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14 Gennaio 2021

Msc Crociere: «Quattro pilastri per la sostenibilità e navi a impatto zero»

Il piano del gruppo crocieristico raccontato a SustainEconomy.24 dal Managing Director Italia, Leonardo Massa. Che, dopo il 2020 caratterizzato dalla pandemia, vede un 2021 di turismo di prossimità con attenzione alle aree del Mediterraneo e Nord Europa   Un piano di sostenibilità basato su quattro pilastri e 5 miliardi di investimenti per 5 navi alimentate a Gnl. Leonardo Massa, managing director Italia di Msc Crociere parla a SustainEconomy.24, report di Luiss Business School e Il Sole 24 Ore Radiocor dell'impegno e degli obiettivi del gruppo che punta a navi con tecnologie ambientali all'avanguardia e a zero emissioni e ad una riduzione del carbon footprint del 40% entro il 2030. Dopo il difficile 2020 per l'impatto della pandemia sui viaggi, Msc Crociere vede un 2021 di turismo di prossimità, con attenzione alle aree del Mediterraneo e del Nord Europa. Il vostro piano di sostenibilità ha ricevuto recentemente dei riconoscimenti. Come si declina? «Per Msc Crociere, l'ambiente è un elemento importantissimo e per questo siamo da anni impegnati nella protezione dell'ecosistema e delle comunità costiere raggiunte dalle nostre navi. Il nostro obiettivo è quello di raggiungere la leadership necessaria per aiutare l'intero settore crocieristico ad avanzare nel suo cammino verso un futuro più sostenibile. E il nostro obiettivo finale è costruire navi a emissioni zero. Recentemente abbiamo presentato il piano di sostenibilità basato su quattro pilastri fondamentali: pianeta, persone, luoghi e approvvigionamenti. Parole chiave a cui corrispondono quattro precisi obiettivi come l'impegno continuo per la riduzione dell'impatto ambientale della flotta, la promozione della diversità e inclusione tra tutti i dipendenti, la sostenibilità dell'impatto della nostra attività sulle comunità con cui collaboriamo e l'approvvigionamento responsabile dei prodotti e dei servizi acquistati e disponibili sulle navi. Tra i risultati più significativi ottenuti in termini di sostenibilità c'è sicuramente l'inaugurazione nel dicembre 2019 di Ocean Cay Msc Marine Reserve alle Bahamas, per la quale sono stati investiti oltre 200 milioni di dollari. In soli tre anni abbiamo trasformato un ex sito di estrazione della sabbia in paradiso ecosostenibile. Ora stiamo lavorando alla creazione di un vivaio di coralli e di un laboratorio marino sull'isola per sostenere la rigenerazione dei coralli e della fauna marina. Ma l'impegno per l'ambiente è testimoniato anche dall'implementazione di nuove tecnologie di bordo e nella costruzione di 5 nuove navi alimentate a Gnl, progetti su cui sono stati investiti oltre 5 miliardi di euro. Abbiamo ricevuto numerosi riconoscimenti tra cui il Marine Environment Protection Awards 2020 e, recentemente, il "Greenest Shipowner of the Year" Neptune Award al Global Sustainable Shipping and Ports Forum di Copenhagen, il "Porthole Reader's Choice Award" come compagnia di crociera più eco-friendly e la Biosafe dal RINA. Inoltre siamo stati la prima compagnia internazionale a ricevere la ClassNK in Giappone che consentirà di ripartire nel Sol Levante appena sarà possibile». Questo impegno porterà ad avere navi da crociera green? «Msc Crociere intende diventare leader ambientale nel settore marittimo a livello globale, tracciando un percorso verso un futuro sostenibile che non può prescindere dall'impiego di navi green di nuova generazione. Proprio seguendo questo obiettivo nel 2021 entreranno in servizio MSC Virtuosa e MSC Seashore, navi di ultima generazione che presentano tecnologie ambientali all'avanguardia. In termini di emissioni impiegano sistemi di pulizia dei gas di scarico e sistemi di riduzione catalitica selettiva per ridurre al minimo le emissioni. Inoltre, come tutte le nostre navi consegnate dal 2017 in poi, anche queste due navi sono dotate di sistemi di alimentazione dell'energia da terra che consentono di collegarsi alle reti elettriche locali mentre sono ormeggiate, riducendo significativamente l'impatto della nave in porto. Bisogna considerare infatti che, se tutti i porti fossero attrezzati per l'alimentazione da terra con energia rinnovabile potremmo risparmiare 320mila tonnellate di CO2. Il 2022 sarà, invece, caratterizzato dalla consegna di Msc World Europa, la prima nave di Msc Crociere alimentata a Gnl (Gas Naturale Liquefatto)». A che punto siete sul fronte della riduzione delle emissioni? E quali sono i target futuri? «Msc Crociere ha fissato un ambizioso obiettivo di riduzione del consumo di carburante del 2,5% annuo, che punta a migliorare le prestazioni e a raggiungere una sostanziale riduzione delle emissioni nell'aria. In linea con le decisioni dell'Organizzazione Marittima Internazionale (IMO), l'obiettivo è quello di ridurre il carbon footprint del 40% entro il 2030 rispetto al 2008. Dal 2008 ad oggi grazie ai nostri investimenti e all'attenzione che poniamo all'ambiente abbiamo già ottenuto un miglioramento del 28% del carbon footprint, una riduzione del 98% dell'anidride carbonica emessa. L'80% dell'acqua potabile proviene da acqua di mare desalinizzata a bordo e gli oltre 26mila metri cubi di rifiuti vengono differenziati e riciclati tramite i nostri sistemi di bordo». Abbiamo appena archiviato un anno molto difficile, anche per il vostro settore. Appena sarà possibile Msc Crociere riprenderà a navigare. Cosa vi aspettate per il nuovo anno e cosa servirebbe al comparto? «Il 2021, anche a causa delle restrizioni dei vari Governi nazionali legate all'avvento della pandemia Covid, sarà ancora caratterizzato da un turismo di prossimità che, già negli ultimi mesi del 2020, ha consentito ai passeggeri di riscoprire le meraviglie che ci offre il nostro Paese grazie a misure che assicurino un elevato livello di sicurezza. Il nostro protocollo, grazie al quale, a partire da agosto, abbiamo trasportato oltre 30 mila passeggeri, prevede infatti lo screening universale di tutti gli ospiti e i membri dell'equipaggio prima dell'imbarco tramite tampone Covid-19 antigenico, l'igienizzazione di tutti i bagagli, misure igienico-sanitarie e di pulizia rafforzate in tutta la nave, il distanziamento sociale a bordo e l'uso di mascherine nelle aree pubbliche fornite quotidianamente dalla compagnia. Inoltre, a tutti gli ospiti viene consegnato un braccialetto smart e contactless che consente di tracciare, se necessario, i contatti di prossimità. L'adozione di tali misure richiede notevoli investimenti ma vogliamo dare il segnale chiaro che le nostre navi sono sicure. La speranza è quella di tornare al più presto a una condizione di normalità che si avvicini il più possibile a quella vissuta nel 2019 e, considerando che si tratterà, soprattutto, ancora di turismo di prossimità, guarderemo con attenzione alle aree del Mediterraneo e del Nord Europa». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 14/1/2021

14 Gennaio 2021

Neutralità delle emissioni e biocarburanti nella sfida del trasporto aereo. E la difficile ripartenza 

