Digital Transformation
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08 Ottobre 2020

Aiip: «La rete unica sembra un ritorno al monopolio, tutelare la concorrenza»

Giuliano Peritore, presidente dell'associazione degli Internet provider, sottolinea come «il Paese abbia bisogno di un disegno più complessivo delle telecomunicazioni per i cittadini e per le imprese»   La rete unica è una definizione «infelice e semplicistica»: come viene illustrata e discussa «sembra un ritorno al monopolio» e non pone «particolare attenzione alle condizioni regolamentari per tutelare la concorrenza e la parità di accesso al mercato». Lo afferma, in un’intervista a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School), Giuliano Peritore, presidente di Aiip, l’associazione degli Internet provider. Aiip, che «al momento non è stata convocata per partecipare al dibattito», ritiene che «voler ricondurre tutto al progetto di rete unica, che in realtà sarebbe l’integrazione fra due operatori primari, sembra far scomparire dal discorso il fatto che il Paese abbia bisogno di un disegno più complessivo delle telecomunicazioni per i cittadini e per le imprese». Inoltre, al di là del modello che verrà adottato, se verticalmente integrato oppure con controllo di un ente indipendente, quello che conta sono le regole che saranno adottate, a favore della concorrenza e della parità di accesso. Siete stati chiamati a far parte del dibattito della rete unica? A noi, come associazione Aiip, piace parlare di telecomunicazioni, ma non siamo stati convocati per la discussione in atto relativa alla rete unica. Peraltro, la rete unica è una definizione infelice e semplicistica, in Italia già ci sono decine di reti di dimensioni differenti in competizione tra loro; Internet ci insegna che le cose vengono bene quando sono semplici e integrate, visto che Internet per definizione è una serie di reti inter-operanti tra loro. Voler ricondurre tutto a un’unica rete, che in realtà sarebbe l’integrazione fra due operatori primari, sembra far scomparire dal discorso il fatto che il Paese abbia bisogno di un disegno più organico delle telecomunicazioni per i cittadini e per le imprese. Quali i rischi intravede nell’attuale dibattito? Il progetto di rete unica, per come viene illustrato, sembra un ritorno al monopolio; non si pone particolare attenzione alle condizioni regolamentari per tutelare la concorrenza e la parità di accesso al mercato. La nostra associazione è stata fondata da quelle aziende che per prime hanno portato Internet in Italia e per tanti anni si sono trovate ad operare in un contesto normativo difficoltoso. Più volte le imprese si sono trovate in contrasto con gli operatori dominanti davanti alle autorità. La liberalizzazione, che è un processo europeo oltre che nazionale, ha portato alla fioritura di tante reti indipendenti e infine alla nascita della rete di Open Fiber che ha provocato un certo scossone al mercato. Fare un passo indietro, tornando a un’unica rete di dimensioni più grandi, pone interrogativi in relazione al controllo della nuova entità e a quelle che saranno le regole, che vanno dalla parità di trattamento all’accesso disaggregato alle componenti di rete, ed è questo il rischio prospettico della rete unica. I nostri associati vogliono continuare a restare sul mercato, fare investimenti, far crescere le proprie reti. Che cosa chiederete al governo? Innanzitutto, chiederemo di ascoltare qual è il contributo dei nostri associati che sono su Internet da 25 anni, parliamo di circa 50 aziende. In secondo luogo, chiederemo che vengano messe bene in chiaro le regole dell’operazione sulla rete per capire qual è il perimetro e quali saranno le azioni volte a tutelare la parità di trattamento e la concorrenzialità del mercato italiano. Qualsiasi sia l’evoluzione, se ci sarà cioè il controllo da parte di un organismo indipendente ovvero si adotterà il modello di un operatore verticalmente integrato, prospettiva che non ci piace, quello che conta sono le regole con cui verrà gestita l’infrastruttura. Sicuramente il regolatore italiano, l’Agcom in primis, avrà un ruolo importante nel momento in cui verrà ingaggiato, nel rispetto delle normative europee. È anche peculiare che ci sia interesse verso la rete unica senza approfondire gli scenari sul modello che sarà adottato. Si è parlato dell’estensione della rete unica ad altre tecnologie. Che cosa ne pensa? È già complicato e ambizioso realizzare il progetto della cosiddetta rete unica, pensare di allargarla ai data center, o ad altre tipologie di servizi, è una visione troppo ottimistica. In Italia, inoltre, sono già presenti tante infrastrutture, tanti data center, il rischio è che se ne costruiscano altri senza tener conto di quello che c’è. Siamo di fronte, cioè, ad aziende che hanno investito, alcuni nostri soci sono anche società quotate, abbiamo un certo numero di dipendenti, indotto e soprattutto competenze sul territorio. Abbiamo contribuito tantissimo a combattere il digital divide con iniziative wireless e fibra. È necessario che quanto fatto finora venga rispettato. Qual è il suo suggerimento per colmare al più presto il digital divide? Bisogna incentivare la domanda delle tecnologie della banda ultra-larga nel rispetto della neutralità tecnologica. Sarebbe anche utile, in caso di interventi dello Stato, che le infrastrutture realizzate fossero sempre messe a disposizione di tutti gli operatori in modo disaggregato. E ricordiamo, infine, che Internet è nata come un sistema molto aperto; questo spirito di flessibilità e apertura, assieme all’interconnessione di reti differenti, non possono essere dimenticati. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 8/10/2020

08 Ottobre 2020

Fondo Cebf: entrano nel vivo i progetti locali per portare la banda ultra-larga nelle aree grigie

