Digital Transformation
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07 Gennaio 2021

Bain & Co: «L’Italia intercetta  l’1,5% della spesa in Intelligenza artificiale, è indietro rispetto ai principali Paesi Ue»

Nel 2021 il mercato dell'Ai varrà 67 miliardi di euro in totale; il governo italiano, dice il partner di Bain &Co, Mauro Colopi, può giocare un ruolo di stimolo e le aziende devono accelerare   Logistica, distribuzione e servizi: sono questi i settori che saranno maggiormente pervasi dall'Intelligenza artificiale in un orizzonte al 2024. In Italia, invece, il comparto che subirà l'accelerazione maggiore è quello delle infrastrutture in ambito telecomunicazioni e utilities. L'Italia, tuttavia, a confronto con gli altri Paesi europei e con Cina e Usa, è indietro e rischia di non sfruttare «appieno l'innovazione e l'incremento di produttività abilitati dall'AI». Il nostro Paese, infatti, dichiara a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) Mauro Colopi, partner di Bain & Company, intercetta solo l'1,5% della spesa «con una penetrazione meno che proporzionale rispetto alla rilevanza del nostro Pil sul valore economico globale e con un tasso di impegno di spesa in crescita rilevante (+17%), ma inferiore rispetto alle principali economie europee». Qual è la posizione dell'Italia nel campo dell'intelligenza artificiale a confronto con il contesto europeo? E rispetto a Usa e Cina? Il mercato dell'intelligenza artificiale (AI), varrà nel 2021 a livello globale 17 miliardi di euro in termini di spesa software, a cui si somma la domanda di servizi professionali per realizzare ed erogare soluzioni innovative che rappresenta a sua volta oltre 50 miliardi di euro. Un mercato di dimensioni importanti che è stimato crescere tra il 2021 e il 2024 del 20%, tre volte più veloce del totale mercato software. L'opportunità è chiara, ma presenta un tasso di adozione differente nelle diverse economie. Gli Usa rappresentano la geografia che più sta beneficiando dell'adozione a scala di tali tecnologie, intercettando nel 2021 oltre il 50% della spesa in AI a livello mondiale. Circa il doppio dell'area Emea che ne attrarrà il 27% e della Cina che ha ancora un modello economico meno improntato all'automazione digitale avanzata, assorbendo nel 2021 solo il 5,8% del mercato AI, ma che prospetticamente sarà l'economia con l'adozione più accelerata a livello globale, con una crescita attesa del 33% all'anno nel prossimo triennio. In questo scacchiere tecnologico l'Italia rischia di non sfruttare appieno l'innovazione e l'incremento di produttività abilitati dall'AI, intercettando solo l'1,5% della spesa, con una penetrazione meno che proporzionale rispetto alla rilevanza del nostro Pil sul valore economico globale e con un tasso atteso di impegno di spesa in crescita rilevante (+17%), ma inferiore delle principali economie europee che prevedono nello stesso periodo tassi medi di crescita tra il 24 e il 27 per cento. Quali sono i comparti che stanno utilizzando di più l'intelligenza artificiale? I settori che a oggi fanno un uso più esteso dell'AI sono la logistica e distribuzione, la finanza e il manifatturiero che rappresentano complessivamente circa il 76% della spesa globale del 2021 e l'80% in Italia. Quali i business, invece, che hanno maggiori possibilità di sviluppo? Guardando al 2024 a livello globale il mercato della logistica, distribuzione e servizi si conferma essere il polo di maggiore sfruttamento di tale tecnologia, mentre in Italia il comparto che è previsto accelerare maggiormente, con circa 5 punti percentuali in più di crescita rispetto al mercato complessivo, sarà quello delle infrastrutture in ambito telecomunicazioni e utilities. Il 2021 sarà anche l'anno dello sviluppo del 5G, che impatto avranno le reti superveloci nell'abilitazione dei sistemi di intelligenza artificiale? Il 5G renderà l'intelligenza artificiale sempre più pervasiva, favorendo lo sviluppo di servizi con forti discontinuità potenziali. Un esempio tra tutti sono le applicazioni di autonomous driving. L'effettiva maturità tecnologica di queste applicazioni rappresenta però ancora un punto di domanda in una prospettiva di medio periodo verso una reale diffusione a scala in un orizzonte temporale maggiormente esteso. Applicazioni maggiormente beneficiarie in una prospettiva di breve periodo saranno invece gli ambiti di Industrial IoT e Factory automation. L'avvento dell'intelligenza artificiale porta da un lato allo sviluppo di nuove figure professionali, dall'altro a un taglio dell'occupazione in vari settori. Qual è la sintesi? La disponibilità di talenti per governare in modo efficace questa grande opportunità tecnologica rappresenta uno degli elementi di forte attenzione. Da una recente ricerca Bain il 68% delle aziende tecnologiche intervistate dichiara di dover fronteggiare la scarsità dei talenti in ambito AI. E la capacità di disporre di un adeguato pool di talenti è una condizione chiave per puntare alla leadership di mercato. I leader nell'Intelligenza artificiale e nel machine learning, infatti, sono in grado di generare una crescita dei ricavi 2 volte più accelerata del resto del mercato. Il Bain Technology Report 2020 "Taming the Flux" evidenzia che le aziende tecnologiche maggiormente di successo hanno a oggi una percentuale di dipendenti in ruoli AI fino a 4 volte superiore rispetto al resto del mercato. La mancanza di talenti adeguati porta oggi molte aziende ad aver condotto sperimentazioni di nuove opportunità di automazione, ma poche di queste riescono poi a esprimere un reale passaggio a un'adozione digitale a scala. Considerando, ad esempio, le applicazioni nell'ambito di Industria 4.0 a livello globale mentre il 75% delle grandi aziende ha già condotto progetti pilota di digital operation, solo il 25% ha proseguito verso un'adozione a scala di questi use case. In Italia si è tenuto  al ministero dello Sviluppo economico il tavolo sull'intelligenza artificiale. Che ruolo può giocare il governo? Sicuramente il Governo può giocare un ruolo di stimolo all'adozione a scala delle opportunità offerte dall'AI, ma dall'altra parte le aziende e l'ecosistema digitale devono disegnare e perseguire percorsi accelerati di adozione delle nuove tecnologie per ridurre il divario digitale con gli altri Paesi Europei e con le economie internazionali. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO  7/1/2021

07 Gennaio 2021

Ericsson: «L’Intelligenza artificiale è un must per il successo del 5G ma attenzione a un uso distorto»