Il direttore generale di Enac, Alessio Quaranta ne parla a SustainEconomy.24, il report di Luiss Business School e Il Sole 24 Ore Radiocor   È possibile immaginare un futuro sostenibile per il trasporto aereo con uno sforzo, sia a livello internazionale che nazionale, che punta alla neutralità delle emissioni e ai biocarburanti. Alessio Quaranta, il direttore generale dell'Enac, l'ente nazionale per l'aviazione civile, descrive in un'intervista a SustainEconomy.24, report di Luiss Business School e Il Sole 24 Ore Radiocor, le iniziative e l'impegno degli operatori e delle istituzioni. Ci sono già aeroporti italiani, che rappresentano oltre la metà del traffico passeggeri, che hanno raggiunto la neutralità carbonica. E si lavora a sterlizzare le emissioni ai livelli del 2020. Enac, in team con altre istituzioni, lavora per favorire lo sviluppo di carburanti alternativi e un action plan di riduzione delle emissioni che sarà rivisto quest'anno. Un anno che sarà ancora difficile per il settore con un ritorno ai livelli pre-pandemia, basandosi sulle stime europee, realistico nel 2024-2026. È possibile rendere il trasporto aereo sostenibile? «Sì, è possibile sia dal punto di vista nazionale che internazionale. Oggi i dati ci dicono che il trasporto aereo contribuisce per meno del 3% alle emissioni totali di CO2. Il che non significa che non ci si deve porre il problema della diminuzione delle emissioni, anzi, bisogna fare uno sforzo ulteriore. E sono tante le iniziative che si stanno portando avanti con questo obiettivo proprio perché non è tantissimo il gap da dover ridurre. Quindi si può immaginare, in futuro, un trasporto aereo sostenibile. Anche a livello industriale sono tante le innovazioni che si stanno studiando, dall'aeroplano elettrico all'alimentazione a idrogeno: ci sono le condizioni per andare in quella direzione. A livello internazionale, si è raggiunto un accordo, in ambito Icao (l'Organizzazione internazionale dell'aviazione civile), affinché in tempi programmati le emissioni – attraverso un sistema di compensazioni - siano limitate a quelle del 2020; già si sta lavorando per sterilizzare le emissioni a quei livelli, certo con un minimo di ripensamento rispetto a quello che è accaduto con la pandemia. È evidente che guardare unicamente ai dati del 2020 è qualcosa di difficilmente realizzabile e stiamo ragionando in termini di mediazione dei dati su un triennio. Comunque, una sterilizzazione ai livelli del 2020, in termini di emissioni pre-pandemia, è un contributo importante alla sostenibilità del settore». Dal vostro punto di osservazione gli aeroporti italiani e i vettori italiani stanno compiendo un percorso di sostenibilità? A che punto siamo? «Ci sono una serie di programmi non obbligatori ma volontari, e più privati che pubblici, che vedono gli aeroporti cimentarsi nella riduzione, fino alla neutralità, delle emissioni. In Italia abbiamo come aeroporti un discreto numero di soggetti che partecipano a questi programmi. In particolare, c'è un programma gestito da Aci (Airport Council International) di riduzione delle emissioni e in Italia abbiamo 14 aeroporti che aderiscono a questo programma e che rappresentano, in termini di traffico passeggeri, circa l'80% del trasporto aereo in Italia (dati sempre pre-pandemia). Di questi 14, la metà (che rappresentano circa il 57% del traffico 2019), hanno già raggiunto il livello di neutralità, non perché non producono CO2 ma perché la compensano. Abbiamo già messo in piedi in Italia sia su base volontaria che obbligatoria una serie di attività fortemente indirizzate alla riduzione delle emissioni. Questo è il contribuito che viene dagli operatori». E quale può essere, invece, il ruolo di Enac? «Noi cerchiamo di dare una mano accompagnando questi percorsi sia in termini di ausilio che di verifica e raccolta dati. In più stiamo studiando una serie di altre possibilità, come lo sviluppo di carburanti alternativi e biocarburanti e abbiamo lanciato un progetto di ricerca di carburanti biologici dalla sintetizzazione di alcune microalghe, abbiamo indetto una gara e siamo in fase avanzata. L'obiettivo, in ambito Icao, è ambizioso: ridurre attraverso l'uso di biocarburanti e carburanti alternativi di almeno il 10% le emissioni rispetto ai combustibili fossili e non è poco. A questo aggiungiamo altre iniziative: abbiamo approvato un nostro piano d'azione sulla riduzione delle emissioni che rivedremo nel corso di quest'anno e abbiamo creato un gruppo coeso e stabile di soggetti, anche con Enav, per individuare gli sforzi che ognuno può apportare per la riduzione delle emissioni. Mi piace segnalare anche che stiamo portando avanti il ridisegno delle rotte che devono seguire gli aeroplani in volo perché a certe altezze vengono scelte dall'operatore aereo. Questo, insieme all'efficientamento dei tempi di taxing o la gestione del traffico con procedure satellitari, ha prodotto nel 2018 una riduzione stimata di circa 415mila tonnellate di CO2, come se parlassimo della quantità di carburante risparmiata che servirebbe a far volare 79mila voli tra Roma Fiumicino e Milano Malpensa. Quindi parliamo di dati importanti. Da ultimo abbiamo istituito un osservatorio nazionale sui carburanti sostenibili con istituzioni e ministeri, enti di ricerca e vettori con l'obiettivo di contribuire alla diffusione formativa». La pandemia di Covid-19 ha rivoluzionato le nostre vite e i nostri spostamenti. Il bilancio 2020 è stato pesante. Ora è iniziato il nuovo anno, cosa si aspetta? «Nell'immediato in termini di recupero di traffico non ci sono segnali, almeno finché non si sarà diffusa la campagna vaccinale in maniera massiva. Non mi aspetto nella prima parte dell'anno un recupero dei numeri del traffico e mi auguro che nella seconda fase - anche sfruttando la stagione estiva - si possa ricominciare a ragionare su una ripresa. Quello che serve è ricostituire la confidenza del passeggero nei confronti del mezzo di trasporto aereo perché ora, oltre alle restrizioni, ci sono paura e preoccupazioni. E parlo a livello generale. Quanto all'Italia, per come è dimensionato il nostro traffico, siamo fortemente dipendenti dalle attività internazionali; nel Paese, aldilà di alcune direttrici Nord-Sud oggi parlare di dimensioni del trasporto aereo a livello nazionale ha poco senso soprattutto su direttrici dove è presente l'Alta velocità. Il nostro sistema del trasporto aereo si basa sul traffico internazionale anche perché siamo naturalmente attrattivi e finché resteranno la paura di volare per il timore di ammalarsi e le restrizioni alla libera circolazione sarà difficile immaginare una ripresa. Con il paradosso che l'aereo resta il mezzo di trasporto più sicuro. Dai dati Easa in luglio-agosto ogni 100mila passeggeri sono risultati infetti solo 7, un numero millesimale. Quindi il sistema ha garantito una sua sicurezza. Noi siamo stati il Paese che ha subito i maggiori contraccolpi nel settore, a marzo-maggio dello scorso anno abbiamo avuto fino a -98% e l'estate scorsa abbiamo 'festeggiato' il -75% di traffico, per dare un'idea delle condizioni in cui si trova il settore. Ma anche quando il traffico inizierà a ripartire, l'esperienza lascerà il segno e non si potrà recuperare al 100%. Una quota parte del traffico d'affari che avevamo prima difficilmente tornerà, mentre, il traffico turistico riprenderà ma va necessariamente inquadrato nel contesto più ampio di crisi economica. Abbiamo la necessità di immaginare qualche anno per ripartire. I dati di Eurocontrol, l'Organizzazione europea per la sicurezza della navigazione aerea che conta 41 Stati europei, immaginano una ripresa del traffico ai livelli pre-pandemia a seconda di quando il vaccino sarà efficace: il 2022-2023 nel caso in cui si riuscisse a vaccinare gran parte della popolazione mondiale con effetti efficaci mentre, in caso di fallimento del vaccino, il recupero non è previsto prima del 2029 con una previsione intermedia - e forse la più realistica- che con un funzionamento corretto del vaccino ma con la necessità di distribuirlo in un arco temporale adeguato stima tra il 2024 e il 2026 un ritorno ai livelli di traffico 2019. Un lasso di tempo non indifferente che in termini aeronautici non è tantissimo mentre in termini economici è una perdita notevole per il settore». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 14/1/2021