A fare il punto su DigitEconomy.24, Roberto Opilio, a capo dalla regione Italia e Sud Europa (Grecia, Cipro e Malta) del fondo: «Entro l'anno partirà il progetto con Unidata»   Per portare la banda ultra-larga nelle aree grigie del Paese, per le quali i bandi sono stati posticipati al 2021, c'è un progetto del fondo europeo Connecting Europe Broadband Fund (Cebf) che in Italia sta dando i primi frutti. Di recente è infatti stato firmato l'accordo tra il fondo e Unidata per portare la banda ultra-larga nelle aree grigie del Lazio, e altri tre progetti stanno andando avanti: uno al Centro, uno al Nord e uno al Sud del Paese. A fare il punto con DigitEconomy.24, report del Sole 24 Ore-Radiocor e della Luiss Business School, è Roberto Opilio, a capo dalla regione Italia e Sud Europa (Grecia, Cipro e Malta) del Cebf, voluto dalla Commissione europea per portare, attraverso progetti in parternariato di medie dimensioni, la banda ultra-larga soprattutto nelle aree industriali dove c'è poco interesse degli operatori a investire. Finanziamenti massimi sono pari a 30 milioni per progetto I finanziamenti del fondo sono pari al massimo a 30 milioni per ogni progetto. Cebf, che in totale ha raccolto 420 milioni di euro e ha un target di 600 milioni, vede il coinvolgimento di istituzioni pubbliche come la Commissione europea, Eib, KfW, Cdc e l'italiana Cdp, oltre a investitori privati. «All'inizio dell'anno prossimo ed entro la prima metà del 2021 partirà un altro paio di progetti», precisa Opilio. Il fondo crea società nuove con i partner prescelti Il fondo non entra in società già esistenti, ma crea col partner una nuova realtà che, nel caso di Unidata, si chiama Unifiber. Per il progetto con Unidata, racconta Opilio, «si stanno siglando gli ultimi dettagli e la rete dovrebbe partire entro l'anno». Unidata e Cebf investiranno in una rete di alta qualità in fibra ottica, ad accesso aperto agli utenti residenziali e aziendali della Regione Lazio. La rete coprirà oltre 100.000 famiglie e 5.000 aziende. Nei prossimi anni Unifiber investirà oltre 40 milioni di euro per la realizzazione della rete in fibra ottica nelle aree grigie della regione Lazio. Scendendo nei dettagli della nuova società, Unifiber è partecipata per il 30% da Unidata e per il restante 70% da Cebf. Unidata controllerà Unifiber, nominando la maggioranza dei componenti del consiglio di amministrazione e, pertanto, prevede il consolidamento dei suoi risultati. Unifiber potrà, inoltre, contare su un apporto da parte dei due soci pari a 18,5 milioni, di cui 15 milioni investiti da Cebf e 3,5 milioni da Unidata a fronte di un investimento complessivo da 40 milioni. Al verificarsi di determinate condizioni, Cebf potrà effettuare ulteriori apporti in Unifiber fino al limite massimo di 30 milioni. Opilio: «Sono progetti piccoli, locali, aiutiamo le Pmi»  I nostri progetti, spiega Opilio, «hanno la fortuna di essere piccoli, locali; gli imprenditori coinvolti conoscono bene, dunque, il funzionamento della pubblica amministrazione locale, le infrastrutture e il sistema in cui lavorano. Tutto ciò li aiuta a evitare le lungaggini. Inoltre i piccoli spendono meno dei grandi per realizzare questo tipo di opere».  L'operatività del fondo è delimitata alle aree grigie. Questo perché non può investire sulle aree bianche, a fallimento di mercato, dove già ci sono bandi vinti e risorse europee impegnate né il fondo vuole investire in quelle nere, dove già c'è la concorrenza tra operatori. «Vogliamo andare – spiega Opilio - nelle zone dove non ci sono infrastrutture, principalmente nelle aree industriali e nei piccoli comuni». Tra i progetti del fondo in Europa, solo per fare un esempio, ci sono le aree rurali della Croazia. In più, prosegue Opilio, il nostro «è l'unico fondo che aiuta le Pmi. Anche nelle future gare sulle aree grigie, infatti, le Pmi sono in pratica tagliate fuori, e l'unico modo di lavorare è quello di realizzare la loro piccola infrastruttura». Il caso delle piccole imprese sfata anche il mito, secondo Opilio, dell'operatore wholesale only a favore dell'operatore verticalmente integrato, come è oggi Tim: «per sopravvivere le piccole imprese devono infatti avere il possesso dell'infrastruttura». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 8/10/2020

08 Ottobre 2020

Hedberg: «Rete unica? Sì, ma con modello wholesale only»

