News & Insight
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17 Dicembre 2020

«Il nostro modello di rete è il più adatto a favorire investimenti e concorrenza»

Parla l'ad di Open Fiber, Elisabetta Ripa, a DigitEconomy.24, il report Luiss Business School e Il Sol 24 Ore - Radiocor: «siamo interessati a valutare la collaborazione con tutti i soggetti»   Il modello di rete wholesale only, che fornisce cioè fibra solo all'ingrosso a tutti gli operatori «consentendo la realizzazione di un'infrastruttura di ultima generazione aperta a tutti coloro che siano interessati a sviluppare servizi digitali per cittadini, imprese e pubblica amministrazione, è il più adatto a favorire gli investimenti e l'innovazione attraverso una concorrenza leale e ad armi pari tra tutti gli attori coinvolti». Lo dichiara a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) l'amministratrice delegata di Open Fiber, Elisabetta Ripa. Proprio in questo giorni il Mise ha avviato una serie di incontri con gli operatori per raccogliere idee e contributi sullo sviluppo della banda ultra larga. In prospettiva c'è anche il dossier rete unica che prevede una combinazione, in primis, tra gli asset dei due principali operatori in fibra, Open Fiber e Tim.  «Il modello di business di Open Fiber – aggiunge Ripa - è aperto e collaborativo per principio. Siamo interessati a valutare la collaborazione e la cooperazione con tutti i soggetti, per realizzare il più velocemente possibile la digitalizzazione del Paese con un particolare focus sulle aree grigie dove il nostro piano industriale prevede già di investire cablando circa un milione di unità immobiliari aggiuntive con investimento privato». «Da affrontare, nella  fase di ripartenza, il tema delle competenze» La top manager fa un punto anche sull'effetto Covid rispetto alla stesura delle reti e sulle competenze necessarie soprattutto alla luce delle difficoltà che stanno vivendo tante aziende della filiera. «Con l'emergenza Covid – ricorda  - sono stati sottoposti a restrizioni anche tanti settori produttivi che compongono la filiera necessaria all'operatività del business delle telecomunicazioni. Con un grande sforzo, siamo comunque riusciti ad assicurare la continuità del servizio e a garantire le nuove attivazioni, che sono letteralmente esplose in coincidenza con l'aumento delle misure restrittive (e quindi delle percentuali di smart working e didattica a distanza)». Resta, però, da affrontare, in fase di ripartenza, il tema fondamentale delle competenze che vede l'Italia in coda alla classifica Desi. «Un progetto strategico come quello che Open Fiber sta portando avanti - prosegue- necessita di numerosi professionisti specializzati: giuntisti per la fibra ottica, progettisti di reti Ftth, periti tecnici. Tali figure, tuttavia, scarseggiano a causa del mancato investimento in questa tipologia di rete trasmissiva nell'ultimo ventennio. Per questa ragione è molto importante la formazione, nelle scuole e nei centri dedicati, del know-how per lo svolgimento di mestieri altamente specializzati». «Fwa per coprire zone più remote in modo complementare alla fibra» Open Fiber, nata per portare la fibra ottica in Italia, oggi punta molto anche sull'Fwa, la tecnologia misto radio-fibra più veloce da realizzare, soprattutto nelle aree montane o difficili da raggiungere. L'azienda, ricorda Ripa, «ha deciso di intervenire con risorse proprie per portare connessione in 171 comuni delle cosiddette "aree bianchissime", dove non c'è alcuna connessione fissa o mobile a causa del mancato intervento degli altri operatori privati, con tecnologia Fwa, mista fibra- radio. Anche nel resto delle aree bianche, Open Fiber utilizza l'Fwa per coprire le zone più remote o con una densità abitativa particolarmente bassa in modo complementare rispetto alla fibra fino casa (ftth). Il nostro obiettivo è accelerare il più possibile la copertura del Paese con tecnologie ultrabroadband e, da sempre, siamo aperti al dialogo con le istituzioni per trovare le soluzioni migliori anche alla luce della difficile situazione sanitaria che stiamo vivendo» «Il nostro modello incontra il favore degli operatori» Nonostante il Covid, l'Italia è, secondo l'ad, in buona posizione e ha le carte in regola per raggiungere, come riporta l'Ftth Council, il terzo posto in Europa nel 2026 nella copertura in fibra. «Il report Idate presentato all'Ftth Council evidenzia come, nella classifica della copertura in infrastrutture di ultima generazione (Ftth/b), il nostro Paese sia già sul podio, dopo Francia e Spagna. L'Italia, negli ultimi 12 mesi e malgrado il Covid, è stata la seconda nazione in termini di incremento delle unità immobiliari raggiunte dalla fibra e questo grazie al lavoro di Open Fiber. Con oltre 10 milioni di unità immobiliari abilitate ai servizi ultra broadband, siamo il principale operatore italiano di reti in fibra ottica e il primo in Europa tra gli operatori wholesale only». Un modello di business che «incontra il favore sia degli operatori (OF ha accordi con oltre 100 partner), che competono a parità di condizioni sui servizi, sia dell'Unione Europea, che ne ha evidenziato le capacità di favorire gli investimenti nel Codice europeo delle Comunicazioni elettroniche». «Effetto decreto Semplificazioni su  burocrazia nei prossimi mesi» Tra le criticità Open Fiber individua, invece, la burocrazia che è «sicuramente un elemento che non ha agevolato il piano di cablaggio nelle aree bianche, sia per i ricorsi e le complicazioni che hanno ritardato il rilascio delle concessioni, sia per l'enorme mole di permessi e autorizzazioni necessari (oltre centomila)». Tuttavia, conclude Ripa, «il decreto semplificazioni varato dal Governo, dispiegherà i suoi effetti nei prossimi mesi, e consentirà di velocizzare ulteriormente. Siamo quindi fiduciosi che, con la collaborazione di tutti, l'Italia potrà proseguire nel percorso virtuoso e centrare le previsioni di crescita dell'Ftth Council al 2026». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO  17/12/2020

15 Dicembre 2020

Expo Dubai 2020: un trampolino per il Made in Italy

Con l’evento Expo Dubai 2020 si è chiuso l' "Export Champion Program", il percorso di formazione promosso da SACE, Luiss Business School e Ambasciata d’Italia negli Emirati Arabi Uniti, che ha accompagnato 100 PMI italiane alla scoperta del mercato emiratino, per intercettare le opportunità commerciali legate all’Esposizione universale che si terrà dal 1 ottobre 2021 al 31 marzo 2022. "Il programma di formazione ha l'obiettivo di fornire alle imprese italiane competenze e relazioni di business nel quadrante geografico dei Paesi del Golfo, che offre molte opportunità di sviluppo. Luiss Business School insieme a SACE si propone di supportare le imprese italiane, in modo particolare le piccole e medie, nel rafforzare le competenze manageriali da un lato e le relazioni professionali dall’altro per sviluppare una presenza competitiva in quell’area geografica ricca di opportunità": ha dichiarato Matteo Caroli, Associate Dean Luiss Business School e condirettore del programma "Export Champion Programme: focus EAU" Sono intervenuti: Rodolfo Errore, Presidente SACE Paolo Boccardelli, Direttore Luiss Business School Paolo Glisenti, Commissario Generale dell’Italia a Expo Dubai 2020 Valeria Gravagno, Capo dell'Ufficio Economico e Commerciale dell'Ambasciata d’Italia negli EAU Matteo Caroli, Condirettore del programma Export Champion Program: Focus EAU - Luiss Business School Gian Domenico Mosco, Direttore del programma Doing Business in the Gulf - Dipartimento di Giurisprudenza, Luiss Guido Carli Mariangela Siciliano, Responsabile Education to Export SACE Ali Al Nuaimi, Head of Economic Affairs Section, Ambasciata emiratina in Italia Nasser Al Khaja, Head of Media and Public Diplomacy Section, Ambasciata emiratina in Italia Giuseppe Cavallaro, Coordinatore didattico Doing Business in The Gulf, Luiss Business School Rivedi il webinar 15/12/2020