05 Gennaio 2021

«Italia 2030» a che punto siamo con la circolarità in economia

Commento di Matteo Caroli, Associate Dean Luiss Business School, pubblicato su Corriere della Sera Buone Notizie, 5 gennaio 2021  Anche nel nostro Paese la spinta istituzionale a favore dell'economia circolare è ormai robusta. Ne è un esempio, il progetto «Italia 2030»: le traiettorie dell'economia circolare per il rilancio economico sostenibile dell'Itali, avviato dal Viceministro per lo sviluppo economico nell'autunno del 2019 e giunto alla conclusione della sua prima fase. L'iniziativa è stata concepita in collaborazione pubblico-privato: insieme al Mise sono state coinvolte molte tra le principali imprese e università italiane, istituzioni e associazioni. Il sostegno diretto di dieci grandi Gruppi (Cassa Depositi e Prestiti, Enel, Eni, Generali, Intesa San Paolo, ltalgas, Leonardo, Poste Italiane, Snam, Terna) evidenzia la rilevanza istituzionale del progetto. Quindici gruppi di lavoro, partecipati da esperti di provenienza istituzionale, aziendale o accademica hanno approfondito questioni molto specialistiche: dall'analisi delle filiere particolarmente rilevanti per l'economia circolare come quella dell'energia, o la chimica, le costruzioni, l'agricoltura, all’approfondimento di innovazione e finanza come fattori “abilitanti” dello sviluppo circolare, fino alle sfide che riguardano la sensibilizzazione da un lato delle Pmi e dall’altro lato dei consumatori. Altri tre gruppi di lavoro hanno studiato le grandi problematiche sociali che condizionano le possibilità di sviluppo sostenibile del nostro Paese: la fecondità e il lavoro; l'invecchiamento della popolazione; l'immigrazione. Ciascun gruppo ha realizzato un documento valido scientificamente, ma utile soprattutto alla divulgazione, che spiega «a che punto siamo» nell'evoluzione verso l'economia circolare; i principali nodi da sciogliere e i successi consolidati; e avanza delle concrete proposte di policy per rafforzare questa transizione. Questi documenti sono stati discussi in un ciclo di dodici webinar, organizzati dalla Luiss Business School, ai quali hanno partecipato oltre tremila persone. A questo impegno fa eco il prestigioso posizionamento ottenuto ad inizio dicembre 2020 dall'intera Luiss Guido Carli, con l'ingresso tra i top 50 Atenei più sostenibili al mondo per il ranking World University Green Metrics, classificandosi seconda a livello globale (e prima in Italia) nella specifica categoria «Energy and climate change». Gli studi prodotti (che saranno riassunti in un e-book il prossimo gennaio) fanno emergere luci e ombre. Da un lato, il nostro Paese ha raggiunto un'ottima posizione tra i Paesi europei, ad esempio sulle energie rinnovabili, del waste management, dell'efficientamento energetico. Dall'altro, la complessità normativa e burocratica rallenta gli investimenti green delle aziende e d'altro canto è ancora troppo modesto (pur se in costante crescita) il numero delle piccole e medie imprese decisamente orientate all'economia circolare. Occorre dunque, accelerare sull'innovazione tecnologica, di business e istituzionale; capire come farlo è il prossimo obiettivo di Italia 2030. RIVEDI I WEBINAR DI ITALIA 2030  5/1/2021

23 Dicembre 2020

Conad: «Con la pandemia cambiati carrello e modalità di acquisto. Il 2021 sarà più lento»

Il direttore generale, Francesco Avanzini, traccia il bilancio dell'anno e parla delle strategie per il 2021: multicanalità, sostenibilità e digitalizzazione   Si chiude un anno, il 2020, di cambiamenti che ha visto le vendite della Gdo aumentare «ma in modo diversificato». Francesco Avanzini, direttore generale di Conad, a SustainEconomy.24, report di Radiocor e Luiss Business School, traccia un quadro sulla trasformazione dei consumi accelerata dalla pandemia. E dei risultati del gruppo, leader nella grande distribuzione in Italia dopo l'integrazione con Auchan, che si traducono in vendite cresciute di oltre il 10% e quota di mercato quasi al 15%.  Anche se il 2021 vedrà inevitabilmente una crescita più lenta. Il tutto senza trascurare un forte impegno alla sostenibilità ambientale, sociale ed economica. Le risorse del Recovery Fund, indica, siano destinate a processi di modernizzazione Siamo alla conclusione di un anno molto particolare. Il vostro settore è stato spesso sotto i riflettori. Cosa è cambiato? «I cambiamenti che hanno caratterizzato l'anno sono legati alla pandemia e alla situazione di emergenza sanitaria. In generale, le vendite della GDO sono aumentate, ma in modo diversificato: sono cresciute nei negozi di prossimità e nei supermercati; sono diminuite nei negozi di grandi dimensioni, localizzati fuori dai centri cittadini, a causa delle norme sul distanziamento sociale, dei limiti posti alla vendita di prodotti non alimentari, della chiusura nei giorni festivi e prefestivi del periodo natalizio. La chiusura di bar e ristoranti, alberghi e altri centri di aggregazione, che valeva in alcuni negozi fino al 10% del fatturato, e la mancanza di turisti in molte città italiane, hanno anch'esse avuto un effetto negativo sulle nostre vendite.  Sono cambiate la composizione del carrello e le modalità di acquisto: in alcuni periodi abbiamo avuto meno visite dei clienti nei negozi, con uno scontrino medio più alto, mentre in altri periodi la situazione si è rovesciata. In definitiva, la pandemia ha accelerato fenomeni di evoluzione delle esigenze dei clienti, che sono diventate molto più articolate e complesse: il "prodotto distributivo" è, di conseguenza, diventato anch'esso più articolato e la multicanalità è diventata una urgenza, compreso il canale dell'e-commerce, cresciuto a tripla cifra, anche se ancora molto piccolo nelle dimensioni sul totale». Parliamo di Conad. Siete leader della grande distribuzione in Italia e avete appena tracciato il bilancio di un anno che si chiude in forte crescita. Ce ne parla? «Una nostra prima stima sul valore delle vendite di tutte le componenti del sistema Conad evidenzia una crescita del 10,2%, anche grazie all'integrazione dei negozi ex Auchan, per un valore di 15,7 miliardi di euro. Completando l'operazione Auchan, questa stima potrebbe ulteriormente crescere. La Guida Nielsen Largo Consumo del primo semestre 2020 ci accredita una quota di mercato del 14,8%; inoltre, mi fa piacere vedere che abbiamo rafforzato la nostra quota di mercato nel canale Supermercati, portandola al 24,21%. Da notare anche che la nostra marca commerciale è cresciuta molto: secondo una nostra elaborazione, nel 2020 è aumentata del 20% nel valore delle vendite, fino a raggiungere i 4,5 miliardi: oggi in Italia 1 prodotto di MDD (prodotti a marchio) su 3 è Conad». E cosa vi aspettate dal 2021? «Per il 2021, abbiamo elaborato piani di crescita che seguiranno 4 direttrici strategiche: multicanalità, marca del distributore, sostenibilità e digitalizzazione. Le nostre 5 cooperative hanno deliberato 1,487 miliardi di euro di investimenti per l'ammodernamento e il miglioramento dei punti vendita della rete. Abbiamo lavorato per aumentare la dimensione media dei nostri punti vendita, ma seguendo l'evoluzione della domanda: sono cresciute le metrature dei negozi di prossimità e dei supermercati, è stata ridotta la superfice degli ipermercati. Tuttavia ritengo improbabile che nel 2021 avremo gli stessi risultati, in termini di crescita di fatturato e quota di mercato, che abbiamo avuto quest'anno, dovuti all'integrazione della rete ex-Auchan e all'eccezionalità della situazione creata dalla pandemia. La difficile situazione del Paese ci induce a prevedere un ulteriore calo dei consumi, che renderà la nostra crescita nel 2021 più lenta». A proposito dell'integrazione di Auchan, il processo di integrazione è completato? «Sì, è completato. Alla fine dell'anno non ci saranno più punti vendita Auchan: circa 190 avranno l'insegna Conad, mentre circa 110 sono passati ad altri primari operatori, seguendo le indicazioni dell'Antitrust e per evitare sovrapposizioni. Abbiamo raggiunto la leadership nelle Marche, l'abbiamo  rafforzata in 5 Regioni e migliorato notevolmente la nostra posizione nelle restanti Regioni. Abbiamo lavorato con le Istituzioni per creare lavoro per quanti più collaboratori di Auchan possibile: abbiamo portato nella rete Conad 8.500 persone; a 2.500 persone abbiamo dato una soluzione occupazionale, mentre 2.600 persone lavorano oggi in altre reti distributive». La Grande Distribuzione sul tema della sostenibilità ha mostrato di saper avere una visione che va lontano. Qual è e quale sarà l'impegno di Conad? «Per noi la sostenibilità è ambientale, sociale, economica. Per l'ambiente investiamo sul continuo miglioramento della logistica; sull'azzeramento delle emissioni; sui trasporti; sull'utilizzo di cassette riutilizzabili per l'ortofrutta; sul pallet pooling. Nei punti vendita abbiamo rafforzato il monitoraggio dei consumi energetici, spinto l'uso di materiali di consumo riciclabili e biodegradabili e impiantato colonnine elettriche di ricarica. Per i prodotti a marchio Conad lavoriamo alla massimizzazione dei pack sostenibili, all'utilizzo sostenibile delle risorse e delle materie prime, alla valorizzazione dei territori. La sostenibilità sociale è basata sulla valorizzazione delle risorse umane del sistema Conad, sulla formazione dei collaboratori, sull'attenzione alle relazioni. Abbiamo destinato circa 30 milioni di euro a iniziative in favore delle comunità in cui operiamo, comprese le donazioni a istituti clinici di ricerca impegnati nella lotta alla pandemia. Abbiamo stipulato accordi con i produttori per una concorrenza etica e stiamo lavorando ad accordi con il mondo agricolo. Sostenibilità economica significa affiancare le aziende italiane: lavoriamo con 6.900 aziende fornitrici locali, che sviluppano un fatturato di 2,6 miliardi di euro e producono 405 eccellenze alimentari di 19 regioni italiane». Si parla tanto di sostenibilità, innovazione e green nei futuri piani del Governo per utilizzare le risorse del Recovery Fund. Cosa serve al vostro settore? «Nel nostro settore la semplificazione della burocrazia e la certezza di norme uguali su tutto il territorio nazionale sono i prerequisiti per un piano di investimenti che consenta di ammodernare una rete in gran parte vecchia e che necessita di interventi strutturali. Anche il sistema Paese deve essere ammodernato, soprattutto nelle sue infrastrutture per i trasporti, per le reti digitali e per la formazione. Credo che siano sfide importanti per il nostro comparto anche la digitalizzazione e la formazione di una nuova generazione di operatori specializzati. Ritengo, quindi, che le risorse del Recovery Fund nella GDO potrebbero essere impiegate a supporto di questi processi di modernizzazione. Infine, penso che molte risorse dovrebbero essere destinate all'educazione dei giovani. La GDO può affiancare le istituzioni e noi da tempo dedichiamo risorse alla scuola e alla formazione delle future generazioni». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 23/12/2020

