Digital Transformation
Digital Transformation
Digital Transformation
Digital Transformation

10 Settembre 2020

Soru: «allargare il progetto di rete unica a 5G e data center  è un passaggio naturale»

Su DigitEconomy.24, il report Luiss Business School e Il Sole 24 Ore, la posizione di Renato Soru, Presidente e AD Tiscali, sul progetto di  un unico network che «combacia con le regole europee»     La rete unica per portare la connettività in tutto il Paese, come disegnata dagli ultimi accordi raggiunti a fine agosto «combacia con le regole europee» e piace anche ad operatori alternativi come Tiscali che «in passato avevano sognato anche molto meno di quello che sta accadendo oggi». Lo sostiene Renato Soru, presidente e amministratore delegato di Tiscali, spiegando che gli operatori si accontentavano «anche di una società totalmente separata a controllo Tim mentre oggi si parla di una società separata con una pluralità di azionisti che hanno potenzialmente un interesse diverso da quello dell'azionista principale». L'eventuale ingresso dello Stato con Cdp, è poi garanzia «sull'effettivo ruolo e sull'indipendenza di questa società». Soru, inoltre, vede bene l'ipotesi di allargare il progetto sulla rete unica alle altre tecnologie come i data center e il 5G: «è un passaggio naturale», dice a DigitEconomy.24, report del Sole 24 Ore-Radiocor e della Luiss Business School. L'accordo tra voi e Tim è piaciuto alla Borsa, entrerete anche nell'azionariato di Fibercop e a che condizioni?  L'accordo che abbiamo sottoscritto ci porta vantaggi economici operativi, accompagnandoci nella trasformazione della società verso la smart telco. Questa intesa si basa sulla norma europea che pone l'obbligo in capo ai promotori di una rete in fibra di realizzarla in maniera aperta, permettendo a tutti di partecipare, o partecipando al capitale della società promotrice come sta facendo Fastweb oppure coinvestendo. Noi, secondo la normativa europea, ci siamo assunti l'obbligo di coinvestire. Ci stiamo impegnando a portare un certo numero di clienti attuali nella vecchia rete in rame e un certo numero di clienti in fibra ottica nei prossimi 10 anni.  In generale il mercato ha effettivamente apprezzato un'operazione che ci permette di ottenere un miglioramento dell'Ebitda già a partire dall'ultimo trimestre 2020, e un incremento a regime nel 2022 di circa 12 milioni di euro annui. E' inoltre attesa una generazione addizionale di cassa, nel biennio 2021-2022, di oltre 35 milioni e a regime, a partire dal 2023, di circa 20 milioni. Crede nella realizzazione di un'unica rete in fibra in Italia con la successiva fusione tra Fibercop e Open Fiber?  Tutta la discussione verte sul fatto se il controllo debba o meno essere in mano allo Stato imprenditore. Io ho due cose da dire: dal punto di vista della politica industriale, opportunamente lo Stato deve avere una partecipazione importante, anzi importantissima, anche se non è necessario che abbia il controllo. Certo bisognerà poi dettare regole favorevoli al mercato e alla competizione e compatibili col fatto che un investimento così grande e rilevante, totalmente capillare e senza dimenticarsi di una casa o di un' azienda, debba mettere a fattor comune tutte le risorse spendibili in questo Paese. Per questo è bene che si crei una rete unica. Il disegno sulla rete unica combacia con le regole europee? Sì combacia, c'è una società separata, non sarebbe diverso da quello che succede nelle ferrovie dove c'è un monopolio naturale o da quello che accade con Snam. Eppure gli operatori alternativi hanno denunciato in passato la mancata parità di trattamento di Tim nei loro confronti e si è arrivati a procedimenti Antitrust conclusi con delle maximulte.  Noi operatori alternativi nel passato abbiamo sognato anche molto meno di quello che sta accadendo oggi. Speravamo in una società della rete totalmente separata da Tim anche se largamente controllata dall'ex monopolista, il massimo che si è ottenuto è una società con una contabilità separata. Ora stiamo parlano di una società separata con una pluralità di azionisti, che hanno potenzialmente un interesse diverso da quello dell'azionista Telecom Italia. Se poi ci dovesse essere anche lo Stato non si può avere un fraintendimento sull' effettivo ruolo e l'indipendenza di questa società.  In secondo luogo, dal punto di vista di Tiscali, i benefici non sono legati alla rete unica, ma all'accordo con Fibercop e con Tim; questi benefici li avremo sia se si realizzerà la rete unica, sia che rimarranno due società in competizione fra di loro. Inoltre noi non avremo l'esclusività con Tim, potremmo comprare al migliore offerente. Premesso ciò, sono dell'idea che sia utile per tutti una rete unica. Come giudica l'ipotesi di allargare la rete unica alle altre tecnologie tipo i data center e il 5G? Penso che abbia molto senso quando si parla di rete unica. Il concetto di rete è, infatti, oggi molto più esteso rispetto alla sola fibra ottica, e quindi si tratta di un passaggio naturale. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 10/9/2020

07 Settembre 2020

Attenti ai passi falsi sulla rete per Internet veloce

Commento di Paolo Boccardelli, Direttore Luiss Business School, pubblicato su la Repubblica Affari & Finanza, 7/9/2020  Il settore delle telecomunicazioni italiano è da anni croce e delizia di analisti e investitori, con il nostro Paese costantemente nelle retrovie dell’indice europeo DESI, che fotografa il livello di digitalizzazione dei Paesi dell’Unione, anche e soprattutto a causa del forte gap in investimenti infrastrutturali accumulatosi nei lustri. Siamo oggi a uno snodo cruciale: a fronte di un decremento degli investimenti in servizi e dei ricavi, che tra l’altro influiscono a cascata su occupazione e spesa nel settore, occorre infatti stimolare l’economia al fine di rendere meno critica la sostenibilità degli investimenti orientati al lungo termine. Diviene inoltre fondamentale sostenere la spesa in banda ultralarga, con lo scopo di sviluppare una rete avanzata e a prova di futuro che possa arrivare a coprire realmente tutto il Paese e abiliti l’edge computing o servizi in cloud che possano dare stimolo alla competitività delle imprese e in generale generare un significativo impatto positivo sulla vita delle persone. Il ruolo delle istituzioni pubbliche rappresenta una condizione indispensabile per definire e ridisegnare le posizioni competitive nel rinnovato sistema economico globale. Al fine di incoraggiare il flusso di capitali privati verso dotazioni infrastrutturali sostenibili, è comunque necessario comprendere il valore degli associati benefici. In generale, quindi, si tratta di investimenti elevati, dai quali però si attendono ritorni altrettanto cospicui. Primi tra tutti, l’incremento della domanda aggregata attraverso l'aumento della spesa per investimenti, cui si aggiungono i benefici derivanti da economie di scala e da un migliore accesso all'informazione e alla tecnologia, specie nel caso di grandi progetti. In generale, la spesa in reti avanzate rappresenta un potenziale driver di creazione di servizi innovativi erogati dagli operatori del settore. Come Cosa fare per catturare appieno le discusse opportunità? Se da una parte i governi potrebbero invertire le loro attuali politiche di spesa e riprendere il loro ruolo di principali finanziatori dei progetti infrastrutturali, dall’altra gli investitori privati potrebbero essere maggiormente coinvolti nello sviluppo di progetti innovativi. Al tempo stesso, si richiede di adottare un orientamento di lungo periodo - non legato quindi esclusivamente all’emergenza in corso - che permette di distinguere, richiamando il vibrante discorso di Mario Draghi, tra “debito buono e debito cattivo”. È in questo scenario che si colloca il processo, recentemente avviato sotto l’impulso del Governo e guidato dalla leadership di Cassa Depositi e Prestiti, per la realizzazione di una rete unica di telecomunicazioni a banda ultralarga, che sia in grado di superare i conflitti che negli ultimi anni hanno portato a una non ottimizzazione degli investimenti e degli sforzi in campo. Agire velocemente è oggi una priorità strategica, così come non meno importante è salvaguardare la parità di accesso e la competizione sul mercato dei servizi, con un modello di funzionamento della nuova realtà non verticalmente integrato per avere chance di approvazione da parte dell’antitrust: i due obiettivi rischiano di non essere compatibili. Molti infatti sono ancora gli interrogativi, nonostante il ruolo proattivo che CDP sta giocando per assicurare al Paese la possibilità di uscire da uno stallo negoziale che dura ormai da tempo. Le necessarie interlocuzioni e verifiche con le autorità competenti, unite ai tempi di un’operazione finanziariamente e tecnicamente complessa – non possiamo dimenticare ad esempio che le due tecnologie adottate per la fibra fino a casa da Tim e Open Fiber “non si parlano”, che la rete di nuova generazione di Open Fiber per le aree bianche è sviluppata per un committente preciso, ovvero Infratel e dunque lo Stato che ne è il reale proprietario, che il valore degli asset non può che essere determinato da processi di valutazione realizzati con l’adozione delle migliori pratiche e pertanto non necessariamente rispecchieranno i valori auspicati dai diversi attori – determinano un orizzonte temporale per l’ipotesi della rete unica probabilmente di almeno due anni. Quello che appare evidente, tuttavia, è che è necessario stimolare gli investimenti oggi, per garantire la crescita economica e sociale, vero bene pubblico in discussione. In quest’ottica il modello del coinvestimento e della concorrenza infrastrutturale potrebbe favorire un’accelerazione e rimanere in piedi ancora a lungo, in un mercato, quello Europeo, in cui la pratica dominante è la presenza di diversi operatori wholesale che offrono servizi di accesso a tutti alle medesime condizioni. Dobbiamo fare presto e bene, l’Italia non può permettersi un nuovo passo falso in questo settore.

