News & Insight
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01 Dicembre 2023

I Rapporti Territoriali di Fondimpresa - Anno 2021

Dalla formazione finanziata un impulso alla competitività delle imprese e all'occupabilità dei lavoratori Il 13 dicembre, a partire dalle 11.00, avrà luogo l’evento di presentazione dei risultati dell’analisi degli interventi formativi finanziati da Fondimpresa nel corso del 2021. L’evento, realizzato nell’ambito della presentazione dei Rapporti territoriali 2021 da Luiss Business School, Fondazione ADAPT, EU.R.E.S. Ricerche Economiche e Sociali e Fondazione Giuseppe Di Vittorio, fa il punto su come la formazione, generata dai diversi canali di finanziamento del Fondo, abbia interessato le imprese e i lavoratori nei diversi settori del territorio nazionale con uno specifico focus sulle regioni del Nord. AGENDA 10.30 Registrazione 11.00 Saluti e Introduzione ai lavoriSergio Viceconte, Presidente Articolazione Territoriale di Fondimpresa LazioFabrizio Potetti, Vicepresidente Articolazione Territoriale di Fondimpresa Lazio 11.30 I risultati della Ricerca - I rapporti territoriali di Fondimpresa, Anno 2021Matteo Giuliano Caroli, Direttore della ricerca, Professore Ordinario di Gestione delle imprese internazionali alla Luiss Guido Carli, Associate Dean per la Sostenibilità e l’impatto e Responsabile dell’Area Ricerca applicata e osservatori alla Luiss Business School 11.50 Tavola rotonda: “Dalla formazione finanziata un impulso alla competitività delle imprese e all’occupabilità dei lavoratori”Lucia Valente, Avvocato giuslavorista; Professore Ordinario di Diritto del Lavoro all’Università La Sapienza di RomaSilvia Ciucciovino, Professore ordinario di Diritto del lavoro all’Università di Roma TreAntonio Cocozza, Professore Ordinario di Sociologia dei processi economici e del lavoro all’Università degli studi Roma TreRiccardo Mazzarella, Ricercatore INAPPModera: Luca Lo Bianco, Ricercatore Istituto Eures Ricerche Economiche e Sociali 12.15 ConclusioniAnnamaria Trovò, Vicepresidente Fondimpresa REGISTRATI ONLINE REGISTRATI IN PRESENZA

24 Novembre 2023

Da Luiss Business School e Fondirigenti un progetto per l’aggiornamento delle competenze dei consiglieri di amministrazione

Comunicato Stampa Autovalutazione e nuovi modelli formativi per l’upskilling e il reskilling manageriale Consentire ai consiglieri di amministrazione di identificare il proprio fabbisogno di competenze per svolgere efficacemente il ruolo e disporre di modelli formativi aggiornati che, partendo dalle specificità individuali, siano capaci di colmare eventuali lacune. È questo l’obiettivo ultimo del progetto promosso da Fondirigenti – il fondo interprofessionale di Confindustria e Federmanager per la formazione dei dirigenti - e realizzato da Luiss Business School che mira a mappare gli skill gaps e i conseguenti fabbisogni formativi per rafforzare le competenze dei consiglieri di amministrazione. Quattro le fasi di sviluppo del progetto: un primo momento destinato a fotografare la configurazione dei CdA delle imprese italiane in termini di caratteristiche strutturali, demografiche e cognitive; uno stadio successivo con  una rilevazione puntuale del livello di competenze e di esigenze di formazione dei singoli manager; un terzo step di realizzazione di uno strumento di autovalutazione dei manager chiamati a svolgere il ruolo di consiglieri di amministrazione, ed una fase finale in cui viene disegnato un futuro modello formativo, che si avvale di strumenti innovativi e metodologie modulari. “Il CdA ha il delicato compito di assicurare la gestione e il controllo dell’impresa, e dettarne le strategie di sviluppo future. Per questo è importante identificare le ‘giuste’ competenze, in termini tecnici e manageriali, per ricoprire efficacemente questo ruolo, anche a fronte dei continui cambiamenti di scenario geo-politici ed economici, che caratterizzano questa fase - spiega il Direttore Generale di Fondirigenti - Massimo Sabatini. Abbiamo voluto promuovere questo progetto, nell’ambito delle nostre iniziative strategiche, per aggiornare ed affinare gli strumenti più adeguati a ricoprire, con consapevolezza e professionalità, posizioni di responsabilità nell’ambito dei consigli di amministrazione, definendo un modello formativo applicabile a tutto il territorio nazionale”. Saranno circa 200 i consiglieri di amministrazione ed 80 le imprese operanti sul territorio nazionale coinvolti in interviste e survey. A queste ultime si aggiungeranno momenti di confronto con gli stakeholder chiave dell’ecosistema: esponenti di Fondirigenti, Confindustria, Federmanager, HR Manager di consolidata esperienza, attori istituzionali e rappresentanti della business community. “Il Consiglio di Amministrazione è il principale organo di governo delle imprese e svolge un ruolo fondamentale dal punto di vista strategico – ricorda Enzo Peruffo, Associate Dean for Education & Partnership Luiss Business School e Direttore scientifico del progetto. Negli ultimi anni la ricerca accademica ha posto particolare attenzione ai temi della “diversity e inclusion” all’interno dei consigli di amministrazione evidenziando che quelli con maggiore eterogeneità sono più efficaci nel monitoraggio del management e godono di prospettive più ampie che si traducono in effetti positivi sulla performance finanziaria e sostenibile delle aziende. Alla luce di questo, molte organizzazioni stanno rivedendo i propri processi di governance, rinnovando la configurazione dei propri CdA per promuovere una maggiore efficacia dell’organo consiliare. Il Progetto di Luiss Business School e Fondirigenti - conclude Enzo Peruffo - si inserisce in questo ambito con l’obiettivo di produrre dei risultati che abbiano un reale impatto sulle competenze di tutti i consiglieri e che permettano alle aziende di trarne il massimo beneficio”. I dettagli del progetto qui Roma 23/11/2023

09 Novembre 2023

Il futuro dell'HR manager tra intelligenze umane e artificiali

Come deve rispondere l’HR manager alle sfide della tecnologia? I docenti Lucia Marchegiani ed Enrico Maria Marino disegnano il percorso di ricostruzione della professione per gli specialisti del settore L'intelligenza artificiale sta cambiando il mondo del lavoro sin dal momento della selezione del personale. Senza fare l’errore di considerare l’AI come qualcosa di futuribile, negli uffici HR i sistemi legati a questa tecnologia sono già impiegati nelle operazioni più nascoste, come la selezione dei curricula e l’interazione con i candidati che non proseguono i percorsi di selezione. Le potenzialità dell’intelligenza artificiale saranno l’origine di nuove sfide per i professionisti della gestione delle risorse umane, che dovranno però contrapporre solide conoscenze e rinnovate competenze. Ai, propulsore del lavoro dell’uomo Human & Artificial, ma anche Augmented resources: l'innovazione ha un impatto sempre maggiore sulle funzioni aziendali e sul business. Si fa l’errore di considerarla una cosa del futuro, ma ha già permeato le aziende e i diversi settori. Nell’ambito delle risorse umane, l'intelligenza artificiale è già presente in alcune operazioni quotidiane senza apparente valore aggiunto. «È nella parte più nascosta e operation dell’HR – spiega Enrico Maria Marino, Global Human Resources Director presso JIL SANDER | MARNI – OTB Group – ripulisce le nostre attività dalle ripetizioni apparentemente senza valore aggiunto. In tutto il processo che riguarda sia la ricerca sia la selezione, l’AI ci dà una mano: dallo screening dei cv ai rapporti con i candidati che non vanno avanti nei processi di selezione». Ma l'intelligenza artificiale può portare vero valore aggiunto nella customizzazione quasi sartoriale, ad esempio, del percorso di formazione. Ciò è possibile grazie anche alla virtualizzazione di questi programmi, fattore che solo la tecnologia ha reso possibile. «In un mondo sempre più virtualizzato, l'intelligenza artificiale può avere il suo impatto anche nella relazione con i colleghi in giro per il mondo. La conoscenza delle lingue non sarà più un ostacolo all'interazione, proprio grazie alla traduzione simultanea eseguita dai nuovi sistemi. L'intelligenza artificiale diventa il propulsore dell'azione lavorativa dell'umano». Ai e competenze: dove agire Quando si parla di competenze che possano rispondere a questa accelerazione tecnologica, c’è da chiedersi quanto sia una responsabilità dell'HR Manager e quanto invece debba essere condivisa con It Specialist, Digital Specialist, Digital Transformation Officer. Il dubbio sul presidio dell'interazione uomo macchina porta a guardare alla formazione del professionista HR, ma anche degli altri ruoli apicali», spiega la professoressa Lucia Marchegiani, Direttore Scientifico dell’Executive Master e Professore Associato di Organizzazione e Gestione delle Risorse Umane, Luiss Business School. «Bisogna fare in modo che l'azienda possa avere una cultura aziendale in cui le cose accadono e ogni manager ha la responsabilità di far evolvere la cultura aziendale – risponde Marino – come funzione, l’HR è l’unica trasversale. Quindi abbiamo il dovere di essere un passo avanti, almeno in formazione, rispetto a chi si occupa solo del business. Le altre funzioni si aspettano stimoli da noi, proprio come l'intelligenza artificiale, che sta apprendendo da noi e non viceversa. L'AI può avere lo stesso impatto che l'introduzione della robotica ha avuto per il lavoro nelle fabbriche: senza l'input umano, è inutile». Sulle conoscenze Marino mette in evidenza che la solidità dell’intelligenza umana resta ancora la base su cui costruire le decisioni. «Si è enfatizzato il rapporto di sudditanza rispetto alla tecnologia. Dato che oggi non si è più ingabbiati in una job description rigida ed è sempre possibile recuperare le nozioni necessarie grazie alla disponibilità delle stesse su Internet, bisogna fuggire dalla superficialità della conoscenza di base. Infatti, senza una solida base, la possibilità di sbagliare è maggiore. La tecnologia diventa la cartina al tornasole per le nostre decisioni o per intercettare quello che non va nei processi. Il lavoro ne può essere alleggerito per recuperare creatività e immaginazione nella propria funzione d'azienda». Dunque, è necessario acquisire competenze nuove, che integrino questo nuovo scenario HR. Il long life learning resta al centro della funzione. Poi c'è un tema di approccio all’intelligenza artificiale. «Non bisogna aver paura – continua Marino – non saremo in grado di arginare il dilagare dell'intelligenza artificiale, che permeerà tutte le nostre attività sia di business che di HR. La nostra forza sarà quella di incanalare le energie che comporta questo cambiamento verso gli obiettivi che ci prefiggeremo. Ma per poterlo fare dobbiamo sapere di cosa stiamo parlando, effetti collaterali compresi». Affrontare il cambiamento con gli strumenti giusti Il tema dell’intelligenza artificiale in relazione al settore HR è trattato anche nel programma dell’Executive Master in Gestione delle Risorse Umane, Organizzazione e Leadership targato Luiss Business School. Il percorso offre un’opportunità di formazione avanzata rivolta a manager HR, professionisti e imprenditori desiderosi di ampliare le proprie conoscenze e competenze nei processi di people strategy. Il master è destinato a coloro che sono interessati a una carriera nella funzione HR o desiderano acquisire una comprensione più approfondita delle questioni legate alla gestione delle Risorse Umane e dell’Organizzazione Aziendale. Gli interventi della professoressa Lucia Marchegiani, Direttore Scientifico dell’Executive Master e Professore Associato di Organizzazione e Gestione delle Risorse Umane, e di Enrico Maria Marino, Global Human Resources Director presso JIL SANDER | MARNI – OTB Group e docente dell'Executive Master in Gestione delle Risorse Umane, Organizzazione e Leadership, sono stati raccolti durante il webinar “Da HR Manager a H&AR Manager”. L’evento si è tenuto venerdì 20 ottobre alle 18:00, presso Villa Blanc, il campus Luiss Business School di Roma. 09/11/2023

AI hr

06 Novembre 2023

Boost your Career with our MBAs and Build the Future you Want!

L’Open Day Online è un’esperienza unica di incontro con Luiss Business School e il suo staff ovunque il tuo lavoro ti tengono impegnata/o. Durante l’evento la responsabile dell’area MBA ti condurrà attraverso le discipline, i laboratori e le attività che caratterizzano i programmi Luiss Business School, illustrando le peculiarità della metodologia didattica sempre più accessibile e innovativa. I nostri master sono concepiti per rispondere alle esigenze sempre più sfidanti che il mercato pone ai professionisti junior e senior e che Luiss Business School riesce a interpretare e gestire con efficacia grazie a career advisor di alto profilo. Le loro esperienze animeranno il webinar e saranno preziose occasioni di confronto. L’eccellenza e un modello formativo boundless, intimate, and transformative richiedono cura nella formazione delle classi attraverso un processo di ammissione che sarà illustrato nel dettaglio dal nostro Recruitment Office. Le borse di studio rientrano tra le opportunità di sostegno alla formazione offerte ai nostri prospect. Chiedi maggiori dettagli durante l’evento. AGENDA Presentazione dell’offerta formativaQ&A sessionBreakout room dedicate ai singoli MBA QUANDO: 6 dicembre 2023 ORE: dalle ore 17.00 alle ore 19.00 DOVE: Online La partecipazione all’evento ti consentirà di essere esonerata/o dal pagamento dell’Admission Fee pari a €105 per le prossime due date di selezione: 14 o 21 dicembre 2023. Per partecipare è necessaria la registrazione. REGISTRATI Per ulteriori informazioni contatta il team recruitment inviando un’e-mail a recruitment@luissbusinessschool.it.

06 Novembre 2023

Maria Isabella Leone: “Le nuove sfide manageriali si vincono con i role model e l’equità di coppia”

La docente Luiss Business School interverrà alla cerimonia dedicata al Premio Minerva il prossimo 7 novembre con un intervento su lavoro femminile, gender pay gap e ruoli apicali Secondo Claudia Goldin, premio Nobel per l’economia, il progresso non ha coinciso con una maggiore facilità delle donne nel partecipare al mercato del lavoro. La presenza femminile nel mercato del lavoro era più alta nel Settecento, quando l’economia era prevalentemente agricola, rispetto alla fase successiva di industrializzazione, dove era più difficile bilanciare le esigenze familiari con quelle del lavoro distante da casa, ed è ripresa a crescere con la nascita del terzo settore. Oggi il tema del gender gap è ancora aperto. Ruoli apicali, retribuzioni e scelte di carriera sono i terreni su cui le organizzazioni stanno investendo per attrarre talenti, senza distinzione di genere. Il 7 novembre, in occasione del Premio Minerva Azienda d’Eccellenza, Maria Isabella Leone, Direttrice dell’area MBA Programs e dell’Osservatorio su equità di genere nella Sanità della Luiss Business School, dialogherà su questi temi, mettendo in evidenza le nuove sfide per management e leadership inclusivi. Come l’organizzazione del lavoro deve evolvere per migliorare la produttività, la vita delle persone e l'inclusione? Attraverso il suo approccio storico, Claudia Goldin ha messo in evidenza che non è sufficiente la crescita economica per favorire l’inclusione di genere, ma è necessario includere nell’analisi il contesto familiare e le possibilità di bilanciare lavoro e famiglia, la cosiddetta equità di coppia, e il welfare statale. In aggiunta, l’evoluzione verso forme di lavoro flessibile potrebbe ulteriormente favorire la convergenza dei ruoli tra uomini e donne, ancora così lontani, per effetto del cosiddetto “lavoro avido”. Cosa si intende con lavoro avido? Quello che richiede di stare tante ore in ufficio, di essere iper-presente, di fare straordinari. Questa condizione non favorisce l’equità di coppia, dal momento che uno dei due dovrà rinunciare a lavorare per poter dedicare del tempo alla famiglia e molto spesso chi rinuncia è la componente femminile che ha assunto, negli anni, le responsabilità e le aspettative sociali di “care giver”. Lo dimostrano i dati sul lavoro delle donne secondo cui, in Italia, soprattutto dopo la nascita di un figlio, il tasso di occupazione femminile – già basso – cala. Così, in 22 paesi Ue su 27 il tasso di occupazione di quelle con 3 figli è più alto. Poi c’è il tema dell’orizzonte di riferimento nelle decisioni. Ci sono differenze negli orizzonti femminili e maschili? Certo. La Premio Nobel argomenta che tradizionalmente gli uomini hanno adottato un orizzonte temporale di lungo periodo nel considerare l’impatto delle loro scelte di istruzione sul lavoro, per le donne invece vale il discorso contrario, per cui spesso l’orizzonte si interrompe o sospende per eventi familiari, in particolare la maternità. Non solo, considerando che molte scelte vengono effettuate ad un’età molto giovane, spesso sono compiute e indirizzate rispetto a riferimenti proposti e perpetuati dalle generazioni passate. Per questo appare così importante e necessario avere dei role model nuovi, che permettano di mettere in luce fin da subito delle possibilità alternative e lavorare sull’elemento culturale attraverso una maggiore consapevolezza. A questo scopo Luiss Business School dedica il Progetto Grow - Generating Real Opportunities For Women, che ha l’obiettivo di promuovere, sostenere e migliorare lo sviluppo personale e professionale delle studentesse con particolare attenzione all’inserimento nel mondo del lavoro e alla promozione della carriera professionale. Obiettivo: raggiungere posizioni di vertice in aziende, amministrazioni, enti, università e altre organizzazioni. Infatti, con questo progetto portiamo in aula modelli di donne in ruoli apicali che permettono di creare un circolo virtuoso con le nostre studentesse per far capire loro che essere donna non significa dover rinunciare alla propria carriera e alle proprie ambizioni. Come scuola di formazione, ci poniamo l’obiettivo di far sì che le donne siano più lungimiranti nel progettare un percorso professionale futuro e che possano confrontarsi costantemente tra loro. Uno degli strumenti formativi più importanti del progetto è la shadow experience: quali sono gli aspetti che rendono questa attività uno strumento per generare vera inclusività manageriale? La shadow experience permette di vivere l’esperienza di un manager o di una persona in una posizione di responsabilità al femminile. L’obiettivo è far vivere i diversi stili di leadership. In questo momento di grandi cambiamenti nel mondo del lavoro, questo è il primo passo per poter essere competitivi. Dal punto di vista femminile, vedere e analizzare come una leadership carismatica ed empatica, con la responsabilità di tante persone da gestire, possa essere possibile. Significa offrire uno specchio di quello che è possibile fare senza privarsi di ampi orizzonti di carriera. Management al femminile: quale sono le sfide contemporanee? Ce ne sono diverse e passano anche per qualche pregiudizio. Ad esempio? È una conoscenza diffusa il fatto che in famiglia oramai serve un secondo stipendio per poter affrontare le dinamiche attuali del mercato del lavoro. Al contrario non viene mai preso in considerazione quanto favorire il lavoro femminile rappresenti un passaggio di crescita professionale, lungimirante, che renda il reddito una questione solo conseguente. Basti pensare, infatti, che anche quando c’è il secondo stipendio in casa, molto spesso deriva da lavori più flessibili ma meno retribuiti, disegnati ad hoc per non sottrarre alla donna il tempo necessario per la cura della famiglia. Il secondo stipendio, rimane dunque come tale, anziché promotore di crescita professionale delle donne. Per questo il tema dell’educazione e del role modeling resta fondamentale. Che influenza può avere il role modeling? Oggi le donne in ruoli apicali non si fermano a raccontare la propria esperienza solo nelle università, ma vanno al liceo, alle medie, alle elementari pur di diffondere il messaggio che si può essere professionisti e donne e che bisogna pensarci subito. Obiettivo: far vedere che l’alternativa esiste e che bisogna essere lungimiranti per sé stesse in base alla proprie aspirazioni personali e professionali, senza dover rinunciare a nessuna delle due sfere. Cosa significa? Con l’incertezza attuale, è necessario essere indipendenti e dotarsi di un networking solido, frutto di momenti di socializzazione autonoma, che diano vita a comunità di pari con cui confrontarsi e condividere queste esperienze - il Premio Minerva ne rappresenta un bell’esempio. Inoltre, si devono superare le sindromi tipiche delle donne di non sentirsi mai all’altezza, di non essere in grado di riuscire a combinare le proprie ambizioni senza doversi sentire in colpa di rinunciare a qualcosa. Quale sarà il ruolo dell'open innovation in questo contesto? Potrà contribuire a implementare la presenza femminile nei ruoli apicali? L’open innovation favorisce la contaminazione tra diverse realtà aziendali. Ci si confronta con diversi tipi di organizzazioni (ad es. startup, corporate), modelli di lavoro, e professionalità. Scoperchia il bacino di talenti, di competenze, anche femminili sparse nel mondo lavorativo. L’open innovation affiancata alla diffusione territoriale dei modello hub & spoke, promossi dalle grandi Corporate per attivare questi bacini, potrebbe quindi aiutare anche l’attivazione di equilibri a livello familiare che permettono il raggiungimento di un’equità di coppia - e quindi di genere - funzionale a una nuova crescita economica. Non solo, mette in luce anche il potenziale della imprenditoria femminile, che ha sperimentando una crescita più forte rispetto alla controparte maschile nel quinquennio 2014-2019 (+2,9% rispetto allo +0,3%), rappresentando dunque un percorso alternativo di carriera, che può essere d’ispirazione. D’altro canto, nelle Corporate stanno fioccando le nuove posizioni dedicate alla diversity& inclusion per poter attrarre e mantenere i talenti femminili, selezionando candidate con profili Stem, abilitando percorsi di coaching professionale e role modeling e shadowing.   06/11/2023

30 Ottobre 2023

I Rapporti Territoriali di Fondimpresa - Anno 2021

Dalla formazione finanziata un impulso alla competitività delle imprese e all'occupabilità dei lavoratori Il 20 novembre, a partire dalle 11.00, avrà luogo l’evento di presentazione dei risultati dell’analisi degli interventi formativi finanziati da Fondimpresa nel corso del 2021. L’evento, realizzato nell’ambito della presentazione dei Rapporti territoriali 2021 da Luiss Business School, Fondazione ADAPT, EU.R.E.S. Ricerche Economiche e Sociali e Fondazione Giuseppe Di Vittorio, fa il punto su come la formazione, generata dai diversi canali di finanziamento del Fondo, abbia interessato le imprese e i lavoratori nei diversi settori del territorio nazionale con uno specifico focus sulle regioni del Nord. AGENDA 10.30  Registrazione 11.00   Saluti e Introduzione ai lavori Dario Voltattorni, Presidente OBR Fondimpresa Lombardia Innocenzo Mesagna, Vicepresidente OBR Fondimpresa Lombardia Paolo Mora, Direttore Generale Istruzione, Formazione e Lavoro Regione Lombardia 11.30  I risultati della Ricerca - I rapporti territoriali di Fondimpresa, Anno 2021 Matteo Giuliano Caroli, Direttore della ricerca, Professore Ordinario di Gestione delle imprese internazionali alla Luiss Guido Carli, Associate Dean per la Sostenibilità e l’impatto e Responsabile dell’Area Ricerca applicata e osservatori alla Luiss Business School. 11.50  Tavola rotonda: “Dalla formazione finanziata un impulso alla competitività delle imprese e all’occupabilità dei lavoratori” Nadio Delai, Sociologo Gabriele Ballarino, Professore Ordinario di Sociologia economica presso l'Università degli studi di Milano Luciano Pero, Docente presso School of Management del Politecnico di Milano Modera: Margherita Roiatti, Ricercatrice Fondazione ADAPT 12.15  Conclusioni Elvio Mauri, Direttore Generale Fondimpresa REGISTRATI ONLINE REGISTRATI IN PRESENZA

24 Ottobre 2023

Valore PA 2023: i corsi Luiss Business School per i dipendenti della Pubblica Amministrazione

Di seguito, sono elencati i corsi proposti nell'ambito del bando Valore PA '23, previsti per l'anno 2024. Si precisa che la pubblicazione dei calendari e l'erogazione di tali corsi è soggetta all'approvazione da parte dell'INPS. Seguiranno aggiornamenti a partire dai primi mesi del 2024 e varranno pubblicati in questa pagina. I corsi in presenza si svolgeranno presso le sedi della Luiss Guido Carli e della Luiss Business School. Non è prevista un’opzione di erogazione ibrida, ogni corso sarà erogato esclusivamente in modalità online o in presenza. CORSI I LIVELLO Comunicazione efficace: utilizzo dei nuovi mezzi di comunicazione pubblica con i cittadini attraverso un approccio innovativo. Regole e strumenti per comunicare attraverso i social - ascolto efficace, organizzazione delle informazioni 50 ore – modalità: esclusivamente in presenza I siti web delle amministrazioni pubbliche: organizzazione delle pagine web e dei contenuti.  Ottimizzazione dei contenuti per una navigazione più accessibile e fluida da parte dell’utenza e bilanciamento tra le esigenze di pubblicazione con quelle di riservatezza 40 ore - modalità: esclusivamente online Lavoro in gruppo e sviluppo delle capacità di comunicare e utilizzare gli strumenti digitali che favoriscano la condivisione del lavoro anche a distanza - gestione delle relazioni e dei conflitti 50 ore - modalità: esclusivamente in presenza Personale, organizzazione e riforma della pubblica amministrazione - pianificazione, misurazione e valutazione della performance 50 ore – modalità: esclusivamente in presenza CORSI II LIVELLO Produzione, gestione e conservazione dei documenti digitali e/o digitalizzati - sviluppo delle banche dati di interesse nazionale - sistemi di autenticazione in rete - big data management 60 ore - modalità: esclusivamente online Progettazione di modelli di servizio, innovazione, analisi e revisione dei processi di lavoro per il miglioramento dei servizi all'utenza - qualità del servizio pubblico 60 ore - modalità: esclusivamente online Progettazione e gestione dei fondi europei - tecniche per realizzare iniziative innovative e di successo a supporto dello sviluppo - sviluppo sostenibile e transizione ecologica 60 ore - modalità: esclusivamente in presenza Gestione della contabilità pubblica servizi fiscali e finanziari. Il controllo e la valutazione delle spese pubbliche 80 ore - modalità: esclusivamente in presenza

18 Ottobre 2023

Le organizzazioni hanno bisogno di coaching di qualità

Al via il Flex Executive Programme in Coaching di Luiss Business School riconosciuto come Level 2 dalla International Coaching Federation Il coaching non è solo una parola di gran moda. È una metodologia e un approccio che aiuta le persone a sviluppare il meglio di sé e a implementare nuove scelte rispetto alle abitudini consolidate nei propri percorsi professionali e personali. Il coach è la figura capace di compiere questa rivoluzione copernicana, e  deve essere dotato della giusta formazione, i cui standard sono riconosciuti a livello internazionale. A questo scopo è dedicato il Flex Executive Programme in Coaching di Luiss Business School, la prima Business School in Italia accreditata dall’International Coaching Federation (ICF). Flex Executive Programme in Coaching: caratteristiche e obiettivi Il master, in partenza il 27 ottobre, offrirà ai partecipanti una nuova opportunità. Consente di ottenere le credenziali ICF fino al livello 2, riconosciute in tutto il mondo come standard di qualità. Esse rappresentano un requisito importante per le organizzazioni chiamate ad individuare i professionisti cui affidare lo sviluppo delle proprie risorse e dei propri manager. In più di 130 ore di lezione, in presenza e da remoto, si alterneranno momenti d’aula, laboratori, sessioni e mentoring guidati da coach dell’International Coaching Federation. Anna Zanardi Cappon, Pop in Leadership and Corporate Values, Luiss Business School, International board and governance advisor, e referente scientifico del Programma, e Paolo Palazzo, Executive coach (PCC, ICF), Adjunct professor e coordinatore scientifico dell’Executive Programme Coaching Luiss Business School, spiegano perché oggi le organizzazioni hanno bisogno di coaching di qualità. Il programma targato Luiss Business School ha ricevuto il riconoscimento Level 2 dell'International Coaching Federation: cosa significa per chi si trova davanti alla scelta di un percorso formativo dedicato al coaching? Palazzo: Luiss Business School ha una lunga esperienza nell’utilizzo del coaching nei programmi di formazione. I coach che lavorano con la scuola rispondono alle core competences dell’International Coaching Federation ICF, che conta oltre 50 mila professionisti. Il riconoscimento da parte di ICF certifica la qualità di contenuti, approcci e modalità, trovandoli conformi ai suoi standard internazionali di qualità. Partecipare al Flex Executive Programme in Coaching significa anche inserirsi nella community della Scuola. Inoltre, le credenziali ICF sono riconosciute anche all’interno di numerosi bandi di gara pubblici. Che ruolo ha il coaching nella formazione dei leader del futuro? Zanardi: Oggi si deve affrontare anche un tema di riposizionamento strategico della persona all’interno di uno scenario post sindemico che ha trasformato l’identità professionale e manageriale delle persone. All'interno di un percorso di coaching si può comprendere come usare al meglio alcuni dei propri talenti o come riutilizzare la propria esperienza all'interno di un'organizzazione in costante cambiamento. Quindi il coaching è un tool di Hr strategy a cui ormai nessuno più rinuncia. È alla base delle aziende che vogliono davvero occuparsi di persone, soprattutto dopo la sindemia, momento che ha messo in evidenza in modo ancora più forte che le persone fanno la differenza e, senza di esse, non si può conseguire il risultato economico in maniera sostenibile. Il coaching aiuta sia l'individuo che il team, e nel corso ci occuperemo anche di team coaching, per aiutare le persone a lavorare al meglio insieme, con risultati visibili sulla business performance finale. Tenendo presente questo, il coaching può rinforzare l'autoconsapevolezza e l'efficacia interpersonale dei leader. Può lo strumento del coaching diventare elemento strutturale delle nuove culture organizzative rivolte anche alle nuove generazioni?  Quali sarebbero gli effetti sull'impresa? Zanardi: Dopo la sindemia, i nuovi modelli organizzativi sono più centrati a rispondere alle esigenze individualizzate delle persone. Siamo tornati a una situazione in cui bisogna comprendere le esigenze organizzative individuali, gli spazi desiderati, quanto si vuole lavorare in remoto e come si vuole gestire la propria presenza nell’organizzazione a livello fisico e in smart working. Ma soprattutto si cerca di capire il senso rinnovato del proprio impegno lavorativo nel contesto della propria esistenza. Tutto quanto porta a una riflessione e a un adattamento della persona all’organizzazione, è oggetto di coaching. Il che conferma che si tratta di uno strumento di cui le aziende non possono più fare a meno. Si è osservato che le Generazioni Z sono simili a quelle dei Baby Boomers nella valorizzazione del collettivo, nell’accento sulla qualità della vita e relazione anche come elemento di performance. Quindi accentuare questi aspetti è una delle risposte che le imprese attraverso il coaching possono dare alle Generazioni Z. Ma c’è un’altra cosa che il coaching può fare per queste persone. Quale? Zanardi: Aiutare a ridisegnare un senso e un’identità professionale, che si è completamente trasformata durante e nel post-Covid. Le organizzazioni hanno bisogno di comprendere la direzione da intraprendere perché non ci sono esperienze pregresse che lo spieghino. È stato un cambiamento radicale. L’effetto più profondo è stato la cancellazione del confine tra vita e lavoro. C’è stato uno scontro tra queste due dimensioni. Quindi oggi le organizzazioni devono rispondere in modo totale, globale, rotondo a esigenze sia di vita che di lavoro. Come farlo? Palazzo: L’inserimento delle persone Gen Z nelle organizzazioni non è facile. Il motivo sta nelle esigenze, valori e bisogni che in una certa misura sono diversi da quelli dei Millennials. Proprio perché il coaching favorisce la consapevolezza di sé, la riflessione sui propri e altrui bisogni attraverso le competenze di ascolto e introspezione, questo permette un dialogo più efficace tra le generazioni. C’è bisogno di capire cosa vuole l’altra persona per allinearsi. Il coaching può essere lo strumento giusto per raggiungere questo obiettivo, perché permette un ampliamento di prospettiva e percezione. Qual è il potenziale del coach accreditato operante all'interno di un'azienda? Palazzo e Zanardi: Le aziende hanno bisogno di coaching di qualità e il percorso di Luiss Business School è stato pensato proprio per questo. È un grosso facilitatore di cambiamento, che può portare a un aumento della produttività e dei valori dei parametri di business performance. Il fatto che le persone riflettano su di sé e stiano meglio fra loro anche quando lavorano in team, abbassa il rischio operativo. Questo è un tema che va a rinforzare un migliore sviluppo dei piani strategici e industriali all’interno delle aziende.

16 Ottobre 2023

Scrivere il futuro attraverso il restauro: un libro racconta la storia di Villa Blanc

Presentato il volume "Villa Blanc. Rinascita di un monumento tra eclettismo e modernità", oggi sede di Luiss Business School Villa Blanc non è solo la sede di Luiss Business School, ma un interessante progetto di restauro conservativo, che ha ridato nuova vita a uno degli esempi di eclettismo più alti presenti a Roma. L’impresa è raccontata nel volume "Villa Blanc. Rinascita di un monumento tra eclettismo e modernità", a cura degli architetti Giovanni Carbonara, teorico del restauro e capofila della “scuola romana”, recentemente scomparso, e Massimo Picciotto, responsabile del progetto di recupero della Villa. Il libro racconta il percorso, non sempre agevole, avviato nel 2010 e portato avanti in questi anni dalla Luiss Guido Carli, al fine di preservare e valorizzare un complesso architettonico finito in uno stato di completo abbandono e decadenza. L'audacia e la perseveranza si sono dimostrate essere qualità essenziali per raggiungere questo obiettivo, restituendo a Villa Blanc il suo pregevole valore e una rinnovata bellezza. «Oggi Villa Blanc è la sede di Luiss Business School, una realtà viva, attiva – ha dichiarato Luigi Abete, Presidente Luiss Business School – Luiss Guido Carli aveva bisogno di una sede per economia e commercio. Così abbiamo fatto un investimento. Oggi Villa Blanc si è trasformata da bene privato individuale in bene privato collettivo. Ci sono voluti vent’anni per ottenere tutte le autorizzazioni per riportare in vita la struttura, creare il parco e dare un ettaro di questo spazio in comodato gratuito alle scuole di zona. L’esperienza di Villa Blanc ci ha insegnato che per fare le cose belle, bisogna vedere l'orizzonte. Se non si ha fiducia nel futuro, soprattutto con la complessità italiana, non le si fa. Noi siamo stati resilienti e abbiamo saputo apprezzare i risultati ottenuti. Il libro "Villa Blanc. Rinascita di un monumento tra eclettismo e modernità" in qualche modo testimonia tutto questo». Villa Blanc: dal suo primo restauro alla nuova vita Villa Blanc nasce nel segno della trasformazione. Nel 1893 il barone Alberto Blanc acquista il sito della vigna di proprietà dalla Marchesa Violante Fiorelli, nel territorio circostante la Basilica di Sant'Agnese fuori le mura. Il complesso è un possedimento rustico fuori porta. Sarà il barone, dopo aver svolto il suo ruolo di Ministro degli Affari Esteri del terzo governo Crispi, a trasformarla in una residenza adeguata al prestigioso incarico. L'opera di costruzione della villa segue un progetto di tipo sperimentale, guidato dal progettista Francesco Mora e dall'archeologo Giacomo Boni. Insieme, combinano operazioni di tipo archeologico, raffinate decorazioni e tecniche avanzate negli impianti e nell'architettura. Gli apparati decorativi della villa si devono ad Alessandro Morani e Adolfo De Carolis, e raggiungeranno livelli di eclettismo mai visti prima in Italia, in particolare nelle opere di terracotta invetriata che troviamo all'esterno, nelle facciate che avvolgono il giardino d'inverno e nel fumoir. La sala degli specchi è la più antica della villa. Qui il barone aveva raccolto ed esposto una preziosa collezione di arazzi fiamminghi del Settecento, ora conservate ad Amsterdam. Nella sala da pranzo, al centro tra la Sala degli Specchi, il Giardino d'inverno e il fumoir spicca il camino monumentale quattrocentesco realizzato in marmo bianco. Tre archi incorniciano la prospettiva sul Giardino d'Inverno, che insieme alla Sala da Ballo è uno degli ambienti aggiunti da Giacomo Boni al corpo centrale. È considerato il giardino d'inverno più grande d'Europa. Per il suo allestimento, furono fatti giungere dalla città olandese di Arlens 10 mila bulbi di tulipano, rose, lillà e azalee. Sotto la Sala da Pranzo si trova lo Spazio Ipogeo. Si trattava forse di un luogo per riti e riunioni esoteriche. La Sala da Ballo, realizzata verso la fine del 1896, con un intervento di ampliamento della villa, raggiunge livelli di eclettismo altissimi grazie alle strutture metalliche e al soffitto di ispirazione mediorientale. Le pareti vetrate e la vista integrale sul parco rafforzano l'idea di massima integrazione tra la natura e l'opera dell'uomo, altamente ricercato da tutta la cultura dell'Ottocento. Anche il giardino si caratterizza per un analogo accostamento di stili, temi e suggestioni, in cui non mancano elementi antiquari ed elementi esotici come la collezione di palme. Alla morte del barone Blanc, avvenuta a Torino nel maggio 1904, la villa passa alla moglie Natalia e poi ai tre figli. Il parco si arricchisce di altri sette edifici minori. Dopo anni di abbandono, nel 1997 la Luiss Guido Carli acquista tramite asta pubblica il complesso. Dopo un lungo e accurato lavoro di ricerca, progettazione, restauro e valorizzazione, trasforma Villa Blanc nella sede della Luiss Business School. Dialogo sul restauro di Villa Blanc Un emozionato Giovanni Lo Storto, Direttore Generale, Luiss, ha guidato una tavola rotonda in cui gli architetti Federica Galloni e Massimo Picciotto hanno dialogato con lui sul restauro conservativo di Villa Blanc, sintetizzabile in tre parole: bellezza, coraggio e passione. Nel 2009 bisognava aprirsi la strada nella foresta di Alianti, definito come parco storico: c’è voluta una squadra di 30 professionisti e più di oltre 100 operai, diretti da Massimo Picciotto, architetto e curatore del restauro di Villa Blanc. Gli elementi fondamentali del restauro conservativo sono stati: minimo intervento, compatibilità dello stesso con la parte strutturale e una funzione compatibile con ciò che il complesso poteva offrire. «Quando si restaura un bene come Villa Blanc bisogna dargli la giusta funzione, per dargli una vita perenne. Luiss Business School aveva tutte le caratteristiche per raggiungere l'obiettivo e questo è stato lo spirito che ci ha guidati», ha dichiarato Picciotto. «Il public management è inteso come una sovrabbondanza di norme, spesso inutili e farraginose – ha spiegato Federica Galloni, Architetto – Villa Blanc è uno degli interventi di valorizzazione che rientra in una consapevolezza. Per non consegnare questo enorme patrimonio di beni culturali a un degrado certo, bisognava attribuirgli delle nuove funzioni, compatibili con le strutture, per far rivivere eccellenze come quella in cui siamo ora. L’intervento su Villa Blanc resta un fiore all’occhiello per questa città». «Questa è la storia di un restauro conservativo e di un recupero di memoria. Perdere quella di una comunità significa perderne il futuro – ha dichiarato Vincenzo Boccia, Presidente, Luiss – Questo è un libro della memoria che ci ricorda cosa è accaduto e che ci insegna che le cose belle si conquistano non sempre in maniera facile. Villa Blanc è una storia di caparbietà. I valori fondamentali della visione che ha preso corpo qui parte dall'avanguardia culturale di Confindustria, di cui dobbiamo avere memoria. Villa Blanc è un gioiello che si innesta in valori formativi in cui la bellezza diventa un elemento integrante della formazione».   Gli interventi sono stati raccolti durante la presentazione del libro "Villa Blanc. Rinascita di un monumento tra eclettismo e modernità”, tenutasi giovedì 14 settembre alle 17.30, in via Nomentana 216, a Roma. Hanno partecipato: Luigi Abete, Presidente, Luiss Business School; Federica Galloni, Architetto; Massimo Picciotto, Architetto e curatore del restauro di Villa Blanc; Giovanni Lo Storto, Direttore Generale, Luiss; Vincenzo Boccia, Presidente, Luiss. 16/10/2023

09 Novembre 2023

Il futuro dell'HR manager tra intelligenze umane e artificiali

Come deve rispondere l’HR manager alle sfide della tecnologia? I docenti Lucia Marchegiani ed Enrico Maria Marino disegnano il percorso di ricostruzione della professione per gli specialisti del settore L'intelligenza artificiale sta cambiando il mondo del lavoro sin dal momento della selezione del personale. Senza fare l’errore di considerare l’AI come qualcosa di futuribile, negli uffici HR i sistemi legati a questa tecnologia sono già impiegati nelle operazioni più nascoste, come la selezione dei curricula e l’interazione con i candidati che non proseguono i percorsi di selezione. Le potenzialità dell’intelligenza artificiale saranno l’origine di nuove sfide per i professionisti della gestione delle risorse umane, che dovranno però contrapporre solide conoscenze e rinnovate competenze. Ai, propulsore del lavoro dell’uomo Human & Artificial, ma anche Augmented resources: l'innovazione ha un impatto sempre maggiore sulle funzioni aziendali e sul business. Si fa l’errore di considerarla una cosa del futuro, ma ha già permeato le aziende e i diversi settori. Nell’ambito delle risorse umane, l'intelligenza artificiale è già presente in alcune operazioni quotidiane senza apparente valore aggiunto. «È nella parte più nascosta e operation dell’HR – spiega Enrico Maria Marino, Global Human Resources Director presso JIL SANDER | MARNI – OTB Group – ripulisce le nostre attività dalle ripetizioni apparentemente senza valore aggiunto. In tutto il processo che riguarda sia la ricerca sia la selezione, l’AI ci dà una mano: dallo screening dei cv ai rapporti con i candidati che non vanno avanti nei processi di selezione». Ma l'intelligenza artificiale può portare vero valore aggiunto nella customizzazione quasi sartoriale, ad esempio, del percorso di formazione. Ciò è possibile grazie anche alla virtualizzazione di questi programmi, fattore che solo la tecnologia ha reso possibile. «In un mondo sempre più virtualizzato, l'intelligenza artificiale può avere il suo impatto anche nella relazione con i colleghi in giro per il mondo. La conoscenza delle lingue non sarà più un ostacolo all'interazione, proprio grazie alla traduzione simultanea eseguita dai nuovi sistemi. L'intelligenza artificiale diventa il propulsore dell'azione lavorativa dell'umano». Ai e competenze: dove agire Quando si parla di competenze che possano rispondere a questa accelerazione tecnologica, c’è da chiedersi quanto sia una responsabilità dell'HR Manager e quanto invece debba essere condivisa con It Specialist, Digital Specialist, Digital Transformation Officer. Il dubbio sul presidio dell'interazione uomo macchina porta a guardare alla formazione del professionista HR, ma anche degli altri ruoli apicali», spiega la professoressa Lucia Marchegiani, Direttore Scientifico dell’Executive Master e Professore Associato di Organizzazione e Gestione delle Risorse Umane, Luiss Business School. «Bisogna fare in modo che l'azienda possa avere una cultura aziendale in cui le cose accadono e ogni manager ha la responsabilità di far evolvere la cultura aziendale – risponde Marino – come funzione, l’HR è l’unica trasversale. Quindi abbiamo il dovere di essere un passo avanti, almeno in formazione, rispetto a chi si occupa solo del business. Le altre funzioni si aspettano stimoli da noi, proprio come l'intelligenza artificiale, che sta apprendendo da noi e non viceversa. L'AI può avere lo stesso impatto che l'introduzione della robotica ha avuto per il lavoro nelle fabbriche: senza l'input umano, è inutile». Sulle conoscenze Marino mette in evidenza che la solidità dell’intelligenza umana resta ancora la base su cui costruire le decisioni. «Si è enfatizzato il rapporto di sudditanza rispetto alla tecnologia. Dato che oggi non si è più ingabbiati in una job description rigida ed è sempre possibile recuperare le nozioni necessarie grazie alla disponibilità delle stesse su Internet, bisogna fuggire dalla superficialità della conoscenza di base. Infatti, senza una solida base, la possibilità di sbagliare è maggiore. La tecnologia diventa la cartina al tornasole per le nostre decisioni o per intercettare quello che non va nei processi. Il lavoro ne può essere alleggerito per recuperare creatività e immaginazione nella propria funzione d'azienda». Dunque, è necessario acquisire competenze nuove, che integrino questo nuovo scenario HR. Il long life learning resta al centro della funzione. Poi c'è un tema di approccio all’intelligenza artificiale. «Non bisogna aver paura – continua Marino – non saremo in grado di arginare il dilagare dell'intelligenza artificiale, che permeerà tutte le nostre attività sia di business che di HR. La nostra forza sarà quella di incanalare le energie che comporta questo cambiamento verso gli obiettivi che ci prefiggeremo. Ma per poterlo fare dobbiamo sapere di cosa stiamo parlando, effetti collaterali compresi». Affrontare il cambiamento con gli strumenti giusti Il tema dell’intelligenza artificiale in relazione al settore HR è trattato anche nel programma dell’Executive Master in Gestione delle Risorse Umane, Organizzazione e Leadership targato Luiss Business School. Il percorso offre un’opportunità di formazione avanzata rivolta a manager HR, professionisti e imprenditori desiderosi di ampliare le proprie conoscenze e competenze nei processi di people strategy. Il master è destinato a coloro che sono interessati a una carriera nella funzione HR o desiderano acquisire una comprensione più approfondita delle questioni legate alla gestione delle Risorse Umane e dell’Organizzazione Aziendale. Gli interventi della professoressa Lucia Marchegiani, Direttore Scientifico dell’Executive Master e Professore Associato di Organizzazione e Gestione delle Risorse Umane, e di Enrico Maria Marino, Global Human Resources Director presso JIL SANDER | MARNI – OTB Group e docente dell'Executive Master in Gestione delle Risorse Umane, Organizzazione e Leadership, sono stati raccolti durante il webinar “Da HR Manager a H&AR Manager”. L’evento si è tenuto venerdì 20 ottobre alle 18:00, presso Villa Blanc, il campus Luiss Business School di Roma. 09/11/2023

AI hr

06 Novembre 2023

Maria Isabella Leone: “Le nuove sfide manageriali si vincono con i role model e l’equità di coppia”

La docente Luiss Business School interverrà alla cerimonia dedicata al Premio Minerva il prossimo 7 novembre con un intervento su lavoro femminile, gender pay gap e ruoli apicali Secondo Claudia Goldin, premio Nobel per l’economia, il progresso non ha coinciso con una maggiore facilità delle donne nel partecipare al mercato del lavoro. La presenza femminile nel mercato del lavoro era più alta nel Settecento, quando l’economia era prevalentemente agricola, rispetto alla fase successiva di industrializzazione, dove era più difficile bilanciare le esigenze familiari con quelle del lavoro distante da casa, ed è ripresa a crescere con la nascita del terzo settore. Oggi il tema del gender gap è ancora aperto. Ruoli apicali, retribuzioni e scelte di carriera sono i terreni su cui le organizzazioni stanno investendo per attrarre talenti, senza distinzione di genere. Il 7 novembre, in occasione del Premio Minerva Azienda d’Eccellenza, Maria Isabella Leone, Direttrice dell’area MBA Programs e dell’Osservatorio su equità di genere nella Sanità della Luiss Business School, dialogherà su questi temi, mettendo in evidenza le nuove sfide per management e leadership inclusivi. Come l’organizzazione del lavoro deve evolvere per migliorare la produttività, la vita delle persone e l'inclusione? Attraverso il suo approccio storico, Claudia Goldin ha messo in evidenza che non è sufficiente la crescita economica per favorire l’inclusione di genere, ma è necessario includere nell’analisi il contesto familiare e le possibilità di bilanciare lavoro e famiglia, la cosiddetta equità di coppia, e il welfare statale. In aggiunta, l’evoluzione verso forme di lavoro flessibile potrebbe ulteriormente favorire la convergenza dei ruoli tra uomini e donne, ancora così lontani, per effetto del cosiddetto “lavoro avido”. Cosa si intende con lavoro avido? Quello che richiede di stare tante ore in ufficio, di essere iper-presente, di fare straordinari. Questa condizione non favorisce l’equità di coppia, dal momento che uno dei due dovrà rinunciare a lavorare per poter dedicare del tempo alla famiglia e molto spesso chi rinuncia è la componente femminile che ha assunto, negli anni, le responsabilità e le aspettative sociali di “care giver”. Lo dimostrano i dati sul lavoro delle donne secondo cui, in Italia, soprattutto dopo la nascita di un figlio, il tasso di occupazione femminile – già basso – cala. Così, in 22 paesi Ue su 27 il tasso di occupazione di quelle con 3 figli è più alto. Poi c’è il tema dell’orizzonte di riferimento nelle decisioni. Ci sono differenze negli orizzonti femminili e maschili? Certo. La Premio Nobel argomenta che tradizionalmente gli uomini hanno adottato un orizzonte temporale di lungo periodo nel considerare l’impatto delle loro scelte di istruzione sul lavoro, per le donne invece vale il discorso contrario, per cui spesso l’orizzonte si interrompe o sospende per eventi familiari, in particolare la maternità. Non solo, considerando che molte scelte vengono effettuate ad un’età molto giovane, spesso sono compiute e indirizzate rispetto a riferimenti proposti e perpetuati dalle generazioni passate. Per questo appare così importante e necessario avere dei role model nuovi, che permettano di mettere in luce fin da subito delle possibilità alternative e lavorare sull’elemento culturale attraverso una maggiore consapevolezza. A questo scopo Luiss Business School dedica il Progetto Grow - Generating Real Opportunities For Women, che ha l’obiettivo di promuovere, sostenere e migliorare lo sviluppo personale e professionale delle studentesse con particolare attenzione all’inserimento nel mondo del lavoro e alla promozione della carriera professionale. Obiettivo: raggiungere posizioni di vertice in aziende, amministrazioni, enti, università e altre organizzazioni. Infatti, con questo progetto portiamo in aula modelli di donne in ruoli apicali che permettono di creare un circolo virtuoso con le nostre studentesse per far capire loro che essere donna non significa dover rinunciare alla propria carriera e alle proprie ambizioni. Come scuola di formazione, ci poniamo l’obiettivo di far sì che le donne siano più lungimiranti nel progettare un percorso professionale futuro e che possano confrontarsi costantemente tra loro. Uno degli strumenti formativi più importanti del progetto è la shadow experience: quali sono gli aspetti che rendono questa attività uno strumento per generare vera inclusività manageriale? La shadow experience permette di vivere l’esperienza di un manager o di una persona in una posizione di responsabilità al femminile. L’obiettivo è far vivere i diversi stili di leadership. In questo momento di grandi cambiamenti nel mondo del lavoro, questo è il primo passo per poter essere competitivi. Dal punto di vista femminile, vedere e analizzare come una leadership carismatica ed empatica, con la responsabilità di tante persone da gestire, possa essere possibile. Significa offrire uno specchio di quello che è possibile fare senza privarsi di ampi orizzonti di carriera. Management al femminile: quale sono le sfide contemporanee? Ce ne sono diverse e passano anche per qualche pregiudizio. Ad esempio? È una conoscenza diffusa il fatto che in famiglia oramai serve un secondo stipendio per poter affrontare le dinamiche attuali del mercato del lavoro. Al contrario non viene mai preso in considerazione quanto favorire il lavoro femminile rappresenti un passaggio di crescita professionale, lungimirante, che renda il reddito una questione solo conseguente. Basti pensare, infatti, che anche quando c’è il secondo stipendio in casa, molto spesso deriva da lavori più flessibili ma meno retribuiti, disegnati ad hoc per non sottrarre alla donna il tempo necessario per la cura della famiglia. Il secondo stipendio, rimane dunque come tale, anziché promotore di crescita professionale delle donne. Per questo il tema dell’educazione e del role modeling resta fondamentale. Che influenza può avere il role modeling? Oggi le donne in ruoli apicali non si fermano a raccontare la propria esperienza solo nelle università, ma vanno al liceo, alle medie, alle elementari pur di diffondere il messaggio che si può essere professionisti e donne e che bisogna pensarci subito. Obiettivo: far vedere che l’alternativa esiste e che bisogna essere lungimiranti per sé stesse in base alla proprie aspirazioni personali e professionali, senza dover rinunciare a nessuna delle due sfere. Cosa significa? Con l’incertezza attuale, è necessario essere indipendenti e dotarsi di un networking solido, frutto di momenti di socializzazione autonoma, che diano vita a comunità di pari con cui confrontarsi e condividere queste esperienze - il Premio Minerva ne rappresenta un bell’esempio. Inoltre, si devono superare le sindromi tipiche delle donne di non sentirsi mai all’altezza, di non essere in grado di riuscire a combinare le proprie ambizioni senza doversi sentire in colpa di rinunciare a qualcosa. Quale sarà il ruolo dell'open innovation in questo contesto? Potrà contribuire a implementare la presenza femminile nei ruoli apicali? L’open innovation favorisce la contaminazione tra diverse realtà aziendali. Ci si confronta con diversi tipi di organizzazioni (ad es. startup, corporate), modelli di lavoro, e professionalità. Scoperchia il bacino di talenti, di competenze, anche femminili sparse nel mondo lavorativo. L’open innovation affiancata alla diffusione territoriale dei modello hub & spoke, promossi dalle grandi Corporate per attivare questi bacini, potrebbe quindi aiutare anche l’attivazione di equilibri a livello familiare che permettono il raggiungimento di un’equità di coppia - e quindi di genere - funzionale a una nuova crescita economica. Non solo, mette in luce anche il potenziale della imprenditoria femminile, che ha sperimentando una crescita più forte rispetto alla controparte maschile nel quinquennio 2014-2019 (+2,9% rispetto allo +0,3%), rappresentando dunque un percorso alternativo di carriera, che può essere d’ispirazione. D’altro canto, nelle Corporate stanno fioccando le nuove posizioni dedicate alla diversity& inclusion per poter attrarre e mantenere i talenti femminili, selezionando candidate con profili Stem, abilitando percorsi di coaching professionale e role modeling e shadowing.   06/11/2023

18 Ottobre 2023

Le organizzazioni hanno bisogno di coaching di qualità

Al via il Flex Executive Programme in Coaching di Luiss Business School riconosciuto come Level 2 dalla International Coaching Federation Il coaching non è solo una parola di gran moda. È una metodologia e un approccio che aiuta le persone a sviluppare il meglio di sé e a implementare nuove scelte rispetto alle abitudini consolidate nei propri percorsi professionali e personali. Il coach è la figura capace di compiere questa rivoluzione copernicana, e  deve essere dotato della giusta formazione, i cui standard sono riconosciuti a livello internazionale. A questo scopo è dedicato il Flex Executive Programme in Coaching di Luiss Business School, la prima Business School in Italia accreditata dall’International Coaching Federation (ICF). Flex Executive Programme in Coaching: caratteristiche e obiettivi Il master, in partenza il 27 ottobre, offrirà ai partecipanti una nuova opportunità. Consente di ottenere le credenziali ICF fino al livello 2, riconosciute in tutto il mondo come standard di qualità. Esse rappresentano un requisito importante per le organizzazioni chiamate ad individuare i professionisti cui affidare lo sviluppo delle proprie risorse e dei propri manager. In più di 130 ore di lezione, in presenza e da remoto, si alterneranno momenti d’aula, laboratori, sessioni e mentoring guidati da coach dell’International Coaching Federation. Anna Zanardi Cappon, Pop in Leadership and Corporate Values, Luiss Business School, International board and governance advisor, e referente scientifico del Programma, e Paolo Palazzo, Executive coach (PCC, ICF), Adjunct professor e coordinatore scientifico dell’Executive Programme Coaching Luiss Business School, spiegano perché oggi le organizzazioni hanno bisogno di coaching di qualità. Il programma targato Luiss Business School ha ricevuto il riconoscimento Level 2 dell'International Coaching Federation: cosa significa per chi si trova davanti alla scelta di un percorso formativo dedicato al coaching? Palazzo: Luiss Business School ha una lunga esperienza nell’utilizzo del coaching nei programmi di formazione. I coach che lavorano con la scuola rispondono alle core competences dell’International Coaching Federation ICF, che conta oltre 50 mila professionisti. Il riconoscimento da parte di ICF certifica la qualità di contenuti, approcci e modalità, trovandoli conformi ai suoi standard internazionali di qualità. Partecipare al Flex Executive Programme in Coaching significa anche inserirsi nella community della Scuola. Inoltre, le credenziali ICF sono riconosciute anche all’interno di numerosi bandi di gara pubblici. Che ruolo ha il coaching nella formazione dei leader del futuro? Zanardi: Oggi si deve affrontare anche un tema di riposizionamento strategico della persona all’interno di uno scenario post sindemico che ha trasformato l’identità professionale e manageriale delle persone. All'interno di un percorso di coaching si può comprendere come usare al meglio alcuni dei propri talenti o come riutilizzare la propria esperienza all'interno di un'organizzazione in costante cambiamento. Quindi il coaching è un tool di Hr strategy a cui ormai nessuno più rinuncia. È alla base delle aziende che vogliono davvero occuparsi di persone, soprattutto dopo la sindemia, momento che ha messo in evidenza in modo ancora più forte che le persone fanno la differenza e, senza di esse, non si può conseguire il risultato economico in maniera sostenibile. Il coaching aiuta sia l'individuo che il team, e nel corso ci occuperemo anche di team coaching, per aiutare le persone a lavorare al meglio insieme, con risultati visibili sulla business performance finale. Tenendo presente questo, il coaching può rinforzare l'autoconsapevolezza e l'efficacia interpersonale dei leader. Può lo strumento del coaching diventare elemento strutturale delle nuove culture organizzative rivolte anche alle nuove generazioni?  Quali sarebbero gli effetti sull'impresa? Zanardi: Dopo la sindemia, i nuovi modelli organizzativi sono più centrati a rispondere alle esigenze individualizzate delle persone. Siamo tornati a una situazione in cui bisogna comprendere le esigenze organizzative individuali, gli spazi desiderati, quanto si vuole lavorare in remoto e come si vuole gestire la propria presenza nell’organizzazione a livello fisico e in smart working. Ma soprattutto si cerca di capire il senso rinnovato del proprio impegno lavorativo nel contesto della propria esistenza. Tutto quanto porta a una riflessione e a un adattamento della persona all’organizzazione, è oggetto di coaching. Il che conferma che si tratta di uno strumento di cui le aziende non possono più fare a meno. Si è osservato che le Generazioni Z sono simili a quelle dei Baby Boomers nella valorizzazione del collettivo, nell’accento sulla qualità della vita e relazione anche come elemento di performance. Quindi accentuare questi aspetti è una delle risposte che le imprese attraverso il coaching possono dare alle Generazioni Z. Ma c’è un’altra cosa che il coaching può fare per queste persone. Quale? Zanardi: Aiutare a ridisegnare un senso e un’identità professionale, che si è completamente trasformata durante e nel post-Covid. Le organizzazioni hanno bisogno di comprendere la direzione da intraprendere perché non ci sono esperienze pregresse che lo spieghino. È stato un cambiamento radicale. L’effetto più profondo è stato la cancellazione del confine tra vita e lavoro. C’è stato uno scontro tra queste due dimensioni. Quindi oggi le organizzazioni devono rispondere in modo totale, globale, rotondo a esigenze sia di vita che di lavoro. Come farlo? Palazzo: L’inserimento delle persone Gen Z nelle organizzazioni non è facile. Il motivo sta nelle esigenze, valori e bisogni che in una certa misura sono diversi da quelli dei Millennials. Proprio perché il coaching favorisce la consapevolezza di sé, la riflessione sui propri e altrui bisogni attraverso le competenze di ascolto e introspezione, questo permette un dialogo più efficace tra le generazioni. C’è bisogno di capire cosa vuole l’altra persona per allinearsi. Il coaching può essere lo strumento giusto per raggiungere questo obiettivo, perché permette un ampliamento di prospettiva e percezione. Qual è il potenziale del coach accreditato operante all'interno di un'azienda? Palazzo e Zanardi: Le aziende hanno bisogno di coaching di qualità e il percorso di Luiss Business School è stato pensato proprio per questo. È un grosso facilitatore di cambiamento, che può portare a un aumento della produttività e dei valori dei parametri di business performance. Il fatto che le persone riflettano su di sé e stiano meglio fra loro anche quando lavorano in team, abbassa il rischio operativo. Questo è un tema che va a rinforzare un migliore sviluppo dei piani strategici e industriali all’interno delle aziende.

16 Ottobre 2023

Scrivere il futuro attraverso il restauro: un libro racconta la storia di Villa Blanc

Presentato il volume "Villa Blanc. Rinascita di un monumento tra eclettismo e modernità", oggi sede di Luiss Business School Villa Blanc non è solo la sede di Luiss Business School, ma un interessante progetto di restauro conservativo, che ha ridato nuova vita a uno degli esempi di eclettismo più alti presenti a Roma. L’impresa è raccontata nel volume "Villa Blanc. Rinascita di un monumento tra eclettismo e modernità", a cura degli architetti Giovanni Carbonara, teorico del restauro e capofila della “scuola romana”, recentemente scomparso, e Massimo Picciotto, responsabile del progetto di recupero della Villa. Il libro racconta il percorso, non sempre agevole, avviato nel 2010 e portato avanti in questi anni dalla Luiss Guido Carli, al fine di preservare e valorizzare un complesso architettonico finito in uno stato di completo abbandono e decadenza. L'audacia e la perseveranza si sono dimostrate essere qualità essenziali per raggiungere questo obiettivo, restituendo a Villa Blanc il suo pregevole valore e una rinnovata bellezza. «Oggi Villa Blanc è la sede di Luiss Business School, una realtà viva, attiva – ha dichiarato Luigi Abete, Presidente Luiss Business School – Luiss Guido Carli aveva bisogno di una sede per economia e commercio. Così abbiamo fatto un investimento. Oggi Villa Blanc si è trasformata da bene privato individuale in bene privato collettivo. Ci sono voluti vent’anni per ottenere tutte le autorizzazioni per riportare in vita la struttura, creare il parco e dare un ettaro di questo spazio in comodato gratuito alle scuole di zona. L’esperienza di Villa Blanc ci ha insegnato che per fare le cose belle, bisogna vedere l'orizzonte. Se non si ha fiducia nel futuro, soprattutto con la complessità italiana, non le si fa. Noi siamo stati resilienti e abbiamo saputo apprezzare i risultati ottenuti. Il libro "Villa Blanc. Rinascita di un monumento tra eclettismo e modernità" in qualche modo testimonia tutto questo». Villa Blanc: dal suo primo restauro alla nuova vita Villa Blanc nasce nel segno della trasformazione. Nel 1893 il barone Alberto Blanc acquista il sito della vigna di proprietà dalla Marchesa Violante Fiorelli, nel territorio circostante la Basilica di Sant'Agnese fuori le mura. Il complesso è un possedimento rustico fuori porta. Sarà il barone, dopo aver svolto il suo ruolo di Ministro degli Affari Esteri del terzo governo Crispi, a trasformarla in una residenza adeguata al prestigioso incarico. L'opera di costruzione della villa segue un progetto di tipo sperimentale, guidato dal progettista Francesco Mora e dall'archeologo Giacomo Boni. Insieme, combinano operazioni di tipo archeologico, raffinate decorazioni e tecniche avanzate negli impianti e nell'architettura. Gli apparati decorativi della villa si devono ad Alessandro Morani e Adolfo De Carolis, e raggiungeranno livelli di eclettismo mai visti prima in Italia, in particolare nelle opere di terracotta invetriata che troviamo all'esterno, nelle facciate che avvolgono il giardino d'inverno e nel fumoir. La sala degli specchi è la più antica della villa. Qui il barone aveva raccolto ed esposto una preziosa collezione di arazzi fiamminghi del Settecento, ora conservate ad Amsterdam. Nella sala da pranzo, al centro tra la Sala degli Specchi, il Giardino d'inverno e il fumoir spicca il camino monumentale quattrocentesco realizzato in marmo bianco. Tre archi incorniciano la prospettiva sul Giardino d'Inverno, che insieme alla Sala da Ballo è uno degli ambienti aggiunti da Giacomo Boni al corpo centrale. È considerato il giardino d'inverno più grande d'Europa. Per il suo allestimento, furono fatti giungere dalla città olandese di Arlens 10 mila bulbi di tulipano, rose, lillà e azalee. Sotto la Sala da Pranzo si trova lo Spazio Ipogeo. Si trattava forse di un luogo per riti e riunioni esoteriche. La Sala da Ballo, realizzata verso la fine del 1896, con un intervento di ampliamento della villa, raggiunge livelli di eclettismo altissimi grazie alle strutture metalliche e al soffitto di ispirazione mediorientale. Le pareti vetrate e la vista integrale sul parco rafforzano l'idea di massima integrazione tra la natura e l'opera dell'uomo, altamente ricercato da tutta la cultura dell'Ottocento. Anche il giardino si caratterizza per un analogo accostamento di stili, temi e suggestioni, in cui non mancano elementi antiquari ed elementi esotici come la collezione di palme. Alla morte del barone Blanc, avvenuta a Torino nel maggio 1904, la villa passa alla moglie Natalia e poi ai tre figli. Il parco si arricchisce di altri sette edifici minori. Dopo anni di abbandono, nel 1997 la Luiss Guido Carli acquista tramite asta pubblica il complesso. Dopo un lungo e accurato lavoro di ricerca, progettazione, restauro e valorizzazione, trasforma Villa Blanc nella sede della Luiss Business School. Dialogo sul restauro di Villa Blanc Un emozionato Giovanni Lo Storto, Direttore Generale, Luiss, ha guidato una tavola rotonda in cui gli architetti Federica Galloni e Massimo Picciotto hanno dialogato con lui sul restauro conservativo di Villa Blanc, sintetizzabile in tre parole: bellezza, coraggio e passione. Nel 2009 bisognava aprirsi la strada nella foresta di Alianti, definito come parco storico: c’è voluta una squadra di 30 professionisti e più di oltre 100 operai, diretti da Massimo Picciotto, architetto e curatore del restauro di Villa Blanc. Gli elementi fondamentali del restauro conservativo sono stati: minimo intervento, compatibilità dello stesso con la parte strutturale e una funzione compatibile con ciò che il complesso poteva offrire. «Quando si restaura un bene come Villa Blanc bisogna dargli la giusta funzione, per dargli una vita perenne. Luiss Business School aveva tutte le caratteristiche per raggiungere l'obiettivo e questo è stato lo spirito che ci ha guidati», ha dichiarato Picciotto. «Il public management è inteso come una sovrabbondanza di norme, spesso inutili e farraginose – ha spiegato Federica Galloni, Architetto – Villa Blanc è uno degli interventi di valorizzazione che rientra in una consapevolezza. Per non consegnare questo enorme patrimonio di beni culturali a un degrado certo, bisognava attribuirgli delle nuove funzioni, compatibili con le strutture, per far rivivere eccellenze come quella in cui siamo ora. L’intervento su Villa Blanc resta un fiore all’occhiello per questa città». «Questa è la storia di un restauro conservativo e di un recupero di memoria. Perdere quella di una comunità significa perderne il futuro – ha dichiarato Vincenzo Boccia, Presidente, Luiss – Questo è un libro della memoria che ci ricorda cosa è accaduto e che ci insegna che le cose belle si conquistano non sempre in maniera facile. Villa Blanc è una storia di caparbietà. I valori fondamentali della visione che ha preso corpo qui parte dall'avanguardia culturale di Confindustria, di cui dobbiamo avere memoria. Villa Blanc è un gioiello che si innesta in valori formativi in cui la bellezza diventa un elemento integrante della formazione».   Gli interventi sono stati raccolti durante la presentazione del libro "Villa Blanc. Rinascita di un monumento tra eclettismo e modernità”, tenutasi giovedì 14 settembre alle 17.30, in via Nomentana 216, a Roma. Hanno partecipato: Luigi Abete, Presidente, Luiss Business School; Federica Galloni, Architetto; Massimo Picciotto, Architetto e curatore del restauro di Villa Blanc; Giovanni Lo Storto, Direttore Generale, Luiss; Vincenzo Boccia, Presidente, Luiss. 16/10/2023

07 Ottobre 2023

Micol Silvestrelli: «In Luiss Business School ho scoperto la mia strada e il mio valore»

Dopo aver frequentato il Corso di Alta Formazione in Consulenza Legale d’Impresa, Micol ha compreso che frequentare un master a Villa Blanc significa partire già dal gradino più alto del podio Nel 2017 Micol Silvestrelli era alle prese con gli ultimi scampoli di un corso di laurea in giurisprudenza. Poca convinzione e una sola certezza: non avrebbe fatto l’avvocato. Complice il fratello, laureato in Economia e Commercio presso la Luiss Guido Carli, ha scoperto che c’era un’altra strada, che avrebbe portato le sue competenze direttamente al mondo del lavoro, con un approccio pratico, già orientato al futuro. Così ha scelto il Corso di Alta Formazione in Consulenza legale d’Impresa di Luiss Business School, che ha modellato le sue conoscenze del diritto in un modo inaspettato. Micol oggi ha 36 anni e lavora in Fandango, dove si occupa di tutto ciò che ruota attorno al diritto d’autore. In più, grazie ai laboratori dedicati alle soft skill, ha scoperto che in Luiss Business School ognuno può scoprire il proprio valore e mostrarlo al mondo, senza più esser schiavi della timidezza. Cosa ti ha spinto a scegliere il Corso di Alta Formazione in Consulenza legale d’impresa di Luiss Business School? Tutto è nato da una fase di stallo. Frequentavo giurisprudenza senza grande convinzione, certa di non voler fare l’avvocato. Grazie a mio fratello, studente Luiss di Economia e Commercio, ho scoperto i master Luiss Business School. Sapevo che l’approccio allo studio era diverso, pratico, orientato al mondo del lavoro. Così mi sono iscritta al Corso di Alta Formazione in Consulenza legale d’impresa in formula Executive. Dopo il test di ammissione ho capito che lì avrei trovato la mia strada, che quel percorso mi avrebbe portato direttamente nel mondo del lavoro, facendo quello che poteva piacermi con concretezza. Che ambiente hai trovato in Luiss Business School? Il primo impatto è con la sede dedicata ai master. L’ambiente curato di Villa Blanc, in cui si dedica attenzione fino al minimo filo d’erba, fa la differenza. Ognuno ha il proprio posto, è tutto organizzato nei minimi dettagli, senza considerare la semplicità di avere qualunque tipo di informazione necessaria nel più breve tempo possibile inviando una semplice mail. In più, ho subito percepito il dinamismo dell’ambiente, aperto al futuro, in cui si parla sempre di quello che sarà, di quello che succederà dopo aver studiato e aver finito il master. Sono rinata. Qual è il corso che ha avuto un maggiore impatto sulla tua carriera? Quello di diritto del lavoro. Le tematiche che ho studiato in quel corso sono state il mio pane quotidiano durante la mia esperienza in Rds, in cui l’ufficio legale era accorpato all’area di risorse umane. Quindi si lavorava su tante tematiche, che toccavano i dipendenti e richiedevano conoscenze di diritto del lavoro. C'è stato qualche relatore in particolare che ti ha colpito? Tutti i professori del corso sono, ovviamente, molto preparati, ma sono fortemente legata al professor Francesco Di Ciommo. È quello che definisco “il diritto fatto persona”, l’essenza della giurisprudenza. Anche la professoressa Mary Moramarco mi ha stupito con la sua grinta fuori dal comune. Soft skill. Nel percorso formativo ci sono diversi Lab per allenare queste competenze sempre più necessarie nei contesti aziendali. Qual è quello che ti ha cambiata di più? Ero una persona molto timida e introversa. Parlare in pubblico per me era impossibile non solo da fare, ma anche solo da immaginare. Il laboratorio di public speaking mi ha aiutato a gestire una conversazione, un colloquio di lavoro, un’interazione. In Luiss Business School capiscono dove puoi arrivare e ti mettono in condizione di arrivarci. Come? Una ragazza del Career Service ha simulato con me un colloquio di lavoro e mi ha dato feedback sul mio modo di fare. Per me è stato importantissimo perché mi ha aiutata a comprendere le mie difficoltà. Mi ha fatto capire che non sono perfetta, ma che, con le giuste accortezze, posso superare i miei limiti e sfruttare le mie possibilità. In Luiss Business School ti portano a capire che ognuno ha il suo valore, che possiamo portarlo all’esterno, che ce la possiamo fare. Una cosa che mi mancava completamente. Oggi riesco a relazionarmi con un dirigente e durante il mio percorso sono stata la referente di alcuni gruppi.  Competitività: come avete allenato questa soft skill durante il tuo percorso in Luiss Business School? C’erano spesso delle challenge alla fine di ogni modulo, che ci spronava ad essere competitivi ma in modo positivo, per arrivare a un risultato. Sentivamo di dover impegnarci fino in fondo perché anche altre persone nel gruppo avrebbero fatto la loro parte. Era una gara con delle regole, vissuta con una competitività leale e quindi vissuta con serenità. Molti alumni hanno sperimentato il valore del networking che si viene a creare in Luiss Business School. Qual è stata la tua esperienza? Non conoscevo il senso profondo della parola networking prima di entrare in Luiss Business School. È molto raro che si crei nelle università pubbliche. Anche perché va in due direzioni. C’è sia il network creato con la scuola e le aziende, e poi c’è quello con i compagni di corso. Sono in contatto con la maggior parte delle persone del master e il mio attuale lavoro l’ho ottenuto proprio grazie a uno di loro. Ero in Rds ma volevo cambiare lavoro. Così posso dire di essere diventata il risultato vivente di cosa fa un buon networking. In Luiss Business School si lavora molto sulla Leadership. Secondo te cosa ci vuole per essere veri leader? Quando si parla di leader si pensa sempre a figure autoritarie. Ma credo che un buon leader sia in grado di guidare con l’esempio e non attraverso l’imposizione. Credo che alcuni abbiano la capacità innata di farlo e che altri l’affinino con tempo ed esperienza. Essere un leader significa anche riuscire a cogliere le sfumature di tutti e poi costruire un team cogliendo ciò che ogni persona può dare. Field Project: cosa porti a casa di questa esperienza? Il Field Project è durato un’intera giornata, il che ha rappresentato un impegno importante anche dal punto di vista fisico. Ma è stata un’esperienza irripetibile. Avere la possibilità di parlare con i responsabili di un’azienda e capire come si lavora per elaborare un progetto che verrà valutato, è un modo concreto per rivoluzionare ciò che si sa del mondo del lavoro. Per la prima volta si comprende appieno cosa c’è dopo il master. Oggi sei legal presso la società di produzione cinematografica Fandango S.p.A.: provenire da un percorso Luiss Business School ha fatto la differenza? Se sì, come? Oggi mi occupo di diritti d’autore in Fandango. Ciò significa che mi occupo di tutto ciò su cui questa legge ha riflesso: dalle liberatorie per l’utilizzo di immagini ai contratti per la regia, la coproduzione o la distribuzione, andando a toccare anche gli ambiti musicali ed editoriali. Il master è stato notato sia nell’esperienza in Rds, ottenuta tramite il Career Service, sia nel mio percorso in Fandango. La ragione è semplice. È noto che chi ha seguito un percorso di studi in Luiss Business School sarà preparato a livello teorico, ma anche pratico. Sa gestirsi e gestire. Cosa fa un Consulente Legale d’Impresa? È una figura fondamentale in un’azienda perché ha in mano le redini di tante cose. Non si occupa solo della normativa, della sua applicazione, dei contratti, ma è anche colui che segnala all’impresa le opportuni e i rischi di alcune scelte. Si analizzano scelte legate alla giurisprudenza, collegando le ricadute sull’azienda e i suoi processi. Tutte le funzioni organizzative hanno come riferimento il consulente legale per capire cosa si può fare e come. È, quindi, il consulente aziendale che dice se qualcosa è possibile, dettando le linee guida da rispettare. Quali sono i tuoi suggerimenti per gli studenti futuri e in aula su come cogliere pienamente le opportunità del percorso in Luiss Business School? Occhi e orecchie sempre aperti. Ciò che si vede e si sente, le possibilità che è possibile cogliere in Luiss Business School non sono ovunque. Se si hanno l’intelligenza e la furbizia nel guardare quello che accade, si potrà essere più agevolati a trovare la strada verso il lavoro. Significa vivere un contesto privilegiato, in cui avere un quadro di come sarà il futuro nel mondo del lavoro. È come partire dal gradino più alto di un podio per spiccare un salto ancora più grande verso nuove opportunità. 07/10/2023

02 Ottobre 2023

Sebastiano Maffettone: «La sostenibilità non è un lusso, ma un dovere dell’impresa»

Al via la seconda edizione del Festival dell’Etica Pubblica “Be New, Be Now. Etica e impresa” Le aziende riflettono con sempre maggior impegno sui temi ESG, che implicano domande etiche e comportamenti che rimettano al centro le persone e gli impatti sulla comunità. Dal 6 all’8 ottobre presso l'Auditorium Parco della Musica di Roma si terrà “Be New, Be Now. Etica e impresa”, un’occasione di riflessione su come la sostenibilità sia ormai un dovere dell’impresa. Il 2023 dell’Osservatorio di Etica Pubblica ‘Ethos’ L’Osservatorio di Etica Pubblica ‘Ethos’ della Luiss Business School, fondato e diretto dal prof. Sebastiano Maffettone, ha dedicato l’intero anno accademico 2022-23 alla ricerca sull’etica d’impresa (business ethics), tema del Festival. Il lavoro annuale è stato scandito da tre momenti: il ciclo di seminari ‘Etica e Impresa’ cui hanno partecipato vertici apicali di dieci imprese partner, professori e studenti Luiss (gli speaker del Seminario sono stati intervistati dalla dottoressa Dacrema di Ethos, che ha realizzato una serie di podcast sul tema); il convegno scientifico con la Wharton Business School (dove è nata la paradigma della stakeholder theory, oggi universalmente riconosciuto e utilizzato), coordinato dalla professoressa Valentina Gentile, membro del Comitato Direttivo di Ethos, che si è tenuto a giugno all’Università Luiss; e il Festival dell’Etica Pubblica, giunto quest’anno alla seconda edizione, che si terrà all'Auditorium Parco della Musica di Roma (6-8 ottobre 2023). Com’è nato l’Osservatorio di Etica Pubblica ‘Ethos’ della Luiss Business School? L’Italia vive un deficit di etica a livello sociale. Ethos è nato grazie al confronto tra il professor Maffettone e il Direttore Generale Luiss Giovanni Lo Storto, pensando che fosse necessario un organismo che facesse ricerca nel mondo pubblico per trasmetterlo all’ambito formativo. Lo abbiamo pensato come qualcosa non solo in punta di dottrina, ma anche in contatto con il mondo reale. Grazie alle relazioni di Luiss Business School con il mondo del lavoro e della produzione, questa ambizione è stata soddisfatta. Nel tempo, abbiamo potuto riflettere alla luce dell’etica pubblica su vari temi: la guerra, la pandemia, l’invecchiamento della popolazione, il digitale, la sanità e così via. Il titolo dell’evento è “Be New, Be Now. Etica e impresa”. Quali sono le finalità del Festival? Mettere in contatto il pubblico, le istituzioni e l’accademia per discutere temi su cui c’è sempre più attenzione, anche da parte delle grandi imprese. Basti pensare che l’anno scorso, a valle degli studi sull’etica nel digitale, abbiamo avuto ospite Casper Klynge, Presidente Microsoft Europa, che ha portato la consapevolezza della sua compagnia sui problemi etici. Quest’anno indaghiamo il tema dell’etica d’impresa. Si può osservare che il rispetto della missione dei valori di impresa funge indirettamente da controllo del livello di efficienza. Infatti, quando l’impresa funziona bene ed è forte sul mercato, i vertici propongono temi di etica e questi vengono recepiti a tutti i livelli. Ma quando l’azienda va male, il tema non viene recepito e resta lettera morta. Implementare l’etica in azienda è difficile. Ma mettere ESG (Environment Society Governance) al centro dell’impresa per essere innovativi – come vuole Be New, Be Now – presenta dei vantaggi. Per esempio? Le grandi imprese spendono milioni di euro per implementare i criteri ESG. Perché essere sostenibili serve al mercato, alla quotazione finanziaria e alla solidità d’impresa. Le banche interagiscono più volentieri con aziende ESG. La necessità di essere sostenibili è visibile nelle cose buone fatte con e per le proprie persone, ma anche per essere quotati in borsa. Il che, però, può creare – proprio perché conta molto – anche fenomeni di greenwashing, cioè di imprese che cercano di trarre vantaggio da ESG senza praticarlo seriamente. Nel corso del vostro lavoro in Ethos quali sono i problemi etici centrali che avete rilevato nella vita di un’impresa? Agli inizi, c’era chi pensava all’etica e all’impresa come al diavolo e all’acqua santa. Col tempo, invece, siamo arrivati a una grande condivisione. Consideriamo però che l’etica d’impresa non si fa dalla cattedra perché i problemi delle aziende li conoscono solo le aziende: solo l’impresa può dire quali sono i problemi etici che ha al proprio interno e all’esterno. Per questo motivo, i problemi etici delle imprese che fanno per esempio moda, finanza, trasporti sono tutti necessariamente diversi tra di loro. Tra i fattori comuni a tutte le dieci imprese coinvolte nel lavoro annuale di Ethos c’è la forte sensibilità al tema. ESG e impatto sull'impresa: quali sono le implicazioni etiche? Due problemi sono evidenti e occupano le pagine delle riviste specializzate. In primo luogo, la sostenibilità deve essere una scelta e non deve essere subìta come imposta dalle circostanze, nel senso che non si deve praticare ESG solo per essere meglio quotati in finanza. In secondo luogo, si pone il problema della misurazione, che è estremamente difficile. Per dirla con Aristotele, le qualità non sono misurabili e la sostenibilità presenta delle criticità in questo ambito. Infatti, non è sempre facilmente misurabile. Ma ha una leva importante. Quale? Il consumatore. È il consumatore che deve scegliere imprese e prodotti ESG, in modo che l’etica sia anche conveniente. Quali sono i temi etici sollevati dalla twin transition per le aziende? La twin transition (digitale e sostenibilità) sta cambiando radicalmente il modo di vedere il mondo e di fare impresa. Non si può lavorare senza digitale e senza sostenibilità. L’impresa deve occuparsi della ricaduta delle sue azioni su ambiente e in genere su tutti gli stakeholder. In questo contesto etico come va ripensata la formazione? La formazione deve mirare a far comprendere che l’efficienza è un valore fondamentale per l’impresa ma non il solo. Conta anche l’equità. Un padrone illuminato, come quelli del passato, era capace di pensare all’efficienza tenendo in primo piano le persone. Il problema odierno è nato con l’ingresso della finanza nelle imprese, perché la finanza è lontana dalle persone. La formazione deve anche contribuire a far crescere la coscienza diffusa di questi temi, sponsorizzando l’impresa etica. Quali sono le figure professionali chiamate ad armonizzare l'etica e il business di un'impresa? Ci vuole un Ethical Officer, che controlli gli standard, una figura consolidata nelle grandi aziende. Anche se questa funzione sarà un gene connaturato a tutte le figure professionali che opereranno nelle imprese. Qual è il punto di equilibrio tra etica e impresa? Bisogna presentare insieme il bilancio economico e quello di sostenibilità per dimostrare che il comportamento etico e sostenibile costa, ma rende. In più, bisogna comprendere che la sostenibilità non è lusso, ma un dovere dell’impresa. In passato nessuno si preoccupava di definirsi “verde, pulito e sostenibile”. Oggi lo si fa perché il consumatore lo nota. Per questo la comunicazione e la formazione sono centrali. 02/10/2023

02 Agosto 2023

Leadership collettiva, smart working, identità: gli strumenti per trovare un nuovo senso al lavoro

Luiss Business School ha ospitato la XXI giornata della formazione manageriale Asfor focalizzata su “Senso del lavoro e formazione manageriale. Nuova appartenenza, coesione sociale e competitività” https://www.flickr.com/photos/luissbusiness/albums/72177720310171801 La pandemia ha rivoluzionato l'approccio dei dipendenti alle aziende, ponendo l'accento sul desiderio di costruire un miglior work-life balance e di lavorare in un'organizzazione con cui potersi identificare. Lo smart working, prezioso durante il lockdown, è oggi uno strumento con cui le aziende possono ingaggiare i dipendenti, ma che va usato con equilibrio. Trovare un nuovo senso al lavoro è la missione dei manager, che devono formarsi anche per ricreare appartenenza, coesione sociale e competitività aziendale. A questo tema è stata dedicata la XXI giornata della formazione manageriale Asfor, ospitata a Villa Blanc da Luiss Business School. Calo di fiducia nel lavoro: le ragioni di un fenomeno Il significato che il lavoro ha per le persone è il tema al centro della XXI giornata della formazione manageriale Asfor. Ma, contrariamente a quanto si possa credere, il target della riflessione non è solo quello dei giovani. Marco Vergeat, Presidente Asfor Associazione Italiana per la Formazione Manageriale, spiega che «questa riflessione vuole attraversare tutte le generazioni. Vuole discutere del valore, del grado di centralità che il lavoro ha nella vita delle persone e di come e quanto questa percezione e l'importanza che il lavoro ha nella scala dei valori personali influenza l'identificazione organizzativa, il senso di appartenenza, e quindi i legami e la coesione sociale nelle organizzazioni del lavoro e nella società, e in ultima analisi della competitività collegata a questi aspetti del capitale umano». L'economia post pandemica dopo un forte rimbalzo, continua a crescere con tassi contenuti, ma superiori rispetto alla media europea. Anche il mercato del lavoro registra un certo dinamismo, tanto da far parlare di difficoltà nel coprire i fabbisogni e del mismatch fra domanda e offerta. «Eppure, in molti casi le imprese faticano a trattenere e soprattutto a motivare e a generare positivo engagement nelle persone impiegate. Disagio, insoddisfazione strisciante, senso di stanchezza, quando non disengagement dichiarato e dimissioni inaspettate, anche se questo fenomeno in Italia è di modesta entità: non è solo letteratura, ma anche argomento di dialoghi tra imprenditori, senior manager e responsabili risorse umane». La perdita di potere di acquisto delle retribuzioni negli ultimi 10 anni è pari a circa lo 0,3% (dati: Censis), aggravato dall'inflazione cresciuta nell'ultimo anno, gli ascensori sociali deboli se non fermi del tutto salvo per ristrette élite professionali e manageriali. «Sono fattori che spiegano in parte un calo di fiducia e di speranza nel futuro. Fattori che fiaccano la voglia di impegnarsi e dare il massimo, ma non spiegano tutto. C'è dell'altro, che dobbiamo comprendere. C'è la difficoltà a sostare in qualcosa, rinunciando a essere sempre altrove. Il lavoro che si fa ha minore forza identitaria, posta a confronto con mille altre forme di identificazione di facile consumo. Vogliamo riflettere insieme, condizione necessaria per cercare risposte non facili». L'importanza della leadership collettiva «Più il mondo cambia più c'è bisogno di un adeguamento della formazione manageriale, in linea con i tempi veloci. Come Luiss Business School, pensiamo che nel mondo in cui il tempo di lavoro e il tempo di vita si integrano in modo sempre più atipico e soggettivo, avere la capacità di saper governare l'organizzazione dal punto di vista manageriale, richiede anche esperienze di natura diversa, multidisciplinare – ha spiegato Luigi Abete, Presidente Luiss Business School – Le leadership della società moderna, delle autonomie, delle libertà individuali, del tempo libero e di lavoro, o è collettiva o non è leadership. Nessuno riesce a orientare e interpretare il senso della storia da solo. Se c'è una collettività coesa, che ha principi comuni e condivisi, con comportamenti coerenti, distribuita in modo opportuno nei gangli dell'essere organizzata sia essa società, impresa o famiglia, si ottengono risultati all'altezza delle aspettative e dei bisogni. Questo è il più grande investimento da fare come collettività. Il primo livello di professionalizzazione è passare dall'io al noi, non nella comunicazione, ma nella percezione e nel modo di ragionare. Se la società è inclusiva e solidale, allora si sviluppa. Altrimenti, anche con la buona volontà dei singoli, mancherà la possibilità di comprendere le potenzialità e l'apporto dei singoli, e di crescere attraverso il confronto». Smart working: alla ricerca dell’equilibrio Uno dei temi prioritari per le aziende e i lavoratori riguarda il work-life balance. Si tratta di un fenomeno sempre più rilevante, che riflette una diversa percezione della vita attuale. Durante la pandemia lo smart working è stato uno strumento "subito", ma che ha permesso alle organizzazioni di garantire la continuità dei servizi. «Oggi siamo consapevoli di dover trovare un equilibrio corretto anche nell'utilizzo di questo strumento, che non può essere più l'unica modalità lavorativa, ma non può nemmeno essere completamente archiviato – ha spiegato Raffaele Oriani, Dean Luiss Business School e Professore Ordinario di Finanza Aziendale durante il dialogo con Ilaria Catalano, Ad Poste Welfare – Lo smart working ha portato una serie di vantaggi evidenti ai lavoratori: flessibilità, capacità di gestire gli impegni familiari e maggiore equilibrio. Nel dibattito contemporaneo sono entrate due domande. La prima: "Lo smart working può ridurre la produttività dei dipendenti?". La seconda riguarda il tema della comunità e l'azienda come una comunità in cui vivere, un tema più problematico da gestire. Va cercato un nuovo equilibrio». L'evento Senso del lavoro e formazione manageriale. Nuova appartenenza, coesione sociale e competitività si è tenuto il 20 giugno 2023 presso Villa Blanc, sede di Luiss Business School, Roma. Hanno partecipato: Luigi Abete, Presidente, Luiss Business School; Marco Vergeat, Presidente, ASFOR Associazione Italiana per la Formazione Manageriale; Sebastiano Maffettone, Professore ordinario di Filosofia Politica, LUISS Guido Carli e Direttore Center for Ethics and Global Politics; Silvano Petrosino, Filosofo e Professore ordinario di Filosofia teoretica, Università Cattolica del Sacro Cuore; Ilaria Catalano, Ad, Poste Welfare; Raffaele Oriani, Dean, Luiss Business School e Professore Ordinario di Finanza Aziendale; Sabrina Dubbini, Responsabile Area Didattica dell’Istituto Adriano Olivetti, ISTAO; Emanuela Salati, Direttore formazione, selezione, welfare&diversity ATM, Vice Presidente AIDP; Giorgio Colombo, Vice Presidente Vicario, ASFOR; Roberto Ciceri, Presidente e Amministratore Delegato, Gruppo Beta. 2/08/2023

17 Luglio 2023

(Yo)U International Film Festival, il concorso che racconta le nuove professioni del cinema

Nato nell’ambito del progetto Generazione Contemporanea di Luiss Business School in partnership con Isola del Cinema, il concorso cinematografico mira a sostenere gli autori under 36. I sei cortometraggi finalisti saranno proiettati il 18 luglio alla Casa del Cinema di Roma. In dirittura d’arrivo la prima edizione del Premio Generazione Contemporanea - (Yo)U International Film Festival. Organizzato dal Luiss Creative Business Center, centro di formazione e ricerca della Luiss Business School, il concorso cinematografico per cortometraggi ha selezionato sei finalisti tra oltre cento candidati, i cui lavori saranno proiettati il 18 luglio presso la Casa del Cinema, a Roma. Obiettivo della manifestazione: promuovere l’arte cinematografica italiana e internazionale e sostenere autori under 36. Le tre anime di Generazione Contemporanea Luiss Business School offre una molteplicità di percorsi formativi di specializzazione, alcuni dei quali impattano sul comparto delle industrie creative e culturali attraverso un modello formativo che bilancia insegnamenti manageriali con moduli di taglio più tecnico e creativo. Uno di questi è il Master in Art Management che si conclude con l’organizzazione di una mostra d’arte contemporanea. A questo evento è stato abbinato un concorso, il Bando Premio Internazionale Generazione Contemporanea, che dal 2013 permette a giovani artisti vincitori di poter esporre le proprie opere nell’ambito del progetto mostra finale del master. Ogni anno vengono vagliate oltre 200 candidature: al primo classificato un premio in denaro che corrisponde all’acquisto dell’opera. Nel 2022 a Generazione Contemporanea si sono aggiunte altre due “anime”. La prima trova il suo ambito di incubazione nel percorso di specializzazione in Music Business. Si tratta del concorso On Shuffle EP, competizione per giovani musicisti under 36 chiamati a presentare un brano mai prodotto, ma non necessariamente inedito. Il premio è l’inclusione in una raccolta di sette singoli pubblicati in un unico EP e distribuiti in modalità digitale. Dalle major in Writing School, percorso focalizzato sulla scrittura creativa per cinema e televisione, e Gestione della Produzione Cinematografica e Televisiva, specializzazione sul comparto delle produzioni audiovisive, è nato poi  (Yo)U International Film Festival, il concorso dedicato a cortometraggi nazionali e internazionali di giovani artisti che il prossimo 18 luglio si concluderà con la premiazione alla Casa del Cinema di Roma. Dopo aver vagliato oltre 100 candidature provenienti da tutto il mondo, gli studenti delle due major hanno preselezionato 16 opere, poi inviate a una giuria tecnica incaricata di selezionare i sei finalisti. Il vincitore riceverà una targa celebrativa. Ci saranno anche due menzioni speciali: una dalla giuria e l’altra dagli studenti del master. “Pensiamo che i ragazzi debbano entrare quanto prima nell’esercizio pratico degli insegnamenti impartiti dalla faculty della Scuola. Per questo motivo sin dall’inizio del master operano da protagonisti nella realizzazione di progetti reali, quali appunto l’organizzazione di mostre d’arte, la realizzazione di produzioni musicali e la scrittura e produzione di serie televisive, oltre che la gestione di contest creativi nel settore” - spiega Luca Pirolo, Head of Area Master, Luiss Business School La giornata conclusiva della competizione Generazione Contemporanea (Yo)U International Film Festival si terrà il 18 luglio presso la Casa del Cinema, a partire dalle ore 20:30, a Roma. L’evento è aperto al pubblico. Generazione Contemporanea (Yo)U International Film Festival si fregia della partnership con l’Isola del Cinema, che ospiterà l’edizione 2024 della competizione targata Luiss Business School. 17/07/2023

07 Luglio 2023

Finanza e tecnologia: le nuove sfide per i Cfo

L'evento nato dalla collaborazione tra Luiss Business School e Oracle pone al centro la value chain e i cambiamenti nei processi Finance generati da intelligenza artificiale e tecnologie emergenti. Obiettivo: prevedere e pianificare più velocemente, liberando il valore delle persone C'è una duplice sfida in atto per i Cfo. Da una parte, devono adeguare i modelli a una nuova realtà di mercato, in rapida trasformazione e sempre più globale. Dall'altra, digitalizzare i processi per sfruttare le opportunità che la tecnologia offre anche in campo applicativo, al fine di poter prevedere e pianificare più velocemente le attività. Obiettivo: aumentare la creazione di valore. Questi sono i punti emersi durante l'evento La value chain e i cambiamenti nei processi finance: sfide e opportunità dell’intelligenza artificiale e delle tecnologie emergenti. L'incontro è stato organizzato grazie alla collaborazione tra Luiss Business School e Oracle. Processi Finance: una fotografia di settore Intelligenza artificiale, machine learning, robotic process automation, digital assistant e data sciences possono fare la differenza nei modelli e nei processi Finance per affrontare i cambiamenti ormai consolidati nelle value chain aziendali. Tra questi, ci sono variabilità e imprevedibilità delle performance dei fornitori, della logistica e della produzione, avvento della sostenibilità e cambiamenti dei modelli di business – ad esempio servitization e multicanalità – e del comportamento dei clienti B2B e B2C. «L'intelligenza artificiale, ad esempio, può essere utilizzata per le attività routinarie contribuendo in tal modo ad ottimizzare l’allocazione delle risorse che lavorano nell'ambito dei processi Finance, che possono così dedicarsi ad attività a maggior valore aggiunto dove si richiede un approccio qualitativo, e ad apportare progressi, innovazione e digitalizzazione all’intera areaAFC(Amministrazione Finanza e Controllo) – ha dichiarato Anna Spina, Presidente, Sezione ANDAF Lazio, durante i saluti iniziali – In questo modo le risorse possono contribuire ad aggiungere valore e innovazione all’intera area Amministrazione Finanza e Controllo».  Finanza sempre più data-driven Nel suo Keynote Speech Raffaele Oriani, Dean, Luiss Business School, ha contestualizzato la figura del Cfo, immerso in un contesto in grandissima evoluzione, dove molti macro-trend influenzano l'organizzazione, il lavoro e il modo in cui viene organizzata la funzione Finanza. Sostenibilità, trasformazione digitale, intelligenza artificiale e data analytics vengono utilizzati per automatizzare i processi e liberare tempo e valore, fare previsioni migliori e supportare in modo efficace il processo strategico. Grazie a questi strumenti, il Cfo andrà a supportare la formazione di nuovi modelli di business e contribuirà a ridefinire le supply chain globali. Per farlo, avrà bisogno di maggiori capacità di gestione degli stakeholder ed esperienze cross-funzionali e cross-industry (PWC, Workforce of the future: the competing forces shaping 2030). Secondo la Global Survey di McKinsey sul ruolo della funzione Finanza, il Cfo ha l'opportunità di rinsaldare non solo il ruolo di "strategist", ma anche di "sparring partner" del Ceo, e di partecipare sempre più alle scelte strategiche di lungo termine dell'impresa. Ecco che i Cfo entrano nelle strategie aziendali Esg, diventando responsabili di attività digitali (dal 9% al 31%), raddoppiando l'utilizzo di Advanced Analytics for Finance. Inoltre, il 51% dei Cfo ha dichiarato di aver incrementato l'interazione con il Ceo in tema di trasformazione organizzativa. Per questo è necessario che ci sia una ridefinizione di attività e competenze. Da un lato, i Cfo continueranno a presidiare le attività fondamentali e caratteristiche come la pianificazione finanziaria, la reportistica, il supporto alle decisioni di finanziamento e di investimento, nonché la gestione dei rischi. Dall'altro, la funzione Finanza è divenuta responsabile delle attività di supporto alla formulazione della strategia, comunicazione efficace con il board e altri stakeholder, orientamento alle nuove tecnologie e all'efficientamento del processo di forecast e budgeting. Per raggiungere questi obiettivi, il Cfo deve comprendere il quadro macroeconomico e geopolitico; deve essere in grado di analizzare le nuove tecnologie e la supply chain, la gestione degli strumenti di data analytics e di Intelligenza Artificiale, la misurazione dei parametri Esg, l'evoluzione dei relativi standard di reporting. «La vera sfida è all'interno dell'azienda – ha sottolineato Oriani – Il Cfo non può dimenticare il lavoro che ha sempre fatto, cioè la garanzia dell'equilibrio finanziario. Parte di queste attività, che sono necessarie, deve essere automatizzata, efficientata e svolta in tempi molto minori rispetto al passato, liberando risorse e tempo per supportare l’analisi dei macro-trend, la comprensione del contesto macroeconomico e geopolitico». I trend tecnologici nella funzione AFC (Amministrazione, Finanza e Controllo) Da una recente indagine di Gartner è emerso che il 66% dei CFO prevede di dedicare più tempo alla tecnologia. I trend tecnologici rilevanti per la funzione Finance sono automazione, AI engineering, gestione del cloud, cybersecurity, intelligent composable business, anywhere operations. «La nuova sfida per il Cfo è diventare guida del cambiamento del paradigma tecnologico. Dovrà supportare l'azienda nel processo decisionale sull'adozione delle nuove tecnologie attraverso lo sviluppo di idonei modelli di valutazione. Poi, sarà chiamato a sviluppare competenze più ampie e diversificate all'interno della sua funzione, investendo in formazione e in inclusività professionale», ha aggiunto Oriani. Nell'innovazione, i Cfo lavoreranno su tre aree: automazione dei processi, real-time analytics, reporting e data visualization. La valutazione di un investimento digitale, che deve contribuire al processo di creazione di valore aziendale, richiede un’attenta considerazione di tre aspetti fondamentali: strategico, tecnico ed economico-finanziario. Le principali criticità è la difficoltà di prevedere i flussi di cassa, valutare gli intangibles come la reputazione del marchio, l'innovazione tecnologica, la difficoltà di quantificazione delle esternalità dei progetti e degli impatti incrementali. Ma i benefici sono numerosi. Quelli diretti sono il miglioramento dei ricavi, il cost saving e l'efficientamento del capitale. Mentre i benefici indiretti sono la flessibilità dell’organizzazione, la sostenibilità, la ricaduta sulla reputazione aziendale, una maggiore disponibilità di dati e sicurezza. «I Cfo dovranno capire come modificare il lavoro di coloro che svolgono attività più rutinarie. Poi dovranno investire nella formazione delle persone, un passaggio che richiede lo sviluppo di soft skill e leadership, con ricaduta sullo sviluppo del team. Infine, dovranno integrare nella funzione Finanza profili che non hanno una formazione tipica». L'impatto tecnologico sui processi Finance Durante la tavola rotonda, moderata da Cristiano Busco, Full Professor Accounting, Reporting & Sustainability, Luiss Business School, si è ragionato attorno all’impatto dei trend tecnologici nei processi Finance e sulla figura del Cfo. «L'impatto è onnicomprensivo in tutte le aree – ha sottolineato Marco Fossataro, Group Chief Financial Officer, Ferrovie dello Stato Italiane – La trasformazione non è più in corso, ma è già avvenuta, tanto da dover pensare di cambiare il titolo da Chief Financial Officer a Chief Future Manager. Bisognerà essere veloci nel formarsi e formare il team, implementando le risorse in azienda per battere i competitor sul tempo. La semplificazione di processo andrà a sostegno della pianificazione industriale». Negli ultimi 20 anni il Cfo si è evoluto. La sua funzione è stata legata alla razionalizzazione delle decisioni, «come una sorta di transformation manager chiamato a far accadere le cose». Il tema di questa evoluzione è la velocità nel governare il cambiamento. «Dobbiamo approcciare la tecnologia come manager, chiedere alle persone di fare uno sforzo di confronto su possibilità e innovazione, mettendosi in discussione. Bisogna capire come integrare i processi in azienda, investendo nella formazione di risorse già presenti in azienda. I finance digital manager non devono sostituirsi agli Ict manager, ma dialogare con loro. Per fare tutto questo, serve focalizzarsi». L’impatto della tecnologia sulla value chain «Nessuno deve avere paura del futuro. Non dobbiamo aver paura di nessun cambio tecnologico, incluso l’avvento Ai». Salvatore Sangiovanni, Group Digital Finance & Data Officer, Leonardo, ha messo in evidenza la necessità di estrarre rapidamente le informazioni necessarie per prendere decisioni. «Il Cfo oggi è business partner, ma per esserlo, deve disporre delle informazioni in tempo reale. La digitalizzazione dei processi è fondamentale, così come creare sistemi che raccolgano i dati e di estrarre informazioni in tempo reale per prendere decisioni gestionali, sfruttando le tecnologie a disposizione. Per far questo il collante è il capitale umano. Le persone faranno la differenza, individuando e andando a occupare ampi spazi che prima non c'erano. La ricerca dei talenti è un problema, ma la potenzialità maggiore riusciamo ad ottenerla lavorando sui collaboratori che sono già in azienda. Un piccolo sforzo fatto oggi può portare benefici al singolo e a tutta l'organizzazione». Sfide e opportunità: il caso Oracle Oracle è passata dall'essere un'azienda che faceva software, in cui il valore aggiunto era creare un prodotto ed esserne proprietaria, a diventare un hyperscaler cloud. Il prodotto viene trasferito in un data center in giro per il mondo, al servizio dei clienti. «Abbiamo trasformato il prodotto in servizio, ma la forza che abbiamo trasferito ci ha permesso di chiudere un bilancio in 7 giorni lavorativi, proprio qualche giorno fa alla fine del nostro anno fiscale - ha sottolineato Giovanni Ravasio, VP & Country Leader Cloud Applications, Oracle Italia - Ci siamo trovati a fare questo in un contesto in cui la sostenibilità e la corporate social responsability contano sempre di più». AI e machine learning hanno una miriade di applicazioni anche nel segmento B2b. «Ci sono altre tecnologie che stanno portando velocità e integrazione digitale. Tra queste, l’avvento del web3 e l’utilizzo degli Nft (Non Fungible Token, beni digitali che collegano la proprietà a oggetti fisici o digitali unici, come ad esempio opere d'arte, immobili, musica o video, e che possono essere comprati e venduti attraverso la tecnologia blockchain, come le criptovalute) in ambito aziendale, un asset digitale non regolato, pone delle sfide. La chiave del successo dei progetti tecnologici è il change management», ha aggiunto Ravasio. La digital transformation per affrontare le criticità Occorre aumentare agilità, flessibilità e affidabilità dei sistemi sia in ambito amministrativo-contabile sia di performance management, adeguandoli alle nuove esigenze che il nuovo ecosistema di business impone. Tra queste, ad esempio, ci sono la modellazione di scenario, l’introduzione del rischio e della predittività nella pianificazione, una maggiore integrazione dei dati e delle informazioni della catena del valore, la considerazione delle metriche e degli indicatori Esg, un’automazione spinta dei processi transazionali e più intelligenza digitale nelle analisi di business. Edilio Rossi, Digital Finance & Supply Chain Business Development Director, Oracle Italia, ha individuato quattro grandi aree di cambiamento: globalizzazione e riorganizzazione, avvento dell'impresa sostenibile attraverso i principi Esg, nuovi modelli di business e supply chain. «La digital transformation può aiutare ad affrontare le criticità - ha sottolineato Rossi – Gestione dell'incertezza, velocità, complessità, granularità. Introdurre il concetto di rischio e di scenario modeling per avere diverse opzioni, permette di inserire il rischio nei modelli di pianificazione. Come Oracle permettiamo di aggiungere algoritmi predittivi di mercato, per migliorare le capacità previsionali. Le analytics permettono di estrarre insight sofisticati. Infine, la pianificazione si connette alla granularità. Le soluzioni aziendali devono mettere insieme i punti di vista finance, operation and supply chain, HR, IT, vendite e marketing». «Stiamo lavorando per cambiare profondamente anche un'area forse più noiosa, ma destinata a rimanere. Il Cfo è responsabile dell'area closing & reporting. Automatizzarla, renderlo continua, autonoma e orchestrata deve essere l’obiettivo per arrivare a una nuova funzione di pianificazione e controllo che sia data driven, risk-adjusted, connessa, intelligente e predittiva». L'evento La value chain e i cambiamenti nei processi finance: sfide e opportunità dell’intelligenza artificiale e delle tecnologie emergenti si è tenuto il 22 giugno 2023 presso Villa Blanc, sede di Luiss Business School a Roma. Hanno partecipato: Raffaele Oriani, Dean, Luiss Business School; Giovanni Ravasio,VP & Country Leader Cloud Applications, Oracle Italia; Anna Spina, Presidente, Sezione ANDAF Lazio; Giovanni Ravasio,VP & Country Leader Cloud Applications, Oracle Italia; Salvatore Sangiovanni, Group Digital Finance & Data Officer, Leonardo; Cristiano Busco, Full Professor Accounting, Reporting & Sustainability, Luiss Business School; Edilio Rossi, Digital Finance & Supply Chain Business Development Director, Oracle Italia. 07/07/2023

06 Luglio 2023

Formazione e industria: arrivano le linee guida Luiss Business School per docenti e studenti

Francesca Mastrogiacomi, Professor of Practice, illustra i punti chiave del paper DIGITRONICS Rubrics for the Digital Teaching and Learning of Mechatronics, redatto con Leonardo Quattrocchi, Adjunct Professor Adeguare la formazione alla domanda dell’industria: è questo uno degli obiettivi del paper DIGITRONICS Rubrics for the Digital Teaching and Learning of Mechatronics, sviluppato da Francesca Mastrogiacomi, Professor of Practice in Digital Innovation and Business Transformation Luiss Business School, e l’Ingegner Leonardo Quattrocchi, Adjunct Professor presso la Luiss Business School. Lo studio mira a condividere gli aspetti più innovativi emersi dall’elaborazione delle linee guida create per la formazione digitale e modulare dei formatori nei settori di applicazione della meccatronica. DIGITRONICS Rubrics for the Digital Teaching and Learning of Mechatronics sarà presentato l’11 luglio 2023 durante EdMedia + Innovate Learning 2023, evento che si terrà a Vienna dal 10 al 14 luglio. Formazione professionale e digitale nella meccatronica: cosa vi ha spinti a interessarvi di questo ambito in chiave teaching & learning? Un punto di partenza è il caso di Mario Pavone, 19 anni, diplomato con il massimo dei voti nel luglio scorso all'indirizzo Meccanica e Meccatronica. Oggi è il più giovane docente d'Italia, chiamato a insegnare la materia in cui si è diplomato. La vicenda conferma le possibilità lavorative offerte dall'Istituto Tecnico Tecnologico Meccanica e Meccatronica non solo nell'industria, ma in diversi contesti produttivi. In secondo luogo, il progetto DIGITRONICS muove anche dalla skill shortage di competenze nell’industria 4.0 e meccatronica. Quali obiettivi si prefigge questo studio? Il progetto DIGITRONICS vuole aggiornare il curriculum, per identificare e coprire tutte le opportunità e le sfide che l'industria meccatronica moderna deve affrontare. In secondo luogo, si vuole sensibilizzare e motivare al cambiamento del mindset dei formatori. Le Linee Guida raccolte sotto il titolo “La formazione innovativa modulare online” potranno sostenere i formatori a sentirsi più sicuri nell'uso delle nuove metodologie di insegnamento. Inoltre, si vuole indirizzare la preparazione dei formatori attraverso attività di apprendimento in mobilità, coinvolgendo un numero selezionato di docenti della formazione professionale. Quali sono i caratteri innovativi di questo metodo formativo per i docenti? E per gli studenti? In azienda, si è abituati a lavorare per obiettivi e a definirli con i collaboratori per raggiungere il successo. Le aziende efficaci fissano le metriche, i risultati che intendono raggiungere in linea con i loro business plan e definiscono le azioni che, se implementate efficacemente, porteranno i risultati attesi. Nella formazione, con lo stesso mindset data driven, ci si pone lo stesso risultato in termini di efficacia e trasparenza didattica grazie anche alle rubriche. Cosa sono le rubriche? Si tratta di descrittori specifici e graduati, che chiariscono a docente e discente i livelli soglia e progressivi in maniera uniforme per tutti. Questo strumento pedagogico fa la differenza in contesti accademici e aziendali, e fornisce efficacia e trasparenza per una valutazione formativa continua. Un contratto di apprendimento basato sulle rubriche chiarisce il "perché", il "cosa" e il "come" di un processo di insegnamento e apprendimento aperto e innovativo, raccogliendo feedback in corso di svolgimento. Una rubrica in mano allo studente gli permette di diventare autonomo come discente adulto, che progressivamente fa chiarezza sulle proprie strategie di apprendimento messe in atto per ottenere comportamenti osservabili efficaci in contesti reali di apprendimento continuo e professionalizzanti. Si ricordi, che World Economic Forum ha classificato la capacità di “imparare a imparare” tra le prime e che le rubriche possono essere uno strumento liberatorio per coniugare nuove tecnologie, efficaci modalità pedagogiche e contenuti stimolanti. Inoltre, le rubriche per loro natura catturano più dimensioni contemporaneamente e possono supportare insegnanti e formatori nella gestione della continua trasformazione digitale nella loro pratica didattica. Il formato a matrice e a griglia delle rubriche permette di incorporare livelli sempre più complessi dello sviluppo tecnologico, consentendo ai formatori di concentrarsi sugli studenti per offrire al meglio un'esperienza di apprendimento trasformativa e centrata sull’apprendente. Quali sono le linee guida di questa pedagogia digitale applicata alla meccatronica? Le Linee guida DIGITRONICS sono rivolte in modo specifico agli insegnanti, che devono padroneggiare non solo la loro materia specifica, ma anche le diverse metodologie, approcci didattici e tecnologie disponibili per un'area di apprendimento impegnativa come la meccatronica, anche a beneficio degli studenti. Uno dei principali sforzi compiuti nella stesura di queste Linee Guida è stato quello di promuovere e incoraggiare lo sviluppo di soluzioni innovative, che gli insegnanti di meccatronica di oggi devono essere in grado di identificare e gestire con i loro studenti. Ci può fare un esempio? Ad esempio, la capacità di includere nell'insegnamento delle materie specialistiche anche gli impatti ambientali e sociali durante il ciclo di vita del prodotto. Questo aspetto è stato sottolineato durante i focus group con gli stakeholders del partenariato come una delle abilità emergenti e come una competenza altamente necessaria affinché gli studenti siano formati non solo per aumentare la nostra prosperità materiale, ma anche per migliorare il nostro tessuto sociale e culturale. Come queste linee guida cambieranno e arricchiranno le skill degli studenti? Per studenti e docenti, la sfida resta quella di annullare il gap tra la formazione in aula e quella in contesto lavorativo, anche grazie a piattaforme digitali, soprattutto sul fronte delle hard skill. Per questo i focus group realizzati in Italia li ha coinvolti direttamente per esprimere la loro opinione e condividere la loro esperienza. Si sono coinvolte realtà eccellenti della formazione della meccatronica, tra cui l'ITS Meccatronico del Lazio e l'Università degli Studi di Cassino - Dipartimento di Ingegneria Civile e Meccanica. Grazie al dialogo inclusivo tra tutte le parti interessate, dai tecnici ai professionisti agli accademici e studenti o ex studenti, il processo ha portato all'ideazione e alla stesura di Linee Guida e delle rubriche al loro interno che, una volta convalidate nella pratica continua, saranno utili e significative in uno spazio di apprendimento continuo lavorativo o professionalizzante. La vera sfida ora è coltivare una cultura dell'insegnamento e dell'apprendimento basata sugli obiettivi, e aiutare docenti e studenti ad abbracciare il supporto multidimensionale delle rubriche. Forse saranno avvantaggiati i professionisti che spesso insegnano materie tecniche con una padronanza approfondita di contenuti e tecnologie. Tuttavia, questi dovranno acquisire esperienza nella valutazione dei materiali, nel trasformare gli studenti da principianti in esperti, nel creare attività di apprendimento coinvolgenti e inclusive, nell’esprimere obiettivi di apprendimento significativi e spiegare come ottenere risultati positivi. Qual è il ruolo di Confindustria in questo nuovo quadro formativo? Sistemi Formativi Confindustria è il partner incaricato di sviluppare le Linee guida per l'innovazione dell'insegnamento digitale della meccatronica. In base ad una ampia ricerca documentale sugli approcci pedagogici emergenti realizzata in collaborazione con il professor Leonardo Quattrocchi, e grazie ai contributi raccolti attraverso i focus group realizzati in ciascuno dei 4 paesi coinvolti nel progetto, si è delineato il framework delle competenze emergenti che mettono il formatore della meccatronica in condizioni ideali per saper progettare, individuare e applicare gli strumenti digitali più adeguati per l'insegnamento delle discipline che afferiscono alla Meccatronica. Queste best practice sono in uso anche nei percorsi formativi Luiss Business School? Il modello educativo della Luiss Business School stimola un’esperienza di apprendimento immersiva, animata dal dialogo costante con i suoi corporate partners per abilitare un processo di formazione e di trasformazione di ogni partecipante. Metaverso, Intelligenza Artificiale, Realtà Virtuale e tutte le tecnologie correlate potenziano l'esperienza di apprendimento Boundless offerta ai nostri partecipanti alla Luiss Business School. 06/07/2023

31 Maggio 2023

Transizione Digitale, Guido Talarico: “Un corso per formare i professionisti dell’era digitale”

Intervista a Guido Talarico, fondatore di IQDMedias, che con Federica Brunetta coordinerà l’Executive Programme in Gestione delle Tecnologie Digitali, programma di crescita professionale dedicato all’upskilling e reskilling digitale targato Luiss Business School La transizione digitale è un processo cruciale per le organizzazioni italiane. Internet ad alta velocità, e-commerce, cloud: le imprese stanno familiarizzando con le opportunità digitali. Tuttavia, secondo una ricerca di Unioncamere e InfoCamere del 2020, solo il 42% delle Pmi italiane utilizza attivamente strumenti digitali per le proprie attività. “Una percentuale bassa, che di fatto indica un ritardo di un comparto così vitale per il nostro Paese. Colmare il gap per compiere la transizione digitale è imperativo”, spiega Guido Talarico, co-cordinatore e referente scientifico dell’Executive Programme in Gestione delle Tecnologie Digitali di Luiss Business School. Transizione digitale nelle organizzazioni: a che punto siamo in Italia? Parliamo di una questione centrale per il futuro del nostro paese. La transizione digitale nelle organizzazioni italiane è un processo in corso che sta assumendo sempre maggiore importanza. Negli ultimi anni abbiamo fatto progressi significativi nel promuovere l'innovazione digitale e l'adozione delle tecnologie digitali nelle imprese e nell'amministrazione pubblica, ma i ritardi ci sono ed il percorso è ancora lungo. Questo significa che chi nei prossimi anni si affaccerà sul mercato del lavoro dimostrando di avere una buona conoscenza di queste materie, avrà un futuro professionale assicurato. Ci dà qualche dato di scenario? I numeri aiutano a capire bene lo stato dell’arte. Partiamo dalla connessione ad Internet. Secondo i dati dell'Agenzia per l'Italia Digitale (AgID) del 2020, circa il 93% delle imprese italiane ha accesso a Internet ad alta velocità. Questo è un passo significativo verso la digitalizzazione delle attività aziendali. Anche l'adozione del cloud computing è aumentata negli ultimi anni. Secondo una ricerca di IDC Italia del 2020, il 74% delle imprese italiane ha adottato almeno una soluzione di cloud computing. Discorso analogo per l'e-commerce che è in crescita in Italia, anche se è ancora relativamente meno sviluppato rispetto ad altri paesi europei. Nel 2020, le vendite online hanno rappresentato circa il 7,7% del totale delle vendite al dettaglio, secondo i dati di Netcomm. L'adozione dell'e-commerce è stata influenzata anche dalla pandemia di COVID-19, che ha spinto molte imprese a investire maggiormente nelle vendite online. Le piccole e medie imprese italiane come sono messe? Le Pmi italiane stanno gradualmente adottando tecnologie digitali per migliorare la propria produttività e competitività. Tuttavia, secondo una ricerca di Unioncamere e InfoCamere del 2020, solo il 42% delle PMI italiane utilizza attivamente strumenti digitali per le proprie attività. Una percentuale bassa che di fatto indica un ritardo di un comparto così vitale per il nostro paese. La digitalizzazione del settore pubblico invece come procede? Anche il settore pubblico italiano sta affrontando la transizione digitale con impegno, conscio del fatto che è un cambiamento fondamentale. L'AgID sta promuovendo l'adozione di servizi digitali da parte delle amministrazioni pubbliche per semplificare le procedure burocratiche e migliorare l'efficienza. Ad esempio, nel 2020 è stato introdotto il "Codice dell'Amministrazione Digitale" (CAD), che stabilisce le regole per l'uso dei servizi digitali da parte delle pubbliche amministrazioni. Ancora una volta: fatti passi avanti, ma occorre accelerare. Quali sono le skill che mancano per completare il processo di transizione digitale? In Italia, alcuni settori manifestano carenza di diverse competenze digitali. Ciò succede anche tra i lavoratori. Cominciamo, dunque, partendo dalla base. Molti italiani, in particolare tra le fasce di età più anziane, e le persone con un livello di istruzione più basso, non raggiungono una sufficiente alfabetizzazione digitale. Ciò include competenze come l'utilizzo di computer, la navigazione su Internet, la gestione degli account online e l'utilizzo delle applicazioni di base. Mancano anche competenze tecniche avanzate nel campo delle tecnologie emergenti, come l'intelligenza artificiale, l'Internet delle cose (IoT), la blockchain e la cybersecurity. Queste competenze richiedono una formazione specializzata e sono richieste in settori specifici come l'informatica, l'ingegneria e la scienza dei dati.  Quali competenze digitali mancano alle imprese e nel settore pubblico? Tra i privati queste competenze includono la gestione di presenza online, l'e-commerce, il marketing digitale, l'analisi dei dati, la comunicazione e la sicurezza informatica.  Nel settore pubblico, possono mancare competenze specifiche per la digitalizzazione delle amministrazioni pubbliche, come la progettazione e l'implementazione di servizi digitali, la gestione dei dati, la cybersecurity e la privacy. Poi c’è il tema delle competenze trasversali. Cioè? Al di là delle competenze tecniche specifiche, sono richieste competenze trasversali come la capacità di problem solving, il pensiero critico, la creatività, la collaborazione e la comunicazione digitale. Queste skill sono essenziali per adattarsi ai rapidi cambiamenti tecnologici e sfruttare appieno le opportunità digitali. Parliamo di Big Data: quali sono le skill necessarie per trasformarli in un'occasione di business? Sono necessarie diverse competenze. Prendiamo, ad esempio, l’analisi dei dati. La capacità di estrarre informazioni significative è fondamentale. Ciò include competenze nell'analisi statistica, nell'utilizzo di strumenti e tecniche di data mining e nell'applicazione di algoritmi di apprendimento automatico (machine learning) per rivelare modelli, tendenze e insight nascosti nei dati. C’è poi il tema della programmazione e della gestione dei dati: conoscenze di linguaggi di programmazione come Python o R, e competenze nel lavorare con database e strumenti di gestione dei dati, consentono di manipolare, pulire, trasformare e organizzare i dati in modo efficace. Infine, altre due questioni centrali. Occorre avere poi la capacità di analizzare in modo critico i problemi aziendali, formulare domande pertinenti, sviluppare strategie di analisi dei dati e proporre soluzioni basate sui risultati dell'analisi. Poi c’è il tema della comunicazione e della visualizzazione dei dati. Essere in grado di comunicare in modo chiaro e persuasivo i risultati dell'analisi dei dati è fondamentale per influenzare le decisioni aziendali. Quali le prossime frontiere di applicazione? L’Intelligenza artificiale e l’apprendimento automatico sono quelle che forse colpiscono di più per le conseguenze anche etiche che implicano. I Big Data stanno alimentando l'evoluzione dell'intelligenza artificiale (AI) e dell'apprendimento automatico. L'uso di modelli di AI e algoritmi di machine learning sui Big Data consente di ottenere previsioni più accurate, automatizzare i processi decisionali e migliorare l'efficienza operativa. Anche l'Internet delle cose (IoT) e i dispositivi connessi stanno generando enormi quantità di dati. L'analisi dei Big Data provenienti da sensori e dispositivi IoT consente infatti di ottenere insight in tempo reale, migliorare la manutenzione preventiva, ottimizzare la gestione delle risorse e creare nuovi modelli di business. Digitalizzazione per ERS: quali sono le occasioni da cogliere nello scenario attuale? Nel contesto della Sanità e, in particolare, dei Servizi di Emergenza e Soccorso (ERS), la digitalizzazione offre numerose occasioni da cogliere nello scenario attuale. Ad esempio, consente la telemedicina e il tele-triage, strumenti che consentono ai pazienti di essere valutati e assistiti a distanza, riducendo i tempi di attesa nelle strutture sanitarie e ottimizzando le risorse. La telemedicina può essere utilizzata per la gestione di emergenze non gravi o per fornire un primo supporto medico prima dell'arrivo delle squadre di soccorso. C’è il monitoraggio remoto che può aiutare a identificare precocemente eventuali segnali di peggioramento e consentire interventi tempestivi, riducendo il rischio di complicazioni e il bisogno di ricoveri ospedalieri. La digitalizzazione permette anche l'integrazione dei dati provenienti da diverse fonti, come ambulanze, ospedali e centri di emergenza. Questa condivisione di informazioni in tempo reale può migliorare la coordinazione e la gestione dei casi, facilitando il trasferimento delle informazioni pertinenti tra i diversi attori coinvolti nell'assistenza di emergenza. Insomma, la digitalizzazione anche in questo settore può avere un impatto prorompente. Anche per questo è importante sottolineare che l'implementazione di tali soluzioni richiede una pianificazione attenta, considerando aspetti di sicurezza, privacy dei dati e integrazione con i sistemi esistenti, nonché la formazione e l'addestramento del personale coinvolto. Per colmare queste lacune e sfruttare appieno le potenzialità della digitalizzazione, sono necessari investimenti in formazione e educazione digitale sia nel sistema scolastico che nel settore professionale. Le iniziative pubbliche e private possono promuovere la consapevolezza delle competenze digitali necessarie e offrire programmi di formazione specifici per aiutare le persone a sviluppare le competenze richieste? L’Executive Programme in Gestione delle Tecnologie Digitali che abbiamo appena presentato è strutturato per fornire ai partecipanti gli strumenti tecnici e culturali necessari a comprendere meglio la storia e l’evoluzione della rivoluzione digitale, l’impatto della digitalizzazione sulla società – dal mondo delle imprese a quello degli apparati amministrativi pubblici – e soprattutto per assicurare una competenza sui principali strumenti digitali oggi presenti sul mercato. Quali vantaggi possono esserci per le aziende e i professionisti che decidono di investire su questo percorso formativo? È un programma pensato per colmare i vuoti di cui abbiamo parlato. Il nostro Executive servirà ad aiutare professionisti pubblici e privati operanti nei settori più diversi a migliorare le proprie competenze in un settore chiave per il futuro del paese. Forniremo sia strumenti di base per colmare lacune e per dotarsi di quelle competenze necessarie ad affrontare con efficacia le sfide che il mercato del lavoro pone sempre di più in maniera pressante. Chi è Guido Talarico. Guido Talarico è il fondatore della Rome Institute of Technology e presidente della Fondazione Patrimonio Italia, due istituzioni che si sono affiancate alla Luiss Business School proprio con l’obiettivo di sostenere la crescita delle competenze nel nostro paese in settori chiave come Innovation, Big Data & Digital Transformation. Inoltre, è fondatore e CEO di IQDMedias, una media company digitale che, anche grazie all’applicazione di intelligenza artificiale, ha saputo sviluppare nuovi modelli di business che le consentono con efficacia di operare a livello globale. Con Federica Brunetta, è coordinatore e referente scientifico dell’Executive Programme in Gestione delle Tecnologie Digitali Cos’è l’Executive Programme in Gestione delle Tecnologie Digitali di Luiss Business School. Il programma verrà somministrato in modalità ibrida, cioè in remoto ed in presenza. È pensato per coloro i quali vogliono accelerare la propria carriera o anche reinventarsi (ovvero cambiare ruolo, settore o funzione sviluppando le competenze e il network necessario) o riprendere in mano il proprio percorso professionale ottenendo le competenze e gli strumenti utili per ripartire con la propria carriera.   31/05/2023

18 Maggio 2023

Ascolto, fiducia e flessibilità: il modello lavorativo vincente di Amgen Italia

Con il flexible working il team italiano affronta il New Normal in controtendenza rispetto alle altre organizzazioni. Lo racconta un business case targato Luiss Business School In un report di dicembre 2021 l'Ocse aveva profetizzato che «le innovazioni nei metodi professionali con l’adozione massiccia del lavoro a distanza» sarebbero rimaste tali e quali anche negli anni a venire. Ma questa speranza sembra svanita. Le aziende di tutto il mondo stanno richiamando i propri dipendenti e manager in ufficio. Ma c'è qualcuno che va controcorrente, come dimostra il business case “Amgen: quando lo Smart working diventa lavoro agile per una crescita sostenibile. Il ricercato equilibrio tra DNA aziendale, ingaggio dei dipendenti e competitività”. Condotto da Maria Isabella Leone, Direttrice Osservatorio sull’equità di genere nella leadership in Sanità, Luiss Business School, e Ginevra Assia Antonelli, Dottoranda di Ricerca in Gestione dell’Innovazione (aperta) e pratiche organizzative, Luiss Guido Carli, lo studio dimostra come la strada per creare engagement e nuovi modelli di organizzazione passi dal mettere le persone al centro. Ne abbiamo parlato con Livia Alessandro, Direttrice HR, Amgen Italia. In questo New Normal, dopo l'isolamento della pandemia, come possono le aziende mettere le persone al centro? Come lo ha fatto Amgen? Amgen ha iniziato questo percorso ormai da molti anni, valorizzando il capitale umano con politiche che riflettono i nostri valori: completa fiducia e collaborazione. Mettere le persone al centro significa riconoscere che le colleghe e i colleghi sono la risorsa più importante per l'azienda. Di conseguenza, valorizzare le loro capacità, fare in modo che possano esprimere il loro potenziale, tutelando il loro benessere, sono aspetti fondamentali per la buona salute dell'azienda stessa. Alcuni esempi: non timbriamo il famoso cartellino da 10 anni e avevamo già prima della pandemia la possibilità di lavorare in smartworking. Per questo, per quel che ci riguarda, il New Normal ha impattato molto poco dal punto di vista organizzativo. Eravamo già pronti, ma abbiamo dovuto riorganizzare le nostre modalità di interazione, collaborazione e scambio. La pandemia ci ha offerto l'occasione di fare un passo avanti. Su cosa avete lavorato? Prima di tutto, abbiamo lavorato per favorire un’evoluzione dell’ingaggio e su una comunicazione con i colleghi continua e trasparente. Prima della pandemia era possibile, dato il contesto fisico, comunicare in maniera più immediata, quando lo si fa attraverso uno schermo si deve essere quanto più efficaci e chiari possibile. Ciò è rimasto anche dopo la pandemia. Abbiamo favorito un dialogo su attività e politiche aziendali. Un altro punto fondamentale è stato offrire una formazione continua: abbiamo lavorato sulle competenze tecniche, sulle soft skills, con particolare attenzione sul change management. Inutile negare che l'organizzazione del lavoro post-pandemia è cambiata, a partire dalla leadership fino all'interazione con i colleghi. Abbiamo lavorato sulla flessibilità. Le aziende dovrebbero esserlo, noi lo siamo sempre stati. L'ultimo punto fondamentale è stato l'ascolto strategico. “Mettere al centro le proprie persone, ascoltarne i bisogni per individuare insieme le risposte più giuste è uno dei punti di forza di Amgen”. Perché puntare sull’ascolto e quali sono stati i pilastri di questa strategia? L'ascolto strategico va oltre il semplice ascolto attivo. Permette di misurare il clima aziendale e aiuta a prendere le decisioni anche tenendo conto delle indicazioni della popolazione aziendale. Ciò significa costruire sulla fiducia. Nel lungo periodo è fondamentale, soprattutto in un'organizzazione con lavoro ibrido, in cui non richiediamo la presenza costante in ufficio. Abbiamo creato finestre di ascolto e anche grazie alla predisposizione delle persone a interagire, c’è stato un punto di svolta. Le persone devono sapere che quello che ci dicono e come ce lo dicono, fa la differenza. Un esempio su tutti: il continuo adattamento della nostra policy di smart working, fino ad arrivare al modello attuale che noi chiamiamo flexible working. Nella vostra azienda il lavoro agile viene considerato abilitante di una crescita sostenibile, capace di innescare anche l'ingaggio dei dipendenti e competitività. Qual è la formula vincente dietro questo modello? Quando si esplora una nuova era, ci sono tanti punti interrogativi. Siamo partiti da due punti solidi: l’ascolto, come spiegavo prima e la fiducia rispetto all'organizzazione. Quando abbiamo deciso di evolvere il nostro modello lavorativo abbiamo optato per una liberalizzazione completa tenendo anche conto anche delle richieste della popolazione aziendale. In accordo con le rappresentanze sindacali, oggi abbiamo solo due giorni al mese obbligatori di lavoro in ufficio, ma notiamo che le persone di sede tendono a venire in ufficio un paio di volte a settimana.  Abbiamo reso flessibile anche l'orario, 8 ore di lavoro comprese tra le 7 e le 20. Questa fiducia ha responsabilizzato ulteriormente i colleghi e ha garantito il raggiungimento degli obiettivi individuali e di team. Possiamo contare su una maturità dell'organizzazione. In che modo? Tra i valori di Amgen c'è quello di “collaborare, comunicare ed essere responsabili”. Il nostro approccio, legato alla matrice americana si riflette sulla responsabilizzazione di ciascuno, tutte le persone sono “imprenditori” del proprio ruolo, sanno che devono programmare obiettivi di medio, breve e lungo periodo. La combinazione tra la matrice americana e l'approccio locale volto alla fiducia ha fatto sì che la formula diventasse vincente. Secondo un report di Manpower, la maggior parte dei lavoratori (51%) e la metà dei datori di lavoro (50%) sostengono che le idee più creative nascono durante le sessioni di brainstorming dal vivo. Qual è il suo pensiero? L’ingaggio delle persone in un contesto di lavoro ibrido è stata una tematica complessa da gestire e sulla quale lavoriamo di più sul lungo periodo. Eseguiamo due sondaggi l'anno, per misurare il clima aziendale e individuare le motivazioni che spingono le persone a lavorare in modalità ibrida. Questo ci permette di adeguare le policy. Durante la nostra ultima indagine, eseguita a luglio 2022, il 90% degli intervistati si è detto soddisfatto delle nostre politiche di flexible working. D'altra parte, il 70% delle persone afferma che il lavoro in presenza alimenti il networking e la collaborazione. Da qui abbiamo sviluppato un approccio per il quale prediligiamo il lavoro in presenza per attività che necessitino di uno scambio maggiore tra i team, come per esempio riunioni dove dobbiamo condividere decisioni importanti e il brainstorming. Con il mio team, ogni sei settimane abbiamo un deep dive meeting in presenza per confrontarci e approfondire degli argomenti specifici.  “Il mercato italiano è tra i più strategici per il gruppo”. Come Amgen Italia punta a fare la differenza nel settore farmaceutico nazionale? Amgen è leader nel settore delle biotecnologie farmaceutiche e grazie a una profonda conoscenza della biologia, unita alle tecnologie più innovative, è in grado di rendere disponibili ai pazienti soluzioni inedite per il trattamento delle patologie più gravi. In Italia siamo presenti, con circa trecento collaboratori e un mercato che per dimensioni è il sesto del gruppo a livello globale: siamo una realtà saldamente inserita nel tessuto economico, scientifico e sociale del paese.  Puntiamo a “fare la differenza” mettendo a disposizione competenze scientifiche e soluzioni terapeutiche innovative in onco-ematologia, nel cardiovascolare nelle malattie infiammatorie e nell’osteoporosi: tutte aree nelle quali Amgen dispone di una pipeline R&S ampia e innovativa. L’Italia, pienamente partecipe di questi sviluppi, gioca un ruolo significativo e qualificato nelle attività di ricerca clinica: nel 2022, 42 studi clinici, 282 centri di ricerca coinvolti con 100 nuovi studi, 785 pazienti arruolati. Inoltre, con i biosimilari contribuiamo ad affrontare i grandi problemi della salute e dell’accesso alle terapie innovative, offrendo farmaci biotecnologici ai pazienti in modo sostenibile per il sistema sanitario e consentendo di liberare risorse da destinare alla ricerca. Forti di un’esperienza pluriennale a contatto con pazienti, medici, istituzioni, in Italia siamo partner di questi interlocutori nella ricerca di risposte alla domanda di salute che viene dai cittadini. Al centro delle nostre attività, ci sono le persone: pazienti, professionisti della salute e naturalmente i collaboratori dell’azienda. Tra questi ultimi, un impegno speciale è dedicato ad attrarre e trattenere i giovani talenti, ma questa attenzione ai giovani va anche oltre i confini dell’azienda. Come investite su questo segmento? In primo luogo, investiamo per attrarre nuove generazioni all'interno dell'azienda. Il 28% delle persone di Amgen è under 40. Inoltre, attraverso la Fondazione Amgen realizziamo, anche in Italia, programmi con l’obiettivo di ispirare gli innovatori di domani e indirizzati allo sviluppo e diffusione della cultura scientifica per studenti e insegnanti delle scuole superiori e degli studenti universitari. Tra questi programmi, Amgen Scholars apre le porte dei più prestigiosi laboratori di ricerca internazionali agli studenti universitari più meritevoli e offre la possibilità di lavorare a progetti di ricerca reali. Dal 2009 sono stati coinvolti oltre 40 giovani talenti italiani. Interessanti sono anche Amgen Biotech Experience per gli studenti delle scuole superiori che hanno l’opportunità di vivere l’emozione della scoperta scientifica grazie a formazione e attrezzature avanzate per la ricerca nei laboratori. Questo progetto, in Italia ha coinvolto oltre 8300 studenti e più di 250 insegnanti di oltre 125 scuole. Infine, di altrettanto successo è LabXchange, una delle più innovative piattaforme di e-learning progettata insieme all’Università di Harvard, volta a migliorare l’educazione scientifica su scala globale che ha coinvolto oltre 50.000 studenti italiani. Come l’approccio al lavoro di Amgen favorisce il women empowement nel settore farmaceutico, alla luce della partnership per l’Osservatorio sull’equità di genere nella leadership in sanità? Sul fronte del genere se nel settore pubblico ci sono ancora diversi passi da fare, lo scenario è molto più bilanciato nel privato.  Amgen ha una forte cultura inclusiva e attiva sul fronte della “Diversità Inclusione e Appartenenza”: al centro ci sono le persone indipendentemente da età, genere, provenienza geografica, orientamento sessuale, religione. Riconosciamo e diamo valore ai team diversificati. Sul fronte del genere negli ultimi 10 anni abbiamo costruito un percorso solido, in cui possiamo dire che siamo arrivati a una parità: abbiamo una popolazione femminile pari al 54% del totale. Di cui il 51,8% occupa posizioni manageriali. I dati sono chiari per questo non parliamo di diversità, ma di equità di genere.Questo è stato possibile anche grazie a politiche aziendali inclusive e che mirano a mettere tutti nelle stesse condizioni per portare risultati. La soluzione è appunto nella capacità dell'azienda di mettere in atto politiche efficaci per valorizzare i propri collaboratori e tese al costante miglioramento della qualità dell’ambiente di lavoro, innescando un circolo virtuoso. 18/05/2023

17 Maggio 2023

Maria Isabella Leone: «Flessibilità senza isolamento, garantendo inclusione e ingaggio: le frontiere della “great re-imagination” del lavoro»

La Professoressa Associata e Direttrice dell'Osservatorio sull’equità di genere nella leadership in Sanità di Luiss Business School, racconta il caso di studio condotto su Amgen Italia e le nuove frontiere della crescita organizzativa sostenibile Nel New Normal post pandemico le aziende sono davanti a un bivio importante. Ripristinare lo status quo con il ritorno dei propri dipendenti nei vecchi uffici o re-immaginare luoghi e pratiche di lavoro. Il case study “Amgen: quando lo Smart working diventa lavoro agile per una crescita sostenibile. Il ricercato equilibrio tra DNA aziendale, ingaggio dei dipendenti e competitività” mostra che l’ascolto attivo delle persone, lavoro flessibile e fiducia sono le leve abilitanti di una crescita sostenibile. Il lavoro di ricerca condotto dalla prof.ssa Maria Isabella Leone, Direttrice dell'Osservatorio sull’equità di genere nella leadership in Sanità Luiss Business School, e Ginevra Assia Antonelli, Dottoranda di Ricerca in Gestione dell’Innovazione (aperta) e pratiche organizzative Luiss Guido Carli, racconta e analizza l’evoluzione delle scelte organizzative di un’azienda, alla ricerca di nuovi modelli di lavoro in grado di attrarre e trattenere il talento. Maria Isabella Leone, quali sono gli spunti più interessanti in tema di lavoro agile nel caso di studio Amgen da lei condotto? Il caso studio Amgen, condotto all'interno dell'Osservatorio sull’equità di genere della leadership in sanità, ha la caratteristica di raccontare il percorso che l'organizzazione ha affrontato durante il cosiddetto New Normal per mettere a punto una nuova gestione delle risorse umane. Ha, dunque, il grande pregio di raccontare un tema visibile a tutti, ma di farlo in maniera granulare, analizzando le diverse fasi decisionali e le sfide legate ad esse. Siamo partiti dalla situazione pre-pandemia, dove furono prese scelte prodromiche, che avrebbero indirizzato il futuro dell’azienda, attivate in una situazione ancora non definita. Siamo passati poi ad analizzare la risposta reattiva alla situazione pandemica, che ha accomunato tantissime aziende. Fino a giungere, poi, ad una riflessione più accurata sulle implicazioni di tale scelte sul futuro dell'organizzazione. In definitiva, il caso studio analizza le scelte da compiere e come compierle, enfatizzando l'ascolto delle persone che resta centrale nelle decisioni da prendere. Inoltre, il testo permette di ragionare sui vari passaggi, sulle leve utilizzate e di inquadrare questa nuova modalità di lavoro come un fattore abilitante di una crescita sostenibile. Che cosa può testimoniare l’esperienza Amgen in termini di women empowerment, alla luce della partnership per l’Osservatorio sull’equità di genere nella leadership in sanità? L'Osservatorio rappresenta un luogo virtuale e fisico di dibattito e di confronto sui temi legati alla equa rappresentatività dei generi nelle posizioni apicali e, più in generale, alla diversità e inclusività nel settore sanitario. Ciò che emerge dal rapporto annuale e in particolare dall’indice “Gender Leadership Index in Health”, che unisce evidenze del settore pubblico e privato, è che le aziende farmaceutiche rappresentano esempi virtuosi di equa rappresentatività nelle posizioni apicali. In quest’ottica, il caso della azienda farmaceutica Amgen ci permette di dare maggiore sostanza al numero sintetico dell’indice. Nel caso specifico, ci permette di analizzare come gli strumenti di progettazione organizzativa, quali il contratto di Lavoro agile, possano fungere da volano per una forza lavoro bilanciata e inclusiva. I numeri di Amgen sono chiari in termini di presenza femminile e ci raccontano come vengono messe in pratica operazioni organizzative di inclusione come il lavoro flessibile (flex working) che sicuramente agevola il women empowerment, inteso come possibilità per le donne di poter portare avanti i propri talenti, trovando un buon work-life balance, senza dover rinunciare a nessuna opportunità di sviluppo personale e professionale. Che peso può avere il purpose aziendale su talent attraction e retention con o senza lavoro agile? Come Luiss Business School siamo molto attenti alla parte di formazione e accompagnamento dei partecipanti dei nostri corsi, e ad anticipare le dinamiche del mercato del lavoro. Subito dopo il primo lockdown si parlava di Great resignation. Oggi si parla di Great Re-imagination, che ci porta a re-immaginare proprio il significato del lavoro. Abbiamo colto le difficoltà portate dal Covid e le abbiamo trasformate in opportunità di maggiore autonomia e flessibilità. Allo stesso tempo, stiamo ripensando a come non trasformarle in situazioni di isolamento individuale diffuso. Di conseguenza, i talenti decidono di candidarsi in posizioni lavorative caratterizzate da un purpose aziendale che rifletta queste nuove dinamiche e assicuri nuovi requisiti essenziali.   Quali sono? Secondo i dati del McKinsey Great Attrition and Great Attraction 2.0. Global Survey (2022), si chiede un luogo di lavoro inclusivo, flessibile, dove si possa apprendere e crescere, fare carriera, un lavoro che sia di significato (meaningful), cioè che abbia valore, che permetta di bilanciare, o meglio, integrare, lavoro e famiglia. Trovare il modo di attirare i talenti e mantenerli in maniera stabile all'interno dell'organizzazione richiede una re-immaginazione delle modalità di lavoro da parte delle aziende. Il caso Amgen ci permette di ragionare in modo ampio sullo scenario attuale e su quanto sia importante per le aziende prendere le giuste decisioni per attirare giovani talenti. Il che non significa fare solo employer branding, ma mettere in campo leve di attrazione durevoli e concrete per una crescita organizzativa sostenibile. Sembra che fare sviluppo e innovazione non si può a distanza. Secondo un report di Manpower, la maggior parte dei lavoratori (51%) e la metà dei datori di lavoro (50%) sostengono che le idee più creative nascono durante le sessioni di brainstorming dal vivo. Da esperta di Open Innovation qual è il suo pensiero? Come anticipato, abbiamo vissuto diversi stadi. Lo smart working è stata una reazione al Covid, ma in alcuni casi ha prodotto troppo isolamento. Con il rientro dello stato d’emergenza, le aziende hanno immaginato giornate in presenza per portare i dipendenti di nuovo in ufficio. Tuttavia, si sono resi conto che riportarli indietro, nelle vecchie stanze, non agevolava la creatività, e anzi, veniva vissuto come ulteriore costrizione, e in cui non veniva garantita necessariamente la possibilità di collaborare o semplicemente la socialità tra colleghi. Ora siamo in una terza fase, molto più interessante. Quale? C'è un allineamento tra canoni di collaborazione diffusa e i canoni di progettazione organizzativa diffusa. Le aziende hanno iniziato a progettare gli spazi in maniera differente, coerenti con la re-immaginazione del lavoro. Non solo mirano a garantire la flessibilità individuale, ma si propongono a fare leva sulla responsabilità, contemplano la valutazione per obiettivi, assicurando socialità, collaborazione e creatività. Uno dei casi più interessanti a riguarda il progetto hub quarter promosso da Efm che coinvolge tante Corporate italiane. Di cosa si tratta? È un nuovo modello organizzativo, basato sulla transizione da headquarter a hub quarter o hub&spoke, in cui c'è un punto centrale (hub) e tanti luoghi (spoke) sparsi territorialmente. Si tratta di spazi configurati in maniera diversa tra di loro, anche a seconda degli immobili, delle persone coinvolte e degli obiettivi che si vuole raggiungere. Si decuplica la possibilità di poter riconfigurare degli spazi coerenti con il nuovo modello abilitante della creatività. Si assicura la flessibilità individuale garantendo allo stesso tempo l’opportunità diffusa, anche territorialmente, di creare insieme e collaborare. Questo permette l'accesso a un bacino talenti infinito, perché in questo modello non ci sono barriere geografiche. Allo stesso tempo, si può essere più coerenti con nuovi dettami e concetti di progettazione organizzativa, che garantiscono flessibilità ma non isolamento. Tutto ciò è possibile se le persone sono pronte a farlo. Con molte aziende si ragiona su come cambiare la cultura organizzativa, attraverso un’efficace formazione delle persone coinvolte e l’uso abilitante di sistemi tecnologici, piattaforme e che permettono di gestire questi spazi, allocare le risorse, favorire un calendario ad hoc sulle attività da condurre. 17/05/2023

21 Aprile 2023

Chi è il Chief Experience Officer (CXO) e come può aggiungere valore all'azienda

Lo racconta Pier Paolo Bucalo, coordinatore scientifico dell'Executive Programme in Customer & Employee Experience Management targato Luiss Business School In questi mesi si parla molto di “great resignation” e di "quiet quitting”, ossia di dipendenti che lasciano spontaneamente le aziende o che di fatto perdono interesse per il proprio lavoro, riducendo il proprio impegno al minimo necessario. Secondo un’indagine Gallup del 2022, “State of the Global Workplace”, i dipendenti italiani sono i lavoratori più tristi d'Europa. Su 38 paesi analizzati, l'Italia è ultima con solamente il 4% di dipendenti soddisfatti del proprio posto di lavoro. Al tempo stesso, secondo uno studio effettuato da GlobalNR, anche i livelli di soddisfazione dei Clienti italiani sono i più bassi d’Europa. «Senza una forza lavoro ingaggiata e motivata, è molto difficile tradurre esperienze individuali in Customer Journey soddisfacenti» spiega Pier Paolo Bucalo, Adjunct Professor, Luiss Business School e coordinatore scientifico dell'Executive Programme in Customer & Employee Experience Management. A contribuire a risolvere tali criticità sono chiamati i Chief Experience Officer (CXO), figure al centro della prima edizione del programma. Obiettivo: creare una Human Experience che porti valore alle aziende. Professor Bucalo, dopo quattro edizioni dell’Executive Programme in Customer Experience Management debutta un nuovo programma che include anche la Employee Experience. Perché? Perché molti executive hanno nel tempo lamentato una poca sensibilità sul tema “experience” da parte delle proprie funzioni Risorse Umane. Ed un programma che abbia l’obiettivo di realizzare esperienze di valore per i Clienti non può ignorare il ruolo fondamentale che i dipendenti giocano nel merito. Chi è il Customer & Employee Experience Manager? Troppo spesso in azienda la misurazione della Customer Satisfaction è una responsabilità della Direzione Sales & Marketing, mentre la Employee Satisfaction viene gestita dalla Direzione People/HR. I limiti principali di tale approccio sono molteplici. In primo luogo, controllante e controllore coincidono, con rischio di bias sui risultati delle analisi. Poi, i dati che emergono non sempre vengono condivisi con l’intera organizzazione. Infine, si rischia di perdere le sinergie tra gestione dell’esperienza del cliente e del dipendente. Per ovviare a questa situazione nasce il ruolo del Chief Experience Officer (CXO), ruolo già presente in numerose aziende internazionali ma ancora assente in Italia. È appunto la figura che formiamo nel nostro percorso Executive. Si tratta del punto di sintesi tra Employee Experience Manager e Customer Experience Manager. Di cosa si occupa il Chief Experience Officer? Il CXO ha innanzitutto il compito di misurare i livelli di salute e di soddisfazione di Clienti e dipendenti. Risultati che deve poi condividere con l'intera organizzazione. Facilita e aumenta la conoscenza e la comprensione dei clienti tra i dipendenti, e fa lo stesso affinché i manager comprendano meglio i dipendenti e le loro esigenze. Supporta le direzioni HR e Marketing nel disegno e nell'implementazione di esperienze destinate a dipendenti e clienti. Inoltre, evidenzia e sviluppa sinergie tra Customer Experience ed Employee Experience. Infine, misura l'impatto della Customer Experience sui dipendenti e quello della Employee Experience sui Clienti, nonché l'impatto di entrambe sui KPI aziendali. Quali sono le sue competenze? Il CXO deve avere un mix di competenze “hard” (capacità di analisi in primis) e competenze “soft” (psicologia e empatia sono indispensabili). Queste ultime sono cruciali. Infatti, se si tratta di studiare e comprendere l’uomo “lavoratore dipendente”, le competenze sono (o dovrebbero essere) all’interno della funzione Risorse Umane (HR), che – in estrema sintesi – si sforza di comprendere cosa motivi e renda soddisfatto l’essere umano quando lavora, e ne consenta lo sviluppo professionale. In questo contesto vengono utilizzate parole come empowerment, fulfillment, purpose. Se invece si tratta di comprendere l’uomo “consumatore”, le competenze ricadono nella funzione Marketing (almeno quelle “teoriche”), che cerca di analizzare cosa motivi ed influenzi l’essere umano nel processo di analisi, scelta ed acquisto di un prodotto o un servizio. Se poi ci domandiamo chi, in azienda, conosca davvero, “in pratica”, il comportamento dell’essere umano “consumatore”, allora è probabile che si tratti della funzione Commerciale, la “front line” e gli agenti commerciali. Ma credo sia opportuno ricordare che l’essere umano è sempre lo stesso, ed è attratto da esperienze gratificanti, siano esse legate al posto di lavoro o quando si tratta di fare acquisti. Il CXO può rappresentare l’anello mancante per consentire alle aziende di condividere al proprio interno tutto il know-how e le competenze in materia psicologica, sociologica e comportamentale. Vi sono, infatti, profonde sinergie tra le competenze di cui un’azienda ha bisogno per diventare “best employer of choice” e le competenze necessarie affinché la stessa azienda sia in grado di offrire ai propri clienti una “superior customer experience”. Customer experience, vecchie pratiche e nuovi trend: quali sono i principali cambiamenti legati a questo tema? La multicanalità è realtà da molti anni, ma le aziende continuano a considerare i diversi mezzi come alternativi e non sinergici, gestendoli in modo separato. Sempre più spesso le esperienze dei clienti oscillano tra canali digitali e fisici, il cosiddetto “ROPO effect” (Research Offline, Purchase Online e viceversa). I clienti cercano sia online per poi comprare offline, sia viceversa. Per questo, qualsiasi canale venga scelto, l'utente deve poter vivere la stessa esperienza. Inoltre, l'azienda deve sapere ciò che il cliente ha fatto sugli altri canali. In più, non bisogna dimenticare di aggiungere empatia a qualsiasi canale. Il dipendente non empatico può fare danni su tutti i “touchpoint”: sia nel punto vendita fisico che al telefono o su via email o web-chat. Un secondo trend da tenere in considerazione è quello legato all'innovazione. In che modo l’innovazione incide sulla Customer & Employee Experience? L'innovazione sta avendo ed avrà sempre di più un impatto enorme sulla rapidità e sulla qualità della raccolta dei dati. Prima i dati venivano raccolti attraverso focus group, i cui risultati venivano analizzati nel tempo per poi produrre risultati con mesi di ritardo. Oggi la tecnologia ci aiuta ad avere molte più informazioni in tempi molto più rapidi, sempre nel rispetto della privacy, non solamente sui canali online, ma anche sui canali fisici. Pensiamo ad esempio al riconoscimento facciale, che consente di avere in tempo reale un quadro sintetico delle emozioni dei clienti raccolte nei punti vendita. Credo sia davvero importante per un’azienda poter sapere se il proprio cliente è uscito dal punto vendita più o meno felice di quando vi è entrato. Employee Experience e Customer Experience: in che modo si influenzano a vicenda? Se l'azienda riesce ad aumentare il livello di soddisfazione e di coinvolgimento dei propri dipendenti, i risultati si vedranno su tutte le variabili critiche. I dipendenti soddisfatti hanno maggiore produttività, maggiore motivazione, minore assenteismo, ed offrono un migliore servizio quando interagiscono con i clienti, che avranno così un migliore Customer Journey. Quali sono le leve per ottenere dipendenti più soddisfatti? Come dimostrato dai prof. Teresa Amabile and Steven Kramer di Harvard Business School, la grande maggioranza dei manager non è in grado di comprendere ciò che davvero motiva i dipendenti. Secondo i manager il salario è la principale leva di motivazione dei dipendenti, mentre, sulla base di ricerche lunghe e ripetute nel tempo, le leve di motivazione sono più emotive che economiche. Il salario deve essere sufficiente a non rappresentare un problema. Sono però le emozioni positive a incrementare la motivazione: il desiderio di autonomia crescente, le opportunità di crescita, la voglia di contribuire e ricevere il riconoscimento per un lavoro ben fatto, la possibilità di trovare il purpose aziendale in tutto ciò che si fa. Quali sono i trend più recenti di cui i manager devono tenere conto nel ridisegnare una Customer Experience in maniera innovativa? Come ci ricorda Simon Sinek, People don't buy what you do, they buy why you do it. I clienti non comprano ciò che un'azienda offre, ma sposano la ragione per la quale un'azienda fa ciò che fa. Secondo una ricerca Accenture, oltre a prezzo, qualità dei prodotti e dei servizi e customer experience, ciò che conta per i clienti sono trasparenza, attenzione nei confronti dei dipendenti, presenza di valori etici e la dimostrazione di autenticità e coerenza in tutto ciò che l'azienda fa. Secondo Larry Fink, CEO di BlackRock, purpose is the engine of long-term profitability (il purpose è il motore per una profittabilità di lungo periodo). Inoltre, c'è un cambiamento tra gli obiettivi dell'azienda: non si deve più generare valore per i soli azionisti, ma per tutti gli stakeholder. Quindi per i clienti, per i dipendenti, per i fornitori, con cui bisogna rapportarsi in modo equo ed etico, per le comunità nelle quali le aziende devono generare valore. Infine, consumatori e dipendenti sono sempre più sensibili alle tematiche ESG (Environmental, Social e corporate Governance). Per le nuove generazioni, l'obiettivo principale di un'azienda deve essere quello di migliorare la società. Quali sono le soft skill che possono fare la differenza? Come verranno allenate in aula? Principalmente l'empatia e la capacità di ascolto. All’interno del programma, gli studenti avranno l’opportunità di vestire i panni del mistery shopper, per giudicare la competenza tecnica, l'abilità, ma anche le soft skill degli addetti alla clientela nei diversi punti vendita. Quali sono i fattori necessari per una trasformazione aziendale in un’ottica customer-centric? Per realizzare una trasformazione customer centric c'è bisogno in primis del commitment del top management, a volte poco attento al “fattore umano”. Ci devono essere poi una comprensione e consapevolezza condivisa e diffusa dell'impatto della visione customer centric sull'organizzazione. Bisogna conoscere i propri clienti e i propri dipendenti, trasformando i dati che li riguardano in metriche e insight. Ci deve essere abilità nell'utilizzo di nuove tecnologie e si deve scegliere il corretto modello organizzativo, che consenta la responsabilizzazione dei dipendenti. Ultimo, ma non meno importante, bisogna ragionare sull'orizzonte temporale dei propri obiettivi. In che modo? Un dipendente soddisfatto resterebbe nella stessa azienda per 20 anni. Anche un cliente soddisfatto non sente alcuna necessità di cambiare azienda. Purtroppo, a volte è proprio il top management ad avere obiettivi ed incentivi di breve periodo, il che può impoverire l'organizzazione. Per questo, quando parliamo di sostenibilità, non pensiamo solamente all’ambiente. Pensiamo piuttosto alla sostenibilità economica. I risultati di un’azienda sono sostenibili nel tempo solo se tali risultati sono generati da dipendenti soddisfatti e da clienti altrettanto soddisfatti. Compito del CXO è tenere sotto controllo queste due variabili chiave, soddisfazione di clienti e dipendenti, le uniche che possono garantire all’azienda una lunga vita in salute. SCOPRI IL PROGRAMMA 21/04/2023

27 Gennaio 2023

Ingovernabili? Forse no: strategie per disciplinare gli ecosistemi digitali

Presentato alla Luiss Business School il libro “Ingovernabili – Grandi piattaforme, nuovi monopoli e la lotta per la concorrenza” di Andrea Minuto Rizzo e Roberto Sommella, edito da Luiss University Press Quando si guarda agli attori economici che compongono veri e propri ecosistemi digitali, si pensa anche alla difficile sfida che essi rappresentano per la tutela della concorrenza, il benessere dei consumatori, la democrazia economica. Società come Google, Meta, Amazon ed Apple appaiono ingovernabili, impossibili da imbrigliare in un quadro normativo necessariamente internazionale. Questo il punto di partenza centrale del volume Ingovernabili – Grandi piattaforme, nuovi monopoli e la lotta per la concorrenza di Andrea Minuto Rizzo e Roberto Sommella (Luiss University Press). Ingovernabili – Grandi piattaforme, nuovi monopoli e la lotta per la concorrenza: i temi Ingovernabili ripercorre la storia della nascita delle piattaforme e degli ecosistemi digitali, cercando di delineare delle soluzioni alla difficile sfida della tutela della concorrenza, come presidio non solo del benessere dei consumatori, ma anche della democrazia economica. A fronte della capitalizzazione prodotta dalle Big Tech – circa 14 trilioni di dollari – si osserva una sempre più profonda disuguaglianza economica, che si traduce in un crescente divario sociale. Le autorità hanno a che fare non più con imprese operanti in mercati che a certe condizioni riescono ad auto-correggersi, ma con veri e propri ecosistemi digitali, fortezze in grado di tenere a distanza i propri concorrenti e di operare per molti aspetti con la forza di realtà statali. Da questo nasce l’esigenza di introdurre nuove forme di regolamentazione ex ante complementari agli interventi antitrust, che obblighino i colossi tecnologici ad abbassare le barriere, favorendo l’arrivo dei concorrenti; l’applicazione più aggressiva delle norme sul controllo delle concentrazioni; la cooperazione tra le autorità di concorrenza e i regolatori settoriali (per esempio nel campo della protezione dei dati personali); e una maggiore collaborazione a livello internazionale. Alla ricerca di un punto di equilibrio «Solo le società che si sviluppano riescono ad essere solidali perché ci vogliono le risorse per essere solidali. E solo le società solidali riescono a svilupparsi. In una società in cui la materia prima è il cervello, non c'è nessuna società che si sviluppa se non include, se non coinvolge e non valorizza. Ingovernabili dimostra la perenne transizione di questi rapporti – ha spiegato Luigi Abete, Presidente, Luiss Business School, in apertura dell'incontro. – Il libro dimostra come ci si trovi in uno stato di evoluzione della tecnologia, della rete, dell'organizzazione dei fattori produttivi e distributivi, con aziende che, di fatto, sono ingovernabili. Dall'altra parte, ci sono dei soggetti, le autorità antitrust, che cercano di regolarle in base ad approcci diversi: quelli di estrazione americana, più attenti alla qualità del consumatore; quelli di estrazione europea, più intrusiva. Manca un punto di equilibrio. Il libro documenta il problema nella sua evoluzione, sostenendo che è necessario avere la capacità di affrontarlo con cognizione della complessità e con la capacità di adeguare le norme, oltre che di applicarle in modo coerente. In fondo, questo è l'equilibrio che si richiede alle istituzioni che, se troppo statiche, restano fuori dalla Storia e , se troppo dinamiche, non sono più istituzioni, perché non razionalizzano i comportamenti della società». Governare con un approccio trasversale «Secondo noi i big tech sono ancora ingovernabili – ha sottolineato Andrea Minuto Rizzo, Responsabile Affari Istituzionali dell’Unione Europea e Internazionali, Ferrovie dello Stato Italiane, e autore del volume. – Secondo noi questa condizione rimane perché non esiste un modello regolatorio univoco, ma esistono risposte prese nel contesto e in uno specifico tempo politico. Bisogna trovare un trade off adeguato tra una normativa efficace e implementabile rapidamente. Ma si deve anche tenere conto delle spinte innovative che gli operatori portano sul mercato. È necessario che ci sia un approccio trasversale tra le giurisdizioni: bisogna parlarsi e trovare una convergenza, partendo da posizioni molto distanti e con tempi lunghi per mettere tutti d'accordo. In più ci vuole una flessibilità d'approccio». D'altro canto, come sostiene Gabriella Muscolo, Partner, Franzosi Dal Negro Setti with Muscolo; già componente AGCM, «l'Europa si sta ponendo come una fabbrica di regole digitali. Per questo, di fronte a mercati dematerializzati, ci si aspetta che i Gafa (Google, Amazon, Facebook, Apple) scelgano gli Stati Uniti». I modelli di business dei Gafa Le multinazionali della Silicon Valley capitalizzano circa 14 trilioni di dollari, dando occupazione a 1,6 milioni di persone, mentre le «Big three» dell’auto di Detroit nel 1990 davano lavoro a 1,2 milioni di persone, ma valevano 37 miliardi. Ciò accade anche perché i business model dei Gafa non si reggono sulla singola impresa, ma sull'interazione tra diversi attori. Ma, invece di alimentare una concorrenza aperta, queste aziende la blindano. «Ciò richiede un adattamento dei modelli di analisi della concorrenza – ha dichiarato Raffaele Oriani, Dean, Luiss Business School - Oggi i Gafa competono su diversi mercati allo stesso tempo, quindi la violazione di determinati fenomeni sani della concorrenza dovrebbe riguardare in modo più ampio l'ecosistema». Inoltre, pensando alla forza lavoro degli ecosistemi digitali, il Dean di Luiss Business School ha rimarcato che «la digital transformation sta distruggendo alcuni lavori e non possiamo pensare di arrestare questo fenomeno. C'è bisogno di un reskill delle competenze. Per questo, cerchiamo di insegnare ai nostri allievi come relazionarsi a un mercato del lavoro in perpetua evoluzione». Tuttavia, come sottolinea Guido Scorza, componente, Garante per la protezione dei dati personali, i veri lavoratori delle Big Tech sono molti di più della cifra dichiarata nel libro. «Sono circa 3 o 4 miliardi di persone perché i servizi e il valore delle big tech sono prodotti dagli utenti, i cosiddetti schiavi del clic: cioè da noi. Oggi siamo davanti a un bivio significativo in cui potrebbe cambiare tutto, è offerta dalla disciplina sulla privacy europea in cui il re è nudo: sono le Big Tech che hanno bisogno dei dati degli utenti per sostenere il loro modello di business.» Rimettere al centro l'umano Una delle soluzioni allo scenario delineato da Ingovernabili sta nel rimettere al centro il fattore umano. «L'uomo deve tornare al centro del dibattito, con le giuste provocazioni, come quella rappresentata dal libro – ha concluso Roberto Sommella, Direttore, MF-Milano Finanza, e autore del volume. - Ci sono elementi ingovernabili nella nostra vita, ma che bisogna comunque provare a governare. Davanti a una guerra o a una pandemia, l'elemento umano diventa cruciale. Per questo non dobbiamo avere paura dell'intelligenza artificiale. Dobbiamo avere paura dell'ignoranza artificiale, alimentato dall'uso smodato dei social, dall'uso del pensiero degli altri, dall'odio diffuso volgarmente in rete». La presentazione di “Ingovernabili – Grandi piattaforme, nuovi monopoli e la lotta per la concorrenza” di Andrea Minuto Rizzo e Roberto Sommella (Luiss University Press) si è tenuta il 25 gennaio nell'aula Carlo Azeglio Ciampi di Villa Blanc, sede di Luiss Business School. All'evento hanno partecipato: Luigi Abete, Presidente, Luiss Business School; Francesco Boccia, Senatore della Repubblica; Andrea Minuto Rizzo, Responsabile Affari Istituzionali dell’Unione Europea e Internazionali, Ferrovie dello Stato Italiane, e autore; Federico Mollicone, Presidente Commissione Cultura, Scienza e Istruzione, Camera dei Deputati; Gabriella Muscolo, Partner, Franzosi Dal Negro Setti with Muscolo, già componente AGCM; Raffaele Oriani, Dean, Luiss Business School; Guido Scorza, componente, Garante per la protezione dei dati personali; Roberto Sommella, Direttore, MF-Milano Finanza, e autore. Ha moderato l'incontro Eva Giovannini, giornalista, inviata e conduttrice, Rai. 27/01/2023

22 Dicembre 2022

DMO Lazio, il nuovo modello di gestione strategica del turismo della Regione

Abbiamo presentato a Villa Blanc il progetto Destination Management Organization Lazio, nato su iniziativa dell’Assessorato al Turismo della Regione Lazio e realizzato da Luiss Business School, che ha l'obiettivo di dotare la Regione Lazio di una struttura di gestione strategica del turismo, settore trainante per l’economia del territorio. All’evento hanno preso parte Daniele Leodori, Presidente Vicario della Regione Lazio; Valentina Corrado, Assessore al Turismo ed Enti Locali della Regione Lazio; Matteo Caroli, Associate Dean per l’Internazionalizzazione di Luiss Business School; Fausto Palombelli, Presidente Sezione Industria del Turismo e del Tempo Libero di Unindustria; Lorenzo Tagliavanti, Presidente Camera di Commercio di Roma, oltre alle associazioni di categoria. “Come per tutti i settori economicamente trainanti della nostra regione, anche il turismo ha bisogno di innovazione e nuove idee per rendere le nostre meravigliose destinazioni sempre più accessibili e attrattive per i visitatori che arrivano da ogni parte del mondo. Il Lazio, poi, non è solo Roma con le sue bellezze, ma anche un territorio ricco di innumerevoli mete straordinarie, piene di storia e con grandi potenzialità. Proprio in questo senso sono sicuro che Destination Management Organization potrà essere uno strumento prezioso per valorizzarle e farle conoscere ai turisti” – ha dichiarato il Presidente Vicario della Regione Lazio, Daniele Leodori. “Il turismo è un’industria in continua trasformazione che richiede, per una piena affermazione, risposte adeguate ai mutamenti della domanda, nonchè un approccio strategico e coordinato utile ad affermare la competitività del Lazio come destinazione turistica. A tal fine, grazie a un lavoro intenso, anche tenendo conto dell’esperienza di esempi virtuosi in Italia e all’estero, ho promosso la costituzione di una Destination Management Organization regionale, un’organizzazione improntata sul dialogo proficuo tra pubblico e privato che possa garantire procedure trasparenti e celeri in particolare nella programmazione e gestione di interventi strategici e progetti speciali, restituire l’immagine unitaria della destinazione Lazio, innalzare la qualità dell’offerta turistica guardando alla sostenibilità e all’inclusività come chiavi di sviluppo. Questo intervento rappresenta un progetto ambizioso e strategico i cui impatti sono destinati a durare nel tempo. Un ringraziamento va al Professor Matteo Caroli e alla Luiss Business School per il prezioso lavoro portato avanti e tutti i presenti per il contributo dato” – ha dichiarato Valentina Corrado, Assessore Al Turismo ed Enti Locali della Regione Lazio. “Unindustria ha dato grande spazio e risalto alla necessità per la Regione e per il Comune di Roma di costituire una DMO, quale strumento moderno e agile per il rilancio del turismo, fondato su una forte collaborazione pubblico-privato, come riportato sia nel programma quadriennale della Sezione Turismo, sia in Restart Tourism, documento di posizionamento strategico predisposto insieme a Deloitte e presentato al Sindaco Gualtieri a inizio anno. Lo studio commissionato dalla Regione alla Luiss Business School rappresenta una delle basi fondamentali poste nel corso del suo mandato dall’Assessore Valentina Corrado, a valle della revisione della Legge 13/2007, di recente approvata, e costituisce una guida pratica e operativa per l’implementazione della DMO. Unindustria sarà al fianco dell’amministrazione regionale per sviluppare, insieme alle aziende associate, progettualità congiunte che vadano in questa direzione” – ha dichiarato Fausto Palombelli, Presidente Sezione Industria, Turismo e Tempo Libero di Unindustria. “Con la creazione della DMO del Lazio, la Regione si allinea alle best practice nazionali e internazionali per la gestione strategica dello sviluppo turistico del territorio. La presenza di un organismo altamente specializzato in questo settore permetterà, infatti, di valorizzare il patrimonio unico al mondo della Regione, in un’ottica di competitività globale – ha dichiarato Matteo Caroli, Associate Dean per l’Internazionalizzazione, Luiss Business School.  “Due saranno le traiettorie che orienteranno principalmente il lavoro della Destination Management Organization: da una parte lo sviluppo sostenibile del turismo del Lazio, dall’altra la capacità di fare rete e cooperare sinergicamente con tutti gli attori della filiera, dalle istituzioni, alle grandi imprese, al mondo delle associazioni imprenditoriali”. RASSEGNA STAMPA Agenzia Nova, Turismo: assessore Lazio, presentato progetto "Destination management organization" Askanews, Turismo, da Luiss BS un nuovo modello di strategia per il Lazio Il Giornale del Turismo, DMO Lazio, nuovo modello di gestione strategica del turismo della Regione Lazio Il Messaggero.it, Turismo al passo coi tempi Intesa tra Luiss e Regione 22/12/2022

20 Gennaio 2022

Libia, Boccardelli: «Comprendere storia e sviluppo fondamentale per investire nel Mediterraneo»

Qual è la posizione dell'Italia? A che punto sono i rapporti con i “vicini” del Mediterraneo? Alcune risposte arrivano dall'incontro organizzato a Villa Blanc per presentare il libro di Leonardo Bellodi L’ombra di Gheddafi Gli storici legami con la sponda nord-africana del Mediterraneo, da soli, non bastano più. Gli scenari e il peso degli attori in questo bacino sono cambiati. «Per questo, nella formazione della classe dirigente non può mancare la comprensione di alcune dinamiche geopolitiche di Libia e Mediterraneo, prerequisiti necessari per orientare al meglio gli investimenti nella regione». A sostenerlo è Paolo Boccardelli, Direttore Luiss Business School, in occasione della presentazione del libro di Leonardo Bellodi “L’ombra di Gheddafi”. L'incontro, organizzato a Villa Blanc, Roma, nell’ambito della serie “Appunti per l’interesse nazionale” in collaborazione con l’Associazione Davide De Luca – Una Vita per l’Intelligence, è stato l'occasione per fare il punto sul futuro ruolo dell'Italia in questo scenario. I numeri del Mediterraneo Circa un miliardo di persone gravita attorno a questo bacino marittimo. Di questi, quasi la metà è nel Middle East and North Africa (MENA). Il Pil generato è equivalente a quello della Germania (dato 2019). Il principale investitore in quest'area è la Cina. Ma anche l'Italia gioca una sua partita. I forti legami diretti che le imprese italiane hanno con la regione sono superiori di quelli realizzati da altri Paesi dell'Unione Europea. In quest'area, le altre nazioni dell'Ue destinano l'1,5% dei capitali investiti all'estero, mentre le imprese italiane – tra cui spiccano nomi di rilievo come Eni – si attestano al 10%. Circa 2000 imprese, situate in questa zona del Mediterraneo, hanno ricevuto capitali italiani, pari al 6% delle imprese italiane con partecipazioni all'estero, generando un fatturato pari a 26 miliardi di euro. La distribuzione dei capitali italiani è concentrata in 7 Paesi: Turchia, Libia, Arabia Saudita, Egitto, Algeria, Tunisia e Marocco. «È chiaro, dunque, che l'area del Mediterraneo ha un rilievo particolare per l'Italia»ha sottolineato Boccardelli. Il ruolo dei Paesi extra UE nel Mediterraneo Guardando al ruolo che i Paesi extra europei stanno giocando in quest'area, Leonardo Bellodi, Senior Advisor, Libyan Investment Authority e autore del libro, spiega che quanto successo ai tempi di Gheddafi determina ciò che sta succedendo oggi, come l'intervento della Russia. «Non esistono amici o nemici perenni: esistono interessi permanenti e per noi l'interesse non può che essere la Libia». «Lo sbocco naturale delle politiche di espansione di Cina, Turchia, Russia, sia per porti economici, ma soprattutto per materie prime, è il Mediterraneo – spiega Adolfo Urso, Presidente, COPASIR – Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica – La contesa più importante sta avvenendo lì, a supporto della transizione ecologica e digitale. L'Italia deve esserci, la propria indipendenza dipende da questo: dall'approvvigionamento delle materie prime per essere protagonisti nella competizione economica globale». «In questa fase si aprono per il nostro Paese opportunità di convergenza con altri paesi europei e con gli Stati Uniti – rimarca Lucio Caracciolo, Direttore e Fondatore, Limes – In questo modo si possono compensare quei limiti di sovranità ereditati dalla Seconda guerra mondiale senza dover compiere atti di autolesionismo. La Brexit ha soprelevato il peso dell'Italia in Europa, condizione che ha portato gli amici francesi a proporre al nostro Paese il Trattato del Quirinale che, per la prima volta, ci permette di avere un rapporto molto stretto nell'area del Mediterraneo nord-africano. I passi successivi dovranno mirare a compiere atti positivi nell'interesse comune e a cercare mediazione. Dobbiamo ritornare ad essere soggetto credibile e non oggetto di questa sovranità. Se l'Italia resterà a guardare, non potremo lamentarci che il nostro giardino di casa sia oggetto di manovre altrui». Il ruolo dell'Italia nel futuro della Libia Se il legame fra Italia e Libia è intessuto a doppio filo nella storia, è necessario però porsi un'importante domanda. «Qual è il posto dell'Italia nella storia della Libia? Quale strategia l'Italia deve adottare nell'immediato? Secondo Bellodi mai come adesso l'Italia è nelle condizioni di esercitare un ruolo determinante – sottolinea Gianni Letta, Presidente Onorario, Associazione Davide De Luca – Una Vita per l’Intelligence – anche grazie all'autorevolezza del Presidente del Consiglio Mario Draghi, che ha fatto proprio qui il suo primo viaggio internazionale. L'Italia è nelle condizioni di esercitare un ruolo determinante negli equilibri di questa zona, per salvaguardare interessi contingenti, ma anche per la posizione storica di ponte tra le due sponde del Mediterraneo». Il nuovo ruolo dell'Italia nel bacino del Mediterraneo inizia dalla consapevolezza degli obiettivi nazionali. «Saremo anche un Paese a sovranità limitata, ma nel Mediterraneo abbiamo sempre avuto grande capacità di mediazione e di influenza – spiega Cesare Maria Ragaglini, Già Rappresentante d’Italia, Organizzazione delle Nazioni Unite – Il problema è che più che equilibri, ci sono molti disequilibri. Dovremo adeguarci a questa nuova situazione, sapendo dove vogliamo andare e come». RIVEDI IL WEBINAR 20/01/2022

20 Luglio 2021

Aziende come comunità: il futuro dello smart working

Formazione, leadership e senso per le persone: sono queste le nuove sfide per riconnettere le aziende ai propri dipendenti e creare un lavoro a distanza davvero intelligente, senza perdere il valore del ritrovarsi in presenza Lo smart working ha cambiato il modo di lavorare. Diventati più flessibili sul fronte spazio-temporale, i lavoratori sembrano non avere più motivi per ritornare in ufficio, sacrificando la socialità e la creatività collettiva che solo lo spazio condiviso può dare. Tre le direttrici su cui investire per riconnettere le aziende come vere e proprie comunità: formazione, leadership e senso per le persone. È quanto è emerso durante il webinar “Ri-connettersi: come riparte il lavoro smart dopo la pandemia. Persone, spazi, creatività” organizzato da Luiss Business School in collaborazione con Oracle – società leader nella tecnologia, che si è distinta anche recentemente per l’efficacia delle sue soluzioni cloud HCM (Human Capital Management) nella cura e gestione delle risorse umane, anche da remoto - e tenutosi il 15 luglio. Smart working: cosa è successo durante la pandemia Se in passato lo smart working era considerata una bizzarria da Silicon Valley, la pandemia ha messo faccia a faccia con tutti i suoi vantaggi e criticità. Superata la confusione tra remote working, home working e smart working, la popolazione ha sperimentato i lati positivi del lavoro da casa, dalla sostenibilità ambientale ai benefici in termini di work-life balance. Tra le insidie da superare c'è stato l'over working che alcune aziende hanno tenuto a bada con un'adeguata netiquette. A valle dei lunghi mesi in cui i processi organizzativi sono forzatamente cambiati per necessità, si è iniziato a parlare anche di working from anywhere, delle sue potenzialità e degli interventi a supporto per la sua realizzazione. «I lavoratori si sono scoperti molto produttivi, e spesso anche di più, anche fuori dagli uffici – ha spiegato Monica Parrella, Adjunct Professor Luiss Business School – Per questo i datori di lavoro hanno bisogno di far comprendere che esistono buone ragioni anche per tornare in parte a lavorare nelle ordinarie sedi di lavoro. Se è vero che il lavoro individuale si fa benissimo e forse meglio da casa, è soprattutto attraverso le interazioni  fisiche che si  innova,  si cresce, si impara gli uni dagli altri. Per questo vanno riprogettati gli uffici. Lo smart working è in transizione e non esiste una soluzione unica. La sfida è manageriale e di leadership». Pandemia, sanità e digitale: verso lo smart patient Un esempio delle grandi potenzialità legate allo smart working lo ha offerto il settore sanitario. Dall'inizio della pandemia sono state avviate visite d'emergenza su piattaforme online, lavori in team dislocati in più luoghi diversi e la stessa campagna vaccinale senza il digitale non avrebbe preso avvio facilmente. Abbiamo assistito anche alla nascita del problem networking, cioè la capacità di risolvere problemi in un network che non è più dentro l'organizzazione, ma fuori o anche a metà strada. Lo ha osservato Daniele Piacentini, Direttore Risorse Umane Policlinico Gemelli. «Per fare smart working ci sono quattro elementi essenziali: lo smart worker, ancora da costruire, lo smart office, gli smart leader, adattivi e inclusivi, ma soprattutto gli smart patient – ha sottolineato Piacentini, aggiungendo – Rendere emotivamente piacevole l’interazione digitale nella relazione con i pazienti sarà la prossima sfida della sanità». Leadership e formazione: strategie vincenti Ma la vera tecnologia restano le persone: cambiare mindset e attitudeè necassario per realizzare la digital transformation nell’organizzazione del lavoro. A dimostrare questa teoria durante la pandemia è stata la classe dirigente, soprattutto nei casi in cui dirigenti e i manager hanno esercitato prevalentemente la cultura del controllo e dell'over working per monitorare la produttività. In alcuni ambiti come la Pubblica Amministrazione, dove le carenze sulla digitalizzazione sono più ampie, c'è chi è stato lasciato indietro senza essere recuperato.  «Già prima della pandemia la Regione Lazio si è occupata di smart working, inquadrandolo nella trasformazione digitale, anche come organizzazione agile – ha spiegato Alessandro Bacci, Direttore Affari istituzionali, Personale e Sistemi Informativi della Regione Lazio – Ma durante la pandemia ci siamo trovati ad affrontare l'incapacità di alcuni nostri capi nel trattare i dipendenti a distanza. La formazione sarà indispensabile per realizzare il cambiamento che permetterà di superare la cultura dell’ufficio tradizionale e del modello comando-controllo». Condividere valori e obiettivi dell'azienda diventa cruciale per uno smart working efficace ed inclusivo. Ma non esiste smart working senza remote leadership. Nelle forme ibride di lavoro in presenza e da remoto saranno necessari capi team capaci di gestire persone in presenza e a distanza. «La leadership diffusa sarà fondamentale. Connettersi, ispirare e innovare sono i tre concetti chiave che guideranno il ritorno in ufficio. I leader dovranno essere dei community manager, animatori delle loro comunità. È in questo scenario che la formazione diventa indispensabile», ha sottolineato Rossella Gangi, Direttrice Risorse Umane WINDTRE. «In Terna abbiamo concepito un programma in sette cantieri per trasformare l'emergenza in cambiamento – ha sottolineato Emilia Rio, Direttore Risorse Umane e Organizzazione di Terna – nuova leadership, people care, metodo di ascolto, semplificazione, sostenibilità, digitalizzazione, riprogettazione degli spazi. Il digitale amplia i confini e può diventare disorientante: la nostra sfida è comprendere dov'è quel confine, cosa possiamo fare e permettere che le persone diventino consapevoli. In questo contesto abbiamo una grande opportunità di crescita responsabile delle nostre persone». Il futuro dello smart working La legislazione vigente sembra sufficientemente garantista sul fronte del diritto alla disconnessione e over working per gli impiegati. Le aziende si augurano che non ci siano interventi restrittivi per poter sfruttare appieno tutte le potenzialità dello smart working, impegnandosi a trasmettere una vision che faccia sentire tutelato il lavoratore dalle “invasioni” digitali nella sfera privata. «Le persone devono stare al centro – ha spiegato Andrea Langfelder, Human Capital Management Strategy Leader di Oracle Italia, che ha anche portato casi concreti di aziende che proprio grazie alle applicazioni Oracle Cloud hanno saputo rendere più semplice, piacevole e produttiva l’esperienza di lavoro delle proprie persone in questo periodo, come ad esempio illycaffè, Mondadori, Poste Italiane – Saranno sempre le persone a fare la differenza insieme alle capacità di leadership. La tecnologia è solo un facilitatore, che ci ha permesso di continuare a vivere e fare business, oltre a trovare un nuovo e migliore equilibrio tra vita professionale e vita privata». RIVEDI IL WEBINAR 20/07/2020

18 Marzo 2021

Leader for Talent con Claudio Costamagna, Presidente esecutivo di CC & Soci

Claudio Costamagna, Presidente esecutivo di CC & Soci, banchiere e dirigente d'azienda italiano, Presidente di Cassa depositi e prestiti da luglio 2015 a luglio 2018 e attualmente Presidente esecutivo di CC & Soci, ha incontrato gli studenti dei master Luiss Business School nell’ambito della serie “Leader for Talent #L4T”. L’iniziativa mette a confronto a confronto i talenti in aula con i leader del nostro tempo, per un’opportunità unica di condivisione e apprendimento, in una cornice interattiva ed esclusiva. I fattori che determinano una carriera di successo e i cambiamenti culturali del capitalismo familiare italiano per la ripartenza del Paese sono stati i temi al centro dell’incontro. RIVEDI IL WEBINAR Costruire una carriera di successo: quali consigli? Sono tre i fattori imprescindibili per costruire una carriera di successo. Innanzitutto, la passione, in cui il ruolo dell’università è fondamentale per scoprirla e poi lasciarsi guidare nelle scelte professionali. Non è possibile dedicarsi bene al proprio lavoro senza passione. Avere passione significa anche mettersi in discussione quando si ha successo, ponendosi nuove domande per non dare risposte automatiche. Secondo fattore è la reputazione, che ci anticipa prima che le persone ci conoscano. Bisogna lavorare sulla reputazione sin da piccoli e fare scelte in base all’impatto che deriverà sulla reputazione. Terzo fattore è la fortuna, come attitudine alla vita. Ritenersi una persona fortunata porta la fortuna al proprio tavolo, favorisce la reputazione e aiuta a sviluppare le proprie passioni. Le grandi opportunità nascono dalle crisi: qual è la ricetta per la ripartenza del Paese? Abbiamo bisogno di un cambiamento culturale che riguarda specialmente il capitalismo familiare che caratterizza la nostra economia. Questa trasformazione è in realtà già in corso: se fino a 10 anni fa il passaggio generazionale era automatico, oggi questo automatismo non è più scontato e altri fattori diventano dirimenti nelle decisioni legate alla successione, come la passione e le competenze per diventare imprenditori. Questo cambiamento si concretizza inoltre in una maggiore apertura del capitale alla borsa e al private equity, per invertire la rotta da una crescita fatta sul debito, che non è sana. Queste trasformazioni permetterebbero al Paese di avere aziende più grandi e competitive, perché aprire il capitale è la strada per fare acquisizioni e investire in tecnologie. Qual è il futuro dei business model bancari? Il modello di business delle banche retail tende oramai ad essere superato dalle startup e dal fintech: la grande banca non sempre ha la capacità di evolvere in questa direzione e sviluppare al proprio interno queste soluzione è una grande sfida. I modelli delle banche di investimenti sono invece più flessibili, ma in generale tutto il sistema bancario dovrebbe fare una riflessione su come reinventarsi investendo in questi settori. A differenza dei Paesi vicini e con economie simili alla nostra, facciamo fatica a costruire una classe dirigente? Le nostre aziende avrebbero senz’altro bisogno di leader più coraggiosi, che ambiscano a diventare leader internazionali. Dal punto di vista manageriale invece, troviamo sempre italiani in posizioni di vertice all’estero: ciò dimostra che i nostri talenti non trovano possibilità di crescita nel Paese. Dovremmo quindi ripensare alle leve che ci permettano di valorizzare e trattenere questa classe manageriale, oltre che di giudicare diversamente il merito. RIVEDI IL WEBINAR 18/03/2021

09 Marzo 2021

Leader for Talent con Melissa Ferretti Peretti, AD American Express Italia

Melissa Ferretti Peretti, AD American Express Italia, ha incontrato gli studenti dei master Luiss Business School nell’ambito della serie "Leader for Talent #L4T". L’iniziativa mette a confronto a confronto i talenti in aula con i leader del nostro tempo, per un’opportunità unica di condivisione e apprendimento, in una cornice interattiva ed esclusiva. Le doti e le attitudini di leader e talenti, tra coraggio, ambizione e capacità di motivare, e come l’accelerazione digitale ha ridisegnato gli equilibri aziendali e l’esperienza dei clienti sono stati i temi al centro dell’incontro. RIVEDI IL WEBINAR Quali caratteristiche identificano un leader? Tra le caratteristiche principali di un leader c’è il coraggio, come forza di uscire dalla propria zona di comfort e affrontare nuove sfide. Un leader è pronto e determinato ad assumersi le responsabilità delle proprie decisioni affrontandone le conseguenze. Un leader inoltre non si sente mai arrivato, resta umile ed è sempre disposto a imparare. È fondamentale che un leader sappia motivare il proprio gruppo di lavoro: da questo punto di vista, credere nella mission aziendale rende anche più semplice riuscire a trasmetterla al team. Leadership al femminile: quali sono i tratti essenziali? A mio parere non ci sono tratti che caratterizzano una leadership femminile. Ci sono buoni leader e cattivi leader. Quali sono i tuoi consigli per raggiungere posizioni apicali in azienda? È indispensabile liberare la parola ambizione dalla connotazione tendenzialmente negativa che spesso la circonda, soprattutto tra le donne. Si pensa che l’ambizione sia un termine estremamente egoistico e autoreferenziale, invece avere fiducia in sé stessi ed essere consapevoli che si può arrivare dove si vuole è un motore fondamentale per chi vuole crescere. Per realizzare i propri sogni bisogna addentrarsi in territori sconosciuti: per questo è necessario non temere di cimentarsi in campi in cui non si è super competenti, chiedendosi cosa si può imparare. Come scegli un talento che possa entrare far parte del tuo team? L’aspetto fondamentale in un talento è il “grow mindset”. È una questione di attitudine: i professionisti che pensano di poter sempre imparare e non vedono l’ora di uscire dalla propria area di comfort per mettersi in discussione hanno senz’altro una marcia in più. In base alla tua esperienza, in che modo è possibile mantenere una posizione di leadership? Oltre a essere capaci di mettersi sempre in gioco, è fondamentale circondarsi di persone competenti in settori diversi, da cui poter imparare senza la paura che qualcuno ci possa scalzare. Un leader non deve necessariamente conoscere tutto, ma deve sicuramente saper motivare validi collaboratori e indirizzarli per riuscire a raggiungere gli obiettivi. Come si declina la trasformazione digitale per American Express in Italia? Nell’approccio alla trasformazione digitale, due sono le traiettorie in cui sta investendo e crescendo American Express in Italia.  Da un lato c’è lo sviluppo di tecnologie e servizi con l’obiettivo di migliorare il rapporto con i clienti, quindi investimenti per potenziare i processi di on boarding e partnership con nuovi player tecnologici per cogliere le opportunità dell’online banking. Ulteriori investimenti riguardano lo sviluppo di esperienze mobile first: l’Italia è il Paese con la penetrazione di smartphone più elevata in Europa e la direzione verso cui stiamo puntando è permettere a tutti i clienti di accedere in tempo reale a tutti i servizi tramite l’app American Express, in modo sicuro, semplice e immediato. L’altro aspetto è la digitalizzazione del lavoro in American Express, con l’accelerazione dovuta alla pandemia. American Express aveva già introdotto lo smart working nel 2015 e i nuovi investimenti sono stati necessari per garantire la sicurezza, mantenere inalterati gli standard del servizio e un livello di engagement molto alto, con un focus sulle priorità strategiche. È stata arricchita la formazione per i dipendenti e sono stati messi a disposizione servizi di well being e telemedicina. Questa evoluzione del modo di lavorare sarà uno degli effetti più duraturi della pandemia e sarà fondamentale trovare il giusto equilibrio tra interazione umana e smart working. RIVEDI IL WEBINAR 9/3/2021

07 Febbraio 2021

La sovranità nell’era del Covid-19: il webinar Luiss Business School

Come è cambiato il concetto di sovranità al tempo della globalizzazione e dei sovranismi? E cosa significa sovranità ai tempi del Covid, quando le restrizioni della libertà personale hanno materializzato “la presenza del Sovrano con tutta la forza dello ius imperii per penetrare con irruenza nelle nostre vite”? A partire dalle riflessioni del libro “La nuova sovranità. Un saggio” di Leonardo Bellodi se ne è discusso a un webinar organizzato da Luiss Business School per il ciclo “Appunti per l interesse nazionale”, in collaborazione con l Associazione “Davide De Luca – Una vita per l Intelligence”. A introdurre i lavori, Paolo Boccardelli, Direttore Luiss Business School: “Io credo che, per la comunità Business School, questo tema della nuova sovranità e di come debba evolvere in un quadro di cooperazione internazionale nuova sia davvero un’area di grande interesse a cui guardare con attenzione”, ha sottolineato. Secondo il Presidente Onorario Associazione Davide De Luca, Gianni Letta, oggi è necessario un ripensamento dell’ordine internazionale dei rapporti multilaterali, non solo in campo economico: “Il cambiamento del concetto di sovranità, le tensioni internazionali e le nuove dimensioni delle globalizzazioni impongono un ripensamento del modo di intendere le relazioni tra gli stati e come coordinarle per un nuovo concetto di relazioni internazionali”. Oggi “c’è da riscrivere una formula di multilateralismo che non puo essere basata su teorie globaliste”, ha spiegato il ministro per gli Affari europei, Vincenzo Amendola: “La nuova sovranità si basa sulla presenza del concetto di interdipendenza come concetto fondamentale ma non può non lasciarsi alle spalle un principio di non interferenza che non ci porterebbe a riorganizzare un modello multilaterale interessante per il nostro interesse nazionale”. Parlando di sovranità oggi non si può non parlare di sovranismo. Secondo il presidente del Copasir, Raffaele Volpi, “se i nazionalismi si trasformano in sovranismi e i sovranismi in egoismi, vuol dire che abbiamo fallito. In questo caso – ha spiegato – bisogna mettere in campo i nostri valori e le nostre radici e come declinarle nel contemporaneo”. “Da una parte il Covid ci ha dimostrato che i sistemi nazionali non sono sufficienti di fronte a un evento di simile portata, dall’altra dobbiamo rivolgerci al sistema di approvvigionamento nazionale”, ha spiegato Paola Severino, Vice Presidente Università Luiss Guido Carli. Per Giampiero Massolo, Presidente Fincantieri, oggi viviamo un paradosso: “Mentre cresce l’esigenza di avere Stati integri ed efficienti, come è successo col Covid, gli Stati si sgretolano sotto la spinta di attori che portano alla destrutturazione della sovranità”, ha spiegato. Secondo Leonardo Bellodi, “lungi dall’essere destinata all’estinzione la sovranità può uscire rafforzata ed esaltata dalla crisi d identità imposta dal virus, nel momento in cui si fa carico di un più vasto sistema di valori e di responsabilità nei confronti dell'umanità” RIVEDI IL WEBINAR   7/2/2021

13 Novembre 2020

Appunti per l’interesse nazionale: il nuovo atlante del mondo

Un webinar organizzato nell’ambito del ciclo "Appunti per l’interesse nazionale", con Franco Bernabè, Presidente Cellnex Telecom, Maurizio Molinari, Direttore la Repubblica, e Fabrizio Palermo, Amministratore Delegato e Direttore Generale Cassa Depositi e Prestiti. Introdurrà i lavori Gianni Letta, Presidente Onorario Associazione Davide De Luca – Una Vita per l’Intelligence. RIVEDI IL WEBINAR     Il 1 dicembre alle 17.30 con Franco Bernabè, Presidente Cellnex Telecom, Maurizio Molinari, Direttore la Repubblica e Fabrizio Palermo, Amministratore Delegato e Direttore Generale Cassa Depositi e Prestiti, si terrà un nuovo appuntamento dei webinar organizzati nell’ambito del ciclo "Appunti per l’interesse nazionale", in collaborazione con l’associazione "Davide De Luca – Una vita per l’Intelligence". Un’opportunità unica per confrontarsi sul futuro degli equilibri internazionali anche alla luce dell’esito del voto USA 2020 e sulle partnership nelle relazioni politiche, economiche e commerciali, per cogliere le opportunità del digitale e delineare nuove strategie di fronte all’evoluzione di una società globalmente connessa. Introdurrà i lavori Gianni Letta, Presidente Onorario Associazione Davide De Luca – Una Vita per l’Intelligence. AGENDA  Interventi istituzionali Paolo Boccardelli, Direttore Luiss Business School Gianni Letta, Presidente Onorario Associazione Davide De Luca – Una Vita per l’Intelligence Ne discutono: Franco Bernabè, Presidente Cellnex Telecom Maurizio Molinari, Direttore la Repubblica Fabrizio Palermo, Amministratore Delegato e Direttore Generale Cassa Depositi e Prestiti Il webinar è gratuito, per partecipare è necessaria la registrazione. REGISTRATI  RIVEDI IL WEBINAR 13/11/2020

09 Luglio 2020

Il Piano Transizione 4.0: le nuove agevolazioni fiscali

Il credito d’imposta per ricerca, sviluppo, innovazione, design e per l’acquisto di beni strumentali RIVEDI IL WEBINAR   In collaborazione con il Ministero per lo Sviluppo Economico Il Piano Transizione 4.0 è il progetto del Ministero per lo Sviluppo Economico che disegna una nuova politica industriale per il Paese, in cui innovazione, investimenti green e sostenibilità, creatività e design sono imprescindibili motori per la ripartenza. La Legge di Bilancio 2020 contiene le misure del Piano e amplia in particolare le agevolazioni economiche a sostegno della trasformazione digitale delle imprese, rispetto al precedente piano “Industria 4.0”. Il webinar illustrerà le principali misure fiscali introdotte con il nuovo Piano e la legge di Bilancio e in che modo il credito d’imposta ricerca, sviluppo, innovazione e design, il credito d’imposta formazione 4.0, il credito d’imposta per investimenti in beni strumentali incentivano e supportano la crescita e la competitività delle nostre imprese. PROGRAMMA Introduzione dei lavori Luca Olivari, Adjunct Professor e Project Leader Business Consulting Area, Luiss Business School Interventi  Il credito d’imposta per i beni strumentali Marco Calabrò, Dirigente Divisione IV – Politiche per l’innovazione e per la riqualificazione dei territori in crisi, Direzione Generale per la politica industriale l’innovazione e le PMI, Ministero dello Sviluppo Economico La proroga del credito d’imposta per la formazione 4.0 Luca Fioravanti, Dottore Commercialista, Business Consulting Area, Luiss Business School Il credito d’imposta ricerca, sviluppo, innovazione e design Luca Romanelli, Dottore Commercialista, Studio Puri Bracco Lenzi e Associati Modera: Luca Olivari, Adjunct Professor e Project Leader Business Consulting Area, Luiss Business School Q&A Per partecipare al webinar è necessaria la registrazione REGISTRATI RIVEDI IL WEBINAR Che cos’è il credito d’imposta 2020 e cosa prevede  Credito d’imposta per imposta per investimenti in beni strumentali: si propone di supportare e incentivare le imprese che investono in beni strumentali nuovi, materiali e immateriali, funzionali alla trasformazione tecnologica e digitale dei processi produttivi destinati a strutture produttive ubicate nel territorio dello Stato Credito d’imposta ricerca, sviluppo, innovazione e design: si propone di stimolare la spesa privata in ricerca, sviluppo e innovazione tecnologica per sostenere la competitività delle imprese e favorire i processi di transizione digitale e nell’ambito dell’economia circolare e della sostenibilità ambientale Credito d’imposta formazione 4.0: si propone di stimolare gli investimenti delle imprese nella formazione del personale sulle materie aventi ad oggetto le tecnologie rilevanti per la trasformazione tecnologica e digitale delle imprese.

02 Luglio 2020

Leadership e gestione remota nella nuova impresa digitale

Da people leader a “e-leader” di collaboratori remoti: un webinar per approfondire le best practice di Smart Working e le innovazioni necessarie per convertire l’esperienza dell'emergenza in una grande opportunità di trasformazione digitale del Paese. RIVEDI IL WEBINAR L’emergenza sanitaria ha dimostrato che le imprese più resilienti sono state quelle già organizzate per avvantaggiarsi subito delle potenzialità delle tecnologie digitali. Durante il lockdown questa condizione ha riguardato non più del 30% delle imprese italiane, coinvolgendo circa 8 milioni di italiani che hanno potuto continuare a svolgere la propria attività in sicurezza lavorando da remoto. L’insegnamento da trarre è che non si può e non si deve tornare indietro: nella fase di ripartenza i passi giusti da fare sono dunque quelli di estendere e completare i processi innovativi avviati. Implementare lo Smart Working significa mettere il lavoratore al centro dei processi produttivi, spostando la misurazione del merito dal quanto lavorato ai risultati, con la possibilità di un migliore bilanciamento tra vita privata e lavoro, in un circolo virtuoso con impatti importanti sulla crescita della produttività aziendale e sulla sostenibilità ambientale. Nel corso del webinar verranno presentati i risultati del rapporto dello Steering Committee "Competenze e capitale umano" di Confindustria Digitale e dell’indagine di Luiss Business School su "Smartworking durante la pandemia Covid 19". (Leggi la preview dell'indagine Luiss Business School su Il Sole 24 Ore, 15 luglio 2020) Programma Dalle esperienze delle imprese ICT alle strategie di e-leadership Conversazione tra:  Cesare Avenia, Presidente Confindustria Digitale Paolo Boccardelli, Direttore Luiss Business School Stefano Venturi, Presidente Steering Committee Competenze e capitale umano Confindustria Digitale Una nuova cultura digitale nel lavoro Ne discutono: Laura Di Raimondo, Direttore Assotelecomunicazioni-Asstel Massimo Giordani, Marketing Strategist, Presidente "Associazione Italiana Sviluppo Marketing" Guelfo Tagliavini, Consigliere Federmanager   Dibattito   Conclusioni Cesare Avenia, Presidente Confindustria Digitale Per partecipare è necessaria la registrazione.  REGISTRATI  RIVEDI IL WEBINAR 2/7/2020