Per l'amministratore delegato dell'azienda è «fondamentale investire in nuove reti, ma anche nella formazione». L'intervista su DigitEconomy.24, il report Luiss Business School e Il Sole 24 Ore.   WindTre favorevole alla rete unica per portare la connessione Internet in tutto il Paese, ma a patto che la nuova società abbia «un modello di business wholesale only», cioè che non faccia al contempo il fornitore all’ingrosso di banda ultra-larga e il concorrente nella vendita ai clienti. È la posizione di Jeffrey Hedberg, amministratore delegato di WindTre, dopo l’apertura del confronto con Governo e Cdp sul progetto di rete unica che coinvolge Tim e Open Fiber.  In un momento in cui, alla luce delle risorse che metterà a disposizione il Recovery Fund, la digitalizzazione del Paese è al centro del dibattito politico e imprenditoriale, Hedberg ricorda inoltre che «occorre investire sui servizi pubblici basati sul 5G» per non perdere il vantaggio accumulato dall’Italia in questa tecnologia. È fondamentale, inoltre, colmare il digital divide con la fibra ottica, ma privilegiando un approccio pragmatico: ad esempio, dice Hedberg, «la tecnologia Fwa potrebbe dare un contributo importante ad accrescere rapidamente il numero di famiglie e imprese in grado di accedere alla rete a banda ultralarga». Il Consiglio europeo ha deciso che almeno il 20% dei fondi del Recovery and Resilience Facility sarà destinato al digitale. Quali ambiti, tra 5G, banda ultra-larga, data center e altre tecnologie, secondo voi soffrono del maggiore ritardo e quindi dovrebbero avere priorità nei progetti? L’Italia ha gestito in modo molto efficace la crisi pandemica e adesso può rilanciarsi nel quadro internazionale anche grazie alle reti 5G e ultrabroadband, che hanno reso possibile la continuità produttiva e l’erogazione di servizi in molti settori. Noi e le altre aziende di telecomunicazioni abbiamo già investito molto sulla rete 5G e ora il Paese ha un vantaggio oggettivo rispetto ad altri. Per sfruttare questo vantaggio è necessario muovere i passi successivi: investire sui servizi pubblici basati sul 5G per realizzare un salto di qualità a beneficio di famiglie e imprese, a partire dalla sanità, con i modelli di eHealth, e sostenere gli investimenti delle imprese manifatturiere nel campo dell’Internet of Things per accelerare sull’Industry 4.0. Oltre alle carenze nell’infrastruttura, l’Italia, come mostra l’indice Desi, ha un grande ritardo nelle competenze digitali, reso evidente nel periodo del lockdown.  Come, secondo voi, si potrebbe superare questo gap? Sviluppare le competenze e i talenti è una sfida ancora più complessa di quella infrastrutturale, ma è altrettanto importante. Ognuno può fare la propria parte passando dalla retorica all’azione. In WindTre abbiamo varato un transformation plan che è stato molto apprezzato anche dai sindacati, proprio perché prevede ingenti investimenti nella formazione. Uno sforzo che coinvolge le università pubbliche e private e altri partner. Il Paese ha bisogno di accelerare il passaggio dal mondo della formazione a quello aziendale attraverso programmi e iniziative coerenti con l’evoluzione della domanda di lavoro. Che cambia rapidamente, quindi è necessario che la formazione venga organizzata in modo più elastico, più adattativo. I bandi per le aree grigie, inizialmente previsti entro l’estate, sono stati rimandati. Si potrebbero sfruttare altre tecnologie, come l’Fwa (il Fixed wireless access), per arrivare al più presto a portare la connessione a Pmi e zone rurali? Sulle tecnologie dobbiamo essere pragmatici perché evolvono rapidamente, anche con scarti improvvisi. Al momento abbiamo una certezza: che la tecnologia Ftth, cioè la fibra ottica fino all’utenza, è quella che garantisce le prestazioni richieste da tutte le applicazioni che possiamo immaginare oggi. Per colmare il digital divide e tenere insieme il Paese, creando opportunità anche nelle aree più remote ed evitare che vengano abbandonate per affollare le città, bisognerebbe continuare nello sforzo di portare la fibra ottica. Tuttavia, è giusto tenere un approccio pragmatico e cercare soluzioni con un rapporto ragionevole tra costi e benefici e in questo quadro noi crediamo che la tecnologia Fwa potrebbe dare un contributo importante ad accrescere rapidamente il numero di famiglie e imprese in grado di accedere alla rete a banda ultra-larga. Negli anni scorsi, WindTre ha partecipato alla maxi-asta per le frequenze 5G che ha provocato un esborso notevole per gli operatori di tlc. Quali e quando pensate possano essere i ritorni? Servono stimoli all'adozione di nuovi servizi basati su questa tecnologia? Come accennavo prima, le infrastrutture sono già a buon punto. Il beneficio per le famiglie e le imprese si concretizza con le applicazioni, in particolare quelle nei servizi pubblici e nell’ambito B2B. Per questo serve un investimento in tale direzione, che aumenta l’efficienza del sistema-Paese e lo stimolo alla domanda di tecnologia per sollecitare gli interventi privati, che aumentano la competitività. WindTre ha in corso un piano di investimenti da sei miliardi di euro in cinque anni che si completa nel 2021, grazie al quale la nostra rete mobile è certificata come la più veloce d’Italia da un numero crescente di istituti internazionali. Il ritorno sugli investimenti è quindi un tasto dolente, anche a causa della ipercompetitività che ha innescato una spirale deflazionistica sui prezzi. Con il passaggio alla fase applicativa, al beneficio per il Paese corrisponderà anche un ritorno sugli investimenti. Il settore delle tlc vive da anni una situazione di ricavi e margini in calo, ma con richieste di investimenti privati sempre più alti. Quale futuro si prospetta? In Italia le telco hanno investito 90 miliardi di euro in dieci anni, di cui 13 solo per le frequenze, in un mercato che ha tariffe tra le più basse del Continente e che vede la richiesta di connettività in continua crescita, accelerata negli ultimi mesi anche dal lockdown. Credo che il Governo e le autorità indipendenti dovrebbero sviluppare una visione strategica del settore, in cui accanto alla tutela del consumatore nel breve termine vengano perseguiti gli interessi del Paese nel lungo termine. E questo implica condizioni che consentano alle imprese di continuare a investire. Siete di recente stati convocati dal Governo per il progetto rete unica. Siete soddisfatti dell’interlocuzione in corso? E quale ruolo WindTre potrebbe giocare nel progetto? Il Governo ha condiviso con gli operatori la propria determinazione ad accelerare in tutto il Paese la diffusione della banda ultra-larga basata sulla fibra ottica. Noi siamo molto favorevoli, è un obiettivo importante per tutto il Paese: sia per le famiglie sia per le imprese. L’Italia può ricoprire un ruolo importante nella Gigabit society che si va costruendo in Europa, se non rallenta e continua invece a investire sulle infrastrutture digitali. WindTre c’è e ci sarà. Abbiamo segnalato al Governo, insieme con altri operatori, che una società nuova, creata per realizzare un’infrastruttura unica, deve avere un modello di business wholesale only, cioè che non faccia il fornitore e il concorrente al tempo stesso e garantisca a tutti parità di condizioni di accesso alla rete. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 8/10/2020