23 Dicembre 2020

Federdistribuzione: «Sostenibilità e incentivi. Vera partita del Paese è far ripartire i consumi» 

La scelta sostenibile delle imprese della distribuzione moderna. E il bilancio di un anno drammatico che richiede più ristori e incentivi ai consumi. Il presidente, Claudio Gradara, ne parla a SustainEconomy.24, il report Luiss Business School e Il Sole 24 Ore – Radiocor   L'adesione delle aziende della distribuzione moderna ad un percorso di sostenibilità è pressoché totale e sta diventando una ‘leva competitiva', spiega Claudio Gradara, il presidente di Federdistribuzione che parla a SustainEconomy.24, report di Luiss Business School e Il Sole 24 Ore Radiocor, del bilancio di sostenibilità 2020 dell'intero settore. E delle prossime sfide: dal tema della plastica e dei packaging ai rapporti di filiera. Ma si avvicina la fine di un anno difficile ed è tempo di bilanci. Ed emerge un settore spaccato in due: il comparto alimentare che ha arginato la crisi e dato normalità al Paese e il settore non alimentare duramente colpito dalla pandemia. La vera partita del Paese, spiega Gradara, si gioca sulla ripresa dei consumi. I ristori sono troppo modesti e servono incentivi. E sfruttare bene l'occasione del Recovery Plan Cresce l'attenzione per la sostenibilità. Voi avete presentato recentemente il bilancio 2020 che sintetizza l'impegno delle aziende della distribuzione moderna su questo fronte. Cosa emerge? «Emerge un miglioramento su tutti i parametri che, peraltro, nel corso del tempo sono cresciuti rispetto alla prima edizione del 2012, ed ha visto la crescita delle adesioni degli associati che ormai è pressoché totale. E' uno dei pochi bilanci che misurino un intero settore economico. C'è una diffusione delle best practices, in assoluto è cresciuta la consapevolezza da parte delle imprese che, in visione prospettica - tenendo conto anche dell'attenzione e della sensibilità dell'opinione pubblica su questi temi - questo è un terreno su cui confrontarsi insieme ad altri. Anzi direi che sta diventando quasi una leva competitiva il fatto di porre in essere iniziative in questa direzione». C'è qualcosa che possono fare ancora le aziende del settore per un futuro più sostenibile, qualche tematica da seguire di più? «Tenendo conto del nostro settore di attività, quindi dei beni di largo consumo, sicuramente c'è un tema, che possiamo chiamare ‘il tema della plastica, ossia il ripensamento dei packaging, delle modalità di confezionamento dei prodotti, prodotti biodegradabili. E' un'area che ci potrà vedere, in futuro, insieme all'industria, fare importanti passi in avanti. L'altra area è quella dei rapporti di filiera sui quali da tempo si tende sempre più a cercare di sviluppare rapporti più improntati al medio lungo temine, con progetti di crescita comune che -mi riferisco in particolare al comparto agroalimentare - consentono di assumere connotazioni più nazionali, di poter fare investimenti di sviluppo del settore diversi. E' un settore che può crescere ancora molto in termini di efficienza e capacità di stare sul mercato». Ci avviciniamo alla fine dell'anno ed è tempo di bilanci. Il 2020 è stato un anno complesso e molto difficile per tutti. Il vostro settore ha avuto un ruolo importante ma registrate anche danni e problematiche. Ce ne parla? «Il nostro settore, in realtà, è spaccato in due rispetto a questa crisi globale: la parte del retail alimentare ha avuto la fortuna, per certi aspetti, di poter continuare ad operare anche se in un contesto di grandissime difficoltà perché la prima fase soprattutto ha colto tutti di sorpresa e il nostro settore si è trovato a dover garantire continuità con difficoltà e costi enormi, per le misure di sicurezza, che si sono cumulati. E' stata una prova importante che ha dimostrato la solidità del settore ed è riuscita a garantire un minimo di continuità e normalità al Paese. Viceversa per la parte non alimentare è un anno drammatico; ha vissuto due mesi e mezzo di chiusura con tutto quello che ne consegue, si sperava di poter pian piano andare verso la normalità, invece siamo ripiombati nelle ultime settimane nel pieno di una crisi , per certi aspetti, anche peggiore perché non si intravede l'orizzonte temporale. E' giusto avere un po' di ottimismo ma quello che ci aspetta nei primi mesi dell'anno prossimo è difficile da capire e, certo, non saremo in una situazione di normalità. Tutto questo sta creando danni enormi all'area non alimentare che si sommano e mascherano su una crisi di fondo dei consumi. Aldilà delle chiusure che hanno caratterizzato una parte del territorio, il comparto non alimentare anche in una situazione di apertura dei negozi sta registrando decrementi importanti nell'ordine del 20-25% per una minore propensione all'acquisto per le preoccupazioni. È un mondo che ha grossissime difficoltà e non si vede la fine. L'alimentare, con le nuove chiusure, è tornato a registrare crescite nell'ordine del 5-6% nelle ultime settimane ma teniamo conto che se tracciamo un bilancio consolidato dei consumi alimentari, tra distribuzione e fuori casa, il saldo è fortemente negativo. E questo sta dentro nel grande tema del rilancio del Paese. Oggi in qualche modo la situazione è mascherata e velata dalla prevalenza dei temi emergenziali ma, di fatto, si sta distruggendo un valore colossale, a livello di imprese e redditi, ci si confronterà con il mercato e diventerà determinante la bontà delle scelte di politica economica. E' evidente che più sarà rapida la risalita e saranno fatte le scelte giuste e prima si potrà tornare ad una situazione gestibile. Senza dimenticare che siamo arrivati al 2019 con una crisi dei consumi già stabile e stagnante da 10 anni. Quindi la preoccupazione è tanta e la condividiamo con tanti altri settori del Paese». Quindi, a questo proposito, quali potrebbero essere sostegni utili al settore? «C'è un tema di sostegno alle imprese - e mi riferisco soprattutto alla parte non alimentare – che finora hanno avuto dei riconoscimenti davvero modesti e, in fondo, è un settore che si sta sacrificando per il bene comune. Quanto è previsto dagli attuali ristori, soprattutto per le aziende di una certa dimensione, è veramente molto poco. E' un tema che deve poter consentire alle imprese di arrivare in relativa salute al momento della ripartenza. Poi è chiaro che la partita del Paese si gioca sulla ripresa dei consumi che valgono il 60% del Pil , le vendite al dettaglio sono il 22% . Se non si rimette in moto il meccanismo diventa complicato. Poi i temi sono sempre gli stessi, accentuati dalla discesa che abbiamo fatto: i redditi delle famiglie, il sostegno agli investimenti, il sostegno alla ripresa dell'occupazione, e ci vorrebbero poi incentivi ai consumi. Perchè dobbiamo vincere questo momento di ritrosia allo spendere legato alle incertezze. Altri Paesi hanno adottato diverse soluzioni come, ad esempio, la riduzione temporanea dell'Iva su alcuni settori piuttosto che i crediti di imposta per determinate categorie di interventi; sono misure che aiuterebbero quantomeno a velocizzare l'uscita dalla crisi. Guardando più lontano abbiamo questo grande tema del Recovery Plan che può essere una straordinaria opportunità per mettere mano a quelli che sono i vincoli storici del Paese. Può essere l'occasione, se non verrà mancata, per disegnare il quadro e mettere le radici per una crescita più sana. Anche perché, se così non avvenisse, questa massa immane di debito, che già avevamo prima, e adesso si è amplificata a dismisura, diventa insostenibile». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 23/12/2020

