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13 Novembre 2020

Appunti per l’interesse nazionale: il nuovo atlante del mondo

Un webinar organizzato nell’ambito del ciclo "Appunti per l’interesse nazionale", con Franco Bernabè, Presidente Cellnex Telecom, Maurizio Molinari, Direttore la Repubblica, e Fabrizio Palermo, Amministratore Delegato e Direttore Generale Cassa Depositi e Prestiti. Introdurrà i lavori Gianni Letta, Presidente Onorario Associazione Davide De Luca – Una Vita per l’Intelligence. RIVEDI IL WEBINAR     Il 1 dicembre alle 17.30 con Franco Bernabè, Presidente Cellnex Telecom, Maurizio Molinari, Direttore la Repubblica e Fabrizio Palermo, Amministratore Delegato e Direttore Generale Cassa Depositi e Prestiti, si terrà un nuovo appuntamento dei webinar organizzati nell’ambito del ciclo "Appunti per l’interesse nazionale", in collaborazione con l’associazione "Davide De Luca – Una vita per l’Intelligence". Un’opportunità unica per confrontarsi sul futuro degli equilibri internazionali anche alla luce dell’esito del voto USA 2020 e sulle partnership nelle relazioni politiche, economiche e commerciali, per cogliere le opportunità del digitale e delineare nuove strategie di fronte all’evoluzione di una società globalmente connessa. Introdurrà i lavori Gianni Letta, Presidente Onorario Associazione Davide De Luca – Una Vita per l’Intelligence. AGENDA  Interventi istituzionali Paolo Boccardelli, Direttore Luiss Business School Gianni Letta, Presidente Onorario Associazione Davide De Luca – Una Vita per l’Intelligence Ne discutono: Franco Bernabè, Presidente Cellnex Telecom Maurizio Molinari, Direttore la Repubblica Fabrizio Palermo, Amministratore Delegato e Direttore Generale Cassa Depositi e Prestiti Il webinar è gratuito, per partecipare è necessaria la registrazione. REGISTRATI  RIVEDI IL WEBINAR 13/11/2020

13 Novembre 2020

Intesa Sanpaolo e Luiss Business School: una partnership per delineare un nuovo modello di governance dei rischi finanziari

  Al via oggi l’Executive Programme in “Governance, vigilanza e strategia degli intermediari finanziari” con gli interventi di Stefano Lucchini, Chief Institutional Affairs and External Communication Officer Intesa Sanpaolo, e Paolo Boccardelli, Direttore Luiss Business School Intesa Sanpaolo e Luiss Business School lanciano oggi la prima edizione dell'Executive Programme in “Governance, vigilanza e strategia degli intermediari finanziari”, un programma di alta specializzazione che fornisce strumenti e competenze avanzati per operare nell’ambito degli intermediari finanziari e fronteggiare le sfide di mercati sempre più connessi e digitalizzati. I 15 partecipanti selezionati – consulenti, amministratori ed executive manager dai background che spaziano dal mondo bancario, finanziario, legale, all’analisi dei dati – potranno approfondire l’evoluzione della regolamentazione finanziaria e dei sistemi di vigilanza e di controllo, analizzarne gli impatti sul sistema economico e produttivo e contribuire alla definizione di un nuovo modello di governance del rischio finanziario. L’obiettivo del programma è infatti supportare regolatori e intermediari finanziari con l’elaborazione di una “Better Regulation” in grado di contemperare principi di stabilità finanziaria con obiettivi di crescita economica. I partecipanti avranno l’opportunità di arricchirsi professionalmente a 360°, sia potenziando le competenze specialistiche in ambiti quali finanza aziendale, risk management, compliance, economia degli intermediari finanziari, sia sviluppando una visione strategica e la capacità di incidere sugli assetti istituzionali. Il programma si avvale inoltre di una faculty prestigiosa, che coinvolge, tra gli altri, Stefano Del Punta, Chief Financial Officer di Intesa Sanpaolo e Stefano Lucchini, Chief Institutional Affairs and External Communication Officer di Intesa Sanpaolo. L’iniziativa infatti rinnova e consolida la partnership tra Intesa Sanpaolo e Luiss Business School per la formazione di una classe dirigente che sappia indirizzare la crescita e la competitività del Paese in scenari economici e politici globalizzati. “Con questo programma ci siamo posti obiettivi ambiziosi” ha dichiarato Enzo Peruffo, Associate Dean for Executive Education, Luiss Business School. “Da una parte quello di rispondere a un’esigenza di mercato e formare figure manageriali in grado di operare in più settori, che sono sempre più richieste, dall’altra quello di contribuire con la formazione a una sfida di respiro europeo, che mette al centro la crescita delle aziende e una regolazione che tuteli la legalità e supporti l’economia”.  Stefano Lucchini, Chief Institutional Affairs and External Communication Officer Intesa Sanpaolo, ha commentato: “Il settore bancario sta attraversando importanti cambiamenti anche legati agli adempimenti normativi in materia di governance e vigilanza. Per svolgere questo lavoro, dovuto e giusto, le banche devono trovare professionalità solide, continuamente aggiornate. Da qui il compito di Intesa Sanpaolo di contribuire alla formazione su questi temi specialistici collaborando con università qualificate come Luiss, con cui il legame è storico e sempre vivo”. La governance dell’Executive Programme si avvale di due codirettori: Mirella Pellegrini, Ordinario Luiss e Marcello Mentini, Intesa Sanpaolo, e di un comitato scientifico composto da Paolo Boccardelli, Stefano Lucchini, dr. Stefano Del Punta, prof. Enzo Peruffo, avv. Laura Lunghi e prof. Paola Lucantoni. Rassegna Stampa Corriere della Sera, Accordo Intesa Sanpaolo-Luiss  Il Tempo, Intesa Sanpaolo con Luiss lancia il master per la vigilanza finanziaria La Notizia, Corso per super manager di Banca Intesa e Luiss Business School  13/11/2020

12 Novembre 2020

Bei: «Entro il 2025 metà dei finanziamenti dedicati a clima e ambiente»

