News & Insight
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25 Settembre 2023

Comunicato Stampa

LUISS BUSINESS SCHOOL, AL VIA LA TERZA EDIZIONE DELL'EXECUTIVE PROGRAMME IN COACHING È il primo percorso di una business school italiana certificato dalla federazione internazionale di coaching Prenderà il via il prossimo 27 ottobre la terza edizione del Flex Executive Programme in Coaching di Luiss Business School, il programma studiato per i professionisti che vogliono acquisire nuove competenze e strumenti per sviluppare un’approfondita conoscenza e pratica del coaching manageriale e delle sue basi teoriche. Il percorso offre quest’anno ai partecipanti una nuova opportunità: grazie, infatti, al recente accreditamento internazionale come Level 2 dell’International Coaching Federation (ICF), al conseguimento del titolo sarà possibile ottenere le credenziali ICF fino al livello 2, riconosciute in tutto il mondo come standard di qualità, che rappresentano un requisito importante per la selezione da parte delle organizzazioni chiamate ad individuare i professionisti cui affidare lo sviluppo delle proprie risorse e dei propri manager. In più di 100 ore di lezione, in presenza e da remoto, si alterneranno momenti d’aula, laboratori e sessioni di mentoring guidate da coach dell’International Coaching Federation, organismo internazionale che da oltre 30 anni è un punto di riferimento per la qualità della formazione e della pratica nel settore. Enzo Peruffo, Associate Dean for Education, Luiss Business School “Luiss Business School sente molto la responsabilità di formare la prossima generazione di leader e questo riconoscimento certifica la qualità dei nostri percorsi formativi. Le organizzazioni hanno sempre più bisogno di manager con competenze trasversali che siano capaci di interrogarsi e di ascoltare, di comprendere meglio se stessi, di prendere decisioni ponderate e imparare dalle esperienze. Il coaching è lo strumento che permette questo tipo di sviluppo personale e professionale, a tutti i livelli”. 25/09/2023

22 Settembre 2023

Da HR Manager a H&AR Manager

Come cambia la professione per gestire le intelligenze umane e artificiali Il mondo della gestione delle risorse umane sta attraversando una fase di profondi cambiamenti, a seguito dell'incorporazione sempre più diffusa dell'intelligenza artificiale nelle organizzazioni.Questi temi costituiranno il fulcro dell'evento Da HR Manager a H&AR Manager, in programma per venerdì 20 ottobre alle 18:00, presso Villa Blanc, il suggestivo Campus Luiss Business School di Roma. L'evento offrirà un confronto sul futuro della professione HR nel contesto dell'IA. Saranno esplorate le sfide e le opportunità che emergono dall'integrazione delle intelligenze artificiali nel contesto delle Risorse Umane. La Prof.ssa Lucia Marchegiani, Direttore Scientifico dell'Executive Master e Professore Associato di Organizzazione e Gestione delle Risorse Umane, ne discuterà con Enrico Maria Marino, Global Human Resources Director presso JIL SANDER | MARNI – OTB Group. L’evento rappresenta anche l'occasione di presentazione dell’Executive Master in Gestione delle Risorse Umane, Organizzazione e Leadership. Il percorso  offre un'opportunità di formazione avanzata rivolta a manager HR, professionisti e imprenditori desiderosi di ampliare le proprie conoscenze e competenze nei processi di people strategy. È destinato a coloro che sono interessati a una carriera nella funzione HR o desiderano acquisire una comprensione più approfondita delle questioni legate alla gestione delle Risorse Umane e dell'Organizzazione Aziendale. Per partecipare è necessaria la registrazione. 21/09/2023

06 Settembre 2023

Il ruolo strategico della Business Intelligence

L'evoluzione della Business Intelligence: dall'analisi dei dati alle attività di pianificazione e di decisione aziendali La Business Intelligence (BI) svolge un ruolo sempre più cruciale nella misurazione della performance e nella gestione aziendale. Grazie alla sua capacità di raccogliere, analizzare e interpretare grandi quantità di dati, consente di stabilire modelli predittivi per supportare le attività di pianificazione e di decisione strategiche. Per approfondire le pratiche e le metodologie che rendono la BI uno strumento fondamentale per la gestione aziendale e la misurazione delle performance, non perdere l’evento che Luiss Business School ha organizzato giovedì 5 ottobre, dalle ore 18:00 alle ore 20:00, presso Milano Luiss Hub. La tavola rotonda, dal titolo Il ruolo strategico della Business Intelligence, vedrà la partecipazione di esperti provenienti dal Nucleo di Business Intelligence e dalla Funzione Finance, che esploreranno le potenzialità della BI e le direzioni future che la stanno trasformando da uno strumento di supporto decisionale a uno strumento che orienta le decisioni. SPEAKERS: Massimo Rigobon, Responsabile IT, Benetton Group; Roberta Bazzo, Chief Financial Officer, GroupM Italy. A moderare l’incontro Saverio Bozzolan, Professore in Financial Statement Analysis di Università Luiss e direttore del Master Amministrazione Finanza e Controllo. Durante l’evento sarà possibile scoprire l’offerta formativa dei Programmi Executive, progettati per coloro che desiderano accelerare la propria carriera o intraprendere un nuovo percorso professionale. Sia che si tratti di cambiare ruolo, settore o funzione, i Programmi Executive preparano i partecipanti con le competenze e il network necessari per affrontare le sfide dell'ambiente aziendale o per riprendere il proprio percorso professionale. AGENDA: 18:00: Accreditamento 18:30: Tavola rotonda Q&A Session a seguire Per partecipare all’evento è necessaria la registrazione. 06/09/2023

01 Settembre 2023

Visions from the future: CEOs’ Talk for our MBAs’ community

CEO di spicco si uniscono alla community MBA per discutere tendenze e sfide chiave del business di domani Luiss Business School annuncia l’evento Visions from the future: CEOs’ Talk for our MBAs’ community, che si terrà venerdì 29 settembre, dalle ore 18:00, presso Villa Blanc, a Roma. L'evento metterà al centro la discussione sul futuro del business, coinvolgendo donne di successo e imprenditrici nel campo della gestione delle industrie attuali. Le dirigenti principali e le responsabili delle aziende leader saranno a disposizione della community MBA per esplorare le componenti chiave dei mercati e delle imprese emergenti. Durante l’evento verrà, inoltre, presentato il portfolio MBA, che offrirà ai partecipanti interessati una visione approfondita del programma formativo. SPEAKERS Angela Natale, Chief Executive Officer, Boeing Southern Europe Alessandra Ricci, Chief Executive Officer, SACE Valeria Sandei, Chief Executive Officer, Almawave AGENDA 18:00 Arrivo partecipanti 18:15 Welcome e registrazione partecipanti 18:30 – 20:00 Talk 20:00 Networking activity L’evento Visions from the future: CEOs’ Talk for our MBAs’ community fa parte della rassegna Beyond the Talks, il ciclo di incontri che non solo consente ai partecipanti di arricchire la propria conoscenza negli ambiti di interesse, ma offre anche l’occasione di ampliare il proprio network professionale con esperti di settore e potenziali mentori. Per partecipare all’evento è necessaria la registrazione. 01/09/2023

31 Agosto 2023

Formare coach di impatto per le organizzazioni

Presentazione del Flex Executive Coaching Programme In un mondo in continua evoluzione, le competenze trasversali, comunicative e relazionali sono imprescindibili per i dirigenti e i leader nel loro impegno a coinvolgere e motivare i collaboratori verso il conseguimento degli obiettivi aziendali. In linea con questa visione, Luiss Business School presenta il programma Flex Executive Coaching, riconosciuto come punto di riferimento nell'ambito del coaching manageriale e accreditato Livello 2 presso l'International Coach Federation (ICF). Il Level 2 abilita all’ottenimento delle credenziali ICF fino al 2 livello (PCC), riconosciute in tutto il mondo come standard di qualità.L'opportunità di scoprire tutti i dettagli del programma è fissata per venerdì 6 ottobre alle ore 18, in occasione dell’evento dal titolo “Formare coach di impatto per le organizzazioni”. L’evento vedrà la partecipazione di Martin Castrogiovanni, che ha scelto di frequentare il programma Flex Executive Coaching. L’ex rugbista a 15 italiano di origine argentina condividerà il suo percorso di carriera e, insieme agli altri relatori, sarà disponibile a rispondere alle domande dei partecipanti. SPEAKER Paolo Palazzo, Executive Coach e coordinatore scientifico del Flex Executive Coaching Programme Vito Marzulli, Country Manager Mentallyfit Italia, Executive Coach PCC e Trainer Cecilia Toni Saracini, Psicologa del lavoro, Executive Coach PCC e Senior Trainer L’evento consente la partecipazione sia in presenza, presso Villa Blanc a Roma, che online, previa registrazione. 31/08/2023

02 Agosto 2023

AI Management - Gestire le sfide e le opportunità per le imprese nell'era dell'Intelligenza Artificiale

Luiss Business School presenta un webinar in preparazione del primo Executive Programme in Managing Artificial Intelligence Luiss Business School è lieta di annunciare l'evento AI Management: Gestire le sfide e le opportunità per le imprese nell'era dell'Intelligenza Artificiale, che si terrà online martedì 12 settembre, dalle 17:30 alle 18:30. L'evento anticipa la prima edizione dell'Executive Programme in Managing Artificial Intelligence, realizzato in collaborazione con Pi School  in partenza il 21 ottobre 2023. Durante il talk del 12 settembre, Sébastien Bratières, AI director di Pi School e di Translated, con oltre 20 anni di esperienza nel campo - Laurea in Ingegneria presso l'Ecole Centrale Paris e un MPhil Computer Speech and Language Processing presso l'Università di Cambridge - fornirà una panoramica sull’universo dell'Intelligenza Artificiale, spiegando come la l’AI Management sia essenziale per ottimizzare i processi aziendali ed essere competitivi sul mercato. Il webinar prevede, inoltre, un Q&A dove i partecipanti avranno la possibilità di intervenire e riceveranno risposte su dubbi e curiosità riguardanti l'Executive Programme, i contenuti e il processo di candidatura. Per partecipare è necessaria la registrazione. REGISTRATI PARTNER Pi School nasce nel 2017 per colmare la carenza di figure professionali con un background in AI. La sua azienda madre, Translated, è un’azienda leader mondiale nello sviluppo di strumenti tecnologici a supporto della traduzione, la quale utilizza l'Intelligenza Artificiale da più di 20 anni e ha notato da subito l’esigenza di fare up-skill a brillanti ingegneri, fisici e matematici che non avevano una conoscenza profonda in Intelligenza Artificiale. Il fiore all’occhiello di Pi School è la School of AI, un programma di otto settimane con la duplice funzione: formare in AI i migliori computer scientist e ingegneri selezionati in tutto il mondo; aiutare le aziende nella risoluzione di un problema integrando l’Intelligenza Artificiale. In 8 settimane viene consegnato un Prototipo MVP pronto per essere integrato all’interno dell’infrastruttura IT dell’azienda. 02/08/2023

02 Agosto 2023

Leadership collettiva, smart working, identità: gli strumenti per trovare un nuovo senso al lavoro

Luiss Business School ha ospitato la XXI giornata della formazione manageriale Asfor focalizzata su “Senso del lavoro e formazione manageriale. Nuova appartenenza, coesione sociale e competitività” https://www.flickr.com/photos/luissbusiness/albums/72177720310171801 La pandemia ha rivoluzionato l'approccio dei dipendenti alle aziende, ponendo l'accento sul desiderio di costruire un miglior work-life balance e di lavorare in un'organizzazione con cui potersi identificare. Lo smart working, prezioso durante il lockdown, è oggi uno strumento con cui le aziende possono ingaggiare i dipendenti, ma che va usato con equilibrio. Trovare un nuovo senso al lavoro è la missione dei manager, che devono formarsi anche per ricreare appartenenza, coesione sociale e competitività aziendale. A questo tema è stata dedicata la XXI giornata della formazione manageriale Asfor, ospitata a Villa Blanc da Luiss Business School. Calo di fiducia nel lavoro: le ragioni di un fenomeno Il significato che il lavoro ha per le persone è il tema al centro della XXI giornata della formazione manageriale Asfor. Ma, contrariamente a quanto si possa credere, il target della riflessione non è solo quello dei giovani. Marco Vergeat, Presidente Asfor Associazione Italiana per la Formazione Manageriale, spiega che «questa riflessione vuole attraversare tutte le generazioni. Vuole discutere del valore, del grado di centralità che il lavoro ha nella vita delle persone e di come e quanto questa percezione e l'importanza che il lavoro ha nella scala dei valori personali influenza l'identificazione organizzativa, il senso di appartenenza, e quindi i legami e la coesione sociale nelle organizzazioni del lavoro e nella società, e in ultima analisi della competitività collegata a questi aspetti del capitale umano». L'economia post pandemica dopo un forte rimbalzo, continua a crescere con tassi contenuti, ma superiori rispetto alla media europea. Anche il mercato del lavoro registra un certo dinamismo, tanto da far parlare di difficoltà nel coprire i fabbisogni e del mismatch fra domanda e offerta. «Eppure, in molti casi le imprese faticano a trattenere e soprattutto a motivare e a generare positivo engagement nelle persone impiegate. Disagio, insoddisfazione strisciante, senso di stanchezza, quando non disengagement dichiarato e dimissioni inaspettate, anche se questo fenomeno in Italia è di modesta entità: non è solo letteratura, ma anche argomento di dialoghi tra imprenditori, senior manager e responsabili risorse umane». La perdita di potere di acquisto delle retribuzioni negli ultimi 10 anni è pari a circa lo 0,3% (dati: Censis), aggravato dall'inflazione cresciuta nell'ultimo anno, gli ascensori sociali deboli se non fermi del tutto salvo per ristrette élite professionali e manageriali. «Sono fattori che spiegano in parte un calo di fiducia e di speranza nel futuro. Fattori che fiaccano la voglia di impegnarsi e dare il massimo, ma non spiegano tutto. C'è dell'altro, che dobbiamo comprendere. C'è la difficoltà a sostare in qualcosa, rinunciando a essere sempre altrove. Il lavoro che si fa ha minore forza identitaria, posta a confronto con mille altre forme di identificazione di facile consumo. Vogliamo riflettere insieme, condizione necessaria per cercare risposte non facili». L'importanza della leadership collettiva «Più il mondo cambia più c'è bisogno di un adeguamento della formazione manageriale, in linea con i tempi veloci. Come Luiss Business School, pensiamo che nel mondo in cui il tempo di lavoro e il tempo di vita si integrano in modo sempre più atipico e soggettivo, avere la capacità di saper governare l'organizzazione dal punto di vista manageriale, richiede anche esperienze di natura diversa, multidisciplinare – ha spiegato Luigi Abete, Presidente Luiss Business School – Le leadership della società moderna, delle autonomie, delle libertà individuali, del tempo libero e di lavoro, o è collettiva o non è leadership. Nessuno riesce a orientare e interpretare il senso della storia da solo. Se c'è una collettività coesa, che ha principi comuni e condivisi, con comportamenti coerenti, distribuita in modo opportuno nei gangli dell'essere organizzata sia essa società, impresa o famiglia, si ottengono risultati all'altezza delle aspettative e dei bisogni. Questo è il più grande investimento da fare come collettività. Il primo livello di professionalizzazione è passare dall'io al noi, non nella comunicazione, ma nella percezione e nel modo di ragionare. Se la società è inclusiva e solidale, allora si sviluppa. Altrimenti, anche con la buona volontà dei singoli, mancherà la possibilità di comprendere le potenzialità e l'apporto dei singoli, e di crescere attraverso il confronto». Smart working: alla ricerca dell’equilibrio Uno dei temi prioritari per le aziende e i lavoratori riguarda il work-life balance. Si tratta di un fenomeno sempre più rilevante, che riflette una diversa percezione della vita attuale. Durante la pandemia lo smart working è stato uno strumento "subito", ma che ha permesso alle organizzazioni di garantire la continuità dei servizi. «Oggi siamo consapevoli di dover trovare un equilibrio corretto anche nell'utilizzo di questo strumento, che non può essere più l'unica modalità lavorativa, ma non può nemmeno essere completamente archiviato – ha spiegato Raffaele Oriani, Dean Luiss Business School e Professore Ordinario di Finanza Aziendale durante il dialogo con Ilaria Catalano, Ad Poste Welfare – Lo smart working ha portato una serie di vantaggi evidenti ai lavoratori: flessibilità, capacità di gestire gli impegni familiari e maggiore equilibrio. Nel dibattito contemporaneo sono entrate due domande. La prima: "Lo smart working può ridurre la produttività dei dipendenti?". La seconda riguarda il tema della comunità e l'azienda come una comunità in cui vivere, un tema più problematico da gestire. Va cercato un nuovo equilibrio». L'evento Senso del lavoro e formazione manageriale. Nuova appartenenza, coesione sociale e competitività si è tenuto il 20 giugno 2023 presso Villa Blanc, sede di Luiss Business School, Roma. Hanno partecipato: Luigi Abete, Presidente, Luiss Business School; Marco Vergeat, Presidente, ASFOR Associazione Italiana per la Formazione Manageriale; Sebastiano Maffettone, Professore ordinario di Filosofia Politica, LUISS Guido Carli e Direttore Center for Ethics and Global Politics; Silvano Petrosino, Filosofo e Professore ordinario di Filosofia teoretica, Università Cattolica del Sacro Cuore; Ilaria Catalano, Ad, Poste Welfare; Raffaele Oriani, Dean, Luiss Business School e Professore Ordinario di Finanza Aziendale; Sabrina Dubbini, Responsabile Area Didattica dell’Istituto Adriano Olivetti, ISTAO; Emanuela Salati, Direttore formazione, selezione, welfare&diversity ATM, Vice Presidente AIDP; Giorgio Colombo, Vice Presidente Vicario, ASFOR; Roberto Ciceri, Presidente e Amministratore Delegato, Gruppo Beta. 2/08/2023

01 Agosto 2023

Luiss Business School ottiene la Certificazione AACSB

Il prestigioso riconoscimento internazionale valorizza le unicità del modello di business della Scuola di alta formazione manageriale della Luiss Luiss Business School è orgogliosa di annunciare di aver ottenuto la certificazione internazionale AACSB, un segno distintivo di eccellenza nella formazione manageriale che testimonia l'impegno della Scuola nel raggiungimento dei più alti standard qualitativi e nell'essere un'istituzione all'avanguardia nell'ecosistema della Higher Education a livello globale. L’accreditamento AACSB (Association to Advance Collegiate Schools of Business) riconosce le istituzioni internazionali che hanno dimostrato di avere il focus sull’eccellenza in tutte le aree: insegnamento, ricerca, design dei curriculum e processo di apprendimento per gli studenti. "Siamo molto grati ad AACSB: il processo di accreditamento ci ha messo alla prova profondamente e ci ha permesso di migliorare in modo esponenziale. È stata una grande esperienza di apprendimento per noi, a tutti i livelli, e siamo consapevoli che il percorso è solo all'inizio perché crediamo davvero che il miglioramento continuo debba essere un viaggio, non una destinazione" ha dichiarato Raffaele Oriani, Dean della Luiss Business School. “Ci congratuliamo con Luiss Business School e il Dean Raffaele Oriani per aver raggiunto questo prestigioso traguardo ed esprimiamo il vivo apprezzamento a tutto il team – la faculty, lo staff e gli studenti – per il loro ruolo nell’ottenimento di questo riconoscimento” ha commentato Stephanie M. Bryant, Executive Vice President e Chief Accreditation Officer di AACSB. Fondato nel 1916, AACSB è l'organismo di accreditamento per le business school più longevo al mondo e tra le alleanze di formazione manageriale più rinomate. AACSB mette in connessione educatori, studenti e aziende con l’obiettivo comune di creare la prossima generazione di grandi leader. Sinonimo dei più alti standard di qualità, l’accreditamento AACSB ispira nuove modalità di pensare l’evoluzione dei modelli di business education a livello globale. Ciò comporta che meno del 6% delle business school a livello mondiale sono accreditate da AACSB, pari a un totale di 1.004 istituzioni in 62 Paesi. La certificazione AACSB si aggiunge agli altri due prestigiosi riconoscimenti internazionali per la formazione manageriale, EQUIS e AMBA, ottenuti da Luiss Business School rispettivamente nel 2015 e nel 2020 e testimonia lo sforzo dell’intera organizzazione nel progettare un'esperienza di apprendimento che valorizzi il capitale economico, sociale e umano, così come la produzione scientifica. Da oggi Luiss Business School entra a far parte dell’élite che raggruppa circa l’1% delle business school riconosciute a livello mondiale come “Triple Crown”. 1/08/2023

01 Agosto 2023

Digital Transformation e nuovi modelli di Business

La digital transformation oggi non rappresenta più una scelta, ma una necessità imprescindibile per ogni azienda che desideri rinnovarsi e rafforzare la propria formula di business. I rapidi cambiamenti digitali hanno trasformato gli strumenti di azione: i social media hanno scardinato le strutture e le logiche tradizionali di comunicazione; l’omnichannel si è imposta come nuova logica di gestione dei canali distributivi; le piattaforme hanno introdotto nuovi modelli di business flessibili e potenti. In questo contesto, venerdì 15 settembre, presso il Milano Luiss Hub, si terrà l’evento dal titolo "Digital Transformation e nuovi modelli di Business". L'incontro, che si terrà dalle 19.00 alle 20.30, sarà incentrato sulle trasformazioni digitali che stanno ridefinendo il mondo degli affari. Moderato da Alberto Mattiacci, Direttore Scientifico dell’Executive Master in Marketing - Major in Digital Marketing, l'evento ospiterà i relatori Duccio Vitali, CEO di Alkemy, e Bernadette Bevacqua, CEO di Sperlari, i quali condivideranno le loro esperienze e prospettive nell'ambito della digitalizzazione aziendale. I temi affrontati rappresentano, altresì, il fulcro di alcuni percorsi formativi offerti presso il Milano Luiss Hub, i cui programmi sono incentrati sulla Digital Transformation, come l’Executive Master in Digital Marketing e l'MBA Part-Time. Questi percorsi sono progettati appositamente per professionisti desiderosi di assumere un ruolo di primo piano nel cambiamento digitale, ampliando la loro visione strategica, consolidando il bagaglio di competenze, accelerando la crescita della loro carriera e sviluppando una maggiore consapevolezza del proprio progetto professionale. Al termine dell'incontro, i partecipanti avranno l'opportunità di interagire con lo Staff Luiss Business School e il Direttore Scientifico Alberto Mattiacci, porre domande e curiosità sulla struttura del programma, sui contenuti e sul processo di candidatura. Per partecipare all’evento è necessaria la registrazione. var d=document,w="https://tally.so/widgets/embed.js",v=function(){"undefined"!=typeof Tally?Tally.loadEmbeds():d.querySelectorAll("iframe[data-tally-src]:not([src])").forEach((function(e){e.src=e.dataset.tallySrc}))};if("undefined"!=typeof Tally)v();else if(d.querySelector('script[src="'+w+'"]')==null){var s=d.createElement("script");s.src=w,s.onload=v,s.onerror=v,d.body.appendChild(s);} 01/08/2023

28 Luglio 2023

Premio Internazionale Generazione Contemporanea: ottava edizione

Promuovere l’arte contemporanea italiana e straniera, sostenere gli artisti under 35 e ampliare la collezione permanente d’arte contemporanea della Luiss Business School. Sono questi gli obiettivi del Premio Internazionale Generazione Contemporanea, giunto alla ottava edizione. L’iniziativa dà vita ad un nuovo ambito di innovazione culturale, finalizzato non solo alla formazione ma anche al sostegno e alla ricerca di giovani artisti in ambito internazionale. Il concorso prevede che le opere candidate sviluppino un tema specifico, la Diade. Cos’è una diade? Nella filosofia platonica, è il punto d’ordine che confluisce nel disordine, e viceversa. Di conseguenza, l’insieme della realtà a tutti i livelli ha una struttura bipolare, ossia è una "mescolanza" di due principi, l'Uno e la Diade, secondo giusta misura.  Questo dualismo viene espresso nel pensiero nietzschiano nella “Nascita della Tragedia”, sotto forma di Apollineo e Dionisiaco. La sfida sarà quella della ricerca di un punto comune che indaghi la mescolanza di questi due principi, opposti nella filosofia di Nietzsche e adesso da ricongiungere. Caos e Logos. Il concorso prevede l’assegnazione di un premio in denaro del valore di € 4.000,00, conferito al primo classificato, come premio-acquisto dell’opera scelta da una prestigiosa giuria composta da: Achille Bonito Oliva – Curatore e critico d’arte Francesca Cappelletti – Direttore Galleria Borghese Cristiana Collu – Direttore GNAM – Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea Pia Lauro – Curatrice indipendente  Domenico Piraina – Direttore Mostre e Musei Scientifici – Comune di Milano Luca Pirolo –Direttore Area Master, Luiss Business School S.p.A. Un rappresentante del Collettivo Curatoriale della XIII edizione del Master in Management delle Imprese Creative e Culturali - Major Master in Art Management Le tre opere finaliste entreranno a far parte della mostra conclusiva del Master “Diadi” e del relativo catalogo. I candidati possono concorrere con una sola opera, edita o inedita, da cui emerga chiaramente l’aderenza al tema.  Sono ammesse opere realizzate con tutti i linguaggi propri dell’espressione visiva (pittura, scultura, installazione, fotografia, grafica, video, senza limiti di tecniche).  Il concorso si rivolge esclusivamente ad artisti under 35. Il termine ultimo per inviare le candidature è il 13 ottobre 2023, ore 12.00. La partecipazione è gratuita. Si raccomanda l’attenta lettura del bando. ITA SCARICA IL BANDO MODULO ISCRIZIONE MODULO PARTECIPAZIONE INFORMATIVA PRIVACY ENG DOWNLOAD THE ANNOUNCEMENT REGISTRATION MODULE PARTICIPATION MODULE PRIVACY POLICY STATEMENT

26 Luglio 2023

ESG, Dinamiche di Board & Governance

Scopri il Corso di Perfezionamento Universitario “Board Academy” – in collaborazione con Assogestioni L'importanza di una cultura della Corporate Governance in linea con le migliori pratiche di sostenibilità ambientale è sempre più rilevante per il tessuto imprenditoriale italiano. Per questo motivo, Luiss Business School ha organizzato un webinar in collaborazione con Assogestioni, in programma venerdì 15 Settembre dalle 10 alle 11, dedicato all'approfondimento degli ESG, i tre pilastri fondamentali della sostenibilità per l'Unione Europea, e le loro implicazioni sulle dinamiche di Board e Governance aziendale. Il webinar rappresenterà anche l’occasione per la presentazione della quarta edizione del Corso di Perfezionamento Universitario in Board Academy, in partenza a Roma a ottobre 2023 con formula weekend. Keynote Speaker: Chiara Del Prete, Chairwoman , EFRAG Intervengono: Emilio Franco, Coordinatore del Comitato dei gestori e CEO, Mediobanca SGR Patrizia Rutigliano, Membro del CdA e del Comitato Sostenibilità di Poste Italiane Moderano: Paolo Boccardelli, Professore Ordinario di Economia e Gestione delleImprese, Luiss Guido Carli Massimo Menchini, Direttore Affari Istituzionali, Assogestioni Il corso, realizzato in collaborazione con Assogestioni, l'associazione italiana del risparmio gestito, si rivolge a coloro che desiderano acquisire competenze avanzate per ricoprire efficacemente il ruolo di Consigliere Non Esecutivo in aziende di rilievo, nonché assumere funzioni nelle strutture di Corporate Governance in Società Quotate e non. Per partecipare al Webinar è necessaria la registrazione.   REGISTRATI 26/07/2023

02 Agosto 2023

Leadership collettiva, smart working, identità: gli strumenti per trovare un nuovo senso al lavoro