23 Dicembre 2020

Just Eat: «Consegne a domicilio sempre più green. Investiamo ancora in un mercato in crescita»

Dal 2021 i rider assunti come dipendenti e i mezzi per le consegne totalmente green: Daniele Contini, Country manager di Just Eat Italia, racconta a SustainEconomy.24 di Luiss Business School e Il Sole 24 Ore - Radiocor, l'impegno sostenibile della società di food delivery   Dall'impegno contro lo spreco alimentare ai packaging plastic free, dalla green mobility ai rider assunti come dipendenti dal 2021. Daniele Contini, Country manager di Just Eat Italia racconta in un'intervista a SustainEconomy.24, report di Luiss Business School e Il Sole 24 Ore Radiocor, il percorso della società. Che punta a coinvolgere anche i partner e i clienti. Tanto da aver lanciato recentemente la Guida per un food delivery sostenibile. Il 2020, dice, ha segnato una forte crescita del food delivery che ha rappresentato, durante il lockdown, un servizio essenziale ma si è rivelato anche una leva di business fondamentale per alcune attività. E, assicura: Just Eat vuole investire ancora in un mercato che ha forti prospettive di crescita. La sostenibilità sta prendendo piede anche nel Food delivery. Come Just Eat avete messo in campo una serie di iniziative e avete avuto riconoscimenti. Ci racconta il vostro impegno? «Il digital food delivery sta vivendo un momento di grande crescita e affermazione e, come leader in Italia nel settore, sentiamo una crescente responsabilità in riferimento all'impatto ambientale che ha la nostra attività. Crediamo inoltre sia fondamentale sensibilizzare sulle tematiche della sostenibilità i nostri stakeholder principali - clienti, ristoranti e rider - e, per primi, agiamo su più ambiti per promuovere una cultura del cambiamento che renda il settore virtuoso. Siamo infatti attivi da sempre nella lotta contro lo spreco alimentare, coinvolgendo i nostri ristoranti partner con il progetto Ristorante Solidale, abbiamo introdotto packaging per le consegne completamente plastic free, promuoviamo la green mobility per i rider grazie alla partnership con MiMoto e forniremo dal 2021 mezzi totalmente sostenibili per le consegne. Abbiamo lanciato recentemente la Guida per un food delivery sostenibile, realizzata in collaborazione con LifeGate, per rendere il ciclo di vita del food delivery completamente green, con consigli e spunti utili dall'ordine online a come smaltire le confezioni di cibo a domicilio in modo consapevole. L'ultima iniziativa in occasione del Natale ci ha visto coinvolti in una maratona di solidarietà, dal 14 al 20 dicembre, in collaborazione con Caritas e Comunità Sant'Egidio con l'obiettivo di supportare chi ne ha più bisogno donando un Piatto Sospeso per ogni ordine ricevuto». Complice un anno particolare, è mutata anche la sensibilità degli italiani. Dal vostro punto di vista cosa è cambiato e cosa ancora può cambiare? «Crediamo che l'attenzione e la sensibilità degli Italiani verso i temi della sostenibilità sia crescente, soprattutto in un momento in cui stiamo tutti rimettendo in discussione le nostre priorità e il nostro impatto sul Pianeta, anche alla luce della pandemia che stiamo vivendo. Nella nostra posizione è importante guidare il cambiamento e farlo in ottica di education, per questo le nostre iniziative e attività vedono coinvolti direttamente i nostri clienti e li rendono partecipi nel nostro percorso di sostenibilità». Ci avviciniamo alla fine dell'anno e, appunto, di un anno complesso. Qual è il bilancio di Just Eat? «Per noi, come Just Eat, quest'anno complesso ha rappresentato un momento di grande impegno e lavoro, che si è tradotto in relazione alla situazione, in un rafforzamento del servizio e della sua accessibilità, da parte dei clienti da un lato, ma anche lato ristoranti. Il food delivery si è rivelato una leva di business essenziale che in alcuni casi ha permesso loro di continuare la loro attività. Ma non solo. Per il 90% dei consumatori che abbiamo intervistato nell'ambito del nostro Osservatorio annuale, il food delivery ha rappresentato durante il lockdown un servizio essenziale. Abbiamo poi annunciato il nostro nuovo modello di delivery con i rider assunti come dipendenti dal 2021. Crediamo sia fondamentale investire ancora come leader in questo mercato che ha forti prospettive di crescita, garantendo il miglior servizio a ristoranti e clienti e tutele e protezioni ai rider, con un'attenzione sempre viva verso la sostenibilità economica e ambientale. Vogliamo orientarci verso scelte sempre più etiche in grado di esprimere la responsabilità con cui vogliamo approcciare questo mercato». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 23/12/2020

23 Dicembre 2020

Amazon: «L’online è alleato delle Pmi italiane»

