News & Insight
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30 Maggio 2023

SACE, Luiss Business School e Confindustria insieme per il nuovo Executive Program in Export Management

L’iniziativa è rivolta a figure aziendali di imprese italiane ad alto potenziale di export, che desiderano approfondire le dinamiche fondamentali dell’Export Management SACE, Luiss Business School e Confindustria rafforzano la loro azione sinergica sul fronte della formazione e insieme presentano il nuovo Executive Program in Export Management. Un’iniziativa, in partenza il prossimo 15 settembre, rivolta a figure aziendali di imprese italiane ad alto potenziale di export, che desiderano approfondire le dinamiche fondamentali dell’Export Management con un metodo di apprendimento applicativo ed empirico. La partnership è stata siglata oggi da Alessandra Ricci, Amministratore Delegato di SACE, Luigi Abete, Presidente di Luiss Business School e Barbara Beltrame Giacomello, Vice Presidente di Confindustria per l’Internazionalizzazione. L’obiettivo della collaborazione è contribuire a consolidare le competenze manageriali, tecnico-specialistiche e commerciali delle aziende, soprattutto di PMI e Mid Cap, utili per gestire in maniera efficace la complessità del processo di internazionalizzazione nell’attuale contesto geopolitico. Il protocollo si inserisce nell’ambito di una già consolidata collaborazione tra SACE e Luiss Business School, che ha visto negli anni l’erogazione di sessioni formative congiunte con focus geografici e l’ideazione dell’Export Champion Program, un percorso di education gratuito, rivolto a imprese e professionisti, giunto quest’anno alla sua quarta edizione.  SACE metterà a disposizione il proprio know how, oltre a contribuire alla copertura di 5 borse di studio. 29/05/2023

26 Maggio 2023

Bando Internazionale Generazione Contemporanea On Shuffle EP

La proposta del bando di Luiss BS Records si concentra sulla versatilità musicale della generazione contemporanea. Attraverso la selezione di brani che spaziano tra generi e stili diversi, si vuole infatti mettere in evidenza l’originalità artistica dei nuovi talenti. Il risultato dell’iniziativa consisterà nella produzione e pubblicazione di un EP all’interno del quale verranno inserite sette tracce di sette artisti differenti, a cui si darà l’occasione di esprimersi unendo nello stesso progetto diverse influenze e visioni musicali. Il titolo “On Shuffle” rimanda al concetto di riproduzione casuale: i brani   dell’EP, grazie alla loro varietà, offriranno dunque agli ascoltatori l’esperienza di riprodurre tracce come se stessero ascoltando una playlist in modalità shuffle. Il concorso dà vita ad un nuovo ambito di innovazione culturale, volto non più solo alla formazione ma anche al sostegno e alla ricerca di giovani autori in ambito nazionale e internazionale. Possono partecipare al Concorso tutti gli autori di nazionalità italiana o straniera – singolarmente o in gruppo – che rispettino i seguenti criteri di ammissione: non abbiano compiuto il trentasettesimo anno di età alla scadenza del bando prevista per il giorno 30 giugno 2023 per i gruppi, al massimo un componente può avere già compiuto il trentasettesimo anno d’età alla scadenza del bando I candidati possono concorrere con un solo brano, necessariamente inedito, da cui emerga chiaramente l’aderenza al tema del concorso. I sette brani selezionati verranno prodotti all’interno dello studio Luiss BS Records e gli artisti saranno seguiti nella fase di produzione da professionisti del settore e affiancati dagli studenti del Master in Management delle Imprese Creative e Culturali – Major in Music Business della Luiss Business School S.p.A. La scadenza per la presentazione delle opere candidate al Premio è fissata per il giorno 31 luglio 2023 entro e non oltre le ore 12.00 (ora italiana). La partecipazione è gratuita. Si raccomanda l’attenta lettura del bando. ITA SCARICA IL BANDO MODULO ISCRIZIONE MODULO DI PARTECIPAZIONE

25 Maggio 2023

Executive Follow Up

HR Talks Luiss Business School è lieta di annunciare il primo evento Executive Follow Up dedicato a tutti coloro che hanno frequentato i programmi Executive relativi alle Risorse Umane. L'appuntamento avrà luogo il venerdì 23 giugno, presso Villa Blanc. Questo evento speciale riunirà coloro che hanno in comune l'esperienza Luiss Business School e l'interesse nell'ambito delle Risorse Umane. Sarà l'opportunità perfetta per espandere il proprio network, riconnettersi con i colleghi di corso e guardare al futuro. Dopo una breve fase di registrazione, si darà il via all'HR Talk intitolato "La gestione delle RU: dalla risposta all'emergenza alla pianificazione della trasformazione permanente". Questo panel riunirà i Direttori Risorse Umane di importanti realtà, i quali avranno il piacere di condividere la propria visione ed esperienza. Seguirà una sessione dedicata ai Percorsi di Carriera e al valore della formazione, durante la quale si raccoglieranno le esperienze dei partecipanti al fine di condividere best practice e prospettive future. La partecipazione a questo evento esclusivo garantirà il rilascio di un Digital Open Badge, che potrà essere condiviso con la propria Community. AGENDA 14.00 Accreditamento 14.30 Saluti Istituzionali e inizio evento 14.45 – 16.45 HR Talk «La gestione delle RU: dalla risposta all’emergenza alla pianificazione della trasformazione permanente» Moderatori: Roberto Maglione, Professor of Practice Human Resource Management, Luiss Business School Laura Di Raimondo, Direttore Assotelecomunicazione, Asstel Speakers: Emilia Rio, Direttrice Risorse Umane e Organizzazione, Terna Rossella Gangi, Direttore Risorse Umane, WINDTRE Antonio Liotti, Chief People & Organization Officer, Leonardo Geraldine Conti, Responsabile People & Culture Area, BNL – BNP Paribas Gianluca Orefice, HR Director, Aspi 16.45 – 17.15 Break 17.15 – 18.00 Discussione aperta fra i partecipanti: «Percorsi di Carriera – Valore della formazione e fabbisogni formativi». Modera Emanuele Mangiacotti, Adjunct Professor, Luiss Business School. QUANDO: 23 giugno 2023 ORA: dalle 14.00 alle 18:00 DOVE: Villa Blanc, Via Nomentana 216, 00162, Roma 25/05/2023

24 Maggio 2023

Progetti ESG e strumenti di Finanza Sostenibile

Executive Education Amministrazione, Finanza e Controllo Negli ultimi anni, le aziende stanno considerando la sostenibilità come un tema dall’importanza sempre maggiore, rendendo cruciale discutere di come strumenti finanziari sviluppati per scopi più ampi possano essere utilizzati come catalizzatori per la crescita.  Giovedì 22 giugno, a partire dalle ore 17:00 si terrà, presso il Convento San Francesco di Conegliano (TV), una tavola rotonda sul tema dei Progetti ESG (Ambientali, Sociali e di Governance) e degli strumenti di Finanza Sostenibile, promossa da Luiss Business School. L'iniziativa, organizzata nell'ambito dell'Executive Master in Amministrazione, Finanza e Controllo, rappresenterà un momento di confronto tra realtà corporate, professionisti e consulenti del settore, con l'obiettivo di evidenziare l'importanza di combinare sostenibilità e crescita economica e le modalità per poterla finanziare. La tavola rotonda sarà moderata da Saverio Bozzolan, Professore in Financial Statement Analysis di Università Luiss, e vedrà la presenza dei seguenti partecipanti: Enrico Gomiero, CFO Carraro Group S.p.A Nicola Biondo, CFO Carel Industries S.p.A Vania Serena, Head of ESG di Finint Investments La partecipazione di Lorraine Berton, Presidente di Confindustria Belluno Dolomiti e Presidente Advisory Board Nordest di Luiss Business School, e Fabio Innocenzi, Amministratore Delegato di Banca Finint, aggiunge ulteriore valore all'evento, offrendo prospettive e approfondimenti chiave sul tema della finanza sostenibile. L'incontro darà anche spazio al confronto con il referente scientifico del programma, Saverio Bozzolan, che illustrerà i moduli del corso e offrirà opportunità di networking all'interno di Luiss Business School. Al termine, è prevista una sessione di Q&A. REGISTRATI 24/05/2023

23 Maggio 2023

Export Champion Program: focus India

“Export Champion Program” è il programma di formazione specializzata, accademica e completamente gratuito, promosso da SACE Education in collaborazione con Luiss Business School che, ogni anno, ha l’obiettivo di approfondire un mercato di particolare interesse per il Made in Italy. Per la sua quarta edizione, l’iniziativa si rivolge ad un selezionato numero di imprese esportatrici interessate ad approfondire la conoscenza del mercato indiano e ad intercettare nuove opportunità economiche e commerciali. Perché l’India? Con una stabilità politica, favorevoli condizioni di business e apertura al commercio internazionale, l’India è oggi un mercato fondamentale per dimensioni e opportunità. Presidente del G20 2023 e centro delle alleanze internazionali, l’India vanta un progressivo consolidamento fiscale e una crescita economica che la rendono oggi 5° economia mondiale. Rispetto ai prossimi anni, il Fondo Monetario Internazionale stima un’ulteriore crescita del PIL indiano pari ad un valore del 6.1% per il 2023 e del 6.8% per il 2024. L’adesione dell’Italia all’Indo-Pacific Oceans Initiative,consolida inoltre le relazioni tra i due Paesi, che contano oggi circa 15 miliardi di interscambio commerciale e che sono state rafforzate dal recente affermarsi di un partenariato strategico. Il Programma L’Ambasciata italiana in India, la Camera di Commercio italiana in India e la faculty SACE e Luiss Business School interverranno nel corso di 5 incontri, erogati in modalità ibrida e volti a fornire un’analisi economica, legale e fiscale dell’India, nonché un quadro completo degli strumenti e delle strategie vincenti per l’accesso a tale mercato. A questi seguirà un evento in presenza presso Villa Blanc, Roma, che sarà anche un’occasione di networking. Il primo incontro, che si terrà online il 24 maggio dalle 11.00 alle 13.00, sarà dedicato a un approfondimento delle relazioni Italia-India e delle opportunità economiche che quest'ultima offre alle nostre imprese. Interverranno: Francesco Varriale, Consigliere economico dell'Ambasciata italiana in India, Claudio Maffioletti, Direttore della Camera di Commercio Italiana in India, Alessandro Terzulli, Chief Economist, SACE, Mariangela Siciliano, Head of Education, Supply Chain & Business Promotion, SACE, Matteo Caroli, Associate Dean for Internationalization, Luiss Business School. INVIA LA TUA CANDIDATURA SCOPRI DI PIÙ 23/5/2023

19 Maggio 2023

Evento – Executive Talk

Villa Blanc sarà la sede del nuovo imperdibile evento per gli appassionati di Innovazione, Finanza e Marketing il prossimo 9 giugno 2023.L'Executive Talk, organizzato da Luiss Business School, riunirà i migliori esperti del settore per esplorare le sfide attuali e future di queste tre aree chiave. L'evento prenderà il via alle ore 17.00 con un Open Evening, che offrirà ai partecipanti l'opportunità di incontrarsi, fare networking e creare connessioni preziose con professionisti e docenti. Sarà il momento ideale per scambiare idee e conoscenze in un'atmosfera stimolante. Alle ore 18.00 inizieranno i tre panel, ognuno dedicato a una delle tre aree: Marketing, Amministrazione Finanza & Controllo e Innovation. I partecipanti avranno l'opportunità di seguire uno dei tre panel, a seconda dei loro interessi. Ogni panel sarà moderato da un esperto del settore e affronterà temi attuali e rilevanti. Il panel dell'Area Marketing dal titolo "Valore, esperienze e relazioni: il ruolo del Marketing oggi", si aprirà con i saluti di Enzo Peruffo, Associate Dean e Professore Ordinario di Strategia Aziendale presso Luiss Business School. La sessione sarà moderata da Matteo De Angelis, Professore Ordinario di Marketing presso la stessa istituzione, insieme a Vito Sinopoli, Editore presso Business People. Durante il panel, gli esperti esploreranno l'importanza del marketing nel contesto attuale e discuteranno su come creare valore attraverso esperienze e relazioni. Panelist: Giorgia Di Cristo, Marketing Director presso Universal Pictures International Italy Claudia Montresor, Omnichannel Director Europe presso Fendi Enrico Santarelli, General Manager, ex Clementoni Giorgio Dari, Business Unit Manager Gastroenterology presso AbbVie -- “Il ruolo strategico della finanza nei processi di crescita e trasformazione delle aziende” è il titolo del panel dell'Area Amministrazione, Finanza & Controllo, aperto e moderato da Raffaele Oriani, Dean Luiss Business School and Full Professor of Corporate Finance. Gli esperti discuteranno dell'importanza della finanza come leva strategica per la crescita e la trasformazione aziendale. Panelist: Agostino Scornajenchi, Chief Financial Officer, Terna Piergiorgio Peluso, Chief Financial Officer, Aspi Alessandra Genco, Chief Financial Officer, Leonardo Flavio Caruso, Innovative Medicine Chief Financial Officer, Novartis Cecilia Martire, Chief Financial Officer, Granarolo -- Infine, il terzo talk dal titolo “Le sfide del Chief Innovation Officer: Sostenibilità, Digitalizzazione e Innovazione Collaborativa” si concentrerà sull'Area Innovation e sarà moderato da Maria Isabella Leone, Associate Professor – Management of Open Innovation & IP, Luiss Business School. Dopo i saluti di Enzo Peruffo, Associate Dean and Full Professor – Corporate Strategy, Luiss Business School, gli esperti affronteranno tematiche cruciali per i Chief Innovation Officer, come la sostenibilità, la digitalizzazione e l'innovazione collaborativa. Panelist: Alberto Tavani, Chief Innovation and Transformation Officer, CDP                                            Marco Pietrucci, Head of Innovation, Terna                                                Massimo Paloni, Chief Operations and Innovation Officer, Bulgari Fabrizio Caranci, Global Digital Medicines Executive Director, Angelini QUANDO: 9 giugno 2023 ORA: 17:00 CEST DOVE: Villa Blanc, Via Nomentana 216, 00162, Roma Per partecipare è necessaria la registrazione Online Form - Executive Talk di Luiss Business School

20 Aprile 2023

Executive MBA: opportunità e prospettive di carriera | Incontra il Direttore Scientifico e il nostro Alumnus per scoprire le potenzialità offerte dall’EMBA Luiss Business School

Se stai cercando un modo per dare un impulso alla tua carriera, non perdere l'opportunità di partecipare all'evento organizzato dalla Luiss Business School il prossimo 5 maggio. L'evento vedrà la partecipazione del Direttore Scientifico dell’Executive MBA, Prof. Matteo Caroli, e di Riccardo Angelini Rota, alumnus dell'Executive MBA della Luiss Business School, e attualmente Head Sustainability Planning & Projects di Leonardo. Riccardo  racconterà la propria esperienza e darà consigli su come ottenere il meglio dal proprio Executive MBA per raggiungere i propri obiettivi di carriera. L'Executive MBA della Luiss Business School è un programma di formazione di alto livello, rivolto a professionisti che desiderano acquisire nuove competenze e sviluppare le proprie capacità manageriali per distinguersi nel mondo del lavoro. Partecipare all'evento del 5 maggio è un'occasione imperdibile per tutti coloro che sono alla ricerca di un modo per dare una svolta alla propria carriera, per scoprire la struttura dell’EMBA e ascoltare l'esperienza di Riccardo e capire come sfruttare le proprie potenzialità. L’evento è gratuito ma la registrazione è obbligatoria QUANDO: 5 maggio 2023 DOVE: Villa Blanc, Via Nomentana 216, 00162 Roma ORE: dalle ore 18:00 var d=document,w="https://tally.so/widgets/embed.js",v=function(){"undefined"!=typeof Tally?Tally.loadEmbeds():d.querySelectorAll("iframe[data-tally-src]:not([src])").forEach((function(e){e.src=e.dataset.tallySrc}))};if("undefined"!=typeof Tally)v();else if(d.querySelector('script[src="'+w+'"]')==null){var s=d.createElement("script");s.src=w,s.onload=v,s.onerror=v,d.body.appendChild(s);} 20/04/2023

19 Aprile 2023

Scopri i nostri MBA e incontra l’ufficio Internazionale

Partecipa all’Open Evening e identifica le opportunità di scambio internazionale! Scopri il nostro esclusivo percorso di crescita dedicato ai professionisti e ai manager di azienda. Durante l’Open Evening avrai la possibilità di ricevere maggiori informazioni su: l’Executive MBA in lingua italiana, progettato per professionisti, manager, dirigenti ed imprenditori con almeno sette anni di esperienza, in partenza ad aprile 2024 il Part-Time MBA, erogato in lingua inglese, progettato per manager, imprenditori e giovani professionisti con almeno tre anni di esperienza e in partenza a marzo 2024 a Roma e a novembre 2023 a Milano il Flex MBA; programma offerto in lingua inglese. Un MBA flessibile e con una prospettiva globale che può essere seguito ovunque e in qualsiasi momento, in partenza ad ottobre 2023. the Full-time MBA , programma offerto in lingua inglese, on campus per giovani professionisti con almeno tre anni di esperienza lavorativa. In partenza ad ottobre 2023. I coordinatori dei programmi, nonché il nostro recruitment staff saranno a tua disposizione per colloqui one to one e info session dedicate.Grazie all’MBA di Luiss Business School potrai: costruire un network professionale ampio ed eterogeneo seguire le lezioni di una faculty internazionale di accademici e top manager partecipare a laboratori trasversali dedicati alle soft skills come la leadership e la comunicazione beneficiare di un boost per la tua carriera attraverso il personal coaching e periodi di soggiorno all’estero. La partecipazione all’evento ti consentirà di essere esonerata/o dal pagamento dell’Admission Fee pari a €105 per le prossime due date di selezione: 18 e 25 maggio 2023. QUANDO: 10 maggio 2023 ORE: dalle ore 17.00 alle ore 18.30 CEST DOVE: Luiss Business School, Campus Villa Blanc, Via Nomentana 216, 00162 Roma Online Form - Open Evening MBA - 10 Maggio 2023

MBA

13 Maggio 2022

Pharma e sostenibilità, Caroli: «Le filiali dei grandi gruppi guideranno l'innovazione»

Presentata la ricerca “L'approccio alla sostenibilità nel Life science” condotta da Luiss Business School con il sostegno di UCB Pharma Oggi la sostenibilità interessa tutte le aree della nostra vita quotidiana e le attività economiche. Di conseguenza, si tratta di un obbiettivo da raggiungere per l’intera società. Ogni player deve concorrere alla creazione di valore sostenibile, arrivando a produrre il massimo impatto. Tra queste, già per mission aziendale, ci sono le aziende farmaceutiche, a cui è dedicata la ricerca "L'approccio alla sostenibilità nel Life science" condotta da Luiss Business School. Le conclusioni tratte dal professor Matteo Caroli, Associate Dean for Internationalization e Direttore BU Applied Research e Osservatori, Luiss Business School, sono state presentate durante l'evento promosso dall’Ambasciata del Regno del Belgio in Italia e sostenuto da UCB Pharma, azienda biofarmaceutica con Headquarter a Bruxelles e sede italiana a Milano. Il ruolo chiave nella creazione di valore sostenibile in futuro sarà delle filiali. I risultati della ricerca Lo svolgimento dell'Agenda 2030 è nelle priorità dell'Italia. Il lavoro per il conseguimento degli obiettivi sarà determinante anche per attirare capitali stranieri, ivi inclusi quelli del settore farmaceutico, generando ritorni non solo economici, ma anche di valore sostenibile. L'obiettivo della ricerca svolta da Luiss Business School e presentata dal professor Matteo Caroli, è quello di capire come si muovono le società controllate nei gruppi internazionali, in particolare nel settore farmaceutico, nel nostro Paese. Inoltre, aspetto non secondario, i dati hanno mirato a cogliere le strategie corporate e le azioni sui territori da parte delle filiali. Secondo le evidenze raccolte, Caroli ha sottolineato che «saranno le filiali delle multinazionali pharma a guidare e sviluppare best practice sostenibili prima sul territorio, ma utili soprattutto a livello mondiale per l'intero ecosistema della salute». Tra i 15 grandi gruppi internazionali farmaceutici più significativi c'è un orientamento generale sulla sostenibilità. I grandi temi su cui si muovono sono le questioni Esg, quindi legate alla sostenibilità ambientale, ma anche al benessere delle persone, direttamente proporzionale al primo elemento. In questo contesto, resta fortissima l’attenzione sul benessere delle persone, che operano all’interno dell’azienda. Il rischio di green washing va sempre tenuto in conto. Può essere evitato attraverso la trasformazione culturale nelle persone dell'azienda: a partire dai board, dal vertice gestionale, passando poi a tutto il sistema aziendale. Ciò è facile quando le operazioni si svolgono normalmente. La questione cruciale è quando ci sono criticità da affrontare. «Bisogna contemplare la possibilità di rinunciare ad opportunità di business per non violare principi etici e insostenibili». Il ruolo delle filiali nella creazione di valore sostenibile Il ruolo delle filiali sarà cruciale. Infatti, le società controllate hanno la possibilità di diventare leader su alcune tematiche come quelle Esg per le condizioni specifiche del contesto geografico in cui operano e per il rapporto con gli stakeholder. In un Paese in cui la collaborazione tra pubblico e privato nel settore salute funziona, l'innovazione di questo ecosistema rappresenta una sfida da cogliere. Le aziende non saranno produttori di pillole e sciroppi, ma forniranno servizi integrati con il sistema pubblico e tutti gli altri attori chiave chiamati a partecipare all'ecosistema. L'orientamento al dialogo delle subsidiary le porterà guidare e sviluppare best practice utili a livello mondiale. All’incontro, moderato da Federico Luperi, Direttore innovazione e nuovi media Adnkronos, hanno partecipato: Pierre-Emmanuel De Bauw, Ambasciatore del Belgio; Daniela Bernacchi, Segretario Generale e Direttore Esecutivo del Global Compact Network Italia (GCNI); Matteo Caroli, Luiss Business School; Federico Chinni, AD di UCB Pharma Italia; Veronique Toully, Global Head of Sustainability UCB, e Michele Pochettino, Business Development Manager, H. Essers. 13/05/2022

26 Aprile 2022

I trend del marketing nel Next Normal

Quali coordinate permetteranno di orientare le attività di marketing, in uno scenario in continua evoluzione? Osvaldo Adinolfi, Founder & CCO di TUS – The Unusual Suspects e membro associazione P&G Alumni, traccia una rotta di connessione tra online, offline e futuro. P&G Alumni è partner della Luiss Business School per Marketing Management – Major of the Executive Master in Marketing In un’epoca post pandemica ma ancora pervasa da un conflitto che ha stravolto la situazione politico-umanitaria diventa molto difficile formulare previsioni certe e inconfutabili. Anche il marketing deve affrontare la necessità di governare la crescente complessità di un contesto ormai in rapida e continua evoluzione. In questo nuovo scenario sempre più fluido la presenza e l’utilizzo del digitale passa dal “nice-to-have” al “must-have” e diventa dunque un’assoluta necessità foriera di “disruptiveness”. Coordinate, visione e formazione diventano quindi indispensabili per affrontare le incognite di questo momento storico. A tracciare la rotta è Osvaldo Adinolfi, Founder & CCO di TUS The Unusual Suspects, società di consulenza strategica e creativa in marketing e comunicazione, con grandi clienti quali Honda Moto e AG Hotels, oltre che membro dell’associazione P&G Alumni, partner dell’Executive Master in Marketing di Luiss Business School. Osvaldo Adinolfi, come evolverà il marketing nel Next Normal? In questo tempo, qualsiasi previsione di breve, medio e lungo termine va riguardata con nuovi paradigmi. Tre saranno i grandi fenomeni con i quali, dal 2022 in poi, il marketing dovrà confrontarsi inesorabilmente: sustainability, experience e digital. Avere la visione e le competenze per far coesistere queste tre dimensioni renderà l’azienda fortemente vincente. Come si innesterà la sostenibilità nel marketing? A caratterizzare il Next Normal sarà l’umanesimo del marketing. Le aziende non saranno più soggetti economici con una responsabilità sociale, ma soggetti sociali con una responsabilità economica. Il bisogno di soluzioni rispetto a temi sociali quali il riscaldamento globale, la proliferazione di rifiuti da imballaggi in plastica, la sicurezza sanitaria e la recente tragedia politico-umanitaria ha portato i consumatori a chiedere maggiori connessioni con i brand e i rispettivi valori, per mettere in atto una strategia sostenibile concreta. Nel marketing del Next Normal, le aziende saranno sempre più chiamate a prendere posizione – o, meglio, azione – su temi sociali, etici, ambientali e a spendersi attivamente per contribuire alla soluzione delle suddette questioni. L’impegno sostenibile di un brand è ormai un’aspettativa del consumatore che diventa prioritaria per il marketing del Next Normal, in cui i valori di un marchio vincente sul mercato moderno dovranno necessariamente coincidere e, talvolta, addirittura incarnare quelli della società civile in cui operano. Come cambierà l'experience nel marketing? Nel Next Normal il consumatore vorrà aggregarsi, riappropriarsi della libertà sociale di interagire e, soprattutto, vivere quelle esperienze reali di cui siamo stati privati per due anni. Il marketing sarà quindi chiamato a generare azioni, attività, progetti e campagne che possano dare vita a una memorable brand experience: al consumatore dovremo dare la possibilità di immergersi in un'esperienza multisensoriale e multidimensionale del brand. L'ultimo trend del marketing nel Next Normal è il digital. Negli ultimi due anni, complice la pandemia, abbiamo assistito a un’esplosione esponenziale nell’utilizzo del digitale, soprattutto in Paesi come l'Italia. Questo tempo pandemico ha avvicinato i non digital al digital e, grazie alla coesistenza di social media, blog, siti e piattaforme di e-commerce, il tempo trascorso on line è aumentato. Lungo questa scia anche i servizi digitali si sono diversificati, in virtù del numero crescente di consumatori che si è affacciato al digitale anche in ambiti precedentemente non del tutto esplorati, come meeting, delivery, brand digital store. Come possiamo declinare questi trend in formazione? Il primo passo sarà aprire maggiormente a una formazione esplicativa, pronta a coinvolgere attivamente, neiprocessi didattici, le aziende già impegnate a investire su sostenibilità, experience e digital: saranno i Success Model – uno schema di apprendimento sempre vincente – che permetteranno di imparare dai manager e imprenditori che hanno realizzato queste strategie prima e meglio. Bisognerà poi prendere coscienza della necessità di essere costantemente aggiornati. Vivendo in un’evoluzione continua, nulla può sedimentarsi per un periodo troppo lungo, in primis la formazione. Visto l'aumento del digitale e la sua costante evoluzione, che conseguenze si potranno avere in campo pubblicitario? L’impatto di questa esplosione digitale avrà riflessi sia quantitativi che qualitativi. Sul primo fronte, il marketing dovrà usufruire sicuramente di maggiori investimentiin comunicazione digitale che sfruttino una molteplicità di piattaformecome touch point (siti web, social, app, blog). Dal punto di vista qualitativo, la parola d'ordine non sarà più reach, ma engagement! L'investimento in comunicazione digitale -dunque- punterà principalmente a costruire un dialogo sempre più interattivocon tutto il potenziale pubblico dei brand. È importante però fare attenzione. Il marketing si rivolge sempre a un target, ovvero a persone che si interfacciano con una realtà che continua e continuerà ad essere sempre sia on line che off line. Da qui nasce un altro imperativo del Next Normal: il phygital, ossia la necessità di assicurare una naturale fluidità ed osmosi fra tutto quanto viene proposto in ambito digitale e le naturali conseguenze, ricadute e rimbalzi con la vita reale: una integrazione sinergica fra i due mondi -analogico e digitale- è del tutto indispensabile. Come costruire un percorso professionale per una carriera in ambito digital marketing? Un percorso professionale nel marketing è frutto di una formazione strutturata da conseguire, ad esempio, nell'ambito di un master: non ci si improvvisa digital manager ed essere un digital native non costituisce un’eccezione né un titolo preferenziale per diventarlo. Il marketing on line si basa su dinamiche, modelli e strutture diverse dall’uso che facciamo in privato dei social media. Per questo la formazione in marketing digitale è un must have. È necessario poi tener presente un principio che può sembrare paradossale ma è invece vero e concreto: “non esiste il marketing digitale, esiste il marketing in un'era digitale”. La formazione deve dunque essere completa e approfondita sugli elementi basilari del marketing integrato, operando una sinergia tra le strategie on line con quelle off line. Se l’approccio al digitale viene enfatizzato senza la giusta armonizzazione con le altre leve di marketing si corre il rischio di perdere lucidità nella strategia al fine d’inseguire e di assecondare tendenze del momento. Ecco, dunque, che un percorso professionale va iniziato, nutrito e sviluppato nelle giuste sedi formative. L’individuazione di obiettivi chiari e precisi, l’analisi del target nei suoi stili di vita e la coerenza di un posizionamento saranno sempre pilastri fondanti del marketing sia digitale che analogico, sia nel presente che nel Next Future. OSVALDO ADINOLFI, Co-Founder e CCO TUS - The Unusual Suspects Truly International, Proudly Italian, Unconventionally Connected. Questa è la filosofia che rappresenta l’essenza della sua personalità. Osvaldo Adinolfi inizia la sua avventura professionale in Procter & Gamble -1991-2001- dove occupa diverse posizioni professionali, sia in Europa che negli Stati Uniti, fino a divenire Responsabile Marketing Communication. Gestisce progetti strategico-creativi per i maggiori brand, tra cui Pringles, Pantene, Gillette. Dopo una profonda esperienza strutturata in azienda, nasce in lui la voglia di sperimentare il mondo flessibile dell’agenzia. Diventa Senior Vice President e Creative Director di Edelman -2002-2018- dove si occupa di sviluppare e realizzare campagne internazionali di marketing integrato per marchi quali Nutella, Virgin Active, MasterCard, Playstation, Air Bnb, Disney, Carlsberg. Nel 2019 decide di co-fondare TUS The Unusual Suspects, società di consulenza nel marketing strategico e creativo, dando il benvenuto al primo grande cliente: Honda Moto Europe. È considerato uno dei massimi esperti di Unconventional Marketing sviluppando una progettualità sperimentale e innovativa per i suoi clienti. Osvaldo Adinolfi opera anche nel campo della formazione universitaria e post-universitaria come docente e coordinatore scientifico per le maggiori realtà formative italiane. La Luiss Business School è una di queste.   26/04/2022

22 Aprile 2022

Data Girls, innovazione, inclusione e diversity per vincere le sfide del futuro

Dare nuove risposte a nuovi bisogni, coinvolgendo tutte le capacità di un gruppo: le finaliste del progetto Data Girls raccontano il percorso con il proprio team Le neuroscienze hanno riconosciuto nel cervello femminile alcuni processi logici, capaci di connettività multipla e multitasking, che potrebbero essere utili nell'analisi delle complessità contemporanee. La capacità di mettere insieme gli aspetti umani e quelli tecnici si rivelerà utile anche nella gestione di problemi come l'inclusione, le emissioni e le energie rinnovabili, la creazione di nuovi modelli di business e nuove modalità di lavoro. Le studentesse Luiss Business School si sono messe alla prova durante la sesta edizione di Data Girls del progetto GROW - Generating Real Opportunities for Women, per dare risposte innovative alle challenge proposte dai partner tecnici Generali, Italgas, Terna e WINDTRE. Tra le finaliste emerge una consapevolezza condivisa: per fare innovazione, favorendo nuove risposte a nuovi bisogni, ci vuole inclusione e il supporto di tutte le qualità di un gruppo di lavoro. La challenge Italgas secondo Silvia Botta Silvia Botta, 23 anni compiuti e Master in Marketing Management – major in Digital Marketing, ha partecipato con il suo gruppo, Gas Opened, alla challenge “WOW – Way Of Working”, con l’obiettivo di analizzare come la pandemia abbia modificato il modo di lavorare in Italgas. L’azienda è passata da un approccio lavorativo in full smart working (2020-2021) a un graduale rientro in ufficio (da settembre 2021). L'obiettivo è stato quello di studiare come siano cambiate le modalità di lavoro in azienda grazie ai nuovi strumenti di comunicazione e collaborazione, pianificazione delle attività giornaliere, nuove abitudini lavorative. La metodologia utilizzata ha previsto l’uso di Rapidminer per l’analisi dei dataset aziendali, il confronto con i dati ISTAT 2021 e i dati Google 2021 relativamente ai trend sullo smartworking in Italia, e un questionario somministrato ai dipendenti Italgas per sondare l’opinione interna all’azienda circa le nuove modalità di lavoro. «Nel nostro progetto ci siamo focalizzati in primis sui dati generali a livello Italia, esterni all’azienda, poi siamo andati a indagare più a fondo i programmi Microsoft maggiormente utilizzati dai dipendenti per il proprio lavoro quotidiano e abbiamo stimato il tempo trascorso e l’impiego di questi programmi in relazione al possibile impatto ambientale. Il gruppo ha cercato di integrarsi nonostante la distanza. Quello che proporremo è una buona prassi di come i dipendenti possono migliorare». La pandemia ha cambiato le modalità di lavoro e la challenge ha permesso al gruppo di Silvia di studiarne le varie evoluzioni. La challenge Generali secondo Erika Panella Erika Panella, 26 anni, studentessa del Master in Gestione delle Risorse Umane e Organizzazione, con il Gruppo 3 ha preso parte alla challenge “Our way to a diverse and sustainable ecosystem” di Generali. Gli obiettivi della sfida erano tre: l'identificazione dei profili professionali disponibili sul mercato italiano con un focus su donne in ruoli STEM, under 35 e persone laureate con disabilità; l'analisi dei dati, dei trend futuri globali, dei bisogni generazionali e delle prospettive delle minoranze; partendo dall’analisi dei dati, elaborare raccomandazioni su come Generali può attrarre e trattenere in azienda un pool di talenti più inclusivo. «Per molte aziende, diversity e inclusion non sono più solo una questione di reputazione, ma fattori che si riflettono sulla produttività stessa e sugli investimenti. Siamo partiti dalla ricerca dei dati e dalla loro successiva analisi, un approccio a cui non eravamo abituati. È stato un modo diverso di ragionare, facendo proposte basate su dati reali». Lavorare a questa challenge ha permesso al gruppo di Erika di offrire a Generali un punto di vista più consapevole su difficoltà e soluzioni da attuare per realizzare diversity e inclusion. «Abbiamo cercato di analizzare anche soluzioni praticate già da altre aziende. Questo approccio realistico e la conoscenza di più opportunità ci saranno molto utili quando entreremo nel mondo del lavoro».  La challenge Terna secondo Irene Ariante Irene Ariante, 25 anni, studentessa del Master in marketing management - major in corporate event: management, pr & communication , ha preso parte alla challenge lanciata da Terna con il gruppo “Terna al lotto”. La sfida – “Emissioni ed esternalità ambientali e sociali evitate da un impianto fotovoltaico integrato con un sistema di accumulo” – aveva l'obiettivo di valutare la rilevanza ambientale e sociale delle fonti rinnovabili, stimare le emissioni di CO2 e di altri gas climalternati, oltre a calcolare i benefici derivanti dallo storage. «Questo argomento molto attuale, legato all'obiettivo europeo della decarbonizzazione entro il 2050, che ci ha permesso di ampliare il nostro punto di vista sulla questione ambientale e dell'efficienza energetica. Abbiamo analizzato i dati, confrontandoli anche con altri dati esterni, seguendo un approccio qualitativo». Osservando il percorso compiuto, Irene osserva una maggiore consapevolezza circa l'ambiente e la necessità di salvaguardare il pianeta con l'utilizzo di fonti rinnovabili. La challenge WINDTRE secondo Ottavia Piro Ottavia Piro, 24 anni, studentessa del Master in Luxury Management, ha preso parte alla challenge WINDTRE con il suo Group 2. La sfida si è basata sull'analisi dati e sullo sviluppo di strategie (data analysis and strategies development) relative a un'espansione nel mercato di MaaS e Proximity Payment da parte di WINDTRE. «Il nostro progetto è stato incentrato sull'analisi del costo-opportunità di questa espansione e, oltre all'implementazione di un piano strategico per quanto riguarda i servizi core, sulla creazione di una strategia di business attrattiva verso attuali e potenziali clienti caratterizzata da un processo di branding. Nonostante le difficoltà operative, legate alla distanza di alcuni componenti del gruppo, ho avuto l'opportunità di essere team leader, sperimentando ciò che voglio fare nella vita. In più, nella nostra risposta alla sfida abbiamo messo un’idea dietro ai dati e sviluppato un prodotto vendibile». I vantaggi ereditati dal progetto GROW sono stati per lo più tecnici: «siamo riusciti a creare una strategia efficace, osservando come un'azienda potesse svilupparsi in altri settori partendo da asset esistenti». Fare innovazione secondo le Data Girls Secondo Erika, fare innovazione oggi significa essere in grado di costruire un mondo più vivibile per tutti, partendo dalle aziende. «Attraverso le scoperte tecnologiche si può essere più inclusivi. Siamo tutti portatori di diversità, dal genere all'orientamento sessuale, passando dal background culturale. Inoltre, un'altra parte fondamentale da considerare è la sostenibilità ambientale: non c'è inclusione senza l'abitabilità del pianeta». Secondo Irene, l'innovazione è «proporre nuovi modelli e nuovi strumenti che possano rispondere all'evoluzione di bisogni multisettoriali, da quello personale all'edilizia e trasporto. L'innovazione è nulla, se non ci sono bisogni che cambiano nel tempo». Secondo Ottavia, «l'innovazione è anticipare un bisogno. All'interno di un'azienda ognuno ha un ruolo e solo la valorizzazione di ognuno può portare a un'innovazione concreta. L'innovazione deve avere un supporto onnicomprensivo di tutte le qualità di un gruppo di lavoro, parte di un processo creativo». «Innovazione significa creatività, apertura mentale, un lasciarsi ispirare da ciò che non si conosce – aggiunge Silvia – Non si tratta solo di anticipare i bisogni, ma anche osservarli, cercando di adattarsi a un mondo in continuo cambiamento. La pandemia ce l'ha dimostrato. Se si parla di innovazione in un'azienda, deve esserci una struttura agile, capace di allineare i bisogni alla motivazione e alla personalità di ogni dipendente». Una marcia in più: il ruolo delle donne nel fare innovazione Fare innovazione e risolvere le complessità del nostro tempo sono imprese che hanno bisogno del lavoro di tutti. La valorizzazione delle discipline STEM legate al tema dell'inclusione è tra le priorità del governo e del Pnrr. Per questo, avere a disposizione capacità cognitive femminili sarà un modo per vincere insieme. «Come donne – spiega Erika – abbiamo un vissuto che è diverso. Molte di noi avendo, avuto esperienze lavorative o anche solo scolastiche e universitarie, si sono rese conto di pratiche di pregiudizio ed esclusione. C'era chi sosteneva che le donne vogliono essere coccolate in azienda. Un uomo dice questo perché ha introiettato alcuni pregiudizi difficili da sradicare. Il punto di vista femminile riesce a connettere dei dati che la maggior parte degli uomini non riesce a vedere». Come spiega Irene, «abbiamo messo in atto un critical thinking più elevato. Essere donne ci ha permesso di lavorare bene in gruppo, permettendo a tutte di far emergere conoscenze e competenze che fino a quel momento potevamo aver ignorato». «Nella vita reale ci sono uomini e donne, realtà che è stata replicata anche nel gruppo – spiega Ottavia – Persistono discriminazioni, ma premere sulle differenze a volte significa anche incentivarle». «Abbiamo cercato di fare in modo che l'essere donna fosse un punto di forza – racconta Silvia – Abbiamo cercato di mixarci su tutti i task anche sulla parte analitica, su cui ho lavorato molto. Ne ho guadagnato competenze di data analyst che pensavo lontane dalla mia formazione. Essere donna ha permesso una maggiore vicinanza fra i membri del gruppo: l'empatia e l'organizzazione ci ha permesso di non fermarsi al dato, ma di andare oltre, in una prospettiva più ampia e inclusiva».

20 Aprile 2022

Elis Ceo Meeting, Paolo Boccardelli: «Occorre investire per cambiare la formazione»

In apertura dell'evento tenutosi a Villa Blanc, il Direttore Luiss Business School ha delineato il nuovo approccio necessario alla creazione di competenze e all'apprendimento L'alleanza tra aziende, istituzioni e scuole è il punto di partenza per affrontare le sfide che il mondo e la società del prossimo futuro porranno. Per vincere, sarà necessario indirizzare le competenze e la formazione per pianificare e favorire l'orientamento delle vocazioni professionali delle nuove generazioni. Questi i temi al centro del Ceo Meeting, svoltosi il 14 aprile 2022, per dare il via al nuovo Semestre di Presidenza del Consorzio di aziende ELIS. Per l'Italia è stato nominato ufficialmente Roberto Tomasi, Amministratore Delegato di Autostrade per l'Italia. L’evento si è svolto nella sede di Luiss Business School, a Villa Blanc, a Roma. Un nuovo approccio alla formazione L'European Skill Index, redatto dal Cedefop nel 2020, vedeva l'Italia al 23esimo posto per la formazione delle competenze, mentre per la skill activaction (trasferimento di competenze dal mondo della formazione a quello del lavoro) era all'ultimo posto. In questa fase di grande complessità, le domande da porsi secondo Paolo Boccardelli, Direttore Luiss Business School, sono due: quali abilità sono necessarie e come vanno formate. «Abbiamo bisogno di passare da un approccio culturale a uno legato alla creazione di nuove competenze. Mixare le due prospettive in un problem based learning è la sfida del momento. Mettere al centro gli studenti significa mettere al centro l'apprendimento e non l'istruzione, spiegando i domini della complessità, ma anche il modo in cui i problemi vanno risolti». «L'Italia sta affrontando un momento molto difficile perché è un Paese che deve ritrovare sé stesso - ha dichiarato Patrizio Bianchi, Ministro dell'istruzione della Repubblica Italiana - Ognuno di noi deve ritrovare la propria missione, dagli insegnanti alle imprese. Bisogna recuperare la capacità di essere presenti nel nostro momento, per essere un punto di riferimento per i ragazzi. Il ruolo delle scuole e la presenza all'interno del territorio anche da parte delle imprese è sempre più fondamentale. Pensare una scuola in cui anche i muri, non solo le porte siano aperte, ripensando una presenza responsabile delle persone. Se dobbiamo fare futuro, dobbiamo fare istruzione». Gli obiettivi del nuovo Semestre Elis I prossimi sei mesi del Consorzio Elis vedranno al timone ecosostenibile Roberto Tomasi, Amministratore Delegato di Autostrade per l'Italia e nuovo Presidente del Consorzio Elis. «Bisogna fare scuola per costruire futuro», ha esordito il neo-eletto, passando ad articolare gli obiettivi del suo semestre. Tomasi ha messo in luce la necessità di connettere industria, capacità e competenze, necessari per poter rispondere a tutte le sfide della complessità contemporanea, da quella energetica a quella umana. I servizi implementati saranno sempre più digitali, attraverso lo sviluppo di dispositivi, multicanalità e infrastrutture di supporto. Le sfide da affrontare sono diverse. La prima: chiudere il gap di competenze di cui abbiamo bisogno oggi, creando un network con scuole e atenei per incontrare la domanda e l'offerta di lavoro, potenziando anche l'offerta formativa degli ITS. Nei prossimi 5-10 anni, bisognerà indirizzare il corpo docenti e i giovani verso le competenze prioritarie già da oggi e imprescindibili in futuro. Nel lungo periodo, sarà necessario innescare un nuovo meccanismo di pianificazione integrata, attraverso una cabina di regia stabile con presidio dei principali comparti industriali per favorire l'orientamento. «Le aziende devono fare uno sforzo per immaginare il futuro. Se non si fa questo sforzo, creiamo futuro non resiliente. Dobbiamo immaginare, disegnando con visioni strategiche. Il sapere è centrale in tutto questo». Liceo TRED, obbiettivo raggiunto Il Consorzio raccoglie intorno all'ente non profit ELIS oltre 100 aziende, di cui 30 quotate in borsa, in un rapporto stabile di collaborazione che si prefigge due obiettivi: realizzare percorsi efficaci di formazione e inserimento professionale per i giovani, e impegnarsi in progetti d'innovazione e sviluppo ad alto impatto sociale. Tra questi, i molti Progetti di Semestre sviluppati negli anni sotto la presidenza a turno delle aziende del Consorzio. Con il nuovo Semestre di Presidenza a guida Autostrade, l'impegno del Consorzio continua per favorire il dialogo tra imprese, scuole e istituzioni. L'ultimo obiettivo raggiunto, in ordine di tempo, è il Liceo TRED (Liceo quadriennale sulla Transizione Ecologica e Digitale), che a partire dal prossimo anno scolastico vedrà protagonisti 27 istituti scolastici e 23 aziende distribuite su tutto il territorio nazionale. Progetto promosso dal Presidente uscente, Marco Alverà, Amministratore Delegato di Snam, il nuovo liceo offrirà un percorso di formazione teso a integrare i programmi didattici del tradizionale liceo italiano con maggiore attenzione alle materie STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics). In questo liceo dell'innovazione e dell'inclusione, il 40% dei 500 iscritti al nuovo liceo sono ragazze. «Inclusione e innovazione sono da percepire in modo congiunto. Riprendendo le parole del Presidente Draghi, la sfida del tempo futuro va vinta tutti insieme o è già persa in partenza - ha sottolineato Elena Bonetti, Ministra per le pari opportunità e la famiglia - Oggi un percorso inclusivo non può che essere un percorso di contribuzione collettiva. Le disuguaglianze – territoriali, sociali, di genere – sono un ostacolo allo sviluppo di tutti. La sfida di questo liceo va in questa direzione: costruire un sistema Paese. Le donne hanno bisogno delle scienze, ma le nuove frontiere della scienza avranno bisogno dei processi logici che la neuroscienza ha riconosciuto nel cervello femminile: quella connettività multipla e multitasking, capaci di mettere insieme aspetti umani delle questioni. Le ragazze devono essere incluse da subito, costruendo una leadership femminile partendo dal liceo». 20/4/2022

15 Aprile 2022

Quando un compagno di viaggio diventa anche un elemento di sostenibilità della performance

Articolo di Paolo Palazzo e Anna Zanardi pubblicato su Harvard Business Review, Aprile 2022 Paolo Palazzo, Executive coach (PCC, ICF), Adjunct professor e coordinatore scientifico dell’Executive Programme Coaching, Luiss Business SchoolAnna Zanardi Cappon, Professor of practice in leadership and corporate values, Luiss Business School; International board and governance advisor Sono lontani i tempi in cui quando ti presentavi come “coach” ti chiedevano cosa fosse e cosa facessi nello specifico; oggi tutti sanno cosa sia un coach, che cosa faccia davvero resta per molti ancora lacunoso. O, diciamo, che si è cosi ampliata la gamma di profili, formazioni e obiettivi del coaching, che l’identità si è diluita in un mare di possibilità ben al di là dell’originaria funzione. Recuperiamone però almeno in parte i contorni originari e cerchiamo di capire come possa aiutare le persone all’interno delle organizzazioni in una fase di fine pandemia e post-pandemia. Fase  che davvero ci riserva incognite e difficoltà da superare mai conosciute prima. I nuovi bisogni delle persone in questa fase storica Nelle organizzazioni si sono manifestati bisogni nuovi; quelli che attengono alle persone e alla struttura organizzativa sono strettamente connessi e si possono riassumere  come segue: 1 - La leadership prende un orientamento più focalizzato su piccoli team, anziché sui team allargati che erano diventati più frequenti nella prassi anche apicali. Il Ceo o il capo del team si concentra nella relazione bidimensionale ed ibrida su cerchi più stretti, catene di comando più corte e riunioni di problem-solving. La dimensione relazionale-empatica non ha ancora trovato un suo spazio bidimensionale soddisfacente o sostitutivo di quello tridimensionale (presenziale). Approcci come quello dell’Unbossing o dell’adattabilità come nuova forma di intelligenza riscoprono vecchie prassi di autorganizzazione che Maturana e Valera o Henry Laborit ben avevano già descritto nelle loro opere sull’autopoiesi o sulla biologia comportamentale negli anni ’70 e ’80. Quindi ad oggi, niente di nuovo sotto il sole se non, ottimisticamente ci auguriamo una crescente consapevolezza davanti all’aumento delle patologie mentali dei lavoratori, alla moltiplicazione di uso di psicofarmaci delle persone che non si  ritrovano con la propria identità professionale attuale, all’onda di dimissioni fiume e alla insormontabile difficoltà ad attrarre nuove leve dentro ai percorsi di reclutamento di molte aziende, soprattutto nella fascia dei millenials. 2 - Necessita un approccio scientificamente validato per combinare talenti nei giusti team e uscire dalla annosa modalità biased dei colloqui senza fine e degli assessment spannometrici che oltre a costare molto ed a fornire dubbi risultati, sono anche pazzescamente onerosi per la durata del loro processo. Un candidato che ancora si infila in un percorso non  digitalizzato (almeno nelle fasi di screening e  di inizio del funnel di selezione) costa intorno ai 5000 euro in termini di tempo dedicatogli e di spese accessorie (p.es. spostamento dei selezionatori e/o del candidato) e in termini di ore lavorative siamo da inizio e fine processo intorno alle 10 giornate di tutte le persone coinvolte. Se poi non è idoneo o rifiuta, si riparte. Algoritmi e intelligenza artificiale possono esaurire quella parte bassa di lavoro iniziale e nobilitare la centralità strategica dei reclutatori e dell’HR come funzione essenziale per la giusta scelta del giusto candidato, internalizzando anche una competenza cruciale per l’azienda che troppo spesso è delegata all’esterno. 3 - Attenzione alle nuove necessità di benessere e salute, stress occupazionale incluso, che attanagliano le persone dentro a un frullatore di competenze nuove, scenari ipercomplessi, ibridi e accalcati di riunioni continue, senza tempo né pianificazione, che raramente danno la percezione di impattare concretamente sul valore delle performance. In questo ritmo sconosciuto e nell’ibridazione di modalità uomo-macchina non scontate, la solitudine sociale e manageriale, la disconnessione relazionale e la fatica di adattamento a piattaforme che piallano la prospettiva intrapersonale, fanno nascere un bisogno di intimità, empatia e socialità a cui nessuna delle imprese oggi è riuscita a dare una risposta efficace. Le persone si dimettono e la risposta non può essere aumentare gli stipendi. Questa ottica semplicistica e materialistica ricalca la nostra inadeguatezza a capire cosa davvero non sta più funzionando nel modello socio-organizzativo attuale. Ci sono sicuramente altri punti che si potrebbero elencare, ma questi tre possono, se presi in carico da un buon accompagnamento individuale o di team, creare uno spazio maggiormente sano e  sostenibile nell’immediato e dare sollievo e lucidità a quelle popolazioni che dovranno incaricarsi di una costruzione diversa del mondo aziendale. Il Coaching come strumento di sviluppo e il profilo di competenze aggiuntive del Coach Per essere efficaci su queste tre dimensioni sono certamente importanti le tradizionali competenze del coach contenute nei numerosi modelli che negli anni sono stati generati e sperimentati secondo i diversi approcci di coaching. Competenze sostanzialmente convergenti verso doti di empatia, ascolto, trasformazione cognitiva e comportamentale della visione e dell’impatto del coachee. La notevole diffusione della pratica del Coaching nelle organizzazioni non si può ascrivere (solo) a ragioni di novità o di moda. In numero sempre crescente, organizzazioni profit e non profit e istituzioni pubbliche  nazionali e internazionali hanno potuto sperimentare l’efficacia di questo strumento in innumerevoli casi.  Anche se la legislazione di riferimento nel nostro Paese  (l. 4/2013) si basa sull’autoregolamentazione volontaria  della professione, si richiedono sempre più spesso coach qualificati da percorsi di formazione e da solida pratica; non è un caso che ICF (International Coaching Federation), la più grande associazione di coach che conta più di 60 chapter in tutti i continenti, in meno di 10 anni è passata da meno di 10.000 soci con credenziale agli oltre 30.000  attuali. Il coaching consente di dare la massima attenzione al fattore umano, alle caratteristiche proprie di ogni persona nel modo di apprendere, crescere, decidere. Le organizzazioni dove il coaching diventa cultura vedono, oltre allo sviluppo di individui e team, un sensibile miglioramento in termini di produttività, engagement delle persone, riduzione di turnover e efficacia delle figure manageriali (Zenger Folkman, 2019). La nostra esperienza ci mostra come siano in grande misura coachee appartenenti alla Generazione Zeta e i Millenniels a trarre un grande valore dal coaching. Resta centrale la capacità del coach di supportare il coachee nella comprensione della sua posizione nel contesto organizzativo e sistemico nel quale opera, nel creare spazi di libertà e creatività generando diverse opzioni, nel valorizzare l’assunzione di responsabilità verso la realtà che lo interroga (è quantomai attuale l’insegnamento di Viktor Frankl su quest’ultimo aspetto). Tutto ciò necessita  tuttavia qualche aggiunta specifica, non banale e non scontata, che deve integrare esperienza, formazione e attitudine creativa di ogni coach che voglia essere pronto alla fase post- pandemica caratterizzata dall’ibridazione di modalità d’interazione in azienda. Poco conta che come coach noi si sia già avezzi da anni a fare sessioni online, la sfida ora è trasformare i nostri coachee multiviaggianti e abituati a spazi fisici di esercizio del potere e della decisione, a farlo in remoto o in maniera appunto ibrida. Necessita allora spiegare bene e far sperimentare alcuni approcci come per esempio: 1 - La comprensione neurofisiologica e di trasformazione percettiva di cui c’è bisogno per usare bene lo strumento digitale nella conduzione dei team, delle riunioni, delle relazioni a distanza; in breve: nel funzionamento della macchina operativa. Il cervello dentro alla dimensione piatta dello schermo perde prospettiva e crea nuovi patterns di presa delle decisione, focalizza le informazioni in maniera diversa, necessita tempi di riflessione e azione più brevi, abbisogna di un linguaggio sintetico e straight to the point. Chi non riesce a fare un salto viene ammutolito dall’etere e non partecipa più significativamente alla scena aziendale. Come prevenire dunque la perdita di risorse importanti per l’impresa? Come aiutare chi necessita di sviluppare un’ empatia digitale e salvare il proprio posizionamento interno al team? Come usare i propri sensi ed il proprio cuore per connetterci con l’altro nell’era algoritmica e digitale? 2 - Il senso di relazioni significative e di una socialità più piena, anche se a distanza, è l’altro aspetto centrale nella costruzione di una sana frequentazione professionale, dove l’identità del lavoratore cambia totalmente a causa di ritmi e strumenti di lavoro diversi. Che la creazione e il consolidamento di buone relazioni all’interno delle organizzazioni è sempre più decisivo per ottenere i risultati sperati è ormai ben noto ai manager più illuminati, che non si affidano solo a tecniche comunicative o incentivi estrinseci. Ma ciò non basta.  Come aiutare a creare un senso ed una identità nuova non solo di tipo individuale, ma anche collettivo e come portare le ormai stantie chiacchiere su mission, vision, purpose, values ad un livello pragmatico e ficcante per chi dentro all’organizzazione deve viverci. Per chi i valori e i comportamenti li deve allineare al fine di ridurre il rischio operativo dei team e supportare la sostenibilità della performance cosi da non far esplodere dinamiche inficianti la performance di business e la qualità decisionale. Il rischio di dinamiche disfunzionali, all’interno dei team è infatti notevolmente aumentato, a causa del contesto post-pandemico che abbiamo descritto più sopra, i cui effetti potenzialmente negativi sono stati ampiamente documentati da studi recenti (cfr. A. Zanardi, Mental Health And Healthy Companies, Forbes, ottobre 2021). 3 - Il contagio da altre discipline, non solo neuroscientifiche, mediche, matematiche e ingegneristiche  ma anche la botanica, la fisica,  la biologia, la teologia forniscono lenti di interpretazione di possibili nuove forme di aggregazione e costruzione di esperienze culturali innovative che attraggono sul posto di lavoro e servizi e apprendimenti che da soli davanti al pc non si possono effettuare. E dunque la scelta di tornare al presenziale diventa una crescita e realizzazione del  proprio potenziale a cui non si può rinunciare per tornare a sentirsi vivi e capaci di contribuzione di valore al collettivo. Molte sono le riflessioni che stiamo facendo fra colleghi e fra ricercatori, alcune di queste convergono nella nostra scuola dove il confronto è acceso. Invitiamo tutti a parteciparvi, a portare le loro esperienze e a co-costruire con noi, non sappiamo se un mondo migliore, ma sicuramente una prassi di coaching più inclusiva, innovativa e sfidante di quanto siamo riusciti a fare con i nostri contributi individuali in tempi passati. E che, forse tutto sommato fortunatamente, non torneranno più. Anna Zanardi Cappon e Paolo Palazzo sono referenti scientifici dell’Executive Programme in Coaching della Luiss Business School. Il programma è in partenza il 13 maggio, scopri di più. Scarica la brochure 15/4/2022

08 Aprile 2022

Leader 4 Talent, Niccolò Ubertalli: «Uscite da un modello, diventate un modello»

Lavorare con persone eccellenti, trovare il proprio spike, seguire l'istinto: ecco i principali consigli che l'Head of Italy di UniCredit ha lanciato agli studenti Luiss Business School nel suo intervento a Villa Blanc, guidato dal professor Raffaele Oriani «Iniziate la vostra carriera imparando da leader eccellenti, trovate la vostra strada senza paura di uscire dagli standard, diventate voi stessi un modello». In un intervento energico rivolto agli studenti, Niccolò Ubertalli ha disegnato una rotta di navigazione per i futuri professionisti che vogliono essere vincenti nella vita e nella carriera. L'intervento dell'Head of Italy di UniCredit si è tenuto a Villa Blanc nell’ambito del nuovo incontro della serie Leader 4 Talent della Luiss Business School, guidato da Raffaele Oriani, Associate Dean for Faculty. Leader, talento e fame: la road map di carriera secondo Ubertalli Dopo un breve excursus sul personale percorso di vita e carriera, Ubertalli ha concentrato il proprio messaggio sui consigli agli studenti. Oltre a sottolineare l’importanza di concludere velocemente gli studi e di non fermarsi davanti a nulla pur di compierli, l'Head of Italy di UniCredit si è focalizzato sui leader. «All'inizio della vostra carriera lavorate con persone eccellenti: vi cambierà. Siate umili, guardateli, ma non scimmiottateli. Siate voi stessi. Siate geniali e cercate il vostro spike, una cosa unica in cui poter essere eccellenti». Seguire un modello? No, piuttosto diventarlo. «Se entrate in un modello, sarete bravi, ma forse infelici perché non avrete seguito la vostra strada. Dovete provare, fallire e sbagliare, seguendo anche il vostro istinto». Bisogna fare attenzione al network, importantissimo da giovani: «Riceverete tantissime porte in faccia, non scoraggiatevi, riprovate e chiedete il numero di telefono a tutti i CEO che incontrerete». Infine, dedicando un pensiero al mindsetcon cui ci si deve approcciare al lavoro, Ubertalli sottolinea: «Essere vincenti è uno stato della mente: significa avere la consapevolezza che sono le nostre scelte a determinare il nostro futuro». Ubertalli ha dedicato qualche consiglio alle studentesse. «Non fatevi mettere i piedi in testa, pretendete, ma ricordate che tutto è in equilibrio e tutto ha delle conseguenze. Trovate un partner che vi segua e vi supporti nelle vostre scelte di carriera». Per tutti, ciò che conta davvero è la fame. «Quello che si apprende è utile, ma bisogna saperlo usare. Ci vuole fame, e queste cose arrivano quando si è trovata la propria strada». Il futuro del settore bancario Parlando del futuro del settore bancario, Ubertalli ha sottolineato che la digitalizzazione sarà un nuovo paradigma al servizio del return of investment. «Le banche vanno valutate attraverso l'etica dei suoi manager. Abbiamo un ruolo sociale fondamentale: assumiamo persone e rendiamo possibili i sogni di tanti, dai privati alle grandi aziende, passando per quelle medio piccole, eccellenza tutta italiana. A loro consiglio di abbandonare la gelosia per il proprio business e proiettarsi nella dimensione del “go big”». Sempre rivolgendosi agli studenti, Ubertalli ha aggiunto: «se avete una bella idea, portatela avanti. Le banche servono anche a questo». Circa il Pnrr, Ubertalli lo ha definito una opportunità unica. «Se riusciremo a diventare numeri uno in energia rinnovabile, fibra ottica, scuola e sanità, sfruttando i 230 miliardi del Piano, il futuro sarà migliore per tutti». Chi è Niccolò Ubertalli. Niccolò Ubertalli ha iniziato la sua carriera in Teksid Aluminium Foundry in 1997 come ingegnere di processo. Nel 2000, si è trasferito a Milano e ha lavorato presso McKinsey come senior associate fino al 2002. Ha lavorato presso UniCredit Clarima tra il 2002 e il 2004, come direttore nell'area commerciale. Tra il 2004-2006, Niccolò è stato First Vice President presso MBNA (USA e Regno Unito). Nel 2006 si è trasferito in Bulgaria per lanciare UniCredit Consumer Financing con il ruolo di Presidente e Direttore Esecutivo. Nel 2009 è tornato in Italia e ha continuato la sua carriera come Chief of Staff del Group CEO, poi come Head of Group Consumer Finance tra 2011-2012. Trasferito in Romania nel 2012, ha assunto la posizione di Deputy CEO presso UniCredit Tiriac Bank. Tra il 2015 e il 2019 ha continuato la sua carriera in Yapi Kredi come direttore esecutivo e Deputy CEO. Nel 2019 è stato nominato co-CEO Commercial Banking, CEE. È membro del Group Executive Committee di UniCredit. A Maggio 2021 è stato nominato Head of Italy. Cos'è Leader for Talent - #L4T. Si tratta di un ciclo di incontri con leader, top manager ed esponenti del mondo aziendale. Il format prevede circa 20 minuti di Speech dell’ospite e successivamente una sessione di Q&A. Questi interventi e testimonianze sono fortemente orientati all’operatività e alla gestione pratica delle dinamiche aziendali. L4T è stato pensato per favorire l’incontro con i leader delle principali organizzazioni, offrendo ai nostri studenti l’esperienza di un confronto e un dibattito in grado di arricchirli dal punto di vista professionale e delle soft skill. 8/4/2022

01 Aprile 2022

Win-With-U ed EpilepsyPOWER: la ricerca Luiss Business School per l’inclusione

In occasione della Giornata Mondiale della Consapevolezza dell'Autismo (WAAD, World Autism Awareness Day) del 2 aprile, la Luiss Business School è fiera di gestire, in qualità di soggetto ideatore e coordinatore, due ambiziosi progetti finanziati dalla Commissione Europea e finalizzati all’inclusione lavorativa e alla sensibilizzazione di imprenditori e manager sul tema Win-With-U - Workplace Inclusion and employmeNt opportunities for youth WITH aUtism (durata: 36 mesi - EU ID: 2020-1-IT02-KA204-079826). Progetto di ricerca e formazione finalizzato all’inclusione lavorativa di giovani con autismo e lavoratori, coordinato dalla Luiss Business School e a cui prendono parte l’Unità di Neurologia dell’Università Campus Bio-Medico di Roma, Autism Europe (Belgio), European Center for Quality Ltd (Bulgaria) e Specialisterne Foundation (Danimarca). Un consorzio di partner composto da soggetti specializzati sia nell’ambito del management delle imprese, quanto nel settore dei disturbi dello spettro autistico e delle correlate politiche per il miglioramento dell’inclusione lavorativa. Sono tre le fasi del progetto chesi sta svolgendo. La prima si è svolta nel fare il punto sullo stato dell’arte dei sistemi di inclusione nei diversi Paesi europei, nonché in un’analisi delle specifiche caratteristiche di apprendimento e dei bisogni, tramite una survey svolta in 5 nazioni; tali attività con l’obiettivo di progettare e costruire una innovativa piattaforma collaborativa (seconda fase) per l’accesso al materiale formativo, alle linee guida prodotte e al materiale di supporto, da parte dei partner e di tutti gli stakeholders di progetto. La terza e ultima fase del progetto riguarderà i due percorsi di apprendimento individuale: un percorso volto a formare i lavoratori con autismo, affinché possano migliorare le competenze necessarie per la propria posizione occupazionale; l’altro percorso per formare gli imprenditori al fine di comprendere le potenzialità dei lavoratori con autismo e rendere il luogo di lavoro un ambiente accogliente e confortevole. EpilepsyPOWER - Epilepsy People inclusion Overcoming Workplaces European maRginalization (durata: 36 mesi - EU ID:2021-1-IT02-KA220-ADU-000028349). Progetto di ricerca e formazione rivolto a formare il personale delle Università sul tema, al fine di orientare la formazione universitaria e post-laurea e inoltre di migliorare le opportunità di inclusione nel mercato del lavoro di persone (PwE) affette da uno dei più diffusi disturbi neurologici come l’epilessia, considerando che una persona autistica su tre è un soggetto epilettico. Questo nuovo progetto, coordinato dalla Luiss Business School, coinvolge come partner ben tre Università (l’Unità di Neurologia dell’Università Campus Bio-Medico di Roma e il Dipartimento di Management dell’Università di Grenoble (Francia), unitamente alla Camera di Commercio e dell’Industria di Vratsa (Bulgaria), ad un’organizzazione in ambito VET emcra GmbH (Germania) e alla fondazione Epilepsy Alliance Europe (Irlanda). Tra gli obiettivi: migliorare i curricula di apprendimento e i servizi formativi delle Università, promuoverne la consapevolezza nelle organizzazioni pubbliche e private, favorire ambienti di lavoro consapevoli e sicuri, migliorare il supporto all’occupazione e le prassi lavorative attraverso approcci di gestione delle risorse umane positivi. “Alle Università – spiega il Prof. Nunzio Casalino, coordinatore scientifico di entrambi i progetti – spetta il compito preliminare di formare i partner sugli aspetti manageriali e clinici della patologia in modo che possano essi stessi formare a loro volta le imprese e le realtà pubbliche in Europa, su come integrare e supportare queste persone all’interno degli ambienti universitari e lavorativi. A compimento delle attività di ricerca congiunte già in corso, sarà fondamentale procedere alla condivisione delle conoscenze e alla creazione di iniziative specifiche di apprendimento attraverso lezioni, tutorial, eventi orientati allo studio di best practice, lavori di gruppo interattivi, interviste con esperti, oltre a pubblicazioni sia di carattere divulgativo che scientifico. Fondamentali diventano infine lo stimolo e la promozione di una più attenta etica aziendale per una reale inclusione che favorisca un cambiamento innovativo e radicale della cultura organizzativa”. Per concludere, la Luiss Business School, grazie alle attività di ricerca svolte nell’ambito dell’Area Applied Research e Osservatori diretta dal Prof. Matteo Caroli, sta ricoprendo un ruolo sempre più importante nella creazione di conoscenza sul tema, studiando, identificando e mettendo a disposizione metodologie volte a migliorare concretamente l’inclusione lavorativa sia di studenti in procinto di trovare un lavoro che di lavoratori. La sfida è quella di sviluppare la capacità delle imprese e delle pubbliche amministrazioni europee di inserire e gestire correttamente sul posto di lavoro queste persone e, allo stesso tempo, favorire iniziative di Corporate Social Responsibility facilitando la collocabilità lavorativa, la creazione di percorsi di autonomia personale e, in generale, l’inclusione e la responsabilità sociale di impresa. 01/04/2022

26 Marzo 2022

Open Innovation, competenze trasversali per fronteggiare le nuove sfide

Allargare a tutto l’ecosistema dell’innovazione, ripensare il rapporto Corporate- startup, gestire al meglio la proprietà intellettuale: per rispondere alle spinte innovative c'è bisogno di competenze trasversali e formazione qualificata Open Innovation non è più un'espressione che si limita a definire proficue contaminazioni tra grandi aziende e startup. Il contesto si è ampliato, diventando più complesso e sfidante. Tra i temi su cui le capacità dei professionisti devono mettersi alla prova c'è la proprietà intellettuale, che non arriva più solo dalle aziende innovative, ma fluisce anche in direzione inversa. La risposta a queste sfide resta la formazione, qualificata e trasversale come quella pensata per l'Executive Master in Open Innovation & Intellectual Property targato Luiss Business School e realizzato in collaborazione con l’Università degli Studi di Torino – tramite la SAA School of Management. Il percorso è pensato per rispondere alla crescente domanda da parte dei soggetti che operano nel mondo dell’Open Innovation e della gestione della tutela della proprietà intellettuale. Maria Isabella Leone, Direttrice dell’Executive Master Open Innovation and Intellectual Property, spiega come i professionisti devono attrezzarsi per fronteggiare le nuove sfide dell'Open Innovation. La complessità del Next Normal ha reso evidente la necessità per le grandi multinazionali di assomigliare sempre più alle startup, elaborando sistemi di Open Innovation. Quali sono i rischi e quali le opportunità di questa tendenza? Il tema dell'Open Innovation è entrato oggigiorno non solo nello storytelling aziendale, ma anche nei board. È una conversazione sempre più frequente anche tra C-level, alla luce della sua rilevanza strategica, e richiede sempre di più il commitment del Ceo (“No Ceo,no Party”, risuona nelle conversazioni aziendali) Uno dei modi più tradizionali di ragionare sulla gestione dell'Open Innovation è stato l'approccio delle imprese all'ecosistema delle startup. Più lean, più sperimentazione, cicli più veloci di innovazione. Ma oggi lo scenario è diventato più ricco e complesso e la discussione si è allargata includendo partner di vario tipo. Cosa è cambiato in particolare? Il dibattito al momento più rilevante in Italia e in Europa, dove le imprese sono per lo più piccole e medie, è su come l'Open Innovation possa entrare a far parte del loro modello di innovazione. Ad esempio, si parla sempre di più di Open Innovation di filiera, dove sono coinvolte non solo grandi imprese, ma anche aziende di minori dimensioni. Tutte devono iniziare a collaborare, sostenendo limiti e sfide importanti, dall’allineamento dei tempi, alle modalità di collaborazione, al linguaggio e alla cultura dell'apertura. Da una parte, si evidenziano le opportunità connesse all’adozione di una prospettiva più sistemica che consistono principalmente nella contaminazione del contesto ambientale con altre prospettive, alimentando la diversità, la creatività e l’innovazione. Dall'altra, si discute su come far sì che l’Open Innovation sia realmente implementata dalle imprese, superandone i connessi ostacoli che si fronteggiano quando idee esterne arrivano in azienda o quando asset interni vengono condivisi all’esterno. Si parla sempre di nuove idee che dall'esterno arrivano all'interno di un'azienda. Le imprese arriveranno a portare fuori il proprio patrimonio aziendale? Sì. L’Open Innovation non è solo flussi di conoscenza e innovazione in entrata ma anche in uscita. Nello specifico, attraverso differenti strumenti – come licenze, pledge o molto altro – le aziende possono rendere utilizzabili a terzi le loro idee/innovazioni non utilizzate e potenzialmente trarne valore. Questa modalità risulta essere nella pratica più difficile da implementare in quanto le organizzazioni, nonché gli individui, sono spesso restii a “condividere i crown jewels”, i gioielli della corona. È un aspetto dell’OI che spesso viene poco approfondito ma che può costituire una grande occasione per le imprese. Quali sono le sfide per la diffusione più estesa di questo paradigma? L’Open Innovation può generare enormi benefici per le organizzazioni adottanti ma è evidente che porti con sé anche delle sfide da non sottovalutare. Per semplificare, possiamo dire che le sfide connesse a questo paradigma possono essere categorizzate in tre macro-aree di riferimento. La prima è legata all'attivazione di un ecosistema fatto di diversi attori, con motivazioni e background diversi. Il dialogo non si limita più a startup e corporate, ma a grandi, piccole e medie imprese, startup, centri di ricerca, università, no profit, clienti, fornitori e addirittura competitors: tutti depositari di conoscenze, linguaggi e prospettive diverse. La seconda sfida riguarda la cultura: non basta essere aperti verso l'esterno, ma bisogna esserlo anche all'interno, essere pronti ad accogliere il cambiamento e mettersi in discussione, superando le diverse sindormi aziendali connesse all’ OI. Infine, c'è il tema cruciale della gestione della proprietà intellettuale. L'Open Innovation ha reso più acute le sfide dell'appropriabilità delle innovazioni e le organizzazioni devono utilizzare nuovi strumenti di gestione proattiva della PI per poter implementare efficacemente il paradigma. In che modo? Quando ci si apre a tanti soggetti, il tema della gestione della proprietà intellettuale diventa centrale. Avendo investito in innovazione, l'azienda guarda ai rendimenti, nel momento in cui la mette sul mercato. Quando la collaborazione è aperta, si apre la sfida alla gestione della tensione tra l'apertura, ormai necessaria, e la protezione. In questo scenario, quali sono le leve formative da tenere presenti quando si sceglie di operare nell'ottica di Open Innovation? È necessario ambire a padroneggiare una prospettiva a 360 gradi. Una conoscenza iperspecializzata non è più sufficiente. Il professionista di Open Innovation deve confrontarsi con soggetti differenti appartenenti a mondi diversi.  Deve confrontarsi con l'ufficio legale, la crowd o la folla da cui l’organizzazione può raccogliere idee, i fornitori e così via. Bisogna avere la capacità e gli strumenti per gestire questo dialogo a più voci attraverso competenze trasversali. Open Innovation e diversity: quanto la connessione di questi due elementi è un valore aggiunto per fare la differenza? La diversità un fattore chiave per far crescere la cultura innovativa delle imprese. In questo caso, il tema della diversity entra in campo guardando soprattutto all’eterogeneità di competenze trasversali multidisciplinari che permettano di costruire un dialogo proficuo interno e con i partner esterni. Allo stesso tempo l’empatia e l'empowerment abilitano una maggiore rappresentanza dei singoli attori coinvolti, funzionale a un dialogo interdisciplinare. La collaborazione tra startup e grandi aziende sta portando già i suoi frutti. Quali sono le prospettive future? Questa prima area di sviluppo dell'Open Innovation è stata resa possibile dai capitali delle grandi imprese, che hanno potuto attrarre le startup, sempre affamate di fondi per sviluppare le proprie idee. Negli ultimi 5-6 anni queste iniziative sono aumentate insieme al numero di corporate collaborative. La sfida sarà rendere questo processo sistematico, creando prodotti scalabili o evitando che le startup vengano cannibalizzate affinché diventino fornitori a tutti gli effetti. Creare valore per entrambe le parti è la vera sfida. SCOPRI IL MASTER 26/03/2022

24 Marzo 2022

Sono i leader gentili visionari e ottimisti che attirano i talenti

Commento di Paolo Boccardelli, Direttore Luiss Business School, pubblicato su Il Sole 24 Ore Qualche tempo fa, dalle colonne di questo giornale, Klaus Schwab, Presidente del World economic forum ha aperto a una riflessione sulla crisi della leadership politica e aziendale e sulla necessità di un modello di governance 4.0, in grado di affrontare le sfide globali attuali e future. Il suo assist mi permette di approfondire il tema, argomento cruciale per lo sviluppo della società, e di fissare alcuni punti. La preparazione dei leader di domani è la missione principale di molte istituzioni, certamente lo è della Luiss Business School che dirigo. Il nostro impegno è quello di dotare giovani e professionisti degli strumenti più adeguati e innovativi al contesto mutevole in cui viviamo; mai come adesso, però, la crisi dei modelli di leadership, che spesso si presentano quali “stereotipi classici”, risulta così evidente in tutti settori della società, inclusa la politica. Le imprese non ne sono immuni. Tra i tanti trend che stanno investendo il settore imprenditoriale assistiamo a un fenomeno nuovo, uno dei primi effetti degli stravolgimenti che gli eventi recenti (pandemia in primis) hanno innescato nella vita delle organizzazioni e che mette a dura prova le capacità di leadership: quello della Great resignation, la fuga dal posto di lavoro. I dati ci dicono che nel 2021, negli Stati Uniti, 4,53 milioni di persone hanno lasciato volontariamente il lavoro mentre in Italia, nei primi dieci mesi dell’anno appena trascorso, in quasi 800mila hanno abbandonato la loro posizione a tempo indeterminato, 40mila in più rispetto al 2019. Dal confronto tra il 2020 e il 2021 emerge poi che le persone, nell’approcciarsi a una nuova occupazione, danno più rilevanza a: flessibilità (+12,3%), cultura aziendale inclusiva (+7,3%) ed equilibrio vita privata-lavoro(+6,3%) . Nuove sfide, che impongono un cambiamento di paradigma e che chiamano in causa chi riveste posizioni apicali. Ma quali sono le abilità che un leader deve possedere oggi? Sicuramente vision futura, creative thinking, focus sull’execution e orientamento al valore condiviso: saper guardare lontano, nel senso di comprendere pienamente il potenziale di un’azione; stimolare, motivare, trovare nuove soluzioni a nuovi problemi; reagire rapidamente ai cambiamenti, adattando capacità, strutture, modelli di business e metodi di lavoro; ma anche, co-creare in modo sostenibile instaurando solide partnership strategiche con tutti gli stakeholder attorno all’azienda. A queste si aggiungono la capacità di gestire la complessità e i processi decisionali ma anche l’ottimismo: un leader deve essere in grado di infondere un pensiero positivo e, consapevole delle proprie competenze, deve andare oltre le proprie paure. Orientamento alla strategia e intelligenza emotiva fanno il resto, affiancate dalla capacità di seguire il proprio istinto nel produrre idee brillanti e di pianificare a lungo termine in maniera strategica. Una delle caratteristiche dei leader, emersa con forza negli ultimi tempi è quella della gentilezza: il leader gentile è colui che pratica l’ascolto, è empatico, non nasconde le emozioni e lavora su di esse per favorire una maggiore coesione e responsabilizzazione del proprio team. Le organizzazioni guidate da leader gentili sono più attrattive per i talenti: la gentilezza genera motivazione e senso di partecipazione alle decisioni. Se queste sono le caratteristiche di un leader efficace, appare ben evidente che occorre ripensare il nostro ruolo, quali istituzioni rivolte alla formazione di queste competenze, per garantire che chi si forma in una business school abbia tutti gli strumenti necessari per affrontare le sfide del tempo e possa interpretare il senso di necessità e urgenza della nostra società. Il supporto alla formazione del capitale umano dovrà essere accelerato e indirizzato verso competenze che alimentano la visione, la resilienza, l’apprendimento costante, l’adattamento, le abilità imprenditoriali in grado di assicurare la business continuity, l’emotional intelligence, le capacità di creare un ambiente aperto e inclusivo e la creatività. Inoltre, dovremo agire in un’ottica strutturale e non emergenziale, puntando sul nostro ruolo di produttori di conoscenza: una conoscenza aperta, flessibile, pronta ad adeguarsi alle trasformazioni e declinata sui parametri dell’innovazione continua. In sostanza, una rivoluzione culturale e professionale non solo dei leader, ma anche di istituzioni e professionisti dediti alla formazione delle leadership. 24/3/2022

19 Marzo 2022

I valori ESG possono fare la differenza sul mercato: le risposte della formazione Luiss Business School

In partenza il programma Flex ESG e Sviluppo Sostenibile. Ecco come didattica e case study possono diventare strumenti per creare nuove occasioni di mercato I temi ESG sono oggetto di intense attività dei regolatori, ma anche di grande interesse per gli stakeholder. Integrare questi valori – ambiente, società e governance – in azienda non rappresenta più un'azione da temere, bensì la base da cui partire per cogliere nuove opportunità di mercato. In questo scenario, l'alta formazione per chi vuole operare o già opera in questo campo è lo strumento necessario per interpretare correttamente gli input regolatori e le richieste di consumatori e mercato. “La sostenibilità viene spesso definita in modo sfuggente o complesso. Può essere affrontata in modo simbolico, ma ciò non è più sufficiente per investitori e consumatori, alla ricerca di risposte concrete”: Angelo Riccaboni, Professore Ordinario di Economia aziendale, Università di Siena, e Senior Research Fellow, Luiss Business School, ci racconta il nuovo Flex ESG e Sviluppo Sostenibile, in partenza il 25 marzo. Integrare la sostenibilità nei modelli di business: quali sono le sfide da superare? Negli ultimi tre anni la consapevolezza sul tema della sostenibilità è sicuramente aumentata, tuttavia, ancora si agisce prevalentemente in ottica di greenwashing o esg-washing. Chi già invece opera in una realtà concretamente orientata alla sostenibilità, percepisce che un approccio diverso è necessario. Il greenwashing non basta più: gli stakeholder stanno diventando esigenti e richiedono risposte di sostanza. La sostenibilità deve essere integrata nei meccanismi di governance e management attraverso la pianificazione, l'azione del board, il reporting, finanza. Per le piccole e medie aziende si osserva invece una tendenza a posporre il problema e a considerare la sostenibilità un onere e non un beneficio. Far capire che i vantaggi ci sono per tutti, politica compresa, è il vero punto di partenza. Quali sono i vantaggi per le imprese? Con i valori ESG si delineano nuove opportunità di mercato. Oggi non compreremmo mai prodotti che vengono fuori da processi non sostenibili. Quali sono i vantaggi per i regolatori? L'Europa è l'unico continente che sta portando avanti iniziative di estremo rilievo sulla sostenibilità e la regolazione diventa sempre più stringente su questi temi. Chi non lo capisce, faticherà.               Quanto conta il tema ESG per gli investitori? Moltissimo. Gli investitori chiedono sempre più sostenibilità. Anche le banche di prossimità ricevono input in questa direazione, perché è valutata dai regolatori europei. Poi c'è la questione dei talenti. I fattori ESG sono già una discriminante per attirare talenti in azienda? Sì. Oggi i giovani non scelgono di lavorare in luoghi in cui la sostenibilità non sia centrale.                Qual è il ruolo che professionisti specializzati possono giocare per favorire questo cambio di paradigma? Mettere in evidenza casi concreti con soluzioni interessanti su diverse funzioni può fare la differenza. I professionisti sono consapevoli che ci sia un bisogno di approfondire questi aspetti per scendere in campo con un approccio diverso. Ed è qui che il programma Luiss Business School offre delle risposte importanti, sia dal punto di vista dei contenuti che delle esperienze portate in aula. Il messaggio che vogliamo lanciare è: «si può fare ed è conveniente».  Purpose da nice to have a must to have: quali sono i principali benefici di aziende purpose-driven? In passato il purpose era visto come accessorio. Ora le aziende impiegano anche anni a riscriverlo: a una semplice frase si affida il compito di definire perché un'azienda esiste sul mercato. Strategia, meccanismi di governance e modalità operative sono tutti cristallizzati nel purpose. In più, è proprio il purpose che permette agli investitori di guardare all'impresa come a una realtà di sostanza o di apparenza, quindi oggi assegnare a un'azienda una ragion d'essere va oltre la massimizzazione del profitto. Prospettive future nel campo ESG: a cosa si dovrà prestare attenzione nei prossimi mesi e sotto quali punti di vista sta scendendo in campo Luiss Business School?   Gli attuali sconvolgimenti geopolitici incideranno molto sulle scelte dei prossimi mesi. Se prima si prendevano in considerazione solo 3 delle 5 P dell’Agenda 2030, people, planet e prosperity, oggi ce ne sono due che stanno tornando al centro del discorso, che sono partnership e peace.  Sostenibilità significa quindi portare al centro dell'attenzione più giustizia e inclusione, obiettivi che ridisegnano azioni e partnership delle multinazionali, con impatti inevitabili sugli equilibri internazionali. Comprendere questi mutamenti e agire consapevolmente di conseguenza sarà tra i compiti principali dei leader di domani. SCOPRI il Flex ESG e Sviluppo Sostenibile 19/03/2021

08 Marzo 2022

Women Empowerment nel Next Normal: l’impegno targato Luiss Business School

Di cosa hanno più bisogno le leader del futuro per il proprio sviluppo personale e professionale, nel next normal? Lo abbiamo chiesto alle professoresse Luiss Business School, e alle manager delle aziende partner di Data Girls, il programma che nell’ambito del progetto GROW - Generating Real Opportunities for Women, mira a ridurre il gender gap nei domini STEM. È proprio in occasione della Giornata Internazionale della Donna 2022, che condividiamo le loro storie, le testimonianze e l’impegno profuso, per raccontare i diversi volti dell’empowerment femminile, e le sfide da vincere. Maria Isabella Leone, Associate Professor Management of (Open) Innovation & IP, Economics & Business, Luiss Business School “Perché nessuna Professoressa?” Da studentessa questa era la mia domanda più ricorrente. “Prof, Prof!” Questa l’appellativo che sento più spesso negli ultimi dieci anni dai miei studenti e partner industriali. “Chiamatemi Professoressa Associata! Non avete più scuse!” Con questa espressione (rivolta a tutti, tranne agli studenti) ho inaugurato i miei festeggiamenti una volta raggiunto questo risultato, il 1 gennaio 2021. E ho aspettato quel giorno da anni. E mi sono preparata per quel giorno fin dalla mia laurea, ad Ottobre 2004: concorso dopo concorso; contratto dopo contratto, lezione dopo lezione, pubblicazione dopo pubblicazione. Nel frattempo, ho assistito alla diaspora di decine di donne che hanno lasciato ruoli accademici. E sono diventata mamma di una sette-enne vivace e adorabile! È passato poco più di un anno da quel traguardo, ma sembra molto di più. Un anno intenso, difficile, complicato, anche per gli avvenimenti esterni che abbiamo dovuto affrontare. Ma un anno pieno di opportunità, di soddisfazioni, di gratitudine, di relazioni e nuovi inizi. Tra i tanti traguardi, ho avuto l’onore e il piacere di ricevere il premio Luiss Teaching Excellence Award per il mio insegnamento triennale di economia e gestione delle imprese a.a.2021-2022, e di vincere un finanziamento dal MUR per un progetto di ricerca di interesse nazionale (PRIN) sui miei temi di ricerca (Open Innovation), come Leader Under40 dell’unità Luiss. All’alba dei miei 40 anni, passando in rassegna i miei primi 17 anni di vita professionale, mi viene in mente solo un unico comun denominatore: tanta determinazione e una passione che cresce ogni giorno di più! E ho avuto la fortuna di avere centinaia di studenti e partecipanti che mi hanno dato fiducia, di avere vicine tante persone che hanno creduto in me, e di aver guidato e lavorato con tanti gruppi di lavori a geometrie variabili composti da colleghi uomini e donne con cui condivido la soddisfazione dei tanti traguardi raggiunti. A voi studentesse, professioniste, e leader del futuro, credete che sia possibile tutto quello che pensate e sognate, chiedetevi “perché non io?” (Amal Clooney, tra le 12 Donne dell’anno secondo TIME), abbiate fiducia in tutto quello che siete in grado di offrire in termini di competenze, ma soprattutto di relazioni ed empatia, in tutti i contesti e i luoghi in cui vi trovate. Trovate la vostra cifra, il vostro modo unico di essere voi stesse. Offrite, condividete la vostra prospettiva, sempre. E scoprirete…che ne vale la pena, sempre!   Valentina Bosetti, Presidente, Terna, partner aziendale di Data Girls L’anno in cui ho vissuto in America ho incontrato una professoressa che aveva raccolto i dati su quanti metri quadrati avesse a disposizione ogni professore nell’Università. Questi dati dimostravano che, a parità di rango, le professoresse avessero meno metri quadrati. Molte donne avevano allora iniziato a chiedere spazi più grandi, finché una professoressa con un martello pneumatico aveva deciso di tirare giù il muro del suo ufficio. Questo aneddoto mi ha fatto pensare che noi, non avendo tradizionalmente avuto potere, possiamo anche chiederci: ma è quella la mia battaglia? Ora che stiamo ripensando i modi in cui siamo dei leader, possiamo pensare a quale sia davvero la battaglia su cui non è possibile fare un passo indietro. È questa la domanda essenziale. Il potere non è una cosa negativa, è la possibilità di fare quello che si crede si debba fare e di convincere più persone possibile a farlo con noi. Se ci rendiamo conto che il potere è una cosa così bella, smettiamo di fare un passo indietro quando ce lo offrono. WINDTRE, partner aziendale di Data Girls: alla ricerca di nuove opportunità di business  Analizzare le opportunità offerte da nuovi servizi in segmenti verticali adiacenti alle telecomunicazioni e valutare le iniziative più importanti per valorizzare il brand: è questa la sfida che WINDTRE ha lanciato alle studentesse Luiss Business School per Data Girls. Uno degli obiettivi principali che l'operatore di tlc punta a raggiungere è quello di rafforzare la relazione con i clienti per intercettarne i nuovi bisogni. "Il nostro purpose aziendale è "Esistiamo per eliminare qualsiasi distanza tra le persone” –  ha spiegato Cristina Tedeschi, Head of Employer Branding and Corporate Culture, WINDTRE. Pensiamo, infatti, che iniziative come Data Girls rappresentino un ponte tra università e mondo del lavoro per garantire a studentesse e studenti opportunità formative concrete e di orientamento professionale”. Generali, partner aziendale di Data Girls: alla ricerca dell'equilibrio La challenge lanciata da Generali richiede alle Data Girls di identificare i profili professionali disponibili sul mercato italiano, con particolare attenzione alle donne pronte a ricoprire ruoli STEM, includendo i profili below 35 e persone laureate con disabilità. In più, le studentesse sono messe alla prova sull’analisi dei dati per individuare futuri trend globali, bisogni generazionali e prospettive delle minoranze. "Sono le nostre differenze che fanno la differenza per il gruppo – ha spiegato Doris Bisaro, Group D&I Manager, Generali Italia – Abbiamo costruito una governance di business leader: riteniamo che la diversity e l'inclusion aiutino la strategia di business. Avere una popolazione diversificata e un ambiente inclusivo permette a un gruppo come il nostro di avere persone più ingaggiate e un senso di appartenenza a un gruppo e permette di avere impatti chiari ed evidenti sulla bottom line in termini di percorsi e risultati. Abbiamo bisogno di giovani di talento che vengano a lavorare nel gruppo, portando le skill fondamentali per la crescita del Gruppo". Italgas, partner aziendale di Data Girls: alla scoperta dei nuovi Way of Working Come si sono trasformate le abitudini lavorative dei dipendenti Italgas con la pandemia? L'obiettivo della challenge Italgas per Data Girls è analizzare e confrontare i dati relativi allo "stile di lavoro" acquisito durante la pandemia. "La challenge di Italgas WoW – Way of Working non riguarda solo la nostra azienda, ma tutto il mondo d'impresa – ha spiegato Alessandro Roletto Zabella, Responsabile IoT, Analytics and Tech Platforms – Focus della Challenge è lavorare sull’elaborazione dei dati e sugli strumenti di analytics che consentiranno di ricavare insight e messaggi utili sul Digital Way of Working di Italgas". Serenella Ravioli, Direttore centrale comunicazione, informazione e servizi ai cittadini e agli utenti, ISTAT, partner tecnico di Data Girls Le donne proiettate verso una affermazione professionale non devono perdere l’attenzione. E non devono dimenticare che i traguardi acquisiti nella storia professionale sono il risultato di impegno, competenza, determinazione e talora voglia di riscatto su pregiudizi del passato. Mi piace pensare che in tempi non lontani, domande sulla leadership si possano declinare senza genere. Sarebbe il segno del punto di arrivo di totale uguaglianza. Aspettando quei giorni e con sguardo inquieto ai recenti avvenimenti, penso che le leader avranno responsabilità maggiori, oltre il potere e l’efficienza. Essere guida, non solo problem solving. Una leader deve avere scienza, competenze organizzative, capacità di coordinamento, senso pratico e immaginazione. Deve essere empatica. Nessuno si salva da solo e il lavoro di squadra funziona se ci credi, e se motivi quanti concorrono all’obiettivo. La esperienza di lavoro in pandemia mi ha rafforzato in questa prospettiva. Lavorare da remoto e mantenere gli stessi standard qualitativi è stato possibile per due fattori fondamentali: la digitalizzazione del processo ed il mantenimento della governance della propria area professionale. Abbiamo garantito #IstatperilPaese. Lo abbiamo fatto insieme a donne magnifiche che hanno colto il senso del cambiamento. E a casa, come in ufficio hanno fatto la differenza. 8/3/2022

02 Marzo 2022

Real Estate, Enrico Cestari: «Formarsi per essere protagonisti in un mercato in forte evoluzione»

Dall'ascesa del Private Rented Sector alla comprensione dei nuovi trend in atto nel settore immobiliare: ecco perché la formazione è quanto mai necessaria per creare valore in un settore che nel suo complesso contribuisce a circa il 20% del Pil italiano Il settore Real Estate produce il 20% del Pil italiano. Tuttavia, per lungo tempo, la ricerca di figure professionali in questo campo è stata circoscritta alla richiesta di bravi “commerciali”. In uno scenario mutevole, in cui la pandemia ha influenzato tutti i campi dell’immobiliare ed in particolare quello residenziale, questo non basta più e l'alta formazione offre oggi gli strumenti per mettere a sistema skill trasversali, capaci di creare valore. Per questo, Luiss Business School ha elaborato diversi percorsi formativi – Real Estate Finance (Major dell’Executive Master in Accounting & Finance), EREF - Real Estate, il Flex Executive Programme Real Estate Consultant e il Real Estate & Finance (Major del Master in Financial Management) – capaci di formare i business translator necessari per dare valore alle trasformazioni del settore. Enrico Cestari, Coordinatore Settore Real Estate & Infrastrutture Luiss Business School, offre un quadro dei trend di settori e delle potenzialità da cogliere per chi decide di specializzarsi nell'ambito. Trasformazione del settore: quali sono le principali leve di cambiamento? Al momento i trend topic sono tre. La pandemia ha ridefinito il concetto di work life balance. Ciò ci ha dato l’opportunità di ripensare gli spazi d'ufficio, che devono diventare luoghi di condivisione di idee, di aggregazione e non solo il contenitore di una scrivania e di una routine. In più, anche la casa è chiamata ad avere uno spazio da dedicare allo smart working. Le abitazioni devono così avere un punto di sintesi, con spazi più fruibili, disponibili anche all'aperto. Ottimizzare gli spazi comuni a beneficio dello spazio privato significa anche condividere luoghi con i vicini di casa, che prima erano da evitare e che oggi, con un ritrovato senso di appartenenza, sono il punto di partenza per network di attività. Il secondo trend riguarda i modelli di sviluppo. Come cambieranno? Dovranno essere più sostenibili, non solamente da un punto di vista ambientale, ma anche sociale. L'inclusione dovrà essere supportata dall'infrastruttura immobiliare. Infine, c'è l'impatto digitale. Come può coniugarsi con il settore Real Estate? Il digitale deve essere un supporto che crea valore per coloro che vivono, lavorano e passano il loro tempo libero nei “luoghi” che vengono realizzati o ripensati sulla base delle esigenze di chi li abita. Abbiamo messo questi tre elementi a fattor comune nei nostri percorsi, per plasmare gli strumenti necessari agli operatori per governare la complessità. Ciò è possibile analizzando temi che vanno dall'ambito finanziario fino al marketing e alla comunicazione. I tool e le competenze plasmate anche su questo trend topic creano la visione necessaria per centrare l'obiettivo. Quale? Accendere delle sentinelle che possano interpretare le dinamiche di settore, diventando – per citare il professor Paolo Boccardelli – dei business translator. Formazione e Real Estate: un binomio utopico o necessario? Alla luce di quanto appena osservato attraverso i trend, la formazione e il Real Estate costituiscono un binomio assolutamente necessario. Avere un percorso strutturato, che vada a toccare le maglie che compongono la filiera dei servizi, è di grande vantaggio. Lo scopo è ottimizzare un altro binomio importantissimo: opportunità e competenza. Se ci sono questi due elementi, il percorso professionale è lastricato di successi. Guardando alle opportunità, cosa sta succedendo nell'ambito Real Estate? Finalmente, dopo anni di turbamenti, il settore immobiliare sta offrendo ottime opportunità soprattutto grazie al ritorno di operatori esteri. Normalmente il settore degli investimenti corporate in questo campo è stato sempre puntato verso l'office: gli investitori stranieri sceglievano di entrare in Italia per investire in uffici o strutture retail. Invece oggi si sta riscoprendo l'Italia dal punto di vista anche residenziale, un asset che può generare un'importante redditività, che passa anche da nuove modalità di utilizzo. Può fare un esempio? Basti pensare al Private rented sector, che si basa sul costruire per affittare. L'Italia è un Paese che vanta più del 70% di abitazioni di proprietà. In Germania la percentuale si riduce a circa il 50%. Questa spinta del PRS ci dice che si sta ascoltando ciò che le nuove generazioni cercano in una casa: un luogo da cui spostarsi in modo rapido e consueto. Intercettare i fenomeni abitativi e tradurli in business è il punto di partenza. Come Luiss Business School abbiamo creato un percorso specialistico di ampio respiro, proprio perché solo se si ha una comprensione del fenomeno e della sua ampiezza, lo si può arricchire con una visione di complesso. Quali sono le figure professionali necessarie per il settore Real Estate? Sono diverse. Una figura molto interessante, che emerge dal nostro percorso, ha forti attitudini economico-finanziarie. È capace di comprendere la complessità di ciò che succede nella finanza. Ma se ci soffermiamo solo su questo ambito, perdiamo la possibilità di portare beneficio altrove. Invece, vogliamo figure che facciano ragionamenti che vadano al di là di una matrice numerica, che possano interpretare i trend in corso e dar loro valore. Qual è il background necessario per accedere a questi percorsi di formazione? Le figure di partenza possono essere le più varie. Seguire un percorso di formazione in Real Estate può essere un'opportunità anche per liberi professionisti, avvocati, ingegneri, architetti, che possono intercettare una visione più ampia del settore, andando ad arricchire la propria specifica competenza. Un ingegnere che fa “solo” ingegneria è come una Ferrari che va a venti all'ora. Noi forniamo lo zoom out necessario per avere visione più critica e arricchente da riversare nella propria professione. Luxury Real Estate: un trend da cavalcare? Assolutamente sì. Ritengo che questo segmento, caratterizzato da una domanda anelastica, ci mostri che nella sempre più accentuata polarizzazione degli stili di vita e della ricchezza, il segmento centarle della domanda si sta sempre più spostando verso le estremità superiore e inferiore della piramide sociale. Questo significa avere davanti una grande opportunità nella creazione del lusso accessibile. In questo modo, si va ad intercettare lo spostamento che tende verso l'alto. Ci sono opportunità anche per chi vede ridursi il proprio potere d’acquisto? Lì è necessario applicare politiche di supporto, non solo economico, che vadano a riqualificare le periferie, spesso purtroppo fatte solo per essere tali, per realizzare uno dei trend del momento: l'inclusione abitativa. Il tessuto urbano può diventare un laboratorio di crescita. Per questo, tra i nostri docenti, ci sono anche nomi di rilievo nel campo della sociologia come la professoressa Galdini dell'Università La Sapienza. L'obiettivo è poter offrire ogni tipo di supporto nel percorso di interpretazione della complessità. 2/3/2022

24 Febbraio 2022

Next Generation Italia, Boccardelli: «Senza le competenze digitali corriamo il rischio di un’emergenza sociale»

Presentato presso la sede di Luiss Business School il rapporto “Next Generation Italia – Execution” realizzato dal Centro Economia Digitale. Il Direttore: «La vera urgenza è un piano Marshall sul capitale umano» Il 2022 sarà un anno cruciale per l’avanzamento del PNRR, in cui la "messa a terra" degli indirizzi di policy diventerà il tema principale. Oltre a richiedere gli sforzi organizzativi e operativi di tutti, si dovrà far leva su alcuni punti di snodo del Piano: il rapporto con il mondo economico, il rapporto della PA centrale con gli Enti Locali, il rapporto con l’Europa. Sono stati questi i temi affrontati durante l’evento organizzato, lo scorso 23 febbraio, dal Centro Economia Digitale in collaborazione con la Luiss Business School che ha visto il confronto tra aziende, mondo accademico e rappresentanti delle istituzioni. Il rapporto Next Generation Italia – Execution realizzato dal Centro Economia Digitale individua, infatti, una serie di proposte di azioni specifiche e concrete da adottare per migliorare l’efficacia di attuazione del Pnrr nell’ambito degli interventi previsti. Alla base di ogni azione, Paolo Boccardelli, Direttore Luiss Business School e membro del Comitato Scientifico CED, pone un imperativo: «La vera urgenza è un piano Marshall sul capitale umano: senza le competenze digitali corriamo il rischio di un’emergenza sociale». Accelerare sulle competenze digitali Commentando l'evoluzione del rapporto con l'Europa, alla luce della road map da seguire per l'execution del PNRR, Boccardelli ha sottolineato come l'Italia stia lavorando per trasformare la minaccia della grande crisi provocata dalla pandemia in un’opportunità per riformare un Paese, all'interno del sistema Unione Europea, e proiettarlo nella società del futuro. Chiave di volta di questo passaggio è il superamento delle disuguaglianze macroscopiche – giovani e meno giovani, nord e sud, donne e uomini – che ci connotano, in armonia con le trasformazioni digitale ed ecologica. «Le infrastrutture digitali sono un must to have, ma la vera urgenza è un piano Marshall sul capitale umano. Senza le competenze digitali corriamo il rischio di un’emergenza sociale o di un ostacolo inerziale allo sviluppo di servizi digitali. La trasformazione digitale che sta avvenendo ha bisogno di persone consapevoli e competenti, come cittadini e come lavoratori. Bisogna accelerare in maniera profonda sulla formazione delle competenze digitali per un modello di società e una cultura di vita e di professione, che siano digitali». Le proposte di azione del rapporto Next Generation Italia – Execution «Il 2022 è un anno cruciale per l'avanzamento del PNRR, in cui la messa a terra degli indirizzi di policy diventa il tema principale – ha spiegato Rosario Cerra, Fondatore e Presidente del Centro Economia Digitale – L'obiettivo del rapporto Next Generation Italia - Execution è stato quello di individuare, attraverso l'esperienza di analisi del Centro di Economia Digitale, proposte di azioni specifiche e concrete, da adottare per migliorare l'efficacia generale dell'attuazione del PNRR nell'ambito degli interventi previsti». Le priorità sono evidenziate con grande chiarezza, soprattutto in relazione a un contesto in continuo cambiamento. Le spinte inflazionistiche rischiano di minare l'impianto del PNRR e, per questo, è essenziale serrare le fila, organizzare gli interventi prioritari, tenendo conto del mutato scenario, e procedere senza esitazione alla realizzazione dei progetti. Davanti a questa sfida sarà fondamentale concentrare gli sforzi organizzativi e operativi di tutti, facendo leva su alcuni fondamentali punti di snodo del piano: il rapporto con il mondo economico; quello tra pubblica amministrazione centrale ed enti locali; il rapporto con l'Europa. «Le aziende sono i soggetti organizzativamente più attrezzati per l'avvio di progetti – ha continuato Cerra – anche di grandi dimensioni. Serve un coinvolgimento maggiore delle imprese, anche attraverso lo strumento del partenariato pubblico-privato, un modo di facilitare la realizzazione dei progetti e ampliare l'impatto degli effetti previsti. Può anche rappresentare una via per porre le basi, come nelle economie avanzate, di una più intesa relazione tra attori pubblici e privati, nel pieno rispetto del ruolo di ognuno». L'amministrazione avrà un ruolo centrale per assicurare un raccordo continuo ed efficace tra esecutivo e parlamento. Per contrastare le debolezze delle amministrazioni dei piccoli comuni, sarà necessario «un presidio forte. In caso contrario si rischia che le risorse non vengano spese anche volutamente, o spese male. In questo, il ruolo delle amministrazioni regionali potrebbe essere decisivo». Infine, serve continuità e autorevolezza nella gestione dei rapporti con la Commissione Europea. «Il governo deve essere in grado rispetto di prospettare soluzioni concrete da sviluppare in collaborazioni con partner europei. Un fallimento dell'Italia nell'esecuzione del PNRR sarebbe un gravissimo danno. Occorre trasparenza e serietà nella gestione di questi rapporti, nella consapevolezza e prospettiva che i destini dell'Italia e dell'Europa sono fortemente legati». Un lavoro human oriented «Il 2022 è un anno cruciale per l'attuazione del Pnrr. Ci sono 100 obiettivi di esecuzione da raggiungere», ha spiegato Anna Ascani, Sottosegretario di Stato Ministero dello Sviluppo Economico, responsabile delle misure della transizione digitale, che ammontano al 27% del Pnrr (50 miliardi di euro). Tra le missioni da portare a compimento, c'è l'infrastrutturazione del Paese. Grazie alla collaborazione con il Ministero per la transizione digitale, sono già operativi alcuni dei bandi fondamentali. È operativo il bando Italia 1 Giga, che porterà nelle aree grigie del Paese un investimento molto significativo, per ampliare le possibilità per cittadini e imprese di accedere a una connessione più veloce, stabile e sicura, e quindi a nuove opportunità. Si sta lavorando affinché il piano Aree Bianche, attivato nel 2016, giunga finalmente a compimento. Sono operativi anche i bandi per la connettività nelle scuole, che si è rivelato fondamentale in pandemia. A questo si aggiunge quello per la connettività negli ospedali, per dare ai cittadini i servizi fondamentali connessi alla sanità. È operativo il bando sulle isole minori, sulla connettività di quelle aree del Paese che, proprio grazie alle opportunità aperte dallo smart working e dalle infrastrutturazioni digitali, potranno accedere a un nuovo sviluppo legato alla peculiarità della loro conformazione. Uno degli obiettivi è quello di emanare il bando relativo a Italia 5G, fondamentale perché è il primo che sostiene la connettività mobile con i fondi pubblici. Altri 14 miliardi del piano sono dedicati a Transizione 4.0, cioè al sostegno rivolto alle piccole e medie imprese in questa trasformazione verso il digitale. Si punta l'attenzione anche su cloud, cybersecurity, intelligenza artificiale che abilita l'Iot, che rappresenta il futuro, ma anche il presente per la competitività delle nostre imprese.  «Ma tutte queste misure non hanno alcun significato se non si investe nelle competenze - continua Ascani - Per questo il nostro sforzo si sta compiendo insieme al Ministero dell'Università e della Ricerca e al ministero dell'Istruzione, per fare in modo che, insieme agli ITS da un lato e agli Istituti Industriali, le nostre imprese possano contare su quelle competenze che sono fondamentali per fare un salto di qualità a livello di sistema Paese. Anche in tecnologia, il lavoro da fare è human oriented, cioè mirato all'aspetto umano, all'utilizzo della tecnologia e alle competenze dei cittadini e delle cittadine, sia nell'utilizzo sia nella capacità di trasformare questa consapevolezza in competenze e competitività». Oltre il 2026: l'eredità del PNRR «C'è una forte volontà di cambiare passo, una forza propulsiva che forse non viene colta – ha spiegato Federico D’Incà, Ministro per i Rapporti con il Parlamento – Siamo il Paese che riceve le maggiori risorse economiche. Pertanto, abbiamo il dovere di dimostrare che non siamo l'Italia che ha sofferto la mancanza del centrare gli obiettivi indicati, ma di esser quel Paese capace di fare centro, dimostrando la propria genialità nei tempi adeguati al controllo. Potremo essere ricordati come quelli che hanno cambiato il Paese o come quelli che non ce l'hanno fatta. Prendiamo l'impegno che metteremo in questo PNRR e portiamolo anche oltre il 2026». «Il PNRR non rappresenta solo un’occasione di riforma e di investimento – ha sottolineato Andrea Montanino, capo economista e direttore Strategie Settoriali e Impatto CDP – Potrebbe infatti lasciare in eredità un nuovo modello operativo di amministrazione dei fondi europei e nazionali che, vincolando l’erogazione delle risorse all’effettivo perseguimento di obiettivi stabiliti, induce meccanismi virtuosi di impiego dei fondi anche presso territori ed enti con minore capacità di spesa». All'evento Next Generation Italia – Execution hanno partecipato: Rosario Cerra, Fondatore e Presidente Centro Economia Digitale; Adelaide Mozzi, Team Leader Affari Economici, Commissione Europea, Rappresentanza in Italia; Paolo Boccardelli, Comitato Scientifico CED, Direttore Luiss Business School; Francesco Crespi, Direttore Ricerche CED, Professore Economia Università Roma Tre; Danilo Cattaneo, Amministratore Delegato InfoCert-Tinexta; Andrea Falessi, Direttore Relazioni Esterne Open Fiber; Filippo Maria Grasso, Direttore Relazioni Istituzionali Italia Leonardo; Nicola Lanzetta, Direttore Italia Enel Group, Amministratore Delegato Enel Italia; Dario Pagani, Head of Digital & Information Technology Eni; Alessandro Picardi, Executive Vice President Chief Public Affairs Officer TIM; Federico D’Incà, Ministro per i Rapporti con il Parlamento; Anna Ascani, Sottosegretario di Stato Ministero dello Sviluppo Economico; Fabio Melilli, Presidente Commissione Bilancio, Tesoro e Programmazione Camera dei Deputati; Roberta Lombardi, Assessore Transizione Ecologica e Trasformazione Digitale Regione Lazio; Andrea Montanino, Direttore Strategie Settoriali e Impatto CDP. RIVEDI L'EVENTO 24/02/2022

22 Febbraio 2022

Laura Di Raimondo: «Trasformazione digitale completa solo con relazioni industriali forti»

Il Direttore di Asstel fa il punto sulla centralità della formazione nel disegnare forti legami capaci di sostenere anche le rivoluzioni legate al Pnrr Le relazioni industriali possono avere effetti sul Next Normal e sulle trasformazioni – digitale, ecologica ed energetica – in atto? Secondo Laura Di Raimondo, Direttore Asstel, sì. L'associazione che in Confindustria rappresenta le TLC è partner dell'Executive Course della Luiss Business School "Le Nuove Relazioni Industriali". Questo modulo si inserisce nella più ampia cornice dell'Executive Programme in Organizzazione e Gestione delle Risorse Umane, che si terrà a Milano il 25 febbraio 2022 e a Belluno l'11 marzo 2022. Ecco perché questo corso può avere un ruolo cruciale anche nelle rivoluzioni legate al Pnrr. Quali sono le principali trasformazioni che, a oggi, hanno interessato il mondo delle relazioni industriali? Viviamo in una fase segnata dall'emergenza sanitaria Covid. Il Next Normal si sta configurando ed evolvendo giorno per giorno, insieme al nostro vivere e lavorare. Allo stesso modo, ne sono segnate le relazioni industriali, che si basano sui rapporti e sulle risorse umani. Tuttavia, viviamo un'epoca di grandi opportunità grazie al Pnrr, che mette insieme gli orizzonti della transizione digitale, ecologica ed energetica. In questo contesto, i temi di Asstel diventano centrali. In un momento di grande cambiamento, che dobbiamo governare e non subire, le relazioni industriali hanno grandi opportunità e responsabilità. Da che punto di vista? Le relazioni industriali sempre più devono evolvere verso un modello partecipativo, fondato su ascolto e dialogo. Cardine di questo modello è la contrattazione di anticipo che può favorire il governo delle transizioni occupazionali, accompagnando il lavoro e il capitale umano attraverso questa trasformazione. La capacità dei sistemi di rappresentanza di essere soggetti attivi e di avere una visione di frontiera e non di trincea, di saper governare le trasformazioni, diventa sempre più importante. Siamo convinti che non ci sarà una trasformazione digitale completa senza relazioni industriali forti. Quali nuove conoscenze e competenze si richiedono oggi a uno specialista delle relazioni industriali? Quando abbiamo iniziato il corso ho chiesto a tutti una parola. Sono arrivate “pazienza”, “visione”, “resilienza”, “fantasia”, “immaginazione”. Quando sono entrata nel mondo delle relazioni industriali, la competenza era un valore, ma intesa in senso molto verticale. Oggi alle competenze verticali deve affiancarsi la capacità di ampliare il bagaglio di conoscenze per avere una visione complessiva degli scenari di riferimento. Per questo diventano sempre più importanti le soft skill. Non governi la trasformazione, se non hai gli elementi che ti portano ad avere la capacità di governare e di rendere reale tutto ciò che è nuovo. Quanto pesano oggi queste capacità immateriali? Tanto, basti pensare che sono state il cardine della gestione della situazione emergenziale. Anche la leadership più forte, espressa di persona a un tavolo, ma filtrata attraverso il digitale deve trovare una nuova strada. Le competenze diventano sempre più orizzontali e sempre meno verticali. Bisogna essere resilienti per costruire nuovi orizzonti. Di quali figure professionali ha maggiormente bisogno oggi il mondo delle Tlc e come usare al meglio le risorse del Next generation EU? Quali sono i settori in cui sono più richieste? Le competenze di domani le abbiamo mappate con il Rapporto sulla Filiera delle Telecomunicazioni in Italia 2021. Ogni anno, con il supporto del Politecnico di Milano, facciamo questa fotografia sulla stato della Filiera TLC nella quale, tra le altre cose evidenziamo l’evoluzione delle competenze professionali. Si va dalla cybersecurity all'Internet delle cose, passando per la data analysis, intelligenza artificiale e il cloud computing. Ma la filiera ha anche bisogno di progettisti e giuntisti di fibra ottica, necessari per accelerare la realizzazione del Pnrr. In un circuito virtuoso diventa importante l'orientamento formativo dei ragazzi dalle medie, insieme all’aggiornamento delle competenze e alla formazione permanente, soprattutto per persone comprese tra i 40 e i 50 anni. In questa fascia anagrafica è necessario creare un mix virtuoso che vada a costruire un vero e proprio patto per le competenze indispensabile per governare la trasformazione. Reti e competenze digitali: di cosa abbiamo più bisogno per la competitività del Paese? Servono entrambi, ma senza capitale umano innovativo non si può guidare la trasformazione. È questa la leva strategica per accelerare la trasformazione e per rigenerare un circolo virtuoso che parte dalle competenze. Se ho competenze, faccio innovazione. Se faccio innovazione, creo nuovi servizi. Se ho tutto questo, attiro investimenti e genero valore. Se genero valore, ridistribuisco ricchezza. E tutto parte dalle competenze, fattore su cui l'Italia – insieme all'adattabilità del capitale umano – ha sempre avuto un ritardo storico non bisogna dimenticare che l'indice Desi ci dice che siamo terzultimi in relazione al capitale umano, alla capacità di reazione e accesso al digitale, nel mismatch rispetto alle professioni richieste. Poi c'è bisogno di accelerare sulla messa a terra delle reti. Abbiamo una grande responsabilità verso la cittadinanza che ha avuto accesso alle app e ai servizi. Next Generation EU investe miliardi sulla popolazione compresa tra i 16 e i 74 anni, per farli tornare sui banchi di scuola e colmare un gap culturale. Si può avere l'infrastruttura, che va costruita e migliorata. Deve essere pervasiva. Ma bisogna anche dotare le persone delle capacità e competenze per sfruttarne al meglio le potenzialità. SCOPRI IL PROGRAMMA 22/02/2022

11 Febbraio 2022

L4T, Claudio Descalzi: «Bisogna anticipare il futuro»

Non lavorare per fare carriera, formarsi in sinergia con il team, condividere la visione: nel suo intervento a Villa Blanc guidato dal Direttore Luiss Business School Paolo Boccardelli, l'Amministratore Delegato di Eni ha disegnato la sua mappa per una leadership vincente Claudio Descalzi, Amministratore Delegato di Eni, è stato il primo volto che ha accolto l'invito a partecipare al ciclo di incontri Leader 4 Talent di Luiss Business School. Era il 2016 e lui era al suo primo mandato. Il 9 febbraio 2022 è tornato a Villa Blanc, in dialogo con il Direttore Paolo Boccardelli, per offrire la sua visione agli studenti della scuola di alta formazione di Roma. Leadership, formazione, ma anche Africa e caro energia: per vincere le sfide della complessità contemporanea non bisogna seguire, ma anticipare il futuro. Lavorare per costruire sé stessi Guardando al concetto di carriera nella governance aziendale, il punto chiave per Descalzi è all'opposto del voler scalare la gerarchia aziendale. «La cosa più sbagliata da fare è entrare e dire: voglio fare carriera. È una motivazione che fa perdere tempo perché spinge a guardare chi sta avanti a te, facendo scattare invidie e sentimenti logoranti. Si deve stare in una società per lavorare e costruire. Costruire sé stessi. Poi si deve dare un servizio. Il concetto di base è lavorare per l'azienda e per sé stessi». Invece di voler fare carriera, l'AD di Eni consiglia di investire sugli altri. «Non si fa carriera perché il capo ti sceglie, ma perché è la tua comunità a sceglierti. Se sei dietro gli altri e sei un leader, li sorreggi. Dare delle soluzioni agli altri è un buon punto di partenza per costruirsi in un'azienda. Concettualizzate le cose, aiutate gli altri, supportateli e senza accorgervene, sarete un punto di riferimento per la vostra comunità. A quel punto, l'ultimo passo è non montarsi la testa». Leadership e formazione Le sfide poste dalla complessità richiedono un lifelong learning. Per un leader può essere una sfida contro il tempo. Ma, come sottolinea Descalzi, «chi occupa una posizione importante non è mai solo. Le competenze sono già nell'azienda. Per questo bisogna stare a contatto con i propri collaboratori, attingendo ai loro saperi per farsi spiegare le cose. L'aggiornamento arriva anche da lì. Ma bisogna anche coltivare la vocazione e quella curiosità di imparare per poter parlare la stessa lingua». La sinergia con il proprio team è uno dei fattori scatenanti di uno dei momenti più importanti nella vita di un leader: quello in cui si ha la visione, in cui si vede la direzione che l'azienda dovrà intraprendere. «È un momento che nasce col tuo team, in cui capisci come anticipare le mosse. La soddisfazione è impagabile, ma lo è davvero solo se la condividi con gli altri perché vedi il futuro con gli altri, per gli altri». Ma Descalzi invita a mantenere una grossa tensione su noi stessi e sugli altri, pretendendo «in modo profondo, vero, quasi spirituali e non certo materiale. Perché quando dai una visione del futuro, poi va realizzata: la cosa più deludente è non farlo, essere pigri». Infine, focus sul profilo etico, un asset fondamentale per un leader. «Bisogna saper dire no a dei business, anche quando possono sembrare interessanti per l'azienda. Fa parte delle skill che un profilo manageriale deve avere, che dovrebbe far parte del proprio patrimonio culturale». Pandemia, caro energia, Africa Guardando al suo campo di competenza, l'energia, Descalzi osserva la curva ascendente dei prezzi, disegnando una traiettoria che parte dai prezzi al ribasso nel 2016 e passa per la pandemia di Covid-19. Gli investimenti nel settore sono rimasti congelati perché la domanda era inferiore all'offerta. In più, la spinta impressa dal climate change ha cambiato l'orientamento verso le fonti energetiche, cancellando carbone e petrolio, e diminuendo il gas. «In questi ultimi 5 anni si è cercato di disegnare una tipologia diversa di offerta, che sostituisse i settori energetici del passato. Si è iniziato a parlare di idrogeno verde e blu, si è lavorato molto sul supply, ma senza pensare alla domanda. E non è sufficiente cambiare l'offerta per cambiare la domanda. In questo momento la domanda è forte, ma il supply non regge». Ora gli investimenti del settore energia sono concentrati sulla trasformazione energetica, ma secondo Descalzi «deve essere fatta in modo corretto e senza ideologie: abbiamo bisogno di tutte le tecnologie per centrare l'obiettivo». Nel 2013 e 2014 Eni ha lavorato per voltare pagina dal punto di vista tecnologico e lo ha fatto non inseguendo un trend. Si è lavorato molto, ad esempio, sui biocarburanti, entrando in sinergia con realtà come McDonald's. «Una società che segue i cambiamenti ha già perso. Bisogna anticipare il futuro». Guarda al rapporto tra Europa e Africa, Descalzi lo definisce «un connubio di energia e sviluppo, che richiede trasparenza e leadership». Eni è presente in Libia dal 1959 ed è una delle poche aziende rimaste attive durante il periodo di conflitto che ha riguardato il paese dal 2014. «Abbiamo investito nel Paese, riducendo il profitto e dando valore, formando personale locale, con un orientamento di double flag, in cui la bandiera del Paese che ci ospita è un simbolo della nostra consapevolezza e rispetto». Chi è Claudio Descalzi. Nato a Milano, è Amministratore Delegato di Eni da maggio 2014. È componente del Consiglio Generale e dell’Advisory Board di Confindustria e Consigliere di Amministrazione della Fondazione Teatro alla Scala. È membro del National Petroleum Council. Cos'è Leader for Talent - #L4T. Si tratta di un ciclo di incontri con leader, top manager ed esponenti del mondo aziendale. Il format prevede circa 20 minuti di Speech dell’ospite e successivamente una sessione di Q&A. Questi interventi e testimonianze sono fortemente orientati all’operatività e alla gestione pratica delle dinamiche aziendali. L4T è stato pensato per favorire l’incontro con i leader delle principali organizzazioni, offrendo ai nostri studenti l’esperienza di un confronto e un dibattito in grado di arricchirli dal punto di vista professionale e delle soft skill. 11/02/2022

10 Febbraio 2022

Sotto il segno del coaching

Ora più che mai c'è bisogno di un aiuto. Per cambiare testa, o anche solo strategia. E far crescere il fatturato. Ce lo spiegano Anna Zanardi Cappon e Paolo Palazzo dell’Executive Programme Coaching Luiss Business School Si fa presto a dire "new normal". Ma di normale, in questo 2022, non c'è proprio niente. A partire dal Covid, del quale non ci siamo ancora liberati. Il distanziamento sociale, le mascherine, le diverse modalità di interazione: siamo letteralmente schiacciati dal peso del virus, come individui ma anche come organizzazioni. E ci sono solo poche cose che ci possono aiutare, una di queste è il coaching. «Performance e salute sono due aspetti correlati, ma questo aspetto non viene quasi mai preso in considerazione», sottolinea Anna Zanardi Cappon, psicologa, psicoterapeuta, executive coach e consulente strategico-organizzativa, referente scientifica dell'Executive Programme Coaching della Luiss Business School. «L’essere umano nella sua realtà primariamente biologica ha un apparato sensorio che condiziona, attraverso ciò che percepisce, mente, emozioni, valori e, in ultimo, anche la performance che agisce. Il coach, consapevole dell’integrità della persona, agisce su livelli che più vanno potenziati: avere conoscenze neuroscientifiche aiuta a indirizzare meglio le decisioni della persona su eventuali comportamenti o scelte da effettuare». Il 2022 sarà un anno di aumentata consapevolezza sul reale ambito d’azione del coaching: «Se negli anni 2000 il coaching era ancora considerato una pratica esotica, oggi è una prassi consolidata e familiare a numerose aziende», prosegue Anna Zanardi Cappon. Ma la moda del coaching ha anche effetti “negativi”. Basti pensare che, digitando la parola “coach” su LinkedIn, solo in Italia sono presenti 56.000 risultati. «In realtà gli iscritti alle associazioni nazionali sono al massimo poche migliaia. Le credenziali che qualificano la professione di coach in base alla legge 4 del 2013 sono quelle fornite dalle maggiori associazioni operanti in Italia. Il 2022 sarà l’anno in cui si acquisirà maggiore consapevolezza sulla figura del coach, facendo più attenzione alle sue credenziali e alla sua preparazione, frutto di una formazione qualificata». Diffidate dalle imitazioni, insomma. Ne va del fatturato Il gioco vale la candela? La scelta di inserire il coaching in azienda, ma anche solo di seguire un percorso individuale si scontra con l’antico tema del Return on investment del coaching. «Diversi studi hanno dimostrato come l'aumento di performance e di business siano collegati a migliori capacità di leadership, inclusione e benessere organizzativo», spiega Paolo Palazzo, executive coach e coordinatore scientifico dell'Executive Programme Coaching della Luiss Business School «In più, i benefici riportati dalle aziende includono: incremento della produttività, qualità, un miglior customer service e una minore customer compliance, maggiore fidelizzazione (soprattutto da parte di coloro che ricevono coaching) e un aumento della bottom-line profitability». Ma questi benefit, a cui si aggiungono anche quelli personali come le migliori relazioni sul luogo di lavoro, hanno comunque bisogno di stime numeriche che giustifichino l'investimento delle aziende nel coaching: «Secondo i dati analizzati dall'International Coach Federation il coaching genera un Return on Investment (ROI) di circa 4-8 dollari per ogni dollaro investito. Si tratta dunque di un ritorno economico concreto. E nel 2022 peserà sempre di più sulle scelte dei leader». Così, meglio non perdere tempo: «L'autoriflessione e la consapevolezza delle proprie capacità e delle aree da sviluppare aumentano l'attenzione e la competenza», chiarisce Paolo Palazzo. «Per questo motivo, l'impatto del coaching sulle performance diventa più coerente e ne eleva la qualità. Inoltre, abbassa il rischio operativo dei team, migliorandone comunicazione interna e interpersonale. Un buon programma di coaching consente alle persone – grazie alla riflessione e alla consapevolezza di sé e del contesto – di considerare e ampliare la propria area di influenza all’interno dei sistemi nei quali sono inseriti, di scoprire nuovi spazi di azione e di assumersene la responsabilità». Il coaching diventa quindi uno strumento che le aziende possono implementare (anche come benefit aziendale, non dimentichiamolo) per ridare valore al proprio capitale umano: «Può diventare un regalo che l'azienda può fare per migliorare il benessere della persona, la sua capacità d'impatto nell'organizzazione, andando a migliorare anche la sua autostima e auto-efficacia». E se per decenni il coaching è stato impiegato solo a supporto delle posizioni apicali, oggi può essere esteso a tutta la popolazione aziendale: «Il coaching non è un benefit solo per chi ci lavora, ma per l'intera azienda», sottolinea Anna Zanardi Cappon. «Ormai molti Ceo e team apicali hanno all'interno delle rispettive organizzazioni un team coach, che li accompagna costantemente nello sviluppo del piano industriale o del cambiamento auspicato. In questo senso, i comportamenti funzionali ai contesti mutevoli, per essere effettivi, devono essere preceduti da un lavoro a livello cognitivo ed emozionale, dapprima sempre personale». Il digitale ci salverà Fin da tempi non sospetti (ben prima che il Covid irrompesse nella nostra quotidianità) il coaching si è affidato anche a confronti digitali. Così, quando è arrivata la pandemia, il settore si è trovato pronto ad affrontarla. «La novità è stata confrontarsi con leader e manager che hanno dovuto traslare il lavoro in digitale, cambiando la prassi organizzativa», chiarisce Paolo Palazzo. «Il coach ha lavorato chiarendo gli effetti neurocognitivi del passaggio da una dimensione tridimensionale a una bidimensionale. Inoltre, ha cercato di trovare soluzioni pragmatiche al sovra-affaticamento, alla pressione stressogena, all’iperfocalizzazione sui contenuti e alla perdita di un’abitudine alla relazionalità fisica, che in molti ha creato e ancora oggi crea disagio e spossatezza. Nel 2022 si lavorerà ancora molto sul tema, per mettere in armonia la relazione fisica e quella digitale». Abbiamo imparato a familiarizzare con lo smart working. Ma non è filato tutto liscio: «Alcune aziende hanno avuto difficoltà a convincere i dipendenti a tornare in ufficio e chi è tornato fa fatica a starci», spiega Anna Zanardi Cappon. «Il coaching potrebbe aiutare le imprese a sbloccare questa situazione e a ridisegnare gli spazi umani di lavoro. Ma questo può avvenire solo attraverso il recupero dell'identità organizzativa e individuale: sono i due aspetti su cui bisogna investire. La riflessione operata attraverso il coaching aiuta a orientarsi in questa direzione, sgomberando il tavolo da temi di bias o timori individuali. Quello del coaching è uno spazio protetto, dove tutto può essere messo in discussione ed elaborato, anche la propria identità professionale e le proprie convinzioni più profonde». Articolo pubblicato su Economy, febbraio 2022 Scopri l'Executive Coaching Programme 10/02/2022

01 Aprile 2020

CDP, Luiss Business School, Talent Garden e P4I: #ITALIASMART – Virtual Panel su innovazione e smart working

CDP, Luiss Business School, Talent Garden e P4I: il 1° aprile alle 15 #ITALIASMART – Virtual Panel su innovazione e smart working RIVEDI IL WEBINAR    Si terrà oggi 1° aprile alle ore 15:00 #ItaliaSmart, il virtual panel organizzato da Cassa Depositi e Prestiti in collaborazione con Luiss Business School, Talent Garden e P4I - Partners4Innovation per approfondire il tema dell’innovazione e dello smart working a cui parteciperà il Ministro per l'Innovazione tecnologica e la Digitalizzazione Paola Pisano. L’emergenza Covid-19 impone infatti a tutte le organizzazioni di ridefinire i propri processi in una logica digitale, a partire dalla sperimentazione dello smart-working. Durante il virtual panel si analizzeranno quindi le opportunità connesse allo sviluppo delle nuove tecnologie, delineando trend e best practice per le competenze e il lavoro del futuro. Interverranno tra gli altri Maurizio Di Fonzo, Chief People and Organization Officer Cassa Depositi e Prestiti, Paolo Boccardelli, Direttore Luiss Business School, Mariano Corso, Direttore Scientifico P4I - Partners4Innovation, Davide Dattoli, CEO e Co-Founder Talent Garden, Monica Parrella, Direttrice generale del Personale Ministero dell’Economia e delle Finanze. Il virtual panel, a cui parteciperanno i manager di tutte le società partecipate da Cassa Depositi e Prestiti, vuole essere anche un momento di riflessione per tutte le aziende italiane in un momento di profonda trasformazione. E proprio nell’ottica di formare la classe dirigente del Paese per un futuro che si preannuncia molto diverso da come lo si prospettava, Luiss Business School ha messo gratuitamente a disposizione di CDP e delle sue partecipate una serie di strumenti di formazione digitale. 01/04/2020

28 Marzo 2020

Luiss Business School Webinar Series con Stefano Donnarumma, CEO Acea

Un confronto per approfondire la gestione delle crisi nelle organizzazioni complesse, un tema sempre più rilevante alla luce delle sfide presenti e future che stanno emergendo durante l’emergenza coronavirus. Insieme a Stefano Donnarumma analizzeremo come ripensare l’organizzazione del lavoro, la gestione dei processi, il ruolo delle nuove tecnologie e le nuove competenze necessarie. RIVEDI IL WEBINAR   Il 3 aprile 2020 alle 18.30 con Stefano Donnarumma, CEO Acea, si terrà un nuovo appuntamento della serie di webinar targata Luiss Business School. Un confronto per approfondire la gestione delle crisi nelle organizzazioni complesse, un tema sempre più rilevante alla luce delle sfide presenti e future che stanno emergendo durante l’emergenza coronavirus. Insieme a Stefano Donnarumma analizzeremo come ripensare l’organizzazione del lavoro, la gestione dei processi, il ruolo delle nuove tecnologie e le nuove competenze necessarie. La formula in live streaming permetterà di reinventare gli incontri di formazione dedicati a professionisti e imprese e di scoprire in una modalità nuova e interattiva gli Executive Programme in Sviluppo Manageriale e Project Management: sarà infatti possibile partecipare al Q&A che seguirà il Webinar per approfondire le tematiche emerse e tutte le opportunità dei programmi. Per partecipare al Webinar è necessaria la registrazione. RIVEDI IL WEBINAR 28/03/2020

11 Febbraio 2022

«Telco in fermento, preservare unitarietà di Tim, a rischio migliaia di esuberi»

I sindacati del settore (Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil) fanno il punto tra nuovi progetti per Tim, proposta per Vodafone Italia e nuovi vertici per WINDTRE Problemi di tenuta occupazionale del settore telco chiamato a ingenti investimenti con prezzi calanti; ipotesi di spezzatini e concentrazioni; cambi al vertice, aziende di rete, che devono realizzare le infrastrutture in difficoltà. Un combinato disposto che, secondo i sindacati delle tlc, potrebbero portare a migliaia di esuberi diretti e indiretti. In vista dei bandi del Pnrr che entrano nel vivo a breve, e del riassetto in corso nel comparto, Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil fanno il punto della situazione con DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School). Solari (Slc Cgil): «Problemi del comparto da rinvenire nell'eccesso di competizione» Per Fabrizio Solari, segretario generale della Slc Cgil, il settore delle tlc «non è per niente decotto né ha una domanda calante, è invece in forte evoluzione. Ma, nonostante questo, ci sono tensioni a livello occupazionale in Italia. Occorre chiedersi perché. In Paesi europei comparabili con il nostro, questo non avviene. Il problema è allora da rinvenire nell'eccesso di competizione che ha prodotto una situazione di inefficienza, si continuano a perdere risorse, inducendo le aziende a tagliare l'occupazione e lesinare gli investimenti». Solari chiarisce che, per i consumatori, «è un bene che i prezzi scendano, ma se scendono troppo è un male per tutto il sistema; oltre una certa soglia non si remunera l'investimento e si rallenta l'innovazione». Vitale (Fistel Cisl): «occorre valorizzare italianità di Tim e tutelare l'occupazione» Tra le preoccupazioni dei sindacati c'è il futuro di Tim, che dovrebbe essere divisa, secondo le linee del piano industriale conosciute finora, nella Netco, la società della rete, e la ServiceCo, la società dei servizi. Per la Cgil   «è inaccettabile che si pensi a realizzare la rete unica, per evitare duplicazioni, collocando nella parte del network di Tim esuberi e debito». La tempistica dello scorporo della rete, prevista dal piano di Labriola, spiega Vito Vitale, segretario generale della Fistel Cisl, «appare, per quello che abbiamo saputo finora, troppo affrettata. Inoltre, il progetto sulla società dei servizi sta diventando sempre più ricco a discapito della rete; in questa maniera non ci sono certezze in termini occupazionali». Il sindacato sarebbe, invece, favorevole, aggiunge, «con l'accordo della politica a realizzare un'operazione che preservi l'unitarietà di un'azienda strategica per il Paese. Anche leggendo recenti articoli di stampa, si rafforza l'idea che si possa trovare una soluzione per valorizzare l'italianità dell'azienda, preservandone al contempo l'occupazione'". In ambito generale, aggiunge il Vitale, «c'è una tale evoluzione degli assetti del settore delle tlc, che a prescindere da Tim, ci aspettano grandi cambiamenti, da un lato l'offerta di Iliad per Vodafone Italia, dall'altro i cambiamenti al vertice di WindTre (l'attuale ad Jeffrey Hedberg è in uscita ad aprile e sarà sostituito da Gianluca Corti e Benoit Hanssen, ndr). Sono tutti riassetti per iniziativa di gruppi imprenditoriali stranieri; in questa situazione, diventa ancora più importante preservare il valore e l'unitarietà di Tim». Per Savant Levra (Uilcom) rete unica percorso difficile che porterebbe altro scompiglio Preoccupazione anche da parte della Uilcom Uil. «Oggi aleggia lo scorporo della rete - sottolinea Luciano Savant Levra, segretario nazionale della Uilcom Uil - per realizzare un unico network a seguito della fusione con Open Fiber: un percorso difficile con tempi lunghi che porterebbe a un ulteriore scompiglio del settore delle tlc». Per la Uilcom, «smembrare Tim, privandola della rete, causerebbe una reazione a catena perché resterebbe una società di servizi (ServiceCo) che dovrebbe competere da subito, rispetto agli altri concorrenti, con un numero di addetti praticamente doppio e iniziare la sua attività con un importante debito». La situazione «spingerebbe le altre telco alla realizzazione di accorpamenti o addirittura scomposizioni, si veda il possibile matrimonio tra Vodafone ed Iliad oppure la vendita di infrastrutture di rete, da parte di altre telco, non più necessarie avendo una unica rete da cui approvvigionarsi all'ingrosso. Si rischierebbero inoltre importanti e negative ricadute sul grande indotto di Tim perché le molteplici aziende che lavorano per l'ex incumbent non potrebbero più vendere gran parte dei loro servizi fino ad oggi effettuati». Il risultato, rimarca la Uilcom, «potrebbe portare ad avere migliaia di potenziali esuberi». I sindacati, infine, mettono l'accento anche sulla situazione delle aziende di rete, chiamate a breve a uno sforzo ingente, visto che dovranno realizzare, oltre alle infrastrutture già previste nei piani degli operatori, anche le reti descritte nei bandi del Pnrr. Un effetto dei bandi, notano i sindacalisti, è quello di far rimettere in discussione anche alcune commesse che gli operatori avevano già assegnato, visto che alle telco conviene procedere nell'infrastrutturazione attraverso le gare finanziate dalle risorse europee piuttosto che andando avanti con i propri piani di investimento. «In un mercato iper competitivo – conclude Solari – occorre tagliare, e quando si taglia si rimettono in discussione anche le commesse». In questa situazione, «la partita di Tim è la parte più evidente della malattia del settore». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 11/2/2022

11 Febbraio 2022

Calcagno: «Iliad e Vodafone? Pronti a proporci come remedy taker nel mobile»

L'intervista all'ad di Fastweb tra riassetto delle telco, opportunità dei bandi e domanda da stimolare Fusione tra Iliad e Vodafone? «Qualora l'acquisizione si concretizzasse ci aspetteremmo un pronto coinvolgimento della Commissione Europea per la definizione di un pacchetto di remedies in modo da garantire la giusta pressione competitiva nel mercato» e noi Fastweb è pronta a proporsi come «remedy taker». Alberto Calcagno, ceo di Fastweb, reduce dal 34esimo trimestre consecutivo di crescita dell'azienda controllata da Swisscom commenta così, nell'intervista a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) l'offerta del gruppo francese del miliardario Xavier Niel per la divisione italiana di Vodafone. Una possibilità che si aggiunge alle altre ipotesi di riassetto del mercato delle telco, sofferente per i prezzi bassi, soprattutto nel mobile, e per gli alti investimenti richiesti. L'eventuale combinazione di Vodafone e Iliad ridurrebbe a tre gli operatori del mercato del mobile come successe post fusione tra Wind e 3 Italia, a seguito della quale la Ue aveva imposto l'ingresso di un quarto operatore, che è stato proprio Iliad. Intanto, in vista della digitalizzazione del Paese prevista dal Pnrr, Fastweb si dice pronta a continuare nel ruolo di infrastrutturazione del Paese, anche nelle aree a fallimento di mercato: «Sicuramente le tempistiche e gli obiettivi posti sono sfidanti» e in questo contesto, considerati vari fattori come la capacità produttiva delle aziende che realizzano «il ruolo del Fwa 5G, per la sua flessibilità e per le sue caratteristiche, sarà molto rilevante nel consentire di rispettare le milestone del progetto». Avete di recente presentato i risultati annuali e la vostra nuova strategia, quali sono le priorità su cui puntate e quali i target più importanti? Abbiamo appena rilasciato i nostri risultati annuali che ci vedono in crescita per il 34mo trimestre consecutivo. Una prova che la nostra strategia in controtendenza, basata sull' infrastrutturazione, sulla trasparenza e sul forte focus nel segmento enterprise e nel mercato wholesale è vincente. Con "Tu sei Futuro" aggiungiamo un ulteriore elemento di differenziazione della nostra visione strategica, dandoci come priorità quella di aiutare tutti a riconquistare la fiducia nel futuro ed attivare un senso di responsabilità del proprio destino. Lo faremo in due modi: mettendo a disposizione di tutti strumenti per far parte del futuro digitale - connessione, dunque, ma anche competenze - e attraverso progetti a sostegno della comunità. Sul primo punto il progetto principale è quello della Fda, la nostra Fastweb digital academy, che moltiplicherà gli sforzi e punta a formare 500.000 persone entro il 2025. Sul secondo il nostro impegno principale è sul fronte della sostenibilità ambientale. Ci impegniamo, e siamo tra le prime società in Italia ed in Europa a farlo, a diventare carbon-neutral entro il 2025. Stanno per entrare nel vivo le gare legate al Pnrr sulla strategia digitale e una prima asta, seppur riservata ai soli cavi sottomarini per le Isole, è andata deserta. Pensate che l'impianto dei bandi sia equilibrato o ci vorrebbero ulteriori accorgimenti per attenuare le penali e fidejussioni e incentivare gli operatori a partecipare? La tempistica prevista è fattibile? La realizzazione di infrastrutture per colmare il digital divide è sempre stato e rimarrà uno dei pillar della nostra strategia, il primo modo per contribuire al futuro digitale delle persone e del paese. Per questo ci siamo impegnati a realizzare una rete Fwa con performance fino ad 1 Gbs nelle aree dove adesso sono disponibili servizi di connettività che non arrivano a 200 Mbs. E sicuramente ci interessa continuare a giocare un ruolo chiave nell'infrastrutturazione anche nelle aree a fallimento di mercato. Stiamo facendo le nostre valutazioni proprio in questi giorni. Sicuramente le tempistiche e gli obiettivi posti sono sfidanti. E ci sono diversi fattori da considerare: la capacità produttiva delle aziende che realizzano reti, messa molto sotto pressione in questo periodo data la sovrapposizione di tanti progetti, così come i costi effettivi per rispettare le performance previste. Proprio alla luce di queste circostanze il ruolo del Fwa 5G, per la sua flessibilità e per le sue caratteristiche, sarà molto rilevante nel consentire di rispettare le milestone del progetto. Gli operatori che dovessero aggiudicarsi i bandi dovranno poi effettuare investimenti infrastrutturali, parte dei quali a loro carico, e quindi saranno chiamati comunque a un esborso economico. Pensate che il sistema garantirà, a fine piano, una domanda sufficiente per poi rendere sostenibili gli investimenti programmati? E nell'ecosistema delle telco ci sono le competenze necessarie? La creazione di una domanda sufficiente a garantire la sostenibilità degli investimenti è un tema centrale e non solo nelle aree dei bandi. L'Italia ha un take-up di connettività per le reti BB e UBB che è bloccato da anni al 60%. Vuol dire che quasi la metà delle famiglie non sente la necessità di una connessione fissa. Perché probabilmente usa poco o per nulla il PC e non ha skill per fruire di servizi online più sofisticati della navigazione o dei social media. Io non credo però sia un tema di sostenibilità economica. Abbiamo i prezzi più bassi d'Europa. Ritengo che sia invece un problema di competenze rispetto alle quali c'è il vero gap tra noi e altri paesi dell'UE: se non mettiamo in grado tutti di far parte del futuro "connesso" ci sarà sempre un'Italia a due velocità, anche con una rete super-performante ovunque. Per questo abbiamo deciso di moltiplicare il nostro impegno in questo campo attraverso la FDA. Oltre ai corsi professionalizzanti (più di 90), da seguire in aula o via streaming, per acquisire le competenze necessarie a trovare un'occupazione o semplicemente migliorare la propria situazione lavorativa, stiamo creando una library con migliaia di contenuti: corsi, tutorial, strumenti di autovalutazione. L'obiettivo è offrire a tutti l'opportunità di imparare la lingua del futuro, il digitale. I coinvestimenti o la realizzazione di quella che viene denominata rete unica potrebbero giovare al mercato? Noi siamo sempre stati favorevoli ad esplorare e sfruttare tutte le sinergie possibili e non abbiamo posizioni preconcette a favore o contro determinate soluzioni, perché tutte vanno valutate sulla base di piani concreti più che su ipotesi. Sul tema dei coinvestimenti abbiamo sempre avuto un approccio pragmatico: abbiamo messo in campo tante partnership in questi anni – non solo FiberCop, ma anche quelle con WindTre e con Linkem - sempre seguendo un'unica stella polare: aumentare la nostra capacità infrastrutturale, contribuire alla digitalizzazione del paese e rafforzare la nostra capacità anche sul fronte wholesale, dove vogliamo continuare a rappresentare una valida alternativa. Con lo stesso approccio pragmatico valuteremo tutte le possibilità che si dovessero presentare nei prossimi mesi Come vedete la possibile scissione di Telecom, con una società dedicata alla rete, comprendendo anche la Fibercop di cui siete azionisti, e un ruolo più forte di Cdp? Potrebbe incentivare gli investimenti? Mi sembra una vicenda ancora in evoluzione con esiti tutt'altro che scontati. Le variabili in campo sono tante e mi sembra poco efficace fare valutazioni non basate sull'analisi di dati ed elementi concreti. Ribadito il fatto che noi abbiamo puntato su FiberCop dall'inizio perché ci convinceva il progetto industriale, che riteniamo non sarà messo in discussione, non ho chiusure preconcette nei confronti di nessuna ipotesi. E l'offerta di Iliad per acquisire Vodafone? Che risvolti sul mercato? Qualora l'acquisizione si concretizzasse ci aspetteremmo un pronto coinvolgimento della Commissione Europea per la definizione di un pacchetto di remedies in modo da garantire la giusta pressione competitiva nel mercato. Abbiamo dato prova in questi anni di avere la capacità e le intenzioni di svolgere un ruolo importante anche nel settore mobile, e quindi, qualora se ne presentasse l'occasione, saremmo pronti a proporci come remedy taker. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 11/2/2022

11 Febbraio 2022

Munich Security Conference: «Sulle reti serve posizione univoca dell'Occidente»

Parla Toomas Ilves, ex presidente dell'Estonia e membro dell'advisory council di Msc in vista dell'appuntamento del 18 febbraio a Monaco La sicurezza delle reti in fibra è un problema più facile da risolvere; quella del 5G, dove il software gioca un ruolo importante, è più complessa e sono nati dubbi relativamente principale vendor che è Huawei. In vista dell'accelerazione dell'infrastrutturazione digitale in Europa, e della Munich security conference (Msc) che si terrà il 18 febbraio, fa il punto con DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) Toomas Ilves, ex presidente dell'Estonia e membro dell'advisory council di Msc, l'annuale conferenza per la Sicurezza che si tiene a Monaco dal 1963. Secondo Ilves ci vorrebbe una posizione univoca da parte dell'Occidente: «la battaglia per il dominio tecnologico non sarà tra Stati Uniti e Cina, ma tra una tecnologia progettata per una società liberale e democratica, basata sulle libertà e lo stato di diritto, e una tecnologia basata sull'autoritarismo degli algoritmi». In vista dell'apertura della Munich Security Conference, qual è la posizione dell'Occidente rispetto a temi fondamentali come gli attacchi hacker crescenti e la sicurezza nelle reti? Il problema è che non c'è una posizione univoca dell'Occidente quando si parla di sicurezza nello spazio digitale. Non c'è un reale consenso su come affrontare la cybersecurity, dato che i vari Paesi hanno sensibilità e livelli di preoccupazione differenti basati sulle priorità nazionali e su precedenti esperienze con gli attacchi cyber. Se ormai è diventata pratica consolidata analizzare attentamente tutte le nuove policy e i regolamenti per i loro possibili effetti sul cambiamento climatico, la stessa attenzione non viene dedicata ad assicurarsi che tutte le azioni intraprese dall'UE siano "a prova di sicurezza", nonostante molti Stati Membri desiderino un'Unione europea più solida su questo fronte. Oggigiorno, le questioni fondamentali relative alla sicurezza nazionale e internazionale devono necessariamente essere prese in considerazione durante la formulazione, negoziazione e attuazione di nuove policy. Valutare le normative da ogni punto di vista per assicurarsi che non generino conseguenze indesiderate, effetti a catena problematici, o che addirittura possano aumentare le possibilità di attacco da parte di coloro che mirano a minare l'integrità e i valori delle società liberali, deve essere una priorità. In questo senso, uno degli obiettivi del report della Munich Security Conference è quello di spingere le persone a pensare di più alla cybersecurity. Nel 21° secolo i conflitti saranno principalmente digitali. Più le nostre vite diventano digitali, più la nostra vulnerabilità aumenta. Dobbiamo prestare molta più attenzione nell'affrontare queste vulnerabilità per non indebolire la coesione della nostra alleanza o rafforzare le forze dell'illiberalismo. Quali le criticità maggiori da affrontare? È difficile scegliere, poiché la gamma di vulnerabilità è molto ampia. In primo luogo, tutte le nostre reti più critiche devono essere rese molto più sicure. Abbiamo visto, ad esempio, che i danni causati dall'attacco del 2017 diretto contro il sistema elettrico ucraino hanno avuto ripercussioni a livello internazionale causando fino a 10 miliardi di dollari di danni. I sistemi informatici della società farmaceutica Merck furono infettati dal malware NotPetya, che colpì i suoi 40mila computer in tutto il mondo. Una sorte simile è toccata ad altri giganti globali come la società di logistica e spedizione Maersk. Le reti sono collegate, eppure non ci siamo ancora occupati di metterle davvero in sicurezza. Inoltre, la sicurezza dei dispositivi mobili personali è diventata un prerequisito della nostra vita quotidiana, digitale e fisica. Affidiamo a questi dispositivi informazioni biometriche, finanziarie e altri dati sensibili. Questo è possibile solo perché le aziende hanno progettato i dispositivi mobili come ecosistemi curati e quindi sicuri. Regolamentazioni che comportino l'abbattimento di protezioni di questi ecosistemi digitali sicuri potrebbe avere conseguenze indesiderate, aprendo le porte a malware e ransomware in un momento in cui i nostri avversari (statali e non) prendono sempre più di mira gli individui e i loro dispositivi mobili. La sicurezza delle reti 5G e di quelle in fibra diventa centrale in vista degli investimenti che gli operatori europei sono chiamati a fare, anche relativamente al Recovery Fund. Come si possono evitare problemi di cybersecurity nelle nuove reti? Per le reti in fibra è più facile, bisogna assicurarsi che l'end point sia sicuro. Per il 5G è più complicato. Il 5G è un nuovo tipo di tecnologia ineluttabile e inevitabile, in cui il software gioca un ruolo molto più importante. Il problema è che il principale vendor 5G nel mondo oggi è Huawei, e la sicurezza dei loro sistemi ha sollevato molti dubbi. Siccome il 5G è basato sul software, si teme che possa essere aggiornato e riprogrammato nel tempo. Huawei è leader perché più economico di Nokia ed Ericsson, i concorrenti europei. Questi ultimi non sono competitivi perché non vengono sovvenzionati dallo Stato, contrariamente a Huawei che riceve aiuti dal Governo cinese. Sviluppare azioni a sostegno dei player europei è l'unico modo per cambiare lo status quo. Come già sottolineato dal presidente francese Macron, la tecnologia non è neutrale a livello politico ed è necessario costruire una sovranità nazionale per il settore digitale. È un obiettivo raggiungibile a livello di Stati membri o di Unione europea? Può l'Europa diventare un'alternativa alla competizione tra Cina e Usa? Siamo troppo connessi per avere strategie nazionali diverse, abbiamo bisogno di un approccio europeo. La sovranità nazionale nel digitale non funziona, soprattutto perché i nostri dati oltrepassano costantemente i confini nazionali, abbiamo aziende paneuropee; quindi, l'autonomia nazionale nello spazio digitale non ha senso. Purtroppo, sulla scena globale l'Europa è un player minore. L'approccio protezionistico adottato con recenti regolamentazioni, come il Digital Markets Act, mi fa pensare all'Argentina: più di cento anni fa, l'Argentina decise di essere protezionista e la sua economia non si è più ripresa. Essere in grado di competere con altri giganti del tech non è una questione di leggi, è una questione di cultura relativa a prestiti e investimenti: il nostro sistema di prestiti bancari ci mette in netto svantaggio rispetto agli investimenti di private equity negli Stati Uniti. In questo contesto, considerare gli americani come nemici è ridicolo. Ciò di cui abbiamo bisogno è molta più collaborazione, soprattutto perché la battaglia per il dominio tecnologico non sarà tra Stati Uniti e Cina, ma tra una tecnologia progettata per una società liberale e democratica, basata sulle libertà e lo stato di diritto, e una tecnologia basata sull'autoritarismo degli algoritmi. È in questo contesto liberale che i legislatori dell'Unione europea devono trovare un equilibrio tra la regolamentazione del mercato interno e della concorrenza da un lato e la tutela della sicurezza e della privacy dall'altro. Pertanto, la priorità che gli europei danno alla sicurezza della loro esperienza online deve diventare una lente attraverso la quale guardare iniziative come il Digital Services e il Digital Markets Act, il completamento del mercato unico digitale e il rafforzamento dello scenario digitale europeo. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 11/2/2022

11 Febbraio 2022

Campoli (Cisco): «Separare la rete di tlc dai servizi conviene»

Parla il vicepresidente del gruppo americano, facendo un affresco sui bandi del Pnrr, i progressi nell'infrastrutturazione e il bisogno di competenze Bene i bandi per la digitalizzazione del Paese, a cui Cisco parteciperà in partnership con altri attori del sistema, ma occorre evitare «che si costruiscano cattedrali nel deserto». Bene i progressi europei, e italiani, nell'ambito delle infrastrutture di rete, ma ora il problema riguarda le competenze. Bene la separazione di reti e servizi che saranno business sempre più differenti. A dirlo, in un'intervista a DigitEconomy.24, report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School, è Paolo Campoli, vicepresidente del gruppo americano fornitore di apparati di rete, che analizza lo stato della digitalizzazione del Paese. Campoli sottolinea come vada nella giusta direzione la separazione, come prevista ad esempio nel piano dell'amministratore delegato Pietro Labriola per Tim, di servizi e rete. Sono, infatti, due business che vanno a velocità diversa. «I bandi del Pnrr un segnale forte, la sicurezza delle reti tra i temi più importanti» Riguardo ai bandi del Pnrr, aggiunge Campoli che è a capo a livello mondiale del segmento Service provider di Cisco, «questi rappresentano un segnale forte, la spesa infrastrutturale nell'accesso ultrabroadband sta avvenendo in Italia alla velocità richiesta per la digitalizzazione del Paese. Bisogna, tuttavia, che i soggetti che partecipano ai bandi facciano sistema, evitando cioè di avere tra 5 anni cattedrali nel deserto». Uno dei temi più complessi e importanti da affrontare è quello della sicurezza. «L'Italia è molto soggetta ad attacchi di cybersecurity e la rete è la prima linea di difesa da questo punto di vista». Altro elemento chiave è la sostenibilità: «realizzare reti che siano in grado di essere sostenibili, di inquinare meno, che abbiano la capacità di collegare le altre industrie e portare sostenibilità è fondamentale». «Parteciperemo alle gare con un sistema di partnership» Cisco Italia si presenterà alle gare con «un sistema di partnership, ci siamo sempre affacciati al mercato tramite grossi partner, che fanno system integration e realizzano reti con tecnologie Cisco». Un altro ingrediente importante per assicurare il successo dell'infrastrutturazione è la possibilità di misurare una serie di elementi. «Poter – spiega Campoli - misurare le metriche sul numero di abitazioni collegate, il numero di utenti che comprano, la sostenibilità e la sicurezza delle reti, è fondamentale. Non è un ragionamento teorico, si può rendere concreto con misure specifiche». Guardando a tutta l'Europa, dove Cisco è molto presente, il quadro globale di digitalizzazione appare positivo. «Il problema oggi riguarda non tanto la fornitura di fibra ma le competenze» «Riteniamo che ci sarà un'accelerazione non solo in Italia, ma anche in altri Stati membri nella distribuzione della fibra. Il nostro Paese, come si vede dagli ultimi indici, ha recuperato posizioni. Il problema oggi sembra essere relativo soprattutto agli skill piuttosto che alla fornitura di accessi ultra broadband. Stiamo cioè recuperando terreno sulla fibra, non altrettanto sulle competenze digitali».Su questo aspetto, spiega Campoli, occorre formare «competenze che riguardino fibra, rete, software. Le competenze settoriali hanno, infatti, i loro limiti, e bisogna formare generazioni che sappiano mettere in esercizio le reti, avendo competenze dalla fibra al backbone la software». In questo contesto, aggiunge, «ha una sua logica la scelta di specializzare le competenze sulla rete da una parte e sui servizi digitali dall'altra. Quello della rete è un business con tempi di ritorno più lunghi, anche a 10 anni; quando si parla di servizi digitali, invece, ci sono modelli simili a quelli usati dalle web companies, con dinamiche di ritorno degli investimenti molto più a breve termine». «Il traffico internet e il lavoro ibrido terranno dopo la pandemia» Inoltre, dal prossimo ultrabroadband index che sarà pubblicato da Cisco a febbraio emerge, spiega Campoli anticipandone alcune linee, che «il traffico continuerà a crescere, anche nel dopo pandemia, il lavoro ibrido non tornerà indietro, la struttura del backbone deve essere tale da trasportare miliardi di byte in modo finanziariamente sostenibile» In generale, «investire in infrastrutture e servizi digitali sono azioni sinergiche ma richiedono skill, obiettivi di business molto diversi. Sulle reti in fibra, sulle tower companies, stanno arrivando gli investimenti dei grossi fondi come Kkr, Macquarie» e, quindi, «separare le due gestioni, reti e servizi, conviene: se si vuole offrire servizi digitali veloci bisogna anche avere un modello operativo che consenta di spegnere velocemente un servizio che non ha presa o, ad esempio, fare alleanze con gli operatori web». Un indicatore forte, sempre riguardo alla separazione dei business, proviene dal mercato delle torri: «gli operatori hanno separato il loro business delle torri rispetto a quello dei servizi a valore aggiunto, da un lato per ridurre debito, ma anche perché i modelli di business si stanno biforcando. Lo stesso sta avvenendo per le reti in fibra». Cisco ha ruolo molto attivo in queste dinamiche: «quando disegniamo sistemi – conclude Campoli - pensiamo alla separazione logica tra reti e servizi a valore aggiunto». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 11/2/2022

28 Gennaio 2022

Levi: «Non facciamo la guerra dei prezzi, la nostra offerta farà bene al mercato»

Parla l'amministratore delegato di Iliad Italia dopo lo sbarco della società nel mercato del fisso Iliad Italia, con l'offerta sul fisso lanciata di recente, non fa la guerra dei prezzi, ma la guerra della trasparenza. Lo afferma Benedetto Levi, amministratore delegato della divisione italiana del gruppo francese, in un'intervista a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School). Grazie alla nuova offerta «ci sarà una vera rivoluzione in Italia» e verrà «stimolata la domanda, permettendo alle aziende che stanno stendendo la rete, come Fibercop e Open Fiber di accelerare». Per Levi l'offerta a 15,99 euro al mese che permette di avere una velocità fino a 5 gigabit al secondo in download, per la prima volta in Italia, «non può che far bene al mercato». Siete partiti nel mercato della fibra con un'offerta competitiva, non si corre il rischio di innescare una guerra dei prezzi? La nostra offerta è competitiva, senza alcun tipo di vincolo e con la fibra ottica (ftth) che va a una velocità fino a 5 Gbit/s complessivi in download. Quando siamo entrati nel mercato del mobile, tre anni e mezzo fa, lo abbiamo fatto con un'offerta molto generosa in termini di Gb e totalmente trasparente introducendo un nuovo standard che ha trainato l'intero mercato verso una maggiore disponibilità di Gb, con un passaggio dell'offerta media da circa 8Gb nel 2018 a oltre 70Gb nel 2021. Non abbiamo fatto la guerra dei prezzi, ma la guerra della trasparenza: a differenza di operatori che hanno continuato ad abbassare i prezzi, noi abbiamo man mano fatto offerte con sempre più GB e con un prezzo via via crescente. Ora credo che questa nuova offerta in fibra, che sarà una vera rivoluzione in Italia, stimolerà la domanda e permetterà alle aziende che stanno stendendo la rete, come Fibercop e Open Fiber, di accelerare. Dando un impulso molto positivo al mercato. Proprio parlando di sviluppo del mercato, si apre ora l'opportunità dei bandi legati al Pnrr, parteciperete? Ovviamente stiamo guardando ai bandi, in particolare a quello per lo sviluppo del 5G, pensiamo che i fondi europei siano una grande opportunità per accelerare lo sviluppo delle reti. E credo anche che un'offerta come quella che iliad ha lanciato per la fibra stimolerà l'adozione della fibra in Italia. Il contesto delle telco italiane in cui si muove iliad è in movimento: secondo alcuni rumor ci potrebbe essere un'integrazione tra iliad e Vodafone, secondo altri tra iliad e Tim Servizi, una volta scisso in due il gruppo Telecom Italia, come previsto nel piano del nuovo ad Pietro Labriola.Noi procediamo con il nostro sviluppo: andiamo avanti sul mobile, ora lanciamo la nostra offerta per la fibra, non commento i rumor. Come giudicate, di fronte al vostro nuovo business della fibra, la possibile integrazione della rete di Tim con Open Fiber, la cosiddetta rete unica? La rete unica può voler dire tante cose, noi in quanto operatore nuovo entrante sulla fibra, abbiamo due auspici, ovvero: accelerare ulteriormente l'infrastrutturazione, poiché più veloce andiamo con la stesura delle reti e più tutti vinciamo (operatori, consumatori, imprese, Paese) e, dall'altro, che le condizioni di accesso per tutti gli operatori siano eque. Noi, abbiamo come partner Open Fiber e in futuro aggiungeremo anche la copertura di Fibercop, con cui abbiamo già siglato un accordo, per arrivare in tutta Italia il prima possibile. Contate anche di assumere nuovi dipendenti, in relazione al vostro piano di crescita e alle nuove offerte? Avete problemi a reperire le competenze? Continuiamo ad assumere, oggi abbiamo 24 negozi, 13 uffici da sud a nord che accolgono circa 700 persone in tutta Italia e tante nuove persone continuano ad unirsi all'azienda. Non abbiamo avuto problemi a trovare competenze e talento, anche perché molte persone vogliono venire a lavorare in iliad. Tuttavia, il tema delle competenze digitali esiste a livello nazionale, e va affrontato a livello pubblico e istituzionale, come anche privato.  SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 28/1/2022

28 Gennaio 2022

Aruba: «Lavoriamo bene con OF, ma non escludiamo collaborazione con FiberCop»

Le strategie del service provider sulla fibra. Favorevole alla rete unica se comporterà una maggiore copertura del territorio italiano» Offerta rimodulata prima della pausa natalizia e obiettivi di crescita, seguendo l'espansione del partner Open Fiber. Il service provider italiano Aruba, che si è presentato con Almaviva nella prima fase della gara per il cloud di Stato, è sbarcato nel mercato della fibra a marzo del 2021, conta al momento numeri bassi, di alcune migliaia di clienti, ma si aspetta un incremento fino ad alcune centinaia di clienti al giorno nel 2022, soprattutto nel settore business. L'offerta privilegerà le aree bianche dove non c'è ritorno di mercato e i comuni medio-piccoli. Aruba, spiega il general manager Stefano Sordi a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore e della Luiss Business School), è partner di Open Fiber, società con cui lavora bene, ma non esclude la possibilità di allargare la collaborazione a FiberCop (gruppo Tim). La rete unica? «Se comporterà una maggiore capacità di raggiungere gli obiettivi di copertura capillare del territorio italiano, soprattutto nelle aree grigie e bianche, noi siamo sicuramente favorevoli». Avete di recente rimodulato la vostra offerta lanciata a marzo 2021, come sta andando? Abbiamo lanciato l'offerta a inizio del 2021, e, come facciamo sempre, entriamo in punta di piedi sul mercato, cercando di comprenderlo. Abbiamo attraversato questa fase fino a dicembre scorso, un periodo con volumi poco consistenti. A dicembre abbiamo, quindi, capito le metriche di mercato, adattando l'offerta che è andata molto bene, ha avuto una crescita esponenziale nel periodo di dicembre e natalizio, a tre cifre. Un andamento consolidato anche nel rientro post festività, anche se con incrementi un po' meno sostenuti, a due cifre. Rispetto agli altri competitor sono numeri ancora bassi, ma la crescita è importante e pensiamo di mantenerla nei prossimi mesi. Gli elementi su cui si basano le nostre previsioni sono sostanzialmente due: uno è rappresentato dallo stesso mercato visto che le attese sono promettenti per la componente ftth (fibra fino alla casa, ndr), su cui ci concentriamo noi. Un secondo fattore è legato alla peculiarità della nostra offerta. I nodi di fibra che usiamo per la connettività si trovano, infatti, nei nostri data center dove ospitiamo aziende, banche, imprese di vario tipo che fanno traffico in uscita, dal data center verso internet. La tecnologia ultra-broadband è, in questo contesto, completamente simmetrica. Inoltre, i nostri data center hanno una caratteristica importante, sono davvero green. Abbiamo, infatti, acquisito un network di centrali idroelettriche, garantendoci un sistema di produzione di energia sia nel fotovoltaico sia nel geotermico. La nostra capacità di autoproduzione si riverbera sui costi e ci permette, in un momento in cui i costi dell'energia sono schizzati alle stelle, di mantenere una competitività notevole. Mentre altri sono costretti ad alzare i prezzi, noi li possiamo comprimere. Qual è il target di clienti che prevedete di raggiungere nel 2022? In una prima fase prevediamo di arrivare a un centinaio di clienti giornalieri per poi, se Open Fiber continua con questi tassi, arrivare a qualche centinaio di clienti al giorno. Ora siamo arrivati ad alcune migliaia di clienti. Rispetto ai grandi player sono numeri poco competitivi. Esplorerete la possibilità di una collaborazione con FiberCop? Sicuramente sì, non lo escludiamo, anche se in questo momento tutti gli sforzi sono concentrati sull'ottimizzazione dell'offerta che è già sul mercato. Con Opern Fiber ci troviamo molto bene, constatiamo che raggiungono i target e danno un servizio di qualità. Di fronte a un'offerta come la nostra, ipercompetitiva, è molto importante avere un partner così, che non faccia lievitare i costi. Come vedete l'ipotesi di creazione di una rete unica, tra Open Fiber e Tim? Se la rete unica comporterà una maggiore capacità di raggiungere gli obiettivi di copertura capillare del territorio italiano, soprattutto nelle aree grigie e bianche, noi siamo sicuramente favorevoli. Alla fine, ci sarà un beneficio per il consumatore e le imprese. E per noi sarà un modo di arrivare sul mercato in maniera più rapida. Che tipo di clienti privilegerete con la vostra offerta e quali sono le aree geografiche su cui insisterete? Il target è costituito soprattutto dalla clientela business, senza escludere il retail. La componente business per sua natura è quella più prossima a quella di Aruba che è un service provider e fornisce servizi alle imprese di posta elettronica, pec, cloud, etc..Tuttavia l'offerta che abbiamo lanciato è molto aggressiva in termini di prezzo e diventa interessante anche per il consumatore finale. In termini di aree geografiche seguiamo Open Fiber, ma abbiamo voluto porre un accento particolare sulle aree bianche, quelle dove c'è più difficoltà. Lo abbiamo fatto attraverso la nostra offerta, azzerando i costi di attivazione. A livello strategico privilegiamo inoltre i comuni medio-piccoli. Definite la vostra offerta molto competitiva, non temete che livelli troppo bassi alla lunga si trasformino in una guerra dei prezzi e in un indebolimento del settore telco chiamato a investire sulle infrastrutture? I margini sono sicuramente importanti, ma uno dei valori della nostra azienda è stato fin dal principio quello di rendere accessibile la tecnologia, è proprio la nostra mission. Inoltre, nel mercato dell'ultra broadband spicchiamo per essere al 100% italiani. La nostra strategia è quella di comprimere i costi il più possibile mantenendo una marginalità che sia congrua. Non siamo quotati in Borsa, non abbiamo soci di riferimento che ci impongono degli obiettivi, il nostro target è il mantenimento delle quote di mercato e della missione aziendale, e la fibra fa parte di un bouquet di servizi tutto basato su questi principi.  SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 28/1/2022  

28 Gennaio 2022

Asstel: «Dilazionare e allineare al Pnrr la rata da 4,8 miliardi per le frequenze 5G»

L'intervista alla direttrice dell'associazione Laura Di Raimondo che rinnova l'istanza al Governo di finanziare il fondo di solidarietà Focus sui bandi del Pnrr, con l'obiettivo di ottenere «il massimo dei benefici per il Paese» e di aumentare le competenze digitali, ma al contempo attenzione alla tenuta del settore telco, chiamato a ingenti investimenti. A parlare è Laura Di Raimondo, direttrice di Asstel, che chiarisce con DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School), la posizione dell'associazione di filiera in vista della rivoluzione digitale prevista da qui al 2025, secondo la strategia messa a punto dal ministero per l'Innovazione e la trasformazione digitale.Per Di Raimondo occorre, in primis, spalmare su un triennio la prossima scadenza per le telco del pagamento della rata da 4,8 miliardi relativa all'affitto delle frequenze 5G, in linea con i tempi dello sviluppo dei bandi legati al Pnrr. Richieste al Governo anche sul fondo bilaterale di settore, che prevede già il contributo di aziende e dipendenti. «Al ministero del Lavoro – afferma Di Raimondo - rinnoviamo l'istanza che per la fase di start up, almeno per un primo triennio, occorra un investimento da parte del Governo aggiuntivo rispetto a quello di imprese e lavoratori; ciò può avvenire anche attraverso le linee d'azione del Pnrr dedicate all'inclusione e allo sviluppo delle competenze». Che prospettive si aprono per le telco con i bandi legati al Pnrr? Le tempistiche previste sono realizzabili? Siamo fortemente impegnati ad affiancare le istituzioni nella messa a terra del Pnrr e nella missione di digitalizzare il Paese attraverso lo sviluppo dell'infrastruttura, della banda ultra-larga, del 5G. Il fatto che ci sia una tempistica fissata, logica comune a tutto il Pnrr, è importante e consente di velocizzare l'iter. L'obiettivo è quello di realizzare il massimo dei benefici per il Paese anche in termini di ambiente, e, quindi, di transizione ecologica ed energetica. In questo contesto, l'educazione digitale diventa fondamentale per colmare i divari esistenti nel nostro Paese, siano di competenze, di genere, generazionali e territoriali. Da un lato occorre educare la cittadinanza, e, quindi, entro il 2025 circa 120 milioni di cittadini europei, tra i 16-74 anni, dovranno sviluppare le competenze digitali. Dall'altro c'è il tema dell'orientamento dei ragazzi e delle ragazze verso le nuove professionalità. E, infine, per correre alla velocità necessaria per la piena attuazione del Pnrr, bisogna agire su re-skilling e up-skilling. A che punto siete col piano di re-skilling delle telco che riguarda il 100% dei dipendenti? Noi abbiamo l'85% della popolazione aziendale over 40 anni, il 15% over 55 anni, e l'1,9% under 30. Anche in relazione ai fabbisogni di nuovi profili professionali, c'è quindi l'evidente necessità di continuare nel percorso di up-skilling e re-skilling, con ancora più pervasività. La media, quest'anno, arriverà intorno a 9 giorni pro capite rispetto alle 4-5 giornate del 2021. Come sta cambiando il modello di business del settore telco? La filiera delle tlc è in profonda trasformazione e deve affrontare la sfida di ampliare le competenze interne e, in parte, il proprio modello di business per avere un ruolo importante nello sviluppo e nella diffusione di nuove piattaforme di servizi anche attraverso la costruzione di un ecosistema con attori di altre filiere. Prima dell'estate dovrebbe essere completato lo switch off della tv, liberando così le frequenze adatte per il 5G acquistate dalle telco in asta, ma al contempo gli operatori dovranno saldare il conto con lo Stato. Le aziende sono pronte? Abbiamo richiesto un approfondimento: occorre dilazionare gli oneri per l'affitto delle frequenze 5G, superando così la scadenza di settembre 2022. Anche considerati gli effetti del Covid e il rallentamento che ne è seguito per tutto il sistema. A questo proposito avete avuto segnali positivi dal Governo? Abbiamo portato avanti delle richieste al Mise e al Mef. Ora il dl Milleproroghe potrebbe essere il veicolo adatto per dare delle risposte agli operatori, chiamati ad una rata di circa 4,8 miliardi. Noi chiediamo che si possa rimodulare il pagamento con una scadenza triennale, fino al 2025, in linea con i tempi del Pnrr. Sul fronte delle professionalità richieste, considerati anche i lavori aggiuntivi previsti dal Pnrr per la stesura delle reti, il settore si è attrezzato? Attraverso formazione permanente e certificata, up-skilling e re-skilling, si possono dotare le persone delle competenze necessarie per le attività core da qui al 2026, al fine di realizzare quanto previsto dal Pnrr. Inoltre, è necessario investire sull'orientamento dalla scuola, negli Its e nell'università. Per questo è importante potenziare il sistema educativo, con l'attenzione puntata al rafforzamento delle discipline Stem, in particolare per le nostre ragazze. Peraltro, Asstel, sulla parità di genere ha di recente sottoscritto il manifesto di Valore D. Qual è il numero di assunzioni complessive attese nel vostro settore? Le previsioni, a fronte del quadro normativo attuale, sono di circa 3.700 assunzioni. Numero che si amplierà tanto più si investirà sulle politiche attive. A che punto è, invece, il Fondo di solidarietà bilaterale, richiesto per supportare i processi aziendali di trasformazione e i percorsi di formazione, finanziato da aziende e lavoratori? Siamo arrivati alla fase esecutiva della costituzione. Al ministero del Lavoro rinnoviamo l'istanza che per la fase di start up, almeno per un primo triennio, occorra un investimento da parte del Governo aggiuntivo rispetto a quello imprese e lavoratori; ciò può avvenire anche attraverso le linee d'azione del Pnrr dedicate all'inclusione e allo sviluppo delle competenze. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 28/1/2022

28 Gennaio 2022

Cellnex: «Parteciperemo ai bandi per il 5G, sul Tetra competiamo con Leonardo»

Parla Gianluca Landolina, amministratore delegato della società italiana controllata dal gruppo spagnolo delle torri di tlc Obiettivo 2022: ancora crescita organica e, se ci fossero occasioni appetibili, anche acquisizioni, guardando le opportunità dalle due alle 20mila torri. Lo racconta Gianluca Landolina, amministratore delegato di Cellnex Italia, controllata italiana del gruppo spagnolo delle torri di telecomunicazioni che, dal 2015 ad oggi, nel nostro Paese ha investito sei miliardi di euro. Nella strategia del gruppo, che in Italia compete con Inwit, c'è anche, annuncia il manager a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) il mercato del Tetra, lo standard utilizzato per le reti particolarmente sensibili come quelle della polizia o degli ospedali. Rispetto a Leonardo, che è l'incumbent del settore, «pensiamo – aggiunge Landolina - di avere una tecnologia superiore e più economica, ce la giocheremo, vedremo, vincerà il migliore». Tra le prospettive che si aprono per Cellnex Italia anche i bandi legati al Pnrr: Cellnex vorrebbe partecipare alle gare per portare il 5G nelle aree bianche a fallimento di mercato. Da sola, se dovessero cambiare le condizioni poste dal Governo, o in partnership con gli operatori, come consentito oggi. Per quali linee crescerete nel 2022? Continueremo a crescere a livello organico, cercando di aumentare il livello di ospitalità dei pali già esistenti oppure costruendo nuovi pali per ottimizzare la rete di copertura dei nostri clienti. Questo è il nostro core business, siamo andati benissimo negli ultimi anni, vorremmo mantenere il trend crescente. Abbiamo fatto tantissimo anche per le coperture Das, ad esempio lo Stadio San Siro, lo Stadio Olimpico, l'ospedale Niguarda, altri ospedali importanti e centri commerciali. In Italia abbiamo qualche migliaio abbondante di nuovi Das, numeri che crescono anno dopo anno: ne abbiamo costruito l'anno scorso 500, due anni fa 700, andiamo avanti così. Inoltre, abbiamo stretto partnership con Everynet, una delle principali realtà nell'IoT, abbiamo lanciato lo sviluppo della prima rete IoT in Italia, con l'obiettivo di renderla una rete wholesale only, totalmente neutra, aperta a tutti, a bassissimo costo di ingresso. D'altronde l'IoT non è un business da avidi, è un business sociale, se redditizio lo è perché se ne diffonde l'uso nei vari strati di popolazione, dalla parte business a quella consumer. In Spagna, inoltre, siamo leader di Pmr, Professional mobile radio, di cui un esempio è il Tetra, usato per le reti private di comunicazione estremamente delicate e sensibili, come quelle della polizia dei vigili del fuoco, o delle ambulanze. In Spagna gestiamo 60mila terminali Tetra, abbiamo il know how di progettazione, implementazione e gestione, ma non abbiamo una tecnologia proprietaria e non vogliamo averla. Vogliamo, infatti, essere liberi di utilizzare ogni anno la migliore tecnologia esistente, la più efficace e anche la meno costosa. Noi offriamo trasparenza totale e abbiamo la ferma intenzione di portare questo know know how in Italia, vorremmo entrare in questo business in Italia. A che punto siete in Italia sul Tetra, avete partecipato alle gare? Sì, abbiamo già partecipato a tre gare. L'incumbent in questo settore è Leonardo, pensiamo di avere una tecnologia superiore e più economica, e ce la giocheremo, vedremo, vincerà il migliore. Guardate ad acquisizioni nel settore tower o vi basta quanto fatto finora? Stiamo finalizzando l'integrazione della circa 2mila torri di CK H Networks Italia; la società esiste ancora ma ci sono già un unico organigramma e un'unica organizzazione. Quanto ad altre acquisizioni, non credo che diremo mai che ci siamo fermati, anche se non abbiamo l'ansia di acquisire a tutti i costi. Abbiamo, invece, la curiosità di andare a vedere qualsiasi opportunità possa venir fuori, dalle 2 torri alle 20mila. In questo campo inseguiamo l'opportunità, se reputiamo che ci sia la finalizziamo, ma abbiamo anche rifiutato alcuni deal, non in linea con i nostri criteri di redditività rispetto all'investimento richiesto. Parteciperete ai bandi legati al Pnrr? Oltre alla nostra strategia di crescita, stiamo effettivamente considerando la possibilità di cogliere l'opportunità che vengono offerte dagli attuali bandi a cui il Governo sta lavorando, per andare a portare copertura 4G e 5G nelle aree a fallimento di mercato. Al momento stiamo discutendo con vari interlocutori istituzionali e privati. L'attuale impostazione del Governo prevede l'obbligo di fornitura del servizio al cliente finale, ma noi non vogliamo essere titolari di frequenze, visto che ciò colliderebbe con il business dei nostri clienti. Dunque, si aprono due alternative: o partecipiamo in partnership con uno o più operatori, oppure il Governo prende atto che oggi in Italia i soggetti che più di tutti implementano le reti di comunicazione mobili sono proprio i tower operator. Partecipando, diamo una garanzia in più di successo al progetto. Passando al problema della realizzazione delle infrastrutture, avete riscontrato miglioramenti sul versante della permissistica? Il dl Semplificazioni ha prodotto qualche miglioramento, ma ci sono limiti difficilmente sormontabili. Ad esempio, c'è un'ordinanza del Comune di Roma che vieta le torri di telecomunicazioni a meno di 100 metri dai siti sensibili, tra i quali scuole private, pubbliche, università, ospedali, cliniche. Ne deriva che migliorare oggi la copertura cellulare di Roma è tecnicamente impossibile. Ci sono altri Comuni e altri contesti che hanno limiti comparabili, e quindi anche su questo tema dobbiamo trovare una quadra. Inoltre, la burocrazia non è migliorata  con la pandemia, lo smart working della Pa ha fatto passi da gigante, ma siamo ancora lontani dall'avere uno smart working vero e solido che possa funzionare meglio del lavoro in presenza. Tuttavia, tirando le somme, visti i cambiamenti dell'ultimo periodo, possiamo dire di andare nella giusta direzione. In passato si era parlato dell'idea di creare un maxi-polo delle torri, come sono i rapporti con il vostro principale competitor, Inwit? C'è un rapporto di grandissimo rispetto umano anche a livello manageriale, ma innegabilmente siamo due competitor in un mercato stretto. Il maxi-polo, che potrebbe anche essere una scelta lucida, non può essere una scelta di una delle due parti e non può che avere una partecipazione, a livello arbitrale, da parte del Governo. Ad oggi questa tendenza, questa volontà del Governo di realizzare il maxi-polo non le ho viste, tranne che per il broadcast. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 28/1/2022

14 Gennaio 2022

Telsy (Tim): «Pronti a una campagna di M&A, guardiamo a società di diritto italiano»

Parla l'amministratore delegato Eugenio Santagata. Raddoppio dell'occupazione e nuovi servizi tra gli obiettivi dell'azienda di cybersecurity Crescita organica e inorganica, acquisizioni allo studio, preferibilmente in Italia, raddoppio dell’occupazione nei prossimi anni, nuovi servizi. Si apre un 2022 sfidante per Telsy, azienda della cybersicurezza su cui il governo può esercitare il golden power, dal 2000 dentro il gruppo Tim, guidata da Eugenio Santagata, ex ceo di Cy4gate. «L’assetto di Telsy – racconta Santagata a DigitEconomy.24, report del Sole 24 Ore e della Luiss Business School –, società già strategica di per sé, può avere una crescita fortissima. Siamo riusciti a registrare un incremento del 45% in volume nel 2021 e una crescita importante sia in valore sia in marginalità. La sfida vera è iniziare il 2022 con una macchina che si può cimentare già in una gara da Formula 1, con tutto ciò che serve». «Il mercato della cybersecurity vale in Italia circa 2 miliardi di euro» Il contesto offre varie opportunità: il mercato della cybersecurity in Italia, infatti, «vale circa 2 miliardi e, anche se è difficile reperire i dati, visto che ogni giorno un pezzo di economia digitale in più diventa cybersecurity, di anno in anno il tasso di crescita composto va dal 14 al 16%, sia sulla cybersecurity sia sulla criptografia». La cybersecurity «va dunque pensata a monte, non a valle, e Tim l’ha integrata in maniera corretta. Telsy, nell’ambito del gruppo, è in grado di intercettare questo tipo di crescita, in particolare nel prossimo triennio. Peraltro, questa è la mission che il gruppo Tim affida a Telsy e che io stesso sono stato chiamato a implementare. Nel piano di gruppo, prevediamo una crescita molto forte di Telsy, puntiamo a una crescita migliore del mercato, o almeno in linea. Il nostro tratto distintivo consiste nella possibilità di integrare le due anime, la sicurezza delle comunicazioni e la sicurezza informatica». «Proseguiremo nella crescita organica e anche a livello inorganico» Da un lato, prosegue l’amministratore delegato, «proseguiremo con la crescita organica, ma al contempo pensiamo a crescere a livello inorganico: il 2021 è stato l’anno in cui abbiamo posto le basi per una campagna di M&A, nell’ottica non tanto di affrontare le acquisizioni tout court, ma di identificare i soggetti nel piano industriale da poter integrare». Telsy è alla ricerca di elementi che possano coesistere, anche di tipo tecnologico: «in Italia ad oggi l’80% delle aziende che dicono di fare cybersecurity sono erogatrici di servizi, non hanno una tecnologia propria, mentre per Telsy è fondamentale avere la tecnologia in casa. Attualmente stiamo studiando acquisizioni che annunceremo al momento opportuno. Guardiamo prevalentemente a soggetti di diritto italiano; d’altronde ci sono elementi di sistema, tra questi il perimetro di sicurezza cibernetica di cui Telsy fa parte, alla luce dei quali l’italianità diventa un fattore importante». «Puntiamo a più che raddoppiare in pochi anni la nostra forza lavoro» Si accompagna al piano di crescita dell’azienda anche il progetto di incremento dell’occupazione: «dal mio ingresso, lo scorso aprile, siamo cresciuti notevolmente e continueremo a farlo: prevediamo, infatti, una crescita esponenziale che ci porterà a più che raddoppiare in pochi anni la nostra forza lavoro». In quest’ottica «trovare le competenze è sfidante. In Italia sono stati fatti passi in avanti, ma vi è sempre una sana lotta al talento. Sono molto ricercati i coders, in grado di realizzare codici avanzati rispetto ai sistemi di cybersecurity. La sfida è sempre complessa, ma meno problematica e più gestibile rispetto a 3-4 anni fa, grazie alle sinergie crescenti tra industria e università. Si parla di più, ci sono progetti di ricerca cofinanziati». Per il modello di business di Telsy «il punto chiave è la convergenza crescente tra criptografia e mondo del digitale, l’ambito in cui si muove tutto ciò che oggi è cybersecurity. L’azienda ha realizzato algoritmi di criptografia, realizzati da criptografi e da ingegneri con specializzazioni particolari, per proteggere i dati sia quando sono a riposo sia quando viaggiano. La convergenza si declina poi in vari modi, noi abbiamo cercato di coglierla sul piano tecnologico e industriale. Nell’ambito della criptografia ci sono tante applicazioni nate per usi di difesa e governativi che stanno trovando applicazione nel mercato corporate e civile». «Immetteremo sul mercato app di instant messaging alternative a WhatsApp o Signal» Guardando più in particolare ai prodotti, l’azienda immetterà sul mercato nei primi mesi del 2022 «sistemi di video conference sicuri, app di instant messaging proprietarie (quale alternativa ai più noti ma meno sicuri WhatsApp, Signal, etc.). Offriamo competenze distintive nella ricerca e soluzione di vulnerabilità in sistemi di connettività come i dispositivi IoT, chipset, router, piattaforme It usate per gestire chiamate, sistemi Scada (si pensi alle esigenze di mercato di aziende come Olivetti, crescenti richieste di implementazione di una ‘sicurezza by design’ e competenze chiave in ambito cloud, con particolare riferimento a Noovle). A tali competenze si aggiungono servizi e prodotti di monitoring, di analisi del traffico dati e scoperta di anomalie, threat intelligence, su cui stiamo investendo molto, al fine di prevenire e predire problematiche cyber, open source intelligence, decision intelligence e mobile security. Insomma, un cyber e crypto hub a 360° unico nel suo genere in seno alla struttura industriale ed alla cultura digitale di Tim».Oltre a fornire soluzioni crypto ai partner storici, Telsy «guarda, in piena e forte sinergia con la forza vendite di Tim, ai clienti large e allo small e medium business. La nostra offerta è stata infatti arricchita per tutte le linee di business. Per la parte crypto abbiamo sviluppato soluzioni di varia natura, spaziando da prodotti per la sicurezza delle comunicazioni telefoniche, videoconference e messaggistica istantanea (come Pillow, Antares e InTouch), a prodotti per la sicurezza dei server (come Musa), cifranti (come Hypnos e BFT) e jammer ultrasonici (come Atmo). Sul lato cyber abbiamo sviluppato Omnia, una piattaforma integrata di cybersecurity che sfrutta la combinazione delle sue componenti per fornire funzionalità estremamente specializzate, unitamente alle nostre altre soluzioni per Soar, Edr, Apt detection e mobile security». Grande rilevanza acquista, infine, il tema del quantum computing: quest’anno Telsy, ricorda Santagata, ha acquisito circa il 20% di Quantum Telecomunication Italy, società italiana leader nella tecnologia Qkd (Quantum key distribution). «Integrando le competenze di QTI con il know how di Telsy stiamo sviluppando delle soluzioni future-proof di crittografia post-quantum, ovvero prodotti che – conclude il ceo - siano resistenti ad attacchi portati tramite computer quantistici». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 14/1/2022

14 Gennaio 2022

«Cybersecurity per noi centrale, su Hwg abbiamo ritirato l'offerta ma resta interesse»

Parla Tullio Pirovano, ad di Lutech, che annuncia un numero significativo di acquisizioni nell'anno e conferma gli obiettivi su ricavi e quotazione Un'acquisizione nel settore della cybersecurity entro l'anno e un numero significativo e importante di acquisizioni in generale, considerati anche gli altri campi. Sono gli obiettivi di Lutech, gruppo Ict da circa 500 milioni di euro, per il 2022, come spiega l'amministratore delegato Tullio Pirovano a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School). Nella cybersecurity in particolare, una volta constatato che Hwg ha fatto altre scelte strategiche, Lutech conferma comunque l'interesse a collaborare. Confermato anche il target di raggiungere un miliardo di ricavi entro il 2024-25 (obiettivo «impegnativo ma fattibile»), attraverso crescita organica e operazioni straordinarie. Poi c'è l'opzione quotazione: una volta raggiunto il miliardo di ricavi, «riteniamo di poter essere un soggetto interessante per gli scambi e attrarre investitori istituzionali importanti». La cybersecurity è un settore che suscita molto interesse, che ruolo ha all'interno del vostro business? La cybersecurity è sicuramente una delle aree strategiche su cui Lutech sta puntando con maggiore determinazione. Noi abbiamo un posizionamento storico, con un volume di affari aggregato di circa 40 milioni di euro e un'ampia offerta che va dalla progettazione e realizzazione di soluzioni complesse fino a servizi di consulenza e al Soc (Security operations center) di ultima generazione, un investimento molto importante fatto 3 anni fa ed ubicato nella nostra nuova sede. L'obiettivo è quello di essere uno dei principali player nel panorama Ict italiano, crescendo organicamente, ma anche attraverso operazioni di M&A, portando in Lutech nuove competenze e professionalità. In sintesi, siamo alla ricerca di persone e realtà che vogliano condividere con noi un percorso di crescita. E per noi la cybersecurity è un elemento centrale della nostra offerta. Pensate di chiudere a breve qualche acquisizione nella cybersecurity? Penso che entro l'anno ne chiuderemo almeno una. Restate interessati ad Hwg per cui avete presentato un'offerta? Lutech ha fatto un'offerta molto interessante non solo economica ma anche di progetto, un'offerta secondo me unica e distintiva. Ma ci siamo ritirati perché abbiamo capito che Hwg non è più interessata al deal perché ha fatto altre scelte strategiche. Con loro stiamo collaborando e continueremo a farlo, poi non è detto che non ci si incontri nuovamente in futuro. Farete una divisione ad hoc per la cybersecurity su cui volete puntare particolarmente? Il nostro è un obiettivo di gruppo, avere una società separata, oppure optare per una practice all'interno del gruppo con una propria identità, è una decisione che prenderemo sulla base anche di considerazioni contingenti. A che tipo di altre acquisizioni state guardando, oltre a quelle nel campo della cybersecurity? Sul fronte delle acquisizioni abbiamo un track record notevole con una macchina di M&A molto collaudata. Ci sono le premesse per mettere in campo nel 2022 un numero significativo, importante di acquisizioni. Per noi si articolano principalmente su due filoni: uno nei settori dove Lutech è già presente, con l'obiettivo di migliorare il nostro posizionamento in un'area specifica, ad esempio nel mondo dei big data e degli analytics, del cloud, riguardo alle competenze verticali di industry, come nel comparto del manufacturing dove nello scorso novembre abbiamo completato quattro acquisizioni. Proprio nel manufacturing abbiamo una pipeline di operazioni, alcune delle quali penso si completeranno entro il 2022. Per noi quello dell'acquiring è un modo molto efficace per portare a bordo competenze e acquisire un pool di risorse specializzate che possano trovare in Lutech opportunità di crescita. Un altro filone strategico riguarda operazioni più significative, di tipo trasformative che permettono di accelerare la crescita. Sono operazioni più complesse che richiedono un'analisi più profonda rispetto alle precedenti. Anche su questo fronte stiamo lavorando molto. L'obiettivo principale è in Italia, visto che Lutech vuole diventare uno dei primi operatori Ict nel nostro Paese, ma qualora vi fossero opportunità all'estero che possano permetterci di rafforzare e offrire crescita e sviluppo, le valuteremo. All'estero guardiamo soprattutto operazioni riguardanti aziende il cui sviluppo può essere governato dall'Italia, in modo sinergico. Quanto all'obiettivo annunciato di raggiungere un miliardo di ricavi entro il 2024 siete sulla buona strada? Stiamo andando bene, abbiamo un 2021 in linea con i nostri obiettivi. Chiuderemo l'anno scorso, annualizzando le operazioni di acquisizione effettuate, con ricavi vicini ai 500 milioni di euro. Vediamo l'obiettivo del miliardo di ricavi da raggiungere entro il 2024-25, impegnativo ma fattibile. E poi valuterete la Borsa? Se ci saranno le condizioni, a quel punto Lutech può essere un soggetto interessante con tutte le carte in regola per aspirare a fare una quotazione importante su un mercato importante. Riteniamo infatti che per poter essere un soggetto interessante per gli scambi e attrarre investitori istituzionali importanti si debba arrivare intorno a un miliardo di ricavi. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 14/1/2022

14 Gennaio 2022

Fastweb e Consorzio Italia Cloud avanti nella gara per la Nuvola di Stato

Il Consorzio seguirà anche la strada di preparare un'offerta alternativa a quella del Polo nazionale del cloud I punti chiave Fastweb, che è in cordata con Engineering, e il Consorzio Italia Cloud andranno avanti nella gara per la "Nuvola di Stato", nonostante la scelta da parte del governo per il modello presentato da Tim, Cdp, Sogei e Leonardo. «Dopo l'espressione di gradimento per la soluzione tecnologica di Tim, adesso - ha detto l'amministratore delegato di Fastweb, Alberto Calcagno, in occasione della conferenza stampa per aggiornare i target del gruppo - sarà costruito un bando e di nuovo ci sarà la possibilità per tutti, compresa Fastweb, di poter presentare un'offerta. Noi eravamo molto sicuri e abbiamo lavorato molto sulla nostra proposta. Daremo il massimo per portare a casa la gara». Avanti nella selezione anche il Consorzio Italia Cloud che aveva presentato manifestazione di interesse, ma non aveva poi partecipato alla seconda fase con un'offerta, come invece fatto dalla cordata di Tim, da Fastweb-Engineering e da Almaviva-Aruba. Il Consorzio, annuncia Antonio Baldassarra a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School), resta comunque interessato alla gara che partirà una volta pubblicato il bando. «Consorzio Italia Cloud: Lavoriamo in ottica federata pubblico-privata» «Abbiamo deciso nei mesi scorsi – precisa Baldassarra - di non presentare per il polo strategico nazionale una nostra proposta specifica, ma resta l'obiettivo di partecipare alla gara che sarà fatta sul capitolato messo a punto dalla cordata con Tim, stiamo lavorando in un'ottica federata pubblico-privata». Allo stesso tempo il Consorzio Italia Cloud, composto da sei aziende più Insiel, la in house che progetta, realizza e gestisce servizi informatici per conto della Regione Friuli-Venezia-Giulia, «lavora a un diverso scenario. Parteciperemo alla gara, ma ci candidiamo allo stesso tempo a essere un fornitore alternativo completamente compliant con le linee guida della cybersecurity dettate dall'Agenzia nazionale». L'adesione al cloud nazionale da parte delle Pa non è obbligatoria A far decidere il Consorzio verso questa doppia scelta, spiega Baldassarra, ha contribuito anche la constatazione che l'adesione al polo nazionale strategico del cloud per le Pa non è obbligatoria. Come spiegato in un convegno del Garr di qualche settimana fa da Paolo De Rosa, Cto del dipartimento per la Trasformazione digitale, «il cloud nazionale non è un ‘trattamento sanitario obbligatorio' per nessuna Pubblica amministrazione». In arrivo altri due enti pubblici nel Consorzio Il Consorzio Italia Cloud, ad oggi formato oltre che da Insiel e Seeweb, da Sourcesense, Infordata, Babylon Cloud, Eht e NetaliaIl, è, inoltre, alle battute finali per chiudere le trattative con altri due enti pubblici. «Siamo in fase avanzata, forse le chiuderemo a fine mese. Inoltre, valutiamo l'ingresso nel nostro consorzio di altri tre soggetti privati», aggiunge il ceo di Seeweb. Riguardo alle linee guida richieste dall'Agenzia per cybersicurezza nazionale, elemento necessario per un'offerta di cloud alternativa al Polo, «Insiel si era già adeguata, alcuni data center di soggetti privati compreso il nostro hanno fatto la stessa cosa, ora – conclude Baldassarra - si tratterà di mettere a punto un'offerta che rispetti in maniera precisa i dettati dell'agenzia».  SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 14/1/2022

14 Gennaio 2022

Il settore finanziario il più colpito dagli hacker, seguono manifattura e sanità

La fotografia che emerge dal rapporto 2021 di Ntt Data sugli attacchi informatici in 21 Paesi di tutto il mondo Il settore finanziario è al top della classifica, ma sono sempre più bersaglio degli attacchi informatici anche i comparti del manifatturiero e della sanità. È il quadro che si compone guardando le statistiche del Global Threat Intelligence Report del 2021 realizzato dal gruppo giapponese Ntt Data. Gli attacchi al comparto finanziario passano dal 17% nel 2018 al 23% nel 2020; il manifatturiero, che era al sesto posto in classifica nel 2018, si piazza al secondo posto nel 2020 con il 22%; la sanità passa dal 7 al 17% dell'anno scorso. Manifattura e sanità per lo più senza approccio strutturato alla cybersecurity «Nel corso degli ultimi anni, gli attacchi informatici - spiega Dolman Aradori, vicepresidente e Head of Security di Ntt Data Italia - sono aumentati. Ne è cresciuto il numero e soprattutto se ne sono diversificati i target: se pure ancora oggi la finanza è il settore più colpito, nel nostro Global Threat Intelligence Report 2021 emerge con chiarezza che anche la sanità e il comparto manifatturiero sono ormai bersagli primari». L'incremento nei settori manifatturiero e sanitario, prosegue il manager, si lega al fatto che le aziende appartenenti a questi settori per lo più non hanno un approccio strutturato alla problematica, mancando di efficaci strutture di controllo e processi di gestione. E soprattutto spesso presentano un parco macchine obsoleto e quindi più esposto a vulnerabilità anche già note da tempo. Si consideri che il tipico meccanismo del ransomware, per esempio, è quello di "attaccare" senza un target specifico e, quindi, aziende che hanno infrastrutture vulnerabili sono quelle più esposte e che più facilmente vengono "bucate". Un altro aspetto da considerare sono le informazioni che trattano: brevetti e proprietà intellettuale nel caso manifatturiero e dati personali per quanto riguarda la sanità. Italia ha capacità di rilevazione e reazione agli attacchi ancora bassa Le statistiche di Ntt Data si basano su 1.350 interviste online a technology e business decision-maker in grandi organizzazioni in 15 settori e 21 Paesi (in America, Europa, Medio Oriente e Africa, Asia, Australia e Nuova Zelanda), inclusi 1.046 professionisti It e di sicurezza informatica. I dati si riferiscono agli attacchi globali tra il primo gennaio 2020 e il 31 dicembre 2020. "A livello mondo, l'Italia – prosegue Aradori - non è il principale target mentre Usa, India, Giappone, e Germania sono tipicamente tra i più colpiti. Il diffondersi di malware aspecifici ha però incrementato il numero di incidenti informatici anche nella nostra nazione". Purtroppo, commenta Aradori, «la capacità di rilevazione e reazione in Italia è ancora bassa, in quanto la piccola e media azienda non può avere internamente la struttura necessaria per fare questo lavoro e il ricorso a fornitori di servizi specialistici di sicurezza gestita sono in questo momento in diffusione. Non si è pensato di lavorare in forma preventiva alla problematica, ma spesso si tende ad agire nel momento in cui si è già subito un attacco o aziende dello stesso settore lo hanno sperimentato». Carenza di personale di fronte alla crescente minaccia informatica La causa dell'incremento degli attacchi è da rinvenire nel sempre maggiore utilizzo degli strumenti digitali. Smart working, adozione del cloud, maggiore offerta di servizi digitali, informatizzazione dei processi produttivi hanno incrementato la superficie di attacco e messo in luce vulnerabilità sia tecniche sia organizzative delle aziende, sottolineando come il grado di maturità con cui il tema della cybersecurity è affrontato sia ancora oggi molto diverso in relazione al settore di appartenenza. «Sono sempre di più le imprese che spostano online gran parte dei propri dati e dei propri processi, ma manca il più delle volte – commenta il vicepresidente - un contestuale rafforzamento delle misure di cybersecurity. Le aziende sono ormai mature per la transizione digitale, ma non per la messa in sicurezza di quel che caricano online: è per questo che diventa fondamentale affidarsi a player competenti». Un altro fenomeno, conclude Aradori «generato da questa rapida crescita della minaccia informatica è la carenza di personale che abbia le competenze necessarie sia dal punto di vista operativo che gestionale per affrontare il problema; in conseguenza di ciò, temi come sensibilizzazione di dipendenti ed utenti finali, formazione, disponibilità di servizi gestiti e collaborazione pubblico e privato in materia di cybersecurity diventano temi sempre più rilevanti e di strettissima attualità». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 14/1/2022

03 Dicembre 2021

BT accelera su rete col laboratorio di robotica

Allo studio le tecniche di scavo usate dai mammiferi. Parla Howard Watson, Chief Technology Officer di Bt Nuove tecniche di locomozione robotica e di scavo ispirate ai mammiferi e agli insetti che passano buona parte della loro esistenza proprio a scavare. Sono tra gli studi che si stanno rivelando promettenti per la realizzazione delle infrastrutture di rete denominate “trenchless” e fanno parte del lavoro del laboratorio di test di robotica per le telecomunicazioni nel Regno Unito lanciato recentemente da BT che ha come obiettivo l’accelerazione della diffusione dell’infrastruttura di rete. Il laboratorio collabora con le università e altri servizi di pubblica utilità allo scopo proprio di sperimentare la nuova gamma di robotica sviluppata nel Regno Unito applicabile alle telecomunicazioni e alle sfide dell'ingegneria civile del settore dei servizi pubblici in tutto il mondo. L'obiettivo è di ridurre i costi medi di 'roll out' della rete Anche le tecniche robotiche magnetiche, di arrampicata e di attraversamento dei cavi stanno maturando, consentendo prove di proof-of-concept su pali di torri wireless e cavi aerei.  L’obiettivo, e l’auspicio, di BT è quello di riuscire quanto prima a impiegare le nuove tecnologie di robotica sviluppate nel laboratorio del Suffolk per ridurre i costi medi di “roll-out” della rete, che attualmente si attestano tra le 250 e le 350 sterline per stabile. L’iniziativa si inserisce nell’ambito dei piani di R&S di BT. Secondo quanto spiega a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) Howard Watson, Chief technology officer di BT, il gruppo «è uno dei principali investitori in R&S nel mondo delle telecomunicazioni, con una lunga storia di innovazione nelle telecomunicazioni che risale al 1837. I nostri investimenti in ricerca, nel campo della fibra ottica, del 5G, dell'intelligenza artificiale, della sicurezza informatica e in molti altri ancora, ci stanno aiutando a differenziarci sul mercato e a realizzare quello che è lo scopo della nostra azienda: we connect for good». Nel 2020-21 investiti 720 milioni di sterline in ricerca e sviluppo Nel corso del FY 2020/2021 BT ha investito in ricerca e sviluppo 720 milioni di sterline, depositando 109 domande di brevetto che si aggiungono all’attuale portafoglio di oltre 5.100 brevetti e domande di brevetto. Ma non è solo posa di fibra e di rete in fibra. L’incumbent britannico sta integrando il piano per connettere il Regno Unito con l’uso della tecnologia satellitare. Grazie alla realizzazione di un accordo con l’operatore Leo nel giro di un anno potrà integrare le divisioni consumer e business con questo tipo di tecnologia. I target di BT di copertura con la rete sono molti alti e si inseriscono in un contesto oggi molto competitivo. BT ha deciso di accelerare la copertura della rete: 25 milioni di edifici entro il 2026 La concorrenza tra operatori nella realizzazione delle migliori infrastrutture di rete fissa e mobile è, infatti, sempre più agguerrita. Oltre alla presenza di un incumbent come BT e un operatore come Vodafone, la fusione annunciata lo scorso anno tra O2 e Virgin Media, ha dato vita a un gruppo da 31 miliardi di sterline, ovvero 36 miliardi di euro e ha suscitato l'interesse di altre società come CityFibre, che ha un piano per collegare 8 milioni di edifici entro il 2025, e HyperOptic che punta a 5 milioni entro il 2024. Nell'ultimo anno fiscale (2020/21) Openreach, società della rete controllata da BT, ha superato il record di 2 milioni di edifici raggiunti con Fttp (Fiber to the Fiber-to-the-Premises, ovvero fibra fino allo stabile) e ora conta nel prossimo di poter raggiungere circa 4 milioni di edifici nel corso dell'anno. In considerazione del contesto politico, normativo ed economico, BT ha deciso di aumentare e accelerare la copertura totale della nuova rete Fttp passando da 20 a 25 milioni di edifici entro dicembre 2026. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 3/12/2021

03 Dicembre 2021

«Interesse dei fondi per la rete non è negativo ma rispettare regole e concorrenza»

Parla Rosario Pingaro, vicepresidente del Namex e ad di Convergenze L'interesse dei fondi per le infrastrutture di tlc, come quello di Kkr per Tim, «non è di per sé negativo, ma è importante che ci siano regole certe per l'utilizzo della rete, nel rispetto della libera concorrenza». È la posizione di Rosario Pingaro, vicepresidente del Namex, il maggiore Internet exchange point in Italia, nonché amministratore delegato di Convergenze, operatore di tecnologia integrato attivo nei settori tlc, energia ed e-mobility. Nel tratteggiare con DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore e della Luiss Business School) le opportunità oggi sul tavolo per il futuro dell'infrastruttura, Pingaro sottolinea la sua contrarietà alla soluzione di creare una rete unica, obiettivo che si otterrebbe sostanzialmente mettendo assieme quella di Tim con Open Fiber. Un argomento tornato di attualità visto che a breve dovrebbe andare in porto l'operazione del passaggio di quote da Enel a Macquarie in Open Fiber e la contestuale ascesa di Cdp al 60 per cento della società della fibra. Tim, invece, è impegnata nell'analisi dell'offerta del fondo americano che, per estrarre valore dalla società vorrebbe dividere la rete dai servizi. «Rete unica? La partita non può essere giocata da un unico grande attore» «Il mercato libero, fatto di tanti piccoli operatori in concorrenza tra loro, ha generato innovazione e miglioramento continuo nell'offerta tlc in moltissimi Paesi del mondo, inclusa l'Italia. Per ciò che riguarda la rete unica, di cui tanto si discute come migliore soluzione per dotare il nostro Paese di un'infrastruttura digitale capillare e di ultima generazione, dal mio punto di vista, la partita non può essere giocata da un unico grande attore, ma dovrebbe prevedere il contributo delle telco di piccole e medie dimensioni presenti in tutta Italia, che perseguano la stessa finalità, ossia infrastrutturare le aree ancora affette da digital divide, in maniera molto efficiente e nel rispetto di regole certe e durature imposte dal legislatore». «Un piano di investimenti multiplo consentirebbe maggiore capillarità d'azione» Poste queste premesse, Pingaro ritiene che «un piano di investimenti multiplo permetterebbe in ogni caso una maggiore capillarità di azione, dando pari opportunità alle aree al di fuori dei grandi centri urbani, e velocizzerebbe allo stesso tempo la realizzazione dell'opera, grazie al contributo sinergico e su più fronti da parte di molteplici soggetti». Certamente, secondo il vicepresidente del Namex, «le forze in gioco sono tante, sicuramente è necessario un coordinamento e delle regole comuni, ma credo questa sia la via giusta per sfruttare quanto già fatto finora dalle telco nazionali e locali, in attesa di un vero e proprio piano per la rete unica, ancora dai contorni troppo sfumati. Inoltre, anche per quanto riguarda il discorso economico non ritengo fondamentale che gli investimenti facciano capo ad un'unica fonte: il caso di Convergenze dimostra al contrario come con un oculato piano di investimenti anche un piccolo operatore possa fare molto per cablare il territorio». «Per investitori internazionali il settore delle tlc è sempre più attrattivo e strategico» In conclusione, l'auspicio è che «gli stakeholder del settore tlc possano comprendere i vantaggi del mercato libero e che il Governo metta in campo proposte più concrete per agevolare gli operatori di telecomunicazioni a svolgere il loro lavoro in un contesto sempre più competitivo, affinché il processo di digitalizzazione del Paese possa continuare senza interruzioni, anche in assenza di un unico macro-operatore». Tornando quindi all'interesse dei fondi per le infrastrutture, «il recente rumor relativo all'offerta da parte del colosso indiano Reliance per comprare la big di telecomunicazioni inglese British Telecom, poi smentito dai diretti interessati, e anche l'interesse del fondo Usa Kkr su Tim, dimostra come il settore delle telecomunicazioni sia ritenuto sempre più strategico e attrattivo da parte degli investitori internazionali». Ed è in questo contesto che Pingaro chiede, di fronte all'interesse di fondi o player di grandi dimensioni internazionali, regole certe per l'utilizzo della rete, nel rispetto della libera concorrenza. «La diversificazione - conclude - rimane una prerogativa per il successo del processo di trasformazione digitale e per questo i Paesi dovrebbero dotarsi di normative e stabilire principi comuni per impedire che ci siano problemi di utilizzo e sviluppo della rete». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 3/12/2021

03 Dicembre 2021

«Sovranità digitale europea non è protezionismo, ma attenti a rapporti con Cina»

L'esperto Gerard Pogorel anticipa le linee del documento dell'European Libéral Forum, la Fondazione parlamentare del Gruppo europeo "Renew"  Autonomia strategica digitale europea: un obiettivo fondamentale da raggiungere che necessita di una serie di azioni e iniziative a livello politico e normativo. Lo spiega Gerard Pogorel, esperto internazionale di tlc e professore emerito di economia, che sta lavorando all'elaborazione di un documento da portare all'appuntamento di febbraio sulla sovranità digitale europea per conto del European Libéral Forum, la Fondazione parlamentare del Gruppo europeo "Renew" di cui fa parte anche il partito del presidente francese, Emmanuel Macron. Anticipando a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) alcune linee che saranno l'ossatura del documento da portare in Parlamento, Pogorel spiega che «la sovranità strategica digitale non significa essere protezionisti, tutt'altro, significa invece apertura». Per la sovranità strategica servono forti input di politica industriale Inoltre, la sovranità strategica «suppone input forti di politica industriale pubblica. È infatti importante che l'Europa si occupi, come sta cominciando a fare nell'ambito dei chip o dell'intelligenza artificiale, di politica industriale», ma sempre con un coordinamento forte con l'industria. Tutto questo non può prescindere «da un forte consenso internazionale dei partner e alleati», proprio nel contesto di apertura necessaria del concetto di autonomia strategica. Vanno prese in considerazione «tutte le tecnologie critiche, da qualunque parte provengano, con il minor numero di eccezioni possibili. Vanno, inoltre, garantite fortemente la privacy e la sicurezza, anziché la concorrenza». Serve un quadro chiaro di regole anche di fronte all'interesse per le reti Un capitolo a parte, aggiunge Pogorel, va dedicato alla Cina con la quale bisogna «puntare su rapporti di rivalità e di forza, in un delicato bilanciamento di potere, considerati gli ingenti scambi commerciali in atto con questo Paese». Inoltre l'autonomia digitale strategica implica «un quadro chiaro di regole» e un orientamento deciso «all'innovazione, rimuovendo o alleggerendo in caso, gli ostacoli normativi». Le linee che saranno parte fondante del documento dell'European Liberal Forum si inseriscono in un contesto di appetiti per le infrastrutture strategiche europee, che, dopo le torri, suscitano oggi i più forti interessi da parte dei fondi. Pensiamo, ad esempio, a Tim, per cui il fondo statunitense Kkr ha inoltrato una manifestazione di interesse, o alla britannica BT: i rumor, poi smentiti, hanno parlato di un'imminente offerta da parte del colosso indiano Reliance. Oltre all'opa, il gruppo del miliardario Mukesh Ambani, avrebbe valutato un'alleanza con Openreach, la controllata di BT per la fibra ottica. Testimoniando ancora una volta l'interesse per l'infrastruttura. «È evidente che l'interesse internazionale si è spostato sull'infrastruttura di rete che garantisce ritorni crescenti. Non si tratta anche in questo caso di fare protezionismo, ma servono regole chiare e bisogna tutelare - conclude Pogorel - l'autonomia strategica digitale europea in maniera aperta con obiettivi innovativi». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 3/12/2021

03 Dicembre 2021

Ibarra: «Puntiamo a diventare champion tech al 2025, poi valutiamo la Borsa»

Il CEO di Engineering traccia il percorso della società, tra prospettive del Pnrr, assunzioni e il progetto di cloud federata Le prospettive che si aprono con il Pnrr, vista la presenza di Engineering in tutti i settori industriali, assunzioni di 800-1000 dipendenti l'anno, e il progetto per partecipare al polo nazionale strategico per il cloud, con una proposta di «cloud federato» presentata assieme Fastweb. Passa anche da questi elementi il piano di crescita di Engineering, società attiva nel settore dei software e servizi It, in cui è arrivato di recente come amministratore delegato, e socio, Maximo Ibarra, già ceo di Sky Italia, l'olandese Kpn e di Wind L'obiettivo è di diventare nel 2025 «il tech champion digitale italiano, presente anche nei mercati esteri. Stiamo lavorando – spiega Ibarra nell'intervista a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) per disegnare questa traiettoria». Nel percorso delineato, la quotazione in Borsa «è una delle opzioni possibili per un'azienda delle nostre dimensioni con le ambizioni che abbiamo in questo momento». Per Engineering, che nel 2020 ha fatturato 1,24 miliardi e conta 12mila dipendenti, si tratterebbe di un ritorno visto che la società è stata quotata nel periodo 2000-2016, quando, al seguito del successo dell'Opa di Mic Bidco, è avvenuto il delisting. Che prospettive e progetti si aprono per Engineering con il Pnrr? Il Pnrr riguarda tutti i settori industriali in cui siamo presenti. Premetto che una delle caratteristiche di Engineering è proprio l'esperienza maturata in tutti i settori, dai trasporti ai media, alle telecom, alle PA, dal mondo della finanza alla difesa e all'automotive. Engineering può, dunque, assicurare vantaggi e valore aggiunto decisivi in tutti i comparti, relativamente alle diverse tecnologie, sia per la parte software sia per quella infrastrutturale. Stiamo affiancando i nostri clienti nell'identificare quali siano i progetti di sviluppo su cui puntare e che assicurino il massimo beneficio dal Pnrr, anche sfruttando le opportunità offerte dalle partnership pubblico-private. Una variabile del successo del Piano nazionale di ripresa e resilienza consiste nella conoscenza dei settori su cui impatta, e noi l'abbiamo. Vantiamo, infatti, una conoscenza molto approfondita dei clienti, conosciamo non solo i loro problemi attuali, ma anche il percorso da fare nei prossimi 5 anni. Tutto ciò ci consente di avere una visione molto chiara rispetto alla trasformazione digitale che devono compiere le aziende. C'è un tema strettamente legato al Pnrr, ovvero la mancanza di competenze digitali in Italia. Riguarda anche voi? La mancanza di competenze è un'emergenza mondiale emersa anche durante i lavori della task force del B20 per la Digital transformation che ho presieduto. Sicuramente noi siamo molto attrattivi rispetto al mondo dei giovani talenti. Abbiamo costruito un rapporto molto intenso con le principali università, abbiamo un asset distintivo, ovvero la nostra Academy, un vero e proprio campus con circa 100 docenti, interni ed esterni, persone che insegnano ai dipendenti che entrano in Engineering, o a quanti vanno riqualificati, gli aspetti più importanti delle diverse tecnologie in un'ottica di "long life learning". Inoltre, partecipiamo a un numero ingente di progetti di ricerca e iniziative internazionali, come Gaia X ad esempio, attraverso i quali tocchiamo con mano il futuro della tecnologia, e facciamo così attività di Ricerca e sviluppo pura che poi ci serve per capire in anticipo i passi da compiere. Lavoriamo quindi per alimentare costantemente la nostra attitudine all'innovazione, e mantenere così il forte posizionamento nella futura, inevitabile, guerra dei talenti. Attualmente incontrate difficoltà a trovare le competenze? No, al momento la situazione è sotto controllo e continuiamo ad assumere a ritmo molto elevato, 800-1000 persone l'anno, anche se constatiamo qualche tensione nella ricerca di persone con una certa esperienza nel mondo della tecnologia. Se ci fossero disponibili più risorse con un background tecnologico, le potremmo subito formare, attraverso la nostra Academy, per le esigenze del mercato. Le aree che necessitano maggiore ricerca sono il cloud, la cybersecurity, e i vari digital enabler come Iot, smart cities, la blockchain. Riguardo in particolare al cloud, avete avanzato una proposta al Mitd per il polo strategico nazionale assieme a Fastweb. Quali le caratteristiche? Abbiamo puntato su un'offerta non banale, non una semplice infrastruttura del cloud, visto che di fatto esistono tante strutture disponibili pubbliche e private. E' una proposta in cui crediamo molto. Non posso dare dettagli ma in generale la nostra caratteristica è quella di creare una federazione di infrastrutture, ossia di data center, molto sofisticata che offra tutte le garanzie dal punto di vista della sicurezza e qualità. In questo ci ha molto aiutato la partecipazione a progetti come Gaia X perché abbiamo previsto strumenti e metodologie già coerenti con i principi europei di governo del dato. Un altro aspetto importante riguarda la garanzia della facilità della migrazione da parte della PA e delle altre strutture strategiche dello Stato nel nuovo polo. Un ulteriore punto importante è quello della gestione del dato. I vari enti, istituzioni, dipartimenti della Pa lavorano su settori diversi, e visto che noi conosciamo tutti i comparti, siamo nelle condizioni di garantire la migliore e più sicura soluzione possibile. In sintesi, la nostra proposta punta su sicurezza, flessibilità, infrastruttura future proof, federazione di data center con livello di sofisticazione elevato, grande facilità nella migrazione e una gestione ecosistemica del dato. È un modello aperto ad alleanze? La struttura della nostra proposta ci consente di aprire anche ad altre eventuali collaborazioni. Non abbiamo costruito un design chiuso, al contrario è aperto. Siamo due aziende con un forte radicamento in Italia, siamo vissute e cresciute nel nostro Paese, abbiamo una storia solida e affidabile. Riteniamo che questo sia un altro aspetto rilevante. L' obiettivo ultimo è quello costruire un'infrastruttura future proof. Ci si aspetta che il bando sia definito entro le prime settimane del 2022 per realizzare il progetto entro la fine dell'anno. È una sfida importante ma noi abbiamo le competenze per poter dare esecuzione al progetto nei tempi indicati dal Ministro Colao. Come può il progetto Gaia X aiutare nella realizzazione del polo strategico? Il progetto Gaia X ha il vantaggio di mettere assieme le esperienze, le practice migliori. E' come avere un osservatorio privilegiato su quella che dovrebbe essere l'ideale infrastruttura cloud dal punto di vista della sua evoluzione. Far parte dell'iniziativa e di tutte quelle ad essa correlate ci permette di mettere un piede nel futuro e portare il nostro bagaglio di esperienze. La ricaduta pratica è che, come dicevo, gli aspetti che stanno emergendo da Gaia X sono già incorporati nella proposta che abbiamo presentato al Ministero. Nell'ottica della crescita e dello sviluppo del vostro business contemplate anche la quotazione in Borsa?Al momento siamo concentrati nel far sì che Engineering al 2025 sia l'azienda più innovativa, il tech champion digitale italiano, presente anche nei mercati esteri. Stiamo lavorando per disegnare questa traiettoria. È chiaro che un'Ipo è una delle opzioni possibili per un'azienda delle nostre dimensioni con le ambizioni che abbiamo in questo momento. Ma questo tema lo affronteremo successivamente, al momento siamo focalizzati affinché il progetto "Engineering 2025" prenda corpo. Abbiamo target molto ambiziosi riguardanti la crescita dei ricavi e della marginalità, una presenza più forte nelle tecnologie di oggi e del futuro e ovviamente anche una presenza internazionale che sia più robusta di quella che abbiamo oggi. Su quali Paesi punterete? Lo stiamo definendo. Puntiamo a rafforzarci dove siamo presenti e a trovare altri sbocchi, auspicabilmente in mercati attigui, europei per posizionarci come una Engineering fortissima in Italia e in Europa senza trascurare mercati in cui oggi siamo presenti. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 3/12/2021

04 Febbraio 2022

Utilitalia: «Dalle utility generati 20 miliardi per la sostenibilità»

Il dg, Giordano Colarullo, racconta l'impegno, in termini di investimenti, nella filiera dell'acqua e del ciclo dei rifiuti. E sul tema energia, parla dell'ultimo decreto sul caro-bollette, "deludente" e "iniquo". Dalle utility un valore aggiunto annuale di 11 miliardi nella sostenibilità che arrivano a 20 miliardi considerando l'intera filiera; ma anche investimenti in crescita nell'idrico, con un gap ancora troppo elevato tra le gestioni industriali e quelle "in economia" e l'attenzione al tema del ciclo dei rifiuti per rispettare i target europei. Giordano Colarullo, direttore generale di Utilitalia, la Federazione che riunisce oltre 400 imprese nei servizi pubblici in Italia, con un valore della produzione superiore al 2% del Pil, in un'intervista a SustainEconomy.24, report di Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School, sottolinea l'importanza del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. E parla dell'ultimo decreto sul caro-bollette, "deludente" e "iniquo" perché, se va bene un contributo solidaristico, è sbagliata l'idea e servono misure strutturali. Economia circolare, sostenibilità: le utility italiane dichiarano un impegno in prima linea. Cosa si è fatto e quanto ancora si deve fare? «Abbiamo di recente pubblicato il rapporto di sostenibilità 2021 in collaborazione con la Fondazione Utilitatis che misura il valore aggiunto economico annuale distribuito dal settore sul territorio e ai vari stakeholder che ha raggiunto gli 11 miliardi e, considerando l'intera filiera e le spese per i fornitori, si porta a 20 miliardi. E' importante sottolineare, poi, come gli investimenti di questo gruppo di imprese, seppure in un anno pandemico, non si sono fermati e hanno raggiunto i 4,5 miliardi (oltre il 14% dei ricavi), di cui oltre 600 milioni nella decarbonizzazione, quasi 300 milioni nella digitalizzazione e più di 180 milioni nell'economia circolare. E' la natura stessa del business e la vocazione di servizio pubblico delle imprese - che hanno nel proprio dna l'attenzione all'ambiente e al sociale - a renderle un punto di riferimento per lo sviluppo sostenibile». Analizzando i vari comparti, sul fronte del settore idrico restano ancora tante disomogeneità territoriali e servono investimenti importanti. Qual è la sua visione e cosa occorre? «Il settore ha registrato una crescita enorme dal 2012, dall'ingresso della regolazione tariffaria che ha chiarito le regole sul riconoscimento dei costi; così da una cifra di investimenti sotto il miliardo si è passati sostanzialmente ad una proiezione che vede l'Italia intorno ai 4 miliardi per il 2022, in aggregato per l'industria, e una cifra che più o meno ci porta a 5-6 miliardi per la rete infrastrutturale italiana. Investimenti che stanno permettendo un grande recupero sul contenimento sul fenomeno, ad esempio, delle perdite idriche. Certo, c'è un gran divario tra le zone d'Italia facile da spiegare con la sostanziale differenza tra le gestioni industriali, con investimenti che si aggirano attorno ai 50-60 euro per abitante, e i soggetti non industriali, le cosiddette gestioni ‘in economia' operate dagli enti locali, dove il livello di investimenti va sui 4-7 euro pro capite. Un ordine di grandezza così diverso che moltiplica i ritardi e spiega la distribuzione a macchia di leopardo che riscontriamo al Sud, soprattutto in Campania, Calabria e in Sicilia. E' un'equazione quasi matematica: no gestione industriale, no servizio e no investimento e purtroppo il cluster è tutto il sud. Quindi per noi è lì che bisogna intervenire. Con il Pnrr sono stati assegnati al comparto fondi pari a 3,5 miliardi, non sono cifre enormi ma messe su un comparto con tariffa possono essere un booster. Certo, bisogna avere il coraggio di applicare lo spirito di riforma del Pnrr a tutti i livelli di governo fino alle periferie amministrative». Un altro settore che potrebbe avere grandi potenzialità è quello dei rifiuti. «Ci sono due dati che bisogna tenere sempre a mente. Il primo, l'Italia come Paese ha fatto molto bene sulla raccolta differenziata avendo raggiunto i target europei in alcune parti d'Italia molto prima della scadenza, anche se restano sempre delle sacche di lentezza e, ahimè, coincidono sempre con il sud e in alcuni casi anche con il centro. Secondo, ora dobbiamo volgere l'angolo visuale dalla differenziazione della raccolta al riciclaggio. Senza una decisa inversione di tendenza sarà impossibile raggiungere i target Ue che prevedono il raggiungimento del 65% di riciclaggio effettivo dei rifiuti urbani e ridurre l'utilizzo della discarica al 10%. E' un'impresa non banale per il Paese perché oggi noi usiamo la discarica anche il doppio, cioè arriviamo intorno al 20%. Ora da qui al 2035 sono 13 anni, ma l'appuntamento è dietro l'angolo se pensiamo che quando si tratta di dover introdurre innovazioni tecnologiche e impiantistiche a volte si impiegano 4-5 anni solo per le autorizzazioni. Anche qui vediamo una grande opportunità negli interventi previsti dal Pnrr che hanno indirizzato un miliardo e mezzo per il miglioramento della raccolta differenziata e propedeutica al riciclaggio e 600 milioni su progetti nell'ambito del riciclaggio delle frazioni non riciclabili. Per rispettare gli obiettivi europei e annullare l'export di rifiuti tra le aree del Paese, abbiamo stimato che il fabbisogno impiantistico ammonta a 5,8 milioni di tonnellate. E almeno una trentina di impianti per il trattamento dell'organico e per il recupero energetico delle frazioni non riciclabili». Da ultimo il tema dell'energia, le rinnovabili e il caro bollette. Sono stati adottati interventi sugli incentivi e una sorta di tassa sugli extra profitti per gli impianti rinnovabili. Per Utilitalia qual è la strada da seguire? «Il provvedimento adottato appare deludente. E' un concetto scivoloso quello degli extra-profitti perché in realtà molte imprese non ne hanno veramente beneficiato. Il disegno prospettato, pertanto, potrà essere altamente dannoso e dovrà essere valutato nella fase implementativa. Dicevo che lo riteniamo deludente perché finisce per colpire una classe di soggetti che, se ha avuto dei benefici, li ha avuti per le condizioni dei mercati internazionali, ma come è accaduto per chi produce gas. E se la misura potrà offrire, in qualche modo, un contributo solidaristico, nell'opinione pubblica va a dipingere un'idea sbagliata perché il prezzo sale per colpa di infrastrutture che non sono state costruite o per le posizioni di chi produce gas, soprattutto la Russia. Lo riteniamo un provvedimento iniquo e, peraltro, colpisce paradossalmente le tecnologie che, invece, dovrebbero essere incentivate per la transizione. Dall'altro lato non si introducono, in questo decreto, delle misure strutturali e il rischio è che dopo un trimestre il problema si ripresenti. Non è con misure tampone che si risolve il problema, è necessario mettersi a lavorare su due direttrici: certamente sul tema dell'approvvigionamento del gas e, poi, fare un ragionamento sul sistema dei mercati tutelati per valutare se il sistema attuale di approvvigionamenti, che ha comunque un Acquirente Unico, possa essere spinto a guardare alla fine della maggior tutela nel 2024».  SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 4/2/2022

04 Febbraio 2022

Neri (Algowatt): «La nostra ripartenza con soluzioni sostenibili. Un nuovo piano industriale entro marzo»

Il presidente e fondatore ne parla a SustainEconomy.24 Una ripartenza e un nuovo piano industriale entro marzo. Stefano Neri, presidente e fondatore di AlgoWatt, la GreenTech company quotata sul mercato Euronext Milan, che unisce al suo interno l'esperienza di due realtà distinte come TerniEnergia e Softeco, racconta a SustainEconomy.24, la trasformazione del gruppo, attivo ora nella progettazione, sviluppo e integrazione di soluzioni per la gestione sostenibile e socialmente responsabile dell'energia e delle risorse naturali. Dal Piano di ristrutturazione, che ha permesso di ridurre l'indebitamento e riporterà il gruppo in utile, alla "felice intuizione" di guardare ai settori innovativi e ricchi di chance. Con AlgoWatt ha scritto un nuovo capitolo: una green tech company che punta all'economia sostenibile. Transizione energetica ed ecologica, trasformazione digitale, progettazione, sviluppo e implementazione di soluzioni per la gestione sostenibile e socialmente responsabile dell'energia, della mobilità e delle risorse. Quale percorso state portando avanti?  «Il nostro percorso procede principalmente sull'esecuzione del Piano di ristrutturazione sottoscritto lo scorso anno ed è la principale missione dal punto di vista societario, perché ci ha consentito di ridurre un indebitamento storicamente attorno ai 66 milioni di euro a 10 milioni, con una riduzione importante di circa 56 milioni di euro. Inoltre, avendo alienato gli asset che ci connotavano più come una utility che come una società destinata allo sviluppo tecnologico e all'automazione, ci troviamo in una sorta di ripartenza. Per questo abbiamo scelto di focalizzare la digitalizzazione e l'automazione soprattutto nei settori ambientale ed energetico che sono quelli che hanno connotato la storia di TerniEnergia». A proposito di transizione energetica ed ecologica, con il Green New Deal e il Pnrr, sono diventati temi di grande attualità. Che tipo di opportunità di crescita ci sono nel mercato cui vi siete affacciati?  «Il turnaround industriale della TerniEnergia, passato anche in parte con l'acquisizione della storica Softeco di Genova, è stata un'intuizione che risale oramai a 5-6 anni fa e le misure che ha richiamato sono la conferma della bontà di quell'intuizione, nel senso che oggi le attività che Algowatt svolge sono perfettamente riflesse nei goal che, sia a livello nazionale sia a livello sovranazionale, vengono individuati dalle istituzioni. Questo significa che, strategicamente, c'è stata una lungimiranza rara e forse anche un po' di fortuna. In concreto credo che non abbiamo mai avuto un bouquet di misure di sostegno a questi settori innovativi come in questo momento. Per Algowatt, questo passa attraverso la digitalizzazione e la creazione di algoritmi da inserire nella gestione ambientale e dell'economia circolare in generale, dove abbiamo una storia importante, e, sotto il profilo della transizione energetica, significa dotare le reti, in particolare quelle elettriche, di ulteriori misure di sicurezza e di intelligenza, soprattutto per adeguarle a quelle che sono le necessità di una pluralità di fonti di produzione prima inesistenti, che mettono a dura prova l'attuale assetto delle reti. In questo rientra anche tutto il tema delle comunità energetiche che è di grande attualità. Quindi possiamo dire che il nostro piano si fonda sulle chance che sono offerte dal contesto normativo di questi anni». State portando avanti il piano di risanamento e lei ha scritto di recente agli azionisti anticipando anche il ritorno all'utile. Cosa vede nel 2022? «La società si è dotata di un nuovo management di altissimo profilo, a testimoniare che si è superata la fase della ristrutturazione e si è passati nella fase di execution del Piano. Il nuovo management sicuramente andrà alla definizione e alla pubblicazione di un nuovo piano industriale per il prossimo triennio e credo che questo avverrà entro il prossimo mese di marzo».  SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 4/2/2022

04 Febbraio 2022

Eni Rewind: «Dalle bonifiche impianti rinnovabili e una nuova vita ai rifiuti. Investiamo 5 miliardi»

Tre quarti dei progetti completati tra il 2025 e il 2030 e il 90% dei suoli decontaminati al 2030, assicura l'ad Paolo Grossi che vede più tecnologie, più mercato e più partnership Una storia iniziata nel 2003, quando Enichem conferisce le attività produttive a Polimeri Europa (oggi Versalis) e viene ridenominata Syndial, per gestire la bonifica dei siti ex industriali e la gestione delle acque e dei rifiuti, attraverso l'economia circolare. E che ha portato Eni Rewind – questo il nuovo nome scelto nel 2019 per accompagnare la crescita della società in linea con la sostenibilità e l'apertura al mercato– ad essere global contractor di Eni in Italia e all'estero.  Con 3.800 ettari e obiettivi ambiziosi per dare nuova vita alle aree bonificate, dagli impianti rinnovabili al riciclo dei rifiuti. Tre quarti dei progetti saranno completati e il 90% dei suoli decontaminati al 2030. Con una manovra finanziaria importante che cuba 5 miliardi entro i prossimi 10 anni, con 3 miliardi già spesi. Come racconta Paolo Grossi, l'amministratore delegato di Eni Rewind, che a SustainEconomy.24, report di Il Sole 24 Ore Radiocor, traccia i risultati raggiunti da Marghera a Porto Torres a Ravenna e gli obiettivi futuri: più tecnologie, più mercato, più partnership e dialogo con gli stakeholder. Alla base del lavoro di Eni Rewind ci sono i principi dell'economia circolare per valorizzare i terreni industriali, le acque e i rifiuti attraverso progetti di bonifica. Parliamo di progetti importanti da Marghera a Ravenna. A che punto siete e quali i prossimi obiettivi? «All'interno del perimetro della società abbiamo 3.800 ettari tutti di proprietà e una ventina di siti importanti che in passato ospitavano grandi poli petrolchimici. Di questi 3.800 ettari, circa il 40% - quindi 1.600 ettari - è oggetto di progetti di bonifica in corso, in gran parte decretati e autorizzati negli ultimi 5-10 anni e la buona notizia è che, tra il 2025 e il 2030, i 3/4 dei progetti in corso saranno completati. E non solo, contiamo di avere, al 2030, il 90% delle aree libere e decontaminate come suolo e riutilizzabili per varie opzioni di valorizzazione. Il restante 10%, circa 400 ettari, è interessato da progetti, in fase di implementazione e che richiedono qualche anno in più, ma contiamo al 2040 di aver esaurito tutte le bonifiche dei suoli. Il trattamento delle acque di falda, invece, richiede più tempo e proseguirà per altri 10-15 anni. Nel frattempo, comunque, il completamento degli interventi sui suoli permette di poter riutilizzare le aree e poter avviare altre attività. E proprio per questo, negli ultimi anni, abbiamo adottato un approccio dei progetti di bonifica ‘per lotti' in modo da non dover aspettare la conclusione di tutti gli interventi per iniziare a utilizzare le aree risanate». Che tipo di utilizzo offrono le aree bonificate? «Abbiamo destinato queste aree, con i colleghi di Eni gas e luce (ridenominata Plenitude), per costruire importanti impianti fotovoltaici e in futuro anche eolici, a Porto Torres e Ravenna che, parzialmente, contribuiscono allo sforzo di costruire il portafoglio di energia rinnovabile del Paese. Abbiamo identificato attualmente circa 600 ettari ma contiamo di poterli portare a 1.000 ettari, vale a dire il 25% delle nostre aree. Gli altri due principali utilizzi delle aree bonificate si traducono nella realizzazione degli impianti di trattamento di acqua e di rifiuti, industriali e, più di recente anche urbani. E, infine, terzo filone, mettiamo sempre a disposizione le nostre aree anche per terzi, siglando protocolli con Confindustria o con gli stakeholder locali, per promuovere nuove iniziative di sviluppo che possono beneficiare di aree di grande estensione, con pontili per ricevere e spedire via mare in prossimità ai grandi snodi ferroviari e autostradali».  A proposito dello sviluppo di impianti industriali per la trasformazione della frazione organica dei rifiuti urbani, che opportunità possono derivare?  «Il riciclo dei rifiuti, sia urbani che speciali, oltre a essere una necessità è un obbligo perché l'Europa ha assunto l'impegno, entro il 2035, di ridurre sotto il 10% la quota di rifiuti che viene smaltita in discarica e di aumentare oltre il 65% la quota di rifiuti che, invece, viene riciclata e, quindi, utilizzata come nuova materia seconda. Che va vista come un'opportunità perché - essendo l'Italia comunque carente e importatrice di queste materie - se, anche parzialmente, riusciamo a produrre bio-olio, biogas o bioplastiche riciclando rifiuti e materiali di scarto, ne avremo un beneficio non solo importante in termini ambientali, ma, prospetticamente, anche in termini economici. Noi stiamo approcciando questa sfida con l'impegno Eni di introdurre, oltre alla disponibilità degli asset, anche tecnologie innovative proprietarie, sviluppate nei nostri laboratori o in partnership con le università e anche con il mondo delle startup. Come Eni Rewind, stiamo lavorando dal 2018 alla nuova tecnologia ‘Waste to Fuel' per la trasformazione dei rifiuti organici, che ha il vantaggio di recuperare acqua riutilizzabile per usi industriali e produrre un bio-olio che può essere utilizzato come carburante per le navi piuttosto che come materia alternativa al petrolio in raffineria, per produrre bio-diesel. Una tecnologia che evita, inoltre, la produzione di compost che oggi tende a essere in eccesso e ha una serie di potenziali criticità nell'utilizzo in agricoltura. Un caso emblematico è Ravenna dove abbiamo completato la bonifica in un'area di circa 26 ettari e per metà abbiamo utilizzato quest'area per un parco fotovoltaico, peraltro con uno storage lab in fase di costruzione, e sull'altra metà andremo a realizzare un impianto per bio-pile e accanto stiamo realizzando una piattaforma polifunzionale per rifiuti industriali in jv con Hera». Che tipo di impegno finanziario richiede questo percorso in termini di investimenti? «Questi interventi, fino ad oggi, parlando di quelli all'interno delle proprietà Eni Rewind, hanno comportato una spesa di tre miliardi di euro e gli interventi che andremo a completare sostanzialmente nell'arco dei prossimi 10 anni cubano ulteriori due miliardi di euro. Complessivamente è una manovra molto importante di oltre 5 miliardi. Riagganciandoci alla storia della nostra società c'è da sottolineare che più dell'80% di questi interventi, sia quelli già spesi che quelli futuri, sono relativi a ex poli petrolchimici in cui operiamo come ‘proprietari incolpevoli', avendo ereditato aree, negli anni '70-80, che, quando erano in esercizio erano di proprietà e in gestione del gruppo Rovelli o Montedison». Cosa vede nel futuro di Eni Rewind, in Italia, all'estero e in attività di servizio a società terze? «In prospettiva vediamo più tecnologie, più mercato (sia estero che in Italia che per terzi), più partnership e stakeholder engagment. Più tecnologia perché indubbiamente, crediamo, come Eni, di poter dare un valore aggiunto con la nostra ricerca e il know how industriale guardando non solo ai rifiuti correnti ma, in prospettiva, al riciclo dei pannelli solari o delle batterie. Più mercato perché attualmente, seppure abbiamo iniziato a operare per terzi, oltre il 90% della nostra attività è ancora rivolta ai business Eni. Anche la quota estera attualmente è limitata a 3-4 Paesi e vorremmo crescere soprattutto in Africa e in Medio Oriente dove la presenza storica di Eni ci fa conoscere dagli stakeholder industriali e istituzionali. Quanto all'apertura del servizio a terzi, mai come oggi credo che la riconversione e la bonifica siano elementi di interesse per tanti gruppi e noi vogliamo affiancarli e cercare di proporre nuove soluzioni. Più partnership, perché per lo specifico core business in cui operiamo, è essenziale costituire alleanze industriali strategiche e collaborazioni con le principali università e centri di ricerca. Essere una grande impresa internazionale ci consente, e al tempo stesso ci obbliga, a mettere in campo le best available technology a livello mondiale. La partnership e il dialogo saranno poi sempre più importanti, nell'ottica del riciclo, anche coi grandi produttori industriali. Quando parliamo di batterie o di pannelli fotovoltaici se il prodotto è pensato e progettato anche nella scelta di materiali, pensando di massimizzarne il recupero si può fare la differenza e minimizzare il costo del riciclo. Il tutto poi con l'attenzione costante al confronto e una politica di ‘porte aperte' invitando tutte le comunità oltre che rappresentanti di stakeholder a visitare i nostri siti». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 4/2/2022

04 Febbraio 2022

Carrère (Suez): «Con l'economia circolare e digitale aiutiamo l'Italia a stare al passo con l'Ue»

«Aspettiamo il decreto biometano, è una soluzione contro il caro-prezzi» dice a SustainEconomy.24 la Presidente e Ceo di Suez Italia che parla anche del progetto di contatori intelligenti con Acea Suez ha un obiettivo ambizioso sulla sostenibilità a livello di Gruppo e, in Italia, accanto alle due attività ‘core' (di gestore dei servizi idrici integrati e di progettazione e realizzazione di impianti di potabilizzazione e depurazione) sta lavorando, in particolare, alla digitalizzazione delle reti, ai contatori intelligenti, alla produzione di biometano da rifiuti e a soluzioni innovative per la qualità dell'aria. Il Gruppo francese, secondo in Europa per il trattamento di acque e rifiuti, vuole sostenere l'Italia affinché possa stare al passo con l'Europa, complici anche le risorse e le ambizioni del Pnrr. Tutto ciò tenendo in considerazione l'importanza di accelerare le tempistiche di ottenimento degli iter autorizzativi e di contare su più operatori industriali dell'acqua al Sud, come spiega Aurélia Carrère, presidente e ceo di Suez Italia, a SustainEconomy.24, report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School. Carrère parla anche del modello "che funziona" delle partnership con i clienti locali e con aziende come Acea, di cui Suez è azionista al 23,3%. L'impegno per lo sviluppo sostenibile e per l'economia circolare è un pilastro per il Gruppo Suez che opera lungo tutta la catena del valore nei settori dell'acqua, della gestione dei rifiuti e dell'aria. Come si concretizza questo impegno? E quali i risultati? «Il Gruppo ha un ulteriore obiettivo molto ambizioso sulle emissioni di Co2, in conformità con gli accordi di Parigi e i target di 1,5° di riscaldamento all'orizzonte 2100 e validato da SBTi (Science Based Target initiative). Il Gruppo ha, inoltre, una proposta di valore per i propri clienti che si basa su 5 pilastri: l'impatto positivo sul clima, l'attenzione alla salute e qualità della vita, l'impatto positivo sul capitale naturale e la preservazione della biodiversità, la circolarità di tutte le nostre attività e soluzioni e infine , molto importante, la fiducia consolidata con i clienti locali, perché vi sono dei servizi che non è possibile delocalizzare». Parliamo dell'Italia dove Suez è presente con progetti e investimenti per sostenere la transizione ecologica e ambientale. Che ruolo avete e intendete avere in Italia? «Siamo in Italia da 60 anni e siamo state tra le prime aziende private che hanno partecipato alla nascita delle Concessioni sui servizi integrati dell'acqua in Toscana. Da più di 20 anni, partecipiamo alle Concessioni in società miste ad Arezzo, Firenze e Siena dove siamo in partnership con Acea e i comuni. A questa nostra attività di gestori del servizio idrico, si aggiunge il business infrastrutturale sulla progettazione e realizzazione di impianti di potabilizzazione e depurazione: in tutto abbiamo costruito 700 impianti municipali e industriali. In parallelo a queste due attività ‘core business', stiamo applicando il nostro know how in Italia in nuovi mestieri: nell'acqua, accompagnando la digitalizzazione per l'efficientamento della gestione di reti e impianti e nell'energia rinnovabile, con la produzione di biometano da rifiuti e da fanghi di depurazione e soluzioni per il monitoraggio della qualità dell'aria e degli odori». Le ambizioni del Pnrr e l'attenzione crescente a queste tematiche nel nostro Paese quanto possono favorire e sostenere il percorso di Suez? «Per quanto riguarda lo sviluppo delle nostre attività in Italia il Pnrr è veramente un elemento chiave che può permetterci di stare al passo con l'Europa. Mi rendo conto che ripeto spesso questo concetto ma, per fare un esempio, nel settore idrico, l'Italia investe la metà della media europea e sono state riscontrate delle disparità fra il Nord Italia e il Mezzogiorno. Il Pnrr mette a disposizione quasi 4 miliardi per la depurazione, l'infrastruttura idrica primaria, e la digitalizzazione; quasi 2 miliardi per il biometano e 1,5 miliardi per i rifiuti. I fondi sono e saranno disponibili e alcuni progetti di investimento sono già stati approvati. Ci sono però alcuni punti a cui bisogna fare attenzione: innanzitutto gli iter autorizzativi, che nel Paese, in passato, richiedevano tempi lunghi, e vanno ora snelliti. Questo perchè l'Unione Europea ha richiesto che tutti gli investimenti siano completati entro il 2026. Un altro punto a cui guardiamo con attenzione è il decreto sulle condizioni di sostegno al biometano. Questo decreto, che attendiamo nelle prossime settimane, è molto importante perché, in questa fase, con i prezzi dell'energia che si stanno impennando, sia per le aziende che per le famiglie, è importante avere un'indipendenza energetica e quindi disporre del biogas locale prodotto dai fanghi o dai rifiuti che permette di avere maggiori margini di manovra. L'ultimo punto da sviluppare, per assicurare che con il Pnrr si raggiungano i migliori risultati, è disporre di una rete di operatori idrici nel Mezzogiorno più forte perché adesso, dove non ci sono operatori industriali dell'acqua, c'è il rischio di non avere accesso ai fondi del Pnrr per realizzare queste infrastrutture». Siete presenti nel Paese in partnership con le municipalizzate e con aziende italiane, come nel caso di Acea, di cui siete azionisti. È un modello che funziona? «La partnership con entità pubbliche, è un modello che funziona molto bene perché integra i bisogni della collettività, dal momento che noi ci occupiamo del servizio pubblico e abbiamo bisogno di rispondere a fondo alle problematiche del territorio dove interveniamo. A questo va aggiunto che, appartenendo a un gruppo di livello internazionale, questo ci permette di disporre e di proporre tutte le innovazioni tecnologiche che abbiamo già sperimentato in altri Paesi. Un esempio recente è la partnership con la regione Campania con cui abbiamo realizzato i progetti di modernizzazione degli impianti di depurazione delle acque di Cuma e Napoli Nord, i maggiori in Europa e questo, a dimostrazione che possiamo fare cose concrete insieme». State lavorando anche con Acea alla progettazione di contatori intelligenti per l'idrico. E' qualcosa che avete già fatto in altri Paesi? Ce ne parla?  «Stiamo lavorando con Acea per i contatori intelligenti. L'Italia è molto in ritardo rispetto ad altri Paesi d'Europa. In Francia abbiamo già 9 milioni di contatori intelligenti installati, in Spagna più di 3 milioni e in Italia solo 500 mila, per questo dobbiamo accelerare per implementarli. Questi contatori permettono due cose: innanzitutto, agevolano le persone al controllo del consumo dell'acqua, al controllo della fattura e a preservare le risorse; in secondo luogo la digitalizzazione della rete e il monitoraggio consentono di velocizzare la ricerca delle fughe d'acqua, un tema importante in Italia dove abbiamo circa il 40% di perdite nella rete. Credo che la partnership con Acea sia molto interessante perché conoscono il mercato, le funzionalità dei contatori da installare e le aspettative dei residenti. Per questo insieme proporremo, quindi, le ultime tecnologie di comunicazione». In questo percorso quanto può aiutare la digitalizzazione? «La digitalizzazione, per noi, non è solo uno strumento ma fa parte integrante dei nostri processi. Nel mestiere dell'acqua, il vantaggio della digitalizzazione è a esempio quello di poter lavorare in tempo reale: per allertare su episodi di crisi (alluvioni, fughe d'acqua, etc.), per permettere di valutare velocemente il fenomeno e dimensionare il livello di risposta o per capire se si è veramente risolto il problema».  SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 4/2/2022

21 Gennaio 2022

“Decarbonizzare è la più grande occasione di investimenti”

“Ci concentriamo sulla sostenibilità non perché siamo ambientalisti, ma perché siamo capitalisti e siamo legati da un rapporto di fiducia con i nostri clienti”. Larry Fink, amministratore delegato di BlackRock, la più grande società di investimento del mondo, che pochi giorni fa ha annunciato di aver superato i 10mila miliardi di dollari in gestione, si sofferma sul tema della sostenibilità nella sua ormai consueta lettera aperta di inizio anno agli amministratori delegati delle aziende in cui investe in tutto il mondo.  Perché “ogni azienda e ogni settore saranno trasformati dalla transizione verso un mondo a zero emissioni” e “la decarbonizzazione dell'economia globale creerà la più grande opportunità di investimento della nostra vita”. E’ una lunga lettera che parte da una premessa. “Nel mondo odierno globalmente interconnesso, un'azienda deve creare valore ed essere apprezzata dall'intera gamma di stakeholder al fine di fornire valore a lungo termine per i propri azionisti. È attraverso un efficace capitalismo degli stakeholder che il capitale viene allocato in modo efficiente, le aziende ottengono livelli di redditività duratura e il valore viene creato e mantenuto nel lungo termine. Ma non dobbiamo farci ingannare: la giusta ricerca del profitto è ancora ciò che anima i mercati e la redditività a lungo termine è la misura con cui i mercati determineranno in definitiva il successo della tua azienda” premette Fink.   Ma complice un mondo che cambia, con la transizione e la pandemia, “alla base del capitalismo c'è il processo di reinvenzione costante: il modo in cui le aziende devono evolversi continuamente mentre il mondo intorno a loro cambia o rischiano di essere sostituite da nuovi concorrenti”. E qui l’accelerazione sulla transizione su cui, rivolto ai ceo, non usa mezzi termini. “Poche cose influenzeranno le decisioni di allocazione del capitale – e quindi il valore a lungo termine della tua azienda – più dell'efficacia con cui affronterai la transizione energetica globale negli anni a venire” avverte. “Sono passati due anni da quando ho scritto che il rischio climatico è un rischio di investimento. E in quel breve periodo abbiamo assistito a uno spostamento ‘tettonico’ del capitale. Gli investimenti sostenibili hanno ora raggiunto i 4 trilioni di dollari.  Anche le azioni e le ambizioni verso la decarbonizzazione sono aumentate. Questo è solo l'inizio: lo spostamento verso gli investimenti sostenibili sta ancora accelerando. Che si tratti di capitale destinato a nuove iniziative incentrate sull'innovazione energetica o di trasferimento di capitale dagli indici tradizionali a portafogli e prodotti più personalizzati, vedremo più soldi in movimento. Ogni azienda e ogni settore saranno trasformati dalla transizione verso un mondo a zero emissioni. La domanda è: sarai tu a guidare o ti farai guidare?” chiede. Perchè “ogni settore sarà trasformato da una nuova tecnologia sostenibile” e “credo che la decarbonizzazione dell'economia globale creerà la più grande opportunità di investimento della nostra vita” ma allo stesso tempo “lascerà indietro le aziende che non si adattano, indipendentemente dal settore in cui si trovano”.  La decarbonizzazione dell'economia “sarà accompagnata da un'enorme creazione di posti di lavoro” e “i prossimi 1.000 unicorni non saranno motori di ricerca o società di social media ma saranno innovatori sostenibili e scalabili: startup che aiutano il mondo a decarbonizzare e rendere la transizione energetica alla portata di tutti i consumatori” prevede Larry Fink.    “Ci concentriamo sulla sostenibilità non perché siamo ambientalisti, ma perché siamo capitalisti e siamo legati da un rapporto di fiducia con i nostri clienti” afferma. Certo, osserva, la trasformazione non sarà dall’oggi al domani e quindi non si dovrà tradurre in un disinvestimento totale, rimarcando l’impegno di Blackrock e l’invito ad aziende e governi.  “La transizione verso le emissioni zero è irregolare e diverse parti dell'economia globale si muovono a velocità differenti. Non accadrà dall'oggi al domani. Dovremo passare dalle sfumature del marrone alle sfumature del verde. Ad esempio, per garantire la continuità di forniture energetiche a prezzi accessibili durante la transizione, i combustibili fossili tradizionali come il gas naturale svolgeranno un ruolo importante sia per la produzione di energia e riscaldamento in alcune regioni, sia per la produzione di idrogeno. Il ritmo del cambiamento sarà molto diverso nei paesi in via di sviluppo e nei paesi sviluppati. Ma tutti i mercati richiederanno investimenti senza precedenti nella tecnologia di decarbonizzazione. Mentre perseguiamo questi obiettivi ambiziosi - che richiederanno tempo - i governi e le aziende devono garantire che le persone continuino ad avere accesso a fonti energetiche affidabili e convenienti. Questo è l'unico modo per creare un'economia verde che sia equa e giusta ed evitare le disuguaglianze sociali”. E se invita le aziende a “fissare obiettivi a breve, medio e lungo termine per la riduzione dei gas serra” perché “il capitalismo ha il potere di plasmare la società e agire come un potente catalizzatore per il cambiamento”, allo stesso tempo spiega che “le aziende non possono farlo da sole e non possono essere la polizia climatica”. “Abbiamo bisogno che i governi forniscano percorsi chiari e una tassonomia coerente per la politica di sostenibilità, la regolamentazione e la divulgazione in tutti i mercati. Devono inoltre sostenere le comunità colpite dalla transizione, contribuire a catalizzare capitali per i mercati emergenti e investire nell'innovazione e nella tecnologia che saranno essenziali per decarbonizzare l'economia globale”. Così come “è stata la partnership tra governo e settore privato che ha portato allo sviluppo di vaccini anti Covid-19 in tempi record” osserva, “quando sfruttiamo il potere sia del settore pubblico che di quello privato, possiamo ottenere risultati davvero incredibili. Questo è ciò che dobbiamo fare per arrivare alle emissioni zero”. In questo scenario, “disinvestire da interi settori – o semplicemente trasferire asset ad alta intensità di carbonio dai mercati pubblici ai mercati privati ​​– non porterà il mondo a emissioni zero. E BlackRock non persegue il disinvestimento dalle compagnie petrolifere e del gas come politica. Riteniamo che le società che guidano la transizione rappresentino un'opportunità di investimento vitale per i nostri clienti”. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 21/1/2022

21 Gennaio 2022

Assogestioni: «Per 3 italiani su 4 la svolta green passa dagli investimenti ma serve informazione»

L'aggiornamento dell'Osservatorio Assogestioni-Censis dimostra che gli italiani vedono nella sostenibilità un'occasione per mobilitare i risparmi ma non sono disposti a pagare direttamente i prezzi della transizione green e chiedono informazioni più mirate Gli italiani riconoscono la sostenibilità come una spinta per il futuro, una frontiera da seguire e una grande occasione per mobilitare i propri risparmi. Il cambiamento climatico, però, li spaventa e sulla questione sostenibilità chiedono una consulenza più mirata. Due cose, però, le hanno ben chiare: non sono disposti a pagare direttamente il prezzo della transizione green e sono convinti che il mondo finanziario possa essere protagonista della svolta sostenibile. Emerge dall'aggiornamento dell'Osservatorio Assogestioni-Censis sulla sostenibilità analizzato da SustainEconomy.24. Secondo l'indagine, il 79,9% degli italiani ha, quindi, paura del cambiamento climatico, in particolare dell'aumento sopra 1,5 gradi della temperatura della Terra. Una percentuale che arriva all'83,8% nel Nord-Est e all'82,7% tra le donne. Nonostante i timori, però, il 73,9% degli italiani afferma che, se per bloccare il riscaldamento globale e non inquinare si ricorrerà a soluzioni che faranno aumentare i prezzi di energia, beni e servizi, allora bisognerà cercare altre strade. Lo pensa il 69,5% di chi risiede nel Nord-Ovest, il 73,9% nel Nord-Est, il 79,4% nel Centro e il 74,1% al Sud. Se i combustili fossili vanno limitati, tuttavia non piacciono le alternative che generano un'inflazione a trazione ‘green'. Del resto, il 44% degli italiani è contrario a pratiche all'insegna della sostenibilità che determinino ulteriori iniquità sociali. Il 74,6% degli italiani ritiene poi che ci sia troppa confusione sui temi del riscaldamento globale e della sostenibilità. Se ne parla tanto, ma la moltiplicazione delle informazioni non aiuta a capire. Lo pensa il 72,1% dei residenti nel Nord-Ovest, il 75,7% nel Nord-Est, il 77,2% nel Centro e il 74,5% al Sud. Solo il 26,2% afferma di sapere precisamente cosa si intende per sostenibilità, il 60,8% ne ha una conoscenza per grandi linee e comunque non sarebbe in grado di spiegarlo ad altre persone. Allora come conciliare la paura per il riscaldamento globale con il rischio di inflazione indotta dalle politiche green?  Per gli italiani la soluzione passa anche per la finanza, anzi per 3 italiani su 4. Secondo il 76,6%, infatti, la finanza giocherà un ruolo importante e saranno cruciali gli investimenti Esg. Tuttavia, pur riconoscendone l'importanza, ancora il 64,4% degli italiani dice di saperne poco o niente. Il 63,4% ne ha solo sentito parlare. Secondo Assogestioni orientare una parte dei 1.600 miliardi di euro delle famiglie giacenti sui conti correnti (+5% rispetto allo scorso anno) verso l'acquisto di prodotti finanziari Esg sarebbe un boost per la transizione ecologica, Ma perché ciò avvenga, per l'84,6% degli italiani occorrono chiarezza e semplicità delle informazioni. E il 72,5% individua nella consulenza finanziaria un attore positivo, che potrebbe promuovere la finanza sostenibile.  SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 21/1/2022

21 Gennaio 2022

Un rating Esg per misurare la sostenibilità del risparmio gestito

L'ad di Fida, azienda italiana attiva nella raccolta e redistribuzione dei dati del risparmio gestito, Gianni Costan, parla del primo giudizio di sostenibilità italiano del settore C'è un sempre maggiore riposizionamento verso le tematiche Esg da parte di gestori di fondi e un'attenzione a sondare le preferenze degli investitori a queste tematiche nella valutazione dei portafogli. Partendo da questo scenario Fida, azienda italiana leader nella raccolta e redistribuzione dei dati del risparmio gestito, ha lanciato ‘Fida Esg Rating', il primo giudizio di sostenibilità a livello italiano del settore. Per soddisfare, come racconta l'amministratore delegato Gianni Costan a SustainEconomy.24, report di Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School, le richieste crescenti di trasparenza offrendo agli asset manager opportunità di riconoscimento della propria attività ed agli investitori strumenti di ricerca e selezione. Le tematiche Esg ormai hanno un ruolo di primo piano negli strumenti finanziari. Dal vostro punto di osservazione qual è lo scenario italiano? «Dal nostro osservatorio volto prevalentemente verso gestori di fondi comuni ed etf, distributori e consulenti, stiamo rilevando, soprattutto negli ultimi mesi, un'attività intensa di riposizionamento e adeguamento delle procedure a tali tematiche come richiesto dal mercato, imposto dalle normative e condiviso dagli operatori. Nell'ambito della raccolta di informazioni che abbiamo realizzato presso le società di gestione dei fondi ed etf finalizzata al nostro rating Esg, abbiamo riscontrato un interesse ed una risposta che ha superato le aspettative. Negli ultimi mesi si è intensificata l'interlocuzione dandoci la possibilità di realizzare ulteriori approfondimenti e poter accrescere l'informazione al mercato. Vediamo quindi un'attenzione specifica anche alla comunicazione delle attività svolte dagli operatori. La distribuzione, in campo finanziario ma anche assicurativo, ove non lo ha già fatto, si sta organizzando per rilevare le preferenze degli investitori sul tema della sostenibilità nel processo di profilazione e nella valutazione dei portafogli per i controlli di adeguatezza. Da questo punto di vista le metodologie sono ancora in fieri, in coerenza con l'evoluzione in corso della normativa ed in particolare dei relativi dettagli tecnici. Allo stato riteniamo che quindi la maturazione debba ancora avvenire, ma è un fatto certamente fisiologico». Avete lanciato il primo rating del risparmio gestito nel campo della sostenibilità a livello italiano. Ci parla dello strumento e delle finalità? «La tematica del green-washing ed in generale la molteplicità delle fonti di valutazione a volte contraddittorie ci ha spinto a pensare ad una metodologia proprietaria composita che incrociasse diversi elementi al fine di aumentare la robustezza e la coerenza dei risultati. A fianco della tradizionale e classica analisi di sostenibilità del contenuto dei portafogli abbiamo pertanto deciso di realizzare una due diligence delle politiche in ottica Esg implementate nelle società di gestione, volta a verificarne la Csr (Corporate Social Responsability), le procedure organizzative e la struttura della gamma prodotti. Tramite una specifica survey periodica sono raccolte informazioni quali-quantitative direttamente dalle società di gestione e asset manager per comprendere l'approccio alle tematiche Esg in maniera completa anche a prescindere dalle scelte specifiche di investimento e comunque proiettate al medio periodo. I dati raccolti contribuiscono a definire il grado di sostenibilità previsto dal processo di investimento delle società di gestione e quello dei prodotti, ottenuto combinando le analisi del contenuto dei portafogli dei fondi ed etf tramite un modello proprietario e la classificazione da regolamento Sfdr (Sustainable Finance Disclosure Regulation). Fida intende così soddisfare le richieste crescenti di trasparenza dei propri utenti offrendo agli asset manager opportunità di riconoscimento della propria attività ed agli investitori strumenti efficaci di ricerca e selezione». Di fronte al diffondersi di tanti prodotti targati Esg ci possono essere rischi? La normativa dovrebbe aiutare di più? «La normativa, come in altri casi, è un driver fondamentale e sta svolgendo una funzione di forte accelerazione. Come in tutte le fasi di transizione le prassi non sono ancora consolidate, i requisiti di conformità non ancora del tutto definiti e pertanto il comportamento degli operatori non è omogeneo. Pensiamo però che la strada intrapresa sia tutt'altro che generica e rileviamo come man mano che le prescrizioni diventano più cogenti (requisiti tecnici della Sfdr, la tassonomia, l'integrazione della Mifid2 e quindi i riferimenti alle preferenze sul tema da parte degli investitori finali) la normativa diventa più efficace anche nel rendere il quadro più omogeneo e agevole la comprensione delle caratteristiche dei prodotti. Le innovazioni richieste, oltre che importanti, sono particolarmente impegnative anche dal punto di vista organizzativo, pertanto riteniamo corretto lasciare al settore il tempo necessario per adeguarsi. Anche Fida adotta dei criteri di prudenza in tal senso prima di emettere il proprio rating». Che scenario vedete per il nuovo anno? «Questo sarà l'anno in cui dalle disquisizioni di tipo teorico, le analisi, e la prima fase, in buona parte commerciale, di adeguamento dell'offerta alla sostenibilità, si passerà alle modifiche più strutturali in modo diffuso. Sta accadendo tra i produttori con rilevanti innovazioni di gamma e mutamenti nelle strategie di gestione, così come nell'ambito della distribuzione con le modifiche nei processi di profilazione ed adeguatezza. Anche la domanda, pur immatura, sta conoscendo una crescente presa di coscienza della tematica ed interesse sempre più specifico. La sostenibilità può significare per l'investitore un modo per proteggersi da un rischio finora sottovalutato così come un buon proposito sul quale investire. Forse su questa distinzione le analisi sono state ancora limitate. Così come quelle sui costi aggiuntivi che la ricerca della sostenibilità implica, per ora non ancora considerati esplicitamente quale elemento di trade off. E' su questi aspetti che con la disponibilità di classificazioni sempre più omogenee, società indipendenti come Fida potranno svolgere il proprio ruolo informativo e formativo». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 21/1/2022

21 Gennaio 2022

Corsello (AllianzGI): «Sostenibilità è driver per azioni e reddito fisso. Sempre più presente nei portafogli italiani»

ll Country Head Italy della società parla a SustainEconomy.24 anche del nuovo anno, ancora volatile, e conferma la preferenza per le azioni rispetto alle obbligazioni Gli ultimi 10 anni hanno dimostrato come, con ogni crisi, la sostenibilità diventa una tendenza più forte, agendo come elemento stabilizzante e generando ritorni più elevati per gli investitori. Enzo Corsello, Country Head Italy di Allianz Global Investors, una delle principali società di gestione attiva a livello mondiale, che gestisce fondi sostenibili dal 1999, registra come i fattori Esg e i temi della sostenibilità stiano acquisendo uno spazio sempre più rilevante nei portafogli degli investitori italiani, sia istituzionali che retail. E, in un'intervista a SustainEconomy.24, report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School, vede la sostenibilità come un elemento destinato a offrire un driver di performance addizionale sia alle azioni che al reddito fisso, e da considerare, quindi, come discriminante imprescindibile nella costruzione del portafoglio. E per il nuovo anno, ancora volatile, conferma la preferenza per le azioni rispetto alle obbligazioni. Allianz Global Investors gestisce un'ampia gamma di fondi di investimento sostenibili. Perché scegliere di investire sostenibile? E come conciliate le scelte strategiche con la sostenibilità? «AllianzGI gestisce fondi sostenibili dal 1999, in tutte le asset class e affrontando i temi chiave che abbracciano il futuro del nostro pianeta, sia dal punto di vista ambientale che sociale. L'investimento sostenibile è diventato ancora più cruciale nel mondo post-pandemia e Cop26 ha evidenziato quanto il settore privato possa contribuire a gran parte del lavoro divenuto ormai impellente e necessario. Gli ultimi dieci anni hanno inoltre dimostrato che, con ogni crisi, la sostenibilità diventa una tendenza più forte, agendo come un elemento stabilizzante che contribuisce a offrire più resilienza nel sistema economico e a generare ritorni più elevati per l'investitore rispetto a un investimento non sostenibile. E' dunque inevitabile che le nostre scelte strategiche integrino l'analisi dei fattori Esg, sia come strumento fondamentale nel calcolo del rischio nelle gestioni dei nostri prodotti, che come driver di un impatto reale positivo sull'ambiente e sulle performance».Come gli investitori possono generare un impatto positivo attraverso le scelte di portafoglio? «Un chiaro esempio è dato dai fondi che sono allineati agli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite (gli SDGs). Queste strategie aiutano gli investitori ad indirizzare i propri investimenti in ambiti utili ad affrontare importanti questioni di interesse globale: il quadro di riferimento degli SDG consente infatti di investire in modo efficace a favore di ambiente e società traducendosi a sua volta in investimenti tematici, quali ad esempio quelli che riguardano la scarsità delle risorse idriche, la sicurezza alimentare, l'economia circolare, le energie rinnovabili, la salute sostenibile e la transizione energetica». Che tipo di risposta riscontrate nei clienti italiani? «I fattori Esg e i temi della sostenibilità stanno acquisendo uno spazio sempre più rilevante nei portafogli degli investitori italiani, sia istituzionali che retail. Se guardiamo alla clientela istituzionale, le motivazioni principali alla base di tale scelta sono rappresentate dalla coerenza degli investimenti sostenibili con le finalità istituzionali e la possibilità di coniugare l'impatto socio ambientale con un congruo ritorno economico gestendo più efficacemente i rischi finanziari. Anche la clientela retail si sta orientando sempre più verso questo approccio, nonostante diverse ricerche evidenzino come la conoscenza dell'Esg e della stessa sostenibilità sia ancora molto contenuta. Per questo motivo in Allianz Global Investors riteniamo che tra le iniziative più efficaci per far conoscere la finanza sostenibile ci siano quelle di educazione finanziaria, rivolte sia ai professionisti della consulenza finanziaria, con la costruzione di laboratori ad-hoc che affrontano l'argomento in chiave innovativa, sia alla clientela finale, attraverso eventi che coniugano formazione e intrattenimento illustrando come gli investimenti sostenibili possono consentire di allineare gli obiettivi dell'uomo a quelli del pianeta». La pandemia di coronavirus incide sui processi di investimento e sull'approccio degli investitori? «La pandemia ha fortemente caratterizzato il corso dei mercati e le scelte degli investitori dal suo primo manifestarsi fino alla pubblicazione dei primi studi sulla efficacia dei vaccini risalenti al Novembre 2020. In questa prima fase si è registrata una delle correzioni di borsa più rapide e profonde degli indici azionari dell'ultimo secolo, seguita da una progressiva stabilizzazione e risalita delle quotazioni supportata da interventi di politica monetaria e fiscale senza precedenti. Dopo i primi dati che dimostravano l'efficacia dei vaccini lo scenario è radicalmente cambiato e i mercati hanno sempre più marginalizzato il ruolo della pandemia come driver rilevante nel determinare la direzione dei mercati, focalizzandosi maggiormente sulla condotta delle banche centrali e sull'andamento di alcuni variabili chiave come inflazione, tassi di interesse e utili aziendali. Anche l'impatto sulla crescita economica determinato dai lockdown e dalle restrizioni imposte al comportamento degli agenti economici a fronte delle ondate successive della pandemia è sempre stato interpretato dagli investitori come temporaneo, con le assunzioni di crescita economica che venivano semplicemente traslate in avanti e invece di essere definitivamente cancellate. Di conseguenza l'impatto delle restrizioni per il contenimento della pandemia sui livelli degli indici azionari è risultato ridotto e contenuto». Si è appena aperto un nuovo anno ma restano le incognite legate alla pandemia e anche volatilità e alti prezzi. Come preparate i portafogli di investimento? «Ci aspettiamo un anno difficile per i mercati finanziari connotato dal rallentamento della crescita economica, dalla riduzione marcata degli stimoli fiscali e monetari, e da una dinamica inflazionistica ancora sostenuta sebbene in decelerazione. Il primo corollario di tale situazione sarà l'aumento della volatilità e la maggiore rilevanza delle valutazioni e dei fondamentali delle società nel processo di investimento. Pur a fronte di tale contesto complicato reiteriamo la nostra preferenza per le azioni rispetto alle obbligazioni e suggeriamo di costruire un portafoglio che abbia una componente azionaria pesata intorno al 55/60% e una componente obbligazionaria al 40/45%. Pensiamo infatti che una crescita degli utili robusta pur in presenza di una probabile contrazione dei multipli dovrebbe permettere ritorni positivi in singola cifra (tra il 5 e il 7%) per gli indici azionari, a fronte di un mercato obbligazionario che dovrebbe offrire ancora un potenziale ritorno nell'intorno di zero. Tuttavia, l'esposizione obbligazionaria risulta rilevante per il suo forte potere di diversificazione e decorrelazione rispetto alle azioni. A fronte di una volatilità che è ragionevole assumere in forte aumento, suggeriamo inoltre di allocare una quota importante del portafoglio (non inferiore al 10/15%) alla liquidità, per beneficiare di un buffer di protezione nelle fasi di ribasso e di uno strumento per ricomprare il mercato a fronte di eventuali, probabili, correzioni dei corsi di borsa, e di considerare l'obbligazionario cinese e l'esposizione al tasso variabile in dollari come fonte di ulteriore di decorrelazione dei portafogli. Consideriamo infine il tema della sostenibilità come un elemento destinato a offrire un driver di performance addizionale sia alle azioni che al reddito fisso e da considerare quindi come discriminante imprescindibile nella costruzione del portafoglio». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 21/1/2022

23 Dicembre 2021

Msc Crociere: «Il percorso delle navi green è tracciato. Investimenti e visione dal Gnl all'idrogeno»

Leonardo Massa, managing director Italia, parla anche della capacità di gestire l'impatto della pandemia e dei numeri importanti Volontà aziendale, investimenti e visione per il futuro. Sono i tre binari per cui passa il percorso sostenibile di Msc Crociere. Un percorso ormai tracciato per navi sempre più green, dal Gnl nel presente all'idrogeno nel futuro. Leonardo Massa, managing director Italia di Msc, sottolinea anche l'importanza delle sinergie in Italia, dall'accordo con Snam e Fincantieri al lavoro con il Governo per far ripartire il settore durante la pandemia. E a pochi giorni dal nuovo anno, vede ancora un contesto difficile ma con la forza di chi ‘sa gestire' con un milione di ospiti nell'ultimo anno e mezzo. Il Gruppo Msc punta a raggiungere, entro il 2050, l'azzeramento delle emissioni nette delle attività marittime. Quali sono le prossime tappe di questo percorso? «Il tema della sostenibilità è per noi caldissimo perché accompagna e accompagnerà tutta l'industria crocieristica. Per Msc quello per la sostenibilità è un percorso che passa per tre binari: il primo è chiaramente quello della volontà aziendale di intraprendere questa strada che è costosa e impegnativa sotto il profilo economico e  noi abbiamo la fortuna, come azienda familiare pur multinazionale, di avere Gianluigi Aponte, Pierfrancesco Vago e tutto il consiglio di amministrazione che hanno fatto della sostenibilità nelle crociere - e in generale di tutte le attività dell'azienda perché noi siamo il primo gruppo al mondo per il trasporto di contenitori - un chiaro goal, dichiarato e ufficiale; il secondo è quello degli investimenti; la sostenibilità passa inevitabilmente per la strada degli investimenti in tecnologia e in quello che oggi è disponibile sul mercato per abbattere le emissioni; il terzo elemento, più da visione, è quello della ricerca, pensando al futuro, di cosa si può fare per rendere più sostenibile il business. Quindi, in generale, questi tre binari sono i driver della nostra azienda che stiamo percorrendo anche con progetti non strettamente legati alle navi. E cito, come esempio, ‘Ocean Cay', la nostra isola privata ai Caraibi, un progetto visionario che ha permesso di trasformare un ex sito di estrazione di sabbia in un paradiso e un'oasi naturale». Approfondiamo alcuni di questi temi, iniziando dal binario degli investimenti. Avete pianificato un investimento di 3 miliardi di euro per la costruzione di tre navi alimentate a Gnl. Che obiettivi avete per il 2022? «Abbiamo investimenti già in atto con risultati immediati che sono quelli delle navi a gas liquefatto naturale. La prima ci verrà consegnata il prossimo anno, a fine 2022, la Msc World Europa, un prototipo innovativo sia nelle dimensioni che nella progettualità, e poi altre due unità. Abbiamo investimenti già ultimati, per esempio con la versione degli scrubber per abbattere le emissioni nell'ambiente. E, poi, abbiamo investimenti più a medio-lungo termine, e penso all'accordo siglato con Snam e Fincantieri per la realizzazione di un progetto più visionario di navi alimentate a idrogeno. Anche gli investimenti, quindi guardano a passato, presente e futuro: quanto già realizzato come gli scrubber, quanto stiamo realizzando come le navi a Gnl e quanto realizzeremo, come le navi a idrogeno». Quindi le navi saranno sempre più ‘green'? «Il percorso ormai è tracciato. Anche le navi varate nel corso di questo 2021 e ancora prima sono sempre più green perché più la tecnologia si sviluppa, più le aziende che hanno voglia di investire possono ridurre il loro impatto ambientale». Torniamo sull'accordo con Snam e Fincantieri per valutare la realizzazione di navi da crociera alimentate a idrogeno. È l'esempio di sinergie che possono funzionare unendo le forze? «Assolutamente sì, per noi è centrale la sinergia con gli altri gruppi, principalmente italiani, e questo è un esempio di percorso straordinario sulla sostenibilità. A proposito della capacità del Paese di fare sistema, trovo straordinario il lavoro fatto nell'ultimo anno e mezzo con il Governo italiano a 360 gradi perché le crociere sono ripartite, a livello mondiale, in Italia grazie ad un protocollo messo in piedi da Msc ma avallato da Governo e comitato tecnico scientifico che già un anno e mezzo fa, quindi ad agosto 2020, ci ha permesso, per primi al mondo, di ripartire. E sulla base di quel protocollo è ripartita tutta l'industria crocieristica a livello mondiale. È un classico bell'esempio di quando l'Italia si unisce e riesce a diventare una best practice a livello mondiale». La compagnia punta a diventare il secondo brand cruise al mondo entro il 2025. Ora inizia un nuovo anno ma restano le incognite legate alla pandemia. Cosa si aspetta per il prossimo anno? «Mi aspetto un anno comunque di difficoltà in cui, rispetto all'anno precedente, alcune cose tenderanno a migliorare e normalizzarsi ma è sbagliato avere il 2019 come riferimento perché la nostra idea è che con questa situazione pandemica dovremmo conviverci per un tempo abbastanza lungo. Il nostro obiettivo è quello di dimostrare di essere particolarmente bravi nella gestione di questa pandemia. Lo dimostriamo sulla base di quello che abbiamo fatto in quest'ultimo anno e mezzo in cui abbiamo avuto un milione di ospiti che significa 7 milioni di notti alberghiere: cioè abbiamo occupato 7 milioni di stanze e servito 21 milioni di pasti. Con questi numeri ci candidiamo a livello internazionale ad essere una delle più grandi aziende ad aver dimostrato di saper gestire la pandemia. E saperla gestire non vuol dire che il Covid non esiste ma vuol dire monitorare, controllare e quando ci sono casi di positività essere in grado di gestire».  SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 23/12/2021

23 Dicembre 2021

Fs: «I treni sono green, ricostruire l'esperienza di viaggio dal primo all'ultimo miglio»

Ne parla Fabrizio Favara, chief strategy officer del Gruppo Fs Italiane a SustainEconomy.24 La ripartenza passa per soluzioni di trasporto intermodali e integrate che minimizzino l'impatto sull'ambiente. Va ricostruita l'esperienza di viaggio perché il treno, che è il vettore più green, deve essere il mezzo principale ma è necessario abilitare l'intero sistema e promuovere la intermodalità ferro-strada-aereo-mare dal primo all'ultimo miglio. Fabrizio Favara, chief strategy officer del Gruppo Fs Italiane parla a SustainEconomy.24, report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School, dei target del Gruppo e degli investimenti che supereranno i 10 miliardi annui nei prossimi 10 anni. La trasformazione e la ripresa economica del Paese passano verso modelli più sostenibili. La mobilità ferroviaria quale contributo può dare? «La ripartenza proposta dall'Europa, attraverso il Green Deal e la più recente strategia "Fit for 55", ha fissato obiettivi sempre più stringenti per un sistema dei trasporti europeo a zero emissioni con soluzioni intermodali e integrate che minimizzino l'impatto sull'ambiente, come l'infrastruttura ferroviaria che è la più sostenibile. E' significativo un dato del 2019: in Italia la gomma rappresenta il 92% degli spostamenti ed è responsabile di quasi il 94% delle emissioni complessive dei trasporti, mentre la ferrovia, che rappresenta il 6%, produce lo 0,1% di emissioni. Per una transizione ecologica verso una mobilità più green, occorre, pertanto, ricostruire un'esperienza di viaggio che abbia sempre più il treno come mezzo principale. Ma il trasporto ferroviario da solo non basta; è necessario abilitare un sistema perché la vera sfida è culturale. Le politiche di trasporto e i player che lavorano nel settore devono promuovere insieme la sostenibilità nel lungo periodo e accrescere l'intermodalità ferro-strada-aereo-mare, in cui l'infrastruttura ferroviaria possa accogliere i flussi di traffico che arrivano dalle altre infrastrutture e la strada "intelligente" li distribuisca in modo capillare e sostenibile nel primo e ultimo miglio». Parliamo delle società del Gruppo Fs e degli obiettivi orientati alla mobilità sostenibile. Quali sono i vostri target? «Vogliamo ridurre le emissioni e la dipendenza dai combustibili fossili e aumentare, sostanzialmente, l'utilizzo di fonti rinnovabili, puntando sempre di più sull'economia circolare. Nei cantieri gestiti dal Gruppo  i materiali impiegati provenienti da processi di riciclo sono oltre il 60%. I nostri treni di recente costruzione sono efficienti dal punto di vista energetico, silenziosi e veloci. I Frecciarossa 1000, ad esempio, sono più leggeri dei precedenti (riducono di circa il 5% la massa per posto a sedere), sono costruiti con materiale innovativo riciclabile al 94%, mentre i circa 600 nuovi treni regionali di ultima generazione, eco-sostenibili, arrivano fino al 97% di materiale riciclabile, oltre a ridurre i consumi di energia del 30% rispetto i treni della generazione precedente. Inoltre, ad oggi, più di 2/3 dei quasi 17.000 km di rete ferroviaria in Italia sono elettrificati e altri 1.800 km sono in corso di elettrificazione, di cui 700 km saranno pronti entro il 2026. Stiamo sperimentando anche soluzioni innovative come l'idrogeno, che può sostituire il diesel laddove l'elettrificazione dei binari non risulta conveniente». Come si traduce questo percorso in termini di investimento? «Circa il 13% delle risorse assegnate all'Italia, relative al Pnrr per interventi in coerenza con la transizione ambientale è stato destinato allo sviluppo di infrastrutture per la mobilità sostenibile. Oltre 24 miliardi di euro da rendicontare entro il 2026 sono assegnati al Gruppo Fs per rendere l'infrastruttura ferroviaria sempre più digitalizzata, resiliente ai cambiamenti climatici, integrata e interconnessa ai corridoi Europei. Sono previsti e in corso importanti investimenti di potenziamento anche per i quattro Corridoi transeuropei TEN-T di trasporto passeggeri e merci che attraversano l'Italia. Poi, ci sono le stazioni: 700 milioni di euro per interventi strutturali su 54 stazioni al Sud. Abbiamo inoltre i contratti di programma e di servizio che porteranno gli investimenti complessivi a superare i 10 miliardi di euro all'anno, nei prossimi 10 anni. Questo comporterà un grande sforzo nel mettere a terra gli investimenti, da affrontare con una pianificazione adeguata, di concerto con le istituzioni e gli stakeholder». Sta cambiando il modo di viaggiare. Come saranno le stazioni del futuro? Come il vostro piano strategico decennale potrà orientare le scelte? «Le stazioni saranno sempre più hub multimodali di interscambio tra ferro, gomma, micromobilità e sharing, ma anche con piste ciclabili e percorsi pedonali. Più di un quinto della popolazione italiana vive o lavora a meno di 1 km da una delle oltre 2.200 stazioni ferroviarie italiane. Oltre il 50% di italiani abita o lavora a meno di 3 km da una fermata del treno. È pertanto di fondamentale importanza collegare efficacemente le stazioni ai territori che le ospitano, in un più ampio piano di riassetto urbanistico e di rilancio territoriale in cui fondamentale è l'interazione con le comunità locali. Per questo stiamo attuando un approccio "data-driven" guidato da una conoscenza capillare dei territori, dall'analisi dei comportamenti e dei bisogni delle persone che li abitano. Il piano decennale su cui stiamo lavorando, e che verrà presentato a febbraio 2022, consentirà di intervenire in modo significativo sul sistema nazionale di mobilità sostenibile e integrata di persone e merci. L'intento è favorire l'uso del treno, rendendo sempre più efficace la sua integrazione con gli altri sistemi di trasporto sostenibile, e utilizzando la strada per l'ultimo miglio dove la ferrovia non arriva». Da un lato le risorse del Pnrr e dall'altro le incognite legate alla pandemia. Sta per iniziare un nuovo anno: cosa aspettarsi? «Il 2022 sarà ancora un anno di transizione: lo scenario pandemico è in rapida evoluzione e impone di accelerare verso soluzioni più sostenibile e integrate. Il Pnrr rappresenta senza dubbio un'opportunità senza precedenti per la ripresa e il rilancio del Paese e perché abbia successo è fondamentale il lavoro di squadra di tutti i player del settore insieme alle istituzioni e alle comunità coinvolte. La trasformazione digitale e la transizione ecologica stanno cambiando anche il mercato del lavoro e la messa a terra degli investimenti non può prescindere dalle persone. Per questo occorre investire sempre più sullo sviluppo e sulla capitalizzazione delle competenze, sulla formazione dei giovani e sulla ricerca. C'è infatti carenza di forza lavoro e il settore dovrà fare fronte ad un'addizionale richiesta di figure professionali pari a circa 150.000 unità tra operai generici e specializzati, ma anche ingegneri».  SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 23/12/2021

23 Dicembre 2021

Delphina: «Le scelte ecosostenibili premiano, i nostri hotel sempre più green»

Elena Muntoni, Sustainability director del gruppo alberghiero sardo e figlia di uno dei fondatori, spiega che fare delle scelte etiche e in chiave sostenibile ripaga sempre e dà i suoi frutti nel lungo periodo, anche da un punto di vista economico   'We are green': con questo marchio la catena alberghiera sarda Delphina sintetizza l'impegno per l'ambiente e il desidero di offrire una vacanza sempre più ecosostenibile. Elena Muntoni, sustainability director di Delphina hotels & resorts, e di una delle due famiglie proprietarie, racconta a SustainEconomy.24, report di Il sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School, le buone pratiche che hanno consentito alla società, pochi giorni fa, di essere premiata ancora ai World Travel Awards come gruppo alberghiero indipendente più green al mondo. Dall'energia 100% verde alla sostituzione della plastica alla valorizzazione del territorio: perché, spiega, fare scelte etiche e sostenibili ripaga in termini di risposta dei clienti e anche economici. Solo qualche giorno fa Dephina è stata premiata ai World Travel Awards come gruppo alberghiero indipendente più green al mondo. Quali sono i punti di forza e come si concretizza il vostro impegno?  «Nascere, crescere e vivere in Sardegna ci rende profondamente legati a questa terra e ci fa sentire responsabili e in dovere di proteggere quest'isola con un patrimonio unico ma altrettanto delicato. Spinti dal desiderio di offrire una vacanza sempre più ecosostenibile, abbiamo creato e registrato il marchio ‘We are green' per rappresentare l'impegno di Delphina a favore dell'ambiente. Un protocollo di buone pratiche e azioni concrete adottate fin dalla progettazione delle strutture e poi estese alla fase gestionale e promozionale con iniziative di tutela e valorizzazione del territorio». Energia verde, riduzione della plastica. Quali sono i risultati raggiunti nei vostri resort? E quali sono gli obiettivi futuri? «Utilizziamo esclusivamente energia 100% verde proveniente da fonti rinnovabili per tutti gli hotel, resort, ville, residence, Spa e nella sede centrale Delphina. Questo ci ha consentito di risparmiare 13.828 tonnellate di CO2 nel quadriennio 2017-2020: l'equivalente della CO2 assorbita da circa 97.765 alberi in un anno intero. A partire dal 2019 abbiamo eliminato le bottiglie di plastica dai frigobar in tutte le camere, mentre nei bar viene proposta l'acqua in vetro, tetrapak o in lattina. Abbiamo sostituito la plastica con materiali biodegradabili per lunch-box, cannucce, posate, piatti e bicchieri, utilizzati durante le escursioni. Dal 2019 abbiamo inoltre abolito le bottiglie di plastica per tutti i collaboratori delle strutture e della sede centrale e lo staff ha ricevuto una borraccia in alluminio da ricaricare nelle fontanelle o nei dispenser installati appositamente in tutte le strutture. Un'iniziativa che, in epoca pre-covid, ha permesso a Delphina di risparmiare 68.700 bottiglie di plastica all'anno. Un ninvestimento che rappresenta un impegno economico per l'acquisto e la gestione di fontanelle e dispenser, ma che viene ripagato in termini di brand reputation e dall'apprezzamento dei nostri ospiti, molto sensibili a queste tematiche». Riscontrate, quindi, che il viaggiare e il turismo sostenibile si stanno diffondendo sempre più tra i clienti? «Il turismo responsabile si abbina sempre di più al desiderio di autenticità in tutte le sue sfumature: dalla ricerca di paesaggi autentici alla scoperta dell'essenza del territorio, oltre al bisogno sempre più sentito di entrare in contatto in maniera più profonda con sé stessi, vivere in totale libertà il mare e rilassarsi. Una vacanza ecosostenibile e di qualità valorizza uno stile di vita sano, permette di entrare in contatto con i sapori e le tradizioni dell'isola. Anche i nostri ospiti lo percepiscono e la scelgono consapevolmente per fare la loro parte nella salvaguardia del pianeta». Una scelta green può rappresentare anche un punto di forza nella difficile ripartenza post pandemia? «Sì, in questi anni abbiamo imparato che fare delle scelte etiche e in chiave sostenibile ripaga sempre e dà i suoi frutti nel lungo periodo, anche da un punto di vista economico. E possiamo dirlo dopo 29 anni di esperienza: quando abbiamo iniziato non si parlava tanto di sostenibilità e le iniziative a favore dell'ambiente non erano ancora così diffuse. Questo periodo storico che stiamo vivendo ci ha fatto capire quanto il cambiamento sia diventato necessario e urgente, per questo la sensibilizzazione verso questi temi è importantissima e cruciale nello sviluppo di un turismo ecosostenibile». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 23/12/2021

23 Dicembre 2021

Tomasi (Aspi): «Il nostro piano per una rete solida e sostenibile. Anticipiamo le esigenze della mobilità del domani»

L'amministratore delegato di Autostrade per l'Italia racconta a SustainEconomy.24 anche gli obiettivi e le sfide di Free To X che punta a un network di oltre 100 stazioni di ricarica al 2023 Porre la sostenibilità al centro di tutte le fasi di vita dell'infrastruttura autostradale è l'impegno del piano di Autostrade per l'Italia per una rete solida e diffusa. L'amministratore delegato di Aspi, Roberto Tomasi, racconta a SustainEconomy.24, gli obiettivi e le sfide di Free To X, la startup nata quest'anno, che punta a realizzare un network di 100 stazioni di ricarica da completare entro il 2023, e che viaggia con una frequenza di 4/5 stazioni ogni mese. Il traffico non è ancora ai livelli pre-pandemia, ma l'auto sembra essere maggiormente resiliente tra i diversi sistemi di trasporto scelti dai cittadini. Una nuova visione di mobilità è uno dei pilastri del Piano di Autostrade per l'Italia. Ma è possibile combinare gli obiettivi di profitto e di eccellenza operativa con una attenzione ai parametri della sostenibilità? «Non solo è possibile ma è anche doveroso. L'Italia è in una fase di ricostruzione, sta vivendo un periodo simile a quello del dopoguerra nella seconda metà del ‘900. La sfida della crescita oggi, però, non può prescindere dal contesto in cui deve compiersi. Il Piano di Trasformazione avviato nel 2020 è il punto di partenza di un percorso destinato a ridefinire visione e strategia del Gruppo, ponendo la sostenibilità al centro del processo. Autostrade per l'Italia vuole essere leader nell'applicazione dei criteri di sostenibilità nella realizzazione e gestione di una infrastruttura complessa e, come tale, vuole portare il proprio contributo alle iniziative per un "Green New Deal". Nel corso del 2021, Autostrade per l'Italia ha consolidato questa ambizione, definendo i temi materiali e gli obiettivi di sostenibilità e lanciando una serie di iniziative volte a inserire stabilmente criteri di Esg nella gestione del ciclo di vita dell'infrastruttura. In questo ambito, è stato anche avviato un processo di certificazione Esg e sono stati sottoscritti gli impegni per una transizione "Net Zero" con SBTi. Garantire una rete sicura e resiliente; mettere al centro la competenza, in un ambiente di lavoro inclusivo; favorire una nuova esperienza di viaggio con l'offerta di servizi innovativi e, soprattutto, porre la sostenibilità al centro di tutte le fasi di vita dell'infrastruttura, rappresentano le sfide per un Gruppo che punta a svolgere un ruolo chiave nello sviluppo di un nuovo modello di mobilità sostenibile da porre al servizio del Paese. E ottenere anche un posizionamento negli indici delle agenzie internazionali di rating Esg». Con Free To X volete cambiare l'esperienza di viaggio. E l'attenzione ai viaggiatori passa dal cashback alla realizzazione della più estesa rete italiana di colonnine di ricarica per veicoli elettrici sulla rete autostradale. A che punto siete? E quali sono i prossimi passi? «Free To X è la nostra start-up, nata nel 2021, proprio con l'obiettivo di sviluppare servizi avanzati per la mobilità, offrendo soluzioni per migliorare l'esperienza di viaggio a 360°, puntando su innovazione, tecnologia e Esg. La strategia industriale di Free To X è pienamente in linea con gli obiettivi del Recovery Fund e della Legge di Stabilità e facilita gli spostamenti di medio-lungo raggio sulle quattro ruote, considerati prioritari da moltissimi cittadini a seguito della pandemia. Il primo progetto in cui la nuova società si è impegnata è la realizzazione in Italia della più grande rete di ricarica ad alta potenza (High Power Charger – HPC) per veicoli elettrici, in ambito autostradale. L'entrata in funzione, lo scorso maggio, della prima stazione HPC (con colonnine in grado di erogare almeno 300 kW di potenza, da 4 a 8 punti di ricarica che permettono tempi medi di ricarica di 15 – 20 minuti) per i veicoli elettrici, nell'area di servizio di Secchia Ovest e della seconda stazione, situata a nord di Roma, si è dato inizio alla realizzazione del Network di 100 stazioni che assicureranno da nord a sud una interdistanza media di 50 km in autostrada. Tale piano verrà completato entro il 2023, con un investimento complessivo di 75 milioni di euro, completamente autofinanziati dalla società e consentirà tempi di "rifornimento" celeri e compatibili con un viaggio anche di lunga percorrenza con un'auto elettrica (ad esempio Milano-Roma) e assicurando un'esperienza di viaggio simile a quella di un veicolo con motore tradizionale a combustione interna. Ad oggi il piano sta vedendo l'avvio delle attività con una frequenza di 4/5 stazioni ogni mese; è stato presentato il 100% delle richieste di allaccio ai distributori locali e la totalità dei progetti di realizzazione; oltre il 50% ha ricevuto il via libera dagli enti locali».  Lei crede che si arriverà ad avere autostrade a emissioni zero, con veicoli elettrici a batteria o a idrogeno? «Secondo i dati dell'osservatorio sulla mobilità elettrica di Motus-E, tra gennaio e novembre 2021 sono stati venduti in Italia circa 125 mila mezzi elettrici. Le previsioni di mercato parlano di una forte crescita di questo settore: il target al 2030 è di oltre 6 milioni di veicoli full-electric in circolazione. Di qui, per noi l'istanza di investire fortemente sull'infrastrutturazione della rete autostradale. Il nostro compito è farci trovare pronti all'accelerazione che anche la mobilità sta vedendo sul fronte della sostenibilità e di contribuire noi stessi a fare in modo che lo sviluppo sostenibile viaggi a una maggiore velocità. Sul principio della neutralità tecnologica Free To X ha avviato progetti per la realizzazione di stazioni di ricarica fuori rete e stazioni per alimentazioni alternative come, per esempio, Lng e idrogeno. Ritengo che l'unico modo per far penetrare sistemi sostenibili di mobilità sia dapprima creare una rete solida e diffusa su tutto il Paese». Gli italiani chiedono un cambio di paradigma nel modo di viaggiare?  «Credo che il punto centrale sia non tanto l'esistenza di una richiesta quanto il dovere di saperla anticipare, soprattutto nel settore infrastrutturale è necessario muoverci oggi per essere pronti alle esigenze di domani. Storicamente e ciclicamente le rivoluzioni infrastrutturali producono un diretto e sostanziale sviluppo, nel caso specifico sostenibile. Questo approccio di lungo periodo è alla base del nostro piano industriale che ci vede impegnati per il Sistema Paese con 21,5 miliardi di euro che saranno dedicati alla mobilità a tutto tondo. Stiamo, come noto, intervenendo su tutte le infrastrutture della nostra rete con dei piani di ammodernamento che possano estenderne la vita utile, affinché siano sostenibili negli anni e adeguate per i viaggiatori. Intanto il mondo e anche il nostro Paese stanno andando nella direzione della digitalizzazione e anche qui il nostro contributo avviene tramite Free To X insieme a un piano di trasformazione digitale che ha come obiettivo l'uso della tecnologia per facilitare il viaggio, per esempio mostrando in anticipo i tempi di percorrenza attesa sulle nostre autostrade per pianificare al meglio e in modo sostenibile gli spostamenti». Siamo alle porte del Natale e all'inizio di un nuovo anno, ancora con la minaccia della pandemia. Cosa si aspetta?   «La variante Omicron è giustamente sotto la massima attenzione ed è doveroso che tutti continuiamo a fare il massimo per il contenimento del virus. In questi due anni abbiamo registrato importanti cali di traffico, soprattutto durante i periodi di intenso lockdown e abbiamo cercato di contribuire alla ripartenza senza fermare mai i nostri presidi operativi e anche portando avanti i lavori di ammodernamento sulle opere infrastrutturali con 300 cantieri aperti mediamente ogni giorno. I flussi sono risaliti da allora, non ancora ai livelli di traffico pre-pandemia ma senz'altro l'auto sembra essere maggiormente resiliente tra i diversi sistemi di trasporto. Un ruolo a sé poi è ricoperto dal traffico pesante, anche per via dell'evoluzione dei consumi online, registrata in questi due anni che ha coinvolto tutta la filiera dell'autotrasporto in movimento sulle autostrade. Considerando lo scenario attuale diventa ancora più importante sviluppare soluzioni che possano contribuire a snellire i flussi, pianificare il viaggio e lavorare su ogni nodo che possa facilitare il percorso, aumentando così la sostenibilità del viaggio». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 23/12/2021

10 Dicembre 2021

Lovrinovich (Guida Michelin): «Più attenzione a territorialità e sostenibilità. Premiamo i più responsabili»

Il direttore della guida italiana traccia un bilancio del panorama della ristorazione stellata e delle scelte sostenibili Cresce l'attenzione alla territorialità e alla sostenibilità e le esperienze culinarie appaiono più ricercate ma con una maggiore creatività in grado anche di ridurre lo spreco. Il direttore della Guida Michelin Italia, Sergio Lovrinovich, a pochi giorni dalla pubblicazione della nuova edizione, traccia un bilancio del panorama della ristorazione che ha meritato le iconiche stelle a SustainEconomy.24, report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School.  Tante le novità al Sud e tra i giovani. E parla anche delle stelle verdi che vogliono promuovere chi si impegna per una gastronomia più sostenibile e responsabile. Avete appena pubblicato la nuova Guida Michelin che assegna le iconiche stelle. Sta cambiando il mondo della ristorazione? Ci sintetizza il quadro che emerge dalla nuova edizione? «Sono stati due anni molto particolari e difficili che hanno portato diversi cambiamenti. Abbiamo assistito ad un utilizzo abbastanza capillare dei menu degustazione o, comunque, di menu à la carte più ristretti, a base di materie prime stagionali; questo tipo di scelta può facilitare le preparazioni in cucina, acuire la creatività e potenzialmente ridurre lo spreco. Ne sono scaturite esperienze culinarie ancora più ricercate, uniche e personalizzate, in stile ‘omakase', o proposte in cui lo chef ha carta bianca e può esprimere la sua creatività secondo la disponibilità degli ingredienti. Cresce l'attenzione alla territorialità e alla sostenibilità, preziosi passi verso una ristorazione sempre più responsabile. Nella selezione Italia 2022 troviamo novità stellate in 14 regioni, con tante novità al Sud, compresi due nuovi ristorante 2 stelle in Campania. Un altro dato molto interessante è che il 50% degli chef che hanno preso la stella ha un'età pari o inferiore a 35 anni. In diversi casi sono degli under 30». Oltre alle mitiche stelle che distinguono le cucine più meritevoli, avete deciso di riservare una particolare attenzione al tema della sostenibilità ed è nata la stella verde. Ce ne parla? «La sostenibilità ispira e nutre l'intera strategia di Michelin. Domani tutto sarà sostenibile in Michelin. Questa è la visione del Gruppo e ad essa è dedicata l'energia di tutti i dipendenti. La Guida Michelin, come riferimento internazionale nel campo della gastronomia, vuole quindi impegnarsi per promuovere coloro che si impegnano per una gastronomia più sostenibile, e quindi una società più sostenibile. Valutiamo ogni aspetto della gastronomia che tocca da vicino o da lontano temi legati allo sviluppo sostenibile: la produzione delle materie prime, il loro smaltimento, il modo in cui viene gestito un ristorante passando anche attraverso la formazione dei giovani, le azioni mirate a minimizzare l'utilizzo delle risorse energetiche e l'impatto della struttura sull'ambiente, l'impegno sociale. La gastronomia è uno strumento per veicolare i messaggi e pensare a un mondo più virtuoso. I nostri lettori sono i primi a condividere con noi i loro pensieri sull'argomento e noi li ascoltiamo».  SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 10/12/2021

10 Dicembre 2021

Romito: «La cucina del futuro deve essere consapevole e accessibile. Aprirò un Campus per formare gli chef»

Per lo chef 3 stelle Michelin la sostenibilità deve guidare le scelte quotidiane e mangiare bene deve diventare una condizione universale La sostenibilità deve diventare una consuetudine, un'abitudine, il denominatore comune che guida le scelte quotidiane perché non ci possiamo più permettere di rimandare. Niko Romito, chef tre stelle Michelin e imprenditore, che ha fatto dell'etica e delle scelte consapevoli il suo stile, racconta a SustainEconomy.24, report di Luiss Business School e Il Sole 24 Ore Radiocor, l'impegno per la cucina del futuro, «consapevole e accessibile» perché la creatività deve rimanere personale ma deve essere utile. Parla della riduzione degli sprechi, l'attenzione alla territorialità e alla stagionalità perché il cibo sarà il driver della sostenibilità dell'economia e dell'ambiente. E, osserva, «mangiare bene non può essere una scelta ma una condizione universale». Anche per questo aprirà, entro il 2023 un Campus per formare gli chef del futuro. Cosa significa sostenibilità per uno chef 3 stelle? «Il concetto di sostenibilità deve diventare una consuetudine, un'abitudine, il denominatore comune che guida le scelte quotidiane della gente e non può essere che così, il mondo non può più prescindere perché non ce lo possiamo più permettere. Il tema della sostenibilità del cibo ci impone regole molto rigide perché dopo anni in cui abbiamo immaginato di poter rimandare il cambiamento ora davvero non c'è più tempo. Noi cuochi dobbiamo far mangiare bene, la nostra creatività deve rimanere personale e identitaria ma dev'essere utile, deve perseguire lo stesso obiettivo senza sacrificare la personalità del singolo. Dobbiamo ragionare su un nuovo modello di formazione per diffondere i dogmi della cucina del futuro, consapevole e accessibile; il mio impegno è in una ricerca incessante su come le tecniche e gli insegnamenti dell'alta cucina possono essere messi in circolo in format popolari, per fare arrivare la massima qualità al maggior numero di persone La formazione di alta qualità dei nuovi cuochi, dei cuochi del futuro è ciò che rende capillare questo intento perché è la consapevolezza che guida le scelte di tutti noi. Mi sono chiesto come possiamo instaurare un dialogo con l'agroindustria per poter 'scalare' la qualità, cioè come possiamo sfruttare la forza produttiva e distributiva che solo l'industria ha, mantenendo integra l'eccellenza qualitativa di trasformazione dell'alta ristorazione e della ristorazione di ricerca. Bisogna colmare il divario enorme che c'è nel pensiero comune, nell'attribuzione del 'buono' al prodotto artigianale e del 'meno buono' al prodotto industriale. Questo è uno stereotipo che oggi è fuori dal tempo, perché se riusciamo a 'guidare' il processo industriale con il sapere e la competenza di un cuoco, che poi traduce le conoscenze acquisite dalla ricerca, in un'offerta gastronomica coerente, allora la sinergia può diventare importante nel determinare quel cambiamento culturale collettivo che oggi è necessario». Quanto sono importanti le 3 R (riciclare recuperare riutilizzare) nella sua visione?  «Il cibo sarà sempre di più al centro della costruzione di un futuro possibile per il pianeta. Diventerà un driver decisivo dell'economia, della salute, della sostenibilità ambientale. Oggi i valori che hanno segnato il mio percorso di cuoco e di imprenditore, ispirati a una creatività sostenibile, sono sempre più al centro della riflessione sul futuro del nostro settore: la riduzione degli sprechi alimentari attraverso il ciclo e il riciclo di tutte le parti delle materie prime; la territorialità che prediligendo le filiere corte aiuta l'economia agricola di qualità e il recupero delle coltivazioni autoctone; la stagionalità, che eviti al cibo viaggiare da un capo all'altro del mondo inquinando; il recupero di alimenti unici della dieta mediterranea come i legumi; l'applicazione di metodi standardizzati di trasformazione del cibo per renderlo parte della soluzione e non dell'aggravarsi della salute collettiva». L'alimentazione e il benessere sono al centro dell'agenda internazionale: qual è il suo approccio? «Al centro del mondo ora c'è la salute e lo abbiamo capito davvero quando tutto quello che ognuno di noi considerava prezioso, importante, lussuoso, è diventato superfluo, inconsistente e inutile di fronte alla minaccia alla salute mondiale. Quindi il cuoco del futuro dovrà cucinare avendo bene in mente che l'esercizio creativo dev'essere subordinato a perseguire un obiettivo etico imprescindibile e cioè la salute di chi mangia. Noi cuochi dobbiamo lavorare per questo, dobbiamo studiare, pensare, provare e riprovare per trovare l'equilibrio perfetto tra gusto e salute, tra bilanciamento nutrizionale e soddisfazione del palato. Nel mondo di oggi il lusso è comprendere, conoscere e soprattutto scegliere. Ma mangiare bene non può più essere una scelta, dev'essere una condizione universale. Gusto e salute sono due elementi che possono e devono coesistere. Il nostro lavoro, il lavoro dei cuochi ma anche quello dei medici, è di educare le persone a mangiare meglio offrendo soluzioni che siano salutari e al contempo gratificanti. Bisogna formare le figure che saranno portabandiera di questo cambiamento ma anche di diffondere un'educazione alimentare nella collettività, perché per saper scegliere bisogna conoscere e comprendere». Quali sono le principali iniziative già intraprese e quali in cantiere? «L'area di intervento che ritengo più incisiva rispetto a questo argomento è quella della ristorazione collettiva, perché la partita evidentemente si gioca sui grandi numeri. Dobbiamo fare lo sforzo di rendere gli investimenti e lo studio applicati all'alta ristorazione, la chiave con la quale rendere accessibile a tutti un cibo di qualità che tenga insieme salute e riduca gli sprechi alimentari. Il mio è un percorso imprenditoriale e gastronomico, che va dal ristorante gourmet alla mensa dell'ospedale. Nel momento in cui il mio laboratorio di studio e ricerca che è al Reale, riesce a far arrivare al grande pubblico parte delle conoscenze sviluppate e dei risultati acquisiti, allora significa che stiamo lasciando un segno che può arrivare a tutti. Nel 2016, in collaborazione con la Sapienza, è nato il progetto Intelligenza Nutrizionale, di cui ho già parlato diffusamente, con cui di fatto, abbiamo riscritto i protocolli di trasformazione del cibo di due ospedali di Roma. Abbiamo reingegnerizzato i processi di trasformazione degli alimenti, di servizio e di lavoro legati al cibo, con l'obiettivo di aumentarne la piacevolezza e insieme il potere nutrizionale. Questo è un progetto che è molto più di uno chef stellato nella cucina di un ospedale. Se fosse solo questo non sarebbe né particolarmente nuovo né probabilmente duraturo. L'obiettivo è il ripensamento – dal punto di vista gestionale oltre che alimentare – dell'intera catena ristorativa. Lo sviluppo di questi protocolli, partendo dalla lezione dell'alta cucina, creano prodotti per il grande pubblico, consentono di standardizzare processi e procedure e di garantire una qualità costante nel tempo. Quello che ho imparato nei laboratori del Reale l'ho trasferito su tutto quello che cucino. Perché è partendo da un nuovo approccio alla trasformazione degli alimenti che si crea e si diffonde una consapevolezza nuova, collettiva sul ruolo del cibo nel preservare e migliorare la salute, nel tutelare l'ambiente e nel generare una nuova energia emotiva e fisica. Sono convinto che facendo dialogare i format gastronomici con le tecniche e conoscenze dell'alta ristorazione si può ottenere un risultato di qualità, costante e sostenibile oltre a creare un'economia territoriale che genera posti di lavoro. Per questo ho deciso di creare un Campus universitario di ricerca e alta formazione, che aprirà le porte entro il 2023, che immagini e istruisca la nuova figura del cuoco. Uno degli obiettivi fondamentali è quello di democratizzare e di rendere accessibile il cibo di qualità a fasce di persone e a modelli di ristorazione quanto più ampi possibile. Ad un certo punto nella vita c'è anche voglia di far qualcosa a prescindere dal proprio obiettivo originario, di lasciare qualcosa di utile e che porti beneficio a persone e ambienti che sono in situazioni socialmente difficili. Osservando e vivendo la direzione in cui sta andando il mondo, vivendo in prima persona il problema sociale del cibo, della malnutrizione e di tutta la filiera agroalimentare, ho capito che i cuochi del futuro devono essere formati diversamente, più consapevolmente». Qual è il ruolo del territorio per uno chef che non ha mai abbandonato Castel di Sangro? «Credo anche che, sempre di più, il cibo sia ambasciatore dell'ecosistema da cui proviene; e intendo con questa parola non solo il territorio agricolo ma anche il contesto culturale, le abitudini di preparazione e consumo degli alimenti che sono diverse da Paese a Paese, da famiglia a famiglia, e che contribuiscono a creare la nostra identità. Il cibo rappresenta tutto questo, e oggi ne abbiamo sempre più consapevolezza. Gli scarti nella cultura contadina italiana sono stati la scintilla per inventare, riusare, dare nuova vita, attraverso la trasformazione creativa, al cibo. Tanto dell'unicità straordinaria della gastronomia italiana si fonda sul principio morale che il cibo non si butta. Si può dare ad esso nuova dignità grazie ad un gusto palatale imprevisto e una apparenza visiva essenziale. E riportarlo così a tavola per la gioia di chi lo mangerà.  Da questo pensiero atavico che ha attraversato generazioni di donne mi sono fatto contaminare non solo nella mia creatività culinaria, ma anche come imprenditore che vive quotidianamente la responsabilità di creare valore dal suo lavoro senza arrecare danno alla società, alla comunità, al pianeta.  Chi conosce la storia mia e di Cristiana, che è la padrona di casa del Reale, sa quanto siamo legati ad un'idea di territorio, di radici, di cultura locale come elemento distintivo del nostro essere imprenditori del cibo, dell'accoglienza, della formazione. Nel mio percorso ho dovuto dire dei no risultati fondamentali per rendere unico questo crescita professionale e imprenditoriale. Forse il più importante è stato a chi mi proponeva, dopo soli pochi anni di professione, di guidare un grande ristorante abbandonando l'Abruzzo. Ecco, non abbandonare la mia terra, su tutte le altre scelte, mi ha reso il cuoco, l'imprenditore, l'uomo che oggi sono. Non abbandonare i sapori della mia terra, ma anzi dedicarmi con sforzo alla ricerca dell'essenza della loro unicità, mi ha permesso di definire il mio stile distintivo e, apparentemente, semplice. Uno stile che elaborato e perfezionato insieme ai meri ragazzi nel mio quartier generale di Casadonna a Castel di Sangro, sulle montagne abruzzesi oggi ogni giorno viene gustato e apprezzato dai palati di donne e uomini a Pechino, Dubai, Shanghai, Roma, Milano e domani Parigi, Mosca e chissà dove altro ancora. Probabilmente solo restando qui nel mio piccolo paese arroccato sulla montagna abruzzese la mia filosofia ha potuto contaminare diversi continenti e capitali mondiali».  SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 10/12/2021

10 Dicembre 2021

Petrini (Slow Food): «Serve un cambio di paradigma. Attenzione all'economia locale, non all'online»

Carlo Petrini, il fondatore del movimento, vede una sensibilità maggiore, soprattutto dei giovani per il cibo buono, pulito e giusto. E spiega che il senso vero della sostenibilità sta nell'essere qualcosa che dura nel tempo C'è una sensibilità maggiore dei cittadini, e soprattutto dei giovani alla sostenibilità e all'attenzione al cibo «buono, pulito e giusto», come il suo motto. Ne è convinto Carlo Petrini, punto di riferimento del settore agroalimentare e fondatore di Slow Food, l'associazione internazionale no profit nata più di trenta anni fa come antidoto alla ‘fast life' e oggi presente in 160 Paesi, in tutti i continenti. In un'intervista a SustainEconomy.24, report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School, Petrini sottolinea la necessità di un cambio di paradigma perché, spiega, il senso vero della sostenibilità sta nell'essere qualcosa che dura nel tempo. Abbandonare il consumo e il profitto, quindi, per focalizzarsi sui beni comuni e l'economia circolare. E alla politica dice: serve attenzione all'economia locale e ai territori e non ad un'economia online decentralizzata di pochi che non pagano le tasse nei Paesi in cui operano. Ora si parla solo di transizione e sostenibilità. Lei è stato un precursore, nella difesa del cibo "buono, pulito e giusto" e dei territori. È davvero cambiato qualcosa in questi anni? È cresciuta una sensibilità su questo fronte, da parte di molti cittadini e sicuramente da parte dei giovani. Si comincia a capire compiutamente che parlare di cibo, e immaginare un nuovo sistema alimentare, è strettamente connesso ad un'operazione di salvaguardia dell'ambiente, dell'equità e della dignità del mondo contadino. C'è una sensibilità maggiore». Quindi vede una risposta nei cittadini-consumatori? «Sì, perché c'è un modo anche concreto per dimostrare le proprie opinioni e questo modo concreto è come si fanno gli acquisti. Vedo una sensibilità maggiore sul rafforzamento dell'economia locale, sintetizzato sotto il simbolo del kilometro zero. È un atteggiamento che ha cambiato completamente il modo di pensare di molti cittadini, attraverso i mercati contadini e le buone pratiche di un'economia che è più attenta alla biodiversità e alle risorse locali che non agli interessi delle grandi multinazionali». Oggi, nel mondo del cibo e della ristorazione, cosa vuol dire essere sostenibili? Quali sono i valori che rendono questo settore sostenibile? «Innanzitutto, c'è una grande confusione sul termine ‘sostenibilità'. Molti pensano che derivi da ‘sostenere' e quindi se si fanno delle scelte devono essere fatte per sostenere gli investimenti economici e la produzione. Invece, non è questo il significato della sostenibilità che deriva, piuttosto, da ‘sustain', il pedale del pianoforte che allunga la durata delle note; allora hanno ragione i francesi quando traducono sostenibile con ‘durable'. Perché il senso vero della sostenibilità è qualunque iniziativa che io intraprendo - nel metodo di produrre o di distribuire o di viaggiare o di realizzare allevamenti o produzioni di cibo - tale che i risultati di queste azioni possano durare di più nel tempo. È questo il significato vero ed è un cambio di paradigma. Prima si pensava che le cose prima si consumavano è meglio era, e se duravano poco anche meglio, purché il sistema produttivo e distributivo e consumistico fosse l'elemento più importante che valorizzava il Pil, oggi si comincia a capire che i risultati delle nostre azioni devono mirare a fare in modo che quel prodotto e quella iniziativa che ho intrapreso abbia una più lunga durabilità. Allora capiamo anche che c'è un diverso modo di concepire il rapporto che abbiamo con la natura. Prima il focus più importante era il consumo e il profitto oggi il baricentro si sposta sui beni comuni, sui beni relazionali e su un certo tipo di economia circolare che garantisce che non si butta via niente, che c'è meno spreco e che i prodotti durano di più». La pandemia non ha aiutato le piccole realtà del territorio. Se potesse lanciare un appello alle istituzioni e alla politica cosa direbbe? Cosa si potrebbe fare? «Questo disastro della pandemia ha anche messo in evidenza forme di resistenza che molte persone hanno applicato nelle loro scelte quotidiane e anche la natura si è ripresa uno spazio che gli avevamo tolto. Ma dal punto di vista delle comunità io ho visto prove straordinarie di solidarietà: forme di negozi di vicinato, forme di aiuto reciproco, è stato anche un fenomeno di mobilitazione generosa. Cosa raccomanderei in questa fase di passaggio per quanto riguarda le scelte politiche ed economiche? Di concentrarsi fortemente sull'economia locale perché se sposto il baricentro verso un'economia locale, la ricchezza che possiamo generare a partire dai nostri territori e metto meno in evidenza quella economia e quelle produzioni che sono di tipo monopolistico, allora farò l'interesse di più persone e non l'interesse di pochi che, molto spesso, traggono benefici dei territori ma poi non pagano le tasse nei Paesi in cui operano, e sto parlando di grandi nomi. In questo momento darei più importanza ai mercati contadini, alle realtà di territori e ai negozi dei piccoli centri piuttosto che ad un'economia online decentralizzata e frutto di poche persone». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 10/12/2021

10 Dicembre 2021

Patuanelli: «Tuteliamo le eccellenze del made in Italy e informiamo i consumatori. Un ufficio al Mipaaf per la gastronomia»

L'intervista del Ministro delle Politiche agricole a SustainEconomy.24 Sostenibilità e tutela del made in Italy e dell'enogastronomia «che porta sulle tavole del nostro Paese e all'estero le eccellenze del patrimonio agroalimentare». Il ministro delle Politiche agricole, Stefano Patuanelli in un'intervista a SustainEconomy.24, il report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School, parla delle principali sfide del comparto. A partire dalla sostenibilità che «è la chiave di volta di ogni modello agricolo futuro». Si sofferma sulla difesa del made in Italy e quanto al tavolo sull'enogastronomia, voluto per un settore, quello della ristorazione, in difficoltà con la pandemia, e «che aveva bisogno di avviare e mantenere un dialogo aperto con le istituzioni», racconta della proposta di creare al ministero un ufficio dedicato alle politiche di settore. E ribadisce la contrarietà al Nutriscore, l'etichetta nutrizionale a semaforo: è inaccettabile perché il consumatore ha bisogno di essere informato e non condizionato. Nell'alimentare e nel cibo made in Italy si parla sempre più di sostenibilità. È una moda o vede risultati concreti? «La sostenibilità rappresenta la chiave di volta di ogni modello agricolo futuro. I regimi ecologici, i cosiddetti "ecoschemi" rappresentano un elemento innovativo e fortemente caratterizzante della nuova Pac. Forniscono un sostegno a favore dell'applicazione da parte degli attori del settore agroalimentare di regimi volontari per il clima, l'ambiente e il benessere degli animali. Se non si riuscirà a mettere in equilibrio l'esigenza della produzione e della sostenibilità economica con la sostenibilità ambientale, l'abbandono delle terre, delle zone più svantaggiate diventerà realtà. Proprio per questo dobbiamo investire nelle tecnologie. Tramite l'ammodernamento dei processi produttivi possiamo aumentare la sostenibilità, la resilienza, la transizione verde e l'efficienza energetica del settore». Ministro, lei è in prima linea nella difesa e promozione delle nostre eccellenze sulle tavole italiane ed estere. Cosa serve al settore? «I nostri prodotti di eccellenza sono frutto di tradizioni, territori e comunità agricole, e rappresentano un punto di forza sul piano dell'economia locale e per il made in Italy nel mondo. Il nostro sistema agroalimentare va accompagnato per tutelare la qualità e l'eccellenza che lo contraddistingue. Diventa a questo punto fondamentale favorire un sempre maggior coordinamento tra i diversi attori del mondo agroalimentare, sia nel pubblico che nel privato, e continuare a portare avanti campagne promozionali adeguate e azioni comunicative mirate. Solo così potremo parlare di sviluppo competitivo dei territori, corretta conoscenza delle produzioni regionali di qualità targate made in Italy, consapevolezza da parte del consumatore della qualità del prodotto che si trova a consumare. Le battaglie condotte dal Ministero in materia di etichettatura di origine e di etichettatura nutrizionale sono basate sulla ferma convinzione che la totale trasparenza sia lo strumento principale per tutelare i prodotti di qualità e tutta la filiera, rendendo un servizio al cittadino.È noto l'impegno del ministero in termini di salvaguardia della dieta mediterranea e del prodotto di qualità rispetto a contraffazioni e italian sounding. In questo senso un contributo fondamentale è svolto dall'ICQRF che tutelare e valorizza l'agroalimentare italiano attraverso il contrasto a tutti quei comportamenti fraudolenti che minano le corrette relazioni di mercato. La scorsa settimana è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto legislativo sulle pratiche sleali che entrerà in vigore dal 15 dicembre. Una legge importantissima che garantirà finalmente un maggiore equilibrio tra produttori, distributori e consumatori». La pandemia è stato un duro colpo per il settore della ristorazione. Ha convocato il tavolo tecnico dedicato alla gastronomia italiana per avvicinare le Istituzioni al comparto. Qual è la fotografia emersa e quali vogliono essere i propositi di questo strumento? «È fondamentale per il nostro Paese investire nella giusta direzione per tutelare l'enogastronomia, che porta sulle tavole del nostro Paese e all'estero le eccellenze del nostro patrimonio agroalimentare. Abbiamo pensato, io e la viceministra allo Sviluppo economico Todde, quando abbiamo deciso di convocare il primo tavolo della gastronomia, che il settore avesse bisogno di avviare e mantenere un dialogo aperto con le istituzioni, per affrontare tutte le criticità e rappresentare le proprie esigenze e progettualità. I problemi sono tanti e toccano le competenze di vari ministeri: il Mipaaf, il Mise, il Lavoro. Per quanto di mia competenza ho proposto di realizzare al Mipaaf un ufficio dedicato alle politiche di settore e di filiera, che credo possa rappresentare un importante punto di riferimento amministrativo per ricavare risposte efficaci ed efficienti da questo scambio di idee e di vedute». Il Green Deal può giocare un ruolo anche nella formazione del consumatore verso sistemi alimentari più consapevoli e sostenibili. Cosa si può fare e che tipo di risposta vede a livello dei cittadini? «Il Green Deal è strettamente legato al tema dell'informazione nutrizionale. Un cibo fatto da pochi e semplici ingredienti è dal punto di vista economico e ambientale molto più sostenibile di tutti quei cibi iper trasformati che portano a un maggior consumo di acqua, a un maggior consumo di energia, ad esigenze di trasporto molto complesse e quindi a un maggior impatto sull'ambiente. Proprio per questo, per le nostre metodologie produttive e per i nostri prodotti, è inaccettabile adottare l'etichetta nutrizionale a semaforo, il Nutriscore. Il consumatore ha bisogno di essere informato e non condizionato. Cercheremo di convincere anche altri Paesi, e ci stiamo riuscendo, perché riteniamo sbagliato per i cittadini e i consumatori europei un approccio basato su un algoritmo, senza alcuna base scientifica».  SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 10/12/2021