Luiss Business School ha ospitato la XXI giornata della formazione manageriale Asfor focalizzata su “Senso del lavoro e formazione manageriale. Nuova appartenenza, coesione sociale e competitività” https://www.flickr.com/photos/luissbusiness/albums/72177720310171801 La pandemia ha rivoluzionato l'approccio dei dipendenti alle aziende, ponendo l'accento sul desiderio di costruire un miglior work-life balance e di lavorare in un'organizzazione con cui potersi identificare. Lo smart working, prezioso durante il lockdown, è oggi uno strumento con cui le aziende possono ingaggiare i dipendenti, ma che va usato con equilibrio. Trovare un nuovo senso al lavoro è la missione dei manager, che devono formarsi anche per ricreare appartenenza, coesione sociale e competitività aziendale. A questo tema è stata dedicata la XXI giornata della formazione manageriale Asfor, ospitata a Villa Blanc da Luiss Business School. Calo di fiducia nel lavoro: le ragioni di un fenomeno Il significato che il lavoro ha per le persone è il tema al centro della XXI giornata della formazione manageriale Asfor. Ma, contrariamente a quanto si possa credere, il target della riflessione non è solo quello dei giovani. Marco Vergeat, Presidente Asfor Associazione Italiana per la Formazione Manageriale, spiega che «questa riflessione vuole attraversare tutte le generazioni. Vuole discutere del valore, del grado di centralità che il lavoro ha nella vita delle persone e di come e quanto questa percezione e l'importanza che il lavoro ha nella scala dei valori personali influenza l'identificazione organizzativa, il senso di appartenenza, e quindi i legami e la coesione sociale nelle organizzazioni del lavoro e nella società, e in ultima analisi della competitività collegata a questi aspetti del capitale umano». L'economia post pandemica dopo un forte rimbalzo, continua a crescere con tassi contenuti, ma superiori rispetto alla media europea. Anche il mercato del lavoro registra un certo dinamismo, tanto da far parlare di difficoltà nel coprire i fabbisogni e del mismatch fra domanda e offerta. «Eppure, in molti casi le imprese faticano a trattenere e soprattutto a motivare e a generare positivo engagement nelle persone impiegate. Disagio, insoddisfazione strisciante, senso di stanchezza, quando non disengagement dichiarato e dimissioni inaspettate, anche se questo fenomeno in Italia è di modesta entità: non è solo letteratura, ma anche argomento di dialoghi tra imprenditori, senior manager e responsabili risorse umane». La perdita di potere di acquisto delle retribuzioni negli ultimi 10 anni è pari a circa lo 0,3% (dati: Censis), aggravato dall'inflazione cresciuta nell'ultimo anno, gli ascensori sociali deboli se non fermi del tutto salvo per ristrette élite professionali e manageriali. «Sono fattori che spiegano in parte un calo di fiducia e di speranza nel futuro. Fattori che fiaccano la voglia di impegnarsi e dare il massimo, ma non spiegano tutto. C'è dell'altro, che dobbiamo comprendere. C'è la difficoltà a sostare in qualcosa, rinunciando a essere sempre altrove. Il lavoro che si fa ha minore forza identitaria, posta a confronto con mille altre forme di identificazione di facile consumo. Vogliamo riflettere insieme, condizione necessaria per cercare risposte non facili». L'importanza della leadership collettiva «Più il mondo cambia più c'è bisogno di un adeguamento della formazione manageriale, in linea con i tempi veloci. Come Luiss Business School, pensiamo che nel mondo in cui il tempo di lavoro e il tempo di vita si integrano in modo sempre più atipico e soggettivo, avere la capacità di saper governare l'organizzazione dal punto di vista manageriale, richiede anche esperienze di natura diversa, multidisciplinare – ha spiegato Luigi Abete, Presidente Luiss Business School – Le leadership della società moderna, delle autonomie, delle libertà individuali, del tempo libero e di lavoro, o è collettiva o non è leadership. Nessuno riesce a orientare e interpretare il senso della storia da solo. Se c'è una collettività coesa, che ha principi comuni e condivisi, con comportamenti coerenti, distribuita in modo opportuno nei gangli dell'essere organizzata sia essa società, impresa o famiglia, si ottengono risultati all'altezza delle aspettative e dei bisogni. Questo è il più grande investimento da fare come collettività. Il primo livello di professionalizzazione è passare dall'io al noi, non nella comunicazione, ma nella percezione e nel modo di ragionare. Se la società è inclusiva e solidale, allora si sviluppa. Altrimenti, anche con la buona volontà dei singoli, mancherà la possibilità di comprendere le potenzialità e l'apporto dei singoli, e di crescere attraverso il confronto». Smart working: alla ricerca dell’equilibrio Uno dei temi prioritari per le aziende e i lavoratori riguarda il work-life balance. Si tratta di un fenomeno sempre più rilevante, che riflette una diversa percezione della vita attuale. Durante la pandemia lo smart working è stato uno strumento "subito", ma che ha permesso alle organizzazioni di garantire la continuità dei servizi. «Oggi siamo consapevoli di dover trovare un equilibrio corretto anche nell'utilizzo di questo strumento, che non può essere più l'unica modalità lavorativa, ma non può nemmeno essere completamente archiviato – ha spiegato Raffaele Oriani, Dean Luiss Business School e Professore Ordinario di Finanza Aziendale durante il dialogo con Ilaria Catalano, Ad Poste Welfare – Lo smart working ha portato una serie di vantaggi evidenti ai lavoratori: flessibilità, capacità di gestire gli impegni familiari e maggiore equilibrio. Nel dibattito contemporaneo sono entrate due domande. La prima: "Lo smart working può ridurre la produttività dei dipendenti?". La seconda riguarda il tema della comunità e l'azienda come una comunità in cui vivere, un tema più problematico da gestire. Va cercato un nuovo equilibrio». L'evento Senso del lavoro e formazione manageriale. Nuova appartenenza, coesione sociale e competitività si è tenuto il 20 giugno 2023 presso Villa Blanc, sede di Luiss Business School, Roma. Hanno partecipato: Luigi Abete, Presidente, Luiss Business School; Marco Vergeat, Presidente, ASFOR Associazione Italiana per la Formazione Manageriale; Sebastiano Maffettone, Professore ordinario di Filosofia Politica, LUISS Guido Carli e Direttore Center for Ethics and Global Politics; Silvano Petrosino, Filosofo e Professore ordinario di Filosofia teoretica, Università Cattolica del Sacro Cuore; Ilaria Catalano, Ad, Poste Welfare; Raffaele Oriani, Dean, Luiss Business School e Professore Ordinario di Finanza Aziendale; Sabrina Dubbini, Responsabile Area Didattica dell’Istituto Adriano Olivetti, ISTAO; Emanuela Salati, Direttore formazione, selezione, welfare&diversity ATM, Vice Presidente AIDP; Giorgio Colombo, Vice Presidente Vicario, ASFOR; Roberto Ciceri, Presidente e Amministratore Delegato, Gruppo Beta. 2/08/2023

17 Luglio 2023

(Yo)U International Film Festival, il concorso che racconta le nuove professioni del cinema

Nato nell’ambito del progetto Generazione Contemporanea di Luiss Business School in partnership con Isola del Cinema, il concorso cinematografico mira a sostenere gli autori under 36. I sei cortometraggi finalisti saranno proiettati il 18 luglio alla Casa del Cinema di Roma. In dirittura d’arrivo la prima edizione del Premio Generazione Contemporanea - (Yo)U International Film Festival. Organizzato dal Luiss Creative Business Center, centro di formazione e ricerca della Luiss Business School, il concorso cinematografico per cortometraggi ha selezionato sei finalisti tra oltre cento candidati, i cui lavori saranno proiettati il 18 luglio presso la Casa del Cinema, a Roma. Obiettivo della manifestazione: promuovere l’arte cinematografica italiana e internazionale e sostenere autori under 36. Le tre anime di Generazione Contemporanea Luiss Business School offre una molteplicità di percorsi formativi di specializzazione, alcuni dei quali impattano sul comparto delle industrie creative e culturali attraverso un modello formativo che bilancia insegnamenti manageriali con moduli di taglio più tecnico e creativo. Uno di questi è il Master in Art Management che si conclude con l’organizzazione di una mostra d’arte contemporanea. A questo evento è stato abbinato un concorso, il Bando Premio Internazionale Generazione Contemporanea, che dal 2013 permette a giovani artisti vincitori di poter esporre le proprie opere nell’ambito del progetto mostra finale del master. Ogni anno vengono vagliate oltre 200 candidature: al primo classificato un premio in denaro che corrisponde all’acquisto dell’opera. Nel 2022 a Generazione Contemporanea si sono aggiunte altre due “anime”. La prima trova il suo ambito di incubazione nel percorso di specializzazione in Music Business. Si tratta del concorso On Shuffle EP, competizione per giovani musicisti under 36 chiamati a presentare un brano mai prodotto, ma non necessariamente inedito. Il premio è l’inclusione in una raccolta di sette singoli pubblicati in un unico EP e distribuiti in modalità digitale. Dalle major in Writing School, percorso focalizzato sulla scrittura creativa per cinema e televisione, e Gestione della Produzione Cinematografica e Televisiva, specializzazione sul comparto delle produzioni audiovisive, è nato poi  (Yo)U International Film Festival, il concorso dedicato a cortometraggi nazionali e internazionali di giovani artisti che il prossimo 18 luglio si concluderà con la premiazione alla Casa del Cinema di Roma. Dopo aver vagliato oltre 100 candidature provenienti da tutto il mondo, gli studenti delle due major hanno preselezionato 16 opere, poi inviate a una giuria tecnica incaricata di selezionare i sei finalisti. Il vincitore riceverà una targa celebrativa. Ci saranno anche due menzioni speciali: una dalla giuria e l’altra dagli studenti del master. “Pensiamo che i ragazzi debbano entrare quanto prima nell’esercizio pratico degli insegnamenti impartiti dalla faculty della Scuola. Per questo motivo sin dall’inizio del master operano da protagonisti nella realizzazione di progetti reali, quali appunto l’organizzazione di mostre d’arte, la realizzazione di produzioni musicali e la scrittura e produzione di serie televisive, oltre che la gestione di contest creativi nel settore” - spiega Luca Pirolo, Head of Area Master, Luiss Business School La giornata conclusiva della competizione Generazione Contemporanea (Yo)U International Film Festival si terrà il 18 luglio presso la Casa del Cinema, a partire dalle ore 20:30, a Roma. L’evento è aperto al pubblico. Generazione Contemporanea (Yo)U International Film Festival si fregia della partnership con l’Isola del Cinema, che ospiterà l’edizione 2024 della competizione targata Luiss Business School. 17/07/2023

07 Luglio 2023

Finanza e tecnologia: le nuove sfide per i Cfo

L'evento nato dalla collaborazione tra Luiss Business School e Oracle pone al centro la value chain e i cambiamenti nei processi Finance generati da intelligenza artificiale e tecnologie emergenti. Obiettivo: prevedere e pianificare più velocemente, liberando il valore delle persone C'è una duplice sfida in atto per i Cfo. Da una parte, devono adeguare i modelli a una nuova realtà di mercato, in rapida trasformazione e sempre più globale. Dall'altra, digitalizzare i processi per sfruttare le opportunità che la tecnologia offre anche in campo applicativo, al fine di poter prevedere e pianificare più velocemente le attività. Obiettivo: aumentare la creazione di valore. Questi sono i punti emersi durante l'evento La value chain e i cambiamenti nei processi finance: sfide e opportunità dell’intelligenza artificiale e delle tecnologie emergenti. L'incontro è stato organizzato grazie alla collaborazione tra Luiss Business School e Oracle. Processi Finance: una fotografia di settore Intelligenza artificiale, machine learning, robotic process automation, digital assistant e data sciences possono fare la differenza nei modelli e nei processi Finance per affrontare i cambiamenti ormai consolidati nelle value chain aziendali. Tra questi, ci sono variabilità e imprevedibilità delle performance dei fornitori, della logistica e della produzione, avvento della sostenibilità e cambiamenti dei modelli di business – ad esempio servitization e multicanalità – e del comportamento dei clienti B2B e B2C. «L'intelligenza artificiale, ad esempio, può essere utilizzata per le attività routinarie contribuendo in tal modo ad ottimizzare l’allocazione delle risorse che lavorano nell'ambito dei processi Finance, che possono così dedicarsi ad attività a maggior valore aggiunto dove si richiede un approccio qualitativo, e ad apportare progressi, innovazione e digitalizzazione all’intera areaAFC(Amministrazione Finanza e Controllo) – ha dichiarato Anna Spina, Presidente, Sezione ANDAF Lazio, durante i saluti iniziali – In questo modo le risorse possono contribuire ad aggiungere valore e innovazione all’intera area Amministrazione Finanza e Controllo».  Finanza sempre più data-driven Nel suo Keynote Speech Raffaele Oriani, Dean, Luiss Business School, ha contestualizzato la figura del Cfo, immerso in un contesto in grandissima evoluzione, dove molti macro-trend influenzano l'organizzazione, il lavoro e il modo in cui viene organizzata la funzione Finanza. Sostenibilità, trasformazione digitale, intelligenza artificiale e data analytics vengono utilizzati per automatizzare i processi e liberare tempo e valore, fare previsioni migliori e supportare in modo efficace il processo strategico. Grazie a questi strumenti, il Cfo andrà a supportare la formazione di nuovi modelli di business e contribuirà a ridefinire le supply chain globali. Per farlo, avrà bisogno di maggiori capacità di gestione degli stakeholder ed esperienze cross-funzionali e cross-industry (PWC, Workforce of the future: the competing forces shaping 2030). Secondo la Global Survey di McKinsey sul ruolo della funzione Finanza, il Cfo ha l'opportunità di rinsaldare non solo il ruolo di "strategist", ma anche di "sparring partner" del Ceo, e di partecipare sempre più alle scelte strategiche di lungo termine dell'impresa. Ecco che i Cfo entrano nelle strategie aziendali Esg, diventando responsabili di attività digitali (dal 9% al 31%), raddoppiando l'utilizzo di Advanced Analytics for Finance. Inoltre, il 51% dei Cfo ha dichiarato di aver incrementato l'interazione con il Ceo in tema di trasformazione organizzativa. Per questo è necessario che ci sia una ridefinizione di attività e competenze. Da un lato, i Cfo continueranno a presidiare le attività fondamentali e caratteristiche come la pianificazione finanziaria, la reportistica, il supporto alle decisioni di finanziamento e di investimento, nonché la gestione dei rischi. Dall'altro, la funzione Finanza è divenuta responsabile delle attività di supporto alla formulazione della strategia, comunicazione efficace con il board e altri stakeholder, orientamento alle nuove tecnologie e all'efficientamento del processo di forecast e budgeting. Per raggiungere questi obiettivi, il Cfo deve comprendere il quadro macroeconomico e geopolitico; deve essere in grado di analizzare le nuove tecnologie e la supply chain, la gestione degli strumenti di data analytics e di Intelligenza Artificiale, la misurazione dei parametri Esg, l'evoluzione dei relativi standard di reporting. «La vera sfida è all'interno dell'azienda – ha sottolineato Oriani – Il Cfo non può dimenticare il lavoro che ha sempre fatto, cioè la garanzia dell'equilibrio finanziario. Parte di queste attività, che sono necessarie, deve essere automatizzata, efficientata e svolta in tempi molto minori rispetto al passato, liberando risorse e tempo per supportare l’analisi dei macro-trend, la comprensione del contesto macroeconomico e geopolitico». I trend tecnologici nella funzione AFC (Amministrazione, Finanza e Controllo) Da una recente indagine di Gartner è emerso che il 66% dei CFO prevede di dedicare più tempo alla tecnologia. I trend tecnologici rilevanti per la funzione Finance sono automazione, AI engineering, gestione del cloud, cybersecurity, intelligent composable business, anywhere operations. «La nuova sfida per il Cfo è diventare guida del cambiamento del paradigma tecnologico. Dovrà supportare l'azienda nel processo decisionale sull'adozione delle nuove tecnologie attraverso lo sviluppo di idonei modelli di valutazione. Poi, sarà chiamato a sviluppare competenze più ampie e diversificate all'interno della sua funzione, investendo in formazione e in inclusività professionale», ha aggiunto Oriani. Nell'innovazione, i Cfo lavoreranno su tre aree: automazione dei processi, real-time analytics, reporting e data visualization. La valutazione di un investimento digitale, che deve contribuire al processo di creazione di valore aziendale, richiede un’attenta considerazione di tre aspetti fondamentali: strategico, tecnico ed economico-finanziario. Le principali criticità è la difficoltà di prevedere i flussi di cassa, valutare gli intangibles come la reputazione del marchio, l'innovazione tecnologica, la difficoltà di quantificazione delle esternalità dei progetti e degli impatti incrementali. Ma i benefici sono numerosi. Quelli diretti sono il miglioramento dei ricavi, il cost saving e l'efficientamento del capitale. Mentre i benefici indiretti sono la flessibilità dell’organizzazione, la sostenibilità, la ricaduta sulla reputazione aziendale, una maggiore disponibilità di dati e sicurezza. «I Cfo dovranno capire come modificare il lavoro di coloro che svolgono attività più rutinarie. Poi dovranno investire nella formazione delle persone, un passaggio che richiede lo sviluppo di soft skill e leadership, con ricaduta sullo sviluppo del team. Infine, dovranno integrare nella funzione Finanza profili che non hanno una formazione tipica». L'impatto tecnologico sui processi Finance Durante la tavola rotonda, moderata da Cristiano Busco, Full Professor Accounting, Reporting & Sustainability, Luiss Business School, si è ragionato attorno all’impatto dei trend tecnologici nei processi Finance e sulla figura del Cfo. «L'impatto è onnicomprensivo in tutte le aree – ha sottolineato Marco Fossataro, Group Chief Financial Officer, Ferrovie dello Stato Italiane – La trasformazione non è più in corso, ma è già avvenuta, tanto da dover pensare di cambiare il titolo da Chief Financial Officer a Chief Future Manager. Bisognerà essere veloci nel formarsi e formare il team, implementando le risorse in azienda per battere i competitor sul tempo. La semplificazione di processo andrà a sostegno della pianificazione industriale». Negli ultimi 20 anni il Cfo si è evoluto. La sua funzione è stata legata alla razionalizzazione delle decisioni, «come una sorta di transformation manager chiamato a far accadere le cose». Il tema di questa evoluzione è la velocità nel governare il cambiamento. «Dobbiamo approcciare la tecnologia come manager, chiedere alle persone di fare uno sforzo di confronto su possibilità e innovazione, mettendosi in discussione. Bisogna capire come integrare i processi in azienda, investendo nella formazione di risorse già presenti in azienda. I finance digital manager non devono sostituirsi agli Ict manager, ma dialogare con loro. Per fare tutto questo, serve focalizzarsi». L’impatto della tecnologia sulla value chain «Nessuno deve avere paura del futuro. Non dobbiamo aver paura di nessun cambio tecnologico, incluso l’avvento Ai». Salvatore Sangiovanni, Group Digital Finance & Data Officer, Leonardo, ha messo in evidenza la necessità di estrarre rapidamente le informazioni necessarie per prendere decisioni. «Il Cfo oggi è business partner, ma per esserlo, deve disporre delle informazioni in tempo reale. La digitalizzazione dei processi è fondamentale, così come creare sistemi che raccolgano i dati e di estrarre informazioni in tempo reale per prendere decisioni gestionali, sfruttando le tecnologie a disposizione. Per far questo il collante è il capitale umano. Le persone faranno la differenza, individuando e andando a occupare ampi spazi che prima non c'erano. La ricerca dei talenti è un problema, ma la potenzialità maggiore riusciamo ad ottenerla lavorando sui collaboratori che sono già in azienda. Un piccolo sforzo fatto oggi può portare benefici al singolo e a tutta l'organizzazione». Sfide e opportunità: il caso Oracle Oracle è passata dall'essere un'azienda che faceva software, in cui il valore aggiunto era creare un prodotto ed esserne proprietaria, a diventare un hyperscaler cloud. Il prodotto viene trasferito in un data center in giro per il mondo, al servizio dei clienti. «Abbiamo trasformato il prodotto in servizio, ma la forza che abbiamo trasferito ci ha permesso di chiudere un bilancio in 7 giorni lavorativi, proprio qualche giorno fa alla fine del nostro anno fiscale - ha sottolineato Giovanni Ravasio, VP & Country Leader Cloud Applications, Oracle Italia - Ci siamo trovati a fare questo in un contesto in cui la sostenibilità e la corporate social responsability contano sempre di più». AI e machine learning hanno una miriade di applicazioni anche nel segmento B2b. «Ci sono altre tecnologie che stanno portando velocità e integrazione digitale. Tra queste, l’avvento del web3 e l’utilizzo degli Nft (Non Fungible Token, beni digitali che collegano la proprietà a oggetti fisici o digitali unici, come ad esempio opere d'arte, immobili, musica o video, e che possono essere comprati e venduti attraverso la tecnologia blockchain, come le criptovalute) in ambito aziendale, un asset digitale non regolato, pone delle sfide. La chiave del successo dei progetti tecnologici è il change management», ha aggiunto Ravasio. La digital transformation per affrontare le criticità Occorre aumentare agilità, flessibilità e affidabilità dei sistemi sia in ambito amministrativo-contabile sia di performance management, adeguandoli alle nuove esigenze che il nuovo ecosistema di business impone. Tra queste, ad esempio, ci sono la modellazione di scenario, l’introduzione del rischio e della predittività nella pianificazione, una maggiore integrazione dei dati e delle informazioni della catena del valore, la considerazione delle metriche e degli indicatori Esg, un’automazione spinta dei processi transazionali e più intelligenza digitale nelle analisi di business. Edilio Rossi, Digital Finance & Supply Chain Business Development Director, Oracle Italia, ha individuato quattro grandi aree di cambiamento: globalizzazione e riorganizzazione, avvento dell'impresa sostenibile attraverso i principi Esg, nuovi modelli di business e supply chain. «La digital transformation può aiutare ad affrontare le criticità - ha sottolineato Rossi – Gestione dell'incertezza, velocità, complessità, granularità. Introdurre il concetto di rischio e di scenario modeling per avere diverse opzioni, permette di inserire il rischio nei modelli di pianificazione. Come Oracle permettiamo di aggiungere algoritmi predittivi di mercato, per migliorare le capacità previsionali. Le analytics permettono di estrarre insight sofisticati. Infine, la pianificazione si connette alla granularità. Le soluzioni aziendali devono mettere insieme i punti di vista finance, operation and supply chain, HR, IT, vendite e marketing». «Stiamo lavorando per cambiare profondamente anche un'area forse più noiosa, ma destinata a rimanere. Il Cfo è responsabile dell'area closing & reporting. Automatizzarla, renderlo continua, autonoma e orchestrata deve essere l’obiettivo per arrivare a una nuova funzione di pianificazione e controllo che sia data driven, risk-adjusted, connessa, intelligente e predittiva». L'evento La value chain e i cambiamenti nei processi finance: sfide e opportunità dell’intelligenza artificiale e delle tecnologie emergenti si è tenuto il 22 giugno 2023 presso Villa Blanc, sede di Luiss Business School a Roma. Hanno partecipato: Raffaele Oriani, Dean, Luiss Business School; Giovanni Ravasio,VP & Country Leader Cloud Applications, Oracle Italia; Anna Spina, Presidente, Sezione ANDAF Lazio; Giovanni Ravasio,VP & Country Leader Cloud Applications, Oracle Italia; Salvatore Sangiovanni, Group Digital Finance & Data Officer, Leonardo; Cristiano Busco, Full Professor Accounting, Reporting & Sustainability, Luiss Business School; Edilio Rossi, Digital Finance & Supply Chain Business Development Director, Oracle Italia. 07/07/2023

06 Luglio 2023

Formazione e industria: arrivano le linee guida Luiss Business School per docenti e studenti

Francesca Mastrogiacomi, Professor of Practice, illustra i punti chiave del paper DIGITRONICS Rubrics for the Digital Teaching and Learning of Mechatronics, redatto con Leonardo Quattrocchi, Adjunct Professor Adeguare la formazione alla domanda dell’industria: è questo uno degli obiettivi del paper DIGITRONICS Rubrics for the Digital Teaching and Learning of Mechatronics, sviluppato da Francesca Mastrogiacomi, Professor of Practice in Digital Innovation and Business Transformation Luiss Business School, e l’Ingegner Leonardo Quattrocchi, Adjunct Professor presso la Luiss Business School. Lo studio mira a condividere gli aspetti più innovativi emersi dall’elaborazione delle linee guida create per la formazione digitale e modulare dei formatori nei settori di applicazione della meccatronica. DIGITRONICS Rubrics for the Digital Teaching and Learning of Mechatronics sarà presentato l’11 luglio 2023 durante EdMedia + Innovate Learning 2023, evento che si terrà a Vienna dal 10 al 14 luglio. Formazione professionale e digitale nella meccatronica: cosa vi ha spinti a interessarvi di questo ambito in chiave teaching & learning? Un punto di partenza è il caso di Mario Pavone, 19 anni, diplomato con il massimo dei voti nel luglio scorso all'indirizzo Meccanica e Meccatronica. Oggi è il più giovane docente d'Italia, chiamato a insegnare la materia in cui si è diplomato. La vicenda conferma le possibilità lavorative offerte dall'Istituto Tecnico Tecnologico Meccanica e Meccatronica non solo nell'industria, ma in diversi contesti produttivi. In secondo luogo, il progetto DIGITRONICS muove anche dalla skill shortage di competenze nell’industria 4.0 e meccatronica. Quali obiettivi si prefigge questo studio? Il progetto DIGITRONICS vuole aggiornare il curriculum, per identificare e coprire tutte le opportunità e le sfide che l'industria meccatronica moderna deve affrontare. In secondo luogo, si vuole sensibilizzare e motivare al cambiamento del mindset dei formatori. Le Linee Guida raccolte sotto il titolo “La formazione innovativa modulare online” potranno sostenere i formatori a sentirsi più sicuri nell'uso delle nuove metodologie di insegnamento. Inoltre, si vuole indirizzare la preparazione dei formatori attraverso attività di apprendimento in mobilità, coinvolgendo un numero selezionato di docenti della formazione professionale. Quali sono i caratteri innovativi di questo metodo formativo per i docenti? E per gli studenti? In azienda, si è abituati a lavorare per obiettivi e a definirli con i collaboratori per raggiungere il successo. Le aziende efficaci fissano le metriche, i risultati che intendono raggiungere in linea con i loro business plan e definiscono le azioni che, se implementate efficacemente, porteranno i risultati attesi. Nella formazione, con lo stesso mindset data driven, ci si pone lo stesso risultato in termini di efficacia e trasparenza didattica grazie anche alle rubriche. Cosa sono le rubriche? Si tratta di descrittori specifici e graduati, che chiariscono a docente e discente i livelli soglia e progressivi in maniera uniforme per tutti. Questo strumento pedagogico fa la differenza in contesti accademici e aziendali, e fornisce efficacia e trasparenza per una valutazione formativa continua. Un contratto di apprendimento basato sulle rubriche chiarisce il "perché", il "cosa" e il "come" di un processo di insegnamento e apprendimento aperto e innovativo, raccogliendo feedback in corso di svolgimento. Una rubrica in mano allo studente gli permette di diventare autonomo come discente adulto, che progressivamente fa chiarezza sulle proprie strategie di apprendimento messe in atto per ottenere comportamenti osservabili efficaci in contesti reali di apprendimento continuo e professionalizzanti. Si ricordi, che World Economic Forum ha classificato la capacità di “imparare a imparare” tra le prime e che le rubriche possono essere uno strumento liberatorio per coniugare nuove tecnologie, efficaci modalità pedagogiche e contenuti stimolanti. Inoltre, le rubriche per loro natura catturano più dimensioni contemporaneamente e possono supportare insegnanti e formatori nella gestione della continua trasformazione digitale nella loro pratica didattica. Il formato a matrice e a griglia delle rubriche permette di incorporare livelli sempre più complessi dello sviluppo tecnologico, consentendo ai formatori di concentrarsi sugli studenti per offrire al meglio un'esperienza di apprendimento trasformativa e centrata sull’apprendente. Quali sono le linee guida di questa pedagogia digitale applicata alla meccatronica? Le Linee guida DIGITRONICS sono rivolte in modo specifico agli insegnanti, che devono padroneggiare non solo la loro materia specifica, ma anche le diverse metodologie, approcci didattici e tecnologie disponibili per un'area di apprendimento impegnativa come la meccatronica, anche a beneficio degli studenti. Uno dei principali sforzi compiuti nella stesura di queste Linee Guida è stato quello di promuovere e incoraggiare lo sviluppo di soluzioni innovative, che gli insegnanti di meccatronica di oggi devono essere in grado di identificare e gestire con i loro studenti. Ci può fare un esempio? Ad esempio, la capacità di includere nell'insegnamento delle materie specialistiche anche gli impatti ambientali e sociali durante il ciclo di vita del prodotto. Questo aspetto è stato sottolineato durante i focus group con gli stakeholders del partenariato come una delle abilità emergenti e come una competenza altamente necessaria affinché gli studenti siano formati non solo per aumentare la nostra prosperità materiale, ma anche per migliorare il nostro tessuto sociale e culturale. Come queste linee guida cambieranno e arricchiranno le skill degli studenti? Per studenti e docenti, la sfida resta quella di annullare il gap tra la formazione in aula e quella in contesto lavorativo, anche grazie a piattaforme digitali, soprattutto sul fronte delle hard skill. Per questo i focus group realizzati in Italia li ha coinvolti direttamente per esprimere la loro opinione e condividere la loro esperienza. Si sono coinvolte realtà eccellenti della formazione della meccatronica, tra cui l'ITS Meccatronico del Lazio e l'Università degli Studi di Cassino - Dipartimento di Ingegneria Civile e Meccanica. Grazie al dialogo inclusivo tra tutte le parti interessate, dai tecnici ai professionisti agli accademici e studenti o ex studenti, il processo ha portato all'ideazione e alla stesura di Linee Guida e delle rubriche al loro interno che, una volta convalidate nella pratica continua, saranno utili e significative in uno spazio di apprendimento continuo lavorativo o professionalizzante. La vera sfida ora è coltivare una cultura dell'insegnamento e dell'apprendimento basata sugli obiettivi, e aiutare docenti e studenti ad abbracciare il supporto multidimensionale delle rubriche. Forse saranno avvantaggiati i professionisti che spesso insegnano materie tecniche con una padronanza approfondita di contenuti e tecnologie. Tuttavia, questi dovranno acquisire esperienza nella valutazione dei materiali, nel trasformare gli studenti da principianti in esperti, nel creare attività di apprendimento coinvolgenti e inclusive, nell’esprimere obiettivi di apprendimento significativi e spiegare come ottenere risultati positivi. Qual è il ruolo di Confindustria in questo nuovo quadro formativo? Sistemi Formativi Confindustria è il partner incaricato di sviluppare le Linee guida per l'innovazione dell'insegnamento digitale della meccatronica. In base ad una ampia ricerca documentale sugli approcci pedagogici emergenti realizzata in collaborazione con il professor Leonardo Quattrocchi, e grazie ai contributi raccolti attraverso i focus group realizzati in ciascuno dei 4 paesi coinvolti nel progetto, si è delineato il framework delle competenze emergenti che mettono il formatore della meccatronica in condizioni ideali per saper progettare, individuare e applicare gli strumenti digitali più adeguati per l'insegnamento delle discipline che afferiscono alla Meccatronica. Queste best practice sono in uso anche nei percorsi formativi Luiss Business School? Il modello educativo della Luiss Business School stimola un’esperienza di apprendimento immersiva, animata dal dialogo costante con i suoi corporate partners per abilitare un processo di formazione e di trasformazione di ogni partecipante. Metaverso, Intelligenza Artificiale, Realtà Virtuale e tutte le tecnologie correlate potenziano l'esperienza di apprendimento Boundless offerta ai nostri partecipanti alla Luiss Business School. 06/07/2023

31 Maggio 2023

Transizione Digitale, Guido Talarico: “Un corso per formare i professionisti dell’era digitale”

Intervista a Guido Talarico, fondatore di IQDMedias, che con Federica Brunetta coordinerà l’Executive Programme in Gestione delle Tecnologie Digitali, programma di crescita professionale dedicato all’upskilling e reskilling digitale targato Luiss Business School La transizione digitale è un processo cruciale per le organizzazioni italiane. Internet ad alta velocità, e-commerce, cloud: le imprese stanno familiarizzando con le opportunità digitali. Tuttavia, secondo una ricerca di Unioncamere e InfoCamere del 2020, solo il 42% delle Pmi italiane utilizza attivamente strumenti digitali per le proprie attività. “Una percentuale bassa, che di fatto indica un ritardo di un comparto così vitale per il nostro Paese. Colmare il gap per compiere la transizione digitale è imperativo”, spiega Guido Talarico, co-cordinatore e referente scientifico dell’Executive Programme in Gestione delle Tecnologie Digitali di Luiss Business School. Transizione digitale nelle organizzazioni: a che punto siamo in Italia? Parliamo di una questione centrale per il futuro del nostro paese. La transizione digitale nelle organizzazioni italiane è un processo in corso che sta assumendo sempre maggiore importanza. Negli ultimi anni abbiamo fatto progressi significativi nel promuovere l'innovazione digitale e l'adozione delle tecnologie digitali nelle imprese e nell'amministrazione pubblica, ma i ritardi ci sono ed il percorso è ancora lungo. Questo significa che chi nei prossimi anni si affaccerà sul mercato del lavoro dimostrando di avere una buona conoscenza di queste materie, avrà un futuro professionale assicurato. Ci dà qualche dato di scenario? I numeri aiutano a capire bene lo stato dell’arte. Partiamo dalla connessione ad Internet. Secondo i dati dell'Agenzia per l'Italia Digitale (AgID) del 2020, circa il 93% delle imprese italiane ha accesso a Internet ad alta velocità. Questo è un passo significativo verso la digitalizzazione delle attività aziendali. Anche l'adozione del cloud computing è aumentata negli ultimi anni. Secondo una ricerca di IDC Italia del 2020, il 74% delle imprese italiane ha adottato almeno una soluzione di cloud computing. Discorso analogo per l'e-commerce che è in crescita in Italia, anche se è ancora relativamente meno sviluppato rispetto ad altri paesi europei. Nel 2020, le vendite online hanno rappresentato circa il 7,7% del totale delle vendite al dettaglio, secondo i dati di Netcomm. L'adozione dell'e-commerce è stata influenzata anche dalla pandemia di COVID-19, che ha spinto molte imprese a investire maggiormente nelle vendite online. Le piccole e medie imprese italiane come sono messe? Le Pmi italiane stanno gradualmente adottando tecnologie digitali per migliorare la propria produttività e competitività. Tuttavia, secondo una ricerca di Unioncamere e InfoCamere del 2020, solo il 42% delle PMI italiane utilizza attivamente strumenti digitali per le proprie attività. Una percentuale bassa che di fatto indica un ritardo di un comparto così vitale per il nostro paese. La digitalizzazione del settore pubblico invece come procede? Anche il settore pubblico italiano sta affrontando la transizione digitale con impegno, conscio del fatto che è un cambiamento fondamentale. L'AgID sta promuovendo l'adozione di servizi digitali da parte delle amministrazioni pubbliche per semplificare le procedure burocratiche e migliorare l'efficienza. Ad esempio, nel 2020 è stato introdotto il "Codice dell'Amministrazione Digitale" (CAD), che stabilisce le regole per l'uso dei servizi digitali da parte delle pubbliche amministrazioni. Ancora una volta: fatti passi avanti, ma occorre accelerare. Quali sono le skill che mancano per completare il processo di transizione digitale? In Italia, alcuni settori manifestano carenza di diverse competenze digitali. Ciò succede anche tra i lavoratori. Cominciamo, dunque, partendo dalla base. Molti italiani, in particolare tra le fasce di età più anziane, e le persone con un livello di istruzione più basso, non raggiungono una sufficiente alfabetizzazione digitale. Ciò include competenze come l'utilizzo di computer, la navigazione su Internet, la gestione degli account online e l'utilizzo delle applicazioni di base. Mancano anche competenze tecniche avanzate nel campo delle tecnologie emergenti, come l'intelligenza artificiale, l'Internet delle cose (IoT), la blockchain e la cybersecurity. Queste competenze richiedono una formazione specializzata e sono richieste in settori specifici come l'informatica, l'ingegneria e la scienza dei dati.  Quali competenze digitali mancano alle imprese e nel settore pubblico? Tra i privati queste competenze includono la gestione di presenza online, l'e-commerce, il marketing digitale, l'analisi dei dati, la comunicazione e la sicurezza informatica.  Nel settore pubblico, possono mancare competenze specifiche per la digitalizzazione delle amministrazioni pubbliche, come la progettazione e l'implementazione di servizi digitali, la gestione dei dati, la cybersecurity e la privacy. Poi c’è il tema delle competenze trasversali. Cioè? Al di là delle competenze tecniche specifiche, sono richieste competenze trasversali come la capacità di problem solving, il pensiero critico, la creatività, la collaborazione e la comunicazione digitale. Queste skill sono essenziali per adattarsi ai rapidi cambiamenti tecnologici e sfruttare appieno le opportunità digitali. Parliamo di Big Data: quali sono le skill necessarie per trasformarli in un'occasione di business? Sono necessarie diverse competenze. Prendiamo, ad esempio, l’analisi dei dati. La capacità di estrarre informazioni significative è fondamentale. Ciò include competenze nell'analisi statistica, nell'utilizzo di strumenti e tecniche di data mining e nell'applicazione di algoritmi di apprendimento automatico (machine learning) per rivelare modelli, tendenze e insight nascosti nei dati. C’è poi il tema della programmazione e della gestione dei dati: conoscenze di linguaggi di programmazione come Python o R, e competenze nel lavorare con database e strumenti di gestione dei dati, consentono di manipolare, pulire, trasformare e organizzare i dati in modo efficace. Infine, altre due questioni centrali. Occorre avere poi la capacità di analizzare in modo critico i problemi aziendali, formulare domande pertinenti, sviluppare strategie di analisi dei dati e proporre soluzioni basate sui risultati dell'analisi. Poi c’è il tema della comunicazione e della visualizzazione dei dati. Essere in grado di comunicare in modo chiaro e persuasivo i risultati dell'analisi dei dati è fondamentale per influenzare le decisioni aziendali. Quali le prossime frontiere di applicazione? L’Intelligenza artificiale e l’apprendimento automatico sono quelle che forse colpiscono di più per le conseguenze anche etiche che implicano. I Big Data stanno alimentando l'evoluzione dell'intelligenza artificiale (AI) e dell'apprendimento automatico. L'uso di modelli di AI e algoritmi di machine learning sui Big Data consente di ottenere previsioni più accurate, automatizzare i processi decisionali e migliorare l'efficienza operativa. Anche l'Internet delle cose (IoT) e i dispositivi connessi stanno generando enormi quantità di dati. L'analisi dei Big Data provenienti da sensori e dispositivi IoT consente infatti di ottenere insight in tempo reale, migliorare la manutenzione preventiva, ottimizzare la gestione delle risorse e creare nuovi modelli di business. Digitalizzazione per ERS: quali sono le occasioni da cogliere nello scenario attuale? Nel contesto della Sanità e, in particolare, dei Servizi di Emergenza e Soccorso (ERS), la digitalizzazione offre numerose occasioni da cogliere nello scenario attuale. Ad esempio, consente la telemedicina e il tele-triage, strumenti che consentono ai pazienti di essere valutati e assistiti a distanza, riducendo i tempi di attesa nelle strutture sanitarie e ottimizzando le risorse. La telemedicina può essere utilizzata per la gestione di emergenze non gravi o per fornire un primo supporto medico prima dell'arrivo delle squadre di soccorso. C’è il monitoraggio remoto che può aiutare a identificare precocemente eventuali segnali di peggioramento e consentire interventi tempestivi, riducendo il rischio di complicazioni e il bisogno di ricoveri ospedalieri. La digitalizzazione permette anche l'integrazione dei dati provenienti da diverse fonti, come ambulanze, ospedali e centri di emergenza. Questa condivisione di informazioni in tempo reale può migliorare la coordinazione e la gestione dei casi, facilitando il trasferimento delle informazioni pertinenti tra i diversi attori coinvolti nell'assistenza di emergenza. Insomma, la digitalizzazione anche in questo settore può avere un impatto prorompente. Anche per questo è importante sottolineare che l'implementazione di tali soluzioni richiede una pianificazione attenta, considerando aspetti di sicurezza, privacy dei dati e integrazione con i sistemi esistenti, nonché la formazione e l'addestramento del personale coinvolto. Per colmare queste lacune e sfruttare appieno le potenzialità della digitalizzazione, sono necessari investimenti in formazione e educazione digitale sia nel sistema scolastico che nel settore professionale. Le iniziative pubbliche e private possono promuovere la consapevolezza delle competenze digitali necessarie e offrire programmi di formazione specifici per aiutare le persone a sviluppare le competenze richieste? L’Executive Programme in Gestione delle Tecnologie Digitali che abbiamo appena presentato è strutturato per fornire ai partecipanti gli strumenti tecnici e culturali necessari a comprendere meglio la storia e l’evoluzione della rivoluzione digitale, l’impatto della digitalizzazione sulla società – dal mondo delle imprese a quello degli apparati amministrativi pubblici – e soprattutto per assicurare una competenza sui principali strumenti digitali oggi presenti sul mercato. Quali vantaggi possono esserci per le aziende e i professionisti che decidono di investire su questo percorso formativo? È un programma pensato per colmare i vuoti di cui abbiamo parlato. Il nostro Executive servirà ad aiutare professionisti pubblici e privati operanti nei settori più diversi a migliorare le proprie competenze in un settore chiave per il futuro del paese. Forniremo sia strumenti di base per colmare lacune e per dotarsi di quelle competenze necessarie ad affrontare con efficacia le sfide che il mercato del lavoro pone sempre di più in maniera pressante. Chi è Guido Talarico. Guido Talarico è il fondatore della Rome Institute of Technology e presidente della Fondazione Patrimonio Italia, due istituzioni che si sono affiancate alla Luiss Business School proprio con l’obiettivo di sostenere la crescita delle competenze nel nostro paese in settori chiave come Innovation, Big Data & Digital Transformation. Inoltre, è fondatore e CEO di IQDMedias, una media company digitale che, anche grazie all’applicazione di intelligenza artificiale, ha saputo sviluppare nuovi modelli di business che le consentono con efficacia di operare a livello globale. Con Federica Brunetta, è coordinatore e referente scientifico dell’Executive Programme in Gestione delle Tecnologie Digitali Cos’è l’Executive Programme in Gestione delle Tecnologie Digitali di Luiss Business School. Il programma verrà somministrato in modalità ibrida, cioè in remoto ed in presenza. È pensato per coloro i quali vogliono accelerare la propria carriera o anche reinventarsi (ovvero cambiare ruolo, settore o funzione sviluppando le competenze e il network necessario) o riprendere in mano il proprio percorso professionale ottenendo le competenze e gli strumenti utili per ripartire con la propria carriera.   31/05/2023

18 Maggio 2023

Ascolto, fiducia e flessibilità: il modello lavorativo vincente di Amgen Italia

Con il flexible working il team italiano affronta il New Normal in controtendenza rispetto alle altre organizzazioni. Lo racconta un business case targato Luiss Business School In un report di dicembre 2021 l'Ocse aveva profetizzato che «le innovazioni nei metodi professionali con l’adozione massiccia del lavoro a distanza» sarebbero rimaste tali e quali anche negli anni a venire. Ma questa speranza sembra svanita. Le aziende di tutto il mondo stanno richiamando i propri dipendenti e manager in ufficio. Ma c'è qualcuno che va controcorrente, come dimostra il business case “Amgen: quando lo Smart working diventa lavoro agile per una crescita sostenibile. Il ricercato equilibrio tra DNA aziendale, ingaggio dei dipendenti e competitività”. Condotto da Maria Isabella Leone, Direttrice Osservatorio sull’equità di genere nella leadership in Sanità, Luiss Business School, e Ginevra Assia Antonelli, Dottoranda di Ricerca in Gestione dell’Innovazione (aperta) e pratiche organizzative, Luiss Guido Carli, lo studio dimostra come la strada per creare engagement e nuovi modelli di organizzazione passi dal mettere le persone al centro. Ne abbiamo parlato con Livia Alessandro, Direttrice HR, Amgen Italia. In questo New Normal, dopo l'isolamento della pandemia, come possono le aziende mettere le persone al centro? Come lo ha fatto Amgen? Amgen ha iniziato questo percorso ormai da molti anni, valorizzando il capitale umano con politiche che riflettono i nostri valori: completa fiducia e collaborazione. Mettere le persone al centro significa riconoscere che le colleghe e i colleghi sono la risorsa più importante per l'azienda. Di conseguenza, valorizzare le loro capacità, fare in modo che possano esprimere il loro potenziale, tutelando il loro benessere, sono aspetti fondamentali per la buona salute dell'azienda stessa. Alcuni esempi: non timbriamo il famoso cartellino da 10 anni e avevamo già prima della pandemia la possibilità di lavorare in smartworking. Per questo, per quel che ci riguarda, il New Normal ha impattato molto poco dal punto di vista organizzativo. Eravamo già pronti, ma abbiamo dovuto riorganizzare le nostre modalità di interazione, collaborazione e scambio. La pandemia ci ha offerto l'occasione di fare un passo avanti. Su cosa avete lavorato? Prima di tutto, abbiamo lavorato per favorire un’evoluzione dell’ingaggio e su una comunicazione con i colleghi continua e trasparente. Prima della pandemia era possibile, dato il contesto fisico, comunicare in maniera più immediata, quando lo si fa attraverso uno schermo si deve essere quanto più efficaci e chiari possibile. Ciò è rimasto anche dopo la pandemia. Abbiamo favorito un dialogo su attività e politiche aziendali. Un altro punto fondamentale è stato offrire una formazione continua: abbiamo lavorato sulle competenze tecniche, sulle soft skills, con particolare attenzione sul change management. Inutile negare che l'organizzazione del lavoro post-pandemia è cambiata, a partire dalla leadership fino all'interazione con i colleghi. Abbiamo lavorato sulla flessibilità. Le aziende dovrebbero esserlo, noi lo siamo sempre stati. L'ultimo punto fondamentale è stato l'ascolto strategico. “Mettere al centro le proprie persone, ascoltarne i bisogni per individuare insieme le risposte più giuste è uno dei punti di forza di Amgen”. Perché puntare sull’ascolto e quali sono stati i pilastri di questa strategia? L'ascolto strategico va oltre il semplice ascolto attivo. Permette di misurare il clima aziendale e aiuta a prendere le decisioni anche tenendo conto delle indicazioni della popolazione aziendale. Ciò significa costruire sulla fiducia. Nel lungo periodo è fondamentale, soprattutto in un'organizzazione con lavoro ibrido, in cui non richiediamo la presenza costante in ufficio. Abbiamo creato finestre di ascolto e anche grazie alla predisposizione delle persone a interagire, c’è stato un punto di svolta. Le persone devono sapere che quello che ci dicono e come ce lo dicono, fa la differenza. Un esempio su tutti: il continuo adattamento della nostra policy di smart working, fino ad arrivare al modello attuale che noi chiamiamo flexible working. Nella vostra azienda il lavoro agile viene considerato abilitante di una crescita sostenibile, capace di innescare anche l'ingaggio dei dipendenti e competitività. Qual è la formula vincente dietro questo modello? Quando si esplora una nuova era, ci sono tanti punti interrogativi. Siamo partiti da due punti solidi: l’ascolto, come spiegavo prima e la fiducia rispetto all'organizzazione. Quando abbiamo deciso di evolvere il nostro modello lavorativo abbiamo optato per una liberalizzazione completa tenendo anche conto anche delle richieste della popolazione aziendale. In accordo con le rappresentanze sindacali, oggi abbiamo solo due giorni al mese obbligatori di lavoro in ufficio, ma notiamo che le persone di sede tendono a venire in ufficio un paio di volte a settimana.  Abbiamo reso flessibile anche l'orario, 8 ore di lavoro comprese tra le 7 e le 20. Questa fiducia ha responsabilizzato ulteriormente i colleghi e ha garantito il raggiungimento degli obiettivi individuali e di team. Possiamo contare su una maturità dell'organizzazione. In che modo? Tra i valori di Amgen c'è quello di “collaborare, comunicare ed essere responsabili”. Il nostro approccio, legato alla matrice americana si riflette sulla responsabilizzazione di ciascuno, tutte le persone sono “imprenditori” del proprio ruolo, sanno che devono programmare obiettivi di medio, breve e lungo periodo. La combinazione tra la matrice americana e l'approccio locale volto alla fiducia ha fatto sì che la formula diventasse vincente. Secondo un report di Manpower, la maggior parte dei lavoratori (51%) e la metà dei datori di lavoro (50%) sostengono che le idee più creative nascono durante le sessioni di brainstorming dal vivo. Qual è il suo pensiero? L’ingaggio delle persone in un contesto di lavoro ibrido è stata una tematica complessa da gestire e sulla quale lavoriamo di più sul lungo periodo. Eseguiamo due sondaggi l'anno, per misurare il clima aziendale e individuare le motivazioni che spingono le persone a lavorare in modalità ibrida. Questo ci permette di adeguare le policy. Durante la nostra ultima indagine, eseguita a luglio 2022, il 90% degli intervistati si è detto soddisfatto delle nostre politiche di flexible working. D'altra parte, il 70% delle persone afferma che il lavoro in presenza alimenti il networking e la collaborazione. Da qui abbiamo sviluppato un approccio per il quale prediligiamo il lavoro in presenza per attività che necessitino di uno scambio maggiore tra i team, come per esempio riunioni dove dobbiamo condividere decisioni importanti e il brainstorming. Con il mio team, ogni sei settimane abbiamo un deep dive meeting in presenza per confrontarci e approfondire degli argomenti specifici.  “Il mercato italiano è tra i più strategici per il gruppo”. Come Amgen Italia punta a fare la differenza nel settore farmaceutico nazionale? Amgen è leader nel settore delle biotecnologie farmaceutiche e grazie a una profonda conoscenza della biologia, unita alle tecnologie più innovative, è in grado di rendere disponibili ai pazienti soluzioni inedite per il trattamento delle patologie più gravi. In Italia siamo presenti, con circa trecento collaboratori e un mercato che per dimensioni è il sesto del gruppo a livello globale: siamo una realtà saldamente inserita nel tessuto economico, scientifico e sociale del paese.  Puntiamo a “fare la differenza” mettendo a disposizione competenze scientifiche e soluzioni terapeutiche innovative in onco-ematologia, nel cardiovascolare nelle malattie infiammatorie e nell’osteoporosi: tutte aree nelle quali Amgen dispone di una pipeline R&S ampia e innovativa. L’Italia, pienamente partecipe di questi sviluppi, gioca un ruolo significativo e qualificato nelle attività di ricerca clinica: nel 2022, 42 studi clinici, 282 centri di ricerca coinvolti con 100 nuovi studi, 785 pazienti arruolati. Inoltre, con i biosimilari contribuiamo ad affrontare i grandi problemi della salute e dell’accesso alle terapie innovative, offrendo farmaci biotecnologici ai pazienti in modo sostenibile per il sistema sanitario e consentendo di liberare risorse da destinare alla ricerca. Forti di un’esperienza pluriennale a contatto con pazienti, medici, istituzioni, in Italia siamo partner di questi interlocutori nella ricerca di risposte alla domanda di salute che viene dai cittadini. Al centro delle nostre attività, ci sono le persone: pazienti, professionisti della salute e naturalmente i collaboratori dell’azienda. Tra questi ultimi, un impegno speciale è dedicato ad attrarre e trattenere i giovani talenti, ma questa attenzione ai giovani va anche oltre i confini dell’azienda. Come investite su questo segmento? In primo luogo, investiamo per attrarre nuove generazioni all'interno dell'azienda. Il 28% delle persone di Amgen è under 40. Inoltre, attraverso la Fondazione Amgen realizziamo, anche in Italia, programmi con l’obiettivo di ispirare gli innovatori di domani e indirizzati allo sviluppo e diffusione della cultura scientifica per studenti e insegnanti delle scuole superiori e degli studenti universitari. Tra questi programmi, Amgen Scholars apre le porte dei più prestigiosi laboratori di ricerca internazionali agli studenti universitari più meritevoli e offre la possibilità di lavorare a progetti di ricerca reali. Dal 2009 sono stati coinvolti oltre 40 giovani talenti italiani. Interessanti sono anche Amgen Biotech Experience per gli studenti delle scuole superiori che hanno l’opportunità di vivere l’emozione della scoperta scientifica grazie a formazione e attrezzature avanzate per la ricerca nei laboratori. Questo progetto, in Italia ha coinvolto oltre 8300 studenti e più di 250 insegnanti di oltre 125 scuole. Infine, di altrettanto successo è LabXchange, una delle più innovative piattaforme di e-learning progettata insieme all’Università di Harvard, volta a migliorare l’educazione scientifica su scala globale che ha coinvolto oltre 50.000 studenti italiani. Come l’approccio al lavoro di Amgen favorisce il women empowement nel settore farmaceutico, alla luce della partnership per l’Osservatorio sull’equità di genere nella leadership in sanità? Sul fronte del genere se nel settore pubblico ci sono ancora diversi passi da fare, lo scenario è molto più bilanciato nel privato.  Amgen ha una forte cultura inclusiva e attiva sul fronte della “Diversità Inclusione e Appartenenza”: al centro ci sono le persone indipendentemente da età, genere, provenienza geografica, orientamento sessuale, religione. Riconosciamo e diamo valore ai team diversificati. Sul fronte del genere negli ultimi 10 anni abbiamo costruito un percorso solido, in cui possiamo dire che siamo arrivati a una parità: abbiamo una popolazione femminile pari al 54% del totale. Di cui il 51,8% occupa posizioni manageriali. I dati sono chiari per questo non parliamo di diversità, ma di equità di genere.Questo è stato possibile anche grazie a politiche aziendali inclusive e che mirano a mettere tutti nelle stesse condizioni per portare risultati. La soluzione è appunto nella capacità dell'azienda di mettere in atto politiche efficaci per valorizzare i propri collaboratori e tese al costante miglioramento della qualità dell’ambiente di lavoro, innescando un circolo virtuoso. 18/05/2023

17 Maggio 2023

Maria Isabella Leone: «Flessibilità senza isolamento, garantendo inclusione e ingaggio: le frontiere della “great re-imagination” del lavoro»

La Professoressa Associata e Direttrice dell'Osservatorio sull’equità di genere nella leadership in Sanità di Luiss Business School, racconta il caso di studio condotto su Amgen Italia e le nuove frontiere della crescita organizzativa sostenibile Nel New Normal post pandemico le aziende sono davanti a un bivio importante. Ripristinare lo status quo con il ritorno dei propri dipendenti nei vecchi uffici o re-immaginare luoghi e pratiche di lavoro. Il case study “Amgen: quando lo Smart working diventa lavoro agile per una crescita sostenibile. Il ricercato equilibrio tra DNA aziendale, ingaggio dei dipendenti e competitività” mostra che l’ascolto attivo delle persone, lavoro flessibile e fiducia sono le leve abilitanti di una crescita sostenibile. Il lavoro di ricerca condotto dalla prof.ssa Maria Isabella Leone, Direttrice dell'Osservatorio sull’equità di genere nella leadership in Sanità Luiss Business School, e Ginevra Assia Antonelli, Dottoranda di Ricerca in Gestione dell’Innovazione (aperta) e pratiche organizzative Luiss Guido Carli, racconta e analizza l’evoluzione delle scelte organizzative di un’azienda, alla ricerca di nuovi modelli di lavoro in grado di attrarre e trattenere il talento. Maria Isabella Leone, quali sono gli spunti più interessanti in tema di lavoro agile nel caso di studio Amgen da lei condotto? Il caso studio Amgen, condotto all'interno dell'Osservatorio sull’equità di genere della leadership in sanità, ha la caratteristica di raccontare il percorso che l'organizzazione ha affrontato durante il cosiddetto New Normal per mettere a punto una nuova gestione delle risorse umane. Ha, dunque, il grande pregio di raccontare un tema visibile a tutti, ma di farlo in maniera granulare, analizzando le diverse fasi decisionali e le sfide legate ad esse. Siamo partiti dalla situazione pre-pandemia, dove furono prese scelte prodromiche, che avrebbero indirizzato il futuro dell’azienda, attivate in una situazione ancora non definita. Siamo passati poi ad analizzare la risposta reattiva alla situazione pandemica, che ha accomunato tantissime aziende. Fino a giungere, poi, ad una riflessione più accurata sulle implicazioni di tale scelte sul futuro dell'organizzazione. In definitiva, il caso studio analizza le scelte da compiere e come compierle, enfatizzando l'ascolto delle persone che resta centrale nelle decisioni da prendere. Inoltre, il testo permette di ragionare sui vari passaggi, sulle leve utilizzate e di inquadrare questa nuova modalità di lavoro come un fattore abilitante di una crescita sostenibile. Che cosa può testimoniare l’esperienza Amgen in termini di women empowerment, alla luce della partnership per l’Osservatorio sull’equità di genere nella leadership in sanità? L'Osservatorio rappresenta un luogo virtuale e fisico di dibattito e di confronto sui temi legati alla equa rappresentatività dei generi nelle posizioni apicali e, più in generale, alla diversità e inclusività nel settore sanitario. Ciò che emerge dal rapporto annuale e in particolare dall’indice “Gender Leadership Index in Health”, che unisce evidenze del settore pubblico e privato, è che le aziende farmaceutiche rappresentano esempi virtuosi di equa rappresentatività nelle posizioni apicali. In quest’ottica, il caso della azienda farmaceutica Amgen ci permette di dare maggiore sostanza al numero sintetico dell’indice. Nel caso specifico, ci permette di analizzare come gli strumenti di progettazione organizzativa, quali il contratto di Lavoro agile, possano fungere da volano per una forza lavoro bilanciata e inclusiva. I numeri di Amgen sono chiari in termini di presenza femminile e ci raccontano come vengono messe in pratica operazioni organizzative di inclusione come il lavoro flessibile (flex working) che sicuramente agevola il women empowerment, inteso come possibilità per le donne di poter portare avanti i propri talenti, trovando un buon work-life balance, senza dover rinunciare a nessuna opportunità di sviluppo personale e professionale. Che peso può avere il purpose aziendale su talent attraction e retention con o senza lavoro agile? Come Luiss Business School siamo molto attenti alla parte di formazione e accompagnamento dei partecipanti dei nostri corsi, e ad anticipare le dinamiche del mercato del lavoro. Subito dopo il primo lockdown si parlava di Great resignation. Oggi si parla di Great Re-imagination, che ci porta a re-immaginare proprio il significato del lavoro. Abbiamo colto le difficoltà portate dal Covid e le abbiamo trasformate in opportunità di maggiore autonomia e flessibilità. Allo stesso tempo, stiamo ripensando a come non trasformarle in situazioni di isolamento individuale diffuso. Di conseguenza, i talenti decidono di candidarsi in posizioni lavorative caratterizzate da un purpose aziendale che rifletta queste nuove dinamiche e assicuri nuovi requisiti essenziali.   Quali sono? Secondo i dati del McKinsey Great Attrition and Great Attraction 2.0. Global Survey (2022), si chiede un luogo di lavoro inclusivo, flessibile, dove si possa apprendere e crescere, fare carriera, un lavoro che sia di significato (meaningful), cioè che abbia valore, che permetta di bilanciare, o meglio, integrare, lavoro e famiglia. Trovare il modo di attirare i talenti e mantenerli in maniera stabile all'interno dell'organizzazione richiede una re-immaginazione delle modalità di lavoro da parte delle aziende. Il caso Amgen ci permette di ragionare in modo ampio sullo scenario attuale e su quanto sia importante per le aziende prendere le giuste decisioni per attirare giovani talenti. Il che non significa fare solo employer branding, ma mettere in campo leve di attrazione durevoli e concrete per una crescita organizzativa sostenibile. Sembra che fare sviluppo e innovazione non si può a distanza. Secondo un report di Manpower, la maggior parte dei lavoratori (51%) e la metà dei datori di lavoro (50%) sostengono che le idee più creative nascono durante le sessioni di brainstorming dal vivo. Da esperta di Open Innovation qual è il suo pensiero? Come anticipato, abbiamo vissuto diversi stadi. Lo smart working è stata una reazione al Covid, ma in alcuni casi ha prodotto troppo isolamento. Con il rientro dello stato d’emergenza, le aziende hanno immaginato giornate in presenza per portare i dipendenti di nuovo in ufficio. Tuttavia, si sono resi conto che riportarli indietro, nelle vecchie stanze, non agevolava la creatività, e anzi, veniva vissuto come ulteriore costrizione, e in cui non veniva garantita necessariamente la possibilità di collaborare o semplicemente la socialità tra colleghi. Ora siamo in una terza fase, molto più interessante. Quale? C'è un allineamento tra canoni di collaborazione diffusa e i canoni di progettazione organizzativa diffusa. Le aziende hanno iniziato a progettare gli spazi in maniera differente, coerenti con la re-immaginazione del lavoro. Non solo mirano a garantire la flessibilità individuale, ma si propongono a fare leva sulla responsabilità, contemplano la valutazione per obiettivi, assicurando socialità, collaborazione e creatività. Uno dei casi più interessanti a riguarda il progetto hub quarter promosso da Efm che coinvolge tante Corporate italiane. Di cosa si tratta? È un nuovo modello organizzativo, basato sulla transizione da headquarter a hub quarter o hub&spoke, in cui c'è un punto centrale (hub) e tanti luoghi (spoke) sparsi territorialmente. Si tratta di spazi configurati in maniera diversa tra di loro, anche a seconda degli immobili, delle persone coinvolte e degli obiettivi che si vuole raggiungere. Si decuplica la possibilità di poter riconfigurare degli spazi coerenti con il nuovo modello abilitante della creatività. Si assicura la flessibilità individuale garantendo allo stesso tempo l’opportunità diffusa, anche territorialmente, di creare insieme e collaborare. Questo permette l'accesso a un bacino talenti infinito, perché in questo modello non ci sono barriere geografiche. Allo stesso tempo, si può essere più coerenti con nuovi dettami e concetti di progettazione organizzativa, che garantiscono flessibilità ma non isolamento. Tutto ciò è possibile se le persone sono pronte a farlo. Con molte aziende si ragiona su come cambiare la cultura organizzativa, attraverso un’efficace formazione delle persone coinvolte e l’uso abilitante di sistemi tecnologici, piattaforme e che permettono di gestire questi spazi, allocare le risorse, favorire un calendario ad hoc sulle attività da condurre. 17/05/2023

21 Aprile 2023

Chi è il Chief Experience Officer (CXO) e come può aggiungere valore all'azienda

Lo racconta Pier Paolo Bucalo, coordinatore scientifico dell'Executive Programme in Customer & Employee Experience Management targato Luiss Business School In questi mesi si parla molto di “great resignation” e di "quiet quitting”, ossia di dipendenti che lasciano spontaneamente le aziende o che di fatto perdono interesse per il proprio lavoro, riducendo il proprio impegno al minimo necessario. Secondo un’indagine Gallup del 2022, “State of the Global Workplace”, i dipendenti italiani sono i lavoratori più tristi d'Europa. Su 38 paesi analizzati, l'Italia è ultima con solamente il 4% di dipendenti soddisfatti del proprio posto di lavoro. Al tempo stesso, secondo uno studio effettuato da GlobalNR, anche i livelli di soddisfazione dei Clienti italiani sono i più bassi d’Europa. «Senza una forza lavoro ingaggiata e motivata, è molto difficile tradurre esperienze individuali in Customer Journey soddisfacenti» spiega Pier Paolo Bucalo, Adjunct Professor, Luiss Business School e coordinatore scientifico dell'Executive Programme in Customer & Employee Experience Management. A contribuire a risolvere tali criticità sono chiamati i Chief Experience Officer (CXO), figure al centro della prima edizione del programma. Obiettivo: creare una Human Experience che porti valore alle aziende. Professor Bucalo, dopo quattro edizioni dell’Executive Programme in Customer Experience Management debutta un nuovo programma che include anche la Employee Experience. Perché? Perché molti executive hanno nel tempo lamentato una poca sensibilità sul tema “experience” da parte delle proprie funzioni Risorse Umane. Ed un programma che abbia l’obiettivo di realizzare esperienze di valore per i Clienti non può ignorare il ruolo fondamentale che i dipendenti giocano nel merito. Chi è il Customer & Employee Experience Manager? Troppo spesso in azienda la misurazione della Customer Satisfaction è una responsabilità della Direzione Sales & Marketing, mentre la Employee Satisfaction viene gestita dalla Direzione People/HR. I limiti principali di tale approccio sono molteplici. In primo luogo, controllante e controllore coincidono, con rischio di bias sui risultati delle analisi. Poi, i dati che emergono non sempre vengono condivisi con l’intera organizzazione. Infine, si rischia di perdere le sinergie tra gestione dell’esperienza del cliente e del dipendente. Per ovviare a questa situazione nasce il ruolo del Chief Experience Officer (CXO), ruolo già presente in numerose aziende internazionali ma ancora assente in Italia. È appunto la figura che formiamo nel nostro percorso Executive. Si tratta del punto di sintesi tra Employee Experience Manager e Customer Experience Manager. Di cosa si occupa il Chief Experience Officer? Il CXO ha innanzitutto il compito di misurare i livelli di salute e di soddisfazione di Clienti e dipendenti. Risultati che deve poi condividere con l'intera organizzazione. Facilita e aumenta la conoscenza e la comprensione dei clienti tra i dipendenti, e fa lo stesso affinché i manager comprendano meglio i dipendenti e le loro esigenze. Supporta le direzioni HR e Marketing nel disegno e nell'implementazione di esperienze destinate a dipendenti e clienti. Inoltre, evidenzia e sviluppa sinergie tra Customer Experience ed Employee Experience. Infine, misura l'impatto della Customer Experience sui dipendenti e quello della Employee Experience sui Clienti, nonché l'impatto di entrambe sui KPI aziendali. Quali sono le sue competenze? Il CXO deve avere un mix di competenze “hard” (capacità di analisi in primis) e competenze “soft” (psicologia e empatia sono indispensabili). Queste ultime sono cruciali. Infatti, se si tratta di studiare e comprendere l’uomo “lavoratore dipendente”, le competenze sono (o dovrebbero essere) all’interno della funzione Risorse Umane (HR), che – in estrema sintesi – si sforza di comprendere cosa motivi e renda soddisfatto l’essere umano quando lavora, e ne consenta lo sviluppo professionale. In questo contesto vengono utilizzate parole come empowerment, fulfillment, purpose. Se invece si tratta di comprendere l’uomo “consumatore”, le competenze ricadono nella funzione Marketing (almeno quelle “teoriche”), che cerca di analizzare cosa motivi ed influenzi l’essere umano nel processo di analisi, scelta ed acquisto di un prodotto o un servizio. Se poi ci domandiamo chi, in azienda, conosca davvero, “in pratica”, il comportamento dell’essere umano “consumatore”, allora è probabile che si tratti della funzione Commerciale, la “front line” e gli agenti commerciali. Ma credo sia opportuno ricordare che l’essere umano è sempre lo stesso, ed è attratto da esperienze gratificanti, siano esse legate al posto di lavoro o quando si tratta di fare acquisti. Il CXO può rappresentare l’anello mancante per consentire alle aziende di condividere al proprio interno tutto il know-how e le competenze in materia psicologica, sociologica e comportamentale. Vi sono, infatti, profonde sinergie tra le competenze di cui un’azienda ha bisogno per diventare “best employer of choice” e le competenze necessarie affinché la stessa azienda sia in grado di offrire ai propri clienti una “superior customer experience”. Customer experience, vecchie pratiche e nuovi trend: quali sono i principali cambiamenti legati a questo tema? La multicanalità è realtà da molti anni, ma le aziende continuano a considerare i diversi mezzi come alternativi e non sinergici, gestendoli in modo separato. Sempre più spesso le esperienze dei clienti oscillano tra canali digitali e fisici, il cosiddetto “ROPO effect” (Research Offline, Purchase Online e viceversa). I clienti cercano sia online per poi comprare offline, sia viceversa. Per questo, qualsiasi canale venga scelto, l'utente deve poter vivere la stessa esperienza. Inoltre, l'azienda deve sapere ciò che il cliente ha fatto sugli altri canali. In più, non bisogna dimenticare di aggiungere empatia a qualsiasi canale. Il dipendente non empatico può fare danni su tutti i “touchpoint”: sia nel punto vendita fisico che al telefono o su via email o web-chat. Un secondo trend da tenere in considerazione è quello legato all'innovazione. In che modo l’innovazione incide sulla Customer & Employee Experience? L'innovazione sta avendo ed avrà sempre di più un impatto enorme sulla rapidità e sulla qualità della raccolta dei dati. Prima i dati venivano raccolti attraverso focus group, i cui risultati venivano analizzati nel tempo per poi produrre risultati con mesi di ritardo. Oggi la tecnologia ci aiuta ad avere molte più informazioni in tempi molto più rapidi, sempre nel rispetto della privacy, non solamente sui canali online, ma anche sui canali fisici. Pensiamo ad esempio al riconoscimento facciale, che consente di avere in tempo reale un quadro sintetico delle emozioni dei clienti raccolte nei punti vendita. Credo sia davvero importante per un’azienda poter sapere se il proprio cliente è uscito dal punto vendita più o meno felice di quando vi è entrato. Employee Experience e Customer Experience: in che modo si influenzano a vicenda? Se l'azienda riesce ad aumentare il livello di soddisfazione e di coinvolgimento dei propri dipendenti, i risultati si vedranno su tutte le variabili critiche. I dipendenti soddisfatti hanno maggiore produttività, maggiore motivazione, minore assenteismo, ed offrono un migliore servizio quando interagiscono con i clienti, che avranno così un migliore Customer Journey. Quali sono le leve per ottenere dipendenti più soddisfatti? Come dimostrato dai prof. Teresa Amabile and Steven Kramer di Harvard Business School, la grande maggioranza dei manager non è in grado di comprendere ciò che davvero motiva i dipendenti. Secondo i manager il salario è la principale leva di motivazione dei dipendenti, mentre, sulla base di ricerche lunghe e ripetute nel tempo, le leve di motivazione sono più emotive che economiche. Il salario deve essere sufficiente a non rappresentare un problema. Sono però le emozioni positive a incrementare la motivazione: il desiderio di autonomia crescente, le opportunità di crescita, la voglia di contribuire e ricevere il riconoscimento per un lavoro ben fatto, la possibilità di trovare il purpose aziendale in tutto ciò che si fa. Quali sono i trend più recenti di cui i manager devono tenere conto nel ridisegnare una Customer Experience in maniera innovativa? Come ci ricorda Simon Sinek, People don't buy what you do, they buy why you do it. I clienti non comprano ciò che un'azienda offre, ma sposano la ragione per la quale un'azienda fa ciò che fa. Secondo una ricerca Accenture, oltre a prezzo, qualità dei prodotti e dei servizi e customer experience, ciò che conta per i clienti sono trasparenza, attenzione nei confronti dei dipendenti, presenza di valori etici e la dimostrazione di autenticità e coerenza in tutto ciò che l'azienda fa. Secondo Larry Fink, CEO di BlackRock, purpose is the engine of long-term profitability (il purpose è il motore per una profittabilità di lungo periodo). Inoltre, c'è un cambiamento tra gli obiettivi dell'azienda: non si deve più generare valore per i soli azionisti, ma per tutti gli stakeholder. Quindi per i clienti, per i dipendenti, per i fornitori, con cui bisogna rapportarsi in modo equo ed etico, per le comunità nelle quali le aziende devono generare valore. Infine, consumatori e dipendenti sono sempre più sensibili alle tematiche ESG (Environmental, Social e corporate Governance). Per le nuove generazioni, l'obiettivo principale di un'azienda deve essere quello di migliorare la società. Quali sono le soft skill che possono fare la differenza? Come verranno allenate in aula? Principalmente l'empatia e la capacità di ascolto. All’interno del programma, gli studenti avranno l’opportunità di vestire i panni del mistery shopper, per giudicare la competenza tecnica, l'abilità, ma anche le soft skill degli addetti alla clientela nei diversi punti vendita. Quali sono i fattori necessari per una trasformazione aziendale in un’ottica customer-centric? Per realizzare una trasformazione customer centric c'è bisogno in primis del commitment del top management, a volte poco attento al “fattore umano”. Ci devono essere poi una comprensione e consapevolezza condivisa e diffusa dell'impatto della visione customer centric sull'organizzazione. Bisogna conoscere i propri clienti e i propri dipendenti, trasformando i dati che li riguardano in metriche e insight. Ci deve essere abilità nell'utilizzo di nuove tecnologie e si deve scegliere il corretto modello organizzativo, che consenta la responsabilizzazione dei dipendenti. Ultimo, ma non meno importante, bisogna ragionare sull'orizzonte temporale dei propri obiettivi. In che modo? Un dipendente soddisfatto resterebbe nella stessa azienda per 20 anni. Anche un cliente soddisfatto non sente alcuna necessità di cambiare azienda. Purtroppo, a volte è proprio il top management ad avere obiettivi ed incentivi di breve periodo, il che può impoverire l'organizzazione. Per questo, quando parliamo di sostenibilità, non pensiamo solamente all’ambiente. Pensiamo piuttosto alla sostenibilità economica. I risultati di un’azienda sono sostenibili nel tempo solo se tali risultati sono generati da dipendenti soddisfatti e da clienti altrettanto soddisfatti. Compito del CXO è tenere sotto controllo queste due variabili chiave, soddisfazione di clienti e dipendenti, le uniche che possono garantire all’azienda una lunga vita in salute. SCOPRI IL PROGRAMMA 21/04/2023

27 Gennaio 2023

Ingovernabili? Forse no: strategie per disciplinare gli ecosistemi digitali

Presentato alla Luiss Business School il libro “Ingovernabili – Grandi piattaforme, nuovi monopoli e la lotta per la concorrenza” di Andrea Minuto Rizzo e Roberto Sommella, edito da Luiss University Press Quando si guarda agli attori economici che compongono veri e propri ecosistemi digitali, si pensa anche alla difficile sfida che essi rappresentano per la tutela della concorrenza, il benessere dei consumatori, la democrazia economica. Società come Google, Meta, Amazon ed Apple appaiono ingovernabili, impossibili da imbrigliare in un quadro normativo necessariamente internazionale. Questo il punto di partenza centrale del volume Ingovernabili – Grandi piattaforme, nuovi monopoli e la lotta per la concorrenza di Andrea Minuto Rizzo e Roberto Sommella (Luiss University Press). Ingovernabili – Grandi piattaforme, nuovi monopoli e la lotta per la concorrenza: i temi Ingovernabili ripercorre la storia della nascita delle piattaforme e degli ecosistemi digitali, cercando di delineare delle soluzioni alla difficile sfida della tutela della concorrenza, come presidio non solo del benessere dei consumatori, ma anche della democrazia economica. A fronte della capitalizzazione prodotta dalle Big Tech – circa 14 trilioni di dollari – si osserva una sempre più profonda disuguaglianza economica, che si traduce in un crescente divario sociale. Le autorità hanno a che fare non più con imprese operanti in mercati che a certe condizioni riescono ad auto-correggersi, ma con veri e propri ecosistemi digitali, fortezze in grado di tenere a distanza i propri concorrenti e di operare per molti aspetti con la forza di realtà statali. Da questo nasce l’esigenza di introdurre nuove forme di regolamentazione ex ante complementari agli interventi antitrust, che obblighino i colossi tecnologici ad abbassare le barriere, favorendo l’arrivo dei concorrenti; l’applicazione più aggressiva delle norme sul controllo delle concentrazioni; la cooperazione tra le autorità di concorrenza e i regolatori settoriali (per esempio nel campo della protezione dei dati personali); e una maggiore collaborazione a livello internazionale. Alla ricerca di un punto di equilibrio «Solo le società che si sviluppano riescono ad essere solidali perché ci vogliono le risorse per essere solidali. E solo le società solidali riescono a svilupparsi. In una società in cui la materia prima è il cervello, non c'è nessuna società che si sviluppa se non include, se non coinvolge e non valorizza. Ingovernabili dimostra la perenne transizione di questi rapporti – ha spiegato Luigi Abete, Presidente, Luiss Business School, in apertura dell'incontro. – Il libro dimostra come ci si trovi in uno stato di evoluzione della tecnologia, della rete, dell'organizzazione dei fattori produttivi e distributivi, con aziende che, di fatto, sono ingovernabili. Dall'altra parte, ci sono dei soggetti, le autorità antitrust, che cercano di regolarle in base ad approcci diversi: quelli di estrazione americana, più attenti alla qualità del consumatore; quelli di estrazione europea, più intrusiva. Manca un punto di equilibrio. Il libro documenta il problema nella sua evoluzione, sostenendo che è necessario avere la capacità di affrontarlo con cognizione della complessità e con la capacità di adeguare le norme, oltre che di applicarle in modo coerente. In fondo, questo è l'equilibrio che si richiede alle istituzioni che, se troppo statiche, restano fuori dalla Storia e , se troppo dinamiche, non sono più istituzioni, perché non razionalizzano i comportamenti della società». Governare con un approccio trasversale «Secondo noi i big tech sono ancora ingovernabili – ha sottolineato Andrea Minuto Rizzo, Responsabile Affari Istituzionali dell’Unione Europea e Internazionali, Ferrovie dello Stato Italiane, e autore del volume. – Secondo noi questa condizione rimane perché non esiste un modello regolatorio univoco, ma esistono risposte prese nel contesto e in uno specifico tempo politico. Bisogna trovare un trade off adeguato tra una normativa efficace e implementabile rapidamente. Ma si deve anche tenere conto delle spinte innovative che gli operatori portano sul mercato. È necessario che ci sia un approccio trasversale tra le giurisdizioni: bisogna parlarsi e trovare una convergenza, partendo da posizioni molto distanti e con tempi lunghi per mettere tutti d'accordo. In più ci vuole una flessibilità d'approccio». D'altro canto, come sostiene Gabriella Muscolo, Partner, Franzosi Dal Negro Setti with Muscolo; già componente AGCM, «l'Europa si sta ponendo come una fabbrica di regole digitali. Per questo, di fronte a mercati dematerializzati, ci si aspetta che i Gafa (Google, Amazon, Facebook, Apple) scelgano gli Stati Uniti». I modelli di business dei Gafa Le multinazionali della Silicon Valley capitalizzano circa 14 trilioni di dollari, dando occupazione a 1,6 milioni di persone, mentre le «Big three» dell’auto di Detroit nel 1990 davano lavoro a 1,2 milioni di persone, ma valevano 37 miliardi. Ciò accade anche perché i business model dei Gafa non si reggono sulla singola impresa, ma sull'interazione tra diversi attori. Ma, invece di alimentare una concorrenza aperta, queste aziende la blindano. «Ciò richiede un adattamento dei modelli di analisi della concorrenza – ha dichiarato Raffaele Oriani, Dean, Luiss Business School - Oggi i Gafa competono su diversi mercati allo stesso tempo, quindi la violazione di determinati fenomeni sani della concorrenza dovrebbe riguardare in modo più ampio l'ecosistema». Inoltre, pensando alla forza lavoro degli ecosistemi digitali, il Dean di Luiss Business School ha rimarcato che «la digital transformation sta distruggendo alcuni lavori e non possiamo pensare di arrestare questo fenomeno. C'è bisogno di un reskill delle competenze. Per questo, cerchiamo di insegnare ai nostri allievi come relazionarsi a un mercato del lavoro in perpetua evoluzione». Tuttavia, come sottolinea Guido Scorza, componente, Garante per la protezione dei dati personali, i veri lavoratori delle Big Tech sono molti di più della cifra dichiarata nel libro. «Sono circa 3 o 4 miliardi di persone perché i servizi e il valore delle big tech sono prodotti dagli utenti, i cosiddetti schiavi del clic: cioè da noi. Oggi siamo davanti a un bivio significativo in cui potrebbe cambiare tutto, è offerta dalla disciplina sulla privacy europea in cui il re è nudo: sono le Big Tech che hanno bisogno dei dati degli utenti per sostenere il loro modello di business.» Rimettere al centro l'umano Una delle soluzioni allo scenario delineato da Ingovernabili sta nel rimettere al centro il fattore umano. «L'uomo deve tornare al centro del dibattito, con le giuste provocazioni, come quella rappresentata dal libro – ha concluso Roberto Sommella, Direttore, MF-Milano Finanza, e autore del volume. - Ci sono elementi ingovernabili nella nostra vita, ma che bisogna comunque provare a governare. Davanti a una guerra o a una pandemia, l'elemento umano diventa cruciale. Per questo non dobbiamo avere paura dell'intelligenza artificiale. Dobbiamo avere paura dell'ignoranza artificiale, alimentato dall'uso smodato dei social, dall'uso del pensiero degli altri, dall'odio diffuso volgarmente in rete». La presentazione di “Ingovernabili – Grandi piattaforme, nuovi monopoli e la lotta per la concorrenza” di Andrea Minuto Rizzo e Roberto Sommella (Luiss University Press) si è tenuta il 25 gennaio nell'aula Carlo Azeglio Ciampi di Villa Blanc, sede di Luiss Business School. All'evento hanno partecipato: Luigi Abete, Presidente, Luiss Business School; Francesco Boccia, Senatore della Repubblica; Andrea Minuto Rizzo, Responsabile Affari Istituzionali dell’Unione Europea e Internazionali, Ferrovie dello Stato Italiane, e autore; Federico Mollicone, Presidente Commissione Cultura, Scienza e Istruzione, Camera dei Deputati; Gabriella Muscolo, Partner, Franzosi Dal Negro Setti with Muscolo, già componente AGCM; Raffaele Oriani, Dean, Luiss Business School; Guido Scorza, componente, Garante per la protezione dei dati personali; Roberto Sommella, Direttore, MF-Milano Finanza, e autore. Ha moderato l'incontro Eva Giovannini, giornalista, inviata e conduttrice, Rai. 27/01/2023

22 Dicembre 2022

DMO Lazio, il nuovo modello di gestione strategica del turismo della Regione

Abbiamo presentato a Villa Blanc il progetto Destination Management Organization Lazio, nato su iniziativa dell’Assessorato al Turismo della Regione Lazio e realizzato da Luiss Business School, che ha l'obiettivo di dotare la Regione Lazio di una struttura di gestione strategica del turismo, settore trainante per l’economia del territorio. All’evento hanno preso parte Daniele Leodori, Presidente Vicario della Regione Lazio; Valentina Corrado, Assessore al Turismo ed Enti Locali della Regione Lazio; Matteo Caroli, Associate Dean per l’Internazionalizzazione di Luiss Business School; Fausto Palombelli, Presidente Sezione Industria del Turismo e del Tempo Libero di Unindustria; Lorenzo Tagliavanti, Presidente Camera di Commercio di Roma, oltre alle associazioni di categoria. “Come per tutti i settori economicamente trainanti della nostra regione, anche il turismo ha bisogno di innovazione e nuove idee per rendere le nostre meravigliose destinazioni sempre più accessibili e attrattive per i visitatori che arrivano da ogni parte del mondo. Il Lazio, poi, non è solo Roma con le sue bellezze, ma anche un territorio ricco di innumerevoli mete straordinarie, piene di storia e con grandi potenzialità. Proprio in questo senso sono sicuro che Destination Management Organization potrà essere uno strumento prezioso per valorizzarle e farle conoscere ai turisti” – ha dichiarato il Presidente Vicario della Regione Lazio, Daniele Leodori. “Il turismo è un’industria in continua trasformazione che richiede, per una piena affermazione, risposte adeguate ai mutamenti della domanda, nonchè un approccio strategico e coordinato utile ad affermare la competitività del Lazio come destinazione turistica. A tal fine, grazie a un lavoro intenso, anche tenendo conto dell’esperienza di esempi virtuosi in Italia e all’estero, ho promosso la costituzione di una Destination Management Organization regionale, un’organizzazione improntata sul dialogo proficuo tra pubblico e privato che possa garantire procedure trasparenti e celeri in particolare nella programmazione e gestione di interventi strategici e progetti speciali, restituire l’immagine unitaria della destinazione Lazio, innalzare la qualità dell’offerta turistica guardando alla sostenibilità e all’inclusività come chiavi di sviluppo. Questo intervento rappresenta un progetto ambizioso e strategico i cui impatti sono destinati a durare nel tempo. Un ringraziamento va al Professor Matteo Caroli e alla Luiss Business School per il prezioso lavoro portato avanti e tutti i presenti per il contributo dato” – ha dichiarato Valentina Corrado, Assessore Al Turismo ed Enti Locali della Regione Lazio. “Unindustria ha dato grande spazio e risalto alla necessità per la Regione e per il Comune di Roma di costituire una DMO, quale strumento moderno e agile per il rilancio del turismo, fondato su una forte collaborazione pubblico-privato, come riportato sia nel programma quadriennale della Sezione Turismo, sia in Restart Tourism, documento di posizionamento strategico predisposto insieme a Deloitte e presentato al Sindaco Gualtieri a inizio anno. Lo studio commissionato dalla Regione alla Luiss Business School rappresenta una delle basi fondamentali poste nel corso del suo mandato dall’Assessore Valentina Corrado, a valle della revisione della Legge 13/2007, di recente approvata, e costituisce una guida pratica e operativa per l’implementazione della DMO. Unindustria sarà al fianco dell’amministrazione regionale per sviluppare, insieme alle aziende associate, progettualità congiunte che vadano in questa direzione” – ha dichiarato Fausto Palombelli, Presidente Sezione Industria, Turismo e Tempo Libero di Unindustria. “Con la creazione della DMO del Lazio, la Regione si allinea alle best practice nazionali e internazionali per la gestione strategica dello sviluppo turistico del territorio. La presenza di un organismo altamente specializzato in questo settore permetterà, infatti, di valorizzare il patrimonio unico al mondo della Regione, in un’ottica di competitività globale – ha dichiarato Matteo Caroli, Associate Dean per l’Internazionalizzazione, Luiss Business School.  “Due saranno le traiettorie che orienteranno principalmente il lavoro della Destination Management Organization: da una parte lo sviluppo sostenibile del turismo del Lazio, dall’altra la capacità di fare rete e cooperare sinergicamente con tutti gli attori della filiera, dalle istituzioni, alle grandi imprese, al mondo delle associazioni imprenditoriali”. RASSEGNA STAMPA Agenzia Nova, Turismo: assessore Lazio, presentato progetto "Destination management organization" Askanews, Turismo, da Luiss BS un nuovo modello di strategia per il Lazio Il Giornale del Turismo, DMO Lazio, nuovo modello di gestione strategica del turismo della Regione Lazio Il Messaggero.it, Turismo al passo coi tempi Intesa tra Luiss e Regione 22/12/2022

13 Dicembre 2022

Luiss Business School e Lega Pro insieme
per formare Ethical Sport Manager

Si è tenuta a Villa Blanc la presentazione del progetto di formazione "Ethical Sport Management", nato dalla collaborazione tra Luiss Business School e Lega Pro. Il percorso, destinato ai dirigenti delle società calcistiche italiane, vuole contribuire alla diffusione della cultura della responsabilità sociale nel sistema calcio e, più in generale, nelle organizzazioni sportive, fornendo ai partecipanti conoscenze e strumenti utili a cogliere i significati dell'etica e del suo valore. Obiettivo del programma è formare nuove figure professionali, “Ethical Sport Manager”, che sappiano affrontare a 360° un mercato sempre più sensibile alla cultura della responsabilità sociale, attraverso una visione che spazi da una prospettiva manageriale, al rapporto tra etica e diritto, alla dimensione economico-finanziaria della sostenibilità. Il percorso si articolerà infatti in tre moduli, che approfondiranno rispettivamente i seguenti aspetti: etica, responsabilità e sport; la responsabilità etico-sociale nell’ordinamento sportivo; Ethical Sport Management; a cui si aggiungerà una esperienza di apprendimento “sul campo”, una “Action Learning Experience”, che, attraverso case study reali, permetterà ai partecipanti di confrontarsi su problemi concreti, condividendo analisi e possibili soluzioni. “Con il progetto ‘Ethical Sport Management’ la Lega Pro, insieme a Luiss Business School, costruisce un percorso che consentirà ai club di avere la possibilità di entrare in un campo che è etico, delle regole, delineando, allo stesso tempo, anche un profilo di capacità di azione per capire con quali aziende collegarci” ha dichiarato Francesco Ghirelli, Presidente di Lega Pro. “Eleveremo la qualità dei dirigenti che lavorano nei club e ne formeremo di giovani e nuovi per le società stesse. L’etica come architettura sociale è un valore vero. Il nostro sarà un percorso di formazione dedicato alle figure dirigenziali che si occupano dei temi di sostenibilità”. “Lo sport è una sfera importante dell'attività umana e non può essere estraneo alla riflessione etica” ha evidenziato Sebastiano Maffettone, filosofo e direttore di Ethos – Osservatorio di Etica Pubblica della Luiss Business School. “È proprio la pratica dello sport che esemplifica una serie di valori, che vanno fatti emergere anche nei contesti in cui sono più difficili da individuare”.  Su come rendere più concreto un approccio sostenibile nell’ordinamento sportivo, Francesco Bocchini, Professore Istituzioni diritto pubblico, Università del Molise, e costituzionalista ha osservato: “La responsabilità etico-sociale nell’ordinamento sportivo potrà essere creata attraverso un nuovo percorso fondato sulle sanzioni reputazionali etiche, che superino la tradizione giuridica e non del passato. Questa prospettiva si traduce in una funzione di enforcement dell’etica tra strumenti preventivi e sanzioni reputazionali”. La presentazione del programma si è tenuta a Villa Blanc, sede Luiss Business School, il 12 dicembre 2022. Sono intervenuti: Sebastiano Maffettone, Direttore, Osservatorio Ethos Luiss Business School,; Francesco Ghirelli, Presidente, Lega Pro; Francesco Bocchini,Professore Istituzioni diritto pubblico, Università del Molise; Michele Cignarale, Responsabile Marketing e Comunicazione, Potenza Calcio; Paolo Del Bene, Direttore, Associazione Sportiva Luiss; coordinatore, Centro studi Lega Pro; Giovanni Esposito, Referente scientifico, centro studi Lega Pro; Domenico Melidoro, Comitato Esecutivo, Osservatorio Ethos Luiss Business School. Ha moderato i lavori Camilla Dacrema, giornalista e coordinatrice Osservatorio Ethos Luiss Business School. 13/12/2022

29 Novembre 2022

InnCREA, un anno dopo: i risultati del progetto

Sviluppare le soft skill necessarie a ridurre il gap tra le capacità richieste dal mercato del lavoro e quelle offerte in formazione. Ora il progetto debutta con nuovi tool a disposizione di studenti, università e imprese. Se è sempre possibile acquisire hard skill lungo un percorso formativo è necessario, oggi più che mai, disporre di soft skill utili a integrare le persone provenienti da percorsi di studio di alto profilo. Il progetto innCREA nasce con l’obiettivo di trasferire agli studenti universitari, ricercatori, docenti, imprese e addetti delle organizzazioni dell’economia sociale, concetti organizzativi e metodi di sviluppo di business, potenziati da creatività e capacità di innovare. Finanziato dalla Commissione Europea e sviluppato nell’ambito del programma Erasmus+, il progetto europeo di ricerca e formazione innCREA è stato sviluppato nell'area Applied research, guidata dal professor Matteo Giuliano Caroli, Associate Dean per l’internazionalizzazione, Direttore BU Applied Research e Osservatori Luiss Business School, con il professor Nunzio Casalino come referente scientifico Luiss. Gli obiettivi e i partner di innCREA Il progetto innCREA è stato portato avanti da dicembre 2020 a novembre 2022. L'obiettivo perseguito è stato quello di implementare la creatività e la capacità innovativa, di cui la Luiss Business School si è sempre fatta promotrice, attraverso l'insegnamento e lo sviluppo di soft skill necessarie alle imprese. Colmare questo divario significa rispondere alla richiesta di diminuzione del divario tra le competenze richieste dal mercato del lavoro e quelle offerte dai corsi universitari. Gli stakeholder coinvolti spaziano dagli studenti alle università, dai docenti al personale accademico, senza dimenticare aziende, organizzazioni dell'economia sociale, autorità, associazioni e organizzazioni europee del settore della formazione. Il progetto InnCREA ha coinvolto cinque stati europei – Polonia, Bulgaria, Finlandia, Grecia e Italia - per un totale di sei partner – V-Systems (Polonia) (Coordinatore), WSA Wyzsza Szkola Agrobiznesu w Lomzy (Polonia) - Università; Luiss BS (Italia) - Università; ECQ European Center for Quality (Bulgaria); VAMK Vaasan Ammattikorkeakoulu (Finlandia) - Università of applied sciences; EkPa EKPEDEFTIKI PAREMVASI S.A. (Grecia). Anche per questo gli output realizzati a valle del progetto sono stati sviluppati e messi a disposizione in versione multilingue. I risultati del progetto innCREA Al termine della fase sperimentale del progetto innCREA è stato creato un percorso formativo, che si avvale di tre strumenti complementari allo sviluppo e miglioramento delle competenze di base degli studenti e dei laureati dell'istruzione superiore. Prima di tutto, il livello di creatività è stato diviso in quattro sfere: individuale, leadership, organizzativo o team. Poi si è creato un punto di incontro tra mondo dell'istruzione e imprese attraverso l'innCREA Creativity and Pioneering Audit Tool, uno strumento pensato per testare la creatività degli studenti. Al termine del test, si assegna un punteggio e da ogni sfera scaturisce un esercizio, fino a un massimo di cinque. Alla fine, si ritesta il proprio livello di creatività. In secondo luogo, entrambi i settori - business e istruzione universitaria - sono stati dotati di conoscenze e linee guida pratiche (innCREA Guideline) su come contribuire alla generazione di queste competenze negli studenti per creare i dipendenti del futuro. Infine, si è lavorato per migliorare le qualifiche e le conoscenze degli insegnanti sulla rilevanza di queste competenze nel mercato del lavoro contemporaneo e dotarli di metodi pratici per svilupparle negli studenti. Lo si è fatto attraverso l'innCREA Creativity and Pioneering Training Programme Package, disponibile online entro novembre 2022. Come spiega il professor Casalino, «se aumenta la qualificazione e la consapevolezza del personale accademico e degli studenti, è possibile promuovere soft skill utili alle organizzazioni produttive e arricchire notevolmente i programmi universitari, fornendo percorsi formativi con competenze trasversali, di cui le aziende hanno un grande bisogno». 29/11/2022

08 Novembre 2022

Nasce l'Osservatorio Auto e Mobilità di Luiss Business School

Unrae, Toyota e Honda primi partner Si è insediato il Comitato scientifico dell'Osservatorio Auto e Mobilità di Luiss Business School Unrae, Toyota e Honda sono i primi partner sostenitori dell'iniziativa, che arricchisce il panorama internazionale di un nuovo centro studi universitario di alto profilo nei settori chiave dell'auto e della mobilità.Direttori scientifici dell'Osservatorio sono il prof. Fabio Orecchini, ordinario di sistemi per l'energia e l'ambiente dell'Università Guglielmo Marconi, e il prof. Luca Pirolo, Associato di Management dell'Università Luiss Guido Carli.L'attività dell'Osservatorio Auto e Mobilità prevede un intenso programma di studi e ricerche, pubblicazioni tematiche, organizzazione di seminari, convegni ed eventi relativi all'evoluzione dell'industria dell'auto e alla mobilità sostenibile. I settori dell'auto e della mobilità convergono da tempo verso la formazione di una nuova, unica ampia area di interesse per l'industria, il legislatore e l'utilizzatore finale. La trasformazione delle tecnologie di trazione, l'arrivo di nuovi vettori energetici di alimentazione (elettricità, biocombustibili, e-fuels, idrogeno), l'automazione della guida, la diffusione della digitalizzazione e delle piattaforme di sharing sono soltanto alcuni dei grandi fattori di cambiamento che stanno interessando la macro-area che comprende Auto e Mobilità. Queste dinamiche evolutive, se da un lato richiamano all'esigenza di nuove figure professionali, dall’altro fanno emergere in modo evidente il bisogno di nuove conoscenze e approfondimenti sviluppati da centri studi indipendenti, che possano fungere da interlocutori autorevoli e credibili dei portatori di interesse pubblici e privati. In questo ambito, infatti, diventa sempre più importante poter disporre di informazioni analitiche e studi di settore capaci di intercettare e fornire chiavi di interpretazione del cambiamento epocale in corso. "La nascita di un centro studi e ricerche universitario dedicato all'auto e alla mobilità rappresenta un'occasione importante per l'intero sistema economico e industriale legato al settore”, commenta il professor Fabio Orecchini per il quale “l'Osservatorio dispone di competenze multidisciplinari preziose per supportare la trasformazione in atto nell'industria e nel ruolo della pubblica amministrazione nel settore della mobilità". È opinione condivisa che lo sviluppo della smart and sustainable mobility porti con sé sfide inedite e multi-disciplinari legate alle molte transizioni in atto. Il nuovo modo di concepire la mobilità e il ruolo dell'automobile e degli altri mezzi di mobilità personale all'interno del futuro scenario rappresentano elementi fondamentali di una conoscenza complessiva necessaria per accompagnare con successo gli attuali sistemi produttivi e commerciali verso il domani. "Il ruolo dell’Osservatorio Auto e Mobilità”, aggiunge il professor Luca Pirolo, “è quello di indagare su questi cambiamenti per comprendere l’evoluzione delle logiche di acquisto ed utilizzo di mezzi e di servizi di mobilità da parte dei consumatori e di fornire agli operatori del settore, pubblici e privati, strumenti per pianificare le proprie strategie, modelli di business e politiche industriali”. Con l’obiettivo di poter prontamente catturare i driver del cambiamento in atto, l’Osservatorio si avvale di un network di relazioni con il contesto di riferimento. L’Osservatorio parte con i primi partner sostenitori, Unrae, Toyota e Honda che entrano nel Comitato scientifico dell'Osservatorio e contribuiranno attivamente allo sviluppo delle attività ma l’Osservatorio è aperto a nuovi sostenitori, da tutte le industry che concorrono all’ecosistema della mobilità, con tre possibili livelli di adesione: Partner, Main Sponsor e Sponsor. "Il nuovo Osservatorio nasce in un momento di profonda trasformazione per il mondo dell'auto e della mobilità - afferma il Direttore Generale dell’UNRAE Andrea Cardinali – e, a differenza di tante iniziative estemporanee sulla mobilità sostenibile, ha un orizzonte pluriennale in linea con la filosofia e lo spirito dell'UNRAE, da 72 anni unica realtà associativa in Italia a rappresentare le Case costruttrici di tutti i comparti del settore. Siamo orgogliosi di contribuire a questa iniziativa di alto profilo, il cui focus è sull’automotive perché siamo convinti che anche in futuro il trasporto su gomma e l’automobile resteranno centrali nella mobilità di merci e persone. All’Osservatorio – aggiunge Cardinali - portiamo la competenza, l’expertise, l’autorevolezza e la credibilità del nostro Centro Studi e Statistiche, che dal 2013 è la fonte di dati e analisi di settore all'interno del Sistema Statistico Nazionale". PerAndrea Saccone, Responsabile Relazioni Esterne Toyota, Lexus e KINTO Italia, “Il mondo dell’auto e, più in generale quello della mobilità, stano vivendo un momento di profonda trasformazione, che implicherà l’adozione di modelli di business potenzialmente diversi da quelli attuali. In questa prospettiva, è fondamentale per tutti gli attori – aziende e istituzioni - poter contare su studi e analisi autorevoli e indipendenti, a supporto della definizione delle proprie linee d’azione strategiche. Per questo, - sottolinea Saccone - come Toyota condividiamo gli obiettivi che questo Osservatorio si propone e siamo lieti di aderire come partner, per poter dare il nostro contributo”. “Honda ha da subito sposato il progetto della costituzione di un centro studi e ricerche universitario di alto profilo – dichiara Simone Mattogno, Direttore Generale Auto di Honda Motor Europe Italia - per far fronte alla sempre più rapida trasformazione ed evoluzione dell’industria dell’auto e della mobilità più in generale. Occorre studiare con sempre maggiore competenza e conoscenza le profonde dinamiche che investono l’intero comparto per essere pronti ad affrontare le difficili sfide che attendono i nuovi modelli produttivi e commerciali. Siamo orgogliosi – conclude Mattogno - di poterci avvalere della indiscutibile esperienza e conoscenza sulla materia dei membri del Comitato Scientifico e pronti a dare il nostro contributo attivo affinché l’Osservatorio Auto e Mobilità possa diventare al più presto un punto di riferimento per tutti i player coinvolti”. 8/11/2022

04 Novembre 2022

Da semplice ristorante a storytelling dell’italianità negli States: il caso L'Antica Pesa

L'imprenditore e volto televisivo Francesco Panella ha raccontato la metamorfosi del brand di famiglia in occasione dell'incontro "Evoluzione dei modelli di business nel campo della ristorazione" con gli studenti Luiss Business School Sacrificio. Spirito d'impresa. Dedizione totale. Sono questi gli ingredienti necessari per cucinare la ricetta del successo nella ristorazione. A metterli sul tavolo è Francesco Panella, imprenditore della ristorazione nato a Roma e noto in tutto il mondo grazie anche alla sua attività televisiva. Durante la testimonianza "Evoluzione dei modelli di business nel campo della ristorazione", ha raccontato il caso de “L'Antica Pesa” agli studenti del master in Food and Wine Business di Luiss Business School. Il suo discorso inizia con un monito. Per raggiungere l'eccellenza «o allinei tutte le esigenze del mercato o c'è qualcuno che lo farà per voi e si prenderà i vostri clienti», spiega Panella. Gli inizi a L'Antica Pesa: come prendere il vento in faccia «Immaginate un ristorante come un titolo in borsa. Vai sopra, vai sotto, affronti difficoltà, come le tre pandemie e le due guerre nel corso dell'attività de L'Antica Pesa. Quando hai un momento di incertezza, senza piano B, devi affrontare il peggio del peggio senza paura». Il successo de L'Antica Pesa, il ristorante di famiglia a Viale Trastevere, nasce dalla fame. Da 120 anni la famiglia Panella è simbolo di ristorazione a Roma. Il fascino dell'ambiente colpisce Francesco quando lui ha sei anni. La vivacità del Mercato Centrale lo affascina. Dopo la rivoluzione di Gualtiero Marchesi, tutti cercavano di innovare. «Mi sono accorto che i local definivano i ristoranti come il nostro "turistici", con un'allure un po' da sfigati. A 17 anni ho deciso di prendere in mano il ristorante di famiglia con una posizione debitoria di quasi due miliardi di lire. A 18 anni e un giorno sono stato protestato per un errore della banca. Ma quello che volevo fare nella vita non mi ha fermato: "prendere il vento in faccia aiuta". Non c'è una storia di successo se non c'è una grande fatica dietro». Rinascita americana L'esperienza americana di Panella gli dà un'impostazione che lui importa in Italia. Apprende il valore del network, ma anche il fatto che, fine a sé stesso, non serve a niente. «Quando la conoscenza di una persona è legata a un sistema organico di conoscenza, di valori, perché condividi gli stessi valori, è allora che diventa organico. E non è network, ma amicizia. Per questo è bene cercare qualcuno che vi somigli». Con l'esperienza a stelle e strisce, cambia il modo di raccontare la cucina romana. «Il palato è il luogo dove la memoria non scappa mai. Abbiamo iniziato a comunicare una cucina conosciuta, ma parlando dei produttori. Questo significa dare importanza alle cose giuste». Che non sempre corrispondono al denaro. «Non lasciatevi condizionare dal denaro: è un atto importante da fare, se siamo impegnati al 100% in quello che vogliamo fare. La corsa al profitto impedisce di sognare. Quando si sogna, il risultato arriva ed è unico». Magia a Williamsburg A un certo punto Panella pensa: “prendiamo il nostro marchio e portiamolo dove non c'è niente”. Va a Brooklyn, Williamsburg, Bushwick, e crea orti urbani, rendendo sostenibili 20 palazzi. Con la gentrificazione del quartiere, apre L'Antica Pesa proprio lì, diventando il primo brand internazionale ad approdare dall'altra parte del ponte. Panella intesse relazioni con i nomi più in vista del jet set, tra cui Rupert Murdoch e Madonna. «Si fa un business diverso, più organizzato negli orari e anche nella parte economica. Si riuscivano a creare fino a cinque turni di cena, grazie a un approccio culturale differente alla ristorazione». L'Antica Pesa di New York diventa un caso di studio e cambia volto al quartiere. Cosa non gradita ai local. Questo spinge Panella a creare Brooklyn Man, un programma televisivo per Gambero Rosso che dà voce al vicinato e alle sue attività. «Divento l'ambasciatore italiano per gli Stati Uniti e faccio la mia parte nella branding position di Brooklyn». Il racconto dell’Italianità Arriva l'avventura di Feroce, un format creato da Panella per raccontare l'italianità in America, in collaborazione con Tao Group. Trecento dipendenti, bar, ristorante, pizzeria e il club al quarantesimo piano. Tutto firmato dall'architetto David Rockwell. Arriva la società di consulenza ad Aspen, con un modello di business adatto per avere un controllo assoluto delle aziende anche stando da casa, proiettandolo sulla ristorazione residenziale che rappresenta il 94%. A fare la differenza sono le Standard Operations. Prospettive per il futuro «Immaginare il futuro con gli strumenti di oggi è la cosa più importante che possiate fare – conclude Panella - Vi auguro di poter innovare le aziende dei vostri padri e dei vostri nonni, con fatica e abnegazione». «Il momento non è dei migliori, ma la capacità reputazionale delle aziende in questo modo sono azzerate. Tutti stanno ripartendo da zero, anche i brand più importanti. Sono tutti ai blocchi di partenza. La reputazione e il marchio non fanno più la differenza. Anche i newbie possono cogliere la propria opportunità. C'è tutto un mondo da ricostruire». Chi è Francesco Panella. Francesco Panella nasce nel 1971 e viene subito a contatto con il mondo della ristorazione e gastronomia. Infatti, i suoi genitori sono proprietari dal 1922 del celebre ristorante romano L'Antica Pesa. La sua idea imprenditoriale si evolve, tanto da arrivare a esportarla insieme alla sua cucina a New York, a Doha e in Corsica. Nel 2012 debutta in televisione con il programma Il mio piatto preferito, in onda su Gambero Rosso, girato a New York per sei stagioni consecutive. Nel 2014 lo show è diventato un libro best seller. Dal 2018 sbarca su NOVE con Little Big Italy, cooking show di successo in cui viaggia per il mondo valutando i migliori ristoranti di cucina italiana all’estero. Sul modello di 4 Ristoranti di Alessandro Borghese e Pizza Hero di Gabriele Bonci, Panella presenta una sfida tra ristoratori che si giudicano tra loro, ogni volta in una città diversa. Nel 2020 conduce anche Riaccendiamo i fuochi, un format inedito che racconta e aiuta i ristoranti italiani colpiti dalla pandemia nel periodo del lockdown, quando - dopo tutte le chiusure - devono riprendersi e attuare una strategia di rilancio. La testimonianza si è tenuta nell’ambito del master in Food and Wine Business, giunto all'ottava edizione e rivolto a laureandi e neolaureati. L'obiettivo del master è formare futuri professionisti a supporto delle imprese operanti nella filiera del food e del wine, nelle loro strategie di espansione nei mercati esteri e nelle attività di comunicazione e gestione del business. Gli sbocchi lavorativi che il percorso assicura sono molteplici. Si può spendere la propria formazione come Food & Wine Manager, Export Manager, Marcom Manager, Retail & Sales Manager in Hotels Chains. Inoltre, il master include anche laboratori di enologia, Haccp, analisi sensoriale e menu & wine list engineering con la Gambero Rosso Academy, partner del master. 4/11/2022

28 Ottobre 2022

Potenziare la formazione universitaria e il legame con le imprese con BEGIN, il percorso che valorizza le competenze trasversali

Giunge al termine il progetto sviluppato in ambito europeo in cui è coinvolta la Luiss. Realizzati una Toolbox, una metodologia specifica per iniziative congiunte di formazione aziendale e contenuti e-learning per studenti, docenti universitari e imprenditori Sono le capacità interpersonali a fare la differenza in un ambiente di lavoro. Infatti, è sempre possibile acquisire o integrare le competenze tecnico-pratiche, ma le soft skill possono cambiare le carte in tavola in fase di recruiting. Tuttavia, non è sempre facile svilupparle e analizzarle perché le competenze trasversali non sono individuabili sempre in modo certo. Ciò che il mercato del lavoro cerca non viene spesso fornito durante i percorsi di alta formazione. Per questo, il gruppo di ricercatori ed esperti del progetto BEGIN ha condotto una ricerca tra i gruppi target per identificare competenze e aspettative degli imprenditori intervistati sui cambiamenti futuri. Ne è nata la Toolbox di BEGIN. Gli obiettivi di BEGIN BEGIN - Boosting the Soft Skills of Higher Education Students and Graduates è un progetto europeo che coinvolge cinque paesi europei (Polonia, Italia, Germania, Bulgaria e Portogallo) e sei partner (V-Systems - Polonia, Luiss Guido Carli - Business School - Italia, ECQ - Bulgaria, emcra GmbH - Germania, A.I.A.M. - Portogallo, WSA University - Polonia). Mira a sviluppare un programma formativo completo, volto a incrementare le competenze trasversali degli studenti universitari e, allo stesso tempo, contribuire a ridurre il divario tra le competenze richieste nel mercato del lavoro e le competenze offerte dai corsi di universitari, promuovere un programma di attività di esplorazione dei nuovi percorsi lavorativi e supportare in modo permanente gli Enti e le Istituzioni che operano nel mondo dell’istruzione universitaria, i datori di lavoro, gli studenti, le autorità locali/regionali ed europee. Il progetto si è svolto dal 1° novembre 2019 al 31 ottobre 2022. BEGIN - Boosting the Soft Skills of Higher Education Students and Graduates è stato realizzato nell'ambito del programma Erasmus+ Key Action 2 – Cooperation for innovation and the exchange of good practices: Strategic partnerships for Vocational Education and Training – Development of Innovation. La ricerca è stata sviluppata nell'area Applied Research, guidata dal professor Matteo Giuliano Caroli, Associate Dean per l’internazionalizzazione, Direttore BU Applied Research e Osservatori, Luiss Business School, con il professor Nunzio Casalino, ordinario di Organizzazione Aziendale, come referente scientifico Luiss. Valorizzare e trasferire le soft skill più adatte alle aziende «Abbiamo realizzato diversi incontri e diverse interviste con una serie di soggetti accademici e aziendali per capire le soft skill più importanti – ha spiegato il professor Casalino – e ci siamo accorti che le statistiche disponibili sui vari portali della Commissione Europea o di altri enti di riferimento in tale ambito non sono aggiornati. Che le soft skill richiedevano aggiornamenti anche nell'elenco delle stesse. Due di queste? Il problem solving e il team working, assolutamente non valorizzate, ma sempre più necessarie nei contesti lavorativi. Le interviste hanno rivelato che sono richieste e spesso non individuate anche la flessibilità di pensiero, la capacità di negoziazione, la predisposizione al cambiamento, la gestione dello stress sul lavoro, il critical thinking e il digital thinking. Cos'è la Toolbox di BEGIN La Toolbox di BEGIN è una risorsa interattiva online che raccoglie le attività specifiche di “esplorazione delle carriere”, validate dalle università partner e include l’esperienza di studenti, datori di lavoro e personale accademico durante la loro pianificazione, esecuzione e follow-up. Contiene testimonianze testuali e video prodotti dai partner accademici del progetto, l’analisi dei punti di forza e di debolezza dei processi di acquisizione delle soft-skills, nonché le linee guida per una corretta implementazione basata sull’esperienza reale delle università, degli studenti e delle imprese coinvolte. A chi si rivolge la Toolbox di BEGIN La Toolbox di BEGIN offre i seguenti vantaggi a coloro che la utilizzeranno: Gli studenti possono incontrare in modo più efficace i datori di lavoro e trovare più rapidamente un lavoro/tirocinio. Inoltre, possono acquisire conoscenze sulla domanda di competenze sul mercato del lavoro e identificare le aree sulle quali dovrebbero migliorare. Possono apprendere dove reperire informazioni sul reale ambiente aziendale e sviluppare le proprie competenze trasversali. Infine, possono avere l’opportunità di applicare le conoscenze e le competenze tecniche apprese nei loro corsi universitari. I datori di lavoro possono usare la Toolbox per incontrare potenziali dipendenti, ottenere nuove idee e soluzioni creative a problemi di organizzazione del lavoro reali, nonché stabilire connessioni con le università e stabilire con loro sinergie e collaborazioni. Dal canto loro le università possono ottenere feedback preziosi sia sulle reali esigenze degli studenti che di quelle dei datori di lavoro, al fine di poter aggiornare l’offerta formativa includendo queste nuove competenze per immettere sul mercato del lavoro una forza lavoro molto più competitiva. La Metodologia di BEGIN La Metodologia di BEGIN è stata sviluppata per la gestione di iniziative congiunte tra il mondo dell’istruzione e quello delle imprese. Essa è uno strumento disponibile per tutti sul web e include specifiche risorse educative per imprenditori, dirigenti e funzionari pubblici e altro personale tecnico. Le considerazioni e i suggerimenti disponibili nascono a valle di alcune interviste a degli esperti di selezione del personale di vari paesi europei. L'analisi ha permesso di creare inoltre un piano di tutoraggio per trasmettere le conoscenze più efficaci alle esigenze delle aziende. Il Corso di Formazione nato da BEGIN Il corso di formazione in modalità e-learning di BEGIN è il terzo importante intellectual output del progetto. È gratuito e open access, pensato per formare, docenti, dipendenti, imprenditori. Si articola in sei moduli formativi: cosa sono le soft skill; perché sono importanti per i datori di lavoro; quali sono le soft skill attualmente più richieste; in che modo gli insegnanti di istruzione superiore e altro personale possono sensibilizzare gli studenti sull'importanza di sviluppare le loro competenze trasversali; esempi di come sono state avviate le seguenti competenze trasversali con il supporto di insegnanti e altro personale dell'istituto di istruzione superiore; quali sono le competenze per il futuro del mercato del lavoro. I benefici del progetto di ricerca e formazione BEGIN  per le università A valle del progetto BEGIN è stato possibile determinare i vantaggi dell'applicazione degli strumenti e della metodologia all'interno delle università. Infatti, l’obiettivo è incrementare la qualificazione del personale accademico, oltre a rafforzare le competenze trasversali degli studenti. Inoltre, è fondamentale promuovere nelle università, in modo proattivo, le competenze trasversali degli studenti, che saranno ormai sempre più richieste nel futuro mercato del lavoro. Infine, questi strumenti possono contribuire concretamente a ridurre il divario tra il portafoglio di competenze dei laureati e quello richiesto da un mercato del lavoro sempre più esigente. «Questo progetto è e sarà importante nel futuro, perché ci ha permesso di acquisire un know how ampio e, al tempo stesso specifico, sulla tematica delle soft skill – ha aggiunto il professor Casalino. In tutte le università italiane finora è mancata la consapevolezza e la capacità di saper trasferire le competenze trasversali ai propri studenti. Moltissimi corsi non prevedono ancora degli innesti comportamentali, applicativi o operativi di azioni replicabili sul luogo di lavoro e che possano rendere uno studente più ambito per le aziende. Le università devono sì sfornare esperti con solide hard skill, ma nello stesso tempo devono formare persone “sociali” che riescano a integrarsi in contesti lavorativi e in team diversi, arrivando a sviluppare e saper proporre idee innovative. La Luiss, in tutti i suoi percorsi di laurea e post-laurea, da questo punto di vista, potrà ulteriormente completare la sua offerta promuovendo e potenziando anche questi aspetti». 28/10/2022

25 Ottobre 2022

La crescita delle imprese inizia dalla finanza sostenibile

Presentata la ricerca “Sustainable Debt Instruments: Evolution and Outlooks with a focus on Italian Companies”, realizzata da Luiss Business School in collaborazione con Equita Rendere l'economia più sostenibile sotto il profilo ambientale e sociale: le istituzioni europee hanno lavorato molto su questo fronte per cercare di centrare gli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) dell’Agenda 2030 dell’ONU e raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Anche in Italia la finanza sostenibile si sta sviluppando con entusiasmo, ma le sfide contemporanee richiedono maggiori impegni alle aziende, oltre a partner che possano accompagnarle verso evoluzioni sostenibili nel contesto normativo europeo. Al fine di chiarire lo scenario attuale e le evoluzioni del rapporto tra imprese e finanza sostenibile, Luiss Business School in collaborazione con Equita hanno presentato la ricerca “Sustainable Debt Instruments: Evolution and Outlooks with a focus on Italian Companies”. «Questo convegno mette insieme due parole fondamentali: sostenibilità e crescita – ha esordito Raffaele Oriani, Dean, Luiss Business School – La ricerca è andata a indagare come gli strumenti finanziari nati per raccogliere risorse utilizzate per impatti più ampi, possono essere utilizzati come strumenti di crescita. Con Equita abbiamo pensato di lavorare insieme per temi di pubblica utilità: la questione della finanza sostenibile è emersa come candidato naturale. Ciò che oggi è considerato finanza sostenibile era fino a qualche anno fa una piccola quota del mercato finanziario, mentre oggi è pari a quasi un terzo degli asset investiti. Le aziende ormai lo considerano un tema mainstream. Per questo parlarne come di strumenti di finanziamento è ancora più importante». «Questa collaborazione vuole portare a soluzioni concrete – ha spiegato Carlo Andrea Volpe, Co-responsabile Investment Banking, Equita – Esiste un contesto più ampio: costruire un ponte tra impresa e mercato di capitali. Il nostro sistema Paese presenta una serie di fragilità sul tema dell'accesso della media impresa a questo bacino, il cui ruolo sarà sempre più fondamentale in relazione alle sfide future che ci attendono. Siamo fiduciosi che tutte le consultazioni avute in questo periodo possano ridurre il divario tra il mercato italiano e le best practice internazionali. Infine, ci auguriamo che i nuovi interventi su cui si discute possano, tra l’altro, incrementare il contributo, oggi limitatissimo (inferiore al 10%) degli investitori domestici, necessario per creare una solida base per il futuro sviluppo nel nostro mercato». La ricerca La finanza Esg non è più una nicchia, ma un segmento mainstream, che potrebbe raggiungere a livello globale i 50 trilioni di dollari di Asset Under Management entro il 2025. Può arrivare a rappresentare più di un terzo degli asset totali in gestione previsti. Gli afflussi sono condizionati dai timori legati al cambiamento climatico e da altre questioni di carattere sociale. Le autorità europee sono intervenute con decisione modificando l’assetto del settore finanziario, come dimostrano le recenti evoluzioni normative: Renewed Sustainable Finance Strategy; Next Generation EU ed EU Green Deal; EU taxonomy (Regolamento UE 2020/852); Sustainable Finance Disclosure Regulation (SFDR, Regolamento UE 2019/2088); Climate benchmarks (Regolamento UE 2019/2089). Obiettivo: garantire la trasparenza dei mercati e l'integrazione dei criteri Esg (ambientali, sociali e di governance) con gli investimenti. La ricerca ha analizzato le recenti evoluzioni normative con riferimenti ai prodotti e alle logiche di investimento. In secondo luogo, ha mappato l'evoluzione della finanza sostenibile in Europa e in Italia, con un focus sugli strumenti di debito sostenibili (Green, Sustainable, Social and Sustainability Linked Bond e Loan). Infine, ha descritto le tendenze e prospettive del mercato italiano degli investimenti sostenibili, al fine di evidenziarne le opportunità anche per piccole e medie imprese. Di supporto sono stati anche i case study di Ovs e Tea Mantova. «Le prime azioni di responsible investment risalgono al 1960 – ha fatto notare Francesco Asaro, Vice President DCM Investment Banking, Equita – mentre il primo strumento di finanza sostenibile risale al 2008: si tratta del primo green bond emesso dalla Banca Mondiale. Dal 2019, in Europa, si è sviluppato un forte interesse per questi strumenti. Oggi gli investimenti Esg rappresentano un quinto del mercato obbligazionario totale in Europa e, nonostante la guerra, il segmento è rimasto stabile, confermato nel suo volume rispetto al semestre precedente. Nel 2022, in Italia, si registrata una crescita del mercato obbligazionario pari al 90% annuo (dal 2017 al 2021). Le emissioni Esg sono arrivate al 42% emissioni delle emissioni totali, rispetto al 20% della media europea». Strategie per imprese in cerca di finanza sostenibile Durante la tavola rotonda, moderata da Janina Landau, giornalista e conduttrice Class CNBC, si è esplorato il framework normativo in cui la finanza sostenibile oggi si muove. Secondo Francesco Gianni, Socio fondatore, Gianni & Origoni – GOP, «è molto complesso e ambizioso, sia lato Ue sia italiano, con ricadute sul Pnrr. Il regolamento sulla tassonomia, la nuova direttiva relativa alle informazioni non finanziarie e la direttiva sui Green Bonds sono il punto cruciale del nuovo impianto normativo. Perché questo sistema funzioni è necessario concordare i relativi parametri di riferimento. Il procedimento è lungo e il clima macroeconomico e politico non aiutano. In aggiunta, oggi l'attenzione delle aziende è più sulla finanza che sui temi sociali: c'è una carenza di attenzione che va colmata». Da investitore mission related, con un piano strategico di forte discontinuità appena approvato, Cassa Depositi e Prestiti si pone come «emittente seriale di operazioni Esg», vicina alle aziende. Secondo Andrea Nuzzi, Head of Corporate and Financial Institutions, Cassa Depositi e Prestiti, «bisogna fare la differenza nella complementarità e nelle sinergie con i player del settore finanziario e attrarre risorse di altri investitori con operazioni di crowding in. Ma per poter investire in Pmi bisogna dotarsi di competenze tecniche, che le banche non hanno nel loro Dna. Inoltre, per incentivare le aziende a fare questi investimenti, è necessario offrire qualche vantaggio, con premialità in termini di tassi». «La cultura del mondo va verso l'ambiente – ha esordito Emanuele Orsini, Vicepresidente per il Credito, Finanza e Fisco, Confindustria - Due terzi delle nostre imprese erano già propensi alla sostenibilità. Ma il Covid ha rallentato un percorso in crescita, che dovremo riprendere. In più, se l'Europa ha risposto bene alla pandemia, non lo sta facendo con altrettanta efficienza sul tema energia. È necessario che risponda bene almeno sul tema dei dati, fondamentali per l'aspetto Esg. Dobbiamo pretendere regole chiare. La sfida della transizione sostenibile - da attuare nei tempi e nei modi giusti - è una priorità per le imprese, e rappresenta anche una straordinaria opportunità di investimento. Tuttavia, la transizione ecologica costerà alle imprese circa 100 miliardi, e per questo è necessario supportarle in questo percorso. Il mondo finanziario dovrà sostenere le imprese con strumenti di finanza alternativa e prevedendo un set integrato di misure, correggendo quelle esistenti e aggiungendone di nuove». Nel 2001 Carraro, azienda leader nella produzione di trattori speciali, aveva fatto piccole emissioni sperimentali. «La crisi violenta del 2008 ci ha portato a rivedere la nostra strategia verso il canale bancario tradizionale – ha spiegato Enrico Gomiero, Vicepresidente e CFO, Carraro – Dopo le prime emissioni “sperimentali”, dal 2009 il mondo della finanza è radicalmente cambiato e l'approccio a strumenti alternativi è stato quasi forzato, ricercato e voluto.  Grazie alla raccolta derivante da strumenti alternativi abbiamo finanziato l’attività del Gruppo e gli investimenti per l'area di ricerca e sviluppo; abbiamo inoltre investito sulla nostra presenza a livello regionale e internazionale, in India e in Cina, avendo così a disposizione apporti alternativi di finanza. L'esperienza è stata fondamentale e ci ha aiutato a evolvere la nostra cultura d'impresa. Per noi il tema dell’"economia sostenibile" non è nuovo, i nostri clienti ci hanno spinti già prima del 2017 a guardare alle tematiche ESG in quanto sono impegnati sulle stesse ormai da anni. Abbiamo iniziato ad ottenere delle certificazioni, tra cui CDP ed Ecovadis, e abbiamo l’obbiettivo di fare le prossime emissioni green anche alla luce dello sviluppo di prodotti che contribuiscano alla riduzione delle emissioni». Verso il 100% di emissioni Esg «Crediamo che l'evoluzione del mondo delle emissioni Esg è inevitabile e arriveranno a rappresentare il 100% delle emissioni – ha concluso Marco Clerici, Co-responsabile Investment Banking, Equita - Le aziende che non riusciranno a incontrare gli obiettivi Esg, non saranno compatibili con le richieste degli investitori. La tendenza, anche questo inevitabile, è che le dimensioni delle operazioni e dei possibili emittenti di strumenti green si stanno sempre più abbassando. La transizione è inevitabile e sarà questa la direzione da seguire». L'evento Strumenti di finanza sostenibile per la crescita delle imprese si è tenuto l'11 ottobre 2022 presso la sede Luiss Business School, a Villa Blanc, Roma. Sono intervenuti: Raffaele Oriani, Dean, Luiss Business School; Carlo Andrea Volpe, Co-responsabile Investment Banking, Equita; Francesco Asaro, Vicepresidente, Equita; Francesco Gianni, Socio fondatore, Gianni & Origoni – GOP; Enrico Gomiero, Vicepresidente e CFO, Carraro; Andrea Nuzzi, Head of Corporate and Financial Institutions, Cassa Depositi e Prestiti; Emanuele Orsini, Vicepresidente per il Credito, Finanza e Fisco, Confindustria; Marco Clerici, Co-responsabile Investment Banking, Equita; Janina Landau, Giornalista e conduttrice, Class CNBC. SCARICA LA RICERCA 25/10/2022

20 Gennaio 2022

Libia, Boccardelli: «Comprendere storia e sviluppo fondamentale per investire nel Mediterraneo»

Qual è la posizione dell'Italia? A che punto sono i rapporti con i “vicini” del Mediterraneo? Alcune risposte arrivano dall'incontro organizzato a Villa Blanc per presentare il libro di Leonardo Bellodi L’ombra di Gheddafi Gli storici legami con la sponda nord-africana del Mediterraneo, da soli, non bastano più. Gli scenari e il peso degli attori in questo bacino sono cambiati. «Per questo, nella formazione della classe dirigente non può mancare la comprensione di alcune dinamiche geopolitiche di Libia e Mediterraneo, prerequisiti necessari per orientare al meglio gli investimenti nella regione». A sostenerlo è Paolo Boccardelli, Direttore Luiss Business School, in occasione della presentazione del libro di Leonardo Bellodi “L’ombra di Gheddafi”. L'incontro, organizzato a Villa Blanc, Roma, nell’ambito della serie “Appunti per l’interesse nazionale” in collaborazione con l’Associazione Davide De Luca – Una Vita per l’Intelligence, è stato l'occasione per fare il punto sul futuro ruolo dell'Italia in questo scenario. I numeri del Mediterraneo Circa un miliardo di persone gravita attorno a questo bacino marittimo. Di questi, quasi la metà è nel Middle East and North Africa (MENA). Il Pil generato è equivalente a quello della Germania (dato 2019). Il principale investitore in quest'area è la Cina. Ma anche l'Italia gioca una sua partita. I forti legami diretti che le imprese italiane hanno con la regione sono superiori di quelli realizzati da altri Paesi dell'Unione Europea. In quest'area, le altre nazioni dell'Ue destinano l'1,5% dei capitali investiti all'estero, mentre le imprese italiane – tra cui spiccano nomi di rilievo come Eni – si attestano al 10%. Circa 2000 imprese, situate in questa zona del Mediterraneo, hanno ricevuto capitali italiani, pari al 6% delle imprese italiane con partecipazioni all'estero, generando un fatturato pari a 26 miliardi di euro. La distribuzione dei capitali italiani è concentrata in 7 Paesi: Turchia, Libia, Arabia Saudita, Egitto, Algeria, Tunisia e Marocco. «È chiaro, dunque, che l'area del Mediterraneo ha un rilievo particolare per l'Italia»ha sottolineato Boccardelli. Il ruolo dei Paesi extra UE nel Mediterraneo Guardando al ruolo che i Paesi extra europei stanno giocando in quest'area, Leonardo Bellodi, Senior Advisor, Libyan Investment Authority e autore del libro, spiega che quanto successo ai tempi di Gheddafi determina ciò che sta succedendo oggi, come l'intervento della Russia. «Non esistono amici o nemici perenni: esistono interessi permanenti e per noi l'interesse non può che essere la Libia». «Lo sbocco naturale delle politiche di espansione di Cina, Turchia, Russia, sia per porti economici, ma soprattutto per materie prime, è il Mediterraneo – spiega Adolfo Urso, Presidente, COPASIR – Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica – La contesa più importante sta avvenendo lì, a supporto della transizione ecologica e digitale. L'Italia deve esserci, la propria indipendenza dipende da questo: dall'approvvigionamento delle materie prime per essere protagonisti nella competizione economica globale». «In questa fase si aprono per il nostro Paese opportunità di convergenza con altri paesi europei e con gli Stati Uniti – rimarca Lucio Caracciolo, Direttore e Fondatore, Limes – In questo modo si possono compensare quei limiti di sovranità ereditati dalla Seconda guerra mondiale senza dover compiere atti di autolesionismo. La Brexit ha soprelevato il peso dell'Italia in Europa, condizione che ha portato gli amici francesi a proporre al nostro Paese il Trattato del Quirinale che, per la prima volta, ci permette di avere un rapporto molto stretto nell'area del Mediterraneo nord-africano. I passi successivi dovranno mirare a compiere atti positivi nell'interesse comune e a cercare mediazione. Dobbiamo ritornare ad essere soggetto credibile e non oggetto di questa sovranità. Se l'Italia resterà a guardare, non potremo lamentarci che il nostro giardino di casa sia oggetto di manovre altrui». Il ruolo dell'Italia nel futuro della Libia Se il legame fra Italia e Libia è intessuto a doppio filo nella storia, è necessario però porsi un'importante domanda. «Qual è il posto dell'Italia nella storia della Libia? Quale strategia l'Italia deve adottare nell'immediato? Secondo Bellodi mai come adesso l'Italia è nelle condizioni di esercitare un ruolo determinante – sottolinea Gianni Letta, Presidente Onorario, Associazione Davide De Luca – Una Vita per l’Intelligence – anche grazie all'autorevolezza del Presidente del Consiglio Mario Draghi, che ha fatto proprio qui il suo primo viaggio internazionale. L'Italia è nelle condizioni di esercitare un ruolo determinante negli equilibri di questa zona, per salvaguardare interessi contingenti, ma anche per la posizione storica di ponte tra le due sponde del Mediterraneo». Il nuovo ruolo dell'Italia nel bacino del Mediterraneo inizia dalla consapevolezza degli obiettivi nazionali. «Saremo anche un Paese a sovranità limitata, ma nel Mediterraneo abbiamo sempre avuto grande capacità di mediazione e di influenza – spiega Cesare Maria Ragaglini, Già Rappresentante d’Italia, Organizzazione delle Nazioni Unite – Il problema è che più che equilibri, ci sono molti disequilibri. Dovremo adeguarci a questa nuova situazione, sapendo dove vogliamo andare e come». RIVEDI IL WEBINAR 20/01/2022

20 Luglio 2021

Aziende come comunità: il futuro dello smart working

Formazione, leadership e senso per le persone: sono queste le nuove sfide per riconnettere le aziende ai propri dipendenti e creare un lavoro a distanza davvero intelligente, senza perdere il valore del ritrovarsi in presenza Lo smart working ha cambiato il modo di lavorare. Diventati più flessibili sul fronte spazio-temporale, i lavoratori sembrano non avere più motivi per ritornare in ufficio, sacrificando la socialità e la creatività collettiva che solo lo spazio condiviso può dare. Tre le direttrici su cui investire per riconnettere le aziende come vere e proprie comunità: formazione, leadership e senso per le persone. È quanto è emerso durante il webinar “Ri-connettersi: come riparte il lavoro smart dopo la pandemia. Persone, spazi, creatività” organizzato da Luiss Business School in collaborazione con Oracle – società leader nella tecnologia, che si è distinta anche recentemente per l’efficacia delle sue soluzioni cloud HCM (Human Capital Management) nella cura e gestione delle risorse umane, anche da remoto - e tenutosi il 15 luglio. Smart working: cosa è successo durante la pandemia Se in passato lo smart working era considerata una bizzarria da Silicon Valley, la pandemia ha messo faccia a faccia con tutti i suoi vantaggi e criticità. Superata la confusione tra remote working, home working e smart working, la popolazione ha sperimentato i lati positivi del lavoro da casa, dalla sostenibilità ambientale ai benefici in termini di work-life balance. Tra le insidie da superare c'è stato l'over working che alcune aziende hanno tenuto a bada con un'adeguata netiquette. A valle dei lunghi mesi in cui i processi organizzativi sono forzatamente cambiati per necessità, si è iniziato a parlare anche di working from anywhere, delle sue potenzialità e degli interventi a supporto per la sua realizzazione. «I lavoratori si sono scoperti molto produttivi, e spesso anche di più, anche fuori dagli uffici – ha spiegato Monica Parrella, Adjunct Professor Luiss Business School – Per questo i datori di lavoro hanno bisogno di far comprendere che esistono buone ragioni anche per tornare in parte a lavorare nelle ordinarie sedi di lavoro. Se è vero che il lavoro individuale si fa benissimo e forse meglio da casa, è soprattutto attraverso le interazioni  fisiche che si  innova,  si cresce, si impara gli uni dagli altri. Per questo vanno riprogettati gli uffici. Lo smart working è in transizione e non esiste una soluzione unica. La sfida è manageriale e di leadership». Pandemia, sanità e digitale: verso lo smart patient Un esempio delle grandi potenzialità legate allo smart working lo ha offerto il settore sanitario. Dall'inizio della pandemia sono state avviate visite d'emergenza su piattaforme online, lavori in team dislocati in più luoghi diversi e la stessa campagna vaccinale senza il digitale non avrebbe preso avvio facilmente. Abbiamo assistito anche alla nascita del problem networking, cioè la capacità di risolvere problemi in un network che non è più dentro l'organizzazione, ma fuori o anche a metà strada. Lo ha osservato Daniele Piacentini, Direttore Risorse Umane Policlinico Gemelli. «Per fare smart working ci sono quattro elementi essenziali: lo smart worker, ancora da costruire, lo smart office, gli smart leader, adattivi e inclusivi, ma soprattutto gli smart patient – ha sottolineato Piacentini, aggiungendo – Rendere emotivamente piacevole l’interazione digitale nella relazione con i pazienti sarà la prossima sfida della sanità». Leadership e formazione: strategie vincenti Ma la vera tecnologia restano le persone: cambiare mindset e attitudeè necassario per realizzare la digital transformation nell’organizzazione del lavoro. A dimostrare questa teoria durante la pandemia è stata la classe dirigente, soprattutto nei casi in cui dirigenti e i manager hanno esercitato prevalentemente la cultura del controllo e dell'over working per monitorare la produttività. In alcuni ambiti come la Pubblica Amministrazione, dove le carenze sulla digitalizzazione sono più ampie, c'è chi è stato lasciato indietro senza essere recuperato.  «Già prima della pandemia la Regione Lazio si è occupata di smart working, inquadrandolo nella trasformazione digitale, anche come organizzazione agile – ha spiegato Alessandro Bacci, Direttore Affari istituzionali, Personale e Sistemi Informativi della Regione Lazio – Ma durante la pandemia ci siamo trovati ad affrontare l'incapacità di alcuni nostri capi nel trattare i dipendenti a distanza. La formazione sarà indispensabile per realizzare il cambiamento che permetterà di superare la cultura dell’ufficio tradizionale e del modello comando-controllo». Condividere valori e obiettivi dell'azienda diventa cruciale per uno smart working efficace ed inclusivo. Ma non esiste smart working senza remote leadership. Nelle forme ibride di lavoro in presenza e da remoto saranno necessari capi team capaci di gestire persone in presenza e a distanza. «La leadership diffusa sarà fondamentale. Connettersi, ispirare e innovare sono i tre concetti chiave che guideranno il ritorno in ufficio. I leader dovranno essere dei community manager, animatori delle loro comunità. È in questo scenario che la formazione diventa indispensabile», ha sottolineato Rossella Gangi, Direttrice Risorse Umane WINDTRE. «In Terna abbiamo concepito un programma in sette cantieri per trasformare l'emergenza in cambiamento – ha sottolineato Emilia Rio, Direttore Risorse Umane e Organizzazione di Terna – nuova leadership, people care, metodo di ascolto, semplificazione, sostenibilità, digitalizzazione, riprogettazione degli spazi. Il digitale amplia i confini e può diventare disorientante: la nostra sfida è comprendere dov'è quel confine, cosa possiamo fare e permettere che le persone diventino consapevoli. In questo contesto abbiamo una grande opportunità di crescita responsabile delle nostre persone». Il futuro dello smart working La legislazione vigente sembra sufficientemente garantista sul fronte del diritto alla disconnessione e over working per gli impiegati. Le aziende si augurano che non ci siano interventi restrittivi per poter sfruttare appieno tutte le potenzialità dello smart working, impegnandosi a trasmettere una vision che faccia sentire tutelato il lavoratore dalle “invasioni” digitali nella sfera privata. «Le persone devono stare al centro – ha spiegato Andrea Langfelder, Human Capital Management Strategy Leader di Oracle Italia, che ha anche portato casi concreti di aziende che proprio grazie alle applicazioni Oracle Cloud hanno saputo rendere più semplice, piacevole e produttiva l’esperienza di lavoro delle proprie persone in questo periodo, come ad esempio illycaffè, Mondadori, Poste Italiane – Saranno sempre le persone a fare la differenza insieme alle capacità di leadership. La tecnologia è solo un facilitatore, che ci ha permesso di continuare a vivere e fare business, oltre a trovare un nuovo e migliore equilibrio tra vita professionale e vita privata». RIVEDI IL WEBINAR 20/07/2020

18 Marzo 2021

Leader for Talent con Claudio Costamagna, Presidente esecutivo di CC & Soci

Claudio Costamagna, Presidente esecutivo di CC & Soci, banchiere e dirigente d'azienda italiano, Presidente di Cassa depositi e prestiti da luglio 2015 a luglio 2018 e attualmente Presidente esecutivo di CC & Soci, ha incontrato gli studenti dei master Luiss Business School nell’ambito della serie “Leader for Talent #L4T”. L’iniziativa mette a confronto a confronto i talenti in aula con i leader del nostro tempo, per un’opportunità unica di condivisione e apprendimento, in una cornice interattiva ed esclusiva. I fattori che determinano una carriera di successo e i cambiamenti culturali del capitalismo familiare italiano per la ripartenza del Paese sono stati i temi al centro dell’incontro. RIVEDI IL WEBINAR Costruire una carriera di successo: quali consigli? Sono tre i fattori imprescindibili per costruire una carriera di successo. Innanzitutto, la passione, in cui il ruolo dell’università è fondamentale per scoprirla e poi lasciarsi guidare nelle scelte professionali. Non è possibile dedicarsi bene al proprio lavoro senza passione. Avere passione significa anche mettersi in discussione quando si ha successo, ponendosi nuove domande per non dare risposte automatiche. Secondo fattore è la reputazione, che ci anticipa prima che le persone ci conoscano. Bisogna lavorare sulla reputazione sin da piccoli e fare scelte in base all’impatto che deriverà sulla reputazione. Terzo fattore è la fortuna, come attitudine alla vita. Ritenersi una persona fortunata porta la fortuna al proprio tavolo, favorisce la reputazione e aiuta a sviluppare le proprie passioni. Le grandi opportunità nascono dalle crisi: qual è la ricetta per la ripartenza del Paese? Abbiamo bisogno di un cambiamento culturale che riguarda specialmente il capitalismo familiare che caratterizza la nostra economia. Questa trasformazione è in realtà già in corso: se fino a 10 anni fa il passaggio generazionale era automatico, oggi questo automatismo non è più scontato e altri fattori diventano dirimenti nelle decisioni legate alla successione, come la passione e le competenze per diventare imprenditori. Questo cambiamento si concretizza inoltre in una maggiore apertura del capitale alla borsa e al private equity, per invertire la rotta da una crescita fatta sul debito, che non è sana. Queste trasformazioni permetterebbero al Paese di avere aziende più grandi e competitive, perché aprire il capitale è la strada per fare acquisizioni e investire in tecnologie. Qual è il futuro dei business model bancari? Il modello di business delle banche retail tende oramai ad essere superato dalle startup e dal fintech: la grande banca non sempre ha la capacità di evolvere in questa direzione e sviluppare al proprio interno queste soluzione è una grande sfida. I modelli delle banche di investimenti sono invece più flessibili, ma in generale tutto il sistema bancario dovrebbe fare una riflessione su come reinventarsi investendo in questi settori. A differenza dei Paesi vicini e con economie simili alla nostra, facciamo fatica a costruire una classe dirigente? Le nostre aziende avrebbero senz’altro bisogno di leader più coraggiosi, che ambiscano a diventare leader internazionali. Dal punto di vista manageriale invece, troviamo sempre italiani in posizioni di vertice all’estero: ciò dimostra che i nostri talenti non trovano possibilità di crescita nel Paese. Dovremmo quindi ripensare alle leve che ci permettano di valorizzare e trattenere questa classe manageriale, oltre che di giudicare diversamente il merito. RIVEDI IL WEBINAR 18/03/2021

09 Marzo 2021

Leader for Talent con Melissa Ferretti Peretti, AD American Express Italia

Melissa Ferretti Peretti, AD American Express Italia, ha incontrato gli studenti dei master Luiss Business School nell’ambito della serie "Leader for Talent #L4T". L’iniziativa mette a confronto a confronto i talenti in aula con i leader del nostro tempo, per un’opportunità unica di condivisione e apprendimento, in una cornice interattiva ed esclusiva. Le doti e le attitudini di leader e talenti, tra coraggio, ambizione e capacità di motivare, e come l’accelerazione digitale ha ridisegnato gli equilibri aziendali e l’esperienza dei clienti sono stati i temi al centro dell’incontro. RIVEDI IL WEBINAR Quali caratteristiche identificano un leader? Tra le caratteristiche principali di un leader c’è il coraggio, come forza di uscire dalla propria zona di comfort e affrontare nuove sfide. Un leader è pronto e determinato ad assumersi le responsabilità delle proprie decisioni affrontandone le conseguenze. Un leader inoltre non si sente mai arrivato, resta umile ed è sempre disposto a imparare. È fondamentale che un leader sappia motivare il proprio gruppo di lavoro: da questo punto di vista, credere nella mission aziendale rende anche più semplice riuscire a trasmetterla al team. Leadership al femminile: quali sono i tratti essenziali? A mio parere non ci sono tratti che caratterizzano una leadership femminile. Ci sono buoni leader e cattivi leader. Quali sono i tuoi consigli per raggiungere posizioni apicali in azienda? È indispensabile liberare la parola ambizione dalla connotazione tendenzialmente negativa che spesso la circonda, soprattutto tra le donne. Si pensa che l’ambizione sia un termine estremamente egoistico e autoreferenziale, invece avere fiducia in sé stessi ed essere consapevoli che si può arrivare dove si vuole è un motore fondamentale per chi vuole crescere. Per realizzare i propri sogni bisogna addentrarsi in territori sconosciuti: per questo è necessario non temere di cimentarsi in campi in cui non si è super competenti, chiedendosi cosa si può imparare. Come scegli un talento che possa entrare far parte del tuo team? L’aspetto fondamentale in un talento è il “grow mindset”. È una questione di attitudine: i professionisti che pensano di poter sempre imparare e non vedono l’ora di uscire dalla propria area di comfort per mettersi in discussione hanno senz’altro una marcia in più. In base alla tua esperienza, in che modo è possibile mantenere una posizione di leadership? Oltre a essere capaci di mettersi sempre in gioco, è fondamentale circondarsi di persone competenti in settori diversi, da cui poter imparare senza la paura che qualcuno ci possa scalzare. Un leader non deve necessariamente conoscere tutto, ma deve sicuramente saper motivare validi collaboratori e indirizzarli per riuscire a raggiungere gli obiettivi. Come si declina la trasformazione digitale per American Express in Italia? Nell’approccio alla trasformazione digitale, due sono le traiettorie in cui sta investendo e crescendo American Express in Italia.  Da un lato c’è lo sviluppo di tecnologie e servizi con l’obiettivo di migliorare il rapporto con i clienti, quindi investimenti per potenziare i processi di on boarding e partnership con nuovi player tecnologici per cogliere le opportunità dell’online banking. Ulteriori investimenti riguardano lo sviluppo di esperienze mobile first: l’Italia è il Paese con la penetrazione di smartphone più elevata in Europa e la direzione verso cui stiamo puntando è permettere a tutti i clienti di accedere in tempo reale a tutti i servizi tramite l’app American Express, in modo sicuro, semplice e immediato. L’altro aspetto è la digitalizzazione del lavoro in American Express, con l’accelerazione dovuta alla pandemia. American Express aveva già introdotto lo smart working nel 2015 e i nuovi investimenti sono stati necessari per garantire la sicurezza, mantenere inalterati gli standard del servizio e un livello di engagement molto alto, con un focus sulle priorità strategiche. È stata arricchita la formazione per i dipendenti e sono stati messi a disposizione servizi di well being e telemedicina. Questa evoluzione del modo di lavorare sarà uno degli effetti più duraturi della pandemia e sarà fondamentale trovare il giusto equilibrio tra interazione umana e smart working. RIVEDI IL WEBINAR 9/3/2021

07 Febbraio 2021

La sovranità nell’era del Covid-19: il webinar Luiss Business School

Come è cambiato il concetto di sovranità al tempo della globalizzazione e dei sovranismi? E cosa significa sovranità ai tempi del Covid, quando le restrizioni della libertà personale hanno materializzato “la presenza del Sovrano con tutta la forza dello ius imperii per penetrare con irruenza nelle nostre vite”? A partire dalle riflessioni del libro “La nuova sovranità. Un saggio” di Leonardo Bellodi se ne è discusso a un webinar organizzato da Luiss Business School per il ciclo “Appunti per l interesse nazionale”, in collaborazione con l Associazione “Davide De Luca – Una vita per l Intelligence”. A introdurre i lavori, Paolo Boccardelli, Direttore Luiss Business School: “Io credo che, per la comunità Business School, questo tema della nuova sovranità e di come debba evolvere in un quadro di cooperazione internazionale nuova sia davvero un’area di grande interesse a cui guardare con attenzione”, ha sottolineato. Secondo il Presidente Onorario Associazione Davide De Luca, Gianni Letta, oggi è necessario un ripensamento dell’ordine internazionale dei rapporti multilaterali, non solo in campo economico: “Il cambiamento del concetto di sovranità, le tensioni internazionali e le nuove dimensioni delle globalizzazioni impongono un ripensamento del modo di intendere le relazioni tra gli stati e come coordinarle per un nuovo concetto di relazioni internazionali”. Oggi “c’è da riscrivere una formula di multilateralismo che non puo essere basata su teorie globaliste”, ha spiegato il ministro per gli Affari europei, Vincenzo Amendola: “La nuova sovranità si basa sulla presenza del concetto di interdipendenza come concetto fondamentale ma non può non lasciarsi alle spalle un principio di non interferenza che non ci porterebbe a riorganizzare un modello multilaterale interessante per il nostro interesse nazionale”. Parlando di sovranità oggi non si può non parlare di sovranismo. Secondo il presidente del Copasir, Raffaele Volpi, “se i nazionalismi si trasformano in sovranismi e i sovranismi in egoismi, vuol dire che abbiamo fallito. In questo caso – ha spiegato – bisogna mettere in campo i nostri valori e le nostre radici e come declinarle nel contemporaneo”. “Da una parte il Covid ci ha dimostrato che i sistemi nazionali non sono sufficienti di fronte a un evento di simile portata, dall’altra dobbiamo rivolgerci al sistema di approvvigionamento nazionale”, ha spiegato Paola Severino, Vice Presidente Università Luiss Guido Carli. Per Giampiero Massolo, Presidente Fincantieri, oggi viviamo un paradosso: “Mentre cresce l’esigenza di avere Stati integri ed efficienti, come è successo col Covid, gli Stati si sgretolano sotto la spinta di attori che portano alla destrutturazione della sovranità”, ha spiegato. Secondo Leonardo Bellodi, “lungi dall’essere destinata all’estinzione la sovranità può uscire rafforzata ed esaltata dalla crisi d identità imposta dal virus, nel momento in cui si fa carico di un più vasto sistema di valori e di responsabilità nei confronti dell'umanità” RIVEDI IL WEBINAR   7/2/2021

13 Novembre 2020

Appunti per l’interesse nazionale: il nuovo atlante del mondo

Un webinar organizzato nell’ambito del ciclo "Appunti per l’interesse nazionale", con Franco Bernabè, Presidente Cellnex Telecom, Maurizio Molinari, Direttore la Repubblica, e Fabrizio Palermo, Amministratore Delegato e Direttore Generale Cassa Depositi e Prestiti. Introdurrà i lavori Gianni Letta, Presidente Onorario Associazione Davide De Luca – Una Vita per l’Intelligence. RIVEDI IL WEBINAR     Il 1 dicembre alle 17.30 con Franco Bernabè, Presidente Cellnex Telecom, Maurizio Molinari, Direttore la Repubblica e Fabrizio Palermo, Amministratore Delegato e Direttore Generale Cassa Depositi e Prestiti, si terrà un nuovo appuntamento dei webinar organizzati nell’ambito del ciclo "Appunti per l’interesse nazionale", in collaborazione con l’associazione "Davide De Luca – Una vita per l’Intelligence". Un’opportunità unica per confrontarsi sul futuro degli equilibri internazionali anche alla luce dell’esito del voto USA 2020 e sulle partnership nelle relazioni politiche, economiche e commerciali, per cogliere le opportunità del digitale e delineare nuove strategie di fronte all’evoluzione di una società globalmente connessa. Introdurrà i lavori Gianni Letta, Presidente Onorario Associazione Davide De Luca – Una Vita per l’Intelligence. AGENDA  Interventi istituzionali Paolo Boccardelli, Direttore Luiss Business School Gianni Letta, Presidente Onorario Associazione Davide De Luca – Una Vita per l’Intelligence Ne discutono: Franco Bernabè, Presidente Cellnex Telecom Maurizio Molinari, Direttore la Repubblica Fabrizio Palermo, Amministratore Delegato e Direttore Generale Cassa Depositi e Prestiti Il webinar è gratuito, per partecipare è necessaria la registrazione. REGISTRATI  RIVEDI IL WEBINAR 13/11/2020

09 Luglio 2020

Il Piano Transizione 4.0: le nuove agevolazioni fiscali

Il credito d’imposta per ricerca, sviluppo, innovazione, design e per l’acquisto di beni strumentali RIVEDI IL WEBINAR   In collaborazione con il Ministero per lo Sviluppo Economico Il Piano Transizione 4.0 è il progetto del Ministero per lo Sviluppo Economico che disegna una nuova politica industriale per il Paese, in cui innovazione, investimenti green e sostenibilità, creatività e design sono imprescindibili motori per la ripartenza. La Legge di Bilancio 2020 contiene le misure del Piano e amplia in particolare le agevolazioni economiche a sostegno della trasformazione digitale delle imprese, rispetto al precedente piano “Industria 4.0”. Il webinar illustrerà le principali misure fiscali introdotte con il nuovo Piano e la legge di Bilancio e in che modo il credito d’imposta ricerca, sviluppo, innovazione e design, il credito d’imposta formazione 4.0, il credito d’imposta per investimenti in beni strumentali incentivano e supportano la crescita e la competitività delle nostre imprese. PROGRAMMA Introduzione dei lavori Luca Olivari, Adjunct Professor e Project Leader Business Consulting Area, Luiss Business School Interventi  Il credito d’imposta per i beni strumentali Marco Calabrò, Dirigente Divisione IV – Politiche per l’innovazione e per la riqualificazione dei territori in crisi, Direzione Generale per la politica industriale l’innovazione e le PMI, Ministero dello Sviluppo Economico La proroga del credito d’imposta per la formazione 4.0 Luca Fioravanti, Dottore Commercialista, Business Consulting Area, Luiss Business School Il credito d’imposta ricerca, sviluppo, innovazione e design Luca Romanelli, Dottore Commercialista, Studio Puri Bracco Lenzi e Associati Modera: Luca Olivari, Adjunct Professor e Project Leader Business Consulting Area, Luiss Business School Q&A Per partecipare al webinar è necessaria la registrazione REGISTRATI RIVEDI IL WEBINAR Che cos’è il credito d’imposta 2020 e cosa prevede  Credito d’imposta per imposta per investimenti in beni strumentali: si propone di supportare e incentivare le imprese che investono in beni strumentali nuovi, materiali e immateriali, funzionali alla trasformazione tecnologica e digitale dei processi produttivi destinati a strutture produttive ubicate nel territorio dello Stato Credito d’imposta ricerca, sviluppo, innovazione e design: si propone di stimolare la spesa privata in ricerca, sviluppo e innovazione tecnologica per sostenere la competitività delle imprese e favorire i processi di transizione digitale e nell’ambito dell’economia circolare e della sostenibilità ambientale Credito d’imposta formazione 4.0: si propone di stimolare gli investimenti delle imprese nella formazione del personale sulle materie aventi ad oggetto le tecnologie rilevanti per la trasformazione tecnologica e digitale delle imprese.

02 Luglio 2020

Leadership e gestione remota nella nuova impresa digitale

Da people leader a “e-leader” di collaboratori remoti: un webinar per approfondire le best practice di Smart Working e le innovazioni necessarie per convertire l’esperienza dell'emergenza in una grande opportunità di trasformazione digitale del Paese. RIVEDI IL WEBINAR L’emergenza sanitaria ha dimostrato che le imprese più resilienti sono state quelle già organizzate per avvantaggiarsi subito delle potenzialità delle tecnologie digitali. Durante il lockdown questa condizione ha riguardato non più del 30% delle imprese italiane, coinvolgendo circa 8 milioni di italiani che hanno potuto continuare a svolgere la propria attività in sicurezza lavorando da remoto. L’insegnamento da trarre è che non si può e non si deve tornare indietro: nella fase di ripartenza i passi giusti da fare sono dunque quelli di estendere e completare i processi innovativi avviati. Implementare lo Smart Working significa mettere il lavoratore al centro dei processi produttivi, spostando la misurazione del merito dal quanto lavorato ai risultati, con la possibilità di un migliore bilanciamento tra vita privata e lavoro, in un circolo virtuoso con impatti importanti sulla crescita della produttività aziendale e sulla sostenibilità ambientale. Nel corso del webinar verranno presentati i risultati del rapporto dello Steering Committee "Competenze e capitale umano" di Confindustria Digitale e dell’indagine di Luiss Business School su "Smartworking durante la pandemia Covid 19". (Leggi la preview dell'indagine Luiss Business School su Il Sole 24 Ore, 15 luglio 2020) Programma Dalle esperienze delle imprese ICT alle strategie di e-leadership Conversazione tra:  Cesare Avenia, Presidente Confindustria Digitale Paolo Boccardelli, Direttore Luiss Business School Stefano Venturi, Presidente Steering Committee Competenze e capitale umano Confindustria Digitale Una nuova cultura digitale nel lavoro Ne discutono: Laura Di Raimondo, Direttore Assotelecomunicazioni-Asstel Massimo Giordani, Marketing Strategist, Presidente "Associazione Italiana Sviluppo Marketing" Guelfo Tagliavini, Consigliere Federmanager   Dibattito   Conclusioni Cesare Avenia, Presidente Confindustria Digitale Per partecipare è necessaria la registrazione.  REGISTRATI  RIVEDI IL WEBINAR 2/7/2020 

17 Giugno 2022

«Primi servizi Gaia X al summit di Parigi a novembre, lavoriamo a un hub negli Usa»

Parla l'ad Francesco Bonfiglio che giudica fondamentale per il ruolo dell'Europa la creazione di data space comuni Anticipazioni su servizi Gaia X al summit di Parigi di novembre e primi servizi sul mercato a fine anno. A fare un punto è Francesco Bonfiglio, ceo dell'associazione Gaia-X, un progetto nato nel 2019 in Germania con l'obiettivo di creare un'infrastruttura federata di servizi cloud a livello europeo. Ora, a due anni dalla creazione dell'associazione no profit, i temi sul tappeto sono la sicurezza, e su questo fronte Gaia X si è allineata ai tre standard dettati dall'agenzia europea Enisa, e la creazione di data space europei, oggetto di molte critiche da parte di chi ha timori sulla condivisione dei dati. Sul primo fronte, spiega Bonfiglio a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School), «non credo che la polemica rispetto alla partecipazione di attori non europei, americani e asiatici, abbia senso di esistere. Noi ed Enisa stiamo definendo regole europee che garantiscono la sicurezza dei dati nazionali». Sul secondo «se pensiamo che l'Europa possa avere un ruolo nell'economia senza controllare le piattaforme dove si scambino i dati stiamo fallendo». Sulla base di queste premesse Gaia X si aprirà sempre più anche ai Paesi extra europei che vogliano condividere il set di regole dell'associazione. Bonfiglio volerà a breve in Qatar e si lavora a un hub statunitense, in Texas. Rispetto al piano quinquennale lanciato l'anno scorso da Gaia X avete riscontrato ritardi, anche alla luce della mutata situazione geopolitica? Il piano è rimasto invariato. Il 2021 è l'anno di costituzione dell'associazione e abbiamo ottenuto i risultati che volevamo, definendo le specifiche, l'architettura, le regole. Il secondo obiettivo era quello di definire le specifiche tecniche dei federation services, dei servizi che Gaia X si propone di realizzare in modo da implementare un modello distribuito alternativo a quello ipercentralizzato degli hyperscaler. Anche questo è stato fatto. Il terzo obiettivo è avviare un progetto di servizi completi da immettere sul mercato. Ci siano riusciti; l'anno scorso si è chiuso molto bene. Che cosa vi aspettate per il 2022, riuscirete a centrare l'obiettivo di immettere sul mercato i primi servizi? Il 2022 è l'anno dell'adoption. Quest'anno, dunque, l' obiettivo è la definizione della compliance, ovvero di quei componenti software che messi assieme e "inscatolati" in un luogo virtuale possano far ottenere o meno un certificato di conformità riguardo a Gaia X. In quest'ambito siamo a metà del guado, ma stiamo procedendo secondo piani di marcia precisi. Nel 2022, inoltre, c'è un fenomeno interessante, difficile da gestire. Da una parte ci sono i membri di Gaia X che si sono riuniti in consorzi, come quello dell'automotive o dell'agrifood; in parallelo ci sono working group sui data space che stanno lavorando su settori importanti, ad esempio l'health care. Dopo la pandemia, infatti, ci sono la necessità e l'aspettativa di avere data space comuni, ad esempio, per i dati sanitari, mettendo assieme ricerca, ospedali, case farmaceutiche e Paesi diversi. I progetti stanno marciando, entro la fine dell'anno ci saranno i primi servizi. Su quali tipi di servizi state lavorando? Abbiamo varie categorie di servizi: la compliance che permette di validare la carta d'identità di un servizio digitale, verificando se un servizio è trusted o meno, se è verificabile, trasparente e controllabile. La label ci dice se il servizio è buono o cattivo, non è l'associazione a deciderlo ma un governo sovrano oppure un settore come quello dell'energia o delle banche. Si definiscono cioè etichette, un insieme di valori che devono essere soddisfatti. Noi, ad esempio, abbiamo definito una label Gaia X basata su un insieme di oltre 50 regole desunte da tutta la regolamentazione europea. Su questo punto vorrei soffermarmi: Gaia X, infatti, introduce una forte spinta all'automazione della regolamentazione in un mondo dove vengono prodotte migliaia di pagine di regole che devono essere facilmente traducibili, pena costituire un ostacolo per il mercato. Soprattutto per le pmi, che non possono permettersi di investire nella comprensione della regolamentazione. Bisogna, quindi, passare a un modello in cui le certificazioni possano essere verificate automaticamente da Gaia X. Mostreremo qualche anticipazione già al summit di Parigi di novembre prossimo. Garantirete anche la sicurezza, fattore, alla luce del conflitto e nel contesto generale sempre più importante? Assolutamente sì. Uno dei problemi fondamentali della sicurezza è la capacità di identificare chi eroga il servizio, chi lo gestisce, e la sua struttura. Poter ispezionare un servizio è uno degli obiettivi di Gaia X. Anche la sicurezza è fatta di regole. L'Enisa, ovvero la recente Agenzia europea per cybersecurity, sta lavorando su tre livelli di label: fondamentale, intermedio e alto. La scelta di Gaia X è stata quella di allinearci, prevedendo ugualmente tre livelli. C'è una grande discussione sul livello 3 di Enisa che è quello più stringente e alcuni operatori extra europei si stanno lamentando del set di regole considerandolo troppo restrittivo. In pratica si richiede che i servizi siano erogati in Europa da erogatori europei e che ne sia conosciuta la struttura, senza controlli da parte di aziende o giurisdizioni non europee. Torniamo cioè al problema del conflitto tra il Cloud act americano e il Gdpr. In questo contesto serve e servirà sempre di più un approccio reg tech, per rendere le regole semplici e applicabili da tutti e dare garanzia all' utilizzatore delle tecnologie sulla loro affidabilità e conformità. In sintesi, quello che sta facendo Gaia X è, dunque, armonizzare un set di regole comuni, avere una tecnologia che le verifica, rendendo questo approccio aperto a chiunque voglia essere conforme. Le regole scelte da Gaia X si armonizzano con i requisiti del bando per il Polo strategico nazionale italiano? I principi sono gli stessi. Il Polo è una delle iniziative dei vari Stati membri per realizzare una piattaforma di servizi sicura che risponda a delle regole. Lo sforzo è di allineamento tra tutte le regole che l'Europa si dà anche attraverso Enisa. Trovo improbabile che una volta definito lo standard gli Stati membri non si adeguino. C'è tuttavia la polemica, soprattutto in materia di cybersecurity, rispetto alla partecipazione a questi progetti di attori non europei Non credo che la polemica rispetto alla partecipazione di attori non europei, americani e asiatici, abbia senso di esistere. Noi ed Enisa stiamo definendo regole europee che garantiscono la sicurezza dei dati nazionali. Credo che gli operatori dovranno solo fare la propria scelta, seguire le regole definite dall'Europa o no. Per me la seconda opzione non c'è perché in un mercato globale o si seguono le regole o non si lavora. Sono convinto che noi stiamo definendo regole del gioco in Europa a cui tutti quanti si adegueranno e che quello che stiamo facendo è utile anche fuori dall'Europa, interessante per Usa, Giappone, Corea. Quali gli sviluppi prevedibili fuori dall'Europa? In Gaia X abbiamo già molti membri non europei, abbiamo 17 hub di cui due non europei, in Giappone e Corea. A breve andrò a visitare diversi ministri in Qatar che hanno enorme interesse per quello che stiamo facendo. Sto, inoltre, avendo molte interlocuzioni con gli Usa ed è in uno stato avanzato il progetto di far partire il nuovo hub in Texas. Se trovassimo altre economie e Stati che vogliono portare al tavolo di Gaia X i loro progetti ben vengano. Ci sono altre critiche anche sul fronte della creazione di data space comuni, non tutti sono d'accordo a condividere i propri dati anche per ragioni di sicurezza La creazione di data space comuni è uno degli elementi portanti nel processo di digitalizzazione ed è fortemente voluto dalla Commissione europea. Se pensiamo che l'Europa possa continuare ad avere una catena del valore completamente chiusa tra i Paesi europei ci stiamo sbagliando, se pensiamo che l'Europa possa avere un ruolo nell'economia senza controllare le piattaforme dove si scambino i dati, stiamo fallendo. Quando creeremo reti che permettano di scambiare i dati è ovvio che queste catene del valore dovranno aprirsi ad altri Paesi, altrimenti tali catene si spezzano. Che interesse dovrebbero avere gli hyperscaler americani a partecipare a Gaia X? Gli Usa hanno proprie regole, ma si stanno muovendo molto rapidamente nel valutare quelle definite in Europa come il Gdpr. La California, ad esempio, sta valutando standard simili a quelli europei. Stanno capendo che il futuro dell'economia sarà fatto di infrastrutture economiche, di interconnessioni fisiche che siano affidabili per definizione. Noi stiamo creando un modello di riferimento che viene considerato non solo dall'Europa ma anche dagli altri Paesi come un antesignano. Vedo anch'io spesso polemiche da parte di chi non capisce il valore dei data space e si chiede il perché non ci si concentri sulla costruzione del cloud europeo. Questa è una mentalità che deve cambiare. Chi pensa che può stare sul mercato senza condividere i propri dati avrà grandi difficoltà a meno che non si chiami Google o Microsoft. Un progetto industriale di cloud europeo, invece, richiederebbe anni, ma se arrivasse un grande imprenditore e decidesse di investire trilioni di euro per un'infrastruttura cloud Gaia X compliant avrebbe le porte aperte. Per concludere credo che l'Europa abbia un grande bisogno di rebranding; c'è gente che dice che non sarà possibile colmare il gap tecnologico, e noi questo gap non lo abbiamo, oppure afferma che non sarà possibile colmare il gap di mercato, ma questo è colmabile per definizione perché altrimenti l'economia sarebbe stagnante. La regolamentazione cerca di rendere il mercato fair, ma non possiamo aspettarci che qualcuno risolva i nostri problemi e forse dovremmo smetterla di credere che la soluzione venga dagli altri. È quanto stiamo facendo con grande fatica e grande impegno. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 17/6/2022

17 Giugno 2022

Conferenza Stato Regioni: «Rischio stallo nella migrazione al cloud, serve tavolo»

Parla Michele Fioroni, coordinatore della commissione innovazione tecnologica e digitalizzazione della Conferenza Stato Regioni L'abilitazione tecnologica della pubblica amministrazione passa necessariamente dal cloud e, in vista della creazione del Polo strategico nazionale, le Regioni si sono dette disponibili a partecipare. Lo spiega a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) Michele Fioroni, coordinatore della commissione Innovazione tecnologica e digitalizzazione della Conferenza Stato Regioni. Tuttavia, nota Fioroni, le regole per la classificazione delle infrastrutture sono state riviste e saranno presentate solo a gennaio 2023. Di fronte a questa situazione di stallo occorre allora «un tavolo tecnico con il governo». «Regioni disponibili a collaborare per valorizzare investimenti nel cloud» La Strategia Cloud Italia, spiega Fioroni, «si prefigge l'obiettivo di migrare verso le infrastrutture cloud i dati e i servizi delle pubbliche amministrazioni e alla composizione del Polo strategico nazionale ovvero l'infrastruttura ad elevata affidabilità che ospiterà i servizi strategici e critici. Come coordinatore della Commissione per l'Innovazione tecnologica e la digitalizzazione fin dalla presentazione della Strategia Cloud Italia nel settembre del 2021 ho rappresentato la disponibilità delle Regioni a una collaborazione tecnica al fine di valorizzare le esperienze e gli investimenti regionali realizzati in questi anni. Vista l'eterogeneità del sistema infrastrutturale che ha caratterizzato e in parte tuttora caratterizza il nostro Paese, infatti, AgiD nel giugno 2019 ha condotto un censimento delle infrastrutture locali. I risultati hanno evidenziato ben 35 infrastrutture candidabili all'utilizzo da parte del Polo strategico nazionale». Le nuove regole per la classificazione emanate solo a gennaio del 2023» Il quadro di classificazione delle infrastrutture digitali fin qui adottato dallo Stato è, però, stato profondamente rivisto. «Il decreto dell'Agenzia per la cybersicurezza nazionale del 18 gennaio 2022, concernente la qualificazione dei servizi e delle infrastrutture cloud della pubblica amministrazione e la circolare Agid n.1/2022 hanno infatti modificato il quadro di riferimento, tuttavia le nuove regole per la classificazione verranno emanate solo a gennaio 2023. In quest'arco di tempo la qualificazione dei Csp (Cloud service provider) e dei Cloud IaaS (Infrastrutture-as-a-Service), PaaS (Platform-as-a-Service) e SaaS (Software-as-a-Service), secondo quanto previsto da AgID, rimane sospesa e non è chiaro come verranno attuate le attività di verifica e analisi dei sistemi delle pubbliche amministrazioni, né quali siano le infrastrutture conformi ai requisiti dell'Agenzia per la cybersicurezza nazionale per i dati e servizi critici e ordinari». Dal punto di vista di Fioroni «questa situazione di stallo è critica se vista in relazione alla strategia di migrazione al cloud delle Pubbliche amministrazioni prevista dal Pnrr. Durante la seduta della commissione per l'Innovazione tecnologica e la digitalizzazione del 16 maggio abbiamo, dunque, affrontato questa criticità su proposta di diverse Regioni e abbiamo concordato circa la necessità di istituire un tavolo tecnico con il Governo per addivenire ad una soluzione comune, necessità che abbiamo presentato, anche in relazione ad altri temi, in Conferenza delle Regioni e delle Province autonome a fine maggio scorso». In sostanza, continua il coordinatore della commissione, «il patrimonio delle Regioni, alla luce anche delle attività espletate ai sensi delle circolari AgiD, deve essere preservato e messo a sistema nella rete nazionale. In Umbria, ad esempio, attraverso una serie di iniziative progettuali, abbiamo portato avanti l'ulteriore qualificazione del data center regionale come Cloud service provider come richiesto dalla circolare AgID numero 2 del 2018». Le Regioni, sottolinea Fioroni, «in questi anni hanno prodotto un sistema di infrastrutture di estrema complessità ed oggi ospitanti in produzione migliaia di servizi e sistemi essenziali per l'azione amministrativa, sistema che deve essere valorizzato e che necessita al tempo stesso di essere aggiornato da figure professionali assunte stabilmente in organico per continuare ad adeguarlo alle sfide che si presenteranno. È essenziale lavorare in sinergia per valorizzare quanto di positivo è stato realizzato nel territorio nazionale e per implementare la non più procrastinabile migrazione al cloud ed a sistemi ad alta sicurezza dei dati e dei servizi delle pubbliche amministrazioni». «La digitalizzazione va accompagnata da un piano per adeguare le competenze» Un'attenzione particolare è richiamata anche al problema delle competenze necessarie per realizzare «la dematerializzazione dei processi della pubblica amministrazione». Una società interconnessa tramite i dati, spiega Fioroni, «è potenzialmente più aggregabile ed esposta. È questo il paradosso delle società digitalizzate che impone che la trasformazione digitale sia accompagnata da un consistente piano di adeguamento delle competenze che, nella pubblica amministrazione italiana, sono spesso condizionate da un'età media piuttosto elevata. Ma non solo; l'attuale quadro tecnologico è composto da tecnologie a rapida obsolescenza che impongono un processo di formazione continua per fare sì che il set di competenze delle persone sia sempre allineato all'evoluzione della tecnologia. Abbiamo più volte evidenziato al Governo come le pubbliche amministrazioni locali abbiamo la necessità di assumere personale qualificato da assumere al di là del Pnrr in maniera stabile e per poter garantire non solo la migrazione al cloud, ma anche la progressiva erogazione di servizi digitali ai cittadini e alle imprese». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 17/6/2022

17 Giugno 2022

Consorzio Italia Cloud: «Gara per il Psn occasione mancata, serviva più coraggio»

Parla Michele Zunino, ad di Netalia e presidente del Consorzio. Nel mondo delle Pa locali condizioni perché nascano alternative cloud al polo La gara per il cloud di Stato «è un'occasione mancata» e «bisognava avere più coraggio». È la posizione di Michele Zunino, amministratore delegato di Netalia e presidente del Consorzio Italia Cloud, in vista dell'assegnazione della gara per il Polo nazionale strategico che vede concorrenti la cordata Tim, Sogei, Leonardo contro Fastweb e Aruba. Quest'ultima cordata è data, secondo quanto anticipato dal Sole 24 Ore, per ora in vantaggio anche se la prima ha diritto a pareggiare l'offerta. Per Zunino, che sottolinea come nel mondo delle Pa locali ci siano le condizioni perché nascano alternative al polo, è fondamentale, al fine garantire la sovranità tecnologica, «avere il controllo anche dei servizi che vengono erogati e ciò avviene solo se l'erogatore del servizio ha il pieno controllo della tecnologia. Questa è la grande scommessa che stiamo facendo come Consorzio Italia Cloud». Come giudica la gestione della gara per il Polo nazionale strategico? È un'occasione mancata. La gara per il cosiddetto cloud di Stato poteva avere esternalità positive in termini di crescita di competenze delle Pmi italiane del settore. Bisognava avere un po' più di coraggio e andare oltre la messa in sicurezza dei dati della Pa per disegnare un percorso di medio-lungo termine che potesse essere di maggiore utilità al sistema Paese. Quello che poteva essere un grande disegno di politica industriale sembra oggi assomigliare di più a un appalto dove lo Stato e il privato si spartiscono il rischio. Ma non è chiaro come sarà accolto dalle amministrazioni: è una risposta che potremo darci solo tra qualche anno. Quello che è possibile percepire già adesso è che il mondo della Pa locale si sta attivando diversamente da quel progetto, quindi è molto probabile che ci saranno degli scenari di mercato diversi dal Polo strategico nazionale che sembra essere più indirizzato verso alcune delle grandi Pa centrali. Ma il mercato è molto più ampio e ci sono le condizioni perché nascano delle alternative. Come raggiungere l'obiettivo di rendere il cloud di Stato un'infrastruttura strategica per il Paese? Considerando il cloud come un'infrastruttura abilitante e non solo come uno strumento. Vedendolo cioè come un elemento a supporto di una serie di necessità dei mercati, dell'economia in generale e dei territori. Perché vedo così importante il tema del cloud? Stiamo vivendo un momento di grande trasformazione, e rischiamo di delegare agli strumenti di intelligenza artificiale gran parte della nostra competitività. Chi ha a disposizione una grande quantità di dati e capacità di calcolo, è già in grado di prevedere l'andamento di certi comportamenti dei soggetti economici e di conseguenza decidere su cosa e dove investire. Quello che ne deriva è che la capacità di calcolo e di sfruttamento legale dei dati della Pa può diventare una risorsa strategica all'interno di un sistema come il nostro. Pensare che tutta questa capacità di calcolo, di cui avremo sempre più bisogno. provenga da giganti economici che non rispondono al nostro perimetro giuridico-normativo e che potrebbero, in virtù di cambiamenti geopolitici, cambiare le condizioni di fornitura, è un rischio che abbiamo deciso di assumerci e che ci condanna alla dipendenza tecnologica. Si può mitigare questo rischio con una gestione italiana del cloud? Credo che questo rischio possa ancora essere mitigato. Il tema non è tanto la performance o l'aspetto di innovazione, ma è prevalentemente legato alla capacità di essere autonomi. Per fare un esempio, 10 anni fa abbiamo concluso una serie di accordi molto favorevoli all'Italia per la fornitura gas, senza preoccuparci di dotarci di un'alternativa. Senza differenziare le fonti. Quando sono cambiate le condizioni geopolitiche quello che era un elemento competitivo è diventato un ostacolo da gestire. Parallelamente, il rischio che vedo nel settore del cloud è che laddove affidassimo ai grandi player globali in forma esclusiva la capacità di calcolo della Pa, dovremo poi attenderci delle significative ripercussioni sul sistema, e non solo per chi non ha partecipato alla gara. Io credo che sia necessario fare distinzione tra la tecnologia di base ed il servizio operativo. Una cosa è comprare hardware e software dai produttori, disponibili su canali di vendita tradizionale, altra cosa è comprare servizi gestiti da soggetti che non rientrano in un ambito regolatorio comunitario, definito. Noi cloud provider italiani prendiamo tecnologie da ogni parte del mondo, anche perché non si può controllare la filiera tecnologica legata all'innovazione, ma garantiamo che la gestione tecnologica sia fatta secondo certi principi e schemi. È un quadro ben diverso quello che si ha quando i grandi provider sono già gestori della tecnologia e non solo fornitori di tecnologia. Diventano cioè fornitori di servizi. Di fronte a domande puntuali sulla capacità di definire il confine di titolarità dei loro dati hanno difficoltà a fare affermazioni definite, rimangono sul generico. Condivido, quindi, il pensiero del professor Baldoni (direttore dell'Agenzia della cybersecurity nazionale, ndr) che ritiene necessario avere il controllo degli impianti tecnologici. Il nodo resta quello di avere il controllo anche dei servizi che vengono erogati e ciò avviene solo se l'erogatore del servizio ha il pieno controllo della tecnologia. Questa è la grande scommessa che stiamo facendo come Consorzio Italia Cloud. Riteniamo che sia possibile farlo, sta succedendo in molti Paesi europei dove vengono definite regole più rigide. Come mai voi che all'inizio eravate in lizza non avete partecipato alla gara per il Psn? Il Consorzio ha valutato che non ci fossero le condizioni per partecipare, la gara era scritta in modo dettagliato e preciso, lontano dal modello che secondo noi andava promosso di valorizzazione degli investimenti già fatti. Pensare di fare tabula rasa delle competenze esistenti centralizzando tutto in un sistema nuovo non è quello che il consorzio intende fare. Vi candidate comunque a collaborare o formare future partnership con i vincitori? Sì, nella misura in cui le condizioni iniziali per questa gara sono cambiate molto nel tempo, c'è stata un'evoluzione, anche grazie alle attività del Consorzio. Il primo risvolto positivo è che le Pa non avranno obbligo di conferire i dati al Psn. Le Pa, dunque, hanno una certa libertà di scelta, soprattutto le locali. La gara si orienta prevalentemente alle Pa centrali e comunque non le obbliga. È molto significativa in tal senso la notizia che Inail, Inps e Istat hanno costituito una in house, una loro struttura. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 17/6/2022

17 Giugno 2022

«Per il controllo del cloud la scala critica è europea, il Vecchio Continente è indietro»

Parla Giuseppe Di Franco, ad di Atos Italia in vista dell'aggiudicazione della gara per il cloud della Pa. Necessario rendere interoperabili le piattaforme L'Italia sulla sua sicurezza del cloud «non è competitiva, non si può paragonare alla capacità di grandi poli come Usa e Cina, un livello ragionevole di scala critica per essere credibili nel controllo del dato è europeo». Giuseppe Di Franco, presidente e amministratore delegato di Atos Italia, fa un punto sullo stato del cloud nel nostro Paese in vista dell'aggiudicazione della gara per il Polo nazionale del cloud. «L'Italia – dice in un'intervista a DigitEconomy.24, report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School - si deve porre all'interno di un quadro europeo, oltre che su vaccini, sulla guerra, anche per quanto riguarda la trasformazione tecnologica». Di Franco sottolinea che occorre puntare, per il successo del Polo Strategico, sull'unificazione delle piattaforme, «sull'interoperabilità tra i soggetti diversi della Pa. Se, infatti, si unificano i dati ma restano piattaforme differenti, i dati stessi non potranno essere utilizzati». Al momento sono in gara due cordate: Tim, Sogei, Leonardo e Cdp e Aruba-Fastweb; quest'ultima, secondo quanto riportato di recente dal Sole 24 Ore, è in vantaggio, ma la prima ha diritto a pareggiare l'offerta. Si avvicina l'aggiudicazione del Polo nazionale strategico del cloud, quali gli elementi su cui lavorare? Il cloud è un percorso ineludibile di evoluzione tecnologica che le aziende pubbliche e private stanno intraprendendo; un trend unico e incontrovertibile nel mondo dell'Ict. Non si può essere né in accordo né in disaccordo. È un fenomeno tecnologico che introduce opportunità ed elementi di attenzione. Parlando del cloud di Stato, penso che, per quanto riguarda la Pa, il tema che resta aperto, una volta realizzato il cloud nazionale, è quello dell'unificazione delle piattaforme, ovvero consentire l' interoperabilità tra soggetti diversi della Pa. Per fare un esempio, realizzando il cloud nazionale, la cartella sanitaria non sarà automaticamente condivisibile tra Regioni e Governo o tra Regioni e Paesi europei. Lo diventerà se poi verranno unificate le piattaforme. Se, infatti, si unificano i dati ma restano piattaforme differenti, i dati stessi non potranno essere utilizzati. A spingere verso il risultato dell'unificazione non potrà essere l'impresa privata, ma le Regioni oppure il Governo. Quello su cui occorre avere consapevolezza è che il cloud di Stato è un passaggio infrastrutturale, non di servizio applicativo al cliente o al cittadino finale che è quello di cui c'è bisogno. È uno step, ma occorre conoscere il percorso ulteriore da compiere. Che ruolo può svolgere Atos in tal senso? In questo contesto il ruolo svolto da Atos è quello di lavorare alla creazione di piattaforme che, usando soluzioni cloud, consentano l'interoperabilità. È quello che stiamo facendo nel mondo Enel, forse il più evoluto da questo punto di vista, dove abbiamo completato integralmente il trasferimento al cloud. Stiamo lavorando alla realizzazione di servizi basati sul cloud che aumentino ulteriormente l'efficienza. Il cloud è il trampolino della digitalizzazione di Enel. Atos in Italia collabora, inoltre, con Google e Microsoft che stanno realizzando data center per supportare i percorsi di digitalizzazione. Saremo un provider importante di capacità elaborativa in entrambi i casi. Siete partner di Google e di recente avete partecipato al lancio della Region Google Cloud a Milano. Che rapporti avete col colosso americano? Atos ha un ruolo in questo lancio, noi siamo presenti; per noi Google è, infatti, un partner strategico. Abbiamo rapporti sia a livello di gruppo sia a livello italiano, lavoriamo su diversi progetti, pensiamo sia un momento molto significativo di posizionamento e localizzazione degli investimenti di Google in Italia. All'evento abbiamo presentato un progetto congiunto con Tim sull'intelligenza artificiale per la manutenzione predittiva delle reti prima che il guasto si verifichi. Si parla della necessità di avere un controllo della gestione italiano o, al limite, europeo, è d'accordo? Un elemento importante è sapere che all'interno dei data center dei colossi globali ci sono un cuore e una capacità elaborativa al 100% europea. Un altro fattore positivo è rappresentato dall'enorme opportunità di crescita di competenze e posti di lavoro; tutto questo apre a nuove opportunità e nuovi servizi e alla crescita del sistema economico. Gli investimenti avranno un effetto moltiplicativo enorme. Parlando di Atos, ad oggi da inizio anno sono state assunte 300 persone, stiamo scommettendo su un percorso positivo di queste 300 persone, oltre il 50% delle quali sono in ambito cloud. A livello nazionale penso si misurerà in decine di migliaia di posti di lavoro. Il vero nodo non sarà quello di aumentare postazioni di lavoro ma avere da università e formazione le risorse necessarie. Il collo di bottiglia è, quindi, la capacità di sfornare le posizioni richieste. L'Europa sta facendo abbastanza per competere con i giganti di Usa e Cina? Probabilmente uno degli aspetti più importanti è quello di mettersi al passo della ricerca scientifica e tecnologica. Atos in questo campo ha stipulato accordi con 8 diverse università italiane. Noi cerchiamo di dare un contributo per chiudere il gap di competenze che si è venuto a creare. Un secondo elemento è quello fare squadra a livello europeo, ad esempio prendere atto delle soluzioni, dell'assetto normativo che sta cercando di promuovere Gaia X. A che punto è, dalla vostra prospettiva, il progetto Gaia X? Molto deve essere ancora fatto per recepire le linee guida di Gaia X. L'Italia, ma anche l'Europa, sono indietro. Basti un dato: le società tecnologiche in Europa rappresentano il 2% della capitalizzazione di Borsa, come rilevato dal Forum Ambrosetti. È un dato che rende bene l'idea di quanto sia vecchia l'economia europea; il problema è coprire il gap, saper svolgere il gioco europeo di crescita. Atos, dal canto suo, oltre a essere tra i fondatori di Gaia X, è un'azienda europea, la logica che segue è quella degli accordi e delle alleanze. Oltre alla sovranità tecnologica c'è il problema della sicurezza Sì, il problema della sicurezza è un elemento di preoccupazione insito nel concetto di digitalizzazione. Concordo pienamente con Roberto Baldoni, direttore dell'Agenzia nazionale per la cybersicurezza, sul punto che la scala italiana non è competitiva, non si può paragonare alla capacità di grande poli come Usa e Cina. Penso che un livello ragionevole di scala critica per poter essere credibili nel controllo del dato è ancora una volta quello europeo. L'Italia si deve porre all'interno di un quadro europeo, come è successo per i vaccini anti Covid o per la guerra russo-ucraina. Penso che nella grande trasformazione tecnologica l'Italia debba avere un ruolo da giocatore europeo. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 17/6/2022

20 Maggio 2022

Dadone: «Al via 7 hub per superare il divario tra domanda e offerta di lavoro»

Il progetto Myc, ovvero "Match young competence", è rivolto agli under 35. «Sul digitale - dice la ministra - occorre permettere a tutti di acquisire le competenze» Novara, Verona, Brindisi, Guidonia, Vallo della Lucania, Enna e Nuoro. Sono le prime sette sedi scelte per il lancio, che avverrà probabilmente in autunno, dei Myc (Match young competence), sette hub per rafforzare la vocazione imprenditoriale e le competenze dei giovani, agendo sulla formazione e lavorando con aziende, realtà private e pubbliche, enti di formazione. L’obiettivo, annuncia a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) la ministra per le Politiche giovanili Fabiana Dadone, è quello di «superare il divario tra domanda e offerta di lavoro agendo sul disallineamento tra i profili e le competenze ricercate dalle aziende da un lato e la formazione e le esperienze dei giovani dall’altro». E di fronte alla carenza delle competenze digitali e in campo della cybersecurity in particolare, la ministra sottolinea la necessità di non perdere «quel treno di riorientamento organizzativo e quindi anche sociale e culturale» innescato dalla pandemia che «anzi andrebbe colto e rafforzato per permettere a tutti i cittadini, tanto nel settore privato quanto in quello pubblico, di acquisire competenze e conoscenze adeguate in un mondo sempre più smart, interconnesso e quindi anche esposto ai rischi cyber». Si tratta di un progetto sperimentale rivolto ai giovani e alle aziende, che permette alle realtà pubbliche e a quelle private dei vari territori di lavorare insieme, in maniera sinergica, con uno scopo unitario: sviluppare la vocazione imprenditoriale e rafforzare le competenze per l’autoimpiego e l’autoimprenditorialità degli under 35, puntando al lavoro e alla formazione dei giovani per contribuire allo sviluppo e al rilancio delle comunità territoriali. I Myc, in questa fase sperimentale, saranno realizzati a Novara, Verona, Brindisi, Guidonia, nel Cilento, ad Enna e Nuoro. Aziende, associazioni di categoria, università, istituti scolastici, ITS, enti locali, professionisti saranno impegnati insieme, in una cornice snella ma definita, per raggiungere obiettivi comuni, coordinati dal Dipartimento per le politiche giovanili e il servizio civile universale, per il tramite di Invitalia. Intendiamo con il progetto “Myc: match youth competence” superare il divario tra domanda e offerta di lavoro agendo sul disallineamento tra i profili e le competenze ricercate dalle aziende da un lato e la formazione e le esperienze dei giovani dall’altro. Ogni Myc offrirà servizi, svolgerà eventi informativi, orientativi e di incrocio domanda/offerta nonché percorsi di orientamento e formazione sulle competenze trasversali e su quelle imprenditoriali, guardando a una o più vocazioni territoriali specifiche: ad esempio la biotecnologia, la transizione ecologica, l’agroalimentare, la moda, il design, la logistica, la nautica, il marketing territoriale, la ristorazione e l’accoglienza, la cybersecurity, l’aerospazio, etc. Metodologie e format interattivi e altamente esperienziali, basati su simulazioni, gamification, role-playing, challenge, lavori di gruppo sono le leve con le quali ogni Myc offrirà i propri servizi in favore dei giovani non solo per trasferire conoscenze e competenze, ma per sviluppare il pensiero creativo, la capacità di risoluzione dei problemi e l’orientamento innovativo (c.d. growth mindset). Quali le esigenze che hanno portato allo studio di questo progetto e quali gli obiettivi? Ogni settore produttivo lamenta la difficoltà a trovare risorse umane formate, esperte, capaci. Con i 7 centri in via sperimentale cerchiamo di segnare una best practice che parta dalla mappatura dei fabbisogni e dell’esistente in termini di formazione e professionalizzazione per organizzare con tempi rapidi percorsi di orientamento e formazione ad hoc. Puntiamo a farlo però con il contributo di tutti gli attori dei territori e dei settori interessati. Sinteticamente i tre obiettivi centrali sono: facilitare la transizione scuola-lavoro, sviluppare la vocazione imprenditoriale nei giovani e favorire la realizzazione di stage di lavoro all’estero. I servizi e le attività dei Myc sono rivolti ai giovani in età scolare e post scolare (14-35 anni) e sono declinati su tre differenti ambiti di destinatari: studenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado (14-18 anni); studenti universitari (19-24 anni) e giovani disoccupati o in cerca di occupazione (19-35 anni) con uno sguardo ovviamente rivolto anche ai Neet. Quali sono i tempi stimati di realizzazione? Si stanno definendo gli aspetti organizzativi e amministrativi, l’individuazione delle sedi direzionali e il coinvolgimento dei primi partner di ciascun Myc nei vari territori. Prevediamo nel prossimo autunno di inaugurare i Myc per lanciare in via formale le linee di intervento in ambito orientativo, informativo, formativo e di incrocio domanda/offerta di lavoro.C'è in Italia, anche fra i giovani, un forte problema di competenze digitali e in particolare di cybersecurity, come si può risolvere e in che tempi? Lo sforzo messo in atto dai colleghi di Governo è ampio e sta cominciando a produrre i primi risultati. È evidente che il Paese ha un ritardo che in occasione della crisi pandemica è stato notevolmente ridotto anche per la necessità di ridefinire l’organizzazione del lavoro e dei servizi. Certamente quel treno di riorientamento organizzativo e quindi anche sociale e culturale non dovrebbe essere perso, anzi andrebbe colto e rafforzato per permettere a tutti i cittadini, tanto nel settore privato quanto in quello pubblico, di acquisire competenze e conoscenze adeguate in un mondo sempre più smart, interconnesso e quindi anche esposto ai rischi cyber. Il Pnrr può essere la soluzione, anche alla luce degli ultimi imprevisti avvenimenti come il conflitto russo-ucraino? Sicuramente. Anche se è sotto gli occhi di tutti che tra gli strascichi pandemici, la crisi causata dalla invasione russa in Ucraina e l’impatto di quest’ultima sui mercati e sui settori produttivi, le risorse stanziate per far fronte ai danni dal Covid-19 rischiano di essere fortemente intaccate nella loro utilità ed efficacia. Come coinvolgere le ragazze nello studio delle materie Stem? Educando e formando le famiglie, penso, innanzitutto. Purtroppo, veniamo da decenni di una certa cultura che ha da un lato spinto le varie generazioni a rincorrere la formazione scolastica classica, diremmo, o comunque umanistica a discapito di quella scientifica, tecnica o professionale. Dall’altro abbiamo subito un orientamento di genere della formazione, con evidenti ricadute in termini di impoverimento dell’offerta e di un conseguente mancato sviluppo, di una cultura sociale e familiare che vede uomo e donna paritari a lavoro, nella gestione delle cure familiari, etc. È un problema unico che va affrontato in maniera organica.Per quanto riguarda le materie scientifico-tecnologiche ci sono numerosi casi di campagne role model per permettere alle ragazze di vedere concretamente i risultati e le possibilità di donne che come loro hanno scelto la strada di una formazione tecnologica o scientifica. Credo che l’esempio, la testimonianza diretta, di “persone normali” rappresenti oggi per i nostri giovani in generale e per le ragazze in particolare la leva migliore per diffondere e divulgare le buone pratiche, le opportunità, le potenzialità del mondo in cui viviamo. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 20/05/2022

20 Maggio 2022

«Non si può rinunciare a cloud nazionale e strategia industriale europea»

Il direttore dell'Agenzia per la cybersicurezza nazionale (Acn) Roberto Baldoni parla a DigitEconomy.24 «Chi controlla la tecnologia tra 10 anni controllerà tutta la nostra vita. Non possiamo, dunque, rinunciare a un cloud nazionale che abbia gestione italiana e a una strategia industriale europea perché è in gioco il futuro, l'indipendenza e la prosperità dei nostri figli». Parla chiaro, nel corso dell'intervista a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School), il direttore dell'Agenzia per la cybersicurezza nazionale (Acn) Roberto Baldoni. L'importanza della sicurezza cibernetica è stata di recente sottolineata con l'approvazione della strategia nazionale di cybersicurezza per il 2022-2026; contempo il Cdm ha dato via libera all'ultimo Dpcm del perimetro cyber. Intanto l'Agenzia, che è diventata ente di diritto pubblico il 27 dicembre scorso con la pubblicazione dei regolamenti a meno di 4 mesi dalla sua partenza, punta a rafforzarsi nelle competenze e a breve ci saranno altri concorsi. Con l'obiettivo di arrivare a 800 dipendenti entro il 2028. A luglio, inoltre, ci sarà un "avviso" per le Pa locali, basato su fondi Pnrr, per allargare anche a questo fronte il rafforzamento della sicurezza informatica. Per legge dobbiamo arrivare a 300 persone per fine 2023, 800 per il 2028, di recente abbiamo messo a concorso i primi 61 posti per trovare competenze prettamente tecniche. Noi cerchiamo giovani, e per me giovane non si identifica con l'età, ma significa che conosce le più recenti tecnologie in modo molto dettagliato. A settembre ci sarà un nuovo concorso in cui, oltre a tecnici, cercheremo esperti legal e di cooperazione internazionale sulle materie cyber e della trasformazione digitale. Poi ci sarà un concorso per diplomati con esperienza tecnica cyber maturata sul campo. Le competenze necessarie si trovano in Italia? Le università stanno iniziando a sviluppare sensibilità forti in questo senso anche grazie alla nuove lauree professionalizzanti. Noi, come agenzia, siamo deputati anche a certificare in tal senso corsi di laurea, post diploma o di formazione continua. Stiamo creando una capacità in tal senso. In tutto in Italia al momento mancano 100mila figure, a livello mondiale sono carenti 3 milioni di posizioni. Questo è accaduto perché la trasformazione digitale è andata così veloce che la società non è riuscita a tenere il passo. Per queste ragioni dobbiamo orientare i nostri ragazzi, e soprattutto le nostre ragazze, a scegliere corsi di studio che sviluppino, anche in un contesto umanistico, spiccate capacità nel mondo digitale. Ne va del loro futuro, visto che con la trasformazione digitale alcune professioni diventeranno obsolete o saranno molto ridimensionate. Differentemente da quanto accaduto in passato, con l'Ai e il quantum si perderanno anche molte posizioni di professionisti finora considerate intoccabili. A questo punto la trasformazione digitale creerà nuove posizioni, ma dobbiamo avere una società in grado di intercettarle. Noi partiamo molto in ritardo, ma non è un cammino che possiamo non intraprendere. Uno dei compiti dell'Agenzia è proprio questo. Intanto aumentano i crimini informatici, quale ruolo ha il conflitto ucraino? C'è un aumento dei crimini informatici endemico che avviene dal 2010. Da quindici anni a questa parte, inoltre, la criminalità è man mano arrivata in questo mondo. Dopodiché ci sono stati due eventi: la pandemia e la guerra. Con la pandemia sono stati portati fuori dal "firewall aziendale" una serie di servizi informatici per abilitare il lavoro da casa degli impiegati. Se questo lavoro non è stato fatto a regola d'arte, si sono create nuove falle opportunamente sfruttate da criminali informatici per trafugare informazioni e bloccare i sistemi con i cosiddetti ramsonware. Tutto ciò ha aumentato ulteriormente i crimini. La guerra è stato un altro acceleratore, ma almeno fino alla settimana scorsa in misura molto inferiore di quanto ci aspettassimo. Ora che situazione registrate sul fronte cibernetico? Purtroppo, a partire dal 12 maggio scorso, registriamo un aumento di attacchi di tipo Distributed Denial of Service (DDOS) verso siti nazionali preceduti da campagne di scansione delle reti per capire quali siti non hanno le protezioni adeguate e poi procedere all'attacco. Ricordo che il DDOS è un attacco che non permette più l'accesso al sito della vittima anche se, fortunatamente, non crea problemi alla confidenzialità e alla integrità dei dati gestiti dalla vittima. Per cercare di difendersi è estremamente importante che gli esperti di sicurezza e i gestori dei sistemi informatici della pubblica amministrazione e del settore privato seguano le indicazioni dello Csirt che segue l'evoluzione della situazione degli attacchi nello scenario di crisi 24 ore su 24 dal 14 gennaio e per ogni campagna di attacco verso le nostre reti e i nostri siti, dopo aver analizzato la campagna, fornisce spiegazioni su come sta avvenendo e le misure di mitigazione da adottare. Si è potenziata nel frattempo la sicurezza delle infrastrutture cruciali? Si è fatto un grosso lavoro negli ultimi anni grazie alla legge sul perimetro di sicurezza nazionale cibernetica (ripresa anche da altre nazioni come gli Usa) per i servizi digitalizzati critici del nostro Paese, servizi la cui compromissione creerebbe problemi di sicurezza nazionale. Ovviamente, ci dobbiamo allargare e andare verso infrastrutture anche meno sensibili, però questo è un processo lungo. Il Pnrr ci sta dando in questo momento grande energia, l'Agenzia ha appena chiuso un "avviso per interventi di rafforzamento cibernetico", aperto alla Pubblica Amministrazione centrale e agli organi costituzionali, al quale hanno risposto una trentina di amministrazioni e, quindi, nei prossimi giorni partiranno i primi interventi di rafforzamento delle loro infrastrutture digitali che si concluderanno nei primi mesi del prossimo anno. Poi ci saranno altri interventi fruibili anche dalle stesse amministrazioni secondo un piano validato dall'Agenzia fino al 2026 che potrà anche usare altri fondi. A luglio è previsto un "avviso" per le amministrazioni locali sempre su fondi Pnrr. Quando si partirà in concreto col rafforzamento della Pa locale? Credo che potremmo partire a settembre-ottobre dell'anno prossimo, una volta valutate le proposte di intervento presentate. Inoltre, per alleviare il problema delle competenze, in Agenzia abbiamo un programma di assumere progressivamente personale distaccato delle PA per 3-4 anni che verrà formato da noi e ritornerà nella amministrazione di partenza dove sarà in grado di insegnare ai colleghi. A regime, avremo 200 persone in distacco. Vogliamo essere una fucina di competenza per il Paese. Il Pnrr vi consentirà di raggiungere l'obiettivo? L'Agenzia gestisce nel Pnrr l'obiettivo 1.5, siamo cioè il soggetto attuatore riguardo a 623 milioni di euro di cui 150 destinati alla Pa centrale e locale. Può sembrare una grande cifra ma non lo è e quindi non si potranno soddisfare tutte le richieste delle Pa, stiamo quindi cercando in particolare con le Regioni, di trovare ulteriori fondi all'interno del budget Pnrr, dedicato a settori specifici come la sanità o i trasporti, dove poter implementare progettualità di rafforzamento della sicurezza cibernetica delle infrastrutture digitali sanitarie. Secondo noi, infatti, almeno il 10% del budget di un progetto di trasformazione digitale dovrebbe essere dedicato alla cybersecurity. C'è un problema di dipendenza tecnologica in Italia e in Europa? Direi di sì. Purtroppo, negli ultimi venti anni l'Italia e l'Europa si sono adagiati su tecnologia prodotta da Paesi extra-europei e questo