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23 Aprile 2020

«Fondamentale sviluppare la fibra, mancano gli investimenti necessari»

Così Luigi de Vecchi, Chairman Emea Banking, Capital Markets & Advisory di Citi, nel corso del suo intervento al webinar della Luiss Business School. L'approfondimento su DigitEconomy.24, il report Luiss Business School e Il Sole 24 Ore   La crisi porta con sé anche delle opportunità e una di queste riguarda proprio la banda ultra larga e le nuove tecnologie: è questo uno dei punti chiave espressi da Luigi de Vecchi, chairman Emea Banking, Capital Markets & Advisory di Citi, intervenuto a un webinar della Luiss Business School.  Secondo de Vecchi, «questa crisi ci dirà che l'Italia deve riformarsi e trovare la forza per uscirne con una visione diversa del mondo. Mi auguro che le scelte dell'Italia saranno quelle giuste: dobbiamo assicurarci di restare ben incardinati in Europa, Italia non riuscirebbe a fronteggiare crisi da sola». Il manager ha inoltre evidenziato come sia necessario «ragionare su come avviare una grande politica di investimenti visionari. Una serie di settori è rimasta indietro, come le tlc: non siamo riusciti a creare unica società della rete, non sono stati effettuati investimenti fondamentali con la necessaria attenzione. Sviluppo della fibra è fondamentale e mi auguro venga pensata una nuova politica visionaria». Serve, per de Vecchi, «immaginare un rapporto diverso fra pubblico e privato: non c'è dubbio che in questa fase il pubblico dovrà entrare in maniera significativa in economia per salvare o rilanciare imprese, ma ciò che mi auguro è creare cooperazione e spirito di corpo». Dal manager un messaggio di ottimismo sull'attuale emergenza Coronavirus: «da tutte le crisi si esce, pandemiche e finanziarie: per una azienda e un Paese è importante saperlo e mettersi in condizione di reggere lungo il tunnel, più o meno lungo. Dipenderà dai settori, ma in generale si ragiona su un anno durissimo, ma a fine 2020 inizio 2021 si ripartirà». La questione, per de Vecchi, è «sapere cosa fare in questo periodo per mettersi in condizione di uscirne al meglio» e in queste fasi «fondamentale è la liquidità». de Vecchi ha infine affrontato il tema dell'Europa, ritenendo l'attuale momento «determinante: si vedrà fino a che punto ci sia l'intenzione politica di credere all'idea di Europa. Servono messaggi di concordia e soprattutto iniziative finanziarie, fiscali e politiche per dimostrare che ci sono valori importanti sottostanti». Per il banchiere, «creare un fondo sovrano europeo potrebbe essere un' idea innovativa, anche nell'ottica della creazione di campioni europei». Prossimi protagonisti sul sito della Luiss Business School per i suoi webinar saranno: il 27 aprile l'avvocato Franco Gianni, socio fondatore dello studio Gianni, Origoni, Grippo, Cappelli & Partners, con Fabio Corsico, direttore del corso internazionale della Luiss Business School in Family Business Management; il 29 aprile Marco Morelli, amministratore delegato uscente di Mps; e il 6 maggio Aldo Bisio, a capo di Vodafone in Italia che tratterà proprio i temi del digitale. Il 24 aprile si terrà invece "L'intelligence economica ai tempi di Covid-19", il secondo appuntamento del ciclo "Appunti per l'interesse nazionale", dove ospite d'onore sarà l'ambasciatore Giampiero Massolo, presidente di Fincantieri. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO  23/04/2020

21 Aprile 2020

Pass Laureati 2020 – Borse di Studio Regione Puglia per i Master Universitari

  La Regione Puglia, con il programma “PASS LAUREATI - VOUCHER PER LA FORMAZIONE POST-UNIVERSITARIA, mira a sostenere i giovani pugliesi che, conseguita la laurea (di I o II livello o secondo le regole del vecchio ordinamento), intendono accrescere le proprie competenze realizzando il perfezionamento professionale in un’area prescelta, attraverso la partecipazione ad un percorso di alta formazione. In particolare, tale sostegno è assicurato attraverso l’erogazione di un voucher per la frequenza di Master post-lauream. La Procedura Telematica è disponibile nella pagina PASS LAUREATI 2020, sezione Bandi Aperti della pagina principale ed è attiva a partire dalle ore 11:00 del 20 Marzo 2020. NOTA BENE: I voucher formativi saranno assegnati, fino ad esaurimento dei fondi disponibili, in relazione all’ordine cronologico di trasmissione della domanda. Scopri i Master Universitari erogati dalla Luiss Business School! Poiché è prevista la possibilità di esprimere una sola preferenza è consigliabile sostenere i test di selezione alla Luiss Business School prima dell’inoltro della candidatura per il bando. Le prossime date per gli admission test online sono il 22-23 aprile e il 5-6 maggio. Per ricevere maggiori informazioni sui Master e sulle modalità di partecipazione alle selezioni scrivere a recruitmentluissbs@luiss.it. Per informazioni sui requisiti, sulle modalità e sui termini per la presentazione della domanda e sulle azioni finanziabili vi invitiamo a consultare il sito dell’ente proponente http://www.sistema.puglia.it/. 21/04/2020

