Digital Transformation
Digital Transformation
Digital Transformation
Digital Transformation

13 Marzo 2020

«Con emergenza coronavirus sicurezza delle reti ancora più importante»

L'intervista al presidente del Copasir, Raffaele Volpi per DigitEconomy24, il report Luiss Business School e Il Sole 24 Ore di Simona Rossitto Sul 5G «è il momento di avere al più presto un indirizzo politico, è il momento della responsabilità, il decisore faccia il decisore». Lo chiede il presidente del Copasir, Raffaele Volpi, annunciando di aver riconvocato il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, sul tema. Volpi ritorna sulla questione della sicurezza, sottolineando che alla base della relazione Copasir di dicembre che ritiene in gran parte fondate le preoccupazioni sull’ingresso delle aziende cinesi nelle attività di installazione, configurazione e mantenimento delle infrastrutture delle reti 5G, ci sono «evidenze chiare», «atti secretati». Inoltre, sottolinea Copasir, «questo – afferma - non è il mio pensiero, è il pensiero di tutto il comitato, all’unanimità». Il settore del 5G, «come altri settori, non si può spiegare solo con dati economici, stiamo vivendo un momento in cui c’è un profondo rimescolamento delle carte a livello mondiale, già la Cina che stiamo vivendo in questi giorni è una Cina diversa da quella di un mese fa». In questo panorama mondiale, l'ancoraggio euratlantico è «imprescindibile». Volpi risponde anche sul concetto di sicurezza nazionale, che secondo quanto dichiarato a DigitEconomy.24 dal direttore generale del Dis, Roberto Vecchione, vale per gli asset strategici e non va dilatato all’estremo. «Il concetto di sicurezza nazionale – afferma il presidente del Copasir - non è interpretabile, è la sicurezza nazionale, non si tratta di dilatare o non dilatare, e non si tratta di avere pregiudizi nei confronti dei cinesi. Inoltre, tutte le infrastrutture, dalle reti alle antenne, sono legate a un dato di sicurezza nazionale». Non solo: bisogna tutelare oltre alle reti anche i dati immateriali. In sostanza siamo di fronte a questioni e problemi nuovi e, quindi, «occorre stare nella posizione di maggior cautela». Presidente Volpi, il 2020 è un anno cruciale per lo sviluppo del 5G anche per l'acuirsi dell'epidemia di coronavirus che richiederà reti sempre più performanti per gestire nuove modalità di lavoro. Come si posiziona l'Italia? Rischia di essere schiacciata nella competizione globale? Il settore del 5G, come altri settori, non si può spiegare solo con dati economici, stiamo vivendo un momento in cui c’è un profondo rimescolamento delle carte a livello mondiale, già la Cina che stiamo vivendo in questi giorni è una Cina diversa da quella di un mese fa. Noi dobbiamo sapere da che parte stare, ci sono questioni importanti come il 5G, gli F35, la partecipazione corretta e continuativa nella Nato che si ascrivono all’interno di una scelta geopolitica. Non c'è solo l'obiettivo importante di dover realizzare le reti, siamo anche di fronte a una scelta di campo più ampia. Anche dal punto di vista meramente economico, l'idea che infrastrutturazione nazionale col 5G costi tanto non corrisponde alla realtà, costa circa 600 milioni, come abbiamo evidenziato nel nostro rapporto. Inoltre si parla di gap tecnologico. Si dice che le aziende cinesi siano più avanti, ma il divario è riducibile in uno spazio temporale di 6-7 mesi, un anno massimo. Noi per una manciata di centinaia di milioni e gap riducibili in pochi mesi siamo sicuri che vogliamo scegliere situazioni che secondo noi presentano ambiguità? Io penso che in questo momento l'ancoraggio euratlantico sia imprescindibile e che dobbiamo metterci in condizioni di avere una posizione contrattuale. Entro il 30 aprile l'Italia deve recepire il piano Ue sul 5G. È un piano sufficiente a garantire la sicurezza? Il piano della Ue sul 5G è molto ampio, generico, se vogliamo, noi dobbiamo guardare alle nostre esigenze. A livello europeo il 5G può essere un'opportunità per far capire che il Vecchio Continente è una potenza mondiale, ragionando almeno una volta su un’infrastruttura strategica. L'Europa deve essere protagonista. È evidente che se non si riuscirà a trovare convergenza nemmeno su questioni strategiche, come il 5G, che riguarderanno i prossimi 30 anni, sarà difficile dire che noi siamo e agiamo come Europa. Serve la politica, questo è il dato che manca da troppi anni, e la politica è fatta di decisioni, la politica non è asettica. Huawei e Zte hanno chiesto di essere risentiti in tema di 5G, ma lei ha già dichiarato che il Copasir non li audirà di nuovo anche perché ci sono evidenze chiare. Ci può spiegare meglio? È bene chiarire che noi del Copasir non siamo una commissione ordinaria. Noi abbiamo condotto un'indagine conoscitiva che si è conclusa a dicembre. Non abbiamo bisogno di risentirli, non è per recare loro offesa, ma perché abbiamo concluso e consegnato la nostra relazione. Il Copasir inoltre ha un rapporto fiduciario col Parlamento. Quando il comitato si esprime in un certo modo, cioè, il Parlamento si deve fidare. Non posso dire perché, ci sono evidenze. Ci sono documenti secretati. A decidere è poi il presidente del Consiglio che ha gli strumenti per verificare le evidenze. Il decisore politico è lui, non è il Dis, non sono i servizi, non siamo noi. Adesso, ancor più con gli strumenti di cui ci si è dotati come il golden power e il perimetro di sicurezza, il decisore è politico. Nel rapporto, inoltre, è contenuta anche una questione di carattere economico riguardante una forma di aiuti di Stato per le aziende cinesi. Ci vorrebbe una presa di coscienza europea per verificare se vi sono forme di distorsioni del mercato. In più bisogna chiedersi se è vero o no che le aziende cinesi hanno l’obbligo di trasmettere informazioni al governo in caso di richiesta. Loro dicono di no, ma sappiamo tutti che è così.  Una volta trasmesso il rapporto, che cosa chiede allora il Copasir al governo? Serve al più presto un indirizzo politico, è il momento della responsabilità, il decisore faccia il decisore. Questo non è il mio pensiero, è il pensiero di tutto il comitato, all’unanimità. Ci sono delle cose che sono evidenti. Non siamo soddisfatti delle rassicurazioni generiche ai nostri alleati riguardo al fatto che il nostro perimetro di sicurezza è di garanzia. Bisogna capire come garantisce, che cosa e perché. Non basta la normativa, bisogna applicarla. Noi stiamo affrontando delle questioni nuove, estremamente nuove, e bisogna usare cautela. Sentirete altri membri del governo? Abbiamo deciso di riconvocare il presidente del Consiglio, ci deve dire che cosa pensa della questione, noi abbiamo evidenziato i pericoli, li ha evidenziato tutto il comitato, li ha evidenziati una persona che ora è ministro della Difesa del Paese. Ci tengo a precisare che da quando faccio questo lavoro sono tutto tranne che un oppositore, il mio ruolo non è fare il leghista, ma il presidente di un comitato bipartisan. La questione è seria, nel frattempo si va avanti con le gare per le reti 5G, con tutte le conseguenze che questo può comportare in futuro visto che alle aziende cinesi non manca la capacità economica di fare, eventualmente, delle cause giudiziarie. Il capo del Dis, Roberto Vecchione, proprio in un'intervista a DigitEconomy.24 ha dichiarato che il concetto di sicurezza nazionale non va dilatato. Lei cosa ne pensa? Bisogna porre attenzione su molti aspetti. Il concetto di sicurezza nazionale non è interpretabile, è la sicurezza nazionale, non si tratta di dilatare o non dilatare, e non si tratta di avere pregiudizi nei confronti dei cinesi. Inoltre tutte le infrastrutture, dalle reti alle antenne, sono legate a un dato di sicurezza nazionale. In più siamo di fronte a una questione nuova: il problema non è solo l'infrastruttura, ma come si possa difendere il dato immateriale che è condiviso, spesso con il nostro consenso. Ma un conto è la profilatura dal punto di vista commerciale, diversa è una profilatura che può condizionare o che si basa su dati sensibili. Consideriamo inoltre che, per i primi anni, il 5G sarà utilizzato soprattutto da grandi sistemi bancari e industriali. Ma se non controlliamo la rete come possiamo controllare i dati? Visto che siamo di fronte a fenomeni nuovi e complessi la conclusione è che bisogna stare nella posizione di maggior cautela. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 13/03/2020