Parla Peter Laurin, senior vice president del gruppo svedese, a DigitEconomy.24, report Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School. Sul fronte occupazione l'AI, dice, «accresce le capacità umane anziché sostituirle»   «L'intelligenza artificiale è un must per l'adozione e la gestione di successo del 5G». Parlando delle sfide per questo 2021 appena iniziato, lo spiega Peter Laurin, senior vice president e capo di una delle 4 aree globali (Managed Services) di Ericsson. Il funzionamento delle reti tlc, tantopiù importante dopo l'effetto pandemia, migliorerà proprio grazie all'intelligenza artificiale che «consente - dichiara Laurin a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) di prevedere un calo delle prestazioni di rete prima che questo si verifichi e di intraprendere le azioni necessarie prima che ciò generi un impatto sugli utenti finali». Nessun problema neanche sul fronte occupazionale poiché per Ericsson «l'AI accresce le capacità umane anziché sostituirle». Ma il top manager di Ericsson avverte: «L'affidabilità dell'AI è una questione molto importante e un argomento su cui dobbiamo costantemente concentrarci. La nostra attività si basa in larga misura sulla fiducia degli operatori e un uso distorto dell'AI può avere un impatto molto negativo». Quali sono le principali applicazioni di Intelligenza Artificiale per la gestione delle reti mobili e 5G previste nel 2021? Il 5G e l'Intelligenza Artificiale sono aree di interesse strategico per Ericsson e stiamo investendo molto per rafforzare la nostra leadership. Le nostre soluzioni di Intelligenza Artificiale vengono applicate per risolvere le sfide più importanti per gli operatori, creando valore dove conta di più. Non si tratta di espedienti o esperimenti generici. Le nostre soluzioni AI sono integrate in tutta la rete, realizzate da persone con una vasta esperienza nell'AI e nelle telecomunicazioni e con un approccio di tipo AI-first in ogni prodotto o servizio. Da un punto di vista operativo, l'Intelligenza Artificiale è un must per l'adozione e la gestione di successo del 5G. La complessità delle reti odierne è enorme e aumenterà ulteriormente con la progressiva evoluzione e implementazione del 5G e dell'Internet delle cose. Per affrontare questa complessità e garantire che gli utenti finali continuino a ricevere un'esperienza di alta qualità dalle loro reti (come, ad esempio, l'alta velocità o l'accesso a un numero di applicazioni 10-15 volte superiore grazie al 5G), stiamo implementando Ericsson Operations Engine sulle reti degli operatori. Ericsson Operations Engine rappresenta il nostro approccio basato sull'Intelligenza Artificiale e sui dati per il funzionamento e l'ottimizzazione delle reti. Grazie all'Intelligenza Artificiale, ci assicuriamo che le reti funzionino al meglio delle loro capacità, garantendo le migliori esperienze per gli utenti finali. L'Intelligenza Artificiale ci consente di prevedere un calo delle prestazioni di rete prima che questo si verifichi e di intraprendere le azioni necessarie prima che ciò generi un impatto sugli utenti finali. Tutto questo avviene attraverso quello che chiamiamo un "circuito chiuso", il che significa che l'azione di rettifica viene eseguita senza alcuna interazione umana. Ad esempio, su 10 clienti che utilizzano Ericsson Operations Engine, il 67% degli incidenti di rete viene risolto automaticamente senza alcun intervento umano e abbiamo ridotto del 60% la percentuale di indisponibilità della rete. Quali i principali vantaggi dall'uso dell'AI? Già ora vediamo che le reti 5G sono in grado di fornire volumi di dati 100 volte superiori e una velocità 10 volte maggiore rispetto alla precedente generazione. Stiamo quindi iniziando ad avere una buona consapevolezza di ciò che sta realmente accadendo mentre continua a crescere l'implementazione del 5G e di ciò che è necessario dal punto di vista delle operazioni e dell'ottimizzazione. Le reti mobili dovranno affrontare una pressione senza precedenti in termini di utilizzo, prestazioni, versatilità ed efficienza. La complessità della gestione di una rete 5G, inclusi i punti dati IoT, rende quasi impossibile per una persona umana comprendere e trovare una soluzione ottimizzata, ed è qui che l'Intelligenza Artificiale e l'automazione giocano un ruolo fondamentale nel realizzare operazioni di rete completamente data driven. Queste tecnologie ci consentiranno di dare un senso ai miliardi di punti dati e di agire prima che i problemi di rete diventino problemi per gli utenti. Un altro vantaggio è che possiamo migliorare continuamente i casi d'uso basati su AI attraverso l'apprendimento federato, utilizzando dati anonimizzati provenienti dalle diverse reti che gestiamo per conto degli operatori, per riqualificare e migliorare gli algoritmi. Il vantaggio dell'apprendimento federato è che questa tecnica di machine learning può addestrare algoritmi da diversi set di dati senza scambiarli. Dal momento che Ericsson gestisce più di un miliardo di abbonamenti a livello globale, questo ci consente di disporre di volumi significativi di dati di rete di qualità per addestrare i nostri algoritmi di Intelligenza Artificiale e aiutare gli operatori ad adottare operazioni realmente guidate dai dati, migliorando in definitiva le prestazioni della rete e l'esperienza dell'utente finale. A che punto è l'implementazione di reti 5G stand alone affinché la nuova tecnologia non poggi più sulle reti 4G già esistenti? Dei 122 accordi 5G commerciali siglati da Ericsson, abbiamo fornito 77 reti 5G live ai nostri clienti nei 5 continenti e alcune di queste sono già 5G stand alone. Il 5G è una piattaforma aperta per l'innovazione. È progettato per soddisfare tutte le applicazioni con una connettività più veloce, più reattiva e più affidabile. E questo porta nuove esperienze su smartphone e altri dispositivi. Il numero di dispositivi IoT cellulari ha già superato il miliardo e si stima supererà i 5 miliardi nel 2025. Molti di questi dispositivi supporteranno servizi che prima consideravamo futuristici, come la realtà aumentata, la realtà virtuale, i veicoli automatizzati connessi e robot controllati da remoto. Ericsson ha stretto un accordo con Vodafone sui droni utilizzabili in situazioni di emergenza grazie alla copertura della rete mobile. È un modello che verrà replicato? La recente sperimentazione condotta nel centro di innovazione di Vodafone in Germania era volta a dimostrare come fosse possibile stabilire corridoi di volo sicuri e protetti garantendo copertura di rete. Questo è un buon esempio di co-creazione a cui lavoriamo con i nostri clienti per fare innovazione sfruttando i casi d'uso 5G. Stiamo ancora solo scalfendo la superficie quando parliamo di come le funzionalità di rete più intelligenti consentiranno a settori chiave come la sanità, l'edilizia e l'agricoltura di accelerare l'implementazione dei siti, ridurre i rischi per la salute e la sicurezza e salvare vite umane. Crediamo ci siano molte interessanti opportunità in arrivo. Con il crescente ricorso all'automazione, ad esempio nella gestione delle reti, sarà possibile mantenere i livelli di occupazione? La nostra opinione è che l'AI accresca le capacità umane anziché sostituirle. Il nostro modello di gestione e ottimizzazione dell'Intelligenza Artificiale, Ericsson Operations Engine, ha bisogno che gli esseri umani affrontino le eccezioni perché è così che apprende ed evolve. Questo fa crescere anche la fiducia dei nostri clienti. Prendiamo un aereo di linea come esempio. Due piloti su rotte a corto raggio volano per non più di sette minuti del viaggio totale, per il resto del tempo gestiscono eccezioni o deviazioni dalle policy automatizzate e danno così ai passeggeri un elevato livello di fiducia. Siamo convinti che l'impatto dell'AI sul lavoro umano sarà compensato dallo sviluppo di competenze, formazione e compiti più creativi. I compiti più preziosi o gratificanti sono ancora riservati a noi umani, poiché le reti gestiranno un livello di complessità molto più elevato e, allo stesso tempo, aumentiamo il livello di affidabilità e delle prestazioni. D'altro canto, sono presenti figure professionali sufficienti per gestire applicazioni di Intelligenza Artificiale? Poiché l'AI è un fattore chiave per il business di Ericsson, stiamo continuando a sviluppare le nostre competenze in quest'ambito in tutta l'organizzazione, reclutando esternamente competenze pertinenti e rafforzando le conoscenze dei dipendenti Ericsson. Nel 2019 Ericsson ha istituito il Global Artificial Intelligence Accelerator, che mira a potenziare le capacità e l'innovazione nell'Intelligenza Artificiale attraverso una serie di hub di innovazione in AI negli Stati Uniti, Svezia, Canada e India. A livello globale, Ericsson impiega più di 300 data scientist, data engineer, architetti di machine learning e AI e sviluppatori di software in questi hub. In Ericsson stiamo migliorando le conoscenze dei dipendenti in ambito AI e automazione attraverso programmi di formazione strategici, che ci consentono di combinare le nostre competenze in ambito telecomunicazioni con quelle relative all'AI. Recentemente, un software di riconoscimento facciale è stato accusato di discriminazione razziale. Come evitare di distorcere gli usi dell'Intelligenza Artificiale? L'affidabilità dell'AI è una questione molto importante e un argomento su cui dobbiamo costantemente concentrarci. La nostra attività si basa in larga misura sulla fiducia degli operatori e un uso distorto dell'AI può avere un impatto molto negativo. Un'AI affidabile è fondamentale anche per la diffusione della sua adozione. Ericsson ha sottoscritto le "Linee guida etiche per un'AI affidabile" della Commissione europea. Linee guida propongono una serie di sette requisiti chiave che i sistemi di AI dovrebbero soddisfare per essere considerati affidabili: intervento umano e supervisione; robustezza tecnica e sicurezza; privacy e governance dei dati; trasparenza; diversity, non discriminazione e correttezza; benessere sociale e ambientale; responsabilità. Ericsson aderisce a queste linee guida dell'Unione Europea per sviluppare e implementare l'AI nel nostro business. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO  7/1/2021

