Digital Transformation
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05 Giugno 2020

Bassanini: «su rete unica Tim propone ritorno al monopolio, è impraticabile»

L'intervento del Presidente Open Fiber in DigitEconomy.24, il report Luiss Business School e Il Sole 24 Ore   La pandemia ha dimostrato che le infrastrutture di TLC di ultima generazione sono essenziali per la crescita del Paese e per la qualità della vita. La domanda di connettività veloce, affidabile e sicura cresce in progressione geometrica, con la diffusione del lavoro agile e della scuola a distanza, e con la consapevolezza che una forte innovazione tecnologica è cruciale per sostenere la ripresa. Gli obiettivi fissati in passato sono ormai inadeguati: fibra fino alle case, 5G (che pure richiede una capillare infrastruttura fisica in fibra), e intelligenza distribuita nella rete (edge cloud computing) vanno assicurati al più presto a tutto il Paese, senza eccezioni. Chi ne resta escluso precipita nel digital divide: si delinea un vero e proprio diritto fondamentale alla connessione di ultima generazione (la“giga connessione”), che comporta la ridefinizione di servizio universale, come sono stati il telefono e il servizio postale. Come arrivarci? Meglio la competizione fra più infrastrutture o una infrastruttura unica? Il dibattito si è riacceso. È necessario fare chiarezza. Governo e Parlamento hanno negli ultimi anni espresso una preferenza per un’infrastruttura unica, onde evitare il rischio di aree servite da più infrastrutture e altre da nessuna. Anche l’AD di Telecom, Luigi Gubitosi, ha espresso la stessa preferenza. Da 25 anni, anch’io sostengo che questa è la soluzione migliore per un Paese come il nostro (che ha un alto debito pubblico e una cronica difficoltà ad attrarre capitali privati) anche per evitare inefficienti duplicazioni di investimenti in alcune aree e il rischio di digital divide in altre aree del Paese. La proposi già nel 1997, quando ero Ministro della Funzione Pubblica e sostenevo che un’infrastruttura capillare di ultima generazione era la condizione abilitante di quella radicale trasformazione digitale della P.A. che sola avrebbe consentito di “rottamare” la vecchia burocrazia e costruire una amministrazione moderna e innovativa. Ma devo essere onesto: la stragrande parte dei Paesi avanzati non ha la rete unica, ma ha adottato il modello della competizione tra più infrastrutture: di solito, quella dell’ex monopolista (incumbent), quella delle TV cavo (che con il Docsis 3.1 portano nelle case e negli uffici la connessione a >1 giga), e quelle delle nuove società della fibra, diffuse a livello locale (ma anche a livello nazionale in diversi Paesi). In questi Paesi la competizione ha costretto l’incumbent a investire nella fibra, per non perdere terreno. In Italia abbiamo avuto competizione infrastrutturale nelle TLC mobili, ma non nel fisso. Le TV cavo furono ammazzate nella culla dal legislatore, così l’incumbent è rimasto solo, salvo qualche competitore locale: profittando di questa posizione di monopolio, ha investito poco o niente nella fibra, puntando a diluire nel tempo l’inevitabile dismissione finale della sua rete in rame. Solo con la nascita di Open Fiber, a fine 2016, comincia anche in Italia la competizione infrastrutturale a livello nazionale. Ma, a differenza di quella che da tempo si è sviluppata in gran parte dei Paesi europei (facendo leva sulla contrapposizione incumbent-TV cavo), la competizione infrastrutturale resta ancora in Italia fortemente asimmetrica. Open Fiber in tre anni e mezzo è cresciuta, la sua rete raggiunge ora 8,5 milioni di abitazioni e imprese (su 28/30 milioni totali), ma il passaggio effettivo delle famiglie e delle imprese sulla infrastruttura più performante è ancora troppo lento, ostacolato dai costi della migrazione, dalle azioni di ostruzionismo e di market preemption dell’incumbent e da una diffusa pubblicità ingannevole (che continua a contrabbandare come fibra infrastrutture ibride meno performanti). Nelle aree bianche, Open Fiber fronteggia ostacoli e complicazioni burocratiche maggiori del previsto. Dal canto suo, Telecom Italia non se la passa meglio: gravata da un consistente debito, per la prima volta deve fare i conti con un competitore nazionale, che progressivamente erode la sua quota di mercato. Il rischio è che sia TIM che Open Fiber investano nelle stesse aree e che alla fine una parte del Paese, in ispecie nelle aree grigie, resti ancora per molti anni servito dall’ADSL o al massimo dalla fibra fino agli armadi (del tutto insufficiente, soprattutto in upload, del quale imprese e famiglie fanno sempre più uso). Ha allora ragione Gubitosi quando dice che la soluzione è l’integrazione di Open Fiber nella rete TIM? No, non è così. La verità è che Gubitosi non vuole né la competizione infrastrutturale né l’infrastruttura unica. Quello che propone è il ritorno al monopolio, o al quasi monopolio della infrastruttura unica di TIM, che rimarrebbe verticalmente integrata. Ipotesi impraticabile per due ragioni: perché il ritorno al monopolio farebbe venir meno ogni incentivo di TIM a investire di più nella fibra e a “rottamare” la vecchia rete in rame; e perché le regole a tutela della concorrenza non ammettono che l’ex monopolista compri il principale concorrente per tornare a dettar legge, discriminando i suoi competitori sul mercato dei servizi di TLC: sul punto le Autorità competenti non sembrano disposte a fare sconti (dall’AGCM alla Commissione UE, dalla Corte costituzionale alla Corte del Lussemburgo). Hanno torto dunque anche Governo e Parlamento, quando premono per l’infrastruttura unica? A ben vedere, la loro proposta è ben diversa da quella di Telecom: Governo e Parlamento hanno sempre sostenuto (in linea con le Autorità di regolazione) che l’infrastruttura unica deve essere non solo aperta a tutti i fornitori di servizi di TLC, ma anche terza e neutrale, dunque effettivamente in grado di garantire a tutti pari condizioni (tutti alla pari e … che vinca il migliore!); hanno inoltre spesso sottolineato che questa infrastruttura dovrebbe essere controllata almeno indirettamente dallo Stato, in modo da garantire l’effettiva accelerazione degli investimenti, la reale parità di trattamento e la sicurezza di un asset che è strategico per il Paese. L’infrastruttura unica, neutrale e non verticalmente integrata è in effetti, nelle condizioni italiane, la soluzione migliore. Ma l’ostacolo è rappresentato proprio dalla pretesa di TIM di tornare al monopolio. E siccome il ritorno al monopolio è, come ho accennato, insieme illegittimo e non auspicabile, se la posizione di TIM e dei suoi grandi azionisti stranieri non cambierà, non resterà che attrezzarsi al meglio alla competizione infrastrutturale. Open Fiber ha cominciato a farlo con il nuovo piano industriale e con l’aumento di capitale approvato in questi giorni dai suoi soci. Un piano che prevede: una forte accelerazione degli investimenti nelle aree bianche (dove si è andati finora troppo a rilento e dove stanno arrivando norme di semplificazione delle procedure); l’allargamento del perimetro di intervento alle aree grigie (dove sono concentrati i distretti industriali); il focus sui nuovi servizi legati alla connettività, come il cloud distribuito e l’edge computing. Un impulso importante a dotare il più velocemente possibile il Paese di una infrastruttura di TLC di ultima generazione potrà arrivare dal Recovery Fund che la Commissione Europea ha proposto, un intervento senza precedenti da 750 miliardi (se verrà approvato definitivamente dal Consiglio e dagli Stati membri). Tra le priorità per l’impiego di queste risorse vi è la trasformazione digitale dell’economia, delle PP.AA. e dei servizi: e della trasformazione digitale è condizione abilitante la connettività ad alta velocità e ad alta affidabilità (e bassa latenza) assicurata dalla fibra (FTTH e 5G) e dall’intelligenza distribuita nella rete. Una forte accelerazione degli investimenti sulla infrastruttura TLC di ultima generazione è dunque il presupposto per potere agganciare le risorse messe a disposizione dell’Europa e metterle al servizio di una ripresa accelerata che consenta di uscire rapidamente dalla crisi e di riprendere con più vigore la strada della crescita, dell’innovazione e dello sviluppo sostenibile. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO  5/6/2020