Il vicepresidente della banca europea, Dario Scannapieco parla a SustainEconomy.24 delle policy per la sostenibilità ma anche dell'impegno economico per fronteggiare l'emergenza Covid. E il Recovery Fund, dice "è un'opportunità unica e ultima per Italia" a patto di discontinuità con il passato   Pionieri nella sostenibilità con 31 miliardi di green bond emessi in 16 valute e l'impegno a non finanziare più dal 2022 progetti che utilizzano fonti fossili. Ma anche le nuove policy per allinearsi agli Accordi di Parigi: destinare il 50% delle operazioni dal 2025 in poi a finanziamenti dedicati ad azione climatica e sostenibilità ambientale e attivare nel periodo 2021-2030 investimenti per circa mille miliardi di euro a favore di clima e ambiente. Dario Scannapieco, vicepresidente della Bei parla a SustainEconomy.24, report di Luiss Business School e Il Sole 24 Ore Radiocor dell'impegno per la sostenibilità della banca europea. Ma anche dell'impegno sul fronte anti-Covid con la presidenza dell'European Guarantee Fund, una sorta di Piano Juncker con cui la Bei potrà mobilitare fino a 200 miliardi. Il Recovery Fund, spiega, è un'opportunità "unica, ultima, determinante" per l'Italia solo se ci sarà discontinuità con il passato. Parliamo della missione di Bei per la sostenibilità. Siete stati pionieri tra le istituzioni. Ci traccia un quadro della vostra strategia e dei risultati raggiunti? «Quando parliamo di essere pionieri dobbiamo parlarne su due fronti: sul fronte della raccolta perché siamo stati i primi nel 2007 ad emettere i green bond e, da allora, abbiamo emesso circa 31 miliardi di green bond in 16 valute. Dal lato dei prestiti c'è stata da sempre una fortissima attenzione e la nostra, essendo una banca che ha obiettivi di policy, ha tra i target l'ambiente. Sono quelli che si chiamano gli obiettivi di performance. Che cosa abbiamo fatto? Abbiamo deciso di fare un due passi in più: il primo è stato approvare una energy landing policy, ovvero una politica di prestiti nel settore dell'energia, in base alla quale dalla fine dell'anno prossimo non presteremo più finanziamenti a progetti che utilizzano fonti fossili standard; dall'altra abbiamo deciso di intraprendere una serie di policy della banca per essere allineati agli Accordi di Parigi». Quindi ci racconta cosa prevedete di fare da qui in avanti? «Questi impegni significano non finanziare più una serie di progetti con forte componente fossile: ovvero se le grandi imprese energivore - pensiamo a siderurgia e cemento - presentano progetti che hanno forte dipendenza, ovviamente non li finanziamo, ma siamo pronti a finanziarli per tutto quello che riguarda riconversione e transizione verso tematiche ambientali. Il secondo impegno è portare, entro il 2025, dall'attuale 30% al 50% la quota di finanziamenti annuali che hanno un impatto positivo su clima o ambiente. Da ultimo, nella decade 2021-2030 considerata decisiva per la lotta al cambiamento climatico, vogliamo attivare investimenti per circa mille miliardi di euro a favore di clima e ambiente. Questo vuol dire sostegno alla ricerca, infrastrutture, mobilità urbana. La mobilità va un po' ripensata, anche perché se guardiamo agli indicatori, stiamo riducendo l'inquinamento un po' ovunque tranne che nel settore dei trasporti. Staremo molto più attenti nel finanziare alcuni aeroporti e il nostro consiglio di amministrazione sta decidendo se abbandonarli oppure no, con delle eccezioni. E anche per le strade cerchiamo di spostare quanto più il traffico su rotaia». Quanto al vostro proposito di non finanziare più progetti legati alle fonti fossili come vi muoverete? «La nostra idea è di esaurire la quota di progetti che erano già in avanzata fase di istruttoria e poi di non generarne altri. E di dare un segnale di maggiore attenzione verso l'efficienza energetica, le rinnovabili e le nuove tecnologie e anche, la gestione ottimale delle risorse naturali. Proprio in questi giorni abbiamo fatto un'operazione nuova, si chiama Hydrobond, per sostenere piccole utility nel settore dell'acqua che da sole non avrebbero la forza per accedere ai finanziamenti della Bei». E' inevitabile, però, fare i conti con la pandemia. Come la state affrontando? «La pandemia è un episodio che avrà ripercussioni molto rilevanti sul modo di vivere. Intanto ci ha insegnato l'importanza di avere reti digitali di elevata qualità. Ci ha insegnato che molto del lavoro si può fare da casa e ha modificato nettamente gli stili di vita. Sappiamo d'altra parte che è un episodio che avrà anche una conclusione. Come Bei abbiamo aumentato, a bocce ferme, l'attività a supporto delle Pmi, le più colpite, per avere liquidità e finanziare il capitale circolante in modo che abbiano ossigeno per sopravvivere fino alla fine della pandemia. Abbiamo poi dato un grande impulso alla ricerca e sviluppo in ambito farmaceutico: ci sono una serie di imprese sia attive nella ricerca del vaccino che nella definizione di cure che abbiamo sostenuto per oltre 1,1 miliardi di euro. La risposta immediata al Covid ha portato a prestiti in Italia per 6,5 miliardi nel periodo marzo-luglio, il 35% di quanto ricevuto da tutti i Paesi europei. E abbiamo finanziato con 2 miliardi il settore della sanità per aumentare i posti in terapia intensiva, sub-intensiva e rafforzare i pronto soccorso. Poi abbiamo lanciato un'iniziativa nuova, ed io sono presidente di questo comitato dei contributori: l'European Guarantee Fund, una sorta di Piano Juncker con cui la Bei potrà mobilitare fino a 200 miliardi, che, con il contribuito degli Stati Ue, potrà offrire strumenti di garanzia e controgaranzia agli operatori finanziari in modo che il credito vada a sostegno delle Pmi. E' una bella risposta congiunta europea e stiamo iniziando a firmare già le prime operazioni». Ma, secondo lei, la pandemia è destinata a influire su un percorso verso una maggiore sostenibilità? «Le crisi possono essere anche uno strumento di ripensamento e rilancio; è sempre stato così nella storia. Bisogna avere l'accortezza e l'intelligenza di coglierne gli elementi di discontinuità rispetto al passato che sono emersi e concentrare le risorse ed investire in quello che di nuovo ci ha suggerito la pandemia. Basti pensare che oggi le priorità, nell'Ue, sono tre: clima, digitalizzazione e, ora, un tema di coesione sociale. La seconda ondata sta dimostrando che c'è da lavorare sulla coesione sociale, soprattutto nelle aree, all'interno dell'Unione, che avevano meno resilienza». Il Recovery Fund è una grande opportunità, soprattutto per l'Italia. Come si deve muovere il nostro Paese e quali dovranno essere le priorità?  «Darò una risposta su due fronti. Partiamo dai numeri: dal 2000 ad oggi l'Italia è cresciuta del 7,7% rispetto al 32% della Francia e al 30,6% della Germania e al 40% di media Ue. Quindi l'Italia non sa crescere. Perché? Perché abbiamo procedure farraginose, incapacità amministrativa nel preparare i progetti e incapacità di implementazione; dobbiamo prenderne atto. Quindi il Recovery Fund non va visto solo nell'ottica di una quantità di risorse finanziarie che saranno disponibili ma va colta l'opportunità per ripensare il sistema di effettuazione degli investimenti pubblici da parte dell'Italia. Quindi la parola chiave che io ricollego al Recovery Fund è ‘discontinuità con il passato'. Se noi pensiamo di approcciare questa opportunità - che non è grande, è unica - con i metodi vecchi, siamo destinati a perdere. Se agiamo in discontinuità con il passato, con procedure più snelle, con persone competenti messe a gestire i progetti, allora il Recovery Fund può divenire un'opportunità unica. E dico anche che, oltre ad essere unica, è anche l'ultima perché la dinamica del debito pubblico è tale che, senza spingere fortemente sull'acceleratore della crescita e liberarci di questo tetto alla crescita del Pil - che se guardiamo i dati è evidente che esiste perché l'Italia negli ultimi 40 anni non è mai crescita più del 2% e allora c'è un tema strutturale – allora sarà difficile avere un debito pubblico sostenibile perché è chiaro che dobbiamo agire sul denominatore del rapporto debito pubblico/Pil». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 12/11/2020

12 Novembre 2020

Consob: «In Italia luci e ombre su report Esg, pensare anche a incentivi»

Anna Genovese, commissario Consob, descrive lo scenario italiano a SustainEconomy.24, report di Luiss Business School e il Sole 24 Ore Radiocor. Positivi social e green bond ma completare le regole e attenzione alle bolle speculative   Lo scenario italiano presenta luci e ombre, tra società che vantano una lunga tradizione di bilanci sociali e una platea ancora vasta di imprese che non si è ancora dedicata a reportistica Esg. Per Anna Genovese, commissario Consob, i tempi sono maturi per intervenire per una maggiore diffusione delle Dichiarazioni non finanziarie volontarie, anche pensando a degli incentivi. Perché sono tanti i vantaggi e per non farsi trovare impreparati di fronte ad un percorso Ue, in tal senso ormai imminente. Bene green bond e social bond ma con attenzione all’uso opportunistico dell’acronimo Esg e completare le regole Cresce l’attenzione degli investitori ai temi della sostenibilità e sta crescendo anche la declinazione dei temi Esg nelle imprese italiane. Nello scenario italiano, a che punto siamo? «Nello scenario italiano sono presenti luci ed ombre. Alcuni emittenti sono presenti nel segmento di mercato dei green bond, che registra tassi di crescita a due cifre. Non poche società quotate ricevono anche buoni rating di sostenibilità dalle agenzie specializzate. Ci sono diverse imprese che vantano una lunga tradizione di bilanci sociali e - a partire dal 2016, quando la disciplina sulle Dnf (dichiarazioni non finanziarie) ha esaltato la funzione di questa reportistica - ci sono state società che hanno cominciato a sperimentare cambiamenti di governance e di modello di business con orientamento Esg. Va ricordato, poi, il nuovo Codice di autodisciplina delle quotate, in vigore con la stagione assembleare 2021, che definisce il successo sostenibile come obiettivo del Cda e del management. A fronte di ciò, la scena italiana restituisce anche una vasta platea di imprese, incluse non poche quotate, che fino al 2019 non si è cimentata in alcuna reportistica Esg. Un punto di debolezza, come emerge anche da una Survey che Consob ha svolto nel 2020 in collaborazione con Assogestioni e i cui risultati sono in fase di elaborazione». Come lei ha appena sottolineato, sul fronte della volontarietà delle Dnf siamo ancora lontani. La Consob sta spingendo ad una maggiore sensibilizzazione. Come si potrebbe intervenire e quali sono i vantaggi? «L’obbligo della Dnf è previsto solo per società ricomprese nel perimetro vincolato dalla Direttiva che pone, fra le altre condizioni, la soglia dei 500 dipendenti. I tempi sono maturi per considerare interventi che portino ad aumentare il numero di imprese italiane che redigono la Dnf. Gli interventi potrebbero essere vari. Non solo l’eventuale abbassamento delle soglie dimensionali per l’obbligo, a cui fra l’altro il legislatore Ue già sta pensando. Sarebbero da considerare anche interventi che incentivino la Dnf volontaria, modulando meglio i contenuti e/o i benefici/incentivi connessi, di carattere fiscale e non. Si potrebbe pensare a sistemi premianti nell’ambito delle commesse pubbliche o dell’accesso a sussidi ambientali, visto anche il contenuto dei piani riferiti al Green Deal nazionale e al Recovery Fund dell’Ue. Consob, preso atto dello scarso numero di Dnf volontarie, ha indetto una pubblica call, aperta fino al 30 novembre. È importante che, malgrado il periodo complicato, la partecipazione delle imprese sia ampia e qualificata. Quanto ai vantaggi sono molteplici perché, in generale, la Dnf volontaria è una opportunità. Senza tralasciare, poi, che la reportistica Esg consente alle imprese di intraprendere un percorso che, come attestato da autorevoli analisi, migliora la performance, accresce la capacità di attrarre investitori e di ottenere finanziamenti bancari. Peraltro il percorso Ue di ampliamento del perimetro dell’obbligo di Dnf per tutte le società quotate appare segnato, assai probabile e imminente. Quindi l’utilizzo del formato Dnf può consentire alle imprese di farsi trovare pronte a questo passaggio». Quanto i temi di finanza sostenibile stanno orientando la regolazione finanziaria? «Moltissimo. L’ammontare di investimenti necessari per la riconversione del sistema produttivo e per mitigare gli effetti delle emissioni di CO2 è di gran lunga superiore alle risorse a disposizione del pubblico e gli investimenti privati sono essenziali. Il piano europeo per la neutralità climatica al 2050 richiede fra il 2021-2030, secondo stime Ce, uno sforzo aggiuntivo da 350 miliardi. Nel contempo la consapevolezza degli investitori su rischi e opportunità Esg è crescente e anche la terribile pandemia in corso sta contribuendo a generare questa consapevolezza. Le scelte di investimento, tuttavia, vengono fatte anche in funzione di altri fattori. Perciò interviene la corposa regolazione finanziaria dedicata, che - in larga parte in costruzione - copre anche altri aspetti, tra cui l’informazione da prospetto, la considerazione dei fattori Esg nella gestione delle spa quotate, gli indici di riferimento per i benchmark climatici e per la tassonomia delle attività economiche e altro ancora. Il piano delle istituzioni Ue in materia di finanza sostenibile è imponente. Il progetto è ambizioso, la scelta politica è chiara. Si auspica che l’Ue sia seguita anche da altre giurisdizioni sia perché solo un impegno globale può consentire di incidere su fenomeni come la crisi climatica, sia perché è indispensabile che, nel durante, le piazze finanziarie Ue continuino ad essere anche competitive. Cambiano anche gli strumenti, social bond, emissioni green. Cosa cambia per un regolatore che vigila sui mercati? «Le trasformazioni in corso certamente influenzano l’attività dell’Autorità. La sensibilità degli investitori nei confronti di rischi e opportunità Esg porta a registrare, per strumenti così etichettati, performance finanziarie migliori rispetto a quelle degli strumenti tradizionali. Il fenomeno porta anche alla utilizzazione di queste tematiche come driver per la distribuzione di prodotti e servizi di investimento. Di recente Consob ha autorizzato l’operatività di diversi gestori che intendono commercializzare quote di fondi, che integrano fattori Esg nelle proprie politiche di investimento e che, a determinate condizioni, possono essere sottoscritti anche dal pubblico retail. L’insieme di questa offerta innovativa è connotata da forte positività, al pari di ogni altra iniziativa che, in condizioni di adeguata tutela dell’investitore, consente di tramutare il risparmio in investimento e di far affluire capitali all’economia reale. Tuttavia in un quadro di regole ancora incompleto e con oggettiva scarsità di informazioni attendibili e comparabili, la focalizzazione dell’offerta e della domanda su profili Esg dell’investimento non è priva di rischi. In particolare deve essere fronteggiato il possibile green-washing e il rischio di una utilizzazione puramente opportunistica dell’acronimo Esg. Questa utilizzazione, specie se gli strumenti sono offerti al pubblico retail, può determinare mis-selling e bolle speculative che prima o poi scoppiano. Anche per questo, il 12 marzo scorso, Consob, a quadro legislativo vigente, ha pubblicato al riguardo un richiamo di attenzione diretto agli intermediari che hanno un ruolo cruciale nella distribuzione di prodotti di investimento». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 12/11/2020

12 Novembre 2020

L’Italia colmi il gap sui green bond sovrani

  Le proposte al Governo sull’utilizzo di strumenti di finanza sostenibile per l’impiego delle risorse del Next Generation Ue e le risposte attese. Il segretario generale del Forum per la Finanza sostenibile, Francesco Bicciato, parla di green e social bond e invita l’Italia a colmare il gap. La pandemia sta mettendo a dura prova il rilancio economico ma ha messo anche in evidenza la necessità di spingere sulla finanza sostenibile. Quali sono le strade da percorrere? “L’errore è non pensare già da adesso al modello di sviluppo che vorremmo fosse al centro delle politiche del Governo quando sarà finita la pandemia. Modello che si deve fondare su due principi: sul rapporto tra ambiente ed economia/finanza, dicotomia antica che occorre superare perché un ambiente più sostenibile è il framework ideale per il rilancio economico e occupazionale, consolidato dai dati più recenti. L’altro principio è di carattere istituzionale. Nei primi mesi del 2020, in piena pandemia, la Commissione Ue ha precisato che partirà il Next Generation, ma i principi devono essere gli stessi del Green New Deal con l’aggiunta del sostegno al sistema sanitario e con due atti non rinviabili: la nuova legge sul clima e la riforma dell’action plan sulla finanza sostenibile. E’ importante che la politica economica del Governo sia chiaramente indirizzata a questi pilatri. Da qui la nostra lettera. Parliamo appunto della lettera inviata al presidente del Consiglio e a cinque ministri con le proposte sull’utilizzo di strumenti di finanza sostenibile per l’impiego delle risorse Ue. Ce ne parla? Schematizzando la lettera sui punti chiave, le nostre proposte, da un lato, insistono sulla questione dello sviluppo sostenibile in campo ambientale con fortissima attenzione all’inclusione sociale. Dall’altro spieghiamo che dalla spesa dell’80% delle risorse europee nella decarbonizzazione italiana conseguirebbe un aumento del 30% del Pil e incremento del tasso di occupazione del’11% entro il 2030: non è solo 'disinvesting' dalle fonte fossili ma diventa 'investing’ virtuoso. Così abbiamo pensato di mettere nero su bianco la nostra proposta in 8 punti: dall’impiegare la tassonomia europea delle attività eco-compatibili, allineare gli strumenti di finanza pubblica ai benchmark climatici ad emettere green e social bond sovrani e regionali. Pronti a fornire il nostro patrimonio di esperienza dal momento che il Forum compie 20 anni e aderiscono quasi 120 organizzazioni. Perché la partnership pubblico-privato può fungere da moltiplicatore: se abbiamo 209 miliardi da spendere e ci allineiamo agli Sdgs e allineiamo gli obiettivi di imprese e del pubblico arriviamo ad una leva di moltiplicazione di quelle risorse fino a 700-800 miliardi. Sono meccanismi pronti ma non se ne parla molto. Promuovere social e green bond. A che punto siamo in Italia? Fino a poco tempo fa era molto chiara la funzione dei green bond mentre sui social bond c’era poca letteratura o, comunque, non avevano avuto successo. Ora focalizzandosi sul settore sanitario e con il sostegno dell’Ue, diventano uno strumento fondamentale per sfruttare i fondi dell’Ue. Certo, sui green bond sovrani siamo indietro e occorre che anche l’Italia colmi il gap. Anche se il ministro Gualtieri li ha annunciati e arriveranno. Ora si parla anche dell’utilizzo di un terzo del Next Generation Ue con questi strumenti: è un’ottima occasione ma serve attenzione perché i green bond hanno standard Ue ben precisi e devono essere utilizzati in modo trasparente. Visto che il mercato italiano privato sui green bond è avanti, la cosa più intelligente è uno sviluppo pubblico-privato; quando il Mef emetterà un green bond sovrano punti molto sull’esperienza che la finanza sostenibile ha avuto negli ultimi dieci anni. Si è aperta la nona edizione della settimana SRI, appuntamento del Forum dedicato all’investimento sostenibile e responsabile. Cosa vi aspettate? Abbiamo numeri di partecipazione impressionanti, lanceremo ufficialmente le proposte e ci aspettiamo le prime risposte da parte del Governo. Ci piacerebbe, visto che ci mettiamo a disposizione senza nessun altro interesse di bottega, avere qualche risposta. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO  12/11/2020

12 Novembre 2020

La storia di Nativa e le B Corp. Standard per misurare la sostenibilità e restare sul mercato

La scelta di un modello sostenibile è ormai un imperativo per le aziende, un pre-requisito per continuare ad operare sul mercato, spiega Eric Ezechieli, co-founder di Nativa, prima B Corp italiana, a SustainEconomy.24, report di Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School   Adottare un modello sostenibile è ormai un imperativo per le aziende, un pre-requisito per continuare ad operare sul mercato. E l’innovazione delle B Corp è stato creare standard per misurare quanto le aziende siano realmente sostenibili. Eric Ezechieli, co-founder insieme a Paolo Di Cesare di Nativa, una delle aziende fondatrici del movimento B Corp in Europa e prima B Corp italiana, racconta la storia della società e parla della risposta “estrememente positiva dell’imprenditorialità italiana. Presente in 130 settori e in 50 paesi, il movimento globale B Corp sta crescendo rapidamente e conta oggi più di 2.500 membri con l’obiettivo di riscrivere il modo di fare impresa. In Italia si contano ad oggi oltre 100 B Corp. Promuovere la sostenibilità e aiutare le aziende a far coesistere il profitto con obiettivi virtuosi. Come è nata la vostra idea di una BCorp? «B Corp è un concetto nato una quindicina di anni fa ed ha avuto il merito di chiarire in maniera netta e cristallina cosa significhi fare business in maniera sostenibile. Diciamo che di sostenibilità nel business se ne parla da anni ma fino a 15 anni fa non era chiaro quando fosse sostenibilità annunciata e quanto fosse sostanza. Quello che è successo con le B Corp è stato creare degli standard di misurazione che consentono di capire in maniera chiara se una azienda è o non è sostenibile, vale a dire se sta creando valore economico, ambientale e sociale oppure sta creando valore economico e non necessariamente ambientale e sociale. Perché  B Corp? Nativa ha come caratteristica di essere stata la prima B Corp in Europa perché  crediamo profondamente in questo modello;  è una direzione ineluttabile e ci sono vantaggi nel farlo. Abbiamo anche la fortuna di lavorare con aziende leader e possiamo affiancare e accelerare il loro percorso. Del resto è ormai conclamato e emerso come indispensabile incorporare nella strategia delle aziende, oltre agli shareholder, anche gli stakeholder. E’ un vero e proprio cambio di prospettiva. I tempi cambiano; dopo 50 anni in cui è stata dominante la dottrina della shareholder primacy, ora diventa indispensabile un cambio di modello, perché un’azienda che non includa nella propria equazione di business le persone e l’ambiente diventa meno performante». Quali sono i vantaggi per le aziende che scelgono questa strada? «Propongo di parlare da una prospettiva diversa: più che di vantaggi, direi che quello che sta emergendo è l’imperativo del fare questa scelta perché un’azienda evoluta non può permettersi di non farlo. E’ un imperativo che diventa pre-requisito per continuare a operare sul mercato. La penalty se non si sceglie questa strada è molto vicina all’estromissione dal mercato. Poi ci sono, sicuramente, una serie di vantaggi in termini di gestione della reputazione, di creazione di valore del brand, di attrazione di talenti, di riduzione costi. Sono decine di effetti collaterali positivi che attribuiscono un valore ma a monte c’è il fatto che non adottare questo modello  diventa la formula per l’autodistruzione dell’azienda». Nativa è una delle aziende fondatrici del movimento B Corp in Europa, nonché prima B Corp italiana e partner in Italia di B Lab.  Avete anche collaborato con il Senato per l’introduzione della legge Società Benefit. Come rispondono l’Italia e le imprese italiane? «Quello che abbiamo riscontrato è che in Italia c’è una risposta estremamente positiva e un’attivazione del meglio dell’imprenditorialità italiana su questi temi. Le aziende italiane hanno storicamente un forte radicamento sul territorio, spesso sono aziende familiari e pensano con prospettiva più a medio-lungo temine e intergenerazionale e, quindi, l’incorporazione della sostenibilità e tendere verso lo status di B Corp sono stati recepiti in modo veloce e molto positivo. Tanto che oggi abbiamo più di 100 aziende certificate come B Corp, che vuol dire che soddisfano i più alti standard di performance ambientale, sociale e economica e più di 500 aziende che hanno adottato lo status giuridico di società benefit, l’andare a scrivere nell’oggetto sociale dell’azienda che lo scopo è bilanciare la creazione di valore tanto  per gli stakeholder che per gli shareholder». Le chiederei, se ci sono, a livello di aziende, comparti più resistenti o più disponibili? «In Italia, come nel resto del mondo, l’adozione di questi modelli avanzati di sostenibilità è abbastanza trasversale. Non ci sono settori in cui si concentrano. Nel mondo ci sono più di 150 settori diversi e in Italia almeno 30-40 settori diversi in cui ci sono B Corp: dall’alimentare ai servizi, dalla finanza al fashion, alle assicurazioni. È estremamente interessante perché ci dimostra che una prospettiva di sostenibilità non è specifica di una certa industry ma può essere adottata a 360 gradi». Come si concilia tutto ciò con il particolare momento storico che stiamo vivendo? Con l’emergenza e la crisi sanitaria ed economica? «Quello che è emerso, nell’ultimo anno è che le aziende che hanno un migliore profilo di sostenibilità e quelle che diventano B Corp, anche nelle condizioni estremamente complesse e drammatiche che stiamo vivendo, tendenzialmente performano meglio delle altre aziende per una serie di ragioni: hanno relazioni virtuose con gli ecosistemi di cui sono parte, con i fornitori, i clienti perché hanno una serie di meccanismi di innovazione e gestione dell’emergenza. Perché anche di fronte alle difficoltà si riprendono più’ velocemente. Le aziende sostenibili sono poi quelle che hanno maggiore capacità di innovare e mettere in campo più velocemente soluzioni. Da ultimo, ci sono le valutazioni che vengono dal mondo degli investimenti, dai grossi fondi, BlackRock in primis: è ormai risaputo che aziende che hanno un profilo di sostenibilità migliore performano meglio delle altre e quindi anche da parte della comunità finanziaria forte spinta che incentiva in questa direzione. Questo momento di crisi è sicuramente un acceleratore perché mettiamo in discussione lo standard di quello che abbiamo fatto negli ultimi decenni». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 12/11/2020

05 Novembre 2020

«Il costo doloroso della pandemia e il futuro sempre più digitale»

Il presidente di Anitec-Assinform Marco Gay nel suo intervento su DigitEconomy.24, report del Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School: «la strategia del lockdown sembra  ineludibile»   Viviamo giorni molto difficili. La pandemia da Covid 19 continua a imperversare e dopo qualche mese di apparente calma, si torna a vivere la paura della crisi sanitaria, mentre quella economica e sociale ormai da marzo si fa sempre più acuta e grave, con ricadute drammatiche su famiglie e imprese. Oggi restiamo in attesa di vedere la curva dei contagi appiattirsi, per poi cominciare a scendere. Per farlo, la strategia dei lockdown sembra oggi essere ineludibile, come accade in gran parte di Europa, anche se questo significa la chiusura di attività commerciali, l'interruzione delle attività scolastiche in presenza per migliaia di studenti, la sospensione di alcuni servizi alla persona – dalle prestazioni sanitarie all'attività motoria – indispensabili per il benessere fisico e psicologico. Una strategia dolorosa che dovrebbe servire a guadagnare tempo in attesa che i vaccini e cure sempre più efficaci ci consentano un graduale ritorno alla normalità. Mettere al centro delle economie avanzate la capacità di innovare Tra errori politici e di gestione della crisi pandemica, ritardi e criticità strutturali del Paese che emergono oggi in tutta la loro entità, i lockdown sono la soluzione più dolorosa, un costo che dobbiamo sostenere con senso di responsabilità, a partire dal rispetto delle norme sanitarie minime come precondizione per ridurre i contagi e garantire la tenuta delle strutture sanitarie. Di fronte a una crisi, sta a ciascuno di noi fare la differenza.  Nonostante le incertezze, è doveroso però ricominciare a parlare di futuro. Perché non farlo vorrebbe dire condannare il paese a un declino inaccettabile, dopo un così lungo periodo di sofferenza.  Un futuro che sarà sempre più digitale e che metterà al centro delle economie avanzate la capacità di innovare, di scommettere sulla conoscenza e sul progresso tecnologico per una crescita inclusiva e sostenibile. Siamo in transizione digitale, molto di più può essere fatto Siamo in piena transizione digitale. Il massiccio ricorso alle soluzioni Ict durante e dopo il lockdown - dal lavoro alla didattica a distanza, all'e-commerce, allo sport praticato in casa con le piattaforme on line, al massiccio ricorso a cloud, cybersecurity, alle piattaforme per gestire da remoto interi impianti industriali – ci ha dimostrato come il digitale tocchi in maniera pervasiva quasi ogni campo della nostra vita. E molto di più può esser fatto. Per questo, è oggi imperativo sostenere lo sviluppo di un'industria digitale, innovativa e capace di alimentare l'occupazione, attrarre talenti e modernizzare il nostro sistema produttivo che guarda ai servizi, alla manifattura, alla scuola, alla sanità, infine alla pubblica amministrazione. Dobbiamo, cioè, provare a recuperare quel gap che abbiamo verso i nostri partner europei e internazionali, sapendo di avere tutte le capacità per farlo. Crisi vuol dire opportunità per affrontare i nodi irrisolti del Paese Siamo convinti che questa crisi possa rappresentare un'opportunità per affrontare i nodi irrisolti del Paese – dalle semplificazioni amministrative a un fisco più semplice e meno invasivo – per consentire alle imprese e alla Pa di tornare a investire in innovazione, vera "cura" per la nostra economia. Un vero e proprio "strumento" per ridurre le diseguaglianze e assicurare alle future generazioni una prospettiva di crescita e benessere.  Sappiamo benissimo che la strada è in salita. Non ci nascondiamo le tante difficoltà. I trasporti, il turismo, la ristorazione, l'attività fieristica ha subito uno stop pressoché totale, mentre l'industria e il mondo dei servizi hanno potuto contare sulle soluzioni digitali per proseguire con una certa continuità l'attività produttiva. Basti pensare allo smartworking, alla scuola a distanza, alle fabbriche "intelligenti": seppur con qualche difficoltà, il mondo non si è fermato grazie al digitale. Una politica industriale del digitale in vista del Recovery Fund Oggi abbiamo bisogno di una nuova normalità che corregga gli errori e faccia tesoro delle best practices e delle innovazioni che il digitale ha introdotto nel nostro quotidiano.  Il modo di lavorare, il modo di produrre, i trasporti e i commerci continueranno a subire trasformazioni importanti, centrate sulla parola "sicurezza". La sicurezza sanitaria, in primo luogo, ma anche la sicurezza delle transazioni commerciali, delle reti di dati, della salubrità dei prodotti, delle procedure adottate. Tutte le imprese e tutte le filiere sono in prima fila, le piccole con le grandi.  Per questo, oggi è l'occasione per liberare creatività, trovare soluzioni di policy coraggiose non per proteggere lo status quo, ma per dare nuova linfa vitale al tessuto industriale. C'è bisogno di una strategia e di una visione di lungo periodo che affidi al digitale il compito di trainare la ripresa economica, per affrontare i nodi e i ritardi che da troppo tempo zavorrano la crescita del Paese. Dobbiamo dotarci di una vera politica industriale per il digitale, che consenta di sfruttare al meglio le risorse del Recovery fund per non trasformale in mero debito: dobbiamo fare (e non solo evocare) le riforme strutturali. È un'occasione unica e non va sprecata.  Come Anitec-Assinform, proponiamo sette assi di intervento: quattro indirizzati al sostegno della domanda intervenendo lato: imprese, amministrazioni pubbliche, scuola e sanità, tre indirizzati allo sviluppo dell'offerta o industria digitale, attraverso misure di sostegno per R&S, startup e competenze ICT. *Presidente di Anitec-Assinform SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 5/11/2020