17 Dicembre 2020

Eolo: «Entro l’estate del 2021 l’oafferta Fwa 5G, Mise proroghi le nostre frequenze al 2029»

Parla Alessandro Verrazzani, capo degli Affari regolamentari e istituzionali dell'operatore oggi al centro dell'interesse del mercato, a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School)   L'operatore di tlc Eolo prepara le sue carte per arrivare entro l'estate del 2021 con un'offerta Fwa 5G, cioè con una tecnologia fixed wireless access (misto radio-fibra) con standard 5G. E intanto, in questa ottica, chiede al ministero dello Sviluppo economico di concedere la proroga per le frequenze in suo possesso a 26 e 28 gigahertz che scadono nel 2022. Quanto invece allo stato dell'infrastruttura in Italia, la società attiva soprattutto nelle zone a fallimento di mercato, sottolinea come, prima di procedere con il piano della rete unica, sia necessario scattare una fotografia dell'esistente, soprattutto delle aree bianche, dove non c'è nessun operatore presente, al fine di evitare duplicazioni. A raccontare a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) il contesto industriale e regolamentare in cui si muoverà il gruppo che ha di recente suscitato gli appetiti del mercato, è Alessandro Verrazzani, capo degli Affari regolamentari e istituzionali. «E' sotto gli occhi di tutti la crescente importanza della connessione Fwa, soprattutto per raggiungere le zone dove investire con la fibra è molto costoso. Anche le istituzioni – dice il manager – hanno raggiunto la consapevolezza che c'è una fetta del Paese che non potrà essere raggiunta dalla fibra». «Prorogare frequenze in conformità conquanto avvenuto in altri casi» Al momento Eolo non offre tecnologia Fwa 5G: «Noi – precisa Verrazzani - utilizziamo frequenze a onde millimetriche a 28 gigahertz, non è uno standard 5G, ma nella nostra tecnologia è già stata recepita una serie di funzionalità che sono a fattor comune con il 5G». Il gruppo sta, tuttavia, lavorando per arrivare all'offerta Fwa 5G: «Abbiamo i diritti d'uso sulle frequenze a 26 gigahertz, stiamo lavorando sulle onde millimetriche per sviluppare una tecnologia Fwa conforme al 5G e, entro l'estate del 2021, prevediamo di arrivare con le offerte. Intanto, «visto che le frequenze a 26 e 28 megahertz scadranno nel 2022, ci aspettiamo, in continuità con quello successo con altre bande (prorogate al 2029), una simile proroga per equità di trattamento. E' un fattore importante perché stiamo costruendo la nostra infrastruttura proprio basandoci sia sulle frequenze a 26 sia su quelle a 28 gigahertz». «Prima della rete unica serve nuova mappatura delle aree bianche» Eolo, come detto a DigitEconomy nei mesi scorsi dallo stesso amministratore delegato Luca Spada, non vede in maniera sfavorevole la costruzione della rete unica, ma a patto che si tenga conto dell'esistente. «Il primo pilastro per ragionare sulla rete unica – aggiunge Verrazzani - è rifare una mappatura delle aree bianche, lavoro già fatto da Infratel quest'estate per le aree grigie. Parte di quelle aree che crediamo siano bianche, infatti, sono nel frattempo diventate grigie, e viceversa: parte delle aree che si credevano grigie si sono rivelate bianche. Occorre scattare una fotografia più veritiera possibile». «Nostri investimenti in discussione per  iniziativa Open Fiber   su Fwa» La chiarezza sugli investimenti già effettuati è un elemento che Eolo rivendica anche per le zone dove Open Fiber intende arrivare con l'Fwa. L'operatore guidato da Elisabetta Ripa, in accordo con il ministero dell'Innovazione tecnologica e la digitalizzazione, anticiperà, infatti, la connessione nei comuni ‘no Internet' arrivando, nel giro di un anno, con l'Fwa anziché con la fibra ottica, tecnologia che richiede più tempo e investimenti. Eolo non è soddisfatto di questa prospettiva e ha già scritto, come riportato dal Sole 24 Ore nei giorni scorsi, una lettera alla Ue, chiamando in causa in particolar modo Infratel, la società in house del Mise che si occupa dell'attuazione del piano sulla banda ultra larga in Italia. «I nostri investimenti – spiega Verrazzani – vengono messi in discussione da un'iniziativa statale, e a noi questo non piace. Chiediamo che ci si concentri sulle aree che hanno ancora bisogno di fibra e non si spendano soldi e tempo in zone già coperte. E, in ogni caso, ci aspettiamo banalmente che, prima di creare una nuova rete Fwa del concessionario Open Fiber, venga fatta una verifica sulla presenza di operatori privati» SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 17/12/2020

17 Dicembre 2020

«Contenuti e audivisivo catalizzano il rilancio digitale del Paese»