28 Febbraio 2020

Emergenza coronavirus, appello del Governo alle telco: accelerare sulle reti 

Di fronte all’emergenza coronavirus il Governo chiede alle telco di accelerare gli investimenti nelle reti. L’appello arriva da Mirella Liuzzi, sottosegretaria al ministero dello Sviluppo economico, in una dichiarazione a DigitEconomy.24, il report Luiss Business School e Il Sole 24 Ore di Simona Rossitto La sperimentazione forzata del telelavoro, spiega Liuzzi, «ci porta a riflettere sull’effettiva necessità di assicurare, in tutto il territorio nazionale, condizioni infrastrutturali e servizi digitali di avanguardia, al fine di rendere il telelavoro una pratica stabile e consolidata e non solo una pronta risposta a necessità contingenti. Per fare questo occorre superare, una volta per tutte, l’annoso gap digitale che ancora oggi vede diversi distretti industriali del Paese tagliati fuori dalla banda ultra larga». Intanto le telco, dal canto loro, stanno monitorando l’evoluzione dell’epidemia e i suoi effetti, pensando a mettere in sicurezza i propri lavoratori, in primis proprio grazie a smart working e telelavoro. L’importanza delle telecomunicazioni per affrontare rischi sistemici come quello da coronavirus è sottolineata dalla stessa Etno, l’associazione europea di settore, che a DigitEconomy24 dice: «le telco rimangono un’infrastruttura importante in tutti i momenti della vita di un Paese: sia come volano di crescita sia come strumento per superare momenti di crisi. La situazione coronavirus non fa eccezione: l’Italia può contare sui suoi operatori e sui loro servizi». D’altro canto ci sono segnali che potrebbero far pensare a un rallentamento della corsa al 5G: il 3GPP, l’organismo che fissa gli standard tecnologici del 5G, ha stoppato le riunioni a causa dei timori del contagio e bisogna ricordare che importanti fornitori di tecnologia sono cinesi. A questo riguardo Etno sottolinea invece l’importanza di adottare la strategia multi-vendor scelta dalle telco europee. Strategia che «consiste nel differenziare i vari fornitori: siano essi europei, asiatici o americani. È importante che, nel rispetto dei più alti standard di sicurezza europei e italiani, gli operatori possano approvvigionarsi presso i vendor migliori e più competitivi.  Questo vale anche alla luce di possibili interruzioni momentanee delle supply chain, che possono essere dovute a molti fattori, tra i quali anche eventuali problemi commerciali legati a situazioni di epidemia, o a crisi internazionali». In termini di catena di fornitura, non rilevano problemi, ad esempio, nel quartier generale di Ericsson dove fanno notare  che il gruppo «può vantare una supply chain globale con la presenza di stabilimenti produttivi in Usa, Brasile, Polonia, Estonia, Messico, India e Cina». Al momento, quindi, il coronavirus non sembra bloccare le telco e i vendor che lavorano in Italia. Anzi, il 5G in particolare potrebbe giocare un ruolo da protagonista nell’affrontare crisi di questo tipo. La pensa così, tra l’altro, lo stesso Governo cinese che ha sollecitato gli operatori ad accelerare la costruzione della rete 5G. Le opportunità del 5G, in situazioni di emergenza, sono riconosciute anche dall’ex monopolista italiano Tim: «il 5G e tutte le applicazioni abilitate dal 5G aiuteranno e favoriranno sempre più la gestione di queste situazioni sia in termini di servizi, come ad esempio la telemedicina, sia logistici, come ad esempio le teleconferenze». Uno dei primi atti del Governo italiano per contenere l’epidemia è stato proprio il provvedimento che consente ai dipendenti che risiedono nelle aree in quarantena di lavorare da casa. «Il telelavoro – aggiunge la sottosegretaria Liuzzi - equivale a garantire risparmi in termini economici, ambientali e non ultimo un miglioramento della qualità della vita dei dipendenti, per adottare in maniera diffusa queste buone pratiche basta semplicemente una connessione veloce e il mio auspicio è che si possa fare uno sforzo corale in questa direzione». Peraltro, sottolinea Etno, «i servizi tlc in Italia e in Europa sono resilienti e la connettività è tra le migliori al mondo. Secondo i dati della Commissione europea, la copertura del broadband fisso e mobile, in Italia, è prossima al 100% del territorio, in linea con i partner europei. In particolare, l’Italia ha un’ottima copertura del 4G, sempre prossima al 100 per cento». Le principali conseguenze del coronavirus, per il mondo delle comunicazioni mobili, «sembrano invece ad oggi più rilevanti – aggiunge Etno - per il settore degli smartphone, dove una value-chain “just-in-time” è messa sotto pressione dalla chiusura di alcuni stabilimenti asiatici».  Intanto sono gli stessi vendor e le telco a dare l’esempio e a puntare su misure preventive. Solo per citare qualche esempio Ericsson «in Italia sta privilegiando il ricorso allo smart working» e Huawei «ha introdotto misure di smart working per i dipendenti di Milano, Torino e Bologna». Sfoglia il report completo  28/02/2020  

28 Febbraio 2020

5G e sicurezza nazionale: l’intervista a Gennaro Vecchione, direttore generale del Dis per DigitEconomy.24