20 Aprile 2020

Negli ultimi 16 anni in crescita l’età media di Presidenti e AD delle società quotate

Alla vigilia delle nomine delle partecipate pubbliche, Luiss Business School ha analizzato l’età media di presidenti e amministratori delegati delle prime 40 aziende italiane quotate presenti nell’indice FTSE Mib dal 2003 – anno della costituzione dell’indice - a oggi. dal 2003 al 2019 l’età media dei presidenti è passata da 60,6 a 62,5 anni, quella degli amministratori delegati da 52,6 a 56,3 anni ed è oggi in linea con la media dei primi 16 Paesi al mondo.   L’innalzamento dell’età media dei vertici aziendali è un trend internazionale: riflette il consolidamento di esperienza dei top manager e l’allungamento dei periodi al vertice, che a livello globale è pari a 6 anni.  Per garantire il prossimo ricambio generazionale ed essere più vicini alle nuove generazioni di lavoratori e consumatori, è necessario investire per formare la classe dirigente del futuro.  Nel 2003 l’età media dei presidenti era di 60,6 anni, quella dei CEO di 52,6. Per quanto riguarda i diversi settori, nel comparto finanziario l’età media dei presidenti (61,5 anni) era superiore a quella generale, mentre quella dei CEO (48,7 anni) era decisamente inferiore, grazie soprattutto alla presenza nel comparto di Matteo Arpe, all’epoca appena 39enne. Analogamente, nel settore dei servizi e dell’energia, l’età media dei presidenti era pari a 58,7 anni, mentre i CEO erano allineati alla media generale con un dato pari a 52,7 anni. Infine, nel comparto industriale, l’età media dei presidenti era di 63 anni, mentre quella degli amministratori delegati di 54,9. A distanza di oltre 15 anni, l’età media dei presidenti delle società del FTSE Mib è salita a 62,5 anni, mentre quella dei CEO è cresciuta a 56,3 anni, dato in linea con i trend internazionali: secondo lo studio “Global Route to the Top 2019”*, infatti, l’età media degli amministratori delegati nei principali sedici Paesi internazionali è di 56 anni. Nel comparto dei servizi e delle utility l’età media dei presidenti è cresciuta a 65,9 anni e quella degli amministratori delegati a 56,6. Nel mondo finanziario, a inizio 2020, l’età media dei CEO è in aumento a 54,4 anni ed è in crescita anche l’età media dei presidenti, attestatasi a 62,9 anni. Nel settore industriale e dei prodotti, l’età media degli amministratori delegati risulta in salita a 57,7 anni, mentre quella dei presidenti mostra una riduzione a 58,9 anni. “L’innalzamento dell’età media dei vertici aziendali è un trend che si riscontra a livello internazionale e riflette il consolidamento di esperienza dei top manager e l’allungamento dei periodi al vertice, che a livello internazionale è pari a 6 anni”, ha commentato Paolo Boccardelli, Direttore della Luiss Business School. “Il punto di attenzione è rappresentato dalla necessità di pensare al prossimo ricambio generazionale e per questo è necessario investire nella formazione della classe dirigente del futuro con l’obiettivo di aiutare i manager a cogliere le sfide della trasformazione digitale e della globalizzazione. In un mondo del lavoro in profonda trasformazione, inoltre, risulta fondamentale che i manager sappiano colmare il gap che li separa dalle nuove generazioni, che pensano e agiscono secondo schemi e modelli differenti rispetto al passato”. Merita di essere evidenziato come il trend di aumento dell’età media sia risultato costante in tutto il periodo considerato dall’analisi di Luiss Business School. Guardando ai soli amministratori delegati delle società del FTSE Mib, infatti, l’età media generale è cresciuta dai 52,6 anni del 2003 a 54,2 anni nel 2006, 55,1 anni nel 2009, 55,4 anni nel 2012, si è mantenuta a 55 anni nel 2015 per poi ricrescere al dato di 56,3 anni di inizio 2020. Dall’analisi dei dati emerge inoltre che, alla data di aprile 2020, non vi sono amministratori delegati “under 40” all’interno del FTSE Mib (erano tre nel 2003) e che, nel complesso, sono 6 gli “under 50”; di converso, vi è un caso di amministratore delegato “over 70”. Fra i presidenti, invece, vi sono due “over 80” e dieci “over 70”, a fronte di nessun “under 40”.   Dal punto di vista della “gender diversity”, nonostante le iniziative legislative messe in atto che hanno portato a un ampliamento del numero di donne nei consigli di amministrazione, la fotografia è solo leggermente mutata rispetto al 2003, quando nessuna donna sedeva sulla poltrona di CEO: nel 2019 si registra una sola donna CEO, Micaela Le Divelec Lemmi di Salvatore Ferragamo. Diverso il caso per il ruolo di presidente, dove, a fronte di nessuna evenienza registrata nel 2013, nel 2019 erano invece otto le donne a ricoprire questa carica, con una età media di 61,6 anni. RASSEGNA STAMPA  Corriere della Sera, Ad delle aziende quotate: nessun under 40, solo una donna. L’età media? 56,3 anni, di Giuliana Ferraino, 18 aprile 2020 Forbes.it, Top manager al vertice sempre più tardi, studio Luiss, 19 aprile 2020 Business People, Borsa: giovani manager al comando? In Italia una chimera, 20 aprile 2020 20/04/2020 