08 Ottobre 2020

Open Fiber porterà la connessione ai Comuni senza Internet con tecnologia Fwa

Il piano, finanziato dall'azienda guidata da Elisabetta Ripa  con risorse proprie, non modifica il precedente impegno a portare la fibra ottica. Oggi su DigitEconomy.24, il report Luiss Business School e Il Sole 24 Ore.   Open Fiber porterà con l'Fwa, la tecnologia mista fibra-radio, la connessione nei comuni ‘No Internet' individuati nei mesi scorsi dall'Agcom. L'azienda guidata da Elisabetta Ripa, secondo quanto risulta a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) ha, infatti, presentato, nell'ambito del tavolo Pisano aperto nel momento più tragico del lockdown, un piano dettagliato per coprire rapidamente i comuni che più soffrono la mancanza di connessione. L'azienda coprirà 171 Comuni su 204 nel giro di un anno Si prevede, con un percorso in più tappe della durata massima di un anno, di coprire 171 dei 204 comuni attualmente definiti senza Internet. Per la maggior parte di queste stesse aree Open Fiber aveva vinto i bandi Bul sulla fibra ottica finanziati dall'Unione europea. Il nuovo piano non modifica il precedente, ma anticipa l'arrivo della connessione in gran parte delle zone più carenti.  I 204 Comuni ‘no Internet' identificati dall'Agcom presentano almeno il 10% dei civici senza copertura da servizio fisso. In particolare 46 sono senza alcuna copertura di rete fissa, in 130 la quota senza copertura è superiore al 20% dei civici. Se si include anche la rete mobile, secondo un requisito di velocità minima indoor di 2 Mbps, il numero di comuni "No Internet", scenderebbe da 204 a 73. La maggior parte si concentra in Piemonte (31%), nelle province di Cuneo, Alessandria, Torino e Asti, nel Molise, nella Liguria e in Sicilia. Tra i comuni che si trovano in maggiore difficoltà, si contano Pontechianale, Oncino, Macchia Valfortore, Marcetelli, Marmore, Castelmagno, Bellino, Pradleves, Gorreto, Valprato Soana, Rondanina, Villamiroglio, Acceglio, Serole, Sant'Alessio in Aspromonte. Una situazione inaccettabile per la ministra dell'Innovazione tecnologica e la digitalizzazione, Paola Pisano, che nei mesi scorsi ha aperto il tavolo e chiesto agli operatori di trovare una soluzione. Anche Eolo disponibile con modello di co-investimento pubblico-privato Anche il gruppo Eolo aveva dato disponibilità per i comuni selezionati dall'Agcom, chiedendo però incentivi o aiuti a investire in queste aree a fallimento di mercato denominate "bianchissime". «Come ribadito nell'ultimo incontro del tavolo, rinnoviamo – dichiara Alessandro Verrazzani, responsabile Affari regolamentari e istituzionali di Eolo - la nostra piena disponibilità a coprire tali aree bianchissime nell'arco di pochi mesi con la nostra rete Fwa a banda ultra-larga, secondo un opportuno modello di co-investimento pubblico-privato». Open Fiber coprirà le spese che si aggirano tra i 5 e i 10 milioni Open Fiber ha proposto una copertura mantenendo gli oneri delle spese che si aggirano, secondo alcune stime, su 5-10 milioni di euro. Di questi 204 comuni quasi tutti, cioè 196, sono coincidenti o hanno sovrapposizioni con i comuni per i quali Open Fiber ha vinto i bandi per portare la banda ultra-larga fino alle case. Anche se poi, analizzando caso per caso, non sempre i civici cosiddetti ‘bianchissimi' coincidono con quelli che l'azienda deve coprire. Volendo esemplificare con un numero, il 60-70% corrisponde con quanto Open Fiber avrebbe dovuto già coprire con l'assegnazione dei bandi. La copertura in Fwa sarà dunque un percorso accelerato rispetto alla fibra, pronto a partire nell'immediato, ma non modificherà i piani di Open Fiber aggiudicataria dei bandi Bul visto che l'azienda è tenuta a portare in quelle stesse aree la copertura in ftth. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 8/10/2020

24 Settembre 2020

InterXion: «Fondamentale estendere rete unica ai data center»