05 Giugno 2020

Arera: «su digitalizzazione non servono nuove regole, possibili benefici per i consumatori»

L'intervista al presidente Stefano Besseghini per DigitEconomy.24, il report Luiss Business Schoo e Il Sole 24 Ore.   Il presidente di Arera, Stefano Besseghini, passa in rassegna i vantaggi dell’accelerazione della digitalizzazione nel settore dell’energia e parla di rischi solo sistemici, concentrandosi sui big data. L’emergenza Covid, pur nella sua gravità, ha reso più partecipi i consumatori che possono avere benefici dalla digitalizzazione in termini di costi e offerta. Nuove regole? Non sono necessarie, ma serve un’attenzione costante. Presidente Besseghini, la diffusione delle tecnologie digitali nel settore energetico è in forte aumento con una notevole crescita degli investimenti. Quali sono i rischi e quali i vantaggi? I vantaggi sono probabilmente innumerevoli mentre se vogliamo mettere a fuoco i rischi, ritengo siano soprattutto sistemici: come ogni volta che una tecnologia penetra un settore e si espande in maniera trasversale c’è il rischio di non prepararsi in maniera sistemica. L’elemento più critico, cui prestare attenzione è quello dei big data e dell’effettiva capacità di estrarne valore. I big data hanno poco valore sostitutivo, per questo richiedono maggiore attenzione. Altro tema da segnalare è la scarsa consapevolezza di essere generatori di big data: si assiste talvolta al paradosso di aziende che acquistano informazioni quando le hanno già o le avrebbero già in dotazione organizzandosi in maniera adeguata. Poi c’è ovviamente il grande tema della cybersecurity. Guardando ai vantaggi, invece, un elemento evidente è l’accorciamento delle catene, stringere tutti i passaggi di portatori di interesse di una filiera tecnologica complicata come quella dell’energia. Questo sta emergendo a volte con enfasi, penso a blockchain e ai registri distribuiti, dove c’è tendenza a far precedere dalla tecnologia il modello organizzativo. Ad esempio, c’è un grande dibattito nelle comunità energetiche sulla possibilità di scambiare energia, sul fatto di poter utilizzare meccanismi di registri distribuiti. Non è che non sia possibile o non ne esistano presupposti, ma c’è ancora da lavorare sulle necessità e l’attenzione del cliente a fare queste operazioni. Ben venga il dibattito. Da ultimo c’è il tema della resilienza. Si sta rendendo più performante il sistema nell’ordinario e ci si spinge sullo straordinario anche perché le sollecitazioni sono più frequenti (le grandi ondate di calore, le bombe d’acqua) e in questo caso la grande pervasività del digitale viene nella capacità di mettere in comunicazione tra loro mondi molto diversi, come quello delle previsioni, la capacità di risposta automatica in sala controllo e le squadre di Protezione civile. Sistemi non ancora ottimali, che stanno facendo un gran lavoro per l’integrazione. Sul tema della digitalizzazione quale è stato il contributo di Arera?  C’è dibattito sul ruolo del regolatore, che spesso la tecnologia guarda come ultimo oggetto. In realtà la grande sfida che il digitale e i dati sollevano per le Autorità di regolazione è quella di essere consapevoli e coscienti dello stato dell’arte, di quali siano le possibilità che il digitale offre alle aziende e ai consumatori. Sarebbe un po’ paradossale se il titolare della regolazione tecnica di un settore, non avesse la capacità di sviluppare il massimo dei benefici che dalla tecnologia derivano oppure il massimo della protezione del consumatore che dall’utilizzo di certe tecnologie può derivare. Questo rende il ruolo del regolatore più complesso. L’Arera da questo punto di vista è ben posizionata, anche grazie a un’età media dei dipendenti piuttosto bassa rispetto alla media della pubblica amministrazione. Questo aiuta anche nei processi interni di adozione delle tecnologie digitali. Ne abbiamo avuto la prova anche in questa fase di Covid nella quale, fin dall’inizio, abbiamo potuto lavorare a distanza senza alcuna difficoltà. Proprio l’emergenza Covid ha dimostrato la necessità di maggiore digitalizzazione. Nel campo dell’energia porterà ad ulteriore accelerazione e crede saranno necessarie nuove regole? Ci sarà una accelerazione perché abbiamo avuto una platea di utenti che, un po’ per necessità, ha dovuto ricorrere a soluzioni digitali di varia natura. Una platea che ne ha compreso rapidamente gli elementi di valore in termini di tempo, semplicità e facilità di accedere ad alcuni servizi. Questa è forse la più grande sollecitazione positiva da questa fase, perché siamo stati capaci di catturare gli elementi di novità, di utilizzare cose preesistenti in modo più diffuso, superando le resistenze. Se siamo capaci di catturarne l’elemento di valore, e comprendere che i modelli di meccanismo operativo si possono usare anche al di fuori della logica dell’emergenza, possiamo trarre vantaggi da questa fase drammatica. Nuove regole? Bisogna avere coscienza del fatto che le cose si sviluppano e definire il quadro di regole più adatto a creare valore per il consumatore. Non ci vedo un lavoro straordinario, ma la necessità di monitorare costantemente il processo. Ponendo proprio l’attenzione al consumatore, ci sarà un impatto su offerte o sui costi? Credo di sì. Era anche il fenomeno più evidente prima dell’emergenza Covid. Il settore dell’energia è un settore in cui i margini, per motivi storici e strutturali, non sono elevatissimi e quindi molta parte dell’offerta diretta ai consumatori ha deciso di sfruttare la tecnologia digitale per cercare di massimizzare l’efficienza e per avere più margine possibile. Forse è tra i settori che riusciranno più rapidamente a sottrarsi alla narrazione dell’emergenza con elementi di valore immediati. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO  5/6/2020

