il virus dovesse ripresentarsi, per isolarlo in tempi di assai più rapidi». A fine crisi si potrà poi aprire la possibilità per «un rilancio armonioso e territorialmente equilibrato degli investimenti in reti di alta capacità». E l'Agcom, dice Nicita, non farà mancare il suo contributo. Professor Nicita, qual è il ruolo dell'Agcom nelle ultime iniziative del Governo per contrastare il coronavirus e scegliere un'app che abbia successo nel tracciamento del contagio? Agcom è stata coinvolta dal Governo in due iniziative: una è la Commissione della ministra Pisano che si occupa anche della App per il tracciamento del contagio, in cui io sono stato designato a far parte, e l'altra la task-force sulla disinformazione voluta dal sottosegretario Martella. In entrambe le iniziative Agcom partecipa limitatamente alle proprie competenze, fornendo il proprio contributo tecnico naturalmente e porterà gli esiti degli studi e delle attività svolte per indicazioni di policy al Governo e al legislatore proprio sulle cosiddette data driven policy che con l'Antitrust e il Garante Privacy abbiamo tracciato nella nostra indagine conoscitiva sui big data. Come vede l'Agcom il lancio di una politica pubblica dei dati anche attraverso il tracciamento svolto dall'app per il coronavirus? Quella della ministra Pisano è una iniziativa molto importante e necessaria, tant'è che la stessa Commissione europea ha pubblicato un documento in tal senso. E' chiaro che tra tutte le Autorità, il ruolo principale di osservazione e consultivo, in questa fase, spetta al Garante Privacy e in particolare alla individuazione del giusto equilibrio tra tracciamento e rispetto delle norme GDPR e non solo. Il gruppo che sta lavorando sulla selezione dell'App ha al proprio interno esperti di altissimo valore che stanno lavorando a mio avviso molto bene e in tempi assai ravvicinati. Agcom potrà dare un contributo da osservatore tecnico in una fase successiva alla selezione dell'app, in particolare ragionando sull'accesso ai dati delle Big Tech, sulla capacità d'interazione dell'App con l'ambiente digitale di connessione, su possibili incentivi, da studiare anche con gli operatori di comunicazione, per l'effettivo uso dell'App da parte dell'utente. In che modo un'app di tracciamento potrà aiutare a contrastare il contagio? Diciamo innanzitutto che l'App di tracciamento dovrà essere inserita efficacemente in un contesto di policy articolate. Come suggerisce l'Organizzazione mondiale per la sanità, la raccolta dei dati e il tracciamento opportunamente anonimizzato o pseudoanomizzato deve permettere una politica delle le 3T: Test, Treat, Track. Naturalmente il modo in cui organizziamo le tre T dipende anche dalla fase in cui ci troviamo. Oggi un'app di tracciamento deve aiutarci soprattutto per la cosiddetta fase due, cioè per gestire la transizione dell'uscita. Anche se la fase due a mio avviso va distinta in almeno tre fasi. Quali sono le tre fasi? Forse conviene sin da subito ragionare di quattro fasi e capire come un' app di tracciamento possa aiutare a gestirle. La prima fase la stiamo vivendo ancora purtroppo e finchè vi siamo dentro la raccolta di dati può essere utile solo unitamente a un campionamento, quale quello annunciato dall'Istat, che possa darci una capacità predittiva sulla durata della fase. La fase due è quella che si aprirà dopo aver osservato un significativo rallentamento e riguarderà rientri selettivi al lavoro e a talune attività. Qui diventa utile capire chi è negativizzato e quali misure comportamentali vengono rispettate. E diventa importantissimo garantire che questa ‘apertura' sia limitata e selettiva. La terza fase è quella di vera uscita per la totalità della popolazione, ma non sarà un ritorno alla vita ‘normale'. Dovranno essere rispettate molte nuove regole e l'app di tracciamento può aiutarci anche nel monitoraggio di queste regole e al rispetto dei vincoli (anche banalmente di congestione o assembramento) in molte attività di lavoro, trasporto, scuola, tempo libero, turismo. La quarta fase è quella che ci prepara al futuro ove il virus dovesse ripresentarsi, per isolarlo in tempi di assai piu rapidi. Come potrà Agcom intervenire per far sì che l'app che sarà selezionata sia poi usata con successo? La app avrà successo se la usiamo. Credo che gli operatori telco possano dare una mano nel fornire opportuni incentivi legati