10 Dicembre 2020

Garofalo Health Care: «Lavoriamo ad una federazione di eccellenze. Il futuro è integrazione pubblico-privato»

Dalla quotazione all'impegno sulla sostenibilità e nella lotta al Covid. L'amministratore delegato Maria Laura Garofalo ne parla a SustainEconomy.24   Una crescita continua che punta solo a target di eccellenza e un apporto importante nella lotta al Covid. Perché pubblico e privato sono facce di una stessa medaglia. Maria Laura Garofalo, amministratore delegato di Garofalo Health Care, gruppo quotato su Mta di Borsa Italiana, tra i principali operatori del settore della sanità privata accreditata, vede l'integrazione pubblico-privato nel futuro del settore sanitario. E la sostenibilità, spiega a SustainEconomy.24, report di Luiss Business School e Il Sole 24 Ore Radiocor, è il primo mattone su cui costruire tutto.  Stiamo vivendo un momento importante per il Sistema sanitario italiano. E Garofalo Health Care è tra i principali operatori del settore della sanità privata accreditata. Dalla quotazione siete cresciuti e avete un piano che prevede un ulteriore rafforzamento. Ce ne parla? «Ci siamo quotati a novembre 2018 in un momento particolarmente critico per i mercati finanziari; in molti ci avevano consigliato, infatti, di desistere dall'impresa, ma noi non ci siamo arresi ed alla fine il coraggio e la tenacia ci hanno premiato. La nostra è stata una quotazione di successo ed oggi siamo l'unico gruppo quotato in Italia nel settore dell'healthcare. Siamo approdati in Borsa con un importante progetto di crescita per linee esterne ed oggi siamo presenti con 26 strutture d'eccellenza in 8 Regioni del Centro Nord. La crisi pandemica che stiamo vivendo non ha minimamente cambiato la nostra progettualità, anzi potrebbe aver accelerato quel processo di accentramento che si sta manifestando da qualche anno nel nostro settore, dove i singoli decidono di vendere per lasciare il passo alla concentrazione dei grandi gruppi. Puntiamo esclusivamente a target di eccellenza, in linea con i nostri valori e le nostre performance economiche e finanziarie. L'imprenditore singolo cede la sua azienda, anche se solida, perché spesso non ha continuità dietro di sé ed il settore è particolarmente complesso; in noi trova un interlocutore in grado di tutelare la sua storia potenziando la sua azienda. Rimane quindi a gestirla all'interno del mondo GHC concretizzando  possibilità di efficientamento e contribuendo a sviluppare la federazione di eccellenze che rimane uno dei nostri principali obiettivi».  E il particolare momento che viviamo cosa può insegnare? «Il momento difficile che stiamo attraversando, secondo me, ci ha insegnato due cose: innanzitutto che, in sanità, tagli eccessivi e inconsapevoli prima o poi mettono in ginocchio il Paese, comportando conseguenze drammatiche sia a livello economico che sociale. In seconda battuta la crisi ha dimostrato, concretamente, che l'integrazione tra pubblico e privato accreditato rappresenta il futuro del nostro sistema sanitario. Infatti, senza il sostegno del privato che ha convertito intere strutture in centri Covid, dato la disponibilità di letti di terapia intensiva ed ospitato le chirurgie più impegnative e delicate degli ospedali pubblici, il sistema non sarebbe uscito dalla prima fase della pandemia, né sarebbe riuscito ad affrontare l'attuale seconda ondata».  La pandemia da Covid-19 e l'emergenza richiedono, appunto, uno sforzo comune. Qual è l'apporto del vostro gruppo? «La pandemia da Covid-19, come ho detto sopra, ha richiesto e continua a richiedere uno sforzo comune ed è giusto che, di fronte ad un'emergenza senza precedenti come quella che stiamo attraversando, sia il pubblico che il privato (due facce di un'unica medaglia) facciano entrambi la propria parte. In particolare, noi abbiamo aperto 5 reparti Covid in Emilia-Romagna, Veneto, Piemonte e Toscana, abbiamo ospitato in alcune strutture emiliano-romagnole le chirurgie e i day hospital oncologici degli ospedali pubblici, nonché inviato squadre di anestesisti, rianimatori ed infermiere nelle terapie intensive degli ospedali, prestando altresì respiratori polmonari ed attrezzatura varia». Siete anche attivi sul tema della sostenibilità e di recente vi è stato anche riconosciuto. Quanto conta per un'azienda del vostro settore essere sostenibili? «Per un'azienda come la nostra la sostenibilità rappresenta il primo mattone su cui costruire tutto il resto e per quanto ci concerne, oltre che per normativa specifica, per libera scelta aziendale. Un impegno riconosciuto anche da Standard Ethics, che recentemente ha assegnato il rating investment grade EE- ("Adequate") al nostro Gruppo sui temi Esg. Se abbiamo seguito questo indirizzo, infatti, non è soltanto per motivi di ordine sociale ed ambientale, ma anche per ragioni di ordine gestionale perché investire in sostenibilità significa anche migliorare le proprie performance economiche e finanziarie attraverso un modello che assicura una più efficiente allocazione delle risorse, minor spreco e maggiore qualità delle prestazioni erogate». Come si declinerà la sostenibilità in futuro nel settore sanitario? «Nel settore sanitario la sostenibilità si declinerà in futuro sicuramente anche attraverso l'innovazione digitale per una migliore personalizzazione, continuità e accesso dei pazienti alle cure, ma a mio avviso, soprattutto attraverso il potenziamento del modello organizzativo "patient-centered". Un modello che indirizza l'intero percorso assistenziale centrandolo sulla persona, ovvero spostando il focus dalla malattia al paziente considerato a 360 gradi anche sotto il profilo psicologico e relazionale». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO  10/12/2020

10 Dicembre 2020

Dompé: «Prepariamoci alla rivoluzione del sistema sanitario. Servono nuovi modelli»