05 Giugno 2020

Enel: dal digital nuove possibilità anche per la transizione energetica

A fare il punto Carlo Bozzoli, global chief information officer del gruppo, su DigitEconomy.24, il report Luiss Business School e Il Sole 24 Ore.   Una strategia digital per abilitare la transizione energetica. Enel ha scommesso investimenti massivi con risultati importanti, come spiega a DigitEconomy.24 Carlo Bozzoli, global chief information officer del gruppo,  perché il futuro richiede di «accoppiare al flusso di elettroni il flusso dei bit». Una digitalizzazione che ha permesso a Enel di assicurare continuità operativa anche nell’emergenza Covid ipotizzando nuovi modelli operativi e modalità di lavoro che diventeranno parte di un “new normal”.  Per Enel digitalizzazione e innovazione sono alcune chiavi della strategia. Com’è cambiata Enel?   Enel è nata come utility tradizionale in un mercato locale e monopolistico, siamo nei primi anni ’60 e per lungo tempo il gruppo si è concentrato nel garantire dell’accesso all’energia a tutti ai massimi livelli di affidabilità. Nel frattempo il mondo è cambiato.  Il ‘digital’ ci offre dunque nuove possibilità e la nostra strategia ambisce a utilizzarle per ridurre i costi operativi liberando risorse per supportare la crescita, accrescere la nostra offerta di servizi, contribuendo alla realizzazione di una società smart, abilitare la transazione energetica. Gli investimenti di Enel sono massivi: abbiamo deciso di introdurre il “digitale” quale elemento caratterizzante del piano strategico 2017-2019 (5 miliardi di euro investiti con 1,7 miliardi di euro di ritorno)  e poi confermarlo per il prossimo triennio 2020-2022 (confermando importo analogo d'investimento). Una strategia che riteniamo sia stata particolarmente efficace nel supportare il cambiamento in quanto basata su due caratteristiche fondamentali: digitalizzazione dall’interno di tutta l’organizzazione scegliendo di non fondare una newco full digital che avrebbe, forse, garantito migliori risultati nel breve periodo, a fronte di significative difficoltà nel medio lungo termine; digitalizzazione da foglio bianco scegliendo di non seguire un approccio incrementale basato sull’As-Is (digitalizzare l’esistente), ma di mettere in discussione tutto il pregresso. Con queste premesse posso dire che abbiamo raggiunto risultati che ci propongono quali leader assoluti nel settore. Il 100% dei nostri impianti di generazione sono monitorati da remoto, la flotta rinnovabile è gestita quasi interamente da remoto; abbiamo installato 45 milioni di contatori intelligenti e abbiamo migliaia di componenti della rete di distribuzione controllati a distanza. Ma abbiamo anche digitalizzato il rapporto con i clienti, sviluppato una nuova offerta di servizi evoluti grazie al brand Enel X, sviluppato nuovi servizi integrati per le nostre persone, dematerializzato e rese più resilienti le infrastrutture: abbiamo portato il 100% del portafoglio di sistemi It sul cloud (prima tra le grandi utility del mondo). Vi aspettate un'altra accelerazione e ci sono anche dei rischi?   La grande sfida per il futuro prossimo è abilitare la transizione energetica. In estrema sintesi il passaggio dall'utilizzo di fonti energetiche fossili a fonti rinnovabili. Ciò comporta l’evoluzione del business da un modello tipicamente lineare – in cui l’energia è prodotta presso le grandi centrali di generazione, distribuita e poi venduta agli utenti finali– verso un modello a ‘piattaforma’ caratterizzato da generazione distribuita, in cui i clienti allo stesso tempo sono consumatori e produttori di energia rinnovabile. Il modello a piattaforma, tuttavia, implica anche un livello di complessità maggiore: all’aleatorietà della domanda di energia si somma l’aleatorietà della disponibilità - la produzione da fonti rinnovabili è aleatoria per definizione – e a pochi impianti di pochissimi proprietari si sostituiscono una miriade di impianti di altrettanti proprietari. È chiaro che questo livello di complessità non può essere gestito secondo i tradizionali approcci analogici, ma ha bisogno di ‘accoppiare al flusso di elettroni il flusso dei bit’. In questo contesto, Enel ha deciso di guidare in modo sostenibile la transizione energetica attraverso l’adozione di un modello operativo a piattaforma. L’emergenza Covid-19 ha accelerato il percorso verso la digitalizzazione. Quanto ha contribuito la risposta di Enel all’emergenza e che spinta darà? La risposta di Enel alla pandemia ha potuto far leva sul programma di digitalizzazione avviato già nel 2015, che ha reso più resiliente la nostra infrastruttura garantendo la continuità operativa anche durante la crisi. Pertanto, quando ai primi di marzo la minaccia del Covid è diventata reale abbiamo potuto riconfigurare il modo di funzionare dell’azienda in tempi rapidissimi. Abbiamo fin da subito istituito un comitato di crisi globale e task force locali a livello di Paese, con obiettivi e priorità semplici e chiare: prenderci cura delle nostre persone, ridurre le probabilità di contagio e garantire la continuità di erogazione dei servizi essenziali. In due sole settimane abbiamo consentito a oltre 37mila colleghi, in oltre 30 Paesi di presenza, ovvero il 55% della forza lavoro, di poter lavorare da remoto. Abbiamo, poi, monitorato quotidianamente le performance operative e la gestione del remote working. Con l’obiettivo di capitalizzare questa esperienza, che segna un profondo spartiacque tra il prima e il dopo Covid-19, stiamo ipotizzando nuovi modelli operativi e modalità di lavoro che diventeranno parte del nostro ‘new normal’. A questo proposito, stiamo lavorando anche per ridisegnare il concetto stesso di lavoro in ufficio, che diventa un'infrastruttura da utilizzare nella logica ‘Office as a Service’. Pertanto, il layout degli uffici dovrà essere ripensato, a favore di spazi e strumenti collaborativi, come schermi e lavagne digitali, spazi dedicati al co-working. Le sperimentazioni fatte finora confermano l’assoluta validità di questo modello che consente di sviluppare soluzioni win-win, in quanto liberiamo tempo per i nostri dipendenti e, allo stesso tempo, contribuiamo a liberare le nostre città da traffico, problemi di parcheggio, limitando anche gli impatti sull’ambiente. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO  5/6/2020

05 Giugno 2020

Eni: punta sul digitale, algoritmi per supportare la transizione energetica

L'intervista a Dario Pagani, executive vice president del gruppo su DigitEconomy.24, il report Luiss Business School e Il Sole 24 Ore   La trasformazione digitale nell'oil & gas sarà un vero e proprio traino di nuovi modelli di business. Eni, che da tempo ha investito nella digitalizzazione parla del suo modello, orgogliosa di mantenere l'Italia al centro della trasformazione. Dario Pagani, Executive Vice President, Information & Communication Technology, Eni spiega a DigitEconomy.24 che l'emergenza Covid-19  si è configurata come uno stress test per l'azienda e anche per il Paese ma può essere un acceleratore per superare la crisi. Eni ha scommesso e sta scommettendo molto sulla digitalizzazione anche con ingenti investimenti. Qual è il vostro modello?  In Eni la trasformazione digitale  interessa tutta l’azienda. Gli ambiti su cui le tecnologie digitali stanno trovando maggiori opportunità variano in modo diverso lungo la catena del valore di un’energy company: la trasformazione digitale migliora la sicurezza delle persone riducendone i rischi operativi, assicura l’asset integrity, aumenta l’efficienza energetica. Partendo dallo studio del sottosuolo, su cui l’azienda ha da anni investito in tecnologia HPC (High Performance Computing), Eni nel tempo ha saputo trasformare la capacità di processare grandi quantità di dati in un vantaggio competitivo. Il nuovo supercomputer di Eni, HPC5 – il più potente al mondo in ambito industriale – fornisce una potenza di calcolo fondamentale per l’evoluzione dell’azienda, in grado di accelerare la ricerca sulle fonti di energia pulita. Il nostro modello coniuga persone, tecnologie e competenze per la creazione di valore con la passione per l’innovazione. L’aspetto vincente di questo modello, motivo per Eni di grande orgoglio, è che l’Italia è sempre al centro di questa trasformazione: dall’ideazione dei progetti, alla collocazione del Green Data Center (in provincia di Pavia, ospita l’HPC5 e i sistemi informatici centrali di Eni) come alla realizzazione del primo impianto completamente digitalizzato in Val d’Agri. Quanto la digitalizzazione può cambiare il mondo dell’energia e dell’oil & gas?  Oltre ai vantaggi ci sono anche rischi? La digitalizzazione sarà sempre più un supporto strategico per l’evoluzione del settore e, nello specifico nella transizione energetica. Il suo ruolo cambierà: da elemento di miglioramento di processo a vero e proprio traino di nuovi modelli di business, ad esempio tutto il tema dell’economia circolare e della smart energy. Ovviamente ci sono anche rischi: tra questi senza dubbio la maggiore esposizione agli attacchi cyber e in generale alla resilienza dell’infrastruttura tecnologica, temi sui quali Eni è molto attenta. Cosa cambia per l’azienda e anche per le persone? Noi abbiamo adottato una strategia di “Employee Relationship Management”, abilitata proprio dalle tecnologie digitali, che mette al centro dei servizi il dipendente, con l’obiettivo di renderne il lavoro più efficiente e produttivo, in mobilità come in ufficio – come diciamo noi “Eni-time, Eni-where, Eni-way”. E’ fondamentale, inoltre, promuovere un nuovo approccio al lavoro, prevedendo iniziative di informazione e coinvolgimento mirate, insieme alla formazione per lo sviluppo e la valorizzazione delle competenze, oltre che innovation challenge e hackathon interni che stimolano le persone e facilitano la contaminazione di idee. Chi ne guadagna è il “sistema” che cresce in termini di business, sviluppa nuovi modi di lavorare e migliora la qualità del work-life balance. L’emergenza Covid-19 ha reso indispensabile il progresso verso la digitalizzazione. Quanto ha aiutato e cosa si deve fare ancora? La gestione dell’emergenza si è configurata da subito come il più grande stress test per le infrastrutture digitali, per la nostra azienda e per l’intero Paese. In questo contesto, grazie al percorso di evoluzione delle infrastrutture intrapreso negli ultimi anni per rendere Eni più resiliente ed agile, è stato possibile, in neanche due giorni, mettere in smart working più di 21.000 persone. Da aprile, Eni ha poi messo HPC5 e le proprie competenze di modellazione molecolare a disposizione della ricerca sul Coronavirus all’interno del progetto europeo EXSCALATE4CoV, che aggrega istituzioni e centri di ricerca di eccellenza in Italia e altri Paesi europei, al fine di individuare i farmaci più sicuri e promettenti nella lotta al Covid-19. La vostra esperienza e i vostri investimenti possono essere utili per superare la crisi? E su cosa ancora si deve lavorare?  Certamente sì; il focus dell’azienda, anche a valle del periodo di emergenza Coronavirus, è proseguire nel percorso già avviato verso la transizione energetica. In tal senso si stanno già compiendo passi avanti anche dal punto di vista tecnologico: infatti, su HPC5 gli algoritmi proprietari sviluppati da Eni saranno usati sempre di più per supportare la transizione energetica. Su HPC5 girano programmi originali per la ricerca sulla fusione a confinamento magnetico, modellazioni teoriche delle molecole e dei polimeri fotoattivi per la cattura dell’energia solare, modelli matematici che combinano informazioni meteo-marine per sfruttare l’energia del moto ondoso. Tutto ciò può certamente essere un acceleratore per superare la crisi e allo stesso tempo sviluppare modelli di business in linea con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO  5/6/2020 