all'utilizzo volontario dell'app. E' una riflessione che stiamo svolgendo e che ovviamente deve essere pienamente trasparente. L'altro importante pezzo del ragionamento è l'accesso ai nostri dati in possesso delle big tech per aiutare nel tracciamento del contagio e prevenirlo e integrare così le varie banche dati disponibili per il disegno delle politiche pubbliche. Questa crisi ha dimostrato la centralità della connessione e la necessità di superare il divario digitale. Che cosa ne pensa? Credo che dopo la fase acuta dell'emergenza, si apra una concreta possibilità per un rilancio armonioso e territorialmente equilibrato degli investimenti in reti di alta capacità. Agcom non farà mancare un contributo proattivo. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO  09/04/2020

09 Aprile 2020

 Candiani (Microsoft): «App per tracciamento contagiati sia aperta agli altri sviluppatori»

L'intervista alla country manager Italia per DigitEconomy.24, il report Luiss Business School e Il Sole 24 Ore. Il gruppo ha partecipato alla call del Ministero dell'Innovazione.   Chiunque venga scelto per l'app di tracciamento dei contagiati di coronavirus metta poi la sua soluzione a disposizione degli altri sul social network degli sviluppatori, in modo tale che possa essere migliorata e sfruttata anche negli altri Paesi. E' il punto di vista di Silvia Candiani, country general manager di Microsoft Italia, una delle oltre 300 aziende che hanno partecipato alla call del ministero dell'Innovazione per realizzare un sistema di tracciamento. Per quanto riguarda il modello da scegliere nel bilanciamento con le esigenze di privacy, Candiani, che  ricorda come Microsoft sia pronta con ben due app, cita quello utilizzato da Singapore che si basa sull'uso della tecnologia bluetooth, sui contatti del contagiato, senza risalire al singolo individuo e parla di un necessario «trade off» tra sicurezza e uso del dato in un momento emergenziale come quello che stiamo vivendo. Oltre alla app, Microsoft per far fronte all'emergenza è impegnata su più fronti, dagli ospedali alle scuole alle aziende. E dopo l'emergenza? Nell'intervista a DigitEconomy.24 (report di Radiocor e Luiss Business School), Candiani spiega: «non si tornerà indietro, ci sarà un balzo nella digitalizzazione: penso che il cloud, l'informatica, l'utilizzo dei dati dovranno essere gli assi su cui costruire nuovi prodotti e servizi e su cui rilanciare anche la rinascita dell'Italia alla fine della crisi». Quali le iniziative avete intrapreso per l'emergenza? La prima cosa che abbiamo fatto è metterci in moto perché le aziende potessero essere operative, e in questo senso abbiamo avuto un feedback superiore a ogni più rosea aspettativa. Ci siamo resi conto in poco tempo di quanto si possa fare in smart working, dalle riunioni alle sessioni di brain storming, al dialogo con i clienti. Da noi in Microsoft abbiamo previsto anche momenti ludici come ad esempio le lezioni di yoga per i dipendenti.   Ci siamo anche accorti che le piccole aziende erano più in difficoltà, e quindi abbiamo messo loro a disposizione gratuitamente fino al 2021 Teams, la nostra piattaforma per le videconferenze e la produttività da remoto. In più abbiamo fatto una call to action a tutti i nostri partner chiedendo di prestare aiuto volontario per quelle realtà che volessero andare in smart working rapidamente ma non ne avessero le capacità. Abbiamo avuto un grande successo, quasi 40 aziende si sono offerte volontarie. Abbiamo dato priorità a ospedali e strutture sanitarie per poterle aiutare nell'attivazione di Teams. Inoltre abbiamo partecipato alla chiamata alle armi del ministero dell'Innovazione che ha chiesto i nostri prodotti gratuitamente per le zone più colpite, ad esempio nelle zone rosse di Codogno, poi abbiamo deciso di ampliare la nostra promozione al di là di quelle aree.  