Il concetto di sicurezza nazionale, anche in ambito telco, non va dilatato all’estremo: vale per gli asset strategici, per il resto ci sono le regole del libero mercato.  È la posizione di Gennaro Vecchione, direttore generale del Dis, il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, nell’intervista a DigitEconomy.24, il report Luiss Business School e Il Sole 24 Ore, una delle prime da lui rilasciate. di Ivan Dompé, Adjunct Professor Luiss Business School «L’architettura della rete 5G è complessa e per ciò stesso presenta rischi per la sicurezza» e quindi «la principale preoccupazione è quella di coniugare la capacità di cogliere appieno tutte le opportunità che il 5G offre con l’abilità nel mitigare al massimo i fattori di rischio, agendo in ottica preventiva».  In generale in ambito telco, tra rete fissa e data center dove gli apparati cinesi sono presenti, Vecchione avverte che «non si può dilatare sino all’estremo il concetto di “sicurezza nazionale”, a meno che non si ritenga di abbandonare il modello di economia aperta» e «quindi, il criterio in base al quale la protezione dei superiori interessi del Paese deve prevalere sulle regole del libero mercato è quello della rilevanza strategica dei settori e degli asset. Negli altri casi, non si interferisce nelle dinamiche della concorrenza». Riguardo alla proprietà delle telco che per Gennaro Vecchione, direttore generale del Dis in molti casi hanno azionisti di riferimento stranieri, Vecchione ricorda che c’è sempre la possibilità di applicare il Golden power, ma ribadisce: «deve trattarsi di asset strategici per la sicurezza nazionale. Altrimenti, non possono essere messe in discussione né la necessità di attrarre investi-menti esteri né la contendibilità delle aziende». Il 5G costituirà il futuro delle tlc, ma abiliterà anche servizi cruciali come le smart cities o la telemedicina: la sicurezza di queste reti è quindi fondamentale. Qual è l'approccio del DIS? Buona parte della risposta sta già nella Sua domanda. Il 5G è una tecnologia abilitante. È  un acceleratore della trasformazione digitale, offre opportunità di innovazione imperdibili. Ma, allo stesso tempo, costituisce un cambio di paradigma: non sono più i servizi ad adattarsi alla rete, è la rete che si adatta ai servizi, quindi chi la controlla si ritrova ad avere in mano leve importanti dello sviluppo economico. Non solo. L’architettura della rete 5G è complessa e per ciò stesso presenta rischi per la sicurezza. Al contempo, nella filiera del 5G si intrecciano, al livello globale, numerosi attori, in forte competizione fra loro, intenti a guadagnare posizioni di supremazia tecnologica. Il nostro approccio prende le mosse da queste consapevolezze. La principale preoccupazione è quella di coniugare la capacità di cogliere appieno tutte le opportunità che il 5G offre con l’abilità nel mitigare al massimo i fattori di rischio, agendo in ottica preventiva. Con il 5G e l'IoT, il perimetro dei potenziali cyber attacchi crescerà esponenzialmente. Come tutelarsi? Certo, è come se in una casa aumentassero le finestre e le porte ed allo stesso tempo diminuisse la superficie dei muri. È  evidente che quella casa sarà molto vulnerabile, specie se, fuor di metafora, i produttori e i fornitori dei diversi dispositivi e servizi tendono a privilegiare l’abbattimento dei costi rispetto alle funzionalità di sicurezza. Ci si tutela mettendo il giusto accento sulle misure di sicurezza cibernetica e sul controllo degli approvvigionamenti. Con “giusto accento” intendo dire che guardiamo non alla totalità delle infrastrutture tecnologiche, ma solo a quelle dalla cui permeabilità può derivare un pregiudizio per la nostra sicurezza. La nostra preoccupazione riguarda le componenti più sensibili degli asset digitali critici, il cui malfunzionamento può danneggiare gravemente i nostri interessi nazionali. L’iniziativa legislativa del Perimetro di sicurezza nazionale cibernetica nasce proprio dall'esigenza di tutelare quegli asset. Dati, intelligenza artificiale, profilazione da una parte, privacy e sicurezza dall'altra: quale equilibrio? Rispondo relativamente alla sfera di responsabilità che mi compete. Nel nostro ordinamento vige un articolato sistema di garanzie che assicura il giusto bilanciamento tra le istanze di protezione dei dati personali e le esigenze operative degli Organismi informativi. Noi possiamo raccogliere e trattare notizie e informazioni esclusivamente per il perseguimento degli scopi istituzionali dell’Intelligence, secondo criteri sottoposti al controllo parlamentare. A completare la cornice delle garanzie, oltre ad una disciplina ad hoc armonizzata con quella comunitaria, vi è anche una nostra collaborazione strutturata con il Garante della Privacy, estesa pure alla cooperazione nel campo della sicurezza informatica. La sicurezza nazionale viene prima di ogni altra cosa: i produttori cinesi tuttavia investono e creano posti di lavoro in Italia. Il Copasir ha di recente invitato ad alzare la guardia: quale l'approccio corretto di lungo termine? Dipende, bisogna distinguere fra tre aspetti, che comunque sono collegati fra loro, anche sul piano normativo. Per quel che riguarda il procurement, l’approccio corretto è quello che ha ispirato il Governo nel promuovere l’iniziativa del Perimetro, di cui Le parlavo prima. È una soluzione legislativa che non lascia margini all’arbitrarietà, non ci saranno né aperture a priori né chiusure pregiudiziali, verso nessuno. Verranno sottoposti a scrutinio tecnologico i dispositivi identificati come particolarmente sensibili da un’analisi del rischio effettuata dal competente Centro di valutazione. Per quanto concerne gli investimenti esteri, l’impianto legislativo nazionale è coerente con la normativa europea. Nel marzo del 2019 è stato introdotto un Regolamento che prevede un significativo ampliamento dei settori rispetto ai quali gli Stati membri possono scrutinare operazioni di investimento da parte di soggetti extraeuropei, tra cui l’alta tecnologia. Con le iniziative legislative nazionali abbiamo saputo anticipare l’implementazione di quelle norme europee. Per quel che attiene, infine, al 5G, la principale novità apportata lo scorso anno alla normativa sull’esercizio dei poteri speciali, il cosiddetto Golden Power, ha inteso ricomprendere proprio il 5G tra le attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale. Anche in questo caso, ci siamo trovati avanti in Europa, tanto da sedere nel gruppo di testa dell’assessment comunitario sulle reti 5G che ha originato il toolbox pubblicato a gennaio. Naturalmente, le norme sull’estensione dei poteri speciali al 5G sono raccordate con quelle del Perimetro, così che possiamo fare affidamento su un quadro legislativo coerente ed organico. Sicurezza delle reti non è solo 5G, ma anche rete fissa e data center, dove gli apparati cinesi sono presenti a tutti i livelli. La "vigilanza" su questi elementi è oggi meno importante? La legge attribuisce all’Intelligence il compito di difendere i nostri interessi politici, militari, economici, scientifici ed industriali. Come vede, è un novero molto ampio, nel cui ambito è fondamentale distinguere fra gli interessi vitali, che se venissero compromessi metterebbero a repentaglio il Paese, e tutti gli altri. Non si può dilatare sino all’estremo il concetto di “sicurezza nazionale”, a meno che non si ritenga di abbandonare il modello di economia aperta, che invece deve continuare a caratterizzarci al pari delle altre democrazie occidentali, per abbracciare formule dirigistiche o protezionistiche che non ci appartengono. Quindi, il criterio in base al quale la protezione dei superiori interessi del Paese deve prevalere sulle regole del libero mercato è quello della rilevanza strategica dei settori e degli asset. Negli altri casi, non si interferisce nelle dinamiche della concorrenza. Gli assetti proprietari delle telco nel nostro Paese vedono azionisti di riferimento cinesi, inglesi, francesi: può essere un problema nel lungo periodo? Il punto importante è che, qualora lo divenisse, saremmo in grado di intervenire alla luce della normativa vigente. Quanto alle telco, la disciplina sul Golden Power può applicarsi o alle reti attraverso le quali transitano dati e informazioni sensibili; oppure agli operatori, a fronte di operazioni di acquisto di partecipazioni societarie, fusioni, scissioni, trasferimento di controllate. In entrambi i casi, a seguito della notifica che la legge impone, il Governo valuta l’esercizio dei poteri speciali, attenendosi ai criteri stabiliti. Ma, ripeto, deve trattarsi di asset strategici per la sicurezza nazionale. Altrimenti, non possono essere messe in discussione né la necessità di attrarre investimenti esteri né la contendibilità delle aziende. Sfoglia il report completo   28/02/2019 