05 Novembre 2020

Pisano: «Paese più pronto ad emergenze ma accrescere infrastrutture e mezzi. Rete unica può dare contributo»

A fronte della seconda ondata Covid, il bilancio della ministra su digital divide, digitalizzazione e App Immuni: «Se più cittadini l'avessero usata subito, forse non saremmo in questa situazione».   L'Italia è più pronta ad affrontare le emergenze «nelle attitudini di ciascuno», ma «è indispensabile accrescere anche dal punto di vista di infrastrutture e mezzi la preparazione del Paese a questa fase e ad altre successive che speriamo più serene». Lo afferma la ministra dell'Innovazione tecnologica e digitalizzazione, Paola Pisano, facendo il punto con DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) sullo stato delle infrastrutture e della digitalizzazione del Paese alla luce della seconda ondata di coronavirus. Secondo gli ultimi dati Agcom, il divario digitale tra le Regioni arriva anche a 40 punti, ma ci si aspetta una riduzione grazie alle iniziative di Open Fiber, di Tim e degli operatori Fwa. In questo scenario «il progetto della rete unica può contribuire a dotare l'Italia di una infrastruttura solida per sviluppare servizi digitali migliori». Quanto all'app Immuni e al suo uso limitato, Pisano sottolinea che se un maggior numero di cittadini l'avesse utilizzata subito «forse oggi non saremmo nella seconda ondata della pandemia o non lo saremmo nelle proporzioni attuali». Un motivo in più per «non demordere e per continuare a far crescere il numero degli utenti». La nuova ondata di coronavirus ha fatto crescere nuovamente smart working e didattica a distanza. L'Italia oggi, a livello di infrastrutture, è più preparata rispetto al lockdown di pochi mesi fa? Può essere più preparata nelle attitudini di ciascuno ad affrontare le emergenze, ma è indispensabile accrescere anche dal punto di vista di infrastrutture e mezzi la preparazione del Paese a questa fase e ad altre successive che speriamo più serene, non insidiate da un virus tuttora privo di vaccino. Considerato l'aumento di lavoro e didattica a distanza, il governo ha deciso di aiutare le famiglie meno abbienti sulle quali ricadono i pesi maggiori: potranno usufruire di agevolazioni, voucher fino a 500 euro, per dotarsi di connessione a internet veloce e di un personal computer o di un tablet. Una connettività adeguata e veloce è indispensabile anche per le scuole. Il Comitato banda ultra larga, Cobul, che presiedo, ha deliberato un ‘Piano scuole' e questo prevede investimenti per 400 milioni di euro. Serviranno a far arrivare la connettività a un gigabit in oltre 35 mila edifici scolastici e a fornire gratuitamente per cinque anni il servizio di connessione. Il governo sta seguendo con grande attenzione anche il piano per portare la banda ultra larga nei Comuni delle cosiddette ‘aree bianche', ossia quelle zone del Paese nelle quali gli operatori privati del settore non hanno interesse economico ad investire. A fine 2019 erano 79 i Comuni delle aree bianche in cui era presente la connettività in fibra ottica. Oggi sono 594. Il progetto complessivo prevede di portare entro il 2023 la banda ultra larga in oltre settemila Comuni. L'App Immuni probabilmente non ha dato i risultati sperati, visti i dati del contagio. Quali sono i colli di bottiglia individuati e come superarli? Finora Immuni è stata oggetto di oltre 9,6 milioni di download. Occorre fare di più? Certo. E' davvero poco? Beh, ricordiamo che nessuna app pubblica nel nostro Paese è stata scaricata su smartphone così tante volte in un arco di tempo così ristretto. Le notifiche di esposizione al virus che sono state inviate finora superano le 63 mila. Significa che 63 mila persone sono state informate di correre più rischi di altri di risultare contagiate e quindi sono state rese consapevoli di poter agire per circoscrivere focolai, sottoporsi il prima possibile a controlli medici, proteggere persone vicine rinunciando a ulteriori contatti con queste. In ottobre, in concomitanza con l'accelerazione dei contagi, è stato registrato un notevole aumento dei download. Se un maggior numero di cittadini avesse utilizzato Immuni nei primi mesi di entrata in funzione, dunque dal primo giugno scorso, forse oggi non saremmo nella seconda ondata della pandemia o non lo saremmo nelle proporzioni attuali. Ed è un motivo per non demordere. Per continuare a far crescere il numero degli utenti perché ogni focolaio circoscritto sul nascere è un vantaggio per tutti, innanzitutto per le fasce di popolazione più vulnerabili di fronte al virus. Come si spiegano i casi di successo come quello della Corea?  La Corea è un Paese dinamico al quale siamo legati da profonda amicizia, ma il confronto non può essere fatto in termini sommari. Per ragioni storiche e geopolitiche evidenti, per la maggiore familiarità del suo popolo con misure di sicurezza e difesa, la Repubblica di Corea ha riguardo alla privacy un approccio che non è identico a quello italiano. Se ci confrontiamo con Paesi simili al nostro, rileviamo che soltanto in Germania il numero dei download è più elevato rispetto a quello registrato in Italia. Oltre ad amministrare uno Stato che ha più popolazione, il governo tedesco ha però anche investito nell'operazione più fondi rispetto a quanto avvenuto in Italia: nemmeno un euro, all'inizio. Noi abbiamo lavorato su un progetto fornitoci gratuitamente da un'azienda selezionata e pubblicizzato sulla base delle disponibilità spontanee di aziende private di informazione ed editoria. Quali sono state le maggiori difficoltà? Il dipartimento che guido ha curato la parte tecnologica e normativa dell'applicazione, gestita a partire da giugno dal Sistema sanitario nazionale. Nelle settimane scorse sono state segnalate difficoltà nell'inserimento dei codici degli utenti positivi, operazione necessaria a far partire le notifiche, e il governo è intervenuto. Nel Dpcm del 18 ottobre scorso, tra le misure per contrastare l'emergenza da Covid-19 è stato indicato per gli operatori sanitari l'obbligo di inserire i codici nel sistema di Immuni. Nel decreto legge sull'emergenza epidemiologica pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 28 ottobre è stata prevista la nascita di un call center a disposizione degli utenti di Immuni. Il 19 ottobre scorso l'applicazione è diventata interoperabile con le app di notifica di contatti a rischio di contagio adottate in Germania e in Irlanda. Significa che chi vive in Italia e ha Immuni può impiegarla anche in Germania e Irlanda e viceversa per quanto riguarda gli utenti delle analoghe app tedesca e irlandese. Nei giorni scorsi anche Lettonia e Spagna hanno avviato l'interoperabilità delle loro applicazioni e nelle prossime settimane altri Paesi dell'Unione si uniranno al sistema. Le difficoltà che si sono verificate appartengono alla fase attuale nella quale si trova la digitalizzazione nel nostro Paese: un processo di cambiamento al quale non mancano resistenze, diffidenze superiori a quanto potrebbe essere naturale e molte volte infondate, intralci di varia natura. Qualcuno mi dimostri che sono ragioni per andare indietro invece che avanti, se ci riesce. Motivi per bloccare una evoluzione indispensabile io non ne vedo e agisco per farla procedere a vantaggio della sicurezza, e della salute, di tutti noi. A che punto è il digital divide alla luce delle iniziative di Tim, Open Fiber e gli altri operatori, attivate nel lockdown e post lockdown?  Secondo gli ultimi dati dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni le differenze di copertura a banda ultra-larga tra le nostre Regioni vengono misurate anche in 40 punti percentuali. Gli interventi del concessionario Open Fiber che sta cablando le aree bianche contribuiranno a diminuire questo divario, come dovrà farlo il progetto di Tim che sta investendo sulla tecnologia Fiber to the cabinet e gli operatori Fixed wireless access. Ma il digital divide non riguarda solo la connessione. Il divario, non meno preoccupante, è anche nelle competenze digitali. Per questo ho chiesto alla ministra dell'Istruzione Lucia Azzolina e al ministro dell'Università Gaetano Manfredi di inserire nei programmi didattici delle scuole e nei piani studio degli atenei nuovi spazi da dedicare all'insegnamento dell'informatica e di usi corretti delle tecnologie da parte di ragazze e ragazzi. Senza adeguate competenze, anche una rete di connessione efficiente non potrebbe essere utilizzata al meglio. Sarebbe come avere in casa i cavi della corrente elettrica senza lampadine. Le stanze resterebbero buie. Open Fiber ha proposto un piano per accelerare e portare la connessione con l'Fwa nelle aree bianchissime, cioè i cosiddetti Comuni "No internet". Valutate altre iniziative?  Noi abbiamo chiesto a tutte le società di telecomunicazioni di presentare quanto prima proposte volte a portare in tempi brevi la connettività nelle aree cosiddette ‘bianchissime', zone nelle quali almeno un decimo delle abitazioni è priva di connessioni con Internet . Sono 204 i Comuni di queste zone. L'obiettivo del governo è sempre fare la propria parte affinché siano assicurate velocità, sicurezza e capacità della rete. Quella di Open Fiber al momento è l'unica proposta concreta, ma sappiamo che altri operatori sono interessati. Occorre fare in modo che una convergenza nelle azioni di soggetti privati e politiche pubbliche permetta che anche in questi Comuni i ragazzi possano seguire le lezioni da casa e i loro genitori lavorare da remoto. La tecnologia deve dare a tutti le stesse opportunità, non certo ampliare i divari sociali. La nuova ondata di coronavirus fungerà da acceleratore per il progetto di rete unica tanto discusso?  La rete unica rappresenta un progetto importante per il Paese. L'emergenza sanitaria ha fatto emergere con più forza la necessità di disporre di una rete di connessione veloce e sicura, di digitalizzare il nostro territorio e per questo serve la connettività. Il progetto della rete unica può contribuire a dotare l'Italia di una infrastruttura solida per sviluppare servizi digitali migliori. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 5/11/2020