22 Maggio 2020

WINDTRE: «Rete unica? Preoccupano i tempi, mi piace la concorrenza»

L'intervento del Ceo, Jeffrey Hedberg al webinar di Luiss Business School   La concorrenza sulle reti soddisfa Jeffrey Hedberg, ceo di WINDTRE, che si dice invece preoccupato per i tempi di un'operazione «complessa» come la fusione tra le reti di Tim e Open Fiber. Dopo l'auspicio di Tim per arrivare a una rete unica, condiviso dalla politica e dai sindacati, l'operatore alternativo WINDTRE chiarisce ancora una volta la sua posizione a favore dell'assetto concorrenziale attuale, in linea con quanto da poco dichiarato dall'amministratore di Vodafone Italia, Aldo Bisio. Partecipando a un webinar dedicato agli studenti Mba della Luiss Business School, Hedberg ha inoltre precisato che «la possibilità per tutti i fornitori di servizi di accedere alle infrastrutture di connettività a condizioni eque e leali è fondamentale per garantire uno sviluppo corretto dell'offerta e gli investimenti da parte di tutti gli operatori». La decisione sulla rete, ha detto, spetta a Tim e Open Fiber, spetta ai decisori politici. Tuttavia, «parlando come semplice cliente, noi siamo partner di Open Fiber, mi piace la competizione, mi piace l'opportunità della scelta, della velocità. Da questo punto di vista rappresentiamo anche la voce dei nostri clienti, ai quali possiamo offrire servizi competitivi grazie all'accelerazione recente nella penetrazione della banda ultra-larga». Hedberg si dice «preoccupato dei tempi di un'operazione complessa, che richiede il vaglio delle autorità nazionali ed europee in materia di garanzie per le comunicazioni e per la concorrenza: penso che sia nell'interesse degli italiani e del sistema-Paese che il ritardo accumulato nella penetrazione della banda ultra-larga a causa di una carenza di investimenti sia recuperato quanto prima possibile». L'emergenza Covid ha fatto emergere importanza digitalizzazione  In generale, anche in considerazione dell'emergenza sanitaria che ha cambiato le nostre vite, e «ha reso evidente l'importanza di accelerare il processo di trasformazione digitale del Paese» per Hedberg «servono infrastrutture solide e performanti, per garantire i servizi di comunicazione che consentono a famiglie e imprese di continuare nelle loro attività anche in condizioni speciali. Basti pensare all'e-learning e allo smart working, che sono ormai entrati a far parte del nostro quotidiano». In questo scenario, il settore delle telecomunicazioni ha un ruolo di primo piano. Secondo Hedberg, il settore si è dimostrato all'altezza della sfida, offrendo una buona tenuta a fronte di un'impennata senza precedenti nel consumo di dati e voce: il 60% su rete fissa e il 40% su rete mobile. «Dal canto nostro abbiamo investito molto - prosegue - nella modernizzazione della nostra rete» e «proprio ieri il nuovo report di Opensignal ha riconosciuto a WindTre il primato per la velocità di download e upload nel mobile». WINDTRE pronta sul 5G, ma ancora troppi ostacoli Il prossimo traguardo è ora il roll out del 5G, secondo il Ceo vero volano per lo sviluppo dell'Italia. «Senza il 5G - precisa Hedberg - dovremo rinunciare alle soluzioni evolute che si sono rivelate indispensabili per il lavoro e per lo studio, oltre che per l'intrattenimento». Per Hedberg l'azienda è pronta, ma ci sono ancora troppi ostacoli: «processi autorizzativi farraginosi, limiti elettromagnetici molto più stringenti rispetto agli altri Paesi dell'Unione Europea, a cui si sono aggiunte le fake news sul legame tra il Covid-19 e il 5G». Una situazione che rischia di far perdere al Paese il vantaggio accumulato nella fase di sperimentazione delle tecnologie di quinta generazione. Secondo un recente report della società di consulenza Incites, che analizza la predisposizione degli Stati UE per lo sviluppo del 5G, l'Italia è all'avanguardia per quanto riguarda la tecnologia e l'infrastruttura, ma viene penalizzata nel ranking generale proprio per la debolezza legata al quadro regolatorio e a quello delle policy. Fondamentale investire sulle competenze Un altro aspetto molto importane su cui esistono ampi margini di crescita, in base all'indagine, è quello che riguarda il capitale umano. Per Hedberg è quindi «fondamentale investire sulle competenze». Secondo l'ad di WINDTRE, «la collaborazione tra aziende, università e policy maker in un ecosistema virtuoso di partnership pubblico-private, è in grado di favorire la valorizzazione dei talenti». Un esempio positivo, per il Ceo del gruppo, è rappresentata dalla sperimentazione condotta a Prato e L'Aquila: «abbiamo lavorato fianco a fianco con le istituzioni e le università locali in modo davvero efficace per sperimentare soluzioni innovative in ambiti quali la salute, la sicurezza, l'agricoltura e la cultura. Abbiamo individuato opportunità concrete per il futuro delle nostre città, ma anche le skill necessarie al loro sviluppo. Il mio augurio è che questo modello positivo venga ora applicato su scala nazionale». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 22/5/2020

22 Maggio 2020

Catalfo: «Lo smart working va regolato, a breve incontrerò le parti sociali»