L'impegno in prima linea nel progetto Exscalate4CoV per combattere il Covid. E il futuro del Sistema sanitario. Sergio Dompé, presidente della Dompé farmaceutici ne parla a SustainEconomy.24   Nella pandemia da Covid-19 il mondo della scienza sta dimostrando capacità e generosità a vantaggio della collettività. Sergio Dompé, presidente della Dompé farmaceutici in un'intervista a SustainEconomy.24, report di Luiss Business School e Il Sole 24 Ore Radiocor racconta l'impegno in prima linea nel progetto Exscalate4CoV per trovare terapie per combattere il virus. E proprio in questi giorni, annuncia, si stanno arruolando i primi pazienti. Ma parla anche di un futuro che permetterà un approccio più preventivo e meno riparativo. Con la necessità anche di ripensare i Sistemi Sanitari. Nei prossimi 10 anni, avverte, «vivremo la più grande rivoluzione nell'ambito della salute» ma sarà necessario trovare nuovi modelli che consentano «sia l'accesso universalistico alle nuove soluzioni terapeutiche sia la sostenibilità economica». E la sfida per il Paese sarà quella di investire decisamente di più nella Scienza. La pandemia sta richiedendo alle società farmaceutiche uno sforzo crescente, sia in termini di ricerca che di responsabilità sociale: qual è l'impegno della Dompé? «La pandemia sta dimostrando come il mondo della scienza nel suo complesso - dalla ricerca nelle università e nelle aziende fino ai medici impegnati nelle corsie - sia capace di grande capacità e generosità a vantaggio della collettività. Mai come in questi mesi ci stiamo accorgendo del valore della ricerca di creare conoscenza e dare risposte concrete. In questo quadro, Dompé ha cercato di fare la propria parte, consapevole delle proprie qualità ma soprattutto dei propri limiti. Nel giro di poche settimane abbiamo consolidato un progetto europeo sviluppato nell'arco di molti anni di lavoro, insieme al Politecnico di Milano e il Cineca di Bologna. Si sono riuniti in un consorzio pubblico-privato paneuropeo oltre 30 realtà con alcuni tra i più qualificati Centri di Ricerca, università, realtà industriali e ospedali in grado di operare in sinergia dalla fase preclinica fino al paziente, con l'obiettivo di trovare una soluzione terapeutica, per contrastare il virus Sars-Cov-2, accessibile in breve tempo al più ampio numero possibile di persone. Proprio in questi giorni l'opzione terapeutica frutto di questo progetto sta arruolando i primi pazienti in Italia presso gli IRCSS Spallanzani di Roma e Humanitas di Milano per verificarne l'efficacia sulle persone, dopo aver superato la fase preclinica. Contemporaneamente abbiamo finalizzato un ulteriore lavoro clinico – ora in fase avanzata – per il trattamento di pazienti gravi Covid 19, il reparixin. Quest'ultimo è un inibitore di interleuchina 8: sviluppato per altri ambiti terapeutici possiede, però, un meccanismo d'azione che poteva dimostrarsi utile per contrastare la risposta immunitaria dei pazienti Covid. Proprio in questi giorni aspettiamo l'esito del primo ciclo del lavoro clinico sui pazienti. In questo quadro non bisogna dimenticarsi che le istituzioni Europee – la Commissione Europea ed Ema in primis – e nazionali - a partire dal Ministero della Salute e Aifa – non hanno mai fatto mancare il loro sostegno, rivelandosi particolarmente reattivi e attenti alle necessità scientifiche». Ci può descrivere nel dettaglio il progetto europeo Exscalate4cov? «Il progetto europeo Exscalate4CoV – supportato dalla Commissione Europea all'interno del progetto Horizon 2020, con un finanziamento di 3 milioni di euro - è basato sul supercalcolo, un approccio che sempre più sarà determinante per la scoperta di nuovi farmaci. In questo caso abbiamo unito la biblioteca molecolare Exscalate di Dompé e quella del Fraunhofer Institute dando vita alla più ampia libreria molecolare esistente: 10mila farmaci, 400mila prodotti naturali, 70mila nutraceutici, 100 milioni di oligopeptidi, 5 milioni di molecole già in commercio a fini di ricerca, e 72 miliardi di molecole de novo facilmente sintetizzabili. Tutte queste molecole sono state oggetto di uno screening virtuale compiuto con la più potente infrastruttura di supercalcolo mai riunitasi grazie al supporto di Cineca ed Eni che hanno messo a disposizione i propri supercalcolatori Marconi e HPC5. Ciò ha consentito di simulare 71,6 miliardi di molecole sui 15 siti attivi di interazione del virus Sars-Cov-2 per un totale di 1.074 miliardi di interazioni. La simulazione effettuata in 60 ore – con una capacità di 5 milioni di molecole simulate al secondo – ha prodotto oltre 65 TeraByte di dati totali. Si tratta della generazione di informazione più articolata relativa al virus Sars-Cov-2 che oggi è a disposizione dell'intera comunità scientifica internazionale. Riteniamo questo sforzo possa servire anche nella fase post emergenziale sia come modello replicabile sia come bagaglio di conoscenze utile a comprendere in modo completo il comportamento del virus, ancora per molti versi ignoto». La Dompé è stata fra le prime società farmaceutiche a capire le potenzialità delle biotecnologie: qual è il futuro dei farmaci e il loro ruolo per lo sviluppo sostenibile del pianeta? «La convergenza fra le competenze maturate all'interno delle life science e le tecnologie digitali come il supercalcolo consentiranno di avere soluzioni terapeutiche sempre più efficaci e personalizzate. Il futuro permetterà un approccio più preventivo e meno riparativo. In questo senso dovremo ripensare anche i Sistemi Sanitari, secondo logiche differenti rispetto ad oggi, dove l'aspetto di intervento nella fase acuta della malattia è ancora preponderante. Nei prossimi 10 anni vivremo la più grande rivoluzione nell'ambito della salute, con un impatto ancora più rilevante a quello avuto con l'ingresso dei vaccini nel secolo scorso. Perché sia un vero avanzamento però sarà necessario trovare nuovi modelli che consentano sia l'accesso universalistico a queste nuove soluzioni terapeutiche sia la sostenibilità economica, in un circuito virtuoso che sia in grado di continuare a generare nuova conoscenza. Si tratta di obiettivi ambiziosi ritenuti prioritari anche all'interno dei 17 obiettivi di sostenibilità dell'Onu». Quali sono le sfide del settore in Italia, anche in ottica post-pandemica? «La principale sfida per il Paese sarà quella di investire decisamente di più nella Scienza a partire dalle Scuole e dalle Università fino alle aziende tecnologiche in una logica strategica, si spera finalmente, di lungo periodo». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO  10/12/2020

10 Dicembre 2020

AbbVie: «Doppia sfida su salute e ripresa. Rendere il Paese più attrattivo sulla ricerca»