L'intervista al Ceo per l'Italia Alessandro Talotta oggi su DigitEconomy.24, il report Luiss Business School e Il Sole 24 Ore   C'è un ampio margine di crescita nel settore dei data center in Italia, «in particolare al centro e al Sud Italia» e, a facilitare questa tendenza, «sarà senza dubbio lo sviluppo delle nuove tecnologie e del sempre maggior numero di utilizzatori di servizi digitali da parte dei clienti finali». È la posizione, nell'intervista a DigitEconomy (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) di Alessandro Talotta, Ceo per l'Italia di InterXion, gruppo internazionale che progetta e realizza data center, con 40 miliardi di capitalizzazione e 2.800 dipendenti. Dal punto di vista di un'azienda internazionale che ha deciso di investire in Italia qualche anno fa, è, in fin dei conti, positivo il piano nazionale di realizzare una rete unica in fibra. Ed è fondamentale, in quest'ottica, l'estensione del progetto ai data center, «per fare in modo che – dice Talotta, già capo del wholesale di Tim e ceo di Sparkle - i servizi offerti nel mondo digitale possano avvenire con le più alte caratteristiche di qualità e velocità, richieste dagli stessi servizi». Come si presenta, dal punto di vista di una società internazionale come la vostra, il mercato dei data center in Italia, rispetto al panorama europeo? InterXion, che finora ha realizzato circa 50 strutture in Europa, si è recentemente fusa con Digital Realty, una delle maggiori società nel campo dei data center a livello internazionale, assumendo così una dimensione globale. Ad oggi, il gruppo, InterXion A Digital Realty Company, è presente in 6 continenti e, con 40 miliardi di euro di capitalizzazione e circa 2.800 dipendenti, è leader mondiale nel settore della progettazione e realizzazione di data center. L'operazione di fusione è stata dettata dall'esigenza di servire i nostri clienti con il massimo della copertura geografica. Il mercato dei data center si è sviluppato prima nel Nord Europa, ma, se si analizza la crescita del traffico Internet degli ultimi anni, il Sud Europa sta recuperando terreno rispetto ai Paesi nord-europei. L'Italia, con 121 data center, si colloca ai primi posti della classifica Ue per numero di data center ma è ben lontana dai 440 della Germania. Per questo riteniamo che ci sia un ampio margine di crescita del settore nei prossimi anni, in particolare al Centro e al Sud Italia dal momento che la maggior parte dei data center oggi è sviluppata al Nord. A facilitare questa crescita (legata anche al numero di abitanti presenti in Italia), sarà senza dubbio lo sviluppo delle nuove tecnologie e del sempre maggior numero di utilizzatori di servizi digitali da parte dei clienti finali. Come vi ponete rispetto al progetto di rete unica voluto dal governo? Per accedere ai propri data center, InterXion differenzia tra fornitori di infrastruttura e fornitori di fibra ottica. A questo proposito, ritengo che, finché viene rispettata la presenza di più fornitori di fibra ottica all'interno di una infrastruttura, siamo coerenti con la nostra strategia di sviluppo di data center neutrali. L'Italia, da questo punto di vista, va nella direzione opposta rispetto ad altri Paesi europei ma questo non vuol dire che la rete unica non sia positiva per il Paese. Da anni si assiste al dibattito sulla creazione di un campione nazionale per lo sviluppo della fibra ottica, come priorità del Paese, che porterebbe all'accelerazione dell'importante percorso di copertura della fibra ottica in Italia per tutti gli utilizzatori. Si parla anche di un'estensione del piano ai data center, qual è la vostra posizione, partecipereste con una quota azionaria o con una collaborazione? Riteniamo che l'estensione del piano ai data center sia fondamentale, per fare in modo che i servizi offerti nel mondo digitale possano avvenire con le più alte caratteristiche di qualità e velocità, richieste dagli stessi servizi. I data center sono utili anche perché sono degli hub che rendono il sistema molto più efficiente, meno dispersivo e più razionale; basti pensare al risparmio energetico e al conseguente abbattimento delle emissioni di Co2. Di conseguenza, la creazione di nuovi data center può contribuire a rendere sostenibile la pianificazione dello sviluppo di servizi digitali in Italia. La necessità di portare i servizi sempre più vicino al cliente farà aumentare la domanda di data center di medie-piccole dimensioni maggiormente diffusi su tutto il territorio nazionale. Oggi assistiamo al bipolarismo tra Roma e Milano, ma tutte le città metropolitane italiane e le città con un numero di abitanti non inferiore a 300mila saranno presto interessate a sviluppare hub tecnologici per la diffusione dei servizi digitali. Le dimensioni saranno proporzionali rispetto alla densità abitativa, alla concentrazione di poli industriali e alla domanda della pubblica amministrazione. Per quanto riguarda, invece, la partecipazione azionaria andrebbe analizzato caso per caso. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 24/9/2020

24 Settembre 2020

Volpi (Copasir): «Rete unica? Non entriamo nel merito ma tuteleremo la sicurezza»