05 Agosto 2020

La centralità della customer (ed employee) experience

Sia il focus crescente sul “purpose” che l’obiettivo di generazione di valore per tutti gli stakeholder riaffermano la necessità di promuovere – all’interno delle nostre aziende – la cultura della centralità del cliente (e del cliente interno) per garantire risultati sostenibili nel lungo periodo Redatto da Pier Paolo Bucalo, Adjunct Professor presso Luiss Business School e Coordinatore del Comitato Scientifico per l’Executive Programme in “Customer Experience Management”   Lo slogan “Customer is King” non è certamente nuovo, ma negli ultimi tempi il focus sulla customer experience è diventato prioritario per tutte le aziende, in primis per quelle “consumer”. È ormai chiaro come il successo di un’azienda non dipenda più solamente dalle caratteristiche del prodotto o servizio offerto (qualità, prezzo, etc.), ma da come essa si relaziona con i propri clienti, dalle esperienze che fa vivere loro durante l’intera “customer journey”: dal momento in cui il potenziale cliente si avvicina al brand o ne sente parlare, a quando lo stesso analizza l’offerta di prodotti e servizi, fino a quando poi diventa effettivamente cliente e fino a quando lo rimane. Anche un’azienda che investa somme ingenti per creare un prodotto eccezionale o lanciare campagne pubblicitarie memorabili, se prodotto e comunicazione non sono supportati da una customer experience positiva, avrà molte difficoltà ad avere successo. Un cliente soddisfatto è molto meno probabile che lasci l’azienda, ed alle aziende costa molto meno gestire clienti fedeli che acquisirne di nuovi. Un cliente soddisfatto inoltre parla bene dell’azienda agli amici, ed il giudizio positivo degli amici è tra i fattori determinanti quando si tratta di scegliere un prodotto o un servizio. “La Customer Experience (CX) è diventata il nuovo marketing”, ricorda Denise Lee Yohn su Harvard Business Review [1]. La CX influenza la percezione del brand ed impatta la performance del business in modo chiaro e diretto. Secondo Forrester, oggi i consumatori non distinguono tra "brand experience" e "customer experience". Di conseguenza, è opportuno che le diverse funzioni aziendali lavorino insieme per sviluppare una vision unica ed allineare tutte le risorse, affinché la promessa del brand e la brand experience siano messe in connessione con la customer experience. Inoltre, come ci ricorda Charles Dickens: “La prima carità comincia a casa propria”. Se quindi un’azienda è seriamente intenzionata a servire al meglio i suoi clienti finali, è opportuno che non si dimentichi dei propri dipendenti, e investa seriamente sulla Employee Experience (EX). Senza una forza lavoro ingaggiata e motivata, è infatti molto difficile tradurre esperienze individuali in Customer Journey soddisfacenti[2]. Molti progetti volti alla motivazione e valorizzazione dei dipendenti possono essere portati avanti contemporaneamente ai progetti con un focus sulla customer experience, con evidenti sinergie. Se le funzioni CX e EX (Employee Experience) portano entrambe valore all’azienda, quando queste due funzioni sono gestite in modo sinergico, esse creano un vantaggio competitivo sostenibile. Vi sono infatti profonde similarità tra le competenze di cui un’azienda ha bisogno per diventare “best employer of choice” e le competenze necessarie affinché la stessa azienda sia in grado di offrire ai propri clienti una “superior customer experience”. [3] Coerentemente con questo scenario, in numerose aziende, soprattutto nord-americane, si sta in questi ultimi anni diffondendo il ruolo del CXO, Chief Experience Officer, che guida entrambe le funzioni (CX & EX). Affinché questo ruolo possa contribuire – in modo trasversale - a rompere i silos funzionali, viene di solito posizionato come funzione in staff al CEO o General Manager, il cui supporto è indispensabile per la sua efficacia. Qui di seguito alcune tra le principali responsabilità del Chief Experience Officer: Aumentare la conoscenza/comprensione dei Clienti tra i dipendenti; Aumentare la conoscenza/comprensione dei dipendenti nel management; Guidare il disegno e l’implementazione di esperienze destinate a Clienti e dipendenti; Evidenziare e sviluppare sinergie tra CX ed EX; Misurare l’impatto della CX sui dipendenti, l’impatto della EX sui Clienti, e l’impatto di entrambe sui KPI aziendali. Affinché CX ed EX possano generare i frutti attesi, sono necessari numerosi ingredienti, oltre al commitment del top management, indispensabile per cambiare la cultura aziendale: Comprensione e consapevolezza condivisa e diffusa dell’impatto enorme di una cultura customer-centric sull’intera organizzazione; Conoscenza e comprensione di bisogni, desideri, percezioni e preferenze dei Clienti; Capacità di trasformare dati e big data in metriche ed insight che possano essere un valido supporto al management nella definizione degli obiettivi strategici ed operativi, e che consentano di individuare criticità e priorità di azione, nel rispetto dei vincoli del cost-to-serve; Abilità nell’utilizzare le nuove tecnologie sia per migliorare l’esperienza di Clienti e dipendenti che per acquisire in modo efficiente informazioni preziose che arricchiscano i dati di cui al punto precedente; Sviluppo di un modello organizzativo che consenta la responsabilizzazione dei dipendenti, ed in particolare della front-line, e che offra loro la libertà e gli strumenti necessari per offrire ai clienti customer experience di valore. Un trend molto importante, che in questi anni si è diffuso rapidamente, è legato al “purpose”, che in estrema sintesi è la ragione stessa dell’esistenza dell’azienda. Tutte le aziende di maggior successo sono guidate da un chiaro “purpose”. Per comprendere meglio il concetto, può essere molto utile un breve video da un TED Talk di Simon Sinek, dal titolo “Start with why”, dove Sinek spiega chiaramente come “People don’t buy what you do, they buy why you do it”: i clienti non comprano ciò che un’azienda offre, ma sposano la ragione per la quale un’azienda fa ciò che fa [4]. Secondo una recente ricerca di Accenture[5], oltre a prezzo, qualità dei prodotti/servizi e customer experience, per i Clienti sono molto importanti elementi quali la trasparenza, l’attenzione nei confronti dei dipendenti, la presenza di valori etici e la dimostrazione di autenticità e coerenza in tutto ciò che l’azienda fa. Il purpose appunto. Secondo Larry Fink, CEO di BlackRock, nella sua lettera ai CEOs 2020, “un’azienda non può raggiungere profitti nel lungo periodo senza abbracciare il purpose e considerare i bisogni di un ampio spettro di stakeholder. […] Al contrario, un forte impegno nei confronti di tutti gli stakeholder aiuta l’impresa ad entrare in più stretta connessione con i propri Clienti. […] Purpose is the engine of long-term profitability.” Più recentemente, meno di un anno fa, una nuova spinta a perseguire con ancora maggior attenzione l’impegno la soddisfazione dei propri dipendenti e una esperienza coinvolgente per i propri clienti ci è arrivata dagli Stati Uniti, dalla potente associazione di tutte le grandi multinazionali americane, che ha parlato di stakeholder value. Il 17 agosto 2019,  Business Roundtable, associazione di cui fanno parte aziende del calibro di Amazon, American Express, Apple, Bank of America, BlackRock, Coca-Cola, JP Morgan Chase e Mastercard, ha pubblicato lo “Statement on the Purpose of a Corporation”, nel quale ha “ufficializzato” il cambiamento dell’obiettivo dell’azienda: non più generazione di valore per i soli azionisti (shareholder value) ma per tutti gli stakeholder: “… generare valore per i clienti, investire nei dipendenti, rapportarsi in modo equo ed etico con i fornitori, supportare le comunità nelle quali le aziende operano e generare valore nel lungo periodo per gli azionisti.” Ma si tratta solo di “green washing” o “CSR washing”, ossia di strategie delle imprese per apparire sinceramente interessate a temi ambientali e sociali? Probabilmente no, grazie ad una sensibilità crescente da parte di consumatori ed investitori sui temi ambientali e sociali, misurati da questi ultimi con nuove metriche ad hoc: i fattori ESG (Environmental, Social e Corporate Governance). Crescono anche gli impact investors, investitori che non guardano solo al ritorno economico ma anche all’impatto sociale ed ambientale dei propri investimenti. Anche le nuove generazioni fanno essere ottimisti. Come fa notare ancora Larry Fink, citando una recente ricerca di Deloitte[6], quando è stato chiesto ai millennials quale debba essere l’obiettivo primario di un business, coloro che hanno risposto “migliorare la società” sono stati il 63% in più rispetto a coloro che hanno risposto con il più classico “generare profitti”. Anche un bell’articolo di Almandoz, Lee e Ribera evidenzia come molti giovani lavoratori siano attratti da opportunità di lavoro presso purpose-driven companies: aziende dove la ricerca del profitto sia unita al desiderio di migliorare il mondo. [7] Possiamo quindi affermare che sia il focus crescente sul “purpose” che l’obiettivo di generazione di valore per tutti gli stakeholder evidenziano ulteriormente la necessità e l’importanza di promuovere – all’interno delle nostre aziende – la cultura della centralità del cliente (e del dipendente, cliente interno) come leve indispensabili per garantire risultati economici sostenibili nel lungo periodo. Da questa esigenza del mercato scaturisce la mia collaborazione con Luiss Business School per la progettazione ed il coordinamento dell’Executive Programme in Customer Experience Management, la cui terza edizione partirà nel 2021. Articolato in 8 incontri su 4 mesi, questo programma, grazie ad una faculty d’eccezione composta da esperti del settore e CEO/Director di alcuni dei brand più importanti sul mercato, fornirà ai partecipanti le competenze e gli strumenti per comprendere e misurare la customer experience e le variabili che la influenzano, per poi disegnare una esperienza coinvolgente per i clienti target attraverso l’intera customer journey omni-canale. SCARICA LA BROCHURE [1] Denise Lee Yohn, “Why Every Company needs a Chief Experience Officer”, HBR, June 2019 [2] McKinsey & Co. “When the Customer Experience Starts at Home”, 2017 [3] Pier Paolo Bucalo “La Conoscenza del Fattore Umano”, Linkedin 2019 [4] Video di Simon Sinek: https://youtu.be/Jeg3lIK8lro [5] Accenture “From Me to We: The Rise of the Purpose-Led Brand”, 2018 [6] Deloitte “The Deloitte Global Millennial Survey”, 2019 [7] J. Almandoz, Y-T. Lee and A. Ribera “Unleashing the Power of Purpose”, IESE Insight 2018