L'intervista di Mariangela Marseglia, Country manager di Amazon Italia e Spagna a SustainEconomy.24, il report Luiss Business School e Il Sole 24 Ore - Radiocor SFOGLIA IL REPORT COMPLETO    Il commercio online è stato decisivo per i clienti rimasti a casa nell'anno della pandemia. E rappresenta un alleato per le Pmi. Parola di Mariangela Marseglia, Vp e Country Manager di Amazon.it e Amazon.es che, in un'intervista a SustainEconomy.24, report di Luiss Business School e Il Sole 24 Ore Radiocor, parla del rapporto di Amazon con l'Italia, a partire dai nuovi posti di lavoro. E di sostenibilità. «Stiamo creando una cultura di sostenibilità, responsabilità e diversità che permea tutto il nostro business». E tra gli obiettivi ricorda: emissioni zero sul 50% delle spedizioni entro il 2030 e le attività alimentate al 100% da energia rinnovabile entro il 2025. Siamo alla fine di un anno unico e molto difficile che ha visto l'e-commerce necessariamente in prima linea. Qual è il vostro bilancio? «Il commercio online ha svolto un ruolo importante in questo periodo senza precedenti. I nostri clienti sono rimasti a casa per la tutela della propria salute e del Paese, e noi siamo orgogliosi di averli aiutati ad affrontare questa situazione consegnando loro i prodotti di cui hanno bisogno per se stessi e per le loro famiglie. Contemporaneamente, abbiamo continuato a supportare le oltre 14.000 Pmi italiane che si affidano ad Amazon per mandare avanti le loro attività e mantenere l'occupazione. Non ci fermiamo dunque, al contrario. Nel 2019 abbiamo investito in Italia 1,8 miliardi di euro. Secondo lo studio di Keystone, per effetto di questi investimenti sono stati creati oltre 120.000 nuovi posti di lavoro. Di questi, oltre 25.000 sono stati creati dalle piccole e medie imprese italiane, che vendono sui nostri store in Italia e nel mondo. Nel 2020 abbiamo creato 1600 nuovi posti di lavoro a tempo indeterminato per un totale di oltre 8.500 dipendenti in Italia. E, sempre quest'anno, abbiamo inaugurato 2 nuovi centri di distribuzione a Castelguglielmo/San Bellino in Veneto e a Colleferro nel Lazio per un investimento di 140 milioni di euro, oltre a numerosi depositi di smistamento anche nelle regioni del Sud. In totale, la nostra rete logistica conta 33 centri». Ci avviciniamo al Natale e ci sono state nell'ultimo periodo anche polemiche nel nostro Paese in tema di vendite e commercio. Come rispondete e qual è il rapporto di Amazon con l'Italia? «L'online rappresenta un alleato delle piccole e medie imprese e la loro digitalizzazione deve essere una priorità per tutti gli attori della filiera. I dati ci confermano che un approccio multicanale costituisce una opportunità per tutte le Pmi italiane. Le realtà che già utilizzavano il canale online e quelle che hanno cominciato ad utilizzarlo di recente sono state in grado di sostenere il proprio business e, talvolta, di aumentarlo. Dal giorno in cui abbiamo lanciato Amazon in Italia al 2019, abbiamo investito oltre 5,8 miliardi volti a costruire l'infrastruttura digitale e fisica per fornire prodotti e servizi a milioni di clienti italiani e ad aiutare lo sviluppo digitale delle oltre 14.000 piccole e medie imprese italiane che vendono attraverso Amazon. Nel corso di questa stagione natalizia, abbiamo supportato le Pmi attraverso un investimento di 85 milioni di euro a livello globale, che si è tradotto in promozioni speciali e attività per dare la massima visibilità a tutte le aziende italiane che vendono sul nostro sito. I dati sulle vendite delle Pmi in Italia nel periodo dal 26 ottobre al 30 novembre sono positivi: hanno venduto una media di 203 prodotti al minuto ed oltre il 60% delle realtà presenti su Amazon.it hanno venduto all'estero. Abbiamo inoltre creato strumenti innovativi per mettere a disposizione le nostre competenze in tema di digitalizzazione e vendita online. E' dello scorso novembre l'annuncio del progetto "Accelera con Amazon", per accelerare la crescita e la digitalizzazione di oltre 10.000 Pmi, e, più di recente, abbiamo lanciato il Programma "Intellectual Property Accelerator", che supporta le piccole e medie imprese lungo il percorso di registrazione del proprio marchio. Ci auguriamo che, attraverso questi strumenti, sempre più imprese possano cogliere le opportunità derivanti da un approccio multicanale e dell'e-commerce». Molti si domandano se l'e-commerce può essere sostenibile. Dal vostro punto di vista è possibile? «Siamo orgogliosi di poter dire che dal 2019 Amazon è co-fondatore con Global Optimism del Climate Pledge, un impegno volto a raggiungere gli obiettivi dell'Accordo di Parigi con 10 anni di anticipo e zero emissioni di CO2 entro il 2040. Oggi sono 31 i firmatari, incluse grandi aziende come Coca Cola European Partners, Microsoft, Unilever. Per raggiungere la carbon neutrality entro il 2040, ci siamo posti ulteriori obiettivi, tra cui arrivare a emissioni zero sul 50% delle spedizioni entro il 2030 e avere le nostre attività alimentate al 100% da energia rinnovabile entro il 2025. Abbiamo già intrapreso iniziative in tal senso: abbiamo ad esempio ordinato più di 1.800 veicoli elettrici Mercedes-Benz per effettuare consegne ai clienti in Europa, abbiamo introdotto il programma Frustration-Free Packaging, che stimola i produttori a confezionare i propri prodotti in imballaggi riciclabili al 100%, facili da aprire e pronti per la spedizione ai clienti senza l'aggiunta di un'ulteriore scatola. Inoltre, con 127 progetti di energie rinnovabili attivi, Amazon è il più grande acquirente aziendale di energia rinnovabile al mondo: abbiamo da poco annunciato di aver investito in 26 nuovi progetti di energia eolica e solare su larga scala per un totale di 3,4 gigawatt (GW) di capacità di produzione di energia elettrica, portando l'investimento totale in energie rinnovabili nel 2020 a 35 progetti con più di 4 GW di capacità - il più grande investimento aziendale in energie rinnovabili in un solo anno. In Italia, i primi due parchi fotovoltaici saranno situati in Sud Italia e forniranno complessivamente 66 MW di energia». Avete creato anche una certificazione per i prodotti, ce ne parla? «L'impegno di Amazon per la sostenibilità è ampio: riguarda tutto ciò che va dal supporto alle comunità in cui operiamo, al sostegno ai nostri dipendenti, ai clienti e alle aziende con cui collaboriamo. Stiamo creando una cultura di sostenibilità, responsabilità e diversità che permea tutto il nostro business. E tra le azioni messe in campo, per aiutare i clienti a riconoscere in modo semplice i prodotti più sostenibili, abbiamo lanciato il programma "Climate Pledge Friendly", con cui si identificano più di 40.000 prodotti negli store europei. L'etichetta "Climate Pledge Friendly" identifica i prodotti dotati di una o più delle 19 diverse certificazioni di sostenibilità che aiutano a preservare l'ambiente come, ad esempio, ridurre l'impronta di carbonio nelle spedizioni. All'interno di questa iniziativa rientra anche "Compact by Design", una nuova certificazione creata da Amazon e validata da un ente terzo, che intende identificare prodotti con un design più efficiente, portando a significative riduzioni delle emissioni di CO2. Ad esempio, lo shampoo solido pesa solo un quarto rispetto ad uno shampoo liquido, riducendo notevolmente il peso e l'imballaggio per ogni unità. Attraverso Climate Pledge Friendly stiamo incentivando i partner di vendita a creare prodotti sostenibili che aiutino a proteggere il pianeta per le generazioni future». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO  23/12/2020

10 Dicembre 2020

Garofalo Health Care: «Lavoriamo ad una federazione di eccellenze. Il futuro è integrazione pubblico-privato»

Dalla quotazione all'impegno sulla sostenibilità e nella lotta al Covid. L'amministratore delegato Maria Laura Garofalo ne parla a SustainEconomy.24   Una crescita continua che punta solo a target di eccellenza e un apporto importante nella lotta al Covid. Perché pubblico e privato sono facce di una stessa medaglia. Maria Laura Garofalo, amministratore delegato di Garofalo Health Care, gruppo quotato su Mta di Borsa Italiana, tra i principali operatori del settore della sanità privata accreditata, vede l'integrazione pubblico-privato nel futuro del settore sanitario. E la sostenibilità, spiega a SustainEconomy.24, report di Luiss Business School e Il Sole 24 Ore Radiocor, è il primo mattone su cui costruire tutto.  Stiamo vivendo un momento importante per il Sistema sanitario italiano. E Garofalo Health Care è tra i principali operatori del settore della sanità privata accreditata. Dalla quotazione siete cresciuti e avete un piano che prevede un ulteriore rafforzamento. Ce ne parla? «Ci siamo quotati a novembre 2018 in un momento particolarmente critico per i mercati finanziari; in molti ci avevano consigliato, infatti, di desistere dall'impresa, ma noi non ci siamo arresi ed alla fine il coraggio e la tenacia ci hanno premiato. La nostra è stata una quotazione di successo ed oggi siamo l'unico gruppo quotato in Italia nel settore dell'healthcare. Siamo approdati in Borsa con un importante progetto di crescita per linee esterne ed oggi siamo presenti con 26 strutture d'eccellenza in 8 Regioni del Centro Nord. La crisi pandemica che stiamo vivendo non ha minimamente cambiato la nostra progettualità, anzi potrebbe aver accelerato quel processo di accentramento che si sta manifestando da qualche anno nel nostro settore, dove i singoli decidono di vendere per lasciare il passo alla concentrazione dei grandi gruppi. Puntiamo esclusivamente a target di eccellenza, in linea con i nostri valori e le nostre performance economiche e finanziarie. L'imprenditore singolo cede la sua azienda, anche se solida, perché spesso non ha continuità dietro di sé ed il settore è particolarmente complesso; in noi trova un interlocutore in grado di tutelare la sua storia potenziando la sua azienda. Rimane quindi a gestirla all'interno del mondo GHC concretizzando  possibilità di efficientamento e contribuendo a sviluppare la federazione di eccellenze che rimane uno dei nostri principali obiettivi».  E il particolare momento che viviamo cosa può insegnare? «Il momento difficile che stiamo attraversando, secondo me, ci ha insegnato due cose: innanzitutto che, in sanità, tagli eccessivi e inconsapevoli prima o poi mettono in ginocchio il Paese, comportando conseguenze drammatiche sia a livello economico che sociale. In seconda battuta la crisi ha dimostrato, concretamente, che l'integrazione tra pubblico e privato accreditato rappresenta il futuro del nostro sistema sanitario. Infatti, senza il sostegno del privato che ha convertito intere strutture in centri Covid, dato la disponibilità di letti di terapia intensiva ed ospitato le chirurgie più impegnative e delicate degli ospedali pubblici, il sistema non sarebbe uscito dalla prima fase della pandemia, né sarebbe riuscito ad affrontare l'attuale seconda ondata».  La pandemia da Covid-19 e l'emergenza richiedono, appunto, uno sforzo comune. Qual è l'apporto del vostro gruppo? «La pandemia da Covid-19, come ho detto sopra, ha richiesto e continua a richiedere uno sforzo comune ed è giusto che, di fronte ad un'emergenza senza precedenti come quella che stiamo attraversando, sia il pubblico che il privato (due facce di un'unica medaglia) facciano entrambi la propria parte. In particolare, noi abbiamo aperto 5 reparti Covid in Emilia-Romagna, Veneto, Piemonte e Toscana, abbiamo ospitato in alcune strutture emiliano-romagnole le chirurgie e i day hospital oncologici degli ospedali pubblici, nonché inviato squadre di anestesisti, rianimatori ed infermiere nelle terapie intensive degli ospedali, prestando altresì respiratori polmonari ed attrezzatura varia». Siete anche attivi sul tema della sostenibilità e di recente vi è stato anche riconosciuto. Quanto conta per un'azienda del vostro settore essere sostenibili? «Per un'azienda come la nostra la sostenibilità rappresenta il primo mattone su cui costruire tutto il resto e per quanto ci concerne, oltre che per normativa specifica, per libera scelta aziendale. Un impegno riconosciuto anche da Standard Ethics, che recentemente ha assegnato il rating investment grade EE- ("Adequate") al nostro Gruppo sui temi Esg. Se abbiamo seguito questo indirizzo, infatti, non è soltanto per motivi di ordine sociale ed ambientale, ma anche per ragioni di ordine gestionale perché investire in sostenibilità significa anche migliorare le proprie performance economiche e finanziarie attraverso un modello che assicura una più efficiente allocazione delle risorse, minor spreco e maggiore qualità delle prestazioni erogate». Come si declinerà la sostenibilità in futuro nel settore sanitario? «Nel settore sanitario la sostenibilità si declinerà in futuro sicuramente anche attraverso l'innovazione digitale per una migliore personalizzazione, continuità e accesso dei pazienti alle cure, ma a mio avviso, soprattutto attraverso il potenziamento del modello organizzativo "patient-centered". Un modello che indirizza l'intero percorso assistenziale centrandolo sulla persona, ovvero spostando il focus dalla malattia al paziente considerato a 360 gradi anche sotto il profilo psicologico e relazionale». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO  10/12/2020

10 Dicembre 2020

Dompé: «Prepariamoci alla rivoluzione del sistema sanitario. Servono nuovi modelli»

L'impegno in prima linea nel progetto Exscalate4CoV per combattere il Covid. E il futuro del Sistema sanitario. Sergio Dompé, presidente della Dompé farmaceutici ne parla a SustainEconomy.24   Nella pandemia da Covid-19 il mondo della scienza sta dimostrando capacità e generosità a vantaggio della collettività. Sergio Dompé, presidente della Dompé farmaceutici in un'intervista a SustainEconomy.24, report di Luiss Business School e Il Sole 24 Ore Radiocor racconta l'impegno in prima linea nel progetto Exscalate4CoV per trovare terapie per combattere il virus. E proprio in questi giorni, annuncia, si stanno arruolando i primi pazienti. Ma parla anche di un futuro che permetterà un approccio più preventivo e meno riparativo. Con la necessità anche di ripensare i Sistemi Sanitari. Nei prossimi 10 anni, avverte, «vivremo la più grande rivoluzione nell'ambito della salute» ma sarà necessario trovare nuovi modelli che consentano «sia l'accesso universalistico alle nuove soluzioni terapeutiche sia la sostenibilità economica». E la sfida per il Paese sarà quella di investire decisamente di più nella Scienza. La pandemia sta richiedendo alle società farmaceutiche uno sforzo crescente, sia in termini di ricerca che di responsabilità sociale: qual è l'impegno della Dompé? «La pandemia sta dimostrando come il mondo della scienza nel suo complesso - dalla ricerca nelle università e nelle aziende fino ai medici impegnati nelle corsie - sia capace di grande capacità e generosità a vantaggio della collettività. Mai come in questi mesi ci stiamo accorgendo del valore della ricerca di creare conoscenza e dare risposte concrete. In questo quadro, Dompé ha cercato di fare la propria parte, consapevole delle proprie qualità ma soprattutto dei propri limiti. Nel giro di poche settimane abbiamo consolidato un progetto europeo sviluppato nell'arco di molti anni di lavoro, insieme al Politecnico di Milano e il Cineca di Bologna. Si sono riuniti in un consorzio pubblico-privato paneuropeo oltre 30 realtà con alcuni tra i più qualificati Centri di Ricerca, università, realtà industriali e ospedali in grado di operare in sinergia dalla fase preclinica fino al paziente, con l'obiettivo di trovare una soluzione terapeutica, per contrastare il virus Sars-Cov-2, accessibile in breve tempo al più ampio numero possibile di persone. Proprio in questi giorni l'opzione terapeutica frutto di questo progetto sta arruolando i primi pazienti in Italia presso gli IRCSS Spallanzani di Roma e Humanitas di Milano per verificarne l'efficacia sulle persone, dopo aver superato la fase preclinica. Contemporaneamente abbiamo finalizzato un ulteriore lavoro clinico – ora in fase avanzata – per il trattamento di pazienti gravi Covid 19, il reparixin. Quest'ultimo è un inibitore di interleuchina 8: sviluppato per altri ambiti terapeutici possiede, però, un meccanismo d'azione che poteva dimostrarsi utile per contrastare la risposta immunitaria dei pazienti Covid. Proprio in questi giorni aspettiamo l'esito del primo ciclo del lavoro clinico sui pazienti. In questo quadro non bisogna dimenticarsi che le istituzioni Europee – la Commissione Europea ed Ema in primis – e nazionali - a partire dal Ministero della Salute e Aifa – non hanno mai fatto mancare il loro sostegno, rivelandosi particolarmente reattivi e attenti alle necessità scientifiche». Ci può descrivere nel dettaglio il progetto europeo Exscalate4cov? «Il progetto europeo Exscalate4CoV – supportato dalla Commissione Europea all'interno del progetto Horizon 2020, con un finanziamento di 3 milioni di euro - è basato sul supercalcolo, un approccio che sempre più sarà determinante per la scoperta di nuovi farmaci. In questo caso abbiamo unito la biblioteca molecolare Exscalate di Dompé e quella del Fraunhofer Institute dando vita alla più ampia libreria molecolare esistente: 10mila farmaci, 400mila prodotti naturali, 70mila nutraceutici, 100 milioni di oligopeptidi, 5 milioni di molecole già in commercio a fini di ricerca, e 72 miliardi di molecole de novo facilmente sintetizzabili. Tutte queste molecole sono state oggetto di uno screening virtuale compiuto con la più potente infrastruttura di supercalcolo mai riunitasi grazie al supporto di Cineca ed Eni che hanno messo a disposizione i propri supercalcolatori Marconi e HPC5. Ciò ha consentito di simulare 71,6 miliardi di molecole sui 15 siti attivi di interazione del virus Sars-Cov-2 per un totale di 1.074 miliardi di interazioni. La simulazione effettuata in 60 ore – con una capacità di 5 milioni di molecole simulate al secondo – ha prodotto oltre 65 TeraByte di dati totali. Si tratta della generazione di informazione più articolata relativa al virus Sars-Cov-2 che oggi è a disposizione dell'intera comunità scientifica internazionale. Riteniamo questo sforzo possa servire anche nella fase post emergenziale sia come modello replicabile sia come bagaglio di conoscenze utile a comprendere in modo completo il comportamento del virus, ancora per molti versi ignoto». La Dompé è stata fra le prime società farmaceutiche a capire le potenzialità delle biotecnologie: qual è il futuro dei farmaci e il loro ruolo per lo sviluppo sostenibile del pianeta? «La convergenza fra le competenze maturate all'interno delle life science e le tecnologie digitali come il supercalcolo consentiranno di avere soluzioni terapeutiche sempre più efficaci e personalizzate. Il futuro permetterà un approccio più preventivo e meno riparativo. In questo senso dovremo ripensare anche i Sistemi Sanitari, secondo logiche differenti rispetto ad oggi, dove l'aspetto di intervento nella fase acuta della malattia è ancora preponderante. Nei prossimi 10 anni vivremo la più grande rivoluzione nell'ambito della salute, con un impatto ancora più rilevante a quello avuto con l'ingresso dei vaccini nel secolo scorso. Perché sia un vero avanzamento però sarà necessario trovare nuovi modelli che consentano sia l'accesso universalistico a queste nuove soluzioni terapeutiche sia la sostenibilità economica, in un circuito virtuoso che sia in grado di continuare a generare nuova conoscenza. Si tratta di obiettivi ambiziosi ritenuti prioritari anche all'interno dei 17 obiettivi di sostenibilità dell'Onu». Quali sono le sfide del settore in Italia, anche in ottica post-pandemica? «La principale sfida per il Paese sarà quella di investire decisamente di più nella Scienza a partire dalle Scuole e dalle Università fino alle aziende tecnologiche in una logica strategica, si spera finalmente, di lungo periodo». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO  10/12/2020