L'intervista della ministra del Lavoro a DigitEconomy.24, il report Luiss Business School e Il Sole 24 Ore   Un incontro «a breve» con le parti sociali per aprire il confronto sullo smart working, modalità di lavoro che in futuro andrà incentivata e regolata, a partire dal diritto alla disconnessione. Lo annuncia la ministra Nunzia Catalfo, facendo il punto con DigitEconomy.24 (report di Radiocor e Luiss Business School) sui modelli di lavoro e occupazione nel post Covid. «In questi giorni – ricorda la ministra del Lavoro - lo Statuto dei lavoratori ha tagliato il traguardo dei 50 anni. Dobbiamo conservare il suo spirito estendendo le tutele alle nuove forme di lavoro e adattandole ai mutamenti del mercato». Inoltre, per gestire il processo di digitalizzazione, «indubbiamente» serviranno nuovi strumenti, a partire dalla riforma degli ammortizzatori sociali, «per trasformarli in strumenti di politica attiva del lavoro anche in considerazione dei mutamenti del mercato conseguenti all'introduzione delle nuove tecnologie e, adesso, dell'emergenza epidemiologica». Un esempio? Il Fondo nuove competenze, contenuto nel decreto Rilancio. Con il Covid sono decollati smart working e telelavoro. Avvierete un confronto con aziende e sindacati? Durante l'emergenza Coronavirus, lo smart working si è rivelato uno strumento fondamentale, tanto nel pubblico quanto nel privato, per garantire la continuità occupazionale di alcuni settori e farlo in sicurezza. In futuro, questa modalità di lavoro andrà incentivata e, soprattutto, adattata al fine di bilanciare la richiesta di flessibilità oraria e organizzativa delle imprese con le legittime esigenze di conciliazione vita-lavoro dei dipendenti. Proprio per questo, a breve incontrerò le parti sociali per aprire un confronto su come migliorare e aggiornare la legge 81/2017. Peraltro in questi giorni, lo Statuto dei lavoratori ha tagliato il traguardo dei 50 anni. Dobbiamo conservare il suo spirito estendendo le tutele alle nuove forme di lavoro e adattandole ai mutamenti del mercato. Per fare questo, il coinvolgimento delle parti sociali è indispensabile. Già durante il periodo dell'emergenza Coronavirus, da parte mia e più in generale del Governo, il dialogo e il confronto con le associazioni sindacali e datoriali è stato costante. La stessa dinamica sarà replicata anche nel prossimo futuro, al fine di giungere a un sistema di interventi normativi condivisi. Secondo una ricerca di Linkedin quasi un italiano su due con lo smart working ha detto di lavorare di più, con aumento di stress e preoccupazioni. Sono necessarie nuove regole e nuovi modelli contrattuali? Sì. Un utilizzo "massivo" dello smart working senza l'aggiornamento del panorama normativo potrebbe certamente creare delle distorsioni con conseguenti effetti negativi per i lavoratori. Proprio per evitare ciò, uno dei punti dell'attuale legislazione da affrontare è certamente quello relativo al cosiddetto diritto di disconnessione, per il quale è necessario trovare nuove regole che lo rendano effettivo. Lo smart working con il dl rilancio diventa un diritto per chi ha figli minori di 14 anni. Come garantirlo nelle zone d'Italia ancora in digital divide? Il Mise, nelle figure del ministro Patuanelli e della sottosegretaria Liuzzi, sta lavorando molto per risolvere questo annoso problema. Recentemente, con il via libera a una rimodulazione del piano banda ultra-larga, sono stati sbloccati i voucher per la connessione alla stessa per 2,2 milioni di famiglie e 450mila imprese in tutta Italia. In pratica, saranno previsti contributi di 500 euro per i nuclei con Isee sotto i 20mila euro - comprensivi anche della dotazione di un tablet o pc - e di 200 euro per le altre famiglie mentre per le imprese vengono previsti 500 euro per la connettività ad almeno 30 mega e 2.000 euro per quella a 1 giga. Un passo avanti importante al quale ne seguiranno altri. L'accelerazione nella digitalizzazione porterà a una perdita di occupazione in settori tradizionali e molte aziende, per mantenere i livelli occupazionali, saranno costrette a formare continuamente i dipendenti. Occorrono strumenti e ammortizzatori sociali nuovi? Indubbiamente. Una delle riforme che fin dall'inizio del mio mandato sostengo fortemente è proprio quella degli ammortizzatori sociali, per trasformali in strumenti di politica attiva del lavoro anche in considerazione dei mutamenti del mercato conseguenti all'introduzione delle nuove tecnologie e, adesso, dell'emergenza epidemiologica. Proprio in questa direzione viaggia un nuovo strumento, che ho voluto introdurre nel decreto Rilancio, denominato "Fondo nuove competenze". Si tratta della possibilità di rimodulare, previo accordo con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, quota parte dell'orario di lavoro in formazione. Le ore convertite in programmi formativi saranno finanziati da un apposito fondo statale. In tal modo, i datori di lavoro non dovranno "sopportare" i costi della rimodulazione dell'orario a parità di salario e - al tempo stesso - ai lavoratori sarà garantito e rafforzato il reskilling professionale. Se, come auspico, questa misura si rivelerà efficace, ciò che oggi è in via sperimentale per affrontare la delicata fase di riavvio delle attività potrà diventare il modello da cui partire per ridisegnare il sistema degli ammortizzatori sociali. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 22/5/2020

22 Maggio 2020

Furlan: «Rete unica con sostegno Cdp non più rinviabile»