L'intervista al presidente del Comitato parlamentare per la sicurezza oggi su DigitEconomy.24, il report Luiss Business School e Il Sole 24 Ore   Lo storage, cioè la conservazione e archiviazione dei dati, a livello europeo «è una cosa che va fatta, e ci sono possibilità di realizzarla anche a livello nazionale». Mentre si parla sempre di più di sicurezza dei dati e della possibilità di allargare la rete unica anche ad altre tecnologie, il presidente del Copasir, Raffaele Volpi, sottolinea, in un'intervista a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School), l'importanza di puntare almeno a una sovranità digitale europea e di tutelare «la sicurezza delle reti». Il governo, prosegue, «ha messo a punto formule di garanzia, come il golden power, ma poi mi sembra che l'esercizio non ci sia stato, ci siamo fermati troppo spesso alla declaratoria senza un'applicazione vera e propria» di questo strumento. Riguardo alla rete unica, premesso che il compito del Comitato parlamentare per la sicurezza «non è entrare nei mercati», una volta ottenuta «la fotografia di quello che si costruisce, noi cercheremo di dare un contributo nell'interesse nazionale della sicurezza. Non abbiamo preferenze, tutti abbiamo la necessità di avere un Paese moderno con una capacità tecnologica avanzata». E dopo metà ottobre il Copasir inizierà a occuparsi della partita della banda ultra larga, ascoltando anche i protagonisti del settore. La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha sottolineato l'importanza di avere una sovranità digitale europea. Qual è la posizione del Copasir sulla tutela dei dati in Italia? Si parla da parecchio tempo almeno dello storage a livello europeo di dati, è una cosa che va fatta, ci sono possibilità di realizzarlo anche a livello nazionale.  Inoltre noi in Italia abbiamo una posizione variegata, a vari livelli istituzionali: lo Stato nazionale, l'Europa, l'alleanza Nato. I protocolli di sicurezza non sono tutti uguali, non tutti i Paesi della Ue sono nella Nato e viceversa. Sarebbe molto importante arrivare a un protocollo comune, almeno a livello europeo, più ampio e condiviso possibile. Noi come Comitato abbiamo sempre portato avanti il discorso sulla sicurezza, il problema di tutti è il tempo, e non è un problema solo tecnico ma geopolitico. Qual è la vostra maggiore preoccupazione, anche in vista della visita in Italia del segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, prevista per il 29 settembre? E' evidente che tutti i giorni ci sono notizie più o meno inquietanti rispetto alla proattività di qualche grande Paese. La nostra posizione l'abbiamo già espressa nel nostro rapporto sul 5G, una preoccupazione che riguarda la sicurezza delle reti. E quando esprimiamo timori lo facciamo perché abbiamo delle evidenze. A livello internazionale il nostro maggior alleato, gli Stati Uniti, ha espresso in più occasioni la richiesta di avere delle reti sicure, minacciando di non condividere dati di intellingence e sensibili. Penso sia uno degli elementi centrali. A fronte di questa nostra posizione, il governo ha messo a punto formule di garanzia, come il golden power, ma mi sembra che l'esercizio non ci sia stato, ci siamo fermati troppo spesso alla declaratoria senza l'applicazione vera e propria. Sono convinto che il golden power vada sicuramente utilizzato in un settore come quello delle tlc, vada utilizzato per l' alta tecnologia e per le piattaforme finanziarie. Sul progetto di rete unica avete in programma audizioni con i diretti interessati? Al momento, tre mesi fa, abbiamo ascoltato solo Open Fiber, per un semplice motivo, stiamo finendo e per metà ottobre chiudiamo l'attività di analisi sul settore bancario-assicurativo, assolutamente prioritaria. Fatto ciò, l'intenzione è di passare ad altre tematiche strategiche seguendo due grandi filoni: da una parte l'industria e l'energia, dall'altra la difesa ed aerospazio. All'interno di questi grandi settori c'è anche la partita della banda ultra-larga. D'altronde, parlando di rete unica, noi abbiamo un compito che è quello di non entrare nei mercati. Il nostro obiettivo è quello di ragionare sulla sicurezza di ciò che viene fatto. Tuteleremo, guarderemo alla sicurezza, e qualora l'operatore avesse compartecipazioni o rapporti che riguardano la parte tecnologica tali da essere individuati come critici, questo aspetto sarà da segnalare. Soprattutto se ci sono società cinesi coinvolte. Le esperienze internazionali ci hanno dimostrato che la preoccupazione, in questo caso, esiste. La Cina è un grande Paese, vanno certamente intrattenuti rapporti, ma è un Paese che utilizza una certa aggressività nel provare la sua primazia. Sul tema abbiamo esposto preoccupazioni in maniera formale e informale più volte al governo, attraverso il documento presentato alla Camera, ma anche con sollecitazioni apparse sulla stampa. E' una preoccupazione estremamente condivisa all'interno del Comitato, non va contro il governo, ma ci aspettavamo e ci aspettiamo azioni precise da parte dell'esecutivo. Il dato di fondo riguarda il posizionamento complessivo nella politica estera, da che parte deve stare l'Italia. E' arrivato il momento delle grandi scelte. Di fronte alla possibilità di aprire il progetto di rete unica anche ad altre tecnologie, qual è la posizione del Comitato? Ottenuta la fotografia di quello che si costruisce, noi cercheremo di dare un contributo nell'interesse nazionale della sicurezza. Non abbiamo preferenze, tutti abbiamo la necessità di avere un Paese moderno, di avere una capacità tecnologica avanzata, con una copertura massima delle aree visto lo spostamento grande, avvenuto con il Covid, dalle attività materiali a quelli immateriali. Il nostro compito è agevolare il meglio che ci possa essere nel rispetto della sicurezza. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 24/9/2020

24 Settembre 2020

Calcagno: «Allargamento della rete unica ai data center? Meglio procedere per step»

L'intervista all'amministratore delegato di Fastweb oggi su DigitEconomy.24, il report Luiss Business School e Il Sole 24 Ore: «La rete unica non ci sarà mai, è una semplificazione della politica» SFOGLIA IL REPORT COMPLETO   Il progetto della rete unica «è una semplificazione della politica» visto che in Italia ci sono già diverse reti su fisso, mobile e Fwa. E anche le polemiche sulla posizione della Ue sono «strumentali» dato che ad oggi l'unico accordo sulla rete notificato alle autorità italiane è quello su Fibercop, la società del network secondaria di Tim che va dagli armadietti alle strade. A rimarcare la sua posizione, in un'intervista a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) è Alberto Calcagno, amministratore delegato di Fastweb, una delle società nella partita della rete unica visto che ha conferito in Fibercop la sua partecipazione del 20% nella joint venture con Tim Flashfiber, avendo in cambio una quota del 4,5 per cento nella newco. E l'allargamento del perimetro a data center e 5G? «Più elementi si conferiscono nella rete unica, è più – dice Calcagno, di recente autore del libro "Get in the game-La sfida della crescita" - la complessità aumenta». Meglio procedere per step. Dottor Calcagno, quali sono le priorità per la digitalizzazione del Paese? Parlare solo di infrastruttura è limitante, quello che serve è procedere con una rivoluzione culturale nel percorso di digitalizzazione del Paese in modo da accompagnare l'evoluzione dell'infrastruttura. Oltre a parlare del perimetro della rete bisogna cioè iniziare a lavorare sui contenuti, lavorando a livello di sistema, a partire dalle università, accompagnando tutto ciò con i finanziamenti necessari. Fastweb è in prima fila per Fibercop, che cosa ne pensate dell'idea di allargare il perimetro a 5G, data center, nuove tecnologie? A mio parere più elementi si conferiscono nella rete unica, più la complessità aumenta. Bisogna realizzare il progetto procedendo per step. E riguardo ai timori derivanti dalla posizione della Ue sulla rete unica? Si tratta di polemiche strumentali. A oggi non c'è neanche nulla di formalmente notificato. L'unico progetto effettivamente al vaglio delle istituzioni è quello di Fibercop, e saranno anche le autorità italiane, tipo l'Agcom, a ragionarci sopra. Lei ha sempre sostenuto che in Italia non ci sarà mai una rete unica. Sì, a mio parere il concetto di rete unica è una semplificazione della politica: non ci sarà mai una rete unica. Nel nostro Paese, infatti, ce ne sono già almeno tre sul fisso, quattro sul mobile. E anche sul fixed wireless ce ne sono già almeno due estese a livello nazionale. Qual è allora la strada da preferire? Si può invece parlare di co-investimenti, è quello che noi abbiamo fatto da quando siamo nati, con Aem, con Metroweb, adesso con Tim. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 24/9/2020