05 Novembre 2020

Cy4gate: «Lavoriamo col Governo per prevenire nuove emergenze»

Su DigitEconomy.24, report del Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School, l'intervista all'amministratore delegato della società di cybersecurity, Eugenio Santagata: «Il Covid si poteva prevedere, c'erano segnali  negli ultimi 10 anni»   L'emergenza Covid, con gli attuali sistemi di intelligenza artificiale e software di analisi dei dati «si poteva prevedere» se si fossero messi a fattore i segnali presenti nel corso degli ultimi dieci anni; ora si sta lavorando, grazie ai sistemi di intelligenza predittiva, per anticipare altri simili eventi. Ad affermarlo è Eugenio Santagata, amministratore delegato di Cy4gate, società quotata in Borsa e controllata al 46% dal gruppo Elettronica, che opera nel mercato cyber a 360 gradi, principalmente con governo, forze armate, forze di polizia, agenzie di intelligence. Inoltre il gruppo, spiega Santagata a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) è all'opera per prevenire e monitorare, attraverso i social network, «l'insorgenza di fenomeni eversivi, disordini sociali, diffusione di idee propagandistiche che minacciano l'ordine pubblico e la sicurezza nazionale». L'Italia, aggiunge l'amministratore delegato che è anche vicedirettore di Elettronica e conta 15 anni di carriera in vari ruoli operativi come ufficiale di comando in operazioni militari, «è in guerra, come tutti i Paesi del mondo» e se, sul fronte normativo e regolatorio abbiamo  un contesto solido, d'altro canto bisogna procedere più velocemente possibile nella road map dell'attuazione della sicurezza cibernetica nazionale. L'emergenza Covid, grazie all'analisi dei dati e ai sistemi di intelligenza artificiale esistenti, si poteva prevedere? Andando indietro di 10 anni dei segnali c'erano, ma non sono stati messi a fattore. State lavorando per prevenire altre emergenze simili? La domanda attuale riguarda proprio che cosa succederà in futuro. C'è, infatti, una nuova frontiera che è quella dell'intelligenza predittiva sulla quale stiamo cercando di dare un contributo. Il governo italiano, ma anche le aziende, stanno cercando di attivarsi in questo campo, la tecnologia ci può essere d'aiuto. Vanno, infatti, presi in considerazione i cosiddetti segnali deboli, si tratta di una grande quantità di dati, segnali che non vengono captati, ma che possono essere spia di quello che avverrà. Cy4gate collabora con il Governo in vari progetti per la raccolta e l'analisi di dati aggregati ed eterogenei provenienti dalle fonti aperte (Osint) riguardanti trend pandemici e l'occorrenza di eventi fino a ieri considerati straordinari ad alto impatto sociale, al fine di testare algoritmi proprietari di intelligenza predittiva. Grazie al software e programmi informatici specifici che captano e analizzano i "segnali deboli" all'interno del mare magnum di dati di tutti i tipi, l'obiettivo è proprio predire il verificarsi di nuovi fenomeni "tipo" il Covid. In quali altri campi state lavorando col governo? Ad esempio Cy4gate, nell'ambito di uno dei suoi campi di operatività come la raccolta ed analisi dati, fornisce al Governo sistemi per la monitorizzazione attiva dei social network basati sull'apporto fondamentale della Intelligenza Artificiale, al fine di prevenire l'insorgenza di fenomeni eversivi, disordini sociali, diffusione di idee propagandistiche che minacciano l'ordine pubblico e la sicurezza nazionale, o per quanto possibile gestirli ove la matrice di questi fenomeni utilizzino i social network come strumento di organizzazione, reclutamento e crescita. Tornando all'attuale emergenza sanitaria, avete messo a punto dei prodotti di contact tracing? Abbiamo registrato subito un'app per il tracciamento dei contatti che abbiamo venduto a varie aziende, anche alla nostra casa madre Elettronica. Viene utilizzata sul posto di lavoro su base consensuale. I dati raccolti vengono gestiti all'interno del perimetro aziendale solo per aumentare la sicurezza dei dipendenti. Oggi l'Italia, con l'adozione del perimetro di sicurezza cibernetica, è promossa nel campo della cybersecurity? Noi siamo in guerra, come tutti i Paesi del mondo, c'è in atto una guerra informatica sotterranea. Si tratta di attacchi su larga scala e i rischi saranno sempre più alti man mano che il 5G diventerà parte integrante della nostra vita e gli oggetti saranno sempre più connessi tra loro. Qualche anno fa l'Italia era più vulnerabile di oggi, il nuovo perimetro di sicurezza cibernetica rappresenta, infatti, un forte scudo di cui il nostro Paese si è dotato. Tuttavia l'Italia è sempre un soggetto esposto agli attacchi, occorre procedere sulla road map della sicurezza informatica nazionale in maniera più spedita. Di fronte al nemico invisibile, subdolo, cinico che diventa sempre più difficile identificare, si pone il problema della risposta. Sul fronte regolatorio e normativo, va comunque detto, abbiamo un contesto sufficientemente solido. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 5/11/2020

05 Novembre 2020

Irideos: «Traffico dati sotto  controllo, su rete unica in fibra non escludiamo nulla»

L'intervista all'amministratore delegato della società, Danilo Vivarelli:  «Pronti a gestire nuovi picchi» su DigitEconomy.24, il report Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School   La situazione del traffico dati nelle reti tlc è ancora sotto controllo; la crescita c'è, ma è ben lontana dai livelli del lockdown di marzo. Dal suo osservatorio privilegiato Danilo Vivarelli, ex consigliere di Tim e oggi amministratore delegato di Irideos, tasta il polso della situazione durante la nuova emergenza legata alla seconda ondata di contagi da coronavirus. In ogni caso l'azienda, controllata al 78,3% da F2i e al 21,7% dal fondo Marguerite, si dice pronta a gestire eventuali nuovi picchi. Quanto al business, Irideos nel 2020 non ha riscontrato un grosso effetto Covid e registrerà alla fine dell'anno una sostanziale tenuta dei ricavi con margini in leggero aumento. Tuttavia il piano di crescita previsto per il 2020 sarà probabilmente spostato al 2021. Nel frattempo Irideos, nata dall'aggregazione di varie imprese dell'Ict che operano nel mondo del BtoB, guarda al progetto di rete unica, senza escludere nessuna ipotesi: «E' importante – dichiara Vivarelli a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) - che ci sia un accesso non discriminatorio alle infrastrutture. Laddove si crea una concentrazione occorrono misure regolamentari adeguate». Con la nuova ondata di contagi, e il conseguente aumento delle misure restrittive, quali differenze osservate rispetto al lockdown di marzo? Noi siamo un operatore di servizi essenziali e nel primo lockdown, gestendo un'infrastruttura critica, abbiamo continuato a lavorare. Allora abbiamo notato alcune tendenze: l'aumento complessivo dei dati ha comportato una notevole richiesta di passaggi, da parte delle aziende, dall'adsl alla fibra. Inoltre abbiamo registrato nel nostro data center Avalon Campus, dove alloggiamo apparati di 155 operatori, un aumento del traffico dei dati scambiati. Il numero di collegamenti ha subito un'accelerazione del 50 per cento. Passato il primo periodo critico, il traffico è continuato a crescere, ma a un livello più standard. Guardando ai numeri, al momento si contano circa 100 nuove connessioni a settimana, nel lockdown erano 150. Siamo, cioè, più o meno in linea col periodo pre-Covid. In generale, dall'epidemia a oggi, si è registrata una crescita del 25% con un picco superiore nella prima fase e via via una normalizzazione. In ogni caso siamo pronti a gestire nuove impennate, non c'è nessun problema ad aumentare la nostra capacità. Voi avete 30mila chilometri di fibra ottica, che cosa ne pensate del progetto di rete unica? Se partirà il progetto noi faremo le nostre valutazioni. La rete unica ha implicazioni a livello tecnologico, politico, è una sfida complessa. Noi in questo momento stiamo monitorando l'evoluzione. E' tuttavia importante, qualora si realizzi la rete unica, che ci sia un accesso non discriminatorio alle infrastrutture. Laddove si dovesse creare una concentrazione, ci vorranno poi misure regolamentari adeguate. Che ne pensate della possibilità di includere anche i data center nella rete unica e del progetto di creare un cloud europeo?  I data center, noi ne abbiamo 14, sono un elemento fondamentale; in prospettiva, infatti, i servizi andranno progressivamente in cloud. Noi abbiamo un nostro percorso di espansione, ma, se ci saranno opportunità legate a un contesto più ampio, le valuteremo volentieri. Come detto in precedenza, qualora dovesse partire il progetto di rete unica, non escludiamo niente.  Quanto all'ipotesi di un cloud europeo, Irideos fa parte del progetto Gaia-X fin dall'inizio visto che vi partecipava la società Enter, poi integrata nel gruppo. Sicuramente la presenza di eventuali standard possono rendere la situazione più omogenea a livello europeo e contribuire a creare un polo importante dei servizi. Dal primo novembre avete completato la fusione con Cloud Italia. Vedete altre aggregazioni o acquisizioni nel vostro orizzonte? La campagna di acquisizioni è stata fatta nel 2017-2018 da parte di F2i e del fondo Marguerite: sono state comprate aziende come Infracom, Mc link, Enter. Dopo le fusioni societarie abbiamo portato avanti le integrazioni delle varie realtà, passando da un certo numero di piccoli operatori fino alla creazione di un'azienda a livello nazionale. Con tutta una serie di passaggi di tipo tecnologico e di processo. E' importante, infatti, creare un'identità e una cultura aziendale specifica che non disconosca la storia degli operatori. A questo punto ci possiamo considerare un'azienda unica. Il primo novembre scorso si è, infatti, completata questa fase con l'incorporazione di Cloud Italia che controlla l'operatore virtuale Noitel. Ora abbiamo un piano di crescita organica. Finora avete registrato perdite per l'emergenza Covid?  Il 2020 è un anno particolare, ma non abbiamo registrato grossi contraccolpi. I ricavi tengono alla fine dell'anno e dovremmo avere anche un po' di incremento dei margini. Tuttavia il percorso di crescita che dovevamo iniziare nel 2020 è stato un po' rinviato. Entro l'anno presenterò al consiglio di amministrazione la conferma dell'attuale piano, ma con un diverso decalage temporale . L'avvio del piano di crescita sarà, quindi, probabilmente spostato al 2021. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 5/11/2020

04 Novembre 2020

lI contributo delle piattaforme digitali allo sviluppo dell’economia circolare e i problemi connessi al recupero dei materiali di supporto

Le tecnologie digitali sono sempre più pervasive nella nostra società: l’economia circolare ci permette di ripensare in maniera sostenibile i materiali in uso in tutta l’infrastruttura e di dotare il Paese di una rete di raccolta e riciclo più integrata e strutturata. Iscriviti al webinar di "Italia 2030", il progetto MiSE e Luiss Business School per l’Italia sostenibile, e scopri di più! Reti 5G e intelligenza artificiale sono in rapido sviluppo: le tecnologie digitali non sono immateriali, richiedono sensori, sistemi di elaborazione e di immagazzinamento dati, rendendo quindi necessarie quasi tutte le tipologie di materiali, dai conduttori, ai ceramici, ai semiconduttori e ai polimeri. Il webinar prende le mosse dal discussion paper di "Italia 2030" che ha esaminato le tipologie di materiali in uso in tutta l’infrastruttura digitale allargata e analizzato come sviluppare una rete di raccolta e riciclo più integrata e strutturata di quella esistente, a fronte di dispositivi caratterizzati da cicli di vita decisamente brevi. Coordinatore: Maurizio Masi, Politecnico di Milano Intervengono: Danilo Bonato, Direttore Generale, Erion Cristiana Gaburri, Executive Director Direzione Centrale, Tecnico Scientifica, Federchimica Gianmarco Pulga, Head of Digital Factory, Italgas Teresa Sessa, R&D Manager, Relight Italia Massimiano Tellini, Global Head Circular Economy, Intesa Sanpaolo Innovation Center Il webinar è gratuito, per partecipare è necessaria la registrazione.  REGISTRATI  SCARICA LA RICERCA Rivedi il webinar 5/11/2020

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