13 Febbraio 2020

Sky Italia debutterà nella banda ultra-larga “entro il primo semestre 2020”: l’annuncio dell’AD Maximo Ibarra su DigitEconomy24 Luiss Business School Il Sole 24 Ore

L’annuncio che Sky Italia debutterà nella banda ultra-larga “entro il primo semestre 2020” da parte dell’AD Maximo Ibarra, la ricerca “Roma 5G: veloce, sicura, pulita” di Luiss Business School e Unindustria, l’alleanza per il 5G tra Luiss Business School e Ptsclas, l’intervento di Elisabetta Ripa, AD Open Fiber. Sfoglia il report    Sky Italia debutterà nella banda ultra-larga “entro il primo semestre 2020”: l'annuncio dell’AD Maximo Ibarra su DigitEconomy24, il report Luiss Business School e Il Sole 24 Ore Dopo la sfilza di rumor delle ultime settimane, a confermarlo è l’AD Maximo Ibarra  in un’intervista con DigitEconomy.24.  Una scelta, quella dello sbarco nella banda ultra-larga, che è «la naturale evoluzione del business di un’azienda che ha sempre puntato sulla qualità dei contenuti e sull’innovazione tecnologica». Riguardo al dibattito sull’ipotesi di una rete unica in fibra, Sky Italia si dice neutrale: «Ciò che è importante è che continui lo sviluppo e la diffusione sul territorio dell’ftth, infrastruttura fondamentale per il sistema economico italiano ed europeo». Quali sono le motivazioni della convergenza tra telco e contenuti? «La convergenza tra connettività e fruizione di contenuti video è ormai una realtà nella vita di ogni giorno, non più solo una tendenza del mercato. Ben due terzi del traffico internet è oggi generato dallo streaming di video e sempre più consumatori vedono con favore un’unica offerta che integri tutto quello di cui hanno bisogno per comunicare e intrattenersi. La differenza la farà sempre di più la qualità dei contenuti, le performance effettive che la connessione sono in grado di garantire un’interfaccia utente davvero semplice e intuitiva. Sky, anche grazie alla capacità di SkyQ, punta così ad aggregare offerte diverse, a diventare il luogo dove trovare i contenuti che si desiderano: un vero e proprio hub nelle case e nelle famiglie italiane».  In questo scenario che ruolo ha lo sviluppo di reti e servizi 5G? «Il 5G potrebbe avere un ruolo fondamentale per il sistema Paese, come oggi lo sta avendo la fibra. Dallo sviluppo di queste infrastrutture dipende non solo “l’internet of things” la nascita delle smart cities, ma anche un fattore chiave per lo sviluppo della società dell’informazione. Un’opportunità quindi straordinaria, se pensata al servizio delle persone e delle comunità. Nel caso del 5G, ad esempio, non possiamo trascurare gli importanti temi legati alla sicurezza e alla privacy, che richiedono una riflessione seria anche su come aggiornare le regole a tutela di tutti e su cui chi fa informazione può svolgere un ruolo di fondamentale importanza».  Come si può arginare il fenomeno preoccupante della pirateria? «La pirateria è un fenomeno complesso, che ha radici soprattutto culturali. Per questo, non si può pensare di combatterla da soli, o con un unico strumento. Innanzitutto sono fondamentali le attività di tipo educativo. Far conoscere lo straordinario e complesso lavoro e l’incredibile professionalità che sta dietro alla realizzazione di un prodotto creativo consente di dare il giusto peso agli effetti negativi che derivano dal fenomeno della pirateria, che andrebbero valutati al pari della contraffazione. Ma ci sono segnali molto incoraggianti. La consapevolezza sta crescendo nell’opinione pubblica, le istituzioni hanno compreso la rilevanza degli impatti sull’economia e le forze di polizia, guardia di finanza e polizia postale, stanno raggiungendo importanti risultati sul piano repressivo». Quando prevedete il lancio dell’offerta in fibra? «L’ingresso di Sky nella telefonia fissa e nel broadband avverrà entro i primi sei mesi del 2020. Questa scelta rappresenta la naturale evoluzione del business di un’azienda che ha sempre puntato sulla qualità dei contenuti e sull’innovazione tecnologica fin dalla sua nascita. Grazie all’accordo wholesale siglato con Open Fiber avremo accesso alla migliore rete in fibra disponibile nel nostro Paese. Questo ci permetterà di supportare nel migliore dei modi le esigenze di connessione dei nostri abbonati, abituati da tempo a un uso intensivo della rete per lo streaming di contenuti, la visione on demand e quella di contenuti in 4K. Daremo così un contributo anche alla diffusione della banda larga in questo Paese».  Che cosa ne pensate della possibilità di creare una rete unica in fibra? Come operatore che acquista in wholesale l’accesso alla rete, abbiamo una posizione neutrale riguardo al tema della rete unica. Ciò che è importante è che continui lo sviluppo e la diffusione sul territorio dell’ftth, infrastruttura fondamentale per il sistema economico italiano ed europeo. Non a caso l’Agenda digitale europea, tra gli obiettivi per la crescita e l’occupa-zione in Europa, ha posto l’accesso per tutte le famiglie a connessioni internet di almeno 100 Mbps entro il 2025. Considerato che in Italia, nel 2019, solo un terzo degli accessi raggiungeva una velocità maggiore di 100 Mbps è di fondamentale importanza che il percorso di diffusione della fibra proceda spedito. Dal 5G spinta al PIL di Roma: 30 miliardi in 5 anni. A dirlo è la ricerca "Roma 5G: veloce, sicura, pulita" Trenta miliardi di euro nei prossimi cinque anni: a tanto può ammontare l’aumento del prodotto interno lordo romano grazie all’impiego di tecnologie 5G nel territorio della Capitale. A dirlo è la ricerca intitolata “Roma 5G: veloce, sicura, pulita” realizzata da Luiss Business School e Unindustria sugli effetti dell’avvento della nuova tecnologia. D’altro canto, lo studio evidenzia anche diverse criticità, come quella dei vincoli normativi esistenti, che potrebbero frenare lo sviluppo e tagliare drasticamente le ricadute positive sul PIL. A causa dei ritardi l’impatto positivo potrebbe ridursi di ben 22,3 miliardi. Anche a livello nazionale sono state riscontrate delle criticità come il mancato allineamento della disciplina italiana a quella europea sulle emissioni elettromagnetiche: il limite massimo in Italia è infatti di 6 volt per metro, a fronte di una media europea che è fra i 41 e i 58 v/m e un limite negli Stati Uniti fissato a 61 v/m.  Tra le problematicità che riguardano specificamente il territorio romano si contano la sovrapposizione tra diverse normative e la mancata pre-individuazione dei siti visto che, nel caso della Capitale, i limiti nazionali all’elettromagnetismo si incrociano con vincoli monumentali particolarmente gravosi, determinando "seri rischi di paralisi per l’implementazione di tecnologie 5G". Pesano inoltre la mancata individuazione dei siti sensibili vista l’assenza di una dettagliata lista ad hoc, le carenze nella ricognizione del patrimonio immobiliare del Comune, i deficit nel processo di comunicazione e coordinamento tra gli enti coinvolti, il mancato ricorso al Suap, cioè lo Sportello unico attività produttive. Relativamente a quest’ultimo punto, l’Antitrust ha considerato positive, invece, le esperienze di Comuni che si sono dotati di un Suap, in modo da riunire le amministrazioni interessate nel procedimento e garantire tempi certi. Tra le criticità maggiori di Roma spiccano in particolare il divieto di installare impianti a meno di 100 metri da siti sensibili, il fatto che circa il 50-60% delle infrastrutture esistenti non potrebbe essere aggiornato alle nuove tecnologie, la difficoltà nell’individuazione di nuovi siti o quella legata alla riconfigurazione degli impianti esistenti che mette a serio rischio la possibilità da parte degli operatori di telefonia mobile di realizzare una rete omogenea e pienamente efficace. I benefici del 5G avere sul pil di Roma Il rapporto Gsma 2019 conferma che, a livello europeo, il contributo atteso per il pil dall’impiego nell’economia delle tecnologie 5G è stimato pari al 4,6%, in crescita nei prossimi 5 anni al 4,8 per cento. Secondo Asstel, il contributo al Pil italiano è stimabile in circa 90 miliardi (oltre il 5% del pil). Riportando questi dati sul-la scala del territorio romano e mantenendo come fattore di proporzione l’incidenza del pil romano su quello nazionale (circa il 9%) otteniamo che la possibilità di crescita derivante dall’impiego di tecnologie 5G su Roma per i prossimi 5 anni è di circa 30 miliardi di euro. Il caso di Roma Capitale si confronta con alcuni esempi di best practice. A Milano emergono, ad esempio, l’esistenza di un project financing per la realizzazione di un piano di investimento nella tecnologia 5G attraverso un raggruppamento temporaneo di imprese, la co-individuazione di siti di proprietà pubblica sui quali realizzare i tralicci per le stazioni radio base da cui diffondere servizi wireless in modalità 5G, il procedimento autorizzatorio relativo all’installazione delle antenne gestito dal Suap nel rispetto delle tempistiche previste dalla normativa nazionale.  Dallo studio emerge come sia, in ultima analisi, indispensabile considerare l’aspetto strategico di conservare il vantaggio temporale nella diffusione del 5G accumulato dall’Italia rispetto agli altri Paesi europei riconosciuto in primo luogo dalla Commissione Europea. L’indice Desi di giugno 2019 posiziona il nostro Paese al 24° posto in Europa per digitalizzazione dell’economia e della società, ma al secondo posto in relazione allo stato di avanzamento della diffusione del 5G, “5G readiness”, con il 60% dello spettro assegnato grazie principalmente alla maxi asta da 6,5 miliardi di euro. È evidente che ritardi o addirittura un insuccesso nella completa copertura della rete dovuta ai vincoli normativi porterebbe alla perdita di questa grossa opportunità di crescita.  Aprendo il capitolo ritardi, basti pensare ai tempi di rilascio delle autorizzazioni riscontrati per Roma. A causa dei vincoli esistenti (paesaggistici, monumentali, parchi, etc..) i tempi medi di attraversamento delle pratiche sono sempre più lunghi risentendo dell’inerzia degli Enti preposti alla tutela del vincolo (Regione Lazio per la parte paesaggistica e Soprintendenza Nazionale, Soprintendenza Capitolina). In alcuni casi si sono superati gli otto mesi dalla richiesta e in totale, spesso, si oltrepassa l’anno per ottenere l’autorizzazione (fonte: operatori mobili). Attualmente nel Comune di Roma i tempi medi per ottenere l’autorizzazione risultano essere lunghi più del doppio che in altre realtà territoriali. Occorre dunque agire in fretta. Dalle criticità riscontrate nascono le proposte, al fine agganciare il vola-no dello sviluppo: la creazione di un tavolo di lavoro congiunto per comunicazione e scambio di informa-zioni con gli operatori e la pubblica amministrazione, la redazione di un documento di “Buone pratiche nel settore della telefonia mobile”, l’individuazione con-divisa di aree per il deployment dell’infrastruttura di rete, l’integrazione regolamentare volta a specificare natura e caratteristiche dei siti sensibili, la semplificazione dei procedimenti autorizzatori. Il Sole 24 Ore, 5G: al via l'alleanza Luiss BS-Ptsclas. Una struttura permanente e una piattaforma informativa per monitorare gli sviluppi della quinta generazione dei sistemi radiomobili, di Simona Rossitto Il Sole 24 Ore, "Il 5G è un'opportunità unica, l'Italia fa da apripista" L'intervento su DigitEconomy.24 di Laura Di Raimondo (Asstel) Il Sole 24 Ore, "Rete pubblica in fibra è orgoglio dell'Italia" di Elisabetta Ripa, AD Open Fiber  13/02/2020 