10 Dicembre 2020

AbbVie: «Doppia sfida su salute e ripresa. Rendere il Paese più attrattivo sulla ricerca»

L'amministratore delegato di AbbVie Italia, Fabrizio Greco parla a SustainEconomy.24, report di Luiss Business School e Il Sole 24 Ore Radiocor dell'impegno in innovazione e sostenibilità dell'azienda biofarmaceutica   Innovazione e sostenibilità sono obiettivi prioritari per AbbVie come racconta l'amministratore delegato di AbbVie Italia, Fabrizio Greco in un'intervista a SustainEconomy.24, report di Luiss Business School e Il Sole 24 Ore Radiocor. L'azienda biofarmaceutica globale, in Italia dal 1949, è impegnata a 360 gradi sulla ricerca e la difesa dell'ambiente. La pandemia da Covid 19 ha avvicinato l'opinione pubblica al settore farmaceutico che, sottolinea Greco, ha un ruolo cruciale nella doppia sfida sul fronte della salute e della ripresa economica. Per la crescita gli investimenti che riguardano innovazione e sostenibilità saranno essenziali e servono un deciso gioco di squadra e rendere il Paese più attrattivo sulla ricerca. Parliamo della sfida della sostenibilità e dell'innovazione. Come si declina il binomio in un'azienda biofarmaceutica come AbbVie? «Innovazione e sostenibilità sono obiettivi prioritari e inscindibili per AbbVie. Fanno parte del nostro Dna. AbbVie è un'azienda biofarmaceutica globale, nata nel 2013 dalla scissione societaria da Abbott per dar vita a un' impresa indipendente fortemente basata sulla ricerca con la finalità di avere un impatto significativo sulla vita delle persone. Si tratta di obiettivi richiamati espressamente tra i principi che guidano le nostre azioni ogni giorno: "Promuovere l'innovazione", in tutto ciò che facciamo e che si traduce in consistenti investimenti in R&S per trovare nuove soluzioni di cura a beneficio della salute delle persone e per una sanità sostenibile e "Servire la comunità", per la crescita della collettività, facendo la nostra parte per la tutela dell'ambiente. Oggi pensiamo di poter perseguire ancora con maggiore forza e risorse questi obiettivi anche grazie alla recente acquisizione di Allergan. Lo scorso anno AbbVie ha investito 5 miliardi di dollari nella Ricerca. Attualmente in Italia siamo impegnati in 70 studi clinici e sono circa 580 i centri coinvolti. Come azienda farmaceutica siamo convinti che la buona salute non possa prescindere da un ambiente sano e quindi ci adoperiamo da sempre per ridurre l'impronta ambientale e contrastare il cambiamento climatico. La nostra azione su questo fronte si inquadra nel più ampio impegno in tema di responsabilità d'impresa e trova conferma nell'inclusione per l'ottavo anno consecutivo nella classifica Dow Jones Sustainability World Index. In particolare, l'azienda si colloca quest'anno al secondo posto fra le imprese del settore biotech, migliorando ulteriormente le proprie performance. In questo sforzo comune, messo in campo in termini di sostenibilità ambientale dall'azienda a livello globale, il polo produttivo italiano di Campoverde di Aprilia (LT) svolge un ruolo da battistrada quanto a risultati raggiunti». Il sito industriale di Campoverde è dunque un modello virtuoso. Ce ne parla? «Lo stabilimento, grazie ad un percorso di miglioramento continuo e costanti investimenti mirati si pone all'avanguardia in termini di riduzione dell'impatto ambientale ed efficienza energetica. Dal 2005 è stato ridotto di circa il 46% il consumo di acqua di falda, zero rifiuti inviati in discarica e oltre l'84% destinato al riciclo. L'autoproduzione di energia ha toccato oltre il 90% e il 100% di quella acquistata è certificata green. La gestione ottimale dell'energia è resa possibile da un approccio improntato all' "efficienza di sistema" che si avvale di una capillare rete di monitoraggio nell'azienda. L'esperienza realizzata dallo stabilimento di AbbVie in tema di efficienza energetica, prima società nel farmaceutico ad applicare la ISO 50001, ha posto le premesse dell'accordo siglato con Rse (Ricerca del Sistema Energetico) e l'analisi del caso AbbVie quale buona pratica in tema di gestione dell'energia da replicare in altre realtà. L'impegno per la sostenibilità di AbbVie si realizza a 360 gradi e tiene conto non solo degli effetti diretti sull'ambiente derivanti dall'attività di produzione ma anche di quelli indiretti generati lungo tutta la catena del valore, incoraggiando supplier, distributori e gli altri stakeholder a ridurre il loro impatto ambientale». L'emergenza Covid, pur con tutta la sua drammaticità ha reso l'industria farmaceutica più vicina ai cittadini. Cosa è cambiato? «Credo che la pandemia da Covid 19 abbia richiamato con forza l'attenzione dell'opinione pubblica sull'importanza della ricerca farmaceutica. Stiamo assistendo ad uno sforzo straordinario e senza precedenti per rendere disponibili il vaccino e terapie efficaci. Tutto ciò, insieme all'impegno delle imprese del settore a raccontarsi, ha contribuito a far comprendere meglio il valore del comparto farmaceutico sia per il suo apporto ai progressi nel campo della salute, ma anche come settore chiave nella spinta all'innovazione e alla ripresa economica». Su quali fronti siete impegnati nella lotta alla pandemia? «AbbVie ha offerto un contributo alla gestione dell'emergenza e attualmente è impegnata, sia in Europa che a livello globale, nella ricerca di nuove soluzioni terapeutiche per la cura dei pazienti affetti da Covid-19. In particolare, l'azienda è coinvolta su più fronti attraverso una fitta rete di collaborazioni con università, centri di ricerca, istituzioni sanitarie e altre imprese nello studio di trattamenti efficaci per combattere il virus. Tra le diverse intese, AbbVie ha siglato un accordo per un importo di 30 milioni di dollari con l'università di Harvard, per la ricerca su nuove terapie contro infezioni virali emergenti, in particolare quelle causate da coronavirus e altri virus che portano a febbri emorragiche». Quanto sono importanti il dialogo e la collaborazione con gli stakeholder? E gli investimenti in sostenibilità? «Siamo consapevoli di essere chiamati a svolgere un ruolo cruciale nella doppia sfida che abbiamo davanti sul fronte della salute e della ripresa economica. Si tratta di una partita complessa che possiamo vincere solo con il contributo di tutti gli stakeholder, valorizzando le nostre risorse e rendendo più attrattivo il Paese sul fronte della ricerca. Sul versante della crescita, gli investimenti che riguardano innovazione e sostenibilità saranno essenziali e dobbiamo fare un deciso gioco di squadra per favorire la transizione green. È un'opportunità che non possiamo mancare per assicurare la salute alle nuove generazioni e per il futuro del pianeta». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO  10/12/2020