16 Luglio 2020

RaiPlay: Capparelli, «Il piano di digitalizzazione non si ferma, ora aumentare connessione nel Paese»

La direttrice della piattaforma streaming della Rai: «Anche dopo lockdown siamo in netta crescita rispetto a un anno fa»   Nessun ritardo, nonostante la pandemia, nel piano di digitalizzazione della Rai e focus di RaiPlay sul posizionamento della piattaforma proprietaria, senza escludere partnership in futuro. A fare il punto con DigitEconomy.24 (report di Radiocor e Luiss Business School) è Elena Capparelli, direttrice di RaiPlay che durante il periodo clou della pandemia «ha toccato il 45% della platea digitale». Ora, concluso il  lockdown, prosegue Capparelli, «siamo in netta crescita rispetto allo stesso periodo di un anno fa, ma paghiamo l’assenza di tanti prodotti che sono quotidianamente fruiti sulla piattaforma da anni (“Un posto al sole”)». E nell’autunno che verrà? Si punterà, tra l’altro, sugli otto appuntamenti con Edoardo Ferrerio e sul racconto di Taranto, con parole e musica, di Diodato. Sullo sfondo resta il problema della connettività nel Paese perché, spiega Capparelli, «occorre mettere in atto tutto quanto necessario affinché aumenti il livello medio di connettività del Paese». A che punto è il piano di digitalizzazione della Rai? avete subito battute di arresto a causa della pandemia? Nessun  arresto, anzi con l’emergenza in corso, abbiamo cercato di lavorare molto sugli archivi recuperando contenuti del passato e digitalizzando contenuti che erano solo su supporti analogici. L’offerta digitale diventa sempre più ampia, con Sky appena sbarcata nella banda ultra larga, e Netflix che sta potenziando la sua presenza in Italia. Quale sarà la risposta della Rai? La Rai sta puntando molto sui nuovi consumi e sull’opportunità di intercettare target più giovani. Il progetto di potenziamento di RaiPlay, che ha visto il lancio della nuova piattaforma su tutti i device, a novembre scorso, va in questa direzione. Diversamente dagli altri player la Rai ha una storia lunga e un’offerta ampia e variegata come nessun altro, con i suoi canali lineari generalisti e tematici. RaiPlay consente la fruizione in diretta e on demand di tutti questi contenuti e nella scelta dei prodotti originali pensati, prodotti o acquisiti per la piattaforma, il nostro obiettivo è lavorare su target diversi, ampliare la platea anche puntando a offerte molto verticali, sperimentare linguaggi e formati. Insomma, attraverso RaiPlay, la Rai vuole diventare più moderna e più giovane. Ci sono in vista alleanze con altri player? In questo momento stiamo lavorando principalmente al posizionamento della piattaforma proprietaria, non possiamo escludere che in futuro sia possibile creare sinergie e alleanze. Lo abbiamo fatto anche in passato, tendenzialmente il nostro obiettivo è rendere massimamente accessibile e distribuita la nostra offerta, tutto quello che va in questa direzione lo prendiamo in considerazione. RaiPlay ha avuto grande successo con Fiorello l'anno scorso. Ci saranno altre punte di diamante nella prossima stagione? Le 18 puntate originali di “VivaRaiPlay” rimarranno alla storia, Fiorello ha regalato al suo pubblico uno show pazzesco, innovativo, raffinato, divertente, sempre diverso. Poi abbiamo avuto Jovanotti con il suo docutrip “Non Voglio Cambiare Pianeta”. Abbiamo fatto una serie con i The Jackal e stiamo andando in onda con Scifoni “La mia Jungla”. In autunno avremo otto appuntamenti con Edoardo Ferrario e uno show originale. Ma anche Diodato che racconterà, con parole e musica, la sua Taranto.  Che numeri ha registrato RaiPlay durante il lockdown?  Il trend è continuato successivamente? Durante il lockdown RaiPlay è stata molto utilizzata. Da una parte è proseguito l’impegno ad alfabetizzare la popolazione più adulta, dall’altra a intercettare la curiosità dei più giovani solitamente restii ad affidare a Rai il proprio tempo per intrattenersi; ha raggiunto oltre il 45% della platea digitale, secondo Auditel. I mesi di marzo aprile e maggio hanno segnato un salto in avanti per l’offerta cinema, kids e learning. Ora siamo in netta crescita rispetto allo stesso periodo di un anno fa, ma paghiamo l’assenza di tanti prodotti che sono quotidianamente fruiti sulla piattaforma da anni (“Un posto al sole”). Per vedere i contenuti Rai su RaiPlay è necessaria una buona connessione a Internet, colmando il digitale divide che c'è ancora in Italia. Pensate che una rete unica di tlc possa essere d'aiuto a colmare il divario?  Il player di RaiPlay prevede che il flusso sia adattativo. Sale la qualità del video solo se la banda di cui disponi lo consente. Certo in tutto questo occorre mettere in atto tutto quanto necessario affinché aumenti il livello medio di connettività del Paese, perché questo potrà favorire un accesso diffuso e capillare e non legato al territorio. Che impatto prevedete con l'avvento del 5G nel vostro modello di business?  Sarà l’occasione per predisporre esperienze di fruizione multi device ancora più immersive. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO  16/07/2020