24 Settembre 2020

Atos: «Bene rete unica, problematico ampliarla ai data center»

L'intervista all'amministratore delegato Giuseppe Di Franco oggi su DigitEconomy.24, il report Luiss Business School e Il Sole 24 Ore   Una «coesione tecnologica» creando dei campioni europei capaci di competere con Usa e Cina. E' questa, secondo Giuseppe Di Franco, amministratore delegato del gruppo dei servizi digitali Atos Italia, la strategia da seguire in un momento cruciale per la digitalizzazione del nostro Paese e dell'Europa con il recovery fund all'orizzonte. Guardando allo scenario italiano, per Di Franco va nella direzione giusta la creazione di una rete unica infrastrutturale in banda ultra-larga mentre si spinge troppo in là il progetto di ricomprendere nella società della rete anche le altre tecnologie, come data center, cloud e 5G. «Mentre per la rete concordo sull'avere una copertura di tipo nazionale, penso – dice a DigitEconomy, report del Sole 24 Ore-Radiocor e della Luiss Business School - che il respiro dell'evoluzione tecnologica possa e debba avere una dimensione europea». Come vede il mercato italiano dei data center e del cloud, anche alla luce dell'arrivo del recovery fund? Questa crisi ci ha insegnato a livello europeo la necessità di avere una coesione nella tecnologia per non essere schiacciati dai due poli di Usa e Cina. Serve cioè una sovranità digitale europea. Noi siamo tra i fondatori di Gaia X, che ha l'obiettivo di creare un framework di riferimento per chi opera nel settore del cloud con l'obiettivo di tutelare i dati e la privacy dell'informazione. Le aziende che operano in Europa devono essere compliant alle normative e garantire la sicurezza nella gestione dei dati. La dimensione europea del digitale è un elemento molto importante, credo che caratterizzerà gli sviluppi futuri in questo settore in Europa, anche grazie alla spinta importante dell'Ue. Qual è la vostra politica sul fronte della sicurezza dei dati?  L'evoluzione della tecnologia si muove secondo tre direttive: la digitalizzazione, la decarbonizzazione e la sicurezza.  Noi abbiamo associato la tematica dei big data a quella della sicurezza, anche da un punto di vista di organizzazione aziendale, perché le due cose sono strettamente collegate. L'obiettivo della decarbonizzazione, invece, è strettamente legato a quello della digitalizzazione: digitalizzare vuol dire anche decarbonizzare. E la decarbonization è un obiettivo concreto, che guida le scelte di business nostre e dei nostri clienti. Qual è la posizione di Atos rispetto alla creazione in Italia  di una rete unica in fibra ottica? Penso che la rete unica sia molto importante in una logica di investimento, consente di evitare la duplicazione degli investimenti e raggiungere aree territoriali che oggi non lo sono. E sull'allargamento ad altre tecnologie tipo big data e 5G?  Pensare a un'unificazione anche della gestione dei dati è andare ben oltre, potrebbe esporre anche ad altri tipi di rischi e problematiche. Le aziende devono poter operare anche in un regime di concorrenza, tutto ciò va salvaguardato in un'ottica di innovazione.  Probabilmente, inoltre, anche la scala di queste tematiche non è nazionale ma europea. Mentre per la rete concordo sull'avere una copertura di tipo nazionale, penso che il respiro dell'ulteriore evoluzione tecnologica possa e debba avere una dimensione europea. E' molto importante per poter competere con le realtà cinesi e americane. Penso sia molto difficile che esclusivamente a livello italiano si raggiunga un'adeguata massa critica e una capacità di investimento per poter competere. Il rischio è altrimenti di essere eternamente subalterni. A che punto è il progetto del supercomputer per Leonardo che avete annunciato di recente?  Stiamo già in fase realizzativa, per fine anno avremo dei risultati concreti. Leonardo ha una politica molto interessante che riguarda lo sviluppo di un centro di competenza digitale, credo che a ragione si stia candidando per essere uno dei soggetti a livello italiano che può seguire l'evoluzione d'importanti realtà nazionali. Leonardo è un assoluto connubio di realtà nazionale e capacità di svolgere investimenti di respiro europeo. Quello sul supercomputer è in progetto ambizioso, ma porta a obiettivi molto stringenti in breve termine. Altri progetti in vista? A Bologna, dove è stata stanziata l'agenzia per la metereologia europea, si stanno facendo investimenti molto significativi. Stiamo creando per l'agenzia un centro di supercalcolo e stiamo competendo con altre aziende su un investimento molto importante che sta facendo il consorzio interuniversitario Cineca. Ultimamente avete firmato anche un contratto con la Rai per la gestione di RaiPlay. Che prospettive si aprono nel mondo della streaming tv?  Per RaiPlay ci occupiamo dell'intero flusso di digitalizzazione dell'informazione, consentendo l'automazione e la gestione di tutti i servizi digitali relativi alla piattaforma RaiPlay. Per le Olimpiadi siamo partner da più di 20 anni. D'altronde il canale digitale per i giochi olimpici è diventato più grande di 10 volte di dimensione rispetto a quello tv. In questo contesto appare evidente l'importanza della tematica della sicurezza e dell'afffidabilità, esempio di grandissima trasformazione. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 24/9/2020