09 Aprile 2020

Cellnex: «Puntiamo a crescere, su Inwit interessati al controllo»

L'intervista al ceo Italia, Gianluca Landolina   Nonostante l'epidemia di coronavirus i piani di investimento di Cellnex Italia, divisione italiana dell'operatore europeo indipendente di torri per le telecomunicazioni controllato dai Benetton, non sono cambiati «di un centesimo». In più si continua a puntare a una crescita per linee interne ed esterne, guardando anche a Inwit, che da poco ha concluso l'operazione di fusione delle torri di Tim con quelle di Vodafone. Lo dichiara, nel corso di un'intervista a DigitEconomy.24 l'amministratore delegato del gruppo, Gianluca Landolina. Riguardo alla possibilità di creare un maxipolo con Inwit, eventulità che secondo il top manager sarebbe logica in un'ottica finanziaria industriale, spiega: «Ad oggi tutte le operazioni inorganiche le abbiamo fatte acquisendo il controllo. Certo finora abbiamo sempre puntato al controllo perché col controllo riusciamo a fare sinergie.». Quanto all'attuale emergenza coronavirus, Cellnex auspica che il Parlamento accolga, nell'ambito del dl Cura Italia, la proposta di un procedimento autorizzativo più agile, con «una sorta di silenzio assenso» e totale responsabilità del proponente, per andare avanti senza intoppi sugli investimenti. Con l'epidemia di coronavirus avete cambiato i vostri piani di investimento per l'anno in corso? Non stiamo modificando di un centesimo i nostri progetti, manteniamo un atteggiamento positivo e ottimista, siamo consapevoli del fatto che una porzione di investimenti in questo momento non potremo realizzarla, ma puntiamo a un'accelerazione decisa a fine anno. Abbiamo un piano di aumentare la dotazione di antenne, migliorare la capacità, permettere che una buona parte di investimenti autorizzati prima dell'emergenza venga realizzata. Quali iniziative avete preso per contrastare l'epidemia di coronavirus? Abbiamo messo tutti in smart working, d'altronde eravamo pronti, prima nelle aree del Nord, poi in tutto il resto d'Italia. Quello che è importante è anche lavorare sulla cultura del lavoro a distanza, non basta essere pronti tecnicamente, ma bisogna esserlo anche culturalmente. I nostri dipendenti stanno lavorando più di prima per soddisfare le esigenze attuali, in maniera molto efficace. Lo sentiamo come un dovere morale. Stiamo soffrendo non tanto nella capacità di andare avanti, fare manutenzioni, ma per il fatto che, nonostante le nostre attività siano state dichiarate essenziali, le nostre squadre non sempre hanno libero accesso all'interno del territorio nazionale, prescindendo dalle aree rosse. Quali criticità avete riscontrato? A volte c'è asincronia tra quello che è stato deciso a livello centrale, in questo caso da un decreto della Presidenza del consiglio, e le decisioni di chi esercita il controllo delle disposizioni a livello locale. Inoltre ci sono delle assenze, giustificate, di persone negli uffici locali, un gap che è difficile da colmare. Una parte della nostra velleità di investire sta subendo uno stop. Come si possono superare queste problematiche? Auspichiamo che in Parlamento, nell'ambito del decreto "Cura Italia", venga stabilito un processo autorizzativo agile e rapido, una sorta di silenzio assenso con totale assunzione di responsabilità da parte del proponente, cioè nostra, che prevede anche la sottoposizione a qualsivoglia controllo successivo. Tutto ciò per assicurare un contributo di servizio migliore rispetto a prima dell'emergenza e circoscritto alle infrastrutture già esistenti. Sul "Cura Italia" stiamo avendo con le istituzioni un'interlocuzione costante, abbiamo avanzato alcune proposte concrete che speriamo vengano recepite in Parlamento. Che altre iniziative avete messo in campo per l'emergenza coronavirus? Stiamo cercando di aiutare i nostri clienti, cioè gli operatori telefonici la cui rete è molto congestionata. Spesso inoltre, a fronte di un traffico aumentato esponenzialmente, non vengono utilizzati dagli utenti servizi che per le telco comportano ricavi incrementali, considerata ad esempio la grande quantità di tariffe flat esistente. Ne deriva una situazione di sofferenza. Noi, quindi, per venire loro incontro, intendiamo dare sei mesi di ospitalità gratuita nelle infrastrutture offrendo sia le spese di installazione sia, alla fine dei sei mesi, anche quelle di disinstallazione. Anche se ci troviamo in una situazione economica difficoltosa per il coronavirus, valutate ugualmente aggregazioni o acquisizioni? Sì certamente, questo tipo di operazioni sono nel nostro dna. Noi cresciamo ogni anno, organicamente e anche acquisendo infrastrutture. E' la storia e anche il futuro di Cellnex. Rispetto a questi obiettivi non ci distraiamo assolutamente, anche se è difficile avere in questo momento interlocutori mentalmente disponibili. Valutate anche la creazione di un maxi polo con Inwit che ha appena terminato il processo di aggregazione con le torri di Vodafone e se sì siete interessati anche a una quota di minoranza? Ad oggi tutte le operazioni inorganiche le abbiamo fatte acquisendo il controllo. Certo finora abbiamo sempre puntato al controllo perché col controllo riusciamo a fare sinergie. D'altronde gli operatori telco guadagnano sei euro per ogni euro investito nelle torri, le tower company come noi ne guadagnano 20. Per questa ragione mi aspetto, in base a questo ragionamento razionale, che a un certo punto gli azionisti possano prendere in considerazione di lasciare il controllo a un soggetto indipendente che fa questo di mestiere. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 09/04/2020