16 Luglio 2020

Timvision: Josi, «abbonati +20% nel I trimestre, a settembre offerte dedicate e occhi su asta calcio»

L'intervista a Luca Josi, direttore Brand strategy, media & multimedia entertainment del gruppo di telecomunicazioni, oggi su DigitEconomy.24, il report Luiss Business School e Il Sole 24 Ore - Radiocor   Una crescita degli abbonati di Timvision del 20% nel primo trimestre, in piena pandemia, con attese di mantener il trend anche nel secondo. Sono i risultati di Timvision, come racconta nell'intervista a DigitEconomy.24 (report di Radiocor e Luiss Business School) Luca Josi, responsabile brand strategy, media & multimedia entertainment di Tim, nel giorno del lancio del nuovo spot pubblicitario da lui creato che racconta la storia e la mission del gruppo.  Timvision si conferma quindi terza, come risulta da un’indagine Omdia, tra gli over the top che trasmettono in streaming, dopo i giganti Netflix e Amazon Prime Video, prima di Now Tv e Vodafone Tv. Tra i nuovi progetti, continua Josi, un nuovo accordo in arrivo, un’offerta tematica dedicata e la valutazione sulla partecipazione all’asta per i diritti del calcio: «Nel mondo del calcio siamo presenti con una sponsorizzazione ventennale e per definizione guardiamo a tutto quello che succede, anche alle aste. E’ un settore in fortissima evoluzione, dobbiamo capire prima da che parte si sta andando. Ci sono tante variabili aperte, a partire da quello che succederà nei prossimi mesi». Quali numeri di attivazione avete registrato nel corso della pandemia? Nel post lockdown il trend è rimasto uguale? Il momento è stato particolare e ha sicuramente determinato un’ulteriore spinta al trend già in crescita degli abbonati: nel primo trimestre abbiamo registrato una crescita di oltre 20% e contiamo che possa proseguire anche nel secondo. A prescindere da questo però ci tengo a precisare che il lavoro fatto fino ad oggi ci ha permesso di consolidare la nostra posizione tra i primi tre player del mercato in Italia, ovvero al fianco di giganti come Netflix e Amazon Prime Video. Se la crisi fosse avvenuta 20 anni o 30 anni fa, in assenza dei mezzi tecnologici, questa tragedia sarebbe stata ancora più ampia. Solo un lustro fa ci sarebbero state meno presenza e penetrazione dei servizi che hanno aiutato a gestire l’emergenza e alleviato il periodo del lockdown come, ad esempio, poter fruire di un mondo infinito di contenuti. In un momento di grande complessità abbiamo consolidato due risultati: la tenuta della nostra rete e la crescita dei nostri servizi, anche della piattaforma, garantiti in un momento emergenziale dal nostro gruppo. Riguardo al futuro, la pandemia ha cambiato di molto la predisposizione delle persone; ci sono macro-eventi imprevedibili nell’evoluzione della sociologia del consumo che invitano a confrontarsi con nuovi sistemi di offerta, di contenuti, o semplicemente di fruizione digitale. Temete la concorrenza di Sky che è sbarcata recentemente nel mercato della banda ultralarga con la sua ampia offerta di contenuti? Siamo abituati a muoverci in un mercato competitivo e siamo totalmente consapevoli della forza della nostra capacità di offerta e della nostra struttura. Per cui tutto ciò che contribuisce a essere di stimolo per aumentare la propria serotonina, intesa come voglia di essere ancora più competitivi, la prendiamo con la serenità dello sportivo. Che novità presenterete per la prossima stagione? Nuovi progetti in cantiere per settembre? Su Timvision stiamo costruendo offerte verticali dedicate a grandi comunità di passioni e di interessi che vanno dal mondo della scuola alla moda, agli animali, all’impresa, alla musica. A settembre saranno presentate le prime quattro aree, con l’obiettivo di arrivare a nove quanto prima. Partiremo con le comunità legate alla scuola dell’obbligo, agli animali, al mondo della musica e a quello delle piccole imprese. Abbiamo trovato un modo molto originale di declinare questi contenuti, è un progetto che abbiamo pensato alla fine dello scorso anno e lo abbiamo sviluppato nel mezzo alla pandemia, adesso lo stiamo portando a termine. Questo è un esempio di come la combinazione delle strutture possa lavorare assieme. Chi coordina questa tipologia di prodotto sarà, infatti, la stessa struttura che coordina le campagne del mondo Tim, che stanno per riaprirsi con un nuovo ciclo che esploderà a settembre.  Di recente è diventato operativo l’accordo con Disney+. Siete soddisfatti della collaborazione? Che risultati avete ottenuto? Siamo estremamente soddisfatti, la performance italiana di Disney+ è tra le più brillanti. Noi abbiamo avuto, oltre a un significativo ritorno di utenti, anche un importante risultato in termini di efficacia della campagna pubblicitaria. D’altronde in Italia, visto il rapporto consolidato da anni con Disney, abbiamo potuto usufruire di un’unicità, ovvero della caratterizzazione della campagna nel nostro territorio che ci è stata concessa da un mondo molto organizzato come quello del nostro partner. Dopo gli accordi con Netflix e Disney avete in progetto altre partnership di rilievo? Stiamo lavorando ad un progetto molto interessante che racconteremo nelle prossime settimane. In realtà siamo già molto soddisfatti del portafoglio contenuti che stiamo proponendo con Timvision. Un’offerta davvero unica che abbiamo studiato e messo a punto grazie al ruolo chiave di Carlo Nardello, chief strategy, customer experience & transformation officer di Tim, assieme ad Andrea Fabiano, responsabile della piattaforma, anche loro come me con una lunga formazione televisiva. E siamo riusciti ad arrivare ad un’offerta che è davvero unica. Tim ha di recente incorporato Timvision per unificare la produzione dei contenuti. Quali vantaggi o sinergie aspettate da questa operazione? Quando si è aperta nel gruppo la sfida su un’ulteriore crescita nei contenuti, la visione dell’amministratore delegato, Luigi Gubitosi, è stata quella di portare anche l’area di Timvision nella divisione di cui sono responsabile. Nonostante ottime partnership con le agenzie che ci supportano, siamo molto autonomi per quanto riguarda la creatività di tutta la direzione commerciale, abbiamo pensato che condensare nella stessa struttura tutte le dimensioni potesse essere una buona idea. Ci siamo quindi mossi in questa direzione. Timvision all’ultima asta per diritti calcio decise di fatto di non partecipare: alla prossima potreste cambiare idea? Nel mondo del calcio siamo presenti con una sponsorizzazione ventennale e per definizione guardiamo a tutto quello che succede, anche alle aste. E’ un settore in fortissima evoluzione, dobbiamo capire prima da che parte si sta andando. Ci sono tante variabili aperte, a partire da quello che succederà nei prossimi mesi. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO  16/7/2020 