10 Settembre 2020

Ntt Data: «Bene il progetto di rete unica, estensione ad altre tecnologie non dà gli stessi benefici»

L'intervista all'ad per l' Italia ed Emea, Walter Ruffinoni, oggi su DigitEconomy.24, il report Luiss Business School e Il Sole 24 Ore   Bene il progetto di rete unica, che sarà un «acceleratore per lo sviluppo della rete fissa», ma l'estensione ad altre tecnologie, come sostenuto oggi in audizione alla Camera dal ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, «potrebbe non portare altrettanti benefici, soprattutto in termini di diversificazione d'offerta e competizione ». Lo sostiene, nell'intervista a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore-Radiocor e Luiss Business School) Walter Ruffinoni, ceo di Ntt data Italia ed Emea, precisando che il gruppo non è comunque interessato a entrare direttamente nel progetto rete unica. Ntt, d'altronde, «ha recentemente investito a livello azionario in Nec, una società che attraverso i suoi prodotti altamente tecnologici permette di abilitare la rete e le soluzioni innovative di domani». Si parla di allargare la rete unica ad altre tecnologie, come il 5G, i data center. E' un percorso auspicabile? La rete unica fungerà sicuramente da acceleratore per lo sviluppo della rete fissa, in particolare della fibra, che richiede importanti investimenti infrastrutturali, difficilmente sostenibili dai singoli operatori. Tuttavia l'estensione ad altre tecnologie potrebbe non portare altrettanti benefici, soprattutto in termini di diversificazione d'offerta e competizione. La rete mobile ultra broadband, con tutte le potenzialità del 5G, sarà un alleato importante nel ridurre il digital divide in Italia, garantendo una copertura capillare del territorio e, guardando a quanto accade in Europa e nel resto del mondo, il modello che si sta rivelando vincente per le reti mobili è il co-investimento fra operatori, che permette di condividere il rischio degli investimenti, ma mantiene viva la competizione e favorisce la varietà dei servizi. Nel caso di un'apertura del concetto di rete unica, voi sareste interessati a coinvestire o a partecipare a livello azionario? La nostra holding Ntt ha deciso di entrare non direttamente in questo settore. Ntt ha infatti recentemente investito a livello azionario in Nec, una società che attraverso i suoi prodotti altamente tecnologici permette di abilitare la rete e le soluzioni innovative di domani. All'orizzonte per la digitalizzazione dell'Italia ci sono parte dei fondi del Recovery plan. Come dovrebbero essere utilizzati e a cosa indirizzarsi preferibilmente? Dalla riforma della Pa, alla transizione energetica, alle infrastrutture sono tante le aree su cui potremo lavorare grazie al Recovery Fund. Abbiamo davanti a noi l'opportunità per accelerare la trasformazione del nostro Paese e avvicinarci ad un nuovo modello di società, l'Italia 5.0, più sostenibile e in cui la tecnologia è a misura e al servizio delle persone.  La rete unica è una grande occasione per realizzare una nuova nazione digitale, che, grazie a una migliore copertura nazionale, permette ai territori di essere connessi. In questo modo è possibile il recupero e rafforzamento del territorio, specialmente quelli più remoti che geograficamente hanno delle peculiarità che hanno frenato gli investimenti in infrastrutture. Avere i territori locali più forti permette al Paese una migliore risposta anche a situazioni come la recente pandemia. L'area fondamentale su cui investire è la formazione, per preparare le generazioni future, e non solo, a sfruttare appieno le potenzialità delle nuove tecnologie non solo a livello professionale, ma anche nella vita quotidiana.  I giovani saranno i cittadini e i professionisti di domani e Ntt Data investe da tempo su di loro portando la tecnologia nelle scuole elementari e medie con le lezioni di coding e coltivando rapporti con i maggiori atenei italiani. Investire sull'avvicinamento dei giovani al digitale significa infatti muovere un passo importante verso una società più inclusiva, incoraggiando anche bambine e ragazze ad avvicinarsi al mondo della tecnologia e della scienza, in cui generalmente c'è una minore presenza di donne. Quali sono i vostri piani di sviluppo in Italia nel post Covid, anche a livello occupazionale? Nonostante nella prima fase dell'anno siamo riusciti a contenere l'effetto negativo dell'emergenza Covid, ci aspettiamo comunque un contraccolpo sul business. Il periodo che abbiamo vissuto ha causato un'accelerazione dei processi di trasformazione digitale, soprattutto nelle aziende che durante il lockdown fornivano al Paese i servizi essenziali. Come Ntt Data, durante i mesi passati abbiamo accompagnato diverse aziende in questo percorso di trasformazione, riuscendo a portare a termine diversi progetti completamente in remote working, come un progetto di realtà virtuale e altre infrastrutture chiave. Nel nostro caso l'emergenza non ha frenato le assunzioni, anzi: abbiamo continuato ad assumere anche durante il lockdown, con l'ingresso in azienda di oltre 200 giovani.  È difficile dire cosa accadrà in futuro, ma ci auguriamo che il supporto importante del Recovery Fund segni l'inizio della ripresa dell'Italia, con un focus su formazione e Sud a livello Paese. Anche noi come azienda riteniamo importante investire su queste aree e speriamo di continuare nello sviluppo delle nostre sedi meridionali e  nelle assunzioni dei giovani e delle giovani. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 10/9/2020