L'amministratore delegato di AbbVie Italia, Fabrizio Greco parla a SustainEconomy.24, report di Luiss Business School e Il Sole 24 Ore Radiocor dell'impegno in innovazione e sostenibilità dell'azienda biofarmaceutica   Innovazione e sostenibilità sono obiettivi prioritari per AbbVie come racconta l'amministratore delegato di AbbVie Italia, Fabrizio Greco in un'intervista a SustainEconomy.24, report di Luiss Business School e Il Sole 24 Ore Radiocor. L'azienda biofarmaceutica globale, in Italia dal 1949, è impegnata a 360 gradi sulla ricerca e la difesa dell'ambiente. La pandemia da Covid 19 ha avvicinato l'opinione pubblica al settore farmaceutico che, sottolinea Greco, ha un ruolo cruciale nella doppia sfida sul fronte della salute e della ripresa economica. Per la crescita gli investimenti che riguardano innovazione e sostenibilità saranno essenziali e servono un deciso gioco di squadra e rendere il Paese più attrattivo sulla ricerca. Parliamo della sfida della sostenibilità e dell'innovazione. Come si declina il binomio in un'azienda biofarmaceutica come AbbVie? «Innovazione e sostenibilità sono obiettivi prioritari e inscindibili per AbbVie. Fanno parte del nostro Dna. AbbVie è un'azienda biofarmaceutica globale, nata nel 2013 dalla scissione societaria da Abbott per dar vita a un' impresa indipendente fortemente basata sulla ricerca con la finalità di avere un impatto significativo sulla vita delle persone. Si tratta di obiettivi richiamati espressamente tra i principi che guidano le nostre azioni ogni giorno: "Promuovere l'innovazione", in tutto ciò che facciamo e che si traduce in consistenti investimenti in R&S per trovare nuove soluzioni di cura a beneficio della salute delle persone e per una sanità sostenibile e "Servire la comunità", per la crescita della collettività, facendo la nostra parte per la tutela dell'ambiente. Oggi pensiamo di poter perseguire ancora con maggiore forza e risorse questi obiettivi anche grazie alla recente acquisizione di Allergan. Lo scorso anno AbbVie ha investito 5 miliardi di dollari nella Ricerca. Attualmente in Italia siamo impegnati in 70 studi clinici e sono circa 580 i centri coinvolti. Come azienda farmaceutica siamo convinti che la buona salute non possa prescindere da un ambiente sano e quindi ci adoperiamo da sempre per ridurre l'impronta ambientale e contrastare il cambiamento climatico. La nostra azione su questo fronte si inquadra nel più ampio impegno in tema di responsabilità d'impresa e trova conferma nell'inclusione per l'ottavo anno consecutivo nella classifica Dow Jones Sustainability World Index. In particolare, l'azienda si colloca quest'anno al secondo posto fra le imprese del settore biotech, migliorando ulteriormente le proprie performance. In questo sforzo comune, messo in campo in termini di sostenibilità ambientale dall'azienda a livello globale, il polo produttivo italiano di Campoverde di Aprilia (LT) svolge un ruolo da battistrada quanto a risultati raggiunti». Il sito industriale di Campoverde è dunque un modello virtuoso. Ce ne parla? «Lo stabilimento, grazie ad un percorso di miglioramento continuo e costanti investimenti mirati si pone all'avanguardia in termini di riduzione dell'impatto ambientale ed efficienza energetica. Dal 2005 è stato ridotto di circa il 46% il consumo di acqua di falda, zero rifiuti inviati in discarica e oltre l'84% destinato al riciclo. L'autoproduzione di energia ha toccato oltre il 90% e il 100% di quella acquistata è certificata green. La gestione ottimale dell'energia è resa possibile da un approccio improntato all' "efficienza di sistema" che si avvale di una capillare rete di monitoraggio nell'azienda. L'esperienza realizzata dallo stabilimento di AbbVie in tema di efficienza energetica, prima società nel farmaceutico ad applicare la ISO 50001, ha posto le premesse dell'accordo siglato con Rse (Ricerca del Sistema Energetico) e l'analisi del caso AbbVie quale buona pratica in tema di gestione dell'energia da replicare in altre realtà. L'impegno per la sostenibilità di AbbVie si realizza a 360 gradi e tiene conto non solo degli effetti diretti sull'ambiente derivanti dall'attività di produzione ma anche di quelli indiretti generati lungo tutta la catena del valore, incoraggiando supplier, distributori e gli altri stakeholder a ridurre il loro impatto ambientale». L'emergenza Covid, pur con tutta la sua drammaticità ha reso l'industria farmaceutica più vicina ai cittadini. Cosa è cambiato? «Credo che la pandemia da Covid 19 abbia richiamato con forza l'attenzione dell'opinione pubblica sull'importanza della ricerca farmaceutica. Stiamo assistendo ad uno sforzo straordinario e senza precedenti per rendere disponibili il vaccino e terapie efficaci. Tutto ciò, insieme all'impegno delle imprese del settore a raccontarsi, ha contribuito a far comprendere meglio il valore del comparto farmaceutico sia per il suo apporto ai progressi nel campo della salute, ma anche come settore chiave nella spinta all'innovazione e alla ripresa economica». Su quali fronti siete impegnati nella lotta alla pandemia? «AbbVie ha offerto un contributo alla gestione dell'emergenza e attualmente è impegnata, sia in Europa che a livello globale, nella ricerca di nuove soluzioni terapeutiche per la cura dei pazienti affetti da Covid-19. In particolare, l'azienda è coinvolta su più fronti attraverso una fitta rete di collaborazioni con università, centri di ricerca, istituzioni sanitarie e altre imprese nello studio di trattamenti efficaci per combattere il virus. Tra le diverse intese, AbbVie ha siglato un accordo per un importo di 30 milioni di dollari con l'università di Harvard, per la ricerca su nuove terapie contro infezioni virali emergenti, in particolare quelle causate da coronavirus e altri virus che portano a febbri emorragiche». Quanto sono importanti il dialogo e la collaborazione con gli stakeholder? E gli investimenti in sostenibilità? «Siamo consapevoli di essere chiamati a svolgere un ruolo cruciale nella doppia sfida che abbiamo davanti sul fronte della salute e della ripresa economica. Si tratta di una partita complessa che possiamo vincere solo con il contributo di tutti gli stakeholder, valorizzando le nostre risorse e rendendo più attrattivo il Paese sul fronte della ricerca. Sul versante della crescita, gli investimenti che riguardano innovazione e sostenibilità saranno essenziali e dobbiamo fare un deciso gioco di squadra per favorire la transizione green. È un'opportunità che non possiamo mancare per assicurare la salute alle nuove generazioni e per il futuro del pianeta». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO  10/12/2020

09 Dicembre 2020

Più trasparenza ed efficienza nel settore contratti pubblici  

Luiss Business School al fianco di PA e imprese per una nuova infrastruttura digitale integrata Luiss Business School è partner di eNEIDE – eNotification and ESPD Integration for Developing Eprocurement, un progetto in collaborazione con Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), Intercent-ER Agenzia regionale per lo sviluppo dei mercati telematici (INTERCENT-ER), Regione Toscana (RT), Azienda Regionale per l’Innovazione e gli Acquisti (ARIA S.p.A.), con il coordinamento di Agenzia per l’Italia Digitale – Presidenza del Consiglio dei Ministri, con l’obiettivo di accelerare la transizione digitale dell’intero settore dei contratti pubblici (e-Procurement) e degli appalti. eNEIDE, sviluppato nell’ambito del programma CEF – Connecting Europe Faculty della Commissione Europea, uno strumento di finanziamento per la competitività e la crescita attraverso investimenti infrastrutturali mirati, punta a realizzare un’architettura digitale unica che permetta di semplificare le procedure di aggiudicazione e gestione dei contratti pubblici, garantendo l’interoperabilità tra piattaforme secondi i criteri di standardizzazione, innovazione e semplificazione, attraverso due azioni integrate: la realizzazione di uno snodo nazionale presso ANAC, in grado di intermediare tra le pubbliche amministrazioni italiane e le piattaforme europee (eCertis e TED) grazie all’impiego di standard e formati unificati. In particolare, l’integrazione con la piattaforma europea TED consentirà all’infrastruttura nazionale di completare automaticamente il processo di ePublication al termine della fase di autorizzazione delle offerte; la piena adozione del formato ESPD (European Single Procurement Document), che consentirà la dematerializzazione di tutte le procedure di gara. E-Procurement: i benefici per le PA La Commissione Europea e l’OCSE hanno da tempo evidenziato la necessità della trasformazione digitale del settore dei contratti pubblici, per raggiungere maggiore trasparenza, efficienza, efficacia della spesa pubblica e una migliore qualità dell’interazione tra gli operatori economici e la pubblica amministrazione, favorendo così la crescita economica e sociale nello spazio europeo. A oggi, tuttavia, la maggiore difficoltà nell’utilizzo dell’e-Procurement per le amministrazioni si è riscontrata nei costi di riorganizzazione dei sistemi interni. Con la nuova infrastruttura integrata si punta così a ottenere: processi integrati e pienamente digitalizzati che coprano l’intero ciclo del procurement un consistente abbattimento dei costi e dei tempi procedurali la possibilità per le PA di indire consultazioni di mercato aperte a tutti gli operatori economici abilitati, anche per gare di importo modesto, con estrema facilità e senza costi di pubblicazione. E-Procurement: i benefici per le PMI La disponibilità di strumenti di e-Procurement agevolerà soprattutto le realtà produttive di piccole e medie dimensioni in termini di visibilità, consentendo loro di presentare alle amministrazioni acquirenti, a livello europeo, i propri prodotti e servizi con costi e tempi ragionevoli, superando i limitati confini di un mercato prima solo territoriale o al massimo nazionale. Nel futuro, l’infrastruttura integrata avvicinerà le necessità delle imprese fornitrici e gli operatori del procurement, riducendo il gap tra la disponibilità dei servizi digitali e il loro effettivo utilizzo, come evidenziato dai recenti indici DESI, con maggiore attenzione alla sostenibilità, al green procurement, all’open innovation. Il progetto eNEIDE è tuttora in corso e giungerà a piena conclusione nella primavera del 2022. Il panorama e-Procurement continua, tuttavia, ad evolversi e sono in corso di definizione nuove iniziative di coordinamento tra gli attori nazionali, quanto mai necessarie per fronteggiare l’accelerazione digitale dovuta all’emergenza sanitaria. 9/12/2020

03 Dicembre 2020

Allo studio un piano su produttività dei call center e stabilizzazione dei livelli occupazionali

A breve partirà confronto tra Asstel, sindacati e governo   Nuove politiche industriali per il settore dei call center, puntando ad aumentare competenze e produttività, e stabilizzando l'occupazione. A breve partirà su questi temi il confronto di Asstel e sindacati col governo, dando seguito a quanto previsto per il comparto nel contratto collettivo nazionale delle telecomunicazioni di recente siglato. Di Raimondo (Asstel): «settore delle tlc in profonda trasformazione» Gli ultimi mesi, afferma Laura Di Raimondo, direttrice generale di Asstel, «si sono dimostrati decisivi per lo sviluppo di conoscenze e competenze digitali, il settore delle telecomunicazioni è protagonista di un profondo processo di digitalizzazione e trasformazione tecnologica, che interessa trasversalmente tutte le aziende della filiera e anche il settore del customer care». La trasformazione digitale, aggiunge Vito Vitale, segretario generale della Fistel Cisl, «rappresenta una sfida, ma allo stesso tempo un'opportunità per i contact center e i business process outsourcing in Italia, attualmente in forte evoluzione. Il rilancio dovrà basarsi su due elementi fondamentali per la competitività: tecnologia e formazione. Investire in queste due aree significa colmare il divario che esiste tra il nostro Paese e il panorama internazionale della customer care, che non ci permette di raggiungere i tassi di crescita a doppia cifra raggiunti dal settore fuori dai confini nazionali». Vitale (Fistel): «senza reskilling occupazione nei call center a rischio» Attualmente, il comparto dei contact center in outsourcing impiega oltre 80mila lavoratori. «Uno studio recente – aggiunge Vitale - sostiene che, tra questi, circa 20mila rischierebbero di essere ridondanti già nel 2022, qualora non si attuassero politiche di re-skilling e di ammodernamento delle competenze. Non voglio entrare nel merito dell'analisi, vorrei solo dire che abbiamo bisogno di una nuova visione che metta al centro le persone, anzi, l'umanesimo digitale. Occorre anche un salto di qualità nel modo di pensare di certe aziende, che non possono focalizzarsi solamente sul taglio dei costi nel breve periodo». Un altro degli elementi caratterizzanti il nuovo contratto collettivo nazionale delle tlc riguarda il fondo bilaterale di solidarietà. «Per essere operativo – spiega Di Raimondo - sono ancora necessari dei passaggi istituzionali come prevede la normativa, dopodiché sarà finanziato con risorse delle aziende, per due terzi, e dei lavoratori, per un terzo. Servirà a supportare e accompagnare la trasformazione delle nostre imprese sia per gli investimenti necessari per implementare una nuova organizzazione del lavoro, sia per quelli relativi ai percorsi di formazione continua e professionale. La capacità di azione del fondo sarebbe sicuramente di portata maggiore attraverso un sostegno pubblico che dia ampio respiro alle necessità della filiera tlc che ha dimostrato di essere un asset strategico del Paese». Per Asstel  usare Recovery Fund anche per la formazione digitale In generale il settore delle telecomunicazioni, come certificato dai dati Agcom che rilevano un calo del 5,8% nei ricavi nel giro di cinque anni, ha subito un brusco calo, stretto tra una competizione sfidante e la necessità di investire nel 5G. «Le risorse europee del Recovery Fund – prosegue Di Raimondo - devono essere spese correttamente, anche in programmi di formazione digitale. Le parole d'ordine sono fiducia, responsabilità e inclusione. Fiducia nel senso di responsabilità del lavoratore e inclusione come asset per un'organizzazione immaginata in ottica di uguaglianza, dove tutti abbiano le stesse opportunità. Ma per conseguire questo obiettivo è importante investire sulle reti di tlc, sulla banda ultra-larga e 5G. Questo è l'impegno che si sono assunte tutte le imprese della filiera». Sulla stessa linea il sindacato: «la trasformazione digitale sarà possibile solo se tutti gli operatori proseguiranno con investimenti in infrastrutture di rete e copertura 5G per abilitare i servizi di nuova generazione e puntare alla riduzione del digital divide che durante il lockdown ha isolato 13 milioni di cittadini. L'impegno del Governo sarà indispensabile per indirizzare le risorse del Recovery Fund per digitalizzazione e formazione. Questa – conclude Vitale - potrebbe essere l'occasione per una riforma organica degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive al fine di tutelare i lavoratori della filiera tlc, soprattutto dei customer care». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO  3/12/2020

03 Dicembre 2020

Uncem: «Usare risorse europee per portare la connessione nelle zone montane»

Lo chiede il presidente dell'associazione a DigitEconomy.24 di Luiss Business School e Il Sole 24 Ore Radiocor, Marco Bussone: «ci sono zone dove telefonare o mandare un sms è impossibile»   Nei comuni montani non c'è solo un problema di connessione fissa, ma anche di connessione mobile, con zone dove «già considerando il 4G, telefonare o mandare un sms è impossibile». A dirlo è Marco Bussone, presidente di Uncem, l'associazione nazionale dei comuni, comunità ed enti montani, sottolineando come la soluzione potrebbe oggi essere rappresentata dall'utilizzo di risorse pubbliche, anche quelle europee provenienti dal Recovery Fund, al fine di costruire le infrastrutture necessarie. «In futuro – spiega Bussone a DigitEconomy.24, report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School - la teleassistenza e la telemedicina, e altri servizi che si possono abilitare con il 5G, saranno sempre più imprescindibili nei territori montani dove c'è una larga fascia di popolazione over65». Con  pandemia più evidenti gap nelle  aree interne e montane La pandemia, ricorda Bussone, ha reso più evidenti diseguaglianze sociali e sperequazioni. «Non c'è solo un gap, in termini di punti di prodotto interno lordo, tra Meridione e Settentrione, c'è anche un problema nelle aree interne e montane che riguarda tutta l'Italia, in termini di digitalizzazione e penetrazione della banda ultra larga e in un'ottica futura, del 5G». Per le zone dove non è conveniente investire, dunque, come nelle aree bianche e bianchissime (non appetibili per il mercato), continua il presidente di Uncem, abbiamo definito «con la ministra Pisano un percorso, avviando un tavolo concreto di lavoro. Uno degli effetti è stato rappresentato dalla decisione di Open Fiber di anticipare il suo piano, portando la connessione nei comuni ‘senza internet' con l'Fwa; parallelamente Eolo sta operando in alcuni comuni assumendosi il rischio dell'investimento» «In questo scenario Inwit è il principale partner» Uno strumento per superare il digital divide, dunque, è rappresentato dall'investimento di risorse pubbliche, regionali, nazionali o europee, per le infrastrutture necessarie. Non solo in ambito di Recovery Fund e del Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza, ma anche di risorse Fesr (il Fondo europeo di sviluppo regionale). «L' Emilia Romagna – racconta Bussone -, ad esempio, sta investendo di intesa con Uncem delle risorse sulle infrastrutture. Noi abbiamo ancora aree scoperte, si pensi ad esempio alle valli alpine, dove non arriva neanche il 4G e dove le compagnie non investono. Sul fronte della telefonia mobile e del 5G, se le infrastrutture vengono realizzate con risorse pubbliche, si può poi trovare un consorzio di operatori che insieme coprano queste aree, visto che da soli hanno difficoltà a sostenere l'investimento». In questo scenario Inwit, conclude Bussone, «è il principale partner, in linea con le stesse richieste che noi facciamo da sempre, ovvero un investimento di risorse statali, regionali, pubbliche dove non può arrivare il privato, e un minor carico burocratico, individuando soluzioni in questo senso». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 3/12/2020

03 Dicembre 2020

Inwit: «un piano di torri 'smart' per chiudere il digital divide e accordi sui droni in vista»

Lo annuncia Giovanni Ferigo, amministratore delegato della società, su DigitEconomy.24 di Luiss Business School e Il Sole 24 Ore Radiocor: «Puntiamo ad allargare il nostro business»   Un piano di torri di tlc ‘smart', più piccole e più velocemente realizzabili, soluzioni «multi-operatore», per contribuire a colmare il digital divide del Paese, utili per il 5G, ma anche per le altre tecnologie. E' la proposta avanzata da Inwit, società infrastrutturale di telecomunicazioni che di recente ha varato la nuova strategia industriale al 2023 che contempla 600 milioni di investimenti e 900 milioni di dividendi per gli azionisti. La soluzione delle torri ‘smart', racconta l'amministratore delegato Giovanni Ferigo a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) si inserisce nel solco delle discussioni sul Recovery Plan. Intanto Inwit punta ad allargare il proprio business, «passando dall'essere un operatore di real estate puro a uno di digital real estate». Nel raggio d'azione della società rientrano i business dell'Iot, i mini data center, e, in particolare, i droni. Un tema, quest'ultimo, su cui Inwit ha varie discussioni in corso. I droni, infatti, potrebbero utilizzare le torri come un sorta di 'nido',  come base di atterraggio per realizzare, grazie alla capillarità dell'infrastruttura, anche missioni nelle emergenze. Consolidata la crescita organica nel business del torri e inorganica nei servizi, a fine piano Inwit valuterà, alla luce del ‘tesoretto' da un miliardo di euro che avrà a dispozione, se esportare in Europa le best practice acquisite: «Sono temi che porteremo al tavolo del cda». Inwit conta già 22mila torri distribuite in tutta Italia, per lo sviluppo del 5G sono necessarie altre infrastrutture? Il 5G sta arrivando, e ci vede certamente impegnati con le nostre torri. Da un punto di vista finanziario e industriale, d'altronde, siamo un'azienda che punta alla crescita organica, a differenza di molte altre del settore che privilegiano la crescita inorganica. Prevediamo per noi un futuro impegnativo con un piano a sei anni molto sfidante. Nella nostra strategia sono previste 3mila nuove torri in otto anni e circa duemila nell'arco di piano. Pensate che con le vostre torri potete contribuire anche alla chiusura del digital divide? In Italia facciamo da apripista per lo sviluppo massivo del 5G con le nostre 22mila torri che provengono da 25 anni di esperienza dei due operatori principali, Tim e Vodafone. Inoltre noi crediamo di essere, in Italia ma anche in Europa, i campioni delle small cells, le piccole antenne dedicate. In più ci sono nel nostro Paese gli operatori Fwa (soprattutto Eolo, Linkem, Fastweb e Open Fiber) che chiedono ospitalità nelle nostre torri. Fwa che, per inciso, è una peculiarità tutta italiana. In generale tutti gli operatori chiedono ospitalità sulle nostre torri per chiudere il digital divide. E per le aree a fallimento di mercato avete progetti e soluzioni ad hoc? Nell'ambito delle discussioni sul recovery plan, abbiamo proposto al Governo delle soluzioni. Si tratta di un piano di torri ‘smart' che potrebbero essere installate velocemente e potrebbero dunque, servire dappertutto, non solo nelle aree bianche e bianchissime, a coprire il digital divide. Sono soluzioni multi-operatore che consentono di velocizzare l'iter di realizzazione dell'infrastruttura. Dal punto di vista finanziario, al 2023, una volta remunerati gli azionisti ed effettuati gli investimenti annunciati nel piano, vi resta un ‘tesoretto' da un miliardo, come intendete sfruttarlo? Effettivamente abbiamo un livello di indebitamento con una leva pari a 5,5X; in 3 anni contiamo abbassarla parecchio con l'effetto di avere una disponibilità di un miliardo di euro, dopo aver destinato 900 milioni alla remunerazione dei nostri azionisti e aver effettuato 600 milioni di investimenti. Allora, al 2023, proporremo delle ipotesi al nostro consiglio di amministrazione. Vagliate nel frattempo acquisizioni? Noi non siamo interessati alle Towerco in Italia, potremo fare solo qualche acquisizione puntuale, nell'ordine di 40-50 torri, cioè qualche piccolo operatore. Siamo, invece, interessati a crescere a livello inorganico ampliando il nostro raggio di azione a business adiacenti. Parlo, innanzitutto, dell'Internet of things (IoT), dei mini data center, da posizionare sotto le torri, e dei droni. A proposito di droni, Ericsson e Vodafone hanno recentemente stretto un accordo per lo sviluppo di questa tecnologia. Pensate a qualcosa di simile? Abbiamo testato i droni visto che c'è ampia richiesta di questi servizi. Puntiamo in particolare ai droni a guida autonoma, senza la presenza del pilota, con intelligenza artificiale embedded, decollo e atterraggio autonomi, più piccoli rispetto a quelli previsti nell'accordo tra Ericsson e Vodafone. Abbiamo fatto degli use case, ad esempio nella sorveglianza e nell'analisi del traffico. Avendo una torre ogni tre chilometri, è possibile utilizzare la tecnologia anche per missioni critiche. I droni, peraltro, sono molto versatili, possono compiere missioni su frane, allagamenti, infrastrutture critiche, traffico sulle autostrade.  Questi sono ambiti per operazioni inorganiche, ma siamo molto lontani dall'impegnare il miliardo di euro che sarà disponibile al 2023, si tratta di operazioni da qualche milione di euro. A questo proposito abbiamo individuato già delle start up italiane. E oltre ai droni? Pensiamo ai mini data center, complementari ai droni, grazie ai quali si potrà fare download dei contenuti. Avete già delle collaborazioni in corso sul fronte dei droni? Ci stiamo confrontando con alcune realtà con le quali c'è, infatti, la necessità di un confronto a monte. In generale pensiamo, una volta avviata l'attività, a collaborazioni anche con realtà istituzionali. Tirando le somme, state quindi ampliare la vostra mission e il vostro business? Sì, vogliamo allargare il business, passando dall'essere un operatore di real estate puro a un digital real estate, e facendo, dunque, tutto ciò che serve per raggiungere questo obiettivo. Il vostro competitor, Cellnex, sta adottando invece un sistema molto diverso, puntando allo shopping di torri in tutta Europa. Cellnex ha adottato un modello differente. Noi abbiamo scelto di essere i più bravi su crescita organica e sinergie in Italia, per poi sviluppare delle best practice da, in un secondo momento, esportare eventualmente all'estero. I nostri concorrenti stanno compiendo la strada inversa. In definitiva, quindi, pensate nel vostro orizzonte anche ad allargare il vostro raggio d'azione fuori dai confini dell'Italia? Su questo e altri temi, come già detto, ci confronteremo a fine piano, nel 2023, al tavolo del cda. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 3/12/2020

03 Dicembre 2020

Il progetto vincitore del Master of Art per la mostra negli spazi di Fair Legals

Nell’ambito della partnership tra Luiss Business School e lo Studio Legale Fair Legals, la studentessa del Master of Art Arianna Sera, si è aggiudicato il bando di selezione di curatori per la mostra promossa negli spazi dello studio legale, con il progetto Framed - mostra individuale di Marialuisa Antonelli. Fair Legals dal 2017 si interessa al settore dell’arte contemporanea, promuovendo artisti e curatori emergenti. Quest’anno la scelta del progetto curatoriale è avvenuta attraverso il bando che ha coinvolto gli studenti del Master of Art della Luiss Business School.  FRAMED Marialuisa Antonelli EXHIBITION A cura di Arianna Sera Studio Legale Fair Legals - ROMA 10 dicembre 2020 – 25 dicembre 2020 La mostra Framed, allo stato attuale delle ordinanze relative all'emergenza Covid, sarà fruibile al pubblico non appena le disposizioni governative daranno la possibilità di usufruire degli spazi espositivi    Framed è l’ultima produzione pittorica dell’artista Marialuisa Antonelli, datata giugno 2020. Questo lavoro incarna i sentimenti più intimi dell’artista, che racconta la sua verità unilaterale attraverso l’analisi di un periodo di solitudine, incertezza e distanziamento sociale.   Il concept di Framed porta all'attenzione il tema, tanto più attuale negli ultimi mesi, della costrizione dell'essere umano in spazi obbligati, che lo tengono distante dalle persone a lui più prossime: la tela diventa quindi l'allegoria di tale limitazione, entro cui l'essere umano è ridotto – anche graficamente – all'essenziale. L’obbligo di rimanere confinati nelle nostre case, ha portato Antonelli ad una lunga riflessione sul sociale iniziata già nei primi mesi del 2019. Come una profezia, con il lavoro Libro d’Artista e Incastri, l’artista ha anticipato di un anno gran parte delle problematiche contemporanee. Framed è frutto di un lavoro di sintesi, di riduzione stilistica e di piattezza assoluta del materiale plastico. Per arrivare alla produzione delle opere Antonelli ha riformulato due tecniche, quella pittorica e xilografica, mescolandole. Le opere realizzate vogliono puntare all’essenza, eliminando ogni dettaglio superfluo. Le due serie, ma soprattutto le tele di grandi dimensioni, raffigurano incroci di corpi umani in uno spazio vitale costrittivo, all’interno del quale gli individui rappresentati non hanno né spazio di manovra né la possibilità di assumere posizioni diverse da quelle a loro assegnate. Le opere rappresentano le condizioni attuali in cui l’individuo non ha più margine d’azione. Per un rapporto di causa-effetto l’uomo, secondo Antonelli, è alienato da logiche secolari ormai gerarchizzate. Pur vivendo in un periodo storico in cui la libertà d’espressione ci appare come una conquista garantita dalle nuove tecnologie, non siamo in realtà del tutto liberi da assodati meccanismi sociali. Dunque lo stato di costrizione suggerito dai lavori dell’artista supera la contingenza del momento, per sollecitare una riflessione di più ampio respiro. Dal 10 al 25 dicembre pubblicheremo e condivideremo contenuti visivi, articoli ed interviste sulle principali pagine social e all’interno del sito della mostra. Lo scopo del progetto curatoriale è quello di stimolare il pubblico, condividendo con esso tematiche inedite inerenti all’esposizione. In sostanza ciò che sarebbe stato condiviso, durante la mostra, verrà invece pubblicato prima dell’apertura di essa. L’intento è quello di ricavare un daily virtuale di contenuti che riveleranno, a poco a poco, il pensiero creativo dell’artista: “la riduzione, sempre più costante di spazi vitali necessari per vivere”. Marialuisa Antonelli nasce a Viterbo nel 1994, frequenta l’Istituto statale d’Arte e successivamente si laurea presso l’Accademia di Belle Arti di Viterbo nella classe di Pittura. Nei primi anni di formazione si dedica alla pittura figurativa utilizzando l’olio. Durante la sua carriera ha sperimentato differenti modalità artistiche indagando gli aspetti tecnici della xilografia, della grafica, della fotografia e della street art. La sua innata vocazione per la materia pittorica ha convinto Antonelli ad utilizzare nuovamente l’olio e la tela. Negli ultimi anni ha deciso di sperimentare nuovi procedimenti, i quali hanno portato l’artista all’abbandono della pittura figurativa, lasciando spazio a nuove opere, in grandi serie, di natura geometrica formate perlopiù da campiture monocrome. Arianna Sera nasce a Roma nel 1996, ha studiato e si è diplomata in lingue nel 2015. Da sempre però ha mostrato profondo interesse per lo studio del museo e delle discipline artistiche. Nel 2016 decide di iscriversi all’Accademia di Belle Arti, laureandosi in Valorizzazione dei Beni Culturali, con una tesi in Museografia dal titolo Il museo come soggetto di comunicazione attiva tra storia e contemporaneità. Nel 2017 ha partecipato alla Biennale Internazionale di Arte e Cultura RomArt con l’opera la Famiglia. Attualmente frequenta il Master in Arte e Curatela presso la Luiss Business School ed è parte attiva del Collettivo Curatoriale ArteX. Mail: exhibitionframed@gmail.com  Sito: https://www.framedarte.com/  Facebook: https://www.facebook.com/Framed-100499535146217 Instagram: https://www.instagram.com/framed.exhibition/ LinkedIn: https://www.linkedin.com/company/fair-legals/ 12/3/2020

01 Dicembre 2020

Webinar – Master in Food & Wine Business e Master of Art

Scopri con gli Alumni l’esperienza dei due Master   Il 15 dicembre a partire dalle ore 16.30 sarà possibile partecipare al Webinar di presentazione delle prossime edizioni del Master in Food & Wine Business e del Master of Art in partenza il 18 gennaio 2021. I Master Food & Wine Business è un Master Universitario di I livello realizzato dalla Luiss Business School in partnership con Gambero Rosso Academy, la più ampia piattaforma di formazione professionale nel settore enogastronomico. Il Master offre a giovani neolaureati una formazione manageriale basata sullo sviluppo di competenze specifiche della filiera enogastronomica e vitivinicola. Art è un Master Universitario di I livello progettato dalla Luiss Business School per insegnare ai giovani tutte le nuove professioni collegate all’allestimento, all’organizzazione di mostre ed eventi artistici, catalogazione e archiviazione, ufficio stampa, collezionismo privato e pubblico, software e applicazioni di guida ai musei multiplatform. Il tema del Webinar I coordinatori didattici dei due Master presenteranno i contenuti e la struttura dei programmi. Al Webinar saranno presenti gli Alumni del Master of Art e del Master in Food & Wine Business che racconteranno della loro esperienza di formazione presso la Luiss Business School e del percorso professionale intrapreso nel settore di specializzazione grazie alle nuove competenze acquisite durante il Master e ai servizi personalizzati offerti dal Career Service. I partecipanti al webinar potranno interagire attivamente con gli Alumni e i coordinatori durante una Q&A session. Il Webinar è indirizzato a laureandi e laureati di I, II livello o con ordinamento a ciclo unico, interessati a intraprendere percorsi professionali nel settore dell’arte e della filiera enogastronomica e vitivinicola. Per partecipare al Webinar è necessaria la registrazione. REGISTRAZIONE  1/12/2020

30 Novembre 2020

Too big to gain? Chi guadagna dalle fusioni nel settore bancario

di Paolo Boccardelli, direttore Luiss Business School, pubblicato su la Repubblica Affari & Finanza, 30 novembre 2020  La recente pandemia ha contribuito ad aumentare i rischi di credito per le banche, accelerando alcuni trend tra i quali, in particolare, il consolidamento del settore. È il regolatore stesso che ha impresso un cambiamento alla sua strategia, un tempo poco incline all’integrazione tra banche senza l’avvio di costosi processi di aumento di capitale: oggi appare più favorevole, concedendo alle banche acquirenti l’opzione di portare a patrimonio il badwill della banca target. Persino le politiche nazionali di risposta alla pandemia sono diventate un fattore incentivante: basti pensare alla possibilità introdotta dal Governo italiano per le società che approveranno un'operazione di fusione nel 2021 di trasformare fino al 2% del patrimonio target in crediti d'imposta. Misure e stimoli utili a favorire le aggregazioni, nell’ipotesi che banche più grandi resistano meglio alla crisi. Ma a fronte di un possibile vantaggio di solidità, ben presente nella visione degli organi di vigilanza, Luiss Business School ha analizzato il legame tra la crescita dimensionale delle banche e i rendimenti per gli azionisti: ebbene, su un campione di oltre 3500 osservazioni di banche europee nel periodo 2010-2019, la ricerca ha messo in evidenza che la crescita dimensionale delle banche riduce la redditività per gli azionisti. Tale relazione negativa, tuttavia, viene moderata dall’adozione di specifici modelli di business e dalle capacità di gestione del credito. Nel dettaglio, è stato osservato che, a parità di altre condizioni, la crescita degli attivi e lo sfruttamento delle economie di scala per banche di minori dimensioni genera impatti positivi sul ROE, ma superata una soglia di circa 50 miliardi di euro, il contributo alla redditività per gli azionisti diventa negativo. La pendenza negativa di tale relazione, tuttavia, dipende dal tipo di modello di business adottato: le banche che lavorano con un modello di business più tradizionale fondato sul retail e con una leva inferiore per il funding presentano una relazione tra crescita dimensionale e redditività per gli azionisti meno negativa. In aggiunta, per tutte le banche, la capacità manageriale di gestire i rischi in modo proattivo risulta determinante. La ricerca ha preso in considerazione il “NPL ratio”, rappresentato dal rapporto tra i crediti deteriorati e il totale dei crediti, e il “migration rate”, ovvero il tasso di migrazione da crediti in bonis a crediti in sofferenza. La capacità di gestione del credito e di questi due indicatori ha effetti eterogenei in relazione alle dimensioni. In particolare, nelle banche più piccole e con impieghi inferiori a circa 23 miliardi di euro, la crescita del tasso di deterioramento dei crediti genera impatti significativamente negativi sui rendimenti per gli azionisti. Viceversa, le banche di maggiori dimensioni riescono ad assorbire la crescita del tasso di deterioramento senza effetti negativi sulla redditività e, anzi, mostrano una rilevante capacità di identificare opportunità di riprese di valore anche in presenza di un superiore migration rate. Tali risultati appaiono ancora più significativi in mercati a bassa crescita economica e sotto la media dell’area Euro, quali l’Italia. È pertanto nella gestione del rischio e dell’ottima allocazione del capitale verso gli impieghi che si gioca la partita della profittabilità bancaria. Questi risultati si inseriscono nel trend di rivoluzione digitale che sta vivendo il settore. Nel futuro business bancario sarà imprescindibile prevedere la trasformazione del core banking verso sistemi cloud e modelli di sviluppo agile, in cui la capacità innovativa e di costruzione di partnership con operatori digitali e del fintech rappresenteranno un fattore tanto importante quanto la scala degli investimenti. Ed è proprio alla luce di queste considerazioni che debbono essere interpretate le operazioni di M&A in Italia e in Europa. Il consolidamento e la crescita dimensionale restituiscono al mercato operatori più solidi e in grado di dispiegare su una base di clienti più grande la capacità innovativa e di trasformazione che il digital banking può offrire. Ma senza il favore di BCE e governi e senza gli incentivi, in particolare quelli fiscali delle DTA (imposte attive differite) nelle operazioni di integrazione, non appare per nulla scontato estrarre valore da tali operazioni, poiché è forte il rischio di vedere vanificate le economie di scala, soprattutto se le operazioni stesse non sono condotte da soggetti dotati di quella elevata capacità gestionale che solo alcuni leader di mercato possono fornire. Pertanto, se viene confermata la volontà di consolidare ulteriormente il settore bancario in Europa per ridurre i futuri rischi di default, risulta necessario insistere sulla presenza di incentivi fiscali a favore delle aggregazioni, poiché altrimenti gli azionisti delle banche in odore di integrazioni potrebbero non considerare convenienti tali operazioni, non solo per motivi legati alla governance, ma anche per le difficoltà di remunerazione dei loro investimenti.

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