Treno della fibra ha agganciato l'alta velocità, ma è ancora basso il take-up: su 8,2 milioni di abitazioni raggiunte nel 2019, le linee attive erano 1,1 milioni. Maximo Ibarra, AD Sky Italia, a DigitEconomy.24, il report Luiss Business School e Il Sole 24 Ore – Radiocor   Il blocco globale di alcuni dei servizi di Google avvenuto qualche giorno fa ha evidenziato ancora una volta quanto le nostre attività – professionali, educative, d'intrattenimento - siano ormai legate a doppio filo alle tecnologie di rete e ai contenuti in esse veicolati. In tutto il mondo, molti utilizzatori hanno riscoperto cosa significa non avere a disposizione la posta elettronica, le videoconferenze, i video, gli spazi di lavoro condivisi sul cloud. Per qualche ora, ci siamo ritrovati in uno stato di digital divide diffuso e pervasivo: una condizione eccezionale per molti, ma tristemente normale per chi vive in zone non ancora raggiunte dalla banda ultra larga. Il problema non riguarda solo gli aspetti infrastrutturali. In Italia esiste un delta ancora rilevante tra disponibilità di connessioni ultra broadband sul territorio ed effettivo take-up dei servizi. Se sul fronte della diffusione di tecnologie di rete più evolute siamo destinati a raggiungere in tempi ragionevoli i livelli degli altri Paesi europei, il tasso di adozione da parte delle famiglie resta basso. Alla fine dello scorso anno, con 8,2 milioni di abitazioni raggiunte dalla fibra fino a casa, le linee attive erano appena 1,1 milioni. Crescita esponenziale del traffico Internet, in aumento di oltre il 44% In questo difficile 2020 abbiamo tuttavia assistito ad una crescita esponenziale del traffico internet in Italia. Nei primi nove mesi, secondo i dati dell'Autorità per le Garanzie sulle Comunicazioni, i valori relativi al traffico dati medio giornaliero sulle reti fisse è aumentato di oltre il 44%, passando dai 68 petabyte dello stesso periodo del 2019 a quasi 100 petabyte al giorno. E secondo le stime del Ftth Council Europe, a fine anno su oltre 12 milioni di abitazioni raggiunte dalla fibra a casa, le utenze attive saliranno a poco meno di 2 milioni, con un incremento del 72% rispetto all'anno precedente. Digitalizzazione può imprimere cambio di marcia al Paese Il treno della rete italiana sembra finalmente aver imboccato il binario dell'alta velocità. È un'opportunità straordinaria per il Paese, un'occasione per andare oltre la semplice resilienza: non possiamo accontentarci di tornare alle condizioni antecedenti alla pandemia. Prima di questa crisi, il Pil italiano cresceva di pochi decimali di punto ogni anno. I nostri obbiettivi devono guardare invece ad un rilancio sostanziale della nostra economia.  Possiamo agganciarci al treno della digitalizzazione per imprimere un cambio di marcia, avviando il Paese verso una fase espansiva solida e organica. Ma molto resta ancora da fare. È necessario promuovere una trasformazione culturale, oltre che tecnologica, alimentando un'alfabetizzazione digitale diffusa, una riqualificazione che favorisca cambiamenti di metodo, di pensiero, di progettualità, elementi spesso ancorati a un mondo analogico che limitano la nostra competitività. Secondo l'indice europeo Desi relativo ai livelli di digitalizzazione dell'economia e della società, il nostro Paese si colloca al 25° posto su 28. L'accelerazione dei processi in corso può consentirci di recuperare terreno in quei differenziali che ci allontanano non solo dalle posizioni di vertice, ma addirittura dalla media dei Paesi Ue. Intrattenimento fattore chiave nel  passaggio alla  banda ultra larga Tra catalizzatori della corsa alla digitalizzazione nei mesi dell'emergenza, accanto a smart working, didattica a distanza e remotizzazione dei servizi, un ruolo rilevante è stato quello dell'incremento dei consumi audiovisivi. Quelli legati all'intrattenimento, in particolare, sono stati un elemento chiave nel favorire il passaggio a nuove utenze broadband. Il comparto dell'audiovisivo, nonostante le difficoltà dettate dal contesto, rappresenta uno dei principali asset in grado di stimolare e motivare il consumatore a scegliere connessioni a banda larga, un driver da cui il sistema paese può trarre molti benefici assegnando alla nostra industria culturale un ruolo strategico in un piano di rilancio complessivo del Paese. Ma è anche una filiera essenziale nella nostra economia, con un valore della produzione vicino agli 1,3 miliardi di euro nell'anno passato, investimenti in crescita, e una capacità di impiego da 123mila lavoratori diretti in oltre 7.500 imprese, al netto dell'indotto. Ed è un settore in grado di creare nuovi posti di lavoro a elevato grado di competenza. Per una entertainment e media company come Sky, queste strategie si traducono in un rafforzamento dei servizi e dei contenuti diretti alle famiglie. Il lancio di Sky Wifi, la rete ultra broadband pensata come centro di un ecosistema digitale domestico basato sull'efficienza e sulla facilità d'uso, si affianca al core delle attività: la produzione di contenuti di qualità attraverso continui investimenti su produzioni originali di respiro internazionale, dando spazio ai tanti giovani talenti, tra attori, registi, sceneggiatori e tecnici, che hanno solo bisogno di un'occasione per dimostrare il loro valore. Un circolo virtuoso che, attraverso gli investimenti nel cinema, nelle serie, nello sport e nell'intrattenimento, alimenta quei flussi di contenuti che, a loro volta, costituiscono il principale propulsore per la diffusione del digitale e del broadband tra le famiglie italiane. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 17/12/2020

17 Dicembre 2020

BT: Burger (Ceo Global division), «nostro modello di rete funziona, la futura crescita passa da cloud e cybersecurity»