02 Luglio 2020

Leadership e gestione remota nella nuova impresa digitale

Da people leader a “e-leader” di collaboratori remoti: un webinar per approfondire le best practice di Smart Working e le innovazioni necessarie per convertire l’esperienza dell'emergenza in una grande opportunità di trasformazione digitale del Paese. RIVEDI IL WEBINAR L’emergenza sanitaria ha dimostrato che le imprese più resilienti sono state quelle già organizzate per avvantaggiarsi subito delle potenzialità delle tecnologie digitali. Durante il lockdown questa condizione ha riguardato non più del 30% delle imprese italiane, coinvolgendo circa 8 milioni di italiani che hanno potuto continuare a svolgere la propria attività in sicurezza lavorando da remoto. L’insegnamento da trarre è che non si può e non si deve tornare indietro: nella fase di ripartenza i passi giusti da fare sono dunque quelli di estendere e completare i processi innovativi avviati. Implementare lo Smart Working significa mettere il lavoratore al centro dei processi produttivi, spostando la misurazione del merito dal quanto lavorato ai risultati, con la possibilità di un migliore bilanciamento tra vita privata e lavoro, in un circolo virtuoso con impatti importanti sulla crescita della produttività aziendale e sulla sostenibilità ambientale. Nel corso del webinar verranno presentati i risultati del rapporto dello Steering Committee "Competenze e capitale umano" di Confindustria Digitale e dell’indagine di Luiss Business School su "Smartworking durante la pandemia Covid 19". (Leggi la preview dell'indagine Luiss Business School su Il Sole 24 Ore, 15 luglio 2020) Programma Dalle esperienze delle imprese ICT alle strategie di e-leadership Conversazione tra:  Cesare Avenia, Presidente Confindustria Digitale Paolo Boccardelli, Direttore Luiss Business School Stefano Venturi, Presidente Steering Committee Competenze e capitale umano Confindustria Digitale Una nuova cultura digitale nel lavoro Ne discutono: Laura Di Raimondo, Direttore Assotelecomunicazioni-Asstel Massimo Giordani, Marketing Strategist, Presidente "Associazione Italiana Sviluppo Marketing" Guelfo Tagliavini, Consigliere Federmanager   Dibattito   Conclusioni Cesare Avenia, Presidente Confindustria Digitale Per partecipare è necessaria la registrazione.  REGISTRATI  RIVEDI IL WEBINAR 2/7/2020 

02 Luglio 2020

Pisano: «Rete unica necessaria, su 5G preoccupazioni infondate»

L'intervista alla ministra dell'Innovazione tecnologica e della digitalizzazione oggi su DigitEconomy.24, il report Luiss Business School e Il Sole 24 Ore - Radiocor     La rete unica è necessaria ed è una «questione all'attenzione del governo.  A prescindere da chi ne possa essere il proprietario, ciò che conta è che la sua gestione e la sua configurazione siano tali da scongiurare ogni genere di minaccia interna o internazionale e di garantire il massimo livello possibile di concorrenza in tutti i mercati abilitati dall'accesso all'infrastruttura di rete». E' la posizione di Paola Pisano, ministra per l'Innovazione tecnologica e la digitalizzazione che, in un'intervista a DigitEconomy.24 (report di Radiocor e Luiss Business School), fa il punto sulla situazione delle infrastrutture di tlc in Italia nel post pandemia. Riguardo all'altro argomento caldo, cioè il 5G e il dibattito tra favorevoli e contrari, Pisano invita i sindaci che mostrano perplessità a leggere le ricerche a proposito. «Se risultassero effetti negativi sulla salute – afferma - sarei la prima a oppormi, ma al momento negli studi che ho presente questa evidenza non l'ho riscontrata. Nessun Paese può permettersi il vezzo di non giocare la partita del 5G in nome di preoccupazioni che, ad oggi, non risultano argomentate e fondate». Sull'innalzamento dei limiti elettromagnetici, richiesto dagli operatori e dal piano Colao, Pisano mostra cautela: «Se i rischi sono effettivi, teniamoci i nostri limiti prudenti, ma se non lo sono non possiamo privare cittadini e imprese di una tecnologia che può far la differenza in termini di posti di lavoro e competenze importanti per un Paese». Usciti dalla fase più drammatica della pandemia, quali sono le priorità su cui agire nei settori delle tlc e del digitale? La pandemia e la chiusura delle attività hanno reso ancora più evidente il divario digitale che penalizza il nostro Paese, dotato tuttora di infrastrutture per la connettività che richiedono consistenti miglioramenti. I cittadini connessi con un'adeguata capacità di banda hanno potuto lavorare da remoto, non interrompere il contatto con la scuola seguendo le lezioni a distanza, sfruttare in pieno alcuni vantaggi del commercio elettronico. Le strutture sanitarie nelle stesse condizioni sono risultate in grado di ricorrere a soluzioni di telemedicina. Nelle zone del Paese in cui la connessione non è ancora arrivata o vi è una potenza insufficiente le imprese e i cittadini invece sono rimasti fuori da queste opportunità. Non è un bene. Come ritiene si possa porre rimedio a questo divario? E' una priorità ormai non più rinviabile garantire un'adeguata connessione in ogni angolo del Paese. Occorre offrire a tutti i cittadini le stesse condizioni di accesso alle rete. Il processo di digitalizzazione deve dare a ciascuno le stesse opportunità di crescita e di miglioramento della qualità della vita, va fatto il possibile affinché nessuno sia costretto a rimanere indietro. Ovviamente la connettività da sola non basta ad assicurare un adeguato livello di digitalizzazione. Non riusciremo a mettere il Paese sulla strada della ripartenza senza un forte impegno per far crescere le competenze, e non soltanto quelle dei giovani, sia nel settore pubblico che in quello privato. Vanno inseriti nei vari rami della pubblica amministrazioni giovani preparati, ma questo non basta. Ritengo necessario attrarre nella macchina dello Stato persone che abbiano avuto esperienze nelle nuove tecnologie e che abbiano capacità manageriali. Servono leader in grado di guidare i giovani in progetti complessi, come nel processo di trasformazione digitale. Le sfide alle quali il Paese è chiamato riguardano anche il futuro. E al futuro occorre arrivare preparati. In quale modo? L'utilizzo della tecnologia digitale deve portare ad una semplificazione nei rapporti tra cittadini e amministrazione. Questo è l'obiettivo. Siamo consapevoli che il processo richiede tempo e un impegno costante, richiede formazione e investimenti. Ma siamo determinati a portarlo avanti. I casi sono due: o arretrare o avanzare. Preferiamo forse regredire? Preferiamo perdere benessere e aumentare le difficoltà dei più deboli? Preferiamo perdere posizioni di mercato conquistate grazie alla capacità di innovare avuta in passato? Preferiamo perdere influenza politica in campo internazionale? Credo di no. Oggi sulla digitalizzazione, nonostante nostre avanguardie di alta qualità, registriamo in media un divario a nostro svantaggio rispetto agli altri Paese europei. E' un dislivello da colmare quanto prima, altrimenti non riusciremo a competere adeguatamente sui mercati globali dell'innovazione tecnologica. Il 5G è riconosciuto essere uno dei pilastri della ripartenza, anche nel recente piano Colao, ma è oggetto di duri attacchi. Quali sono i fronti più importanti su cui intervenire? Bisogna ad esempio alzare limiti elettromagnetici oppure sburocratizzare l'iter autorizzativo? Tutte le nuove tecnologie all'inizio possono creare preoccupazioni. Invito i sindaci che hanno manifestato perplessità ad informarsi e a leggere gli studi e le ricerche compiuti sul 5G. Se risultassero effetti negativi sulla salute sarei la prima a oppormi, ma al momento negli studi che ho presente questa evidenza non l'ho riscontrata. Nessun Paese può permettersi il vezzo di non giocare la partita del 5G in nome di preoccupazioni che, ad oggi, non risultano argomentate e fondate. Pensiamo come si troverebbe adesso l'Italia se le iniziali preoccupazioni avessero frenato lo sviluppo delle precedenti tecnologie, il 3G e poi il 4G. Dovrebbero poi essere considerate le potenzialità della tecnologia 5G per migliorare i servizi ai cittadini. L'utilizzo dei dati cresce in misura esponenziale e il 5G sembra l'unica tecnologia in grado di far fronte alle richieste di incremento di traffico dati nei prossimi anni. Naturalmente resta e deve restare fermo il nostro impegno a non rinunciare alla difesa dei nostri interessi nazionali ed europei in campo di sicurezza, nel rispetto della privacy. Posso fare un esempio?" Quale? Se in un borgo di montagna si intende sviluppare la vocazione turistica, senza una adeguata connettività il servizio al turista potrebbe non essere all'altezza delle aspettative. Ci conviene che anche quel borgo si spopoli? Ci conviene che non produca sviluppo e benessere utili a salvaguardarlo? E i limiti elettromagnetici? Sulla la questione dei limiti elettromagnetici, che in Italia sono molto al di sotto di quelli in vigore negli altri Paesi, non mi sento di esprimere una opinione personale ma credo che sia opportuno fare appello alla scienza: nessuno vuole mettere a rischio la salute dei cittadini, neppure a fronte di possibili vantaggi economici. Se i rischi sono effettivi, teniamoci i nostri limiti prudenti, ma se non lo sono non possiamo privare cittadini e imprese di una tecnologia che può far la differenza in termini di posti di lavoro e competenze importanti per un Paese. Nella pandemia la didattica digitale ha permesso a milioni di studenti di proseguire gli studi, purtroppo una parte di loro non aveva strumenti e connessione per farlo. Si riuscirà ad arrivare a settembre con una situazione migliore, per far fronte a un'eventuale nuova emergenza? Ce la stiamo mettendo tutta e dobbiamo riuscirci. Gli strumenti digitali devono essere messi nella disponibilità di tutti gli studenti, da Nord a Sud, e non creare nuove disuguaglianze. Nell'ultima riunione del Comitato banda ultra larga (Cobul), che presiedo, è stato deciso il 24 giugno di accelerare l'erogazione di voucher alle famiglie con reddito Isee fino a 20.000 euro. A chi ne ha diritto serviranno per coprire costi di connessione a internet e per comprare un personal computer o un tablet. Alle famiglie che per la prima volta acquistano la connessione a internet vengono erogati 200 euro. Per l'acquisto del computer è previsto un bonus di 300 euro. Per la didattica a distanza, ancor più che per il lavoro da remoto, il contatto personale con insegnanti e compagni di classe è insostituibile. La scuola è anche un'esperienza di vita. Dobbiamo però essere pronti a fronteggiare eventuali nuove emergenze. La digitalizzazione della Pa è un altro degli obiettivi da raggiungere per rilanciare il Paese. Come rimuovere gli ostacoli principali? Per velocizzare la digitalizzazione del Paese è necessario realizzare una rete unica che possa connettere effettivamente l'intero Paese, oltre che colmare il divario digitale del quale parlavamo prima. Dagli ‘Stati generali dell'economia' è emersa inoltre l'indicazione di investire nel settore dei pagamenti digitali per combattere l'economia sommersa. La digitalizzazione della Pubblica amministrazione è un percorso indispensabile per la crescita economica del Paese, per far risparmiare tempo alle imprese nell'affrontare pratiche, per migliorare la qualità della vita dei cittadini. I quali devono poter accedere ai servizi digitali in maniera semplice, attraverso lo smartphone, comodamente da casa. Più l'amministrazione riesce a essere accessibile da uno smartphone e più è facile da ‘usare' per i cittadini, più è efficiente. L'applicazione ‘IO', che si scarica sul telefono ed è il canale unico per accedere ai servizi digitali della pubblica amministrazione, è una strada valida da allargare. Adesso viene utilizzata anche per usufruire in modo semplice e veloce del bonus vacanze predisposto dal ministero per i Beni e le attività culturali e per il Turismo. Si parla tanto del dilemma rete unica/competizione infrastrutturale, anche nell'ottica di colmare il digital divide. Quale il ruolo del Governo e della Cdp? Come si possono assicurare parità di condizioni a tutti gli operatori? La realizzazione della rete unica è una necessità riconosciuta e la questione è all'attenzione del governo. A prescindere da chi ne possa essere il proprietario, ciò che conta è che la sua gestione e la sua configurazione siano tali da scongiurare ogni genere di minaccia interna o internazionale e di garantire il massimo livello possibile di concorrenza in tutti i mercati abilitati dall'accesso all'infrastruttura di rete. Il nostro obiettivo è portare in modo veloce la connettività a tutti i cittadini, rispettando l'ambiente e con le tecnologie necessarie. Questo non è un vezzo o un capriccio. E' un dovere che abbiamo affinché nessuno di noi resti indietro. SFOGLIA IL REPORT