30 Gennaio 2020

Un Paese connesso è un Paese competitivo

Il commento del direttore Paolo Boccardelli per DigitEconomy.24, il report di Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School. Con gli interventi di Mirella Luzzi, sottosegretaria allo Sviluppo Economico, Pietro Guindani, presidente dell’associazione di filiera Asstel, Vito Vitale, segretario della Fistel Cisl, Emanuele Iannetti, AD Ericsson Italia: sfoglia il report completo L'indice di digitalizzazione dell'economia e della società (DESI) della Commissione Europea per il 2019 colloca l'Italia al ventiquattresimo posto fra i ventotto Stati membri dell'UE. Non solo: ci posizioniamo all’ultimo posto, a livello europeo, nella categoria “capitale umano” a causa della carenza di competenze digitali per oltre metà della popolazione. Tale dato si riflette anche in un minore utilizzo dei servizi online, dove si registrano ben pochi progressi, sia da parte dei cittadini che delle PMI, che rappresentano l’ossatura del nostro capitalismo. Lo stesso Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco ha evidenziato che l’Italia è tecnologicamente indietro rispetto alla media europea a causa della sua “struttura produttiva frammentata” e allo “sviluppo limitato delle reti TLC di nuova generazione”.   Competenze digitali e 5G per connettere il Paese al futuro Per far sì che il Bel Paese non perda l’equivalente di 4 punti percentuali di prodotto interno lordo annuo, SACE suggerisce di “raggiungere i mercati che contano”, dotando il territorio di infrastrutture riguardanti sia le reti fisiche che quelle digitali. Connettività e digitalizzazione rappresentano quindi parole chiave per la ricetta del cambiamento e il 5G ne rappresenta un elemento fondamentale. Il 5G non è infatti soltanto una “nuova versione” di una tecnologia, ma sarà il fattore abilitante di una serie di servizi, pensiamo all’auto a guida autonoma, alla telemedicina, alle smart cities, in grado di avere un impatto significativo sulla vita delle persone. L’OECD stima che il numero di dispositivi posseduti per famiglia di quattro persone possa essere di circa 50 nel 2022, a fronte degli 8 device posseduti nel 2012. Ancora, i dispositivi Internet of Things (IoT) nel mondo potranno superare i 64 miliardi entro il 2025, mentre il 5G sarà in grado di stimolare la crescita reale del PIL globale di 3 trilioni di dollari cumulativamente dal 2020 al 2035. Sono dati significativi, questi, che fanno riflettere sotto molteplici aspetti, il più importante dei quali è probabilmente la necessità di un'ampia cooperazione tra il settore pubblico e quello privato, con l’obiettivo di garantire il rapido sviluppo da un lato e la sicurezza delle nuove reti dall’altro. Infrastrutture digitali: necessaria la cooperazione tra pubblico e privato Il valore economico e sociale della connettività abilitata dal 5G – che il WEF stima possa essere pari a 13,2 trilioni di dollari a livello globale entro il 2035 – richiede quindi che siano individuate soluzioni collaborative ed efficaci. I ricercatori dell’Imperial College di Londra stimano che a maggiori livelli di connettività corrispondono elevati tassi di crescita dell’economia: in media, un aumento del 10% dell'adozione della banda larga mobile provoca un aumento dello 0,6-2,8% della crescita economica. Le società di telecomunicazioni in Italia si trovano tuttavia in un momento storico particolare: da un lato devono affrontare la sfida del 5G, dall’altro sono calate in un contesto di ipercompetitività, riduzione dei prezzi e contrazione dei margini che rischiano di minarne la capacità di fare quegli investimenti che non solo il settore ma la società tutta richiede. Dotare il nostro territorio di infrastrutture sia fisiche che digitali è fondamentale: solo in questo modo sarà possibile realizzare benefici di breve e di lungo termine e, in ultima analisi, contribuire in modo determinante alla crescita del Paese. Il Sole 24 Ore, Liuzzi (Mise): «Sul 5G tutelare la sicurezza ma senza chiudere la porta a nessuno», di Simona Rossitto 20/01/2020 

15 Gennaio 2020

Agcom e Cdp spingano su sviluppo reti Ngn

Il commento di Paolo Boccardelli, direttore Luiss Business School, per DigitEconomy.24, il nuovo progetto di Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School. Con gli interventi di Angelo Marcello Cardani, Presidente Agcom e Alberto Calcagno, AD Fastweb: sfoglia il report completo.  In Italia, secondo Mediobanca, gli investimenti in nuove infrastrutture TLC sono cresciuti del 17% a 8,55 miliardi di euro nel 2018. Al tempo stesso, si registra un calo del fatturato degli operatori mobili pari al 2%, legato soprattutto ai servizi mobili. In generale, il settore delle TLC ricopre un ruolo importante, rappresentando oltre l’1.8% del nostro PIL. Il contesto italiano è oggi caratterizzato da una serie di trend che rendono critica la sostenibilità degli investimenti orientati al lungo termine. In particolare, si assiste ad un crollo generale dei prezzi, che in Italia risultano addirittura più bassi rispetto ai principali Paesi europei: nell’ultimo decennio, le telco hanno perso dieci miliardi di ricavi. Non meno rilevante risulta il taglio dell’occupazione, che secondo Agcom ammonta a 1.700 unità lavorative a fine 2018, che porta il totale degli ultimi dieci anni a 8mila. Comunque, nel periodo giugno 2015 – giugno 2019 si mantengono elevati gli investimenti in tecnologie come FTTC (+6,52 milioni di unità), FTTH (+720 mila) e FWA (+ 690 mila).  Nel frattempo, il Governo ha approvato la delega per il recepimento delle direttive europee, che mira a sostenere gli investimenti in banda larga ultraveloce, prevedendo l’introduzione del 5G, con lo scopo di sviluppare una rete di quinta generazione in almeno una delle principali città di ciascun Paese dell’UE entro due anni. Opportunità del 5G Le opportunità derivanti dall’utilizzo delle tecnologie di rete avanzate sono molteplici, a partire dal trasferimento di un’elevata mole di dati in tempi di risposta minimi. In particolare, il 5G e la fibra ultraveloce rappresentano potenziali driver di creazione di servizi innovativi erogati dagli operatori del settore, i quali puntano ad incrementare i propri ricavi. Nell’attesa di sapere se le compagnie TLC decidano o meno di aumentare le proprie tariffe, si rende necessario incentivare un rapido sviluppo della rete infrastrutturale, che possa garantire connessioni sempre più veloci e ambire a far crescere il nostro PIL di quasi 250 miliardi di euro entro il 2030, come stimato da Ericsson. «Su nuove reti, Agcom e Cdp sono centrali» Per garantire lo sviluppo del Paese è necessario che gli operatori di telecomunicazioni sviluppino una visione orientata al lungo periodo, al bene comune rappresentato dalla crescita che possono determinare le nuove tecnologie. La concorrenza infrastrutturale è certamente uno strumento efficace per sostenere lo sviluppo della gigabit society nelle aree nere caratterizzate da una forte domanda di mercato. Tuttavia la trasformazione digitale del Paese, in tutte le comunità Italiane e in qualsiasi tipologia di attività e servizio, non potrà avvenire se non con una funzione ancora più centrale di quei soggetti con un ruolo istituzionale, come AGCOM e CDP, che dovrebbero orientare il loro operato a una missione fondamentale: accelerare l’effettiva realizzazione e gli investimenti sulle reti di nuova generazione, garantendo elevati livelli di sicurezza, stimolando al tempo stesso la domanda e dando quindi una forte spinta alla competitività della nostra economia. Il Sole 24 Ore, Cardani: «Se restiamo indietro con Ict è a rischio la competitività dell'Italia». La posizione del presidente Agcom nel primo numero del report DigitEconomy.24 in collaborazione con Luiss Business School, di Simona Rossitto 15/01/2020 

03 Ottobre 2019

LA CENTRALITÀ DELLA CUSTOMER EXPERIENCE

  Redatto da Pier Paolo Bucalo, Adjunct Professor presso Luiss Business School e Coordinatore Comitato Scientifico per l’Executive Programme in “Customer Experience Management” “Sia il focus crescente sul “purpose” che l’obiettivo di generazione di valore per tutti gli stakeholder riaffermano la necessità di promuovere - all’interno delle nostre aziende - la cultura della centralità del cliente (e del cliente interno) per garantire risultati sostenibili nel lungo periodo.”  Lo slogan “Customer is King” non è certamente nuovo, ma negli ultimi tempi il focus sulla customer experience è diventato prioritario per tutte le aziende, in primis per quelle “consumer”. È ormai chiaro come il successo di un’azienda non dipenda più solamente dalle caratteristiche del prodotto o servizio offerto (qualità, prezzo, etc.), ma da come essa si relaziona con i propri clienti, dalle esperienze che fa vivere loro durante l’intera “customer journey”: dal momento in cui il potenziale cliente si avvicina al brand o ne sente parlare, a quando lo stesso analizza l’offerta di prodotti e servizi, fino a quando poi diventa effettivamente cliente e fino a quando lo rimane. Anche un’azienda che investa somme ingenti per creare un prodotto eccezionale o lanciare campagne pubblicitarie memorabili, se prodotto e comunicazione non sono supportati da una customer experience positiva, avrà molte difficoltà ad avere successo. Affinché il focus sul cliente e sulla sua esperienza rappresenti un vantaggio competitivo, tutte le funzioni aziendali devono essere allineate verso l’obiettivo strategico di fornire una customer experience di valore. Nel lontano 2004, in UniCredit, si scelse di legare parte degli incentivi economici per la rete commerciale (MBO) al raggiungimento di specifici livelli di customer satisfaction. Così facendo, UniCredit fu capace di limitare le pressioni commerciali sui clienti, che rischiavano di avere impatti negativi sulla loro soddisfazione, a vantaggio invece della sostenibilità nel medio periodo dei risultati raggiunti, in quanto generati da clienti soddisfatti. Ma come ci ricorda Charles Dickens: “La carità comincia a casa propria”. Se quindi un’azienda è seriamente intenzionata a servire al meglio i suoi clienti finali, è opportuno che cominci dai propri dipendenti. Senza una forza lavoro ingaggiata e motivata, è molto difficile tradurre esperienze individuali in Customer Journey soddisfacenti[1]. L’aspetto positivo è che i progetti volti alla motivazione e valorizzazione dei dipendenti possono essere portati avanti contemporaneamente ai progetti con un focus sulla customer experience, con evidenti sinergie. Vi sono infatti profonde similarità tra le competenze di cui un’azienda ha bisogno per diventare “best employer of choice” e le competenze necessarie affinché la stessa azienda sia in grado di offrire ai propri clienti una “superior customer experience”.[2] Un trend molto importante, che in questi anni si è diffuso rapidamente, è legato al “purpose”, che in estrema sintesi è la ragione stessa dell’esistenza dell’azienda. Tutte le aziende di maggior successo sono guidate da un chiaro “purpose”. Per comprendere meglio il concetto, può essere molto utile un breve video da un TED Talk di Simon Sinek, dal titolo “Start with why”, dove Sinek spiega chiaramente come “People don’t buy what you do, they buy why you do it”: i clienti non comprano ciò che un’azienda offre, ma sposa la ragione per la quale un’azienda fa ciò che fa[3]. Secondo una recente ricerca di Accenture[4], oltre a prezzo, qualità dei prodotti/servizi e customer experience, per i Clienti sono molto importanti elementi quali la trasparenza, l’attenzione nei confronti dei dipendenti, la presenza di valori etici e la dimostrazione di autenticità e coerenza in tutto ciò che l’azienda fa. Il purpose appunto. Più recentemente, circa un mese fa, una nuova spinta a perseguire con ancora maggior attenzione l’impegno la soddisfazione dei propri dipendenti e una esperienza coinvolgente per i propri clienti ci è arrivata dagli Stati Uniti, dalla potente associazione di tutte le grandi multinazionali americane. Il 17 agosto 2019,  Business Roundtable, associazione di cui fanno parte aziende del calibro di Amazon, American Express, Apple, Bank of America, BlackRock, Coca-Cola, JP Morgan Chase e Mastercard, ha pubblicato lo “Statement on the Purpose of a Corporation”, nel quale ha “ufficializzato” il cambiamento dell’obiettivo dell’azienda: non più generazione di valore per i soli azionisti (shareholder value) ma tutti gli stakeholder: “… generare valore per i clienti, investire nei dipendenti, rapportarsi in modo equo ed etico con i fornitori, supportare le comunità nelle quali le aziende operano e generare valore nel lungo periodo per gli azionisti.” Ma si tratta solo di marketing? Probabilmente no, grazie ad una sensibilità crescente da parte di consumatori ed investitori sui temi ambientali e sociali, misurati da questi ultimi con nuove metriche ad hoc: i fattori ECG (Environmental, Social e Corporate Governance). Anche le nuove generazioni fanno essere ottimisti. Come fa notare Larry Fink, CEO di BlackRock, nella sua lettera ai CEOs 2019, citando una recente ricerca di Deloitte[5], quando è stato chiesto ai millennials quale debba essere l’obiettivo primario di un business, coloro che hanno risposto “migliorare la società” sono stati il 63% in più rispetto a coloro che hanno risposto con il più classico “generare profitti”. Anche un bell’articolo di Almandoz, Lee e Ribera evidenza come molti giovani lavoratori siano attratti da opportunità di lavoro presso purpose-driven companies: aziende dove la ricerca del profitto sia unita al desiderio di migliorare il mondo.[6] Possiamo quindi affermare che sia il focus crescente sul “purpose” che l’obiettivo di generazione di valore per tutti gli stakeholder evidenziano ulteriormente la necessità e l’importanza di promuovere - all’interno delle nostre aziende - la cultura della centralità del cliente (e del cliente interno) come leva principale per garantire risultati economici sostenibili nel lungo periodo. Da questa esigenza del mercato scaturisce la mia collaborazione con Luiss Business School per la progettazione dell’Executive Programme in Customer Experience Management in partenza il 18 ottobre 2019. Articolato in 8 incontri in formula weekend, questo programma, grazie ad una faculty d’eccezione composta da esperti del settore e CEO/Director di alcuni dei brand più importanti sul mercato, fornirà ai partecipanti le competenze e gli strumenti per comprendere e misurare la customer experience e le variabili che la influenzano, per poi disegnare una esperienza coinvolgente per i clienti target attraverso l’intera customer journey omni-canale. SCARICA LA BROCHURE [1] McKinsey & Co. “When the Customer Experience Starts at Home”, 2017 [2] Pier Paolo Bucalo “La Conoscenza del Fattore Umano”, Linkedin 2019 [3] Video di Simon Sinek: https://youtu.be/Jeg3lIK8lro [4] Accenture “From Me to We: The Rise of the Purpose-Led Brand”, 2018 [5] Deloitte “The Deloitte Global Millennial Survey”, 2019 [6] J. Almandoz, Y-T. Lee and A. Ribera “Unleashing the Power of Purpose”, IESE Insight 2018  