09 Aprile 2020

 Nicita (Agcom): «Operatori telco incentivino uso dell'app»

L'intervista al commissario dell'AGCOM membro della commissione Pisano oggi su DigitEconomy.24, il report Luiss Business School e Il Sole 24 Ore   L'app per il tracciamento del contagio avrà successo «se la usiamo. Credo che gli operatori telco possano dare una mano nel fornire opportuni incentivi legati all'utilizzo volontario dell'app». Parola di Antonio Nicita, commissario Agcom nonché membro della commissione Pisano che si occupa anche dell'app. Secondo Nicita l'app può essere utilizzata, in maniera diversa, nella gestione di tutte le fasi dell'emergenza che per il commissario Agcom sono quattro. Si va dalla prima, che è quella che stiamo vivendo e «finché vi siamo dentro la raccolta di dati può essere utile solo unitamente a un campionamento, quale quello annunciato dall'Istat, che possa darci una capacità predittiva sulla durata della fase», all'ultima fase, la numero quattro: «è quella – spiega - che ci prepara al futuro ove il virus dovesse ripresentarsi, per isolarlo in tempi di assai più rapidi». A fine crisi si potrà poi aprire la possibilità per «un rilancio armonioso e territorialmente equilibrato degli investimenti in reti di alta capacità». E l'Agcom, dice Nicita, non farà mancare il suo contributo. Professor Nicita, qual è il ruolo dell'Agcom nelle ultime iniziative del Governo per contrastare il coronavirus e scegliere un'app che abbia successo nel tracciamento del contagio? Agcom è stata coinvolta dal Governo in due iniziative: una è la Commissione della ministra Pisano che si occupa anche della App per il tracciamento del contagio, in cui io sono stato designato a far parte, e l'altra la task-force sulla disinformazione voluta dal sottosegretario Martella. In entrambe le iniziative Agcom partecipa limitatamente alle proprie competenze, fornendo il proprio contributo tecnico naturalmente e porterà gli esiti degli studi e delle attività svolte per indicazioni di policy al Governo e al legislatore proprio sulle cosiddette data driven policy che con l'Antitrust e il Garante Privacy abbiamo tracciato nella nostra indagine conoscitiva sui big data. Come vede l'Agcom il lancio di una politica pubblica dei dati anche attraverso il tracciamento svolto dall'app per il coronavirus? Quella della ministra Pisano è una iniziativa molto importante e necessaria, tant'è che la stessa Commissione europea ha pubblicato un documento in tal senso. E' chiaro che tra tutte le Autorità, il ruolo principale di osservazione e consultivo, in questa fase, spetta al Garante Privacy e in particolare alla individuazione del giusto equilibrio tra tracciamento e rispetto delle norme GDPR e non solo. Il gruppo che sta lavorando sulla selezione dell'App ha al proprio interno esperti di altissimo valore che stanno lavorando a mio avviso molto bene e in tempi assai ravvicinati. Agcom potrà dare un contributo da osservatore tecnico in una fase successiva alla selezione dell'app, in particolare ragionando sull'accesso ai dati delle Big Tech, sulla capacità d'interazione dell'App con l'ambiente digitale di connessione, su possibili incentivi, da studiare anche con gli operatori di comunicazione, per l'effettivo uso dell'App da parte dell'utente. In che modo un'app di tracciamento potrà aiutare a contrastare il contagio? Diciamo innanzitutto che l'App di tracciamento dovrà essere inserita efficacemente in un contesto di policy articolate. Come suggerisce l'Organizzazione mondiale per la sanità, la raccolta dei dati e il tracciamento opportunamente anonimizzato o pseudoanomizzato deve permettere una politica delle le 3T: Test, Treat, Track. Naturalmente il modo in cui organizziamo le tre T dipende anche dalla fase in cui ci troviamo. Oggi un'app di tracciamento deve aiutarci soprattutto per la cosiddetta fase due, cioè per gestire la transizione dell'uscita. Anche se la fase due a mio avviso va distinta in almeno tre fasi. Quali sono le tre fasi? Forse conviene sin da subito ragionare di quattro fasi e capire come un' app di tracciamento possa aiutare a gestirle. La prima fase la stiamo vivendo ancora purtroppo e finchè vi siamo dentro la raccolta di dati può essere utile solo unitamente a un campionamento, quale quello annunciato dall'Istat, che possa darci una capacità predittiva sulla durata della fase. La fase due è quella che si aprirà dopo aver osservato un significativo rallentamento e riguarderà rientri selettivi al lavoro e a talune attività. Qui diventa utile capire chi è negativizzato e quali misure comportamentali vengono rispettate. E diventa importantissimo garantire che questa ‘apertura' sia limitata e selettiva. La terza fase è quella di vera uscita per la totalità della popolazione, ma non sarà un ritorno alla vita ‘normale'. Dovranno essere rispettate molte nuove regole e l'app di tracciamento può aiutarci anche nel monitoraggio di queste regole e al rispetto dei vincoli (anche banalmente di congestione o assembramento) in molte attività di lavoro, trasporto, scuola, tempo libero, turismo. La quarta fase è quella che ci prepara al futuro ove il virus dovesse ripresentarsi, per isolarlo in tempi di assai piu rapidi. Come potrà Agcom intervenire per far sì che l'app che sarà selezionata sia poi usata con successo? La app avrà successo se la usiamo. Credo che gli operatori telco possano dare una mano nel fornire opportuni incentivi legati all'utilizzo volontario dell'app. E' una riflessione che stiamo svolgendo e che ovviamente deve essere pienamente trasparente. L'altro importante pezzo del ragionamento è l'accesso ai nostri dati in possesso delle big tech per aiutare nel tracciamento del contagio e prevenirlo e integrare così le varie banche dati disponibili per il disegno delle politiche pubbliche. Questa crisi ha dimostrato la centralità della connessione e la necessità di superare il divario digitale. Che cosa ne pensa? Credo che dopo la fase acuta dell'emergenza, si apra una concreta possibilità per un rilancio armonioso e territorialmente equilibrato degli investimenti in reti di alta capacità. Agcom non farà mancare un contributo proattivo. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO  09/04/2020

09 Aprile 2020

 Candiani (Microsoft): «App per tracciamento contagiati sia aperta agli altri sviluppatori»