    Il modello di infrastruttura di rete scelto da British Telecom, ex monopolista del Regno Unito, «funziona» e la società continuerà a investire nell'infrastruttura, «continuando a lavorare a stretto contatto con il governo, Ofcom e l'industria in generale per contribuire a costruire l'infrastruttura digitale di livello mondiale che il Regno Unito merita». A delineare la visione del gruppo britannico sulla rete, in un momento in cui si parla tanto in Italia di un modello di un'unica infrastruttura, è Bas Burger, numero due dell'azienda e amministratore delegato della divisione Global (che offre servizi a tutto il mondo business di BT al di fuori dell'UK). Soffermandosi anche sulla futura strategia internazionale «in sostanza – spiega il top manager  a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School - la nostra crescita passa attraverso tre grandi scommesse: reti digitali, Sdn (software define network, una strategia cloud first e cybersecurity». Il ceo inquadra poi, nell'ottica di un riposizionamento di business, anche la recente vendita di due rami d'azienda della divisione italiana al gruppo Tim. In Italia, rassicura Burger dopo le recenti preoccupazioni dei sindacati per la tenuta aziendale, il business è «stabile» e BT si concentrerà sui 40 clienti business, tra cui Fca ed Eni. Il modello di rete Openreach, che è una controllata al 100% di BT, è, al netto della realizzazione dei  piani di Tim, quello con la più ampia separazione in Europa tra infrastruttura e incumbent. Tuttavia le critiche sono state frequenti. BT conferma il suo modello o pensa a un grado di separazione ancora più ampio? Il modello che abbiamo oggi funziona. Siamo incoraggiati dal fatto che Ofcom (l'autorità di regolamentazione britannica) riconosce i progressi che Openreach sta facendo come azienda, come sottolineato nel recente rapporto della Openreach Monitoring Unit e, in particolare, come i loro straordinari ingegneri hanno risposto alla pandemia del Coronavirus. Openreach esiste per promuovere la scelta e la concorrenza nel mercato della banda larga del Regno Unito e continua a concentrarsi sulla costruzione di una rete migliore, più ampia e più veloce per i suoi clienti in tutto il Regno Unito. Nonostante l'incertezza causata dal Coronavirus, BT ha continuato a investire massicciamente nell'infrastruttura digitale del Regno Unito, realizzando piani per fornire fibra a banda larga a 20 milioni di edifici entro la seconda metà del 2020 e continui investimenti nel 5G. Allo stesso tempo, stiamo modernizzando il nostro business per rendere BT più competitiva e, di conseguenza, abbiamo visto migliorare la qualità del servizio che forniamo. Tuttavia, non c'è spazio per l'autocompiacimento, quindi continuiamo a lavorare a stretto contatto con il governo del Regno Unito, Ofcom e l'industria in generale per contribuire a costruire l'infrastruttura digitale di livello mondiale che il Regno Unito merita. Quali saranno i driver della crescita di BT nel 2021? Il nostro settore sta attraversando la più grande trasformazione degli ultimi anni, con nuove tecnologie Sdn (software define network) e un radicale spostamento di applicazioni e servizi dei clienti sul cloud. Ciò è stato accelerato dall'attuale pandemia. Come BT abbiamo investito in una nuovissima piattaforma di servizi digitali cloud-nativi per i nostri clienti e su questa abbiamo già lanciato, a tempo di record, due prodotti: "BT Meetings con Zoom" e un nuovo servizio gestito SD-WAN a livello globale in collaborazione con VMware. Questo ci pone in una posizione di forza, che si basa su una reputazione recentemente rinvigorita dalla straordinaria customer experience e dal fatto di poter contare su personale altamente qualificato in tutto il mondo. Abbiamo una visione chiara di come la domanda passerà dai servizi legacy alle nuove offerte del nostro portafoglio. Queste soluzioni gestite, abilitate dai nostri nuovi servizi digitali, rappresentano oggi quasi un quarto del nostro fatturato globale e circa il 50% della nostra pipeline di ordini. Oltre a ciò stiamo anche investendo in una nuova piattaforma di sicurezza che accelererà il rilevamento e la risposta alle minacce così da aiutare i nostri clienti a gestire meglio i rischi. In sostanza la nostra crescita passa attraverso tre grandi scommesse: reti digitali, SDN, una strategia cloud first e cybersecurity. L'emergenza Covid da un lato ha rallentato l'economia, dall'altro ha rafforzato il ruolo delle telco nel mondo. Quale è il vostro bilancio? Abbiamo la possibilità di poter contare su una visione unica di questi trend, un "posto in prima fila" sullo scenario globale, che ci deriva dai modelli mutevoli della grande quantità di dati che viaggiano sulla nostra rete (presente in oltre 180 paesi nel mondo) e che rivela le tendenze della domanda dei clienti, le preferenze tecnologiche e il panorama delle minacce alla sicurezza informatica. Questa mole di informazioni ci consente di guidare i nostri clienti attraverso la crisi e aiutarli a comprendere le sfide e le opportunità che tutti ci troveremo ad affrontare nel prossimo futuro. Ad esempio, una sfida è rappresentata dal BYOD (bring your own device), che vedeva le persone usare i propri telefoni, tablet e laptop al lavoro. Ciò è stato capovolto dalla pandemia con la superficie degli attacchi informatici in crescita esponenziale. La pandemia ha messo inoltre in evidenza una nuova generazione di CIO (chief information officers) e CISO (chief information security officers), per i quali il successo è stato dettato dalla loro capacità di migrare verso soluzioni digitali su larga scala, velocemente e in sicurezza. Durante il lockdown le aziende hanno imparato ad adottare tecnologie digitali su larga scala, connettere le persone digitalmente, liberarsi della carta. Ad esempio, in BT abbiamo consentito al personale di lavorare da casa, a cominciare dagli operatori di call center fino ai professionisti di cybersecurity che utilizzano apparecchi di realtà virtuale. Per un'azienda farmaceutica leader a livello mondiale, abbiamo accelerato gli aggiornamenti di Internet che hanno portato la capacità delle VPN da 2 GB a 4 GB, aiutando 30.000 persone a lavorare da casa, il tutto in un giorno. Per un grande banca abbiamo aumentato la larghezza di banda della rete e implementato la tecnologia per consentire a 3.500 dei loro dipendenti di lavorare da casa, cosa che non era mai stata presa in considerazione prima della pandemia. I nostri tempi di reazione alle richieste dei clienti si sono compressi da mesi a settimane e, talvolta, giorni. Recentemente in Italia avete siglato un accordo con Tim per la vendita di due rami d'azienda che nel corso dell'ultimo esercizio avevano comunque ricavi per 90 milioni di euro. Qual è la logica?  Nel settembre 2018, abbiamo detto al mercato che avremmo fatto tre cose: riposizionare radicalmente la nostra attività attorno ai nostri mercati principali, creare valore in aree di crescita strategicamente selezionate e ridurre il rischio offrendo al contempo rendimenti più elevati. Ciò equivaleva a un piano per semplificare le nostre operations, cosa che abbiamo fatto. In parte concentrandoci su un nucleo centrale di clienti multinazionali, in parte semplificando e modernizzando il nostro portafoglio e in parte definendo un percorso chiaro verso una performance finanziaria prevedibile e, in ultima analisi, rendimenti a due cifre sul capitale impiegato. La cessione di molte delle operazioni locali faceva parte di questo piano e ora lo abbiamo fatto in oltre venti paesi tra cui Germania, Paesi Bassi, Spagna, Francia, Singapore, Cina e 15 paesi dell'America Latina. L'accordo con Tim per la vendita dei rami d'azienda italiani che gestiscono la pubblica amministrazione e le piccole e medie imprese si inserisce in questa strategia internazionale. I sindacati italiani in particolare sono preoccupati per la stabilità dei posti di lavoro di BT Italia In Italia BT ha un business stabile e fornisce soluzioni di rete, cloud e sicurezza a circa 400 grandi clienti. BT continuerà a servire grandi clienti e multinazionali con sede in Italia, tra cui Fiat Chrysler Automobiles ed Eni; così come le attività italiane dei clienti multinazionali globali di BT, come BNL-BNP Paribas e Nestlé. Andrea Bono, che dirige la nostra attività in Italia, e il suo team continueranno inoltre a servire le principali imprese italiane nei diversi settori industriali. A tutti questi clienti verranno offerte soluzioni e servizi del portfolio globale di BT. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 17/12/2020

17 Dicembre 2020

«Il nostro modello di rete è il più adatto a favorire investimenti e concorrenza»