18 Giugno 2020

Eolo: «Pronti a far parte della rete unica ma utilizzare tutte le tecnologie compreso Fwa»

 L'intervista all'amministratore delegato Luca Spada su DigitEconomy.24, il report Luiss Business School e Il Sole 24 Ore   Sì a gare subito per le aree grigie rimaste senza impegni cogenti di copertura, ma tenendo conto di tutte le tecnologie, compreso Fwa, il Fixed wireless access. Sì ai voucher per incentivare la domanda di banda ultra-larga, ma concentrandosi sul passaggio dalla banda stretta alla quella ultra-larga, piuttosto che sprecare risorse anche per l'upgrade dai 100 megabit, velocità già performante, a 1 giga, come nei documenti circolati finora. Sono alcuni dei distinguo, nel corso di un'intervista a DigitEconomy.24 (report di Radiocor e Luiss Business School) di Luca Spada, amministratore delegato di Eolo, società specializzata nel portare l'Fwa, la connessione mista fibra-radio, nelle zone a fallimento di mercato, riguardo alle previsioni del piano Colao sul fronte digital e tlc, e in genere sul problema della connettività in Italia. E sul tema-principe della rete unica, ben venga, secondo Spada, una sola infrastruttura, a cui Eolo è pronta a partecipare, ma occorre tener conto delle connessioni già esistenti. In generale, per dare la connettività necessaria in tutta Italia, l'ad di Eolo chiede «una regia comune, un tavolo, c'è già lo strumento del Cobul, ma va aperto a tutti gli operatori, per evitare duplicazioni e mettersi d'accordo». Dottor Spada che ne pensa della parte del piano Colao su digitalizzazione e telecomunicazioni? Siamo d'accordo col dire che le aree grigie, che sono diventate bianche nel frattempo poiché non vi sono impegni cogenti di copertura, vadano rimesse a gara per stimolare l'intervento degli altri operatori. Ma l'obiettivo di un nuovo bando pubblico deve essere neutrale dal punto di vista tecnologico, ormai esistono tecnologie alternative alla fibra come l'Fwa. Non c'è dubbio alcuno che la fibra è la migliore soluzione, ma per stenderla ci vuole tanto tempo, tempo che ora non c'è più, la gente ha bisogno di una connessione veloce. Il piano Colao giustamente sollecita a fare la gara, ma attenzione: se vogliamo coprire velocemente queste aree ci vuole un mix di tecnologie; fibra ed fwa vanno a braccetto, l' fwa arriva più velocemente, la fibra dà una maggiore garanzia nel futuro. E sul tema dei voucher per stimolare la domanda? I voucher, secondo il piano Bul, sarebbero già dovuti partire. Li hanno fatti slittare, e, ovviamente, noi ci siamo lamentati. Intanto sono girati già i primi documenti che descrivono come saranno erogati. Viene indicata come prima data il mese di luglio, più possibilmente settembre, per le famiglie che hanno un Isee sotto i 20mila euro. Tuttavia i voucher, per come stanno circolando le bozze oggi, riguardano non solo il passaggio da connessioni a banda stretta a quelle a banda ultra larga, cioè ad almeno 30 megabit a linea, ma hanno lasciato aperta la possibilità di un passaggio da 100 megabit a 1 giga. E' troppo in questo momento, visto che, dagli ultimi dati Agcom, risultano ancora 7,8 milioni di linee sotto i 30 mega, di cui addirittura 3,5 milioni con velocità al di sotto dei 10 mega. E non dimentichiamo che ci sono ancora 11,5 milioni di famiglie italiane che non hanno un abbonamento Internet a casa e che ci sono già 3,5 milioni di linee a banda stretta da passare a banda ultra larga. Bisogna in poche parole concentrare gli stimoli nelle aree bianche del Paese dove risiedono le famiglie con connessioni, ormai inadeguate, a banda stretta. L'Agcom sta procedendo con i lavoro nell'ambito del tavolo Pisano per le aree dove non arriva copertura internet. Quale sarà il vostro contributo? In queste aree operiamo noi e un certo numero di piccoli operatori a livello comunale o provinciale. Abbiamo già inviato la lista delle aree che copriamo, e stiamo preparando un ulteriore documento con i comuni che possiamo raggiungere con un ulteriore sforzo. Ma c'è il problema delle autorizzazioni: se non le sbloccano solo per installare un'antenna devono passare due mesi di silenzio-assenso. Abbiamo tuttavia un certo numero di siti che possiamo abilitare velocemente perché dobbiamo solo aggiungere un'antenna su un sito preesistente. Sono investimenti aggiuntivi rispetto al vostro piano da 150 milioni per estendere la copertura da 6.000 a 7.500 comuni? Dentro questo piano ci sono alcune aree identificate dal tavolo Pisano che ci ricadono, altre no, e c'è bisogno di un intervento ad hoc. Sono aree che non riusciamo a coprire con le nostre forze. Senza incentivo, senza l' aiuto pubblico non riusciremo a coprirle. Rete unica e ritardi nell'infrastrutturazione: qual è la vostra posizione? Sulla rete unica siamo d'accordo e siamo anche disposti a farne parte visto che è importante non avere duplicazioni, ma con delle condizioni. La rete unica dovrebbe utilizzare un compendio di tecnologie, vanno bene anche l'Fwa e il misto rame-fibra per portare subito la banda ultra larga nel maggior numero di attività abitative. Dell' Fwa ci sarà bisogno, ci sono circa 1,6-1,7 milioni di unità abitative che non avranno la fibra almeno per i prossimi 20 anni, per queste aree ce ne sarà bisogno nel lungo termine. Nel medio termine, inoltre c'è bisogno dell'Fwa in altre aree visto che il piano di Open Fiber è in ritardo, sarà completato possibilmente in 5-6 anni. Che cosa si potrebbe fare per accelerare i processi? È evidente che non possiamo più permetterci ulteriori ritardi. E' necessario avviare una cabina di regia che coinvolga tutti gli operatori infrastrutturali e consenta di sfruttare le sinergie tra le diverse soluzioni architetturali, mettendo a fattor comune le infrastrutture di rete di tutti gli operatori tlc che operano sul territorio, col duplice obiettivo di accelerare la digitalizzazione di tutto il Paese ed evitare inutili duplicazioni infrastrutturali. Tutto questo potrebbe essere fatto nell'ambito del Cobul, il Comitato per la banda ultra larga, che ad oggi è composto unicamente da rappresentanti e funzionari dei vari ministeri coinvolti, ma che non vede alcun ruolo o coinvolgimento degli operatori infrastrutturali. Non possiamo più ignorare che da un lato Open Fiber è in forte ritardo e dall'altro alcuni operatori stanno continuando a investire nelle aree bianche del Paese per portare la banda ultra-larga. Appare evidente che, dove è già arrivata, Open Fiber non dovrebbe più intervenire, soprattutto per quel 1,6 milioni di unità abitative dove lo stesso piano Of prevede la copertura Bul tramite tecnologia Fwa. Si risparmierebbero soldi per portare la fibra dove non c'è. E solo in questo modo che si riuscirà a dotare l'intero Paese, in tempi rapidi, delle "autostrade digitali" necessarie a connettere tutti i cittadini. Che tipo di effetti ha avuto il Covid sui vostri piani? Noi, rispetto ad altre industry come quella delle compagnie aeree, siamo stati molto fortunati. Abbiamo tuttavia subito l'incremento dei costi dovuti al potenziamento delle linee legato all'incremento di traffico, ma con gli stessi ricavi di prima. La pandemia ha dunque comportato una contrazione importante della marginalità. Il nostro obiettivo ora è continuare col piano, ma aumentando anche l'Arpu, cioè il ricavo medio per cliente. D'altronde in Italia la banda costa significativamente meno rispetto ad altri Paesi europei come Germania e Francia. Noi cercheremo di alzare i prezzi non per lucrare ma perché siamo scesi sotto livelli difficili da gestire. Sono convinto che i prezzi aumenteranno, secondo noi lo faranno tutti gli operatori. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 