02 Settembre 2019

Nelle mani di un algoritmo che decide al posto nostro

  Commento di Paolo Boccardelli, direttore Luiss Business School, pubblicato su Repubblica Affari & Finanza il 2 settembre 2019 Viviamo nell’era dei big data e dei social network: ogni minuto vengono effettuate 4,5 milioni di ricerche su Google, visti altrettanti video su Youtube, postate 280mila storie su Instagram. Ma questa massa di dati, cui ciascuno di noi contribuisce più o meno volontariamente quando cerca un’informazione o pubblica una foto che viene elaborata da intelligenze artificiali sempre più potenti, costituisce progresso, inteso come crescita del capitale umano e della cultura digitale? Aumenta il pluralismo dell’informazione e, in definitiva, potenzia la nostra capacità di scegliere consapevolmente? Questa domanda costituisce un nodo cruciale per la società contemporanea. Nel recente e approfondito saggio “Big Data”, gli autori Del Mastro e Nicita ricordano che già nel 2015 Hossein Derakhshan, ricercatore ad Harvard e al MIT, evidenziava come il web sia profondamente cambiato con l’avvento dei social. Prima di allora, il web era un grande strumento di accesso all’informazione e alla conoscenza, che favoriva diversità e pluralismo. Oggi a dominare sono le piattaforme: tuttavia, più le usiamo più “nutriamo” gli algoritmi di machine learning al loro interno con dati su nostre abitudini, desideri, emozioni e comportamenti. Conoscendoci sempre meglio, gli algoritmi selezionano per noi un ventaglio sempre più ristretto di informazioni, riducendo sì lo sforzo richiesto per soddisfare i nostri bisogni, ma anche la capacità di analisi. Come dimostrato da un esperimento della World Wide Web Foundation, un solo like dato o non dato a un post fa divergere i feed di account sino a quel momento “gemelli”. Questo fenomeno, definito da Eli Pariser (e da allora noto come) filter bubble, è responsabile delle scelte che l’algoritmo effettua per noi ed è, purtroppo, alla base della dieta informativa forzata di una fetta crescente della società. Sono gli algoritmi a effettuare il prezioso lavoro “editoriale” di selezione delle informazioni per noi rilevanti. A questo si aggiungano gli specialisti in grado di sfruttare gli algoritmi per diffondere presso specifiche comunità di utenti una visione parziale di un fenomeno e di una realtà, enfatizzandone alcuni aspetti a scapito di altri, o addirittura una realtà falsa. Professionisti che, in casi estremi e distorti, disseminando i social con troll e utenti falsi, riescono a influenzare il dibattito e l’agenda della discussione, se non addirittura il consenso rispetto a certe posizioni. Non mancano leader politici che con grande disinvoltura comunicano a colpi di tweet, post e storie, né esempi di consultazioni democratiche in cui gli strumenti digitali hanno contribuito a generare consenso attorno a tesi o a specifici candidati. Il tema è rilevante anche oggi in Italia: la Democrazia Parlamentare sancita dalla Costituzione si confronta con quella diretta evocata da molte forze politiche per aumentare il consenso facendo leva proprio sulla disintermediazione resa possibile dalla comunicazione digitale. Non bisogna però dimenticare che le piattaforme digitali sfuggono alle normative sul pluralismo e sulla responsabilità editoriale, nonché ai controlli delle autorithy. Inoltre, la “selezione” operata dalla profilazione algoritmica diventa scarsamente percepibile dagli utenti, che ricevono le notizie selezionate sulla base del meccanismo del filter bubble e, pertanto, accedono solamente a una visione parziale della realtà senza rendersene conto. Questo fenomeno, infine, è particolarmente accentuato dall’utilizzo di tecniche di comunicazione che evocano e stimolano emozioni, creando news di facile e immediata condivisione e per loro natura virali, accentuando ulteriormente il fenomeno della profilazione. Tutto ciò pone due importanti temi. Il primo è la necessità di prevedere in capo alle Authorithy meccanismi di controllo e regolamentazione maggiormente efficaci per, fra l’altro, rendere più espliciti e trasparenti i meccanismi di profilazione e contrastare la diffusione delle fake news. Inoltre, poiché il fenomeno non è facilmente arginabile, è necessario imparare a conoscerlo, attrezzare la nostra società con gli strumenti adatti per vivere nella nuova era digitale in maniera consapevole. Occorre cioè imparare di nuovo a cercare le notizie e a discernere quelle vere da quelle false, quelle che mostrano una realtà parziale e non offrono una visione controfattuale da quelle che consentono di effettuare analisi obiettive. È necessario, in definitiva, nutrire la nostra società con l’abilità fondamentale per il nostro tempo: il pensiero critico. Il pensiero critico si alimenta con l’apprendimento continuo, vive di domande e non di risposte preconfezionate; è alleato del dubbio e non delle certezze di pochi; si arricchisce grazie alle opinioni degli esperti veri e non presunti, si basa su dati e analisi rigorose, realizzate con metodi scientifici e presentate in modo appropriato nelle sedi corrette. In definitiva, il pensiero critico si nutre della conoscenza approfondita e non della superficialità. 02/09/2019 

22 Luglio 2019

Luiss Business School prima in Italia certifica la formazione post-laurea con la blockchain 

Eliminata l’asimmetria informativa fra candidati e datori di lavoro, sia privati che istituzioni. Big Data for Executive e Blockchain Business Revolution saranno i primi corsi ad essere certificati  Per la prima volta in Italia, Luiss Business School certificherà attraverso la blockchain la formazione executive erogata dalla Scuola nonché le effettive competenze conseguite dagli studenti e dai partecipanti ai corsi post-laurea: grazie a un registro universale, garantito e immodificabile reso disponibile dalle nuove tecnologie, sarà quindi eliminata l’asimmetria informativa fra candidati e datori di lavori, sia privati che istituzioni. In particolare, a partire dal prossimo settembre, Luiss Business School adotterà il metodo blockchain per certificare, controllare e validare le carriere dei propri studenti: dalla laurea all’ultima esperienza professionale. Come noto, la blockchain è un registro pubblico e distribuito condiviso tra i diversi partecipanti di un network peer-to-peer. Ciascun blocco (lista di transazioni) è legato al precedente in maniera tale da rendere impossibile modificare un blocco senza modificare i successivi e senza possedere il controllo di un determinato numero di nodi del network. Affinché una transazione venga registrata in un blocco, questa deve essere controllata e validata dai partecipanti; il network abilita il trasferimento di dati in maniera sicura e immutabile. "L'applicazione della blockchain alla formazione executive rappresenta un punto di svolta fondamentale per Luiss Business School e per tutto il settore: attraverso il digitale cambiamo il nostro modo di lavorare e saremo in grado di determinare profondi cambiamenti in tutto il mercato del lavoro e dell'educazione, introducendo un livello di trasparenza fino a ieri inimmaginabile", ha commentato Paolo Boccardelli, direttore della Luiss Business School. "Aziende e istituzioni saranno in grado di conoscere nel dettaglio il percorso, la formazione e soprattutto le competenze delle persone, siano esse impiegati o top executive”. Secondo una analisi di EY, partner tecnologico del progetto, infatti, lo scorso anno l’86% degli employer ha riscontrato, in fase di verifica, informazioni non veritiere sui Curriculum Vitae dei candidati, mentre addirittura il 50% dei potenziali datori di lavoro non ha controllato il campo relativo all’executive education nei Curriculum Vitae dei candidati. La certificazione blockchain di Luiss Business School partirà proprio dai corsi di formazione executive, riservati cioè a chi è già laureato e vuole arricchire il curriculum puntando su nuove e più specializzate offerte: il primo corso a essere certificato sarà quello da poco partito sui Big Data, seguito dal nuovo programma che sarà lanciato a ottobre proprio sulla blockchain. “Gli sviluppi della Blockchain sono ancora per molti versi inesplorati e anche per questo vi abbiamo dedicato un corso ad hoc, consapevoli delle potenzialità dello strumento anche in campi come le filiere agroalimentari e, ovviamente, il “fintech”", ha aggiunto Boccardelli. La soluzione di Luiss Business School permette di generare un certificato digitale registrato nella blockchain, facilmente condivisibile e immutabile, una vera e propria scheda personale collegata alla propria identità digitale, completa di tutte le informazioni anagrafiche e professionali. L’utilizzo di questa tecnologia consentirà inoltre, tramite innovativi badge associati alla blockchain stessa, di tracciare i punti in cui l’allievo si è particolarmente distinto durante il suo percorso di studi e le varie competenze conseguite. “Ricostruiamo – spiega Enzo Peruffo, responsabile Executive Education di Luiss Business School – l’intera vita dell’interessato con tutte le competenze che ha acquisito, ovviamente con il suo consenso, e la inseriamo nel curriculum “notarizzato” e certificato, che quindi acquisisce tutta un’altra affidabilità”. Scopri i primi corsi Luiss Business School certificati con la blockchain: Big Data Management for Executive DOWNLOAD BROCHURE   Blockchain business revolution DOWNLOAD BROCHURE Rassegna stampa Lauree e master, alt ai furbetti ora li smaschera la Blockchain, Eugenio Occorsio, Repubblica Affari & Finanza, 22 luglio 2019 Luiss Business School La formazione post-laurea certificata dalla tecnologia, Il Messaggero, 23 luglio 2019 La blockchain certificherà le competenze degli studenti, Il Giornale, 23 luglio 2019 Luiss Business School: formazione post-laurea e competenze certificate con la blockchain, Key4biz, 25 luglio 2019   22/07/2019