Parla l'ad di Open Fiber, Elisabetta Ripa, a DigitEconomy.24, il report Luiss Business School e Il Sol 24 Ore - Radiocor: «siamo interessati a valutare la collaborazione con tutti i soggetti»   Il modello di rete wholesale only, che fornisce cioè fibra solo all'ingrosso a tutti gli operatori «consentendo la realizzazione di un'infrastruttura di ultima generazione aperta a tutti coloro che siano interessati a sviluppare servizi digitali per cittadini, imprese e pubblica amministrazione, è il più adatto a favorire gli investimenti e l'innovazione attraverso una concorrenza leale e ad armi pari tra tutti gli attori coinvolti». Lo dichiara a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) l'amministratrice delegata di Open Fiber, Elisabetta Ripa. Proprio in questo giorni il Mise ha avviato una serie di incontri con gli operatori per raccogliere idee e contributi sullo sviluppo della banda ultra larga. In prospettiva c'è anche il dossier rete unica che prevede una combinazione, in primis, tra gli asset dei due principali operatori in fibra, Open Fiber e Tim.  «Il modello di business di Open Fiber – aggiunge Ripa - è aperto e collaborativo per principio. Siamo interessati a valutare la collaborazione e la cooperazione con tutti i soggetti, per realizzare il più velocemente possibile la digitalizzazione del Paese con un particolare focus sulle aree grigie dove il nostro piano industriale prevede già di investire cablando circa un milione di unità immobiliari aggiuntive con investimento privato». «Da affrontare, nella  fase di ripartenza, il tema delle competenze» La top manager fa un punto anche sull'effetto Covid rispetto alla stesura delle reti e sulle competenze necessarie soprattutto alla luce delle difficoltà che stanno vivendo tante aziende della filiera. «Con l'emergenza Covid – ricorda  - sono stati sottoposti a restrizioni anche tanti settori produttivi che compongono la filiera necessaria all'operatività del business delle telecomunicazioni. Con un grande sforzo, siamo comunque riusciti ad assicurare la continuità del servizio e a garantire le nuove attivazioni, che sono letteralmente esplose in coincidenza con l'aumento delle misure restrittive (e quindi delle percentuali di smart working e didattica a distanza)». Resta, però, da affrontare, in fase di ripartenza, il tema fondamentale delle competenze che vede l'Italia in coda alla classifica Desi. «Un progetto strategico come quello che Open Fiber sta portando avanti - prosegue- necessita di numerosi professionisti specializzati: giuntisti per la fibra ottica, progettisti di reti Ftth, periti tecnici. Tali figure, tuttavia, scarseggiano a causa del mancato investimento in questa tipologia di rete trasmissiva nell'ultimo ventennio. Per questa ragione è molto importante la formazione, nelle scuole e nei centri dedicati, del know-how per lo svolgimento di mestieri altamente specializzati». «Fwa per coprire zone più remote in modo complementare alla fibra» Open Fiber, nata per portare la fibra ottica in Italia, oggi punta molto anche sull'Fwa, la tecnologia misto radio-fibra più veloce da realizzare, soprattutto nelle aree montane o difficili da raggiungere. L'azienda, ricorda Ripa, «ha deciso di intervenire con risorse proprie per portare connessione in 171 comuni delle cosiddette "aree bianchissime", dove non c'è alcuna connessione fissa o mobile a causa del mancato intervento degli altri operatori privati, con tecnologia Fwa, mista fibra- radio. Anche nel resto delle aree bianche, Open Fiber utilizza l'Fwa per coprire le zone più remote o con una densità abitativa particolarmente bassa in modo complementare rispetto alla fibra fino casa (ftth). Il nostro obiettivo è accelerare il più possibile la copertura del Paese con tecnologie ultrabroadband e, da sempre, siamo aperti al dialogo con le istituzioni per trovare le soluzioni migliori anche alla luce della difficile situazione sanitaria che stiamo vivendo» «Il nostro modello incontra il favore degli operatori» Nonostante il Covid, l'Italia è, secondo l'ad, in buona posizione e ha le carte in regola per raggiungere, come riporta l'Ftth Council, il terzo posto in Europa nel 2026 nella copertura in fibra. «Il report Idate presentato all'Ftth Council evidenzia come, nella classifica della copertura in infrastrutture di ultima generazione (Ftth/b), il nostro Paese sia già sul podio, dopo Francia e Spagna. L'Italia, negli ultimi 12 mesi e malgrado il Covid, è stata la seconda nazione in termini di incremento delle unità immobiliari raggiunte dalla fibra e questo grazie al lavoro di Open Fiber. Con oltre 10 milioni di unità immobiliari abilitate ai servizi ultra broadband, siamo il principale operatore italiano di reti in fibra ottica e il primo in Europa tra gli operatori wholesale only». Un modello di business che «incontra il favore sia degli operatori (OF ha accordi con oltre 100 partner), che competono a parità di condizioni sui servizi, sia dell'Unione Europea, che ne ha evidenziato le capacità di favorire gli investimenti nel Codice europeo delle Comunicazioni elettroniche». «Effetto decreto Semplificazioni su  burocrazia nei prossimi mesi» Tra le criticità Open Fiber individua, invece, la burocrazia che è «sicuramente un elemento che non ha agevolato il piano di cablaggio nelle aree bianche, sia per i ricorsi e le complicazioni che hanno ritardato il rilascio delle concessioni, sia per l'enorme mole di permessi e autorizzazioni necessari (oltre centomila)». Tuttavia, conclude Ripa, «il decreto semplificazioni varato dal Governo, dispiegherà i suoi effetti nei prossimi mesi, e consentirà di velocizzare ulteriormente. Siamo quindi fiduciosi che, con la collaborazione di tutti, l'Italia potrà proseguire nel percorso virtuoso e centrare le previsioni di crescita dell'Ftth Council al 2026». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO  17/12/2020

09 Dicembre 2020

Più trasparenza ed efficienza nel settore contratti pubblici  

Luiss Business School al fianco di PA e imprese per una nuova infrastruttura digitale integrata Luiss Business School è partner di eNEIDE – eNotification and ESPD Integration for Developing Eprocurement, un progetto in collaborazione con Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), Intercent-ER Agenzia regionale per lo sviluppo dei mercati telematici (INTERCENT-ER), Regione Toscana (RT), Azienda Regionale per l’Innovazione e gli Acquisti (ARIA S.p.A.), con il coordinamento di Agenzia per l’Italia Digitale – Presidenza del Consiglio dei Ministri, con l’obiettivo di accelerare la transizione digitale dell’intero settore dei contratti pubblici (e-Procurement) e degli appalti. eNEIDE, sviluppato nell’ambito del programma CEF – Connecting Europe Faculty della Commissione Europea, uno strumento di finanziamento per la competitività e la crescita attraverso investimenti infrastrutturali mirati, punta a realizzare un’architettura digitale unica che permetta di semplificare le procedure di aggiudicazione e gestione dei contratti pubblici, garantendo l’interoperabilità tra piattaforme secondi i criteri di standardizzazione, innovazione e semplificazione, attraverso due azioni integrate: la realizzazione di uno snodo nazionale presso ANAC, in grado di intermediare tra le pubbliche amministrazioni italiane e le piattaforme europee (eCertis e TED) grazie all’impiego di standard e formati unificati. In particolare, l’integrazione con la piattaforma europea TED consentirà all’infrastruttura nazionale di completare automaticamente il processo di ePublication al termine della fase di autorizzazione delle offerte; la piena adozione del formato ESPD (European Single Procurement Document), che consentirà la dematerializzazione di tutte le procedure di gara. E-Procurement: i benefici per le PA La Commissione Europea e l’OCSE hanno da tempo evidenziato la necessità della trasformazione digitale del settore dei contratti pubblici, per raggiungere maggiore trasparenza, efficienza, efficacia della spesa pubblica e una migliore qualità dell’interazione tra gli operatori economici e la pubblica amministrazione, favorendo così la crescita economica e sociale nello spazio europeo. A oggi, tuttavia, la maggiore difficoltà nell’utilizzo dell’e-Procurement per le amministrazioni si è riscontrata nei costi di riorganizzazione dei sistemi interni. Con la nuova infrastruttura integrata si punta così a ottenere: processi integrati e pienamente digitalizzati che coprano l’intero ciclo del procurement un consistente abbattimento dei costi e dei tempi procedurali la possibilità per le PA di indire consultazioni di mercato aperte a tutti gli operatori economici abilitati, anche per gare di importo modesto, con estrema facilità e senza costi di pubblicazione. E-Procurement: i benefici per le PMI La disponibilità di strumenti di e-Procurement agevolerà soprattutto le realtà produttive di piccole e medie dimensioni in termini di visibilità, consentendo loro di presentare alle amministrazioni acquirenti, a livello europeo, i propri prodotti e servizi con costi e tempi ragionevoli, superando i limitati confini di un mercato prima solo territoriale o al massimo nazionale. Nel futuro, l’infrastruttura integrata avvicinerà le necessità delle imprese fornitrici e gli operatori del procurement, riducendo il gap tra la disponibilità dei servizi digitali e il loro effettivo utilizzo, come evidenziato dai recenti indici DESI, con maggiore attenzione alla sostenibilità, al green procurement, all’open innovation. Il progetto eNEIDE è tuttora in corso e giungerà a piena conclusione nella primavera del 2022. Il panorama e-Procurement continua, tuttavia, ad evolversi e sono in corso di definizione nuove iniziative di coordinamento tra gli attori nazionali, quanto mai necessarie per fronteggiare l’accelerazione digitale dovuta all’emergenza sanitaria. 9/12/2020