L'intervista alla country manager Italia per DigitEconomy.24, il report Luiss Business School e Il Sole 24 Ore. Il gruppo ha partecipato alla call del Ministero dell'Innovazione.   Chiunque venga scelto per l'app di tracciamento dei contagiati di coronavirus metta poi la sua soluzione a disposizione degli altri sul social network degli sviluppatori, in modo tale che possa essere migliorata e sfruttata anche negli altri Paesi. E' il punto di vista di Silvia Candiani, country general manager di Microsoft Italia, una delle oltre 300 aziende che hanno partecipato alla call del ministero dell'Innovazione per realizzare un sistema di tracciamento. Per quanto riguarda il modello da scegliere nel bilanciamento con le esigenze di privacy, Candiani, che  ricorda come Microsoft sia pronta con ben due app, cita quello utilizzato da Singapore che si basa sull'uso della tecnologia bluetooth, sui contatti del contagiato, senza risalire al singolo individuo e parla di un necessario «trade off» tra sicurezza e uso del dato in un momento emergenziale come quello che stiamo vivendo. Oltre alla app, Microsoft per far fronte all'emergenza è impegnata su più fronti, dagli ospedali alle scuole alle aziende. E dopo l'emergenza? Nell'intervista a DigitEconomy.24 (report di Radiocor e Luiss Business School), Candiani spiega: «non si tornerà indietro, ci sarà un balzo nella digitalizzazione: penso che il cloud, l'informatica, l'utilizzo dei dati dovranno essere gli assi su cui costruire nuovi prodotti e servizi e su cui rilanciare anche la rinascita dell'Italia alla fine della crisi». Quali le iniziative avete intrapreso per l'emergenza? La prima cosa che abbiamo fatto è metterci in moto perché le aziende potessero essere operative, e in questo senso abbiamo avuto un feedback superiore a ogni più rosea aspettativa. Ci siamo resi conto in poco tempo di quanto si possa fare in smart working, dalle riunioni alle sessioni di brain storming, al dialogo con i clienti. Da noi in Microsoft abbiamo previsto anche momenti ludici come ad esempio le lezioni di yoga per i dipendenti.   Ci siamo anche accorti che le piccole aziende erano più in difficoltà, e quindi abbiamo messo loro a disposizione gratuitamente fino al 2021 Teams, la nostra piattaforma per le videconferenze e la produttività da remoto. In più abbiamo fatto una call to action a tutti i nostri partner chiedendo di prestare aiuto volontario per quelle realtà che volessero andare in smart working rapidamente ma non ne avessero le capacità. Abbiamo avuto un grande successo, quasi 40 aziende si sono offerte volontarie. Abbiamo dato priorità a ospedali e strutture sanitarie per poterle aiutare nell'attivazione di Teams. Inoltre abbiamo partecipato alla chiamata alle armi del ministero dell'Innovazione che ha chiesto i nostri prodotti gratuitamente per le zone più colpite, ad esempio nelle zone rosse di Codogno, poi abbiamo deciso di ampliare la nostra promozione al di là di quelle aree.  Un altro campo dove abbiamo lavorato è il supporto alle scuole dove, oltre alla nostra piattaforma, abbiamo dato disponibilità a formare gli insegnanti per la didattica on line. In poche settimane ne abbiamo formato un numero consistente, oltre 60mila. Infine abbiamo messo on line tutti i 9.500 giudici che ora fanno gli interrogatori tramite Teams. Che dati avete riscontrato nell'utilizzo delle vostre piattaforme con l'arrivo del coronavirus? In Italia con Teams eravamo un po' più indietro, era un prodotto di riferimento, ma non se ne si sentiva così forte l'urgenza. Nel giro di pochi giorni abbiamo abilitato quasi tutte le grandi aziende in Italia. Per rendere l'idea mese su mese abbiamo riscontrato una crescita di 7 volte nell'uso della piattaforma. Il sistema Italia era pronto a sostenere un'emergenza del genere? La difficoltà è stata trovare l'interlocutore giusto. Ad esempio nel mondo della scuola abbiamo lavorato bene, partecipiamo a un gruppo di lavoro, e