Un altro campo dove abbiamo lavorato è il supporto alle scuole dove, oltre alla nostra piattaforma, abbiamo dato disponibilità a formare gli insegnanti per la didattica on line. In poche settimane ne abbiamo formato un numero consistente, oltre 60mila. Infine abbiamo messo on line tutti i 9.500 giudici che ora fanno gli interrogatori tramite Teams. Che dati avete riscontrato nell'utilizzo delle vostre piattaforme con l'arrivo del coronavirus? In Italia con Teams eravamo un po' più indietro, era un prodotto di riferimento, ma non se ne si sentiva così forte l'urgenza. Nel giro di pochi giorni abbiamo abilitato quasi tutte le grandi aziende in Italia. Per rendere l'idea mese su mese abbiamo riscontrato una crescita di 7 volte nell'uso della piattaforma. Il sistema Italia era pronto a sostenere un'emergenza del genere? La difficoltà è stata trovare l'interlocutore giusto. Ad esempio nel mondo della scuola abbiamo lavorato bene, partecipiamo a un gruppo di lavoro, e abbiamo fatto un buon piano per la didattica on line. Una delle criticità è che per parlare alle scuole non esiste un modo centralizzato, ma bisogna partire dal basso. Ogni scuola, e a volte ogni professore, si orienta in maniera diversa. Diventa un po' difficile fare qualcosa di orchestrato. In altri Paesi invece si ci mette d'accordo con il Ministero e poi viene realizzata la soluzione per tutti. La stessa cosa è avvenuta per gli ospedali per i quali abbiamo tante soluzioni, ma non c'è un coordinamento nazionale. C'è una frammentazione che magari ha benefici in alcuni ambiti, è più flessibile, in altri permette di essere meno veloce nell'implementare determinate soluzioni. Che tipo di soluzione avete individuato per l'app di tracciamento delle persone contagiate? Abbiamo presentato una nostra proposta, abbiamo sostenuto anche nostri partner che hanno fatto delle proposte, ci siamo messi a disposizione. In effetti il numero di applicazioni presentate è molto ampio, e questo potrebbe rallentare il processo, le soluzioni vanno infatti validate, ne va scelta una, sono tutti giorni che un po' perdiamo, si potrebbe essere più efficaci magari con un approccio un po' più direttivo. Dal canto nostro abbiamo messo a disposizione un'app realizzata con un nostro partner che gira su Azure ed è già disponibile adesso, un'altra sarà disponibile tra pochi giorni. Come Microsoft abbiamo diverse esperienze, siamo il partner del sistema sanitario inglese, abbiamo collaborato a Singapore, in questo momento tutte le nostre filiali stanno lavorando su applicazioni simili. Abbiamo inoltre proposto di mettere l'app prescelta su Github, il.social network dei devolopers, dove cioè gli sviluppatori si possono scambiare il codice sorgente. Qualunque sia la app scelta è infatti preferibile che diventi un bene comune che magari possa essere migliorato dalle altre 300-400 società di sviluppatori, ma anche essere resa disponibile agli altri Paesi. Come si possono risolvere i problemi di privacy nell'utilizzo di simili app? Innanzitutto, anche nella regolamentazione della privacy si fa riferimento al caso delle emergenze sanitarie. Si può inoltre ipotizzare, ad esempio nell'app scelta da Singapore, che sulle informazioni raccolte con bluetooth, non si sappia chi sia la persona, ma si abbia solo evidenza degli altri cellulari che sono stati vicini al contagiato entro due metri. Qualora dunque una persona risulti positiva al coronavirus, premendo un bottone si potrà avvisare automaticamente tutti gli altri cellulari che si sono trovati vicini nei precedenti 14 giorni. Penso in questa fase serva un trade off tra sicurezza e utilizzo del dato. Comunque l'app sarà di proprietà dello Stato che sarà garante. Che idea vi siete fatti dello stato di digitalizzazione dell'Italia ai tempi del coronavirus e che cosa ci aspetterà alla fine dell'emergenza? L'Italia è in ritardo rispetto agli altri Paesi, ha investito sempre molto meno in tecnologie e ricerca, in effetti si vede dalla penetrazione più bassa dello smart working e del cloud. La situazione di emergenza ha accelerato una serie di processi e secondo me non si torna indietro. Penso che l'ideale sia comunque un mix tra l'uso del digitale e gli incontri di persona perché abbiamo anche bisogno del contatto umano, dello scambio. D'altro canto, se non avessimo avuto il cloud, non sarebbe stato possibile gestire i picchi così forti registrati sulla nostra infrastruttura. I benefici in termini di resilienza, di elasticità sono sotto gli occhi di tutti, tutte le aziende stanno accelerando nel percorso di digitalizzazione. L'eredità di questa situazione sarà un grande balzo in avanti della digitalizzazione: penso che il cloud, l'ict e l'utilizzo dei dati dovranno essere gli assi su cui costruire nuovi prodotti e servizi e su cui rilanciare anche la rinascita dell'Italia alla fine della crisi. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 09/04/2020