03 Dicembre 2020

Allo studio un piano su produttività dei call center e stabilizzazione dei livelli occupazionali

A breve partirà confronto tra Asstel, sindacati e governo   Nuove politiche industriali per il settore dei call center, puntando ad aumentare competenze e produttività, e stabilizzando l'occupazione. A breve partirà su questi temi il confronto di Asstel e sindacati col governo, dando seguito a quanto previsto per il comparto nel contratto collettivo nazionale delle telecomunicazioni di recente siglato. Di Raimondo (Asstel): «settore delle tlc in profonda trasformazione» Gli ultimi mesi, afferma Laura Di Raimondo, direttrice generale di Asstel, «si sono dimostrati decisivi per lo sviluppo di conoscenze e competenze digitali, il settore delle telecomunicazioni è protagonista di un profondo processo di digitalizzazione e trasformazione tecnologica, che interessa trasversalmente tutte le aziende della filiera e anche il settore del customer care». La trasformazione digitale, aggiunge Vito Vitale, segretario generale della Fistel Cisl, «rappresenta una sfida, ma allo stesso tempo un'opportunità per i contact center e i business process outsourcing in Italia, attualmente in forte evoluzione. Il rilancio dovrà basarsi su due elementi fondamentali per la competitività: tecnologia e formazione. Investire in queste due aree significa colmare il divario che esiste tra il nostro Paese e il panorama internazionale della customer care, che non ci permette di raggiungere i tassi di crescita a doppia cifra raggiunti dal settore fuori dai confini nazionali». Vitale (Fistel): «senza reskilling occupazione nei call center a rischio» Attualmente, il comparto dei contact center in outsourcing impiega oltre 80mila lavoratori. «Uno studio recente – aggiunge Vitale - sostiene che, tra questi, circa 20mila rischierebbero di essere ridondanti già nel 2022, qualora non si attuassero politiche di re-skilling e di ammodernamento delle competenze. Non voglio entrare nel merito dell'analisi, vorrei solo dire che abbiamo bisogno di una nuova visione che metta al centro le persone, anzi, l'umanesimo digitale. Occorre anche un salto di qualità nel modo di pensare di certe aziende, che non possono focalizzarsi solamente sul taglio dei costi nel breve periodo». Un altro degli elementi caratterizzanti il nuovo contratto collettivo nazionale delle tlc riguarda il fondo bilaterale di solidarietà. «Per essere operativo – spiega Di Raimondo - sono ancora necessari dei passaggi istituzionali come prevede la normativa, dopodiché sarà finanziato con risorse delle aziende, per due terzi, e dei lavoratori, per un terzo. Servirà a supportare e accompagnare la trasformazione delle nostre imprese sia per gli investimenti necessari per implementare una nuova organizzazione del lavoro, sia per quelli relativi ai percorsi di formazione continua e professionale. La capacità di azione del fondo sarebbe sicuramente di portata maggiore attraverso un sostegno pubblico che dia ampio respiro alle necessità della filiera tlc che ha dimostrato di essere un asset strategico del Paese». Per Asstel  usare Recovery Fund anche per la formazione digitale In generale il settore delle telecomunicazioni, come certificato dai dati Agcom che rilevano un calo del 5,8% nei ricavi nel giro di cinque anni, ha subito un brusco calo, stretto tra una competizione sfidante e la necessità di investire nel 5G. «Le risorse europee del Recovery Fund – prosegue Di Raimondo - devono essere spese correttamente, anche in programmi di formazione digitale. Le parole d'ordine sono fiducia, responsabilità e inclusione. Fiducia nel senso di responsabilità del lavoratore e inclusione come asset per un'organizzazione immaginata in ottica di uguaglianza, dove tutti abbiano le stesse opportunità. Ma per conseguire questo obiettivo è importante investire sulle reti di tlc, sulla banda ultra-larga e 5G. Questo è l'impegno che si sono assunte tutte le imprese della filiera». Sulla stessa linea il sindacato: «la trasformazione digitale sarà possibile solo se tutti gli operatori proseguiranno con investimenti in infrastrutture di rete e copertura 5G per abilitare i servizi di nuova generazione e puntare alla riduzione del digital divide che durante il lockdown ha isolato 13 milioni di cittadini. L'impegno del Governo sarà indispensabile per indirizzare le risorse del Recovery Fund per digitalizzazione e formazione. Questa – conclude Vitale - potrebbe essere l'occasione per una riforma organica degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive al fine di tutelare i lavoratori della filiera tlc, soprattutto dei customer care». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO  3/12/2020

03 Dicembre 2020

Uncem: «Usare risorse europee per portare la connessione nelle zone montane»

Lo chiede il presidente dell'associazione a DigitEconomy.24 di Luiss Business School e Il Sole 24 Ore Radiocor, Marco Bussone: «ci sono zone dove telefonare o mandare un sms è impossibile»   Nei comuni montani non c'è solo un problema di connessione fissa, ma anche di connessione mobile, con zone dove «già considerando il 4G, telefonare o mandare un sms è impossibile». A dirlo è Marco Bussone, presidente di Uncem, l'associazione nazionale dei comuni, comunità ed enti montani, sottolineando come la soluzione potrebbe oggi essere rappresentata dall'utilizzo di risorse pubbliche, anche quelle europee provenienti dal Recovery Fund, al fine di costruire le infrastrutture necessarie. «In futuro – spiega Bussone a DigitEconomy.24, report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School - la teleassistenza e la telemedicina, e altri servizi che si possono abilitare con il 5G, saranno sempre più imprescindibili nei territori montani dove c'è una larga fascia di popolazione over65». Con  pandemia più evidenti gap nelle  aree interne e montane La pandemia, ricorda Bussone, ha reso più evidenti diseguaglianze sociali e sperequazioni. «Non c'è solo un gap, in termini di punti di prodotto interno lordo, tra Meridione e Settentrione, c'è anche un problema nelle aree interne e montane che riguarda tutta l'Italia, in termini di digitalizzazione e penetrazione della banda ultra larga e in un'ottica futura, del 5G». Per le zone dove non è conveniente investire, dunque, come nelle aree bianche e bianchissime (non appetibili per il mercato), continua il presidente di Uncem, abbiamo definito «con la ministra Pisano un percorso, avviando un tavolo concreto di lavoro. Uno degli effetti è stato rappresentato dalla decisione di Open Fiber di anticipare il suo piano, portando la connessione nei comuni ‘senza internet' con l'Fwa; parallelamente Eolo sta operando in alcuni comuni assumendosi il rischio dell'investimento» «In questo scenario Inwit è il principale partner» Uno strumento per superare il digital divide, dunque, è rappresentato dall'investimento di risorse pubbliche, regionali, nazionali o europee, per le infrastrutture necessarie. Non solo in ambito di Recovery Fund e del Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza, ma anche di risorse Fesr (il Fondo europeo di sviluppo regionale). «L' Emilia Romagna – racconta Bussone -, ad esempio, sta investendo di intesa con Uncem delle risorse sulle infrastrutture. Noi abbiamo ancora aree scoperte, si pensi ad esempio alle valli alpine, dove non arriva neanche il 4G e dove le compagnie non investono. Sul fronte della telefonia mobile e del 5G, se le infrastrutture vengono realizzate con risorse pubbliche, si può poi trovare un consorzio di operatori che insieme coprano queste aree, visto che da soli hanno difficoltà a sostenere l'investimento». In questo scenario Inwit, conclude Bussone, «è il principale partner, in linea con le stesse richieste che noi facciamo da sempre, ovvero un investimento di risorse statali, regionali, pubbliche dove non può arrivare il privato, e un minor carico burocratico, individuando soluzioni in questo senso». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 3/12/2020

03 Dicembre 2020

Inwit: «un piano di torri ‘smart’ per chiudere il digital divide e accordi sui droni in vista»

Lo annuncia Giovanni Ferigo, amministratore delegato della società, su DigitEconomy.24 di Luiss Business School e Il Sole 24 Ore Radiocor: «Puntiamo ad allargare il nostro business»   Un piano di torri di tlc ‘smart', più piccole e più velocemente realizzabili, soluzioni «multi-operatore», per contribuire a colmare il digital divide del Paese, utili per il 5G, ma anche per le altre tecnologie. E' la proposta avanzata da Inwit, società infrastrutturale di telecomunicazioni che di recente ha varato la nuova strategia industriale al 2023 che contempla 600 milioni di investimenti e 900 milioni di dividendi per gli azionisti. La soluzione delle torri ‘smart', racconta l'amministratore delegato Giovanni Ferigo a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) si inserisce nel solco delle discussioni sul Recovery Plan. Intanto Inwit punta ad allargare il proprio business, «passando dall'essere un operatore di real estate puro a uno di digital real estate». Nel raggio d'azione della società rientrano i business dell'Iot, i mini data center, e, in particolare, i droni. Un tema, quest'ultimo, su cui Inwit ha varie discussioni in corso. I droni, infatti, potrebbero utilizzare le torri come un sorta di 'nido',  come base di atterraggio per realizzare, grazie alla capillarità dell'infrastruttura, anche missioni nelle emergenze. Consolidata la crescita organica nel business del torri e inorganica nei servizi, a fine piano Inwit valuterà, alla luce del ‘tesoretto' da un miliardo di euro che avrà a dispozione, se esportare in Europa le best practice acquisite: «Sono temi che porteremo al tavolo del cda». Inwit conta già 22mila torri distribuite in tutta Italia, per lo sviluppo del 5G sono necessarie altre infrastrutture? Il 5G sta arrivando, e ci vede certamente impegnati con le nostre torri. Da un punto di vista finanziario e industriale, d'altronde, siamo un'azienda che punta alla crescita organica, a differenza di molte altre del settore che privilegiano la crescita inorganica. Prevediamo per noi un futuro impegnativo con un piano a sei anni molto sfidante. Nella nostra strategia sono previste 3mila nuove torri in otto anni e circa duemila nell'arco di piano. Pensate che con le vostre torri potete contribuire anche alla chiusura del digital divide? In Italia facciamo da apripista per lo sviluppo massivo del 5G con le nostre 22mila torri che provengono da 25 anni di esperienza dei due operatori principali, Tim e Vodafone. Inoltre noi crediamo di essere, in Italia ma anche in Europa, i campioni delle small cells, le piccole antenne dedicate. In più ci sono nel nostro Paese gli operatori Fwa (soprattutto Eolo, Linkem, Fastweb e Open Fiber) che chiedono ospitalità nelle nostre torri. Fwa che, per inciso, è una peculiarità tutta italiana. In generale tutti gli operatori chiedono ospitalità sulle nostre torri per chiudere il digital divide. E per le aree a fallimento di mercato avete progetti e soluzioni ad hoc? Nell'ambito delle discussioni sul recovery plan, abbiamo proposto al Governo delle soluzioni. Si tratta di un piano di torri ‘smart' che potrebbero essere installate velocemente e potrebbero dunque, servire dappertutto, non solo nelle aree bianche e bianchissime, a coprire il digital divide. Sono soluzioni multi-operatore che consentono di velocizzare l'iter di realizzazione dell'infrastruttura. Dal punto di vista finanziario, al 2023, una volta remunerati gli azionisti ed effettuati gli investimenti annunciati nel piano, vi resta un ‘tesoretto' da un miliardo, come intendete sfruttarlo? Effettivamente abbiamo un livello di indebitamento con una leva pari a 5,5X; in 3 anni contiamo abbassarla parecchio con l'effetto di avere una disponibilità di un miliardo di euro, dopo aver destinato 900 milioni alla remunerazione dei nostri azionisti e aver effettuato 600 milioni di investimenti. Allora, al 2023, proporremo delle ipotesi al nostro consiglio di amministrazione. Vagliate nel frattempo acquisizioni? Noi non siamo interessati alle Towerco in Italia, potremo fare solo qualche acquisizione puntuale, nell'ordine di 40-50 torri, cioè qualche piccolo operatore. Siamo, invece, interessati a crescere a livello inorganico ampliando il nostro raggio di azione a business adiacenti. Parlo, innanzitutto, dell'Internet of things (IoT), dei mini data center, da posizionare sotto le torri, e dei droni. A proposito di droni, Ericsson e Vodafone hanno recentemente stretto un accordo per lo sviluppo di questa tecnologia. Pensate a qualcosa di simile? Abbiamo testato i droni visto che c'è ampia richiesta di questi servizi. Puntiamo in particolare ai droni a guida autonoma, senza la presenza del pilota, con intelligenza artificiale embedded, decollo e atterraggio autonomi, più piccoli rispetto a quelli previsti nell'accordo tra Ericsson e Vodafone. Abbiamo fatto degli use case, ad esempio nella sorveglianza e nell'analisi del traffico. Avendo una torre ogni tre chilometri, è possibile utilizzare la tecnologia anche per missioni critiche. I droni, peraltro, sono molto versatili, possono compiere missioni su frane, allagamenti, infrastrutture critiche, traffico sulle autostrade.  Questi sono ambiti per operazioni inorganiche, ma siamo molto lontani dall'impegnare il miliardo di euro che sarà disponibile al 2023, si tratta di operazioni da qualche milione di euro. A questo proposito abbiamo individuato già delle start up italiane. E oltre ai droni? Pensiamo ai mini data center, complementari ai droni, grazie ai quali si potrà fare download dei contenuti. Avete già delle collaborazioni in corso sul fronte dei droni? Ci stiamo confrontando con alcune realtà con le quali c'è, infatti, la necessità di un confronto a monte. In generale pensiamo, una volta avviata l'attività, a collaborazioni anche con realtà istituzionali. Tirando le somme, state quindi ampliare la vostra mission e il vostro business? Sì, vogliamo allargare il business, passando dall'essere un operatore di real estate puro a un digital real estate, e facendo, dunque, tutto ciò che serve per raggiungere questo obiettivo. Il vostro competitor, Cellnex, sta adottando invece un sistema molto diverso, puntando allo shopping di torri in tutta Europa. Cellnex ha adottato un modello differente. Noi abbiamo scelto di essere i più bravi su crescita organica e sinergie in Italia, per poi sviluppare delle best practice da, in un secondo momento, esportare eventualmente all'estero. I nostri concorrenti stanno compiendo la strada inversa. In definitiva, quindi, pensate nel vostro orizzonte anche ad allargare il vostro raggio d'azione fuori dai confini dell'Italia? Su questo e altri temi, come già detto, ci confronteremo a fine piano, nel 2023, al tavolo del cda. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 3/12/2020