18 Giugno 2020

Confindustria Digitale: «Basta piani, ora digitalizzare l’Italia»

L'intervista al presidente Cesare Avenia su DigitEconomy.24, il report Luiss Business School e Il Sole 24 Ore   Basta con i piani, è il momento di agire e spingere sull'acceleratore per la digitalizzazione del Paese. E' la posizione di Cesare Avenia, presidente di Confindustria Digitale, in un momento cruciale per il rilancio dell'Italia quando i temi delle tlc e del digitale sono alla ribalta, a partire dal piano preparato dalla Task force Colao e dai primi risultati degli Stati Generali. Un piano, quello Colao «il cui unico difetto- dice Avenia a DigitEconomy.24, report di Radiocor e Luiss Business School - è quello di mettere davanti agli occhi tutti i ritardi che il Paese ha accumulato». Investimenti per completare la rete in banda ultra larga, innalzamento dei limiti elettromagnetici e sburocratizzazione sono tra le priorità del piano Colao che Confindustria Digitale condivide in toto. Al Governo dunque l'appello per compiere un atto di coraggio e fare in fretta: «La cosa più grave che dobbiamo evitare è quella di continuare a definire piani, ora li dobbiamo portare a termine». Presidente Avenia, che cosa ne pensa della parte sul digitale del piano Colao? Se il piano di Colao ha un difetto, è quello che mette davanti agli occhi tutti i ritardi che questo Paese ha accumulato. Noi già da qualche tempo abbiamo lanciato l'allarme, e abbiamo sempre detto che il ritardo nel digitale è il motivo fondamentale per cui il Paese non decolla. Bisogna pur dire che, anche prima della pandemia, non è che ce la passassimo bene, ma l'emergenza ha certamente aggravato una situazione drammatica.  In particolare, a luglio dell'anno scorso, abbiamo presentato il piano straordinario per il digitale; non c'era pandemia, non c'era allarme sanitario, ma quel piano, accolto favorevolmente dall'allora ministro dell'Economia, è caduto nel dimenticatoio a seguito della crisi di governo. Ora le misure previste da quel piano straordinario sono praticamente di nuovo tutte nel piano Colao. Ci auguriamo che questa volta l'emergenza digitale di cui soffre il Paese non venga più ignorata.  Quali sono le priorità che condivide? Innanzitutto c'è l'aspetto degli investimenti per completare la rete in banda ultra-larga. In secondo luogo, in tema di 5G, un altro punto fondamentale è l'adeguamento dei limiti elettromagnetici italiani a quelli degli altri Paesi europei. A proposito di 5G, vale la pena ricordare che in piena pandemia sono stati denunciati collegamenti tra la nuova tecnologia e il coronavirus che hanno allarmato le amministrazioni comunali, vere e proprie fake news che vanno denunciate. Colao, su questo fronte, ribadisce in maniera autorevole che il vero problema è che i nostri limiti elettromagnetici sono molto più bassi rispetto alla media europea.  Un terzo aspetto fondamentale è quello della sburocratizzazione e della digitalizzazione della Pa, necessità messa in evidenza proprio dall'aumento dello smart working a causa delle limitazioni della pandemia. È imprescindibile portare a termine nel più breve tempo possibile il completamento delle piattaforme strategiche nazionali, quali Anpr, Spid, il Fascicolo sanitario elettronico che sono l'architrave su cui poggia la possibilità per la Pubblica Amministrazione di fornire servizi in forma digitale. Occorre inoltre accelerare l'attuazione di tutte quelle azioni previste dal piano triennale per l'informatica della Pubblica amministrazione volte ad assicurare l'interoperabilità tra banche dati e piattaforme. Infine Colao, e questo è un altro punto su cui concordiamo pienamente, dice che il piano industria 4.0 andrebbe potenziato e reso strutturale.  L'Italia, secondo l'indice Desi, è retrocessa dal ventiquattresimo al venticinquesimo posto della Ue a 28. Se lo aspettava? E' un disastro annunciato, i nostri allarmi sono rimasti inascoltati. L'Italia vive una contraddizione insostenibile fra l'essere nei primi dieci Paesi industrializzati al mondo e fra gli ultimi nel ricorso all'innovazione. Una contraddizione che si trascina da anni e che si è tradotta in un vero e proprio blocco delle capacità non solo di crescita, ma anche di progettare un Paese nuovo, più semplice, performante ed efficiente, in grado di attrarre investimenti e aprire nuove opportunità ai giovani. Come si può risolvere il problema del digital divide che affligge il nostro Paese? L'obiettivo da porsi è quello della Gigabit Society 2025, vale a dire copertura con banda di download ad almeno un gigabit al secondo al 100% di tutti i principali driver socio-economici (aziende, scuole, università, ospedali, trasporti e pubblici servizi); copertura al 100% delle famiglie con banda di download ad almeno 100 Mbit/s, valore che deve essere possibile aumentare fino ad un gigabit al secondo; per le connessioni mobili, diffondere la copertura dei sistemi cellulari 5G in tutte le aree urbane e lungo tutte le principali vie di trasporto terrestre. Purtroppo, sulla tabella di marcia della copertura in fibra ci sono ritardi dovuti principalmente alla troppa burocrazia e alla permissistica farraginosa. Concordiamo con Colao quando afferma che, poiché questa infrastrutturazione è cruciale per la produttività del Paese, si deve anche prevedere l'intervento del governo per semplificare e accelerare le procedure prevendo che le autorizzazioni vengano rilasciate a livello centrale.  Una delle critiche mosse al piano Colao è che non prevede le risorse necessarie ai vari interventi, senza stabilire le priorità. Questa polemica è un po' stucchevole, da una parte si dice che il piano dice cose che già si sapevano, ma se c'è un ritardo nel Paese è giusto metterlo in evidenza, contemporaneamente si critica il fatto che non ci siano risorse individuate. Se è vero, com'è vero, che immaginiamo il piano Colao come il punto di riferimento completo di tutto quello che ci sarebbe ancora da fare, ora la politica deve entrare nel merito e tirare fuori dalla proposta generale le priorità, stabilendo le risorse.  Che cosa chiedete ora al governo come Confindustria Digitale? Chiediamo un atto di coraggio, di leadership, le cose che ci sono da fare sono chiare, le priorità le abbiamo dette, bisogna realizzarle. La cosa più grave che dobbiamo evitare è quella di continuare a definire piani, ora li dobbiamo portare a termine, peraltro abbiamo dimostrato durante la pandemia che quando si vuole cambiare lo si può fare in fretta. E' importantissimo che in questo momento rimanga il senso dell'urgenza. Le risorse che stiamo utilizzando, soprattutto quelle del decreto Rilancio, sono state date a pioggia e non vanno a incidere sulla produttività a medio-lungo termine del Paese, adesso è il momento di completare la trasformazione digitale. Certo ci vuole coraggio. Ad esempio per la revisione dei limiti elettromagnetici, i sindaci sono assediati da movimenti locali che nella migliore delle ipotesi ignorano la realtà, nella peggiore remano contro. Il piano Colao, così come tutti i nostri contributi, sono stati dati per il bene del Paese, non dovrebbero essere oggetto di polemica politica. In conclusione: i piani ci sono, è ora di agire. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 