abbiamo fatto un buon piano per la didattica on line. Una delle criticità è che per parlare alle scuole non esiste un modo centralizzato, ma bisogna partire dal basso. Ogni scuola, e a volte ogni professore, si orienta in maniera diversa. Diventa un po' difficile fare qualcosa di orchestrato. In altri Paesi invece si ci mette d'accordo con il Ministero e poi viene realizzata la soluzione per tutti. La stessa cosa è avvenuta per gli ospedali per i quali abbiamo tante soluzioni, ma non c'è un coordinamento nazionale. C'è una frammentazione che magari ha benefici in alcuni ambiti, è più flessibile, in altri permette di essere meno veloce nell'implementare determinate soluzioni. Che tipo di soluzione avete individuato per l'app di tracciamento delle persone contagiate? Abbiamo presentato una nostra proposta, abbiamo sostenuto anche nostri partner che hanno fatto delle proposte, ci siamo messi a disposizione. In effetti il numero di applicazioni presentate è molto ampio, e questo potrebbe rallentare il processo, le soluzioni vanno infatti validate, ne va scelta una, sono tutti giorni che un po' perdiamo, si potrebbe essere più efficaci magari con un approccio un po' più direttivo. Dal canto nostro abbiamo messo a disposizione un'app realizzata con un nostro partner che gira su Azure ed è già disponibile adesso, un'altra sarà disponibile tra pochi giorni. Come Microsoft abbiamo diverse esperienze, siamo il partner del sistema sanitario inglese, abbiamo collaborato a Singapore, in questo momento tutte le nostre filiali stanno lavorando su applicazioni simili. Abbiamo inoltre proposto di mettere l'app prescelta su Github, il.social network dei devolopers, dove cioè gli sviluppatori si possono scambiare il codice sorgente. Qualunque sia la app scelta è infatti preferibile che diventi un bene comune che magari possa essere migliorato dalle altre 300-400 società di sviluppatori, ma anche essere resa disponibile agli altri Paesi. Come si possono risolvere i problemi di privacy nell'utilizzo di simili app? Innanzitutto, anche nella regolamentazione della privacy si fa riferimento al caso delle emergenze sanitarie. Si può inoltre ipotizzare, ad esempio nell'app scelta da Singapore, che sulle informazioni raccolte con bluetooth, non si sappia chi sia la persona, ma si abbia solo evidenza degli altri cellulari che sono stati vicini al contagiato entro due metri. Qualora dunque una persona risulti positiva al coronavirus, premendo un bottone si potrà avvisare automaticamente tutti gli altri cellulari che si sono trovati vicini nei precedenti 14 giorni. Penso in questa fase serva un trade off tra sicurezza e utilizzo del dato. Comunque l'app sarà di proprietà dello Stato che sarà garante. Che idea vi siete fatti dello stato di digitalizzazione dell'Italia ai tempi del coronavirus e che cosa ci aspetterà alla fine dell'emergenza? L'Italia è in ritardo rispetto agli altri Paesi, ha investito sempre molto meno in tecnologie e ricerca, in effetti si vede dalla penetrazione più bassa dello smart working e del cloud. La situazione di emergenza ha accelerato una serie di processi e secondo me non si torna indietro. Penso che l'ideale sia comunque un mix tra l'uso del digitale e gli incontri di persona perché abbiamo anche bisogno del contatto umano, dello scambio. D'altro canto, se non avessimo avuto il cloud, non sarebbe stato possibile gestire i picchi così forti registrati sulla nostra infrastruttura. I benefici in termini di resilienza, di elasticità sono sotto gli occhi di tutti, tutte le aziende stanno accelerando nel percorso di digitalizzazione. L'eredità di questa situazione sarà un grande balzo in avanti della digitalizzazione: penso che il cloud, l'ict e l'utilizzo dei dati dovranno essere gli assi su cui costruire nuovi prodotti e servizi e su cui rilanciare anche la rinascita dell'Italia alla fine della crisi. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 09/04/2020

09 Aprile 2020

«L'azione del Governo sia ispirata dai dati»

L'importanza della digitalizzazione nello tsunami che ci ha travolto: l'intervento di Paola Pisano, Ministro per l'Innovazione tecnologica e la Digitalizzazione in occasione di #Italiasmart, su DigitEconomy.24, il report Luiss Business School e Il Sole 24 Ore   L'Italia era quart'ultima nella classifica europea Desi per utilizzo e sviluppo di servizi digitali. Per fare un esempio, il tasso di applicazione dello smart working era del 2%, laddove altri Paesi, come il Regno Unito e la Francia, erano al 20 per cento. Ci siamo quindi trovati in una situazione di svantaggio ad affrontare un‘onda d'urto molto forte. Due considerazioni meritano di essere fatte: la prima è la reazione all'emergenza, di breve periodo, quindi bisogna mettere subito in campo tutte le attività le azioni, i progetti che si possono attuare per dare una risposta a cittadini e aziende, ospedali e malati, non solo di Covid, che si trovano in estrema difficoltà. La seconda è riuscire a fare in modo che questa reazione emergenziale poi abbia ricadute stabili nel nostro Paese. Molto velocemente abbiamo messo in piedi tre progetti: il primo è "Solidarietà digitale", per dare risposte immediate attraverso servizi digitali al cittadino in modo gratuito in tutta Italia; il secondo "Innova per ltalia" con Mise e Miur per trovare soluzioni innovative coinvolgendo anche il mondo delle start up; la terza è la task force sui dati e l'app per il contact tracing di cui tutti parlano. La cosa più importante è che questa task force deve riuscire a creare un'infrastruttura che aiuti il governo a creare le proprie policy guidato dai dati e non da altri fattori. Questo tsunami che ci ha travolto ha reso evidente agli occhi di tutti l'importanza della digitalizzazione, delle reti, dei dati, ma soprattutto l'importanza di rivedere il modello sociale che noi oggi abbiamo portato avanti con molta fatica. Abbiamo quattro fattori cruciali: lavoro; smart working e digitalizzazione; ricerca e lotta alle disuguaglianze; semplificazione e sburocratizzazione. Questi quattro fattori vanno affrontati non solo in modo emergenziale e non solo con gli aiuti che oggi stiamo mettendo in campo, ma anche e soprattutto con la presa di coscienza che dobbiamo avere un modello di economia nuovo, da studiare in poco tempo e iniziare a mettere in pratica rapidamente nei prossimi mesi. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 09/04/2020 

09 Aprile 2020

Smart working e innovazione contro il coronavirus

Le considerazioni di #ItaliaSmart,  virtual panel organizzato da Cdp - Cassa depositi e prestiti con Luiss Business School: oggi su DigitEconomy.24, il report Luiss Business School e Il Sole 24 ore   Con l'emergenza Covid-19 per la prima volta lo smart working è diventato all'improvviso una necessità e una priorità per tutelare la salute delle persone, il lavoro e i servizi. Dall'oggi al domani aziende e Pubbliche Amministrazioni sono state chiamate a realizzare questa trasformazione, quando, solo fino a qualche settimana prima, il lavoro agile era parte di un processo più ampio di digitalizzazione del lavoro che procedeva a passo non così spedito. Questa accelerazione senza precedenti ha dimostrato che, se nel dopo Covid-19 niente sarà più come prima, ciò è ancora più vero se si pensa al mondo del lavoro e dell'innovazione: è questa la considerazione di fondo che ha animato #ItaliaSmart, il virtual panel organizzato da Cdp – Cassa depositi e prestiti in collaborazione con Luiss Business School, Talent Garden e P4I – Partners4Innovation, che si è tenuto lo scorso primo aprile. A fare il punto sulle nuove tecnologie che stanno trasformando la società, sullo smart working e sulle nuove competenze che saranno richieste nel futuro sono stati, assieme alla ministra per l'Innovazione tecnologica e la digitalizzazione Paola Pisano, Maurizio Di Fonzo, chief people and organization officer di Cdp, Paolo Boccardelli, direttore della Luiss Business School, Mariano Corso, direttore scientifico di P4I, Davide Dattoli, ceo e co-founder di Talent Garden e Monica Parrella, direttrice generale del personale del Ministero dell'economia e delle finanze.   «In Cdp eravamo abituati a qualche centinaia di persone che facevano un giorno di lavoro agile a settimana: dall'oggi al domani siamo passati al 100% e più di 2.000 persone in smart working», ha spiegato Di Fonzo. «Video e call sono aumentati del 1.700% rispetto a febbraio, i messaggi scambiati nelle chat sono cresciuti del 1.100%: se lo avessimo programmato, ci avremmo messo qualche mese». Dattoli ha aggiunto che non bastano solo i dati per ricavare una fotografia del cambiamento in atto: «La sfida è cambiare le regole del gioco. Soltanto uno shock di questo tipo è riuscito a dimostrarci che come facevamo prima era un retaggio del "si è sempre fatto così": abbiamo fatto un passo avanti di dieci anni, ma senza essere preparati. Oggi più che mai è quindi fondamentale la capacità di reazione: in questo momento non servono piani triennali, ma a 30 giorni». Proprio per reagire a un evento dagli effetti difficilmente prevedibili, un vero e proprio cigno nero, «le imprese cominceranno a ragionare sui modelli di business più resilienti», ha detto Paolo Boccardelli. «In questo contesto il digitale ha subito una grande accelerazione intraprendendo una strada senza ritorno. In futuro aumenterà ulteriormente la domanda di skill digitali e quindi la necessità di accelerare la trasformazione di competenze e professionalità. Parallelamente, andranno affrontati e risolti i nodi in tema di privacy e di regolamentazione di questi mercati». Anche per Mariano Corso «questo è il momento di esagerare con la formazione, perché le persone non si sentano lasciate allo sbaraglio» e siano pronte a gestire la «fase 2, che definirei di normalizzazione: cerchiamo di applicare più in profondità i principi fondanti dello smart working e poniamo le basi non soltanto di una seconda fase emergenziale». «Se siamo riusciti in pochissimo tempo in oltre 8.000 persone a lavorare a distanza al Ministero, vuol dire che gli strumenti tecnologici esistevano già», ha chiosato Monica Parrella, per la quale il fabbisogno di competenze manageriali pesa più delle infrastrutture. Punto di partenza, per la manager, è accettare che «il presidio fisico del dirigente è il contrario della leadership. Altro tema è quello delle soft skills: nei concorsi della pubblica amministrazione non è prevista alcuna domanda sulla motivazione» e oggi i dirigenti si rendono conto che la capacità di rapporto umano soprattutto a distanza «ha importanza notevolissima, su cui concentrarsi sia in fase di formazione sia di condivisione di buone pratiche». Proseguono intanto anche i "Webinar series" di Luiss Business School: dopo Marco Patuano e Maximo Ibarra, prossimi protagonisti sul sito della Scuola saranno il 16 aprile alle 18:30 Marco Sesana, amministratore delegato di Generali Italia, il 22 Luigi De Vecchi, chairman of Continental Europe for corporate and investment Banking di Citi, e il 29 Marco Morelli, amministratore delegato uscente di Mps. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 9/4/2020 

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