L'intervista della numero uno della Cisl a DigitEconomy.24, il report Luiss Business School e Il Sole 24 Ore   Investire sul 5G, portare la fibra nelle aree bianche non appetibili per gli operatori, e realizzare un progetto «non più rinviabile», di «rete unica nazionale con la presenza della Cdp». Sono gli strumenti necessari secondo Annamaria Furlan, segretaria generale della Cisl, per gestire il nuovo mondo che si apre dopo il lockdown, quando smart working e lavoro da remoto la faranno ancora da protagonisti. Nella nuova normalità va colmato il digital divide per dare pari strumenti a tutti, e il dossier rete unica va proprio in questa direzione. «E' necessario – dice Furlan in un'intervista a DigitEconomy.24, report di Radiocor e Luiss Business School - con la velocità decisionale del 5G, per usare una metafora, che il Governo, inviti le due aziende a trovare un punto d'incontro per creare una società unica di rete». Oltre alle infrastrutture, con il boom della digitalizzazione, bisognerà poi pensare ai diritti dei lavoratori: solo nel settore delle tlc e solo nella prima fase della pandemia hanno lavorato in smart working 75mila dipendenti, potenzialmente milioni di lavoratori potrebbero farlo in futuro. E' arrivato il momento, dice Furlan, di «contrattare con le imprese le condizioni» e di «andare incontro ai lavoratori fornendo una rete dedicata e il pc aziendale, assieme a tutte le condizioni economiche e normative previste dai Ccnl». La pandemia sta riscrivendo le modalità di lavoro. Che strumenti e regole serviranno per gestire la digitalizzazione? La pandemia ha cambiato e continuerà a cambiare i modelli dell'organizzazione del lavoro. Potenzialmente ci sono milioni di persone che possono lavorare in smart working o remote working, ma ce ne sono molti altri che, a causa del digital divide, non possono permettersi né un collegamento ultraveloce né i device tecnologici per svolgere le attività. Bisogna continuare a investire sulle infrastrutture ultraveloci (come il 5G), portare la fibra anche nelle aree bianche che sono ancora molte e - non più rinviabile - realizzare un progetto di rete unica nazionale con la presenza della Cdp. Inoltre, bisogna contrattare con le imprese le condizioni per lavorare in smart working, andare incontro ai lavoratori fornendo una rete dedicata e il pc aziendale, assieme a tutte le condizioni economiche e normative previste dai Ccnl. Centrale è il ruolo delle parti sociali perché lo smart working non sarà più solamente un elemento di welfare bensì diventerà un vero e proprio elemento dell'organizzazione del lavoro. Da qui passerà la capacità di individuare le migliori soluzioni per i diversi ambiti organizzativi per risolvere quei "problemi" la cui risoluzione non può essere affidata a un intervento normativo inevitabilmente portato a uniformare le risposte. Sostanzialmente i lavoratori devono poter lavorare da remoto o in spazi diversi che non necessariamente devono coincidere con la propria casa, come se fossero in ufficio, con strumenti e tecnologie aziendali. Il lavoro da remoto richiede formazione continua, autonomia della prestazione, fiducia da parte della linea gerarchica, lavoro in team e processi condivisi finalizzati all'obiettivo. In questo quadro si inserisce il ripensamento in ottica agile del rapporto fra persona e tempo in una radicale revisione del ruolo di leadership. Sono inoltre fondamentali: la gestione della prestazione da parte del lavoratore con il diritto alla disconnessione, il preavviso di collegamento per call e videoconferenze, il rispetto degli orari contrattuali. La pandemia ci ha consegnato molti indicatori positivi che invitano a continuare lo smart working anche dopo l'emergenza. Tra questi la riduzione della mobilità che ha ridotto lo smog, ha fatto bene all'ambiente. Ora bisogna investire in energie alternative anche e soprattutto nella produzione industriale. Saremo chiamati a essere portavoce di un nuovo modello di cultura: un percorso "illuminato" che dia il via alla diffusione di una nuova coscienza che genera a sua volta una rinnovata conoscenza e che porta alla nascita di nuovi modelli di lavoro. Nelle tlc ci sono oltre 75mila lavoratori in smart working, quale mix tra presenza fisiche e da remoto sarebbe preferibile? Non mi meraviglio che nelle telecomunicazioni tantissimi dipendenti lavorino in smart working o remote working poiché quello delle tlc è il settore dove nascono e si sviluppano le infrastrutture e le tecnologie per l'innovazione del Paese. Ci sono attività che possono proseguire da remoto senza alcuna necessità di rientrare in ufficio, penso al mondo dei contact center, alle aree di staff, alle attività svolte nelle ore serali o notturne che non richiedono una presenza fisica in ufficio. In questa fase di ripresa del lavoro, immagino delle rotazioni settimanali fino a un massimo del 50% tra lavoratori in ufficio e in remote working, rispettando i protocolli sulla sicurezza condivisi con il Governo. Per il futuro, augurandoci la definitiva sconfitta del Covid-19, c'è poi da tenere in considerazione che non sempre la condizione di smart working si concilia con la gestione della casa soprattutto per le donne, che sono chiamate a moltiplicare gli sforzi. Nella fase post pandemia, andando verso nuovi modelli organizzativi, lascerei molta discrezionalità alle lavoratrici/ri attraverso il criterio della volontarietà. Il tempo sospeso dell'emergenza ha palesato l'importanza del supporto alle madri – e ai padri – impegnati a lavorare da casa, sia da un punto di vista dell'aiuto scolastico, sia nelle attività di baby sitting, sia da parte dei servizi pubblici in generale. Si tratta di un gap difficile da colmare, sul quale è fondamentale intervenire e che richiede politiche pubbliche sociali e culturali che permettano concretamente di affievolirlo. Sarà importante pertanto, promuovere lo sviluppo di una sensibilità comune che si ispiri a una visione culturale espansiva e non ostracizzante del ruolo delle donne. Una volta finita l'emergenza che ha portato al blocco dei licenziamenti, si rischiano esuberi nelle telecomunicazioni a causa dell'accelerato processo di digitalizzazione? Guardando alla criticità degli altri settori industriali che hanno dovuto fermare le produzioni, non voglio nemmeno ipotizzare che nel settore delle tlc, cruciale nella gestione dell'emergenza e nel futuro quando ci sarà sempre più richiesta di connettività, ci possano essere esuberi. L'anello debole della filiera sono, invece, i contact center e gli appalti di rete. Per questi settori bisogna trovare il giusto equilibrio tra committenza e appalti al fine di garantire il giusto salario all'intera filiera: le gare al massimo ribasso sono inaccettabili perché generano lavoro irregolare e la negazione dei diritti! Tornando all'intero settore delle telecomunicazioni, gli investimenti sulle nuove infrastrutture sono la migliore soluzione ai problemi di eventuali esuberi dovuti alla digitalizzazione. Nelle tlc al momento non abbiamo esuberi, con l'innovazione abbiamo piuttosto da affrontare il tema della nascita o del mix professionale e dell'evoluzione delle stesse attività di lavoro. Penso al mondo del Cloud, della telemedicina, della domotica, a tutti i servizi innovativi forniti dal 5G che devono assicurare il mantenimento di tutti i livelli occupazionali. Gli strumenti ci sono, la formazione continua, già finanziata, il contratto di espansione deve invece essere rifinanziato perché consente di riformare le persone sulle nuove attività e permette anche l'assunzione di giovani con competenze specifiche sui nuovi servizi. Le grosse imprese hanno utilizzato l'art. 4 della legge Fornero, hanno investito importanti risorse proprie per accompagnare alla pensione (Isopensione) migliaia di lavoratori senza pesare sulla fiscalità generale. C'è però chi, nella pandemia, ha sofferto più di altri, come i fornitori di infrastrutture. Il periodo dell'emergenza ha visto impegnate particolarmente i fornitori di infrastrutture, che però si sono trovati in difficoltà a livello di ricavi anche per il rallentamento del roll out delle reti. Le imprese di ingegneria di rete e quelle della fornitura degli apparati sono complementari alle telco, non può esserci sviluppo delle infrastrutture senza il loro contributo. In questa fase di quarantena dell'economia hanno sofferto anche loro, ma gli strumenti di cassa in deroga e Fis hanno sopperito al ritardo del roll out delle reti. La cassa per 18 settimane è stata voluta dal sindacato per evitare che le aziende più esposte al fermo produttivo potessero avere problemi di tenuta occupazionale, il nostro impegno è stato quello di non perdere nessun posto di lavoro. Il problema vero è che le aziende della filiera delle tlc, ovvero gli appalti, hanno subito una compressione sui prezzi sia per la riduzione della marginalità delle telco e sia per la competizione di nuovi player nel campo della fornitura degli apparati. Adesso ci aspetta un'accelerazione degli investimenti e una ripresa veloce del tempo perduto non solo per le imprese, ma per il Paese. La pandemia e gli stress test delle reti in queste settimane ci hanno consegnato un dato significativo: le reti in questo Paese non hanno raggiunto il grado di copertura per l'intera popolazione e hanno sofferto in termini di velocità di trasmissione dei dati. Come da lei detto in precedenza, fibra, 5G e rete unica sono, dunque, necessari. Quale modello è preferibile per la rete? Al Governo chiediamo di destinare risorse a tutte le infrastrutture materiali e immateriali, lo sollecitiamo da molto tempo e molto prima dell'epidemia. Come dicevo prima è giunto il momento che il Governo sciolga il nodo della società delle reti. Cdp ha investito risorse pubbliche in Tim e in Open Fiber, non possiamo pensare che la non decisione svaluti gli investimenti fatti in queste aziende. E' necessario, con la velocità decisionale del 5G - per usare una metafora - che il Governo, inviti le due aziende a trovare un punto di incontro per creare una società unica di rete, che possa essere gestita nell'ambito del contesto regolatorio dettato dall'Agcom e nel rispetto dei principi Antitrust per garantire la parità di accesso e la competitività sui servizi offerti. Dobbiamo non dimenticare che le telecomunicazioni e il 5G sono e saranno il volano per la ripresa economica del Paese, trascineranno processi di innovazione che interesseranno l'industria 4.0, la sanità, la pubblica amministrazione, la gestione delle città con le smart City, il cloud per le pmi. Proprio per questo non possiamo permetterci di ostacolare lo sviluppo delle reti mobili di ultima generazione. L'Italia ha bisogno di guardare al futuro e non essere ostaggio anche di falsi allarmismi. Solo attraverso una corretta informazione tecnico-scientifica e una collaborazione proficua tra Comuni, Governo e autorità scientifiche potremo raggiungere la digitalizzazione del nostro Paese. In questo noi come Cisl vogliamo essere protagonisti di questa rivoluzione digitale. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 22/5/2020

07 Maggio 2020

Facebook: «Messaggistica ed e-commerce per aiutare le imprese a esportare»

L'intervista al country manager Italia, Luca Colombo, per DigitEconomy.24, il report Luiss Business School e Il Sole 24 Ore   La fase due e la fase tre dell'emergenza coronavirus passano anche attraverso nuovi modelli di impresa. E Facebook, che ha già avuto un ruolo di protagonista nei giorni del lockdown con l'aumento esponenziale dell'uso di whatsapp e delle videochiamate, punta a essere centrale anche nell'attuale e nel prossimo periodo. La piattaforma di Palo Alto ha infatti un dialogo aperto con molti settori di punta del sistema italiano, dalla grande distribuzione alla moda, per un diverso e più proficuo utilizzo delle piattaforme di messaggistica e delle chatbot (cioè i software capaci di interagire con le persone) nell'ottica di fornire nuovi servizi e customer care ai clienti. A tracciare un quadro è Luca Colombo, country manager di Facebook, nel corso di un'intervista a DigitEconomy.24 (report di Radiocor e Luiss Business School) sull'emergenza che stiamo vivendo e sui prossimi orizzonti che si aprono. «Messaggistica ed e-commerce», continua Colombo, si candidano innanzitutto a diventare «un mezzo per consentire anche alle imprese piccole e medie di cogliere l'opportunità dell'esportazione, grazie anche alla presenza globale di Facebook». Per quanto riguarda il sistema Italia, che in generale non ha una forte propensione alla digitalizzazione, bisognerà fare i conti con la domanda crescente di connettività e risolvere, ad esempio, prosegue Colombo, il problema del digitale divide. Quanto infine alle esigenze di tutela della privacy di fronte a un uso crescente di dati e immagini, Colombo assicura: «è alla base di tutto quello che facciamo». Facendo un bilancio sull'emergenza coronavirus, quali numeri avete registrato e come gli strumenti offerti da Facebook possono essere bilanciati con le esigenze di privacy? Gli strumenti di connessione hanno consentito di vivere in modo più "dolce" i momenti dell'emergenza e le misure di confinamento che ne sono seguite. Le conversazioni video sono raddoppiate, i messaggi sono aumentati del 50%; se guardiamo il livello di utilizzo sia come metrica sia come riflesso di apprezzamento, i numeri parlano da sé. Le video conversazioni fra tre o più persone sono cresciute del 1000% e sono state utilizzate anche per aperitivi o altri momenti sociali online. Peraltro, di recente, abbiamo lanciato "Messanger Rooms" che va proprio in questa direzione. In questo periodo si è visto come la tecnologia è al centro per le persone e per le aziende, aiuta a colmare i gap, supplisce alle carenze di prossimità. E la privacy è alla base di tutto quello che facciamo. Quali criticità avete riscontrato nel sistema Italia nell'affrontare l'emergenza? Nel settore della scuola, solo per fare un esempio, vanno innanzitutto formati gli insegnanti per la didattica a distanza, fattore comunque indirizzabile. Più problematico è invece risolvere la situazione degli studenti che non hanno accesso in termini di device e connettività. Tutto ciò porrà dei quesiti. L'Italia, inoltre, in generale non ha una forte propensione alla tecnologia digitale. Serviranno dei tavoli di lavoro per rimuovere degli ostacoli, come quello del digital divide. Tenendo conto che in futuro la domanda di connettività in Italia crescerà ancora. Facebook è anche whatsapp, instagram, messenger: quale può essere il ruolo delle piattaforme di messaggistica e dei chatbot in questa nuova fase che si apre, dopo il lockdown? Sul fronte delle imprese si sta vivendo una grande accelerazione. Con i gruppi della grande distribuzione stiamo lavorando su piattaforme di messaggistica che sono anche sistemi di customer care collegabili a operatori umani. Si possono ad esempio usare agenti virtuali di customer service, un misto fra automatizzazione e human: in Francia ci stiamo lavorando. Un esempio di customer care che si può realizzare con la messaggistica è ad esempio quello adottato da Klm. La compagnia aerea olandese ha costruito un servizio su messenger per cercare il volo, comprare il biglietto, fare il check in. Nel momento in cui avremo un'abilitazione globale ai pagamenti (tipo Facebook Pay) e ci saranno applicazioni che consentiranno di agganciarsi in modo automatico, tutti i processi saranno anche più veloci. In generale messaggistica ed e-commerce rappresenteranno un tema molto rilevante, un mezzo che consentirà a imprese piccole e medie di cogliere pure le opportunità di esportazione, grazie alla presenza globale Facebook. Oltre alla grande distribuzione, tutto il settore del largo consumo, come il cibo, le bevande, la cura della persona, il fashion, ora sta guardando a questo tipo di soluzioni con interesse. Il ruolo di Facebook sarà quello di aiutare a comprendere il futuro delle piattaforme per creare un aggancio con le strategie aziendali. E la prima opportunità è rappresentata proprio dall'export: piattaforme di messaggistica, e-commerce, comunicazione consentono alle aziende di muoversi dalla dimensione locale a quella internazionale. Guardando la situazione attuale, mi è particolarmente piaciuta una metafora utilizzata da Andrea Guerra quando ha detto che con il coronavirus è come se fosse entrata in pista la safety car: le imprese, costrette tutte a rallentare allo stesso modo, dovranno essere veloci a ripartire. Uno dei problemi di questi mesi sono state le fake news e in generale il proliferare di commenti più o meno fondati, sulla vostra piattaforma come su altre: come avete reagito? Facebook collabora con l'International fact-checking network e in Italia, ad esempio, abbiamo lanciato a inizio aprile un servizio di fact checking su whatsapp: attraverso Facta, un progetto realizzato da Pagella Politica, gli utenti hanno a disposizione un numero whatsapp per verificare potenziali fake news. Facta ogni giorno analizza 10 potenziali fake news, dando i risultati sul loro sito e nelle stories di Facebook. Un progetto presentato anche al tavolo permanente "Piattaforme digitali e big data" di Agcom SFOGLIA IL REPORT COMPLETO

07 Maggio 2020

«Bisio: con rete unica grande rinuncia alla concorrenza, garantire pari condizioni»

L'intervento del CEO di Vodafone Italia al webinar della Luiss Business School, oggi su DigitEconomy.24   «L'ingresso di Open Fiber nel mercato è molto positivo anche perché ha comportato un'accelerazione negli investimenti anche del concorrente, cioè Tim: tutto ciò fa bene alla qualità del servizio e ai costi. Rinunciarvi rappresenterebbe una grande rinuncia. Se posso esprimere un desiderio, auspico continui a esserci competizione». Aldo Bisio, amministratore delegato di Vodafone Italia, nel corso di un webinar organizzato dalla Luiss Business School torna sul tema caldo della rete unica, chiarendo che l'optimum dal suo punto di vista è la competizione. Se poi si dovesse realizzare un'unica infrastruttura, con le reti di Tim e Open Fiber, scelta che «spetta agli azionisti delle aziende che possiedono le due reti», il tema non è realizzarla o meno, «il grande problema può sorgere nel momento in cui la governance non sia in grado di assicurare condizioni di level playing field. Nessuno credo giocherebbe in un campionato di calcio dove l'arbitro possa essere un giocatore di una delle squadre. Qualche doverosa cautela me la pongo». Sul tema del controllo, inoltre, «noi siamo favorevoli alla rete unica a patto che sia wholesale only, che tutti i retailer siano trattati allo stesso modo e che non ci sia il controllo sulla rete unica da parte di uno dei retailer». «Fondamentale favorire lo sviluppo della rete fino a casa» In un momento in cui da più parti si invoca un'unica infrastruttura di rete anche per soddisfare la fame di banda ultra-larga che è aumentata esponenzialmente con l'emergenza Covid, il numero uno di Vodafone Italia spiega che «l'Italia era l'unico Paese a non aver avuto una concorrenza infrastrutturale su rete fissa. Si vuol far credere che la rete unica sia la soluzione, ma nel resto del mondo c'è stata sempre competizione infrastrutturale» grazie soprattutto alle tv via cavo. Tirando le somme sul dossier rete, per Bisio, è innanzitutto fondamentale «favorire lo sviluppo e l'accelerazione della rete in fibra fino a casa (Ftth): le altre tecnologie potevano andare bene pre Covid, oggi abbiamo visto che non sono a prova di futuro. E' l'unico investimento che abbia veramente senso»; «se farlo con rete unica o meno è una decisione degli azionisti, se scegliere un controllo verticalmente integrato oppure no è una decisione che in ultimo spetta all'Antitrust». Questione della rete unica a parte, quanto al problema attuale del digital divide, Bisio ricorda che ci sono ancora 5,5 milioni di abitazioni senza connessione veloce: «non posso che auspicare che Open Fiber acceleri il deployment in queste aree». Ipotesi legge obiettivo con Ftth e 5G di interesse preminente per Paese Oltre alla banda ultra larga fissa, un altro must per costruire il mondo post Covid è rappresentato dal 5G. Riguardo al problema della sicurezza «non c'è nessun problema strutturale – precisa - inerente agli apparati 4G o 5G da parte di nessun tipo di provider, né europeo né asiatico. Non c'è mai stata la pistola fumante sul fatto che ci fossero deliberatamente delle backdoor». Per evitare ritardi nell'implementazione delle reti, sia in fibra sia per il 5G, Bisio suggerisce al governo italiano «di operare una grande semplificazione amministrativa. Non deve succedere che qualsiasi stakeholder locale possa avere diritto di veto su un'opera nazionale, non è possibile che ogni singolo comune possa bloccare i lavori». Bisio lancia dunque l'ipotesi di pensare «a una legge obiettivo che ponga Ftth e 5G come opere di interesse preminente del Paese, per le quali non possano esserci impedimenti a livello locale da parte di chicchessia». Guardando invece alla situazione all'interno delle aziende tlc post covid, Bisio delinea una situazione in chiaroscuro, con «elementi di criticità nel brevissimo e opportunità nel lungo periodo». Da un lato i gruppi soffrono per l'assottigliamento dei ricavi da roaming e per il problema riguardante la mancanza di liquidità delle micro imprese. Nel caso del roaming «ci possiamo fare poco, speriamo tornino i turisti e riparta la società dei contatti. Ci sono inoltre altri fattori drenanti. Pur avendo avuto un picco domanda di dati anche del 60% in più sulla rete fissa, noi offriamo dati illimitati». Ovvero: l'aumento dei consumi non si riverbera sui ricavi. Riguardo alle imprese in crisi di liquidità, in particolare «il tema è quello della velocità degli aiuti del governo, che devono essere tempestivi: vanno bene le manovre sul credito, ma va rappresentato il carattere di urgenza dell'erogazione fondi». Dopo il Covid puntare su Internet of things, molte partnership in vista Ma il Covid comporta anche nuove sfide e opportunità. «Stiamo già lavorando – racconta Bisio – ai nuovi bisogni delle imprese, dei cittadini, dei consumatori; l'Internet of things sta avendo un'accelerazione, e per noi si tratta di un'opportunità importante. Se saremo bravi riusciremo a compensare le perdite immediate che sicuramente avremo». Su questo fronte il gruppo sta spingendo sulle partnership, necessarie per «intercettare nuovi bisogni in maniera semplice ed efficace; stiamo inanellando una serie di accordi, ultimo quello con Microsoft, con diverse aziende che ci permetteranno di essere protagonisti nell'arena competitiva dell'Iot. Grazie al 5G, ad esempio, nel mondo della sanità o dell'industria 4.0 ci saranno grandi potenzialità». «Continuiamo a investire su 5G, completeremo Roma entro l'anno» Proseguiranno, dunque, i piani di investimento di Vodafone nella nuova tecnologia, presente in cinque città italiane. «Abbiamo un piano di roll out delle reti abbastanza importante, credo che continueremo a perseguirlo». Guardando alle grandi città dove Vodafone è già presente, «Milano è già tutta in 5G, Roma parzialmente e la completeremo nel corso di quest'anno, come le altre grandi città italiane. Ma oggi il deficit non riguarda tanto la rete ma la domanda di terminali», visto che le tensioni fra Stati Uniti e Cina hanno frenato la diffusione degli smartphone Huawei e, quindi, «la penetrazione dei terminali 5G sta vistosamente rallentando». Sul fronte consumer, per avere «qualcosa di robusto e visibile nel Paese credo ci vorrà ancora un po', 12-18 mesi come orizzonte», ha detto Bisio che intravede un'area in cui il 5G la farà presto da padrone ed è quella del gaming, dove le caratteristiche di velocità e latenza della nuova tecnologia saranno molto apprezzate: «in Italia ci sono oltre sette milioni di gamers assidui, che giocano quasi tutti i giorni». Last but not least, Bisio ha affrontato la questione del connubio tra telecomunicazioni e contenuti. Dal lato Vodafone, «noi – ha chiarito - non vogliamo competere su contenuti esclusivi, non credo entreremo mai nella produzione». «Il nostro mestiere, invece, è aggregare e distribuire i contenuti. Le telco Usa hanno fatto scelte anche molto diverse, ma noi soprattutto in Europa vediamo il ruolo suddetto che comunque richiede livelli di integrazione fra piattaforme e connettività molto importanti». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO

07 Maggio 2020

Col Covid crescono in rete menzioni sul 5G, il 27% negative

Il bilancio di Alleanza per il 5G sui mesi del lockdown su DigitEconomy.24, il report Luiss Business School e Il Sole 24 Ore   I mesi del lockdown e dell'emergenza coronavirus hanno visto protagonista sui social network, suo malgrado, anche il 5G: nel bimestre marzo-aprile in rete sono state rilevate quasi 150.000 menzioni, che sono progressivamente cresciute da una media di 1.000 al giorno alle circa 3.000 dell'ultimo periodo sull'onda dell'accostamento tra 5G e il Covid-19 all'interno della proliferazione delle teorie più fantasiose sull'origine e la modalità di diffusione del virus. Numeri alla mano, il bilancio sul Net Sentiment (il saldo tra i promotori e detrattori) è diventato largamente negativo, con solo l'8% di menzioni positive contro il 27% di quelle negative. L'analisi è il primo frutto delle attività di Alleanza per il 5G, il knowledge hub creato da Luiss Business School e Ptsclas che vuole monitorare lo sviluppo del 5G in Italia attraverso l'analisi di diverse dimensioni, da quelle tecnologiche, ai benchmarking internazionali, fino alle dinamiche di mercato, di una tecnologia destinata a trasformare radicalmente il nostro modo di vivere la rivoluzione digitale. Uno dei sei ambiti di analisi riguarda proprio la sentiment analysis, vale a dire l'ascolto delle discussioni in rete e, in particolare, sui social media, la pancia digitale dell'Italia. Nei primi mesi di monitoraggio emerge chiaramente la natura multidimensionale di un fenomeno che attrae gli amanti dell'innovazione, ma riesce anche ad aggregare le paure per la salute o lo straniero, fino a sconfinare nelle fake news. In particolare, analizzando il rapporto tra 5G e mesi del lockdown, si nota che è cresciuto l'engagement, vale a dire le interazioni innescate per rilanciare le discussioni in rete, che passa da 200.000 a gennaio a oltre 1,2 milioni ad aprile. Il picco è stato raggiunto il 7 aprile su Instagram con la parodia del sergente Hartman sulla causa del coronavirus. Al di là dell'ironia, mentre si assiste in Europa a casi di danneggiamenti di antenne, anche in Italia si è rivitalizzato il dibattito sui presunti rischi per la salute e contro il dispiegamento delle nuove reti che ha portato numerosi amministratori locali a impedire o rallentare lo sviluppo della rete 5G in Italia, a prescindere da solide basi scientifiche. La ThemeCloud complessiva evidenzia l'intreccio di argomenti legati all'innovazione e al mercato accanto agli aspetti legati alla salute e la sicurezza, con i termini più ricorrenti che fanno riferimento ai lemmi: antenne, tecnologia, mercato, smartphone e sicurezza. Oltre agli hashtag dicotomici #5G e #STOP5G quelli più utilizzati sono stati #coronavirus #COVID19, ma anche #fakenews, seguiti, ma distanziati, dagli hashtag più legati all'innovazione come #AI, #robotics, #driverlesscar. Nei mesi precedenti, e fino alla seconda parte di marzo, le valutazioni erano rimaste molto bilanciate, con una leggera prevalenza delle menzioni positive (attorno al 10%), che contrastavano sostanzialmente lo stesso numero di menzioni negative. Le prime facevano riferimento innanzitutto al potenziale innovativo del 5G e in particolare alle applicazioni nei sistemi a guida automatica, gli ambiti sanitari e le funzionalità dei nuovi smartphone, che rimangono un argomento di grande interesse in particolare per i più giovani. Le seconde rimanevano invece incentrate sui rischi per la salute derivanti dalle nuove antenne in corso di installazione e sulle iniziative dei movimenti contro il 5G. L'analisi del profilo dei promotori e detrattori mostra un coinvolgimento prevalente della fascia di età 25-34 anni per entrambi, ma contrariamente alle aspettative con un peso relativo maggiore della fascia 18-24 tra i detrattori. La Cina peraltro era già stata all'origine, per motivi totalmente diversi, del precedente picco di discussioni che hanno coinvolto il 5G all'epoca dello scontro commerciale tra Stati Uniti e Cina del 2019 e delle restrizioni sulle importazioni delle tecnologie di interesse strategico. Dando, infine, proprio uno sguardo all'estero, e in particolare agli Stati Uniti, si riscontrano valutazioni molto simili, con il peso delle menzioni negative che sale addirittura al 36 per cento.