18 Giugno 2020

Snam: «Grazie a tecnologia -40% emissioni di metano e Co2»

L'intervista all'amministratore delegato Marco Alverà su DigitEconomy.24, il report Luiss Business School e Il Sole 24 Ore   «Grazie all'impegno sull'innovazione ridurremo del 40% le emissioni di metano al 2025 e del 40% le emissioni di CO2 equivalente, diretta e indiretta, entro il 2030, rendendo sempre più efficienti le nostre attività».  E' quanto dichiara a DigitEconomy.24 (report di Radiocor e Luiss Business School) l'amministratore delegato di Snam Marco Alverà, indicando gli obiettivi del piano dell'azienda su tecnologia e digitalizzazione avviato nel 2018 e aggiornato, migliorando i target, nel 2019. «La tecnologia e la digitalizzazione – aggiunge - sono due elementi chiave per rendere Snam uno dei protagonisti globali della transizione energetica. Abbiamo avviato il progetto 'SnamTec' (dove Tec è l'acronimo di Tomorrow's Energy Company) per preparare la Snam del 2030. Investiremo oltre 1,4 miliardi di euro al 2023 in innovazione e nuovi business green».  «Vogliamo cogliere – prosegue - le opportunità offerte dalle tecnologie per costruire l'azienda energetica del futuro e guidare la transizione energetica, rendendo i nostri 40 mila chilometri di rete sempre più intelligenti, digitali, sostenibili e connessi con i territori». Tra le innovazioni il progetto "smart gas" per manutenere gli impianti Tra le innovazioni previste figurano anche il progetto "smart gas" per la manutenzione degli impianti con nuove tecnologie, l'ispezione da remoto dell'85% degli asset della società entro il 2023, l'impiego di droni e nano satelliti per il monitoraggio continuo delle infrastrutture e nuovi servizi di previsione della domanda gas tramite reti neurali. Una delle leve tecnologiche che Snam sta già sperimentando con successo è l'Internet of Things, su cui la società collabora anche con partner tecnologici tra cui Microsoft, Accenture e Cisco, per catturare e valorizzare sempre più dati dalle decine di migliaia di sensori che saranno dispiegati nelle proprie infrastrutture. Un esempio: sulle condotte di Snam, che oggi mappano pressione e portata, si potrà nei prossimi anni "fotografare" altre variabili, dalle temperature alle vibrazioni, per aumentarne ulteriormente la sicurezza e potenziare il monitoraggio in tempo reale. Questo utilizzo della tecnologia consentirà all'azienda di raccogliere e analizzare, nei prossimi anni, una quantità di dati giornalieri 100 volte superiore a quella attuale, passando da circa 100 gigabyte al giorno di oggi a 10 terabyte. Per realizzare la rete intelligente, Snam sta sviluppando altre tecnologie abilitanti, dal cloud all'edge computing, dall'intelligenza artificiale a reti di trasmissione dati sempre più capaci (fibra, 5G, wifi). Biometano e idrogeno decisivi per coprire la domanda di energia Alla trasformazione digitale e alla riduzione dell'impatto ambientale del core business, da raggiungere anche attraverso la conversione dei primi impianti di compressione e stoccaggio della rete Snam in centrali ibride elettrico-gas, si affianca il terzo pilastro di SnamTec: i nuovi business, a cominciare dai gas verdi. «Il biometano e l'idrogeno – dice Alverà – saranno decisivi per coprire la domanda di energia, tra il 40 e il 50%, che al 2050 non potrà essere soddisfatta direttamente ed efficientemente dalle rinnovabili elettriche». Le applicazioni vanno dalla mobilità per lunga distanza all'industria pesante, dove biometano e idrogeno saranno la chiave di volta per la decarbonizzazione.  Snam ha avviato quattro startup nell'efficenza energetica, nel biometano, nella mobilità a gas e nell'idrogeno. Peraltro, nel 2019, Snam è stata uno dei primi operatori energetici al mondo a sperimentare l'introduzione di mix di idrogeno, fino al 10%, in una rete di trasporto gas. «L'utilizzo di idrogeno verde nelle infrastrutture esistenti – sostiene l'ad – avrà un ruolo decisivo per abilitare la transizione energetica e raggiungere gli obiettivi climatici, creando anche nuove occasioni di sviluppo economico, ora più che mai fondamentali». Proprio l'idrogeno sarà uno dei settori chiave per il Green New Deal europeo, al punto che al vettore energetico sarà dedicata una specifica strategia di sviluppo. «In Europa – prosegue Alverà – ci sarà un'accelerazione della transizione energetica anche grazie allo stanziamento di fondi della Commissione, già mille miliardi di euro, a sostegno degli investimenti». Dalla svolta green occasione di ripresa economica post coronavirus La svolta green, secondo Alverà, offre anche un'occasione per la ripresa economica post-coronavirus. Con un ruolo centrale riservato proprio alle infrastrutture, volano di sviluppo e occupazione. «Ci sono 100 miliardi di investimenti, in gran parte privati, che si potrebbero sbloccare nei prossimi cinque anni nei settori energia, trasporti, idrico e sanità semplificando gli iter autorizzativi: questi investimenti, che hanno un effetto moltiplicatore di circa tre volte, possono generare non meno di 300 miliardi di Pil aggiuntivo, che si tradurrebbero in una crescita del 3% all'anno per 5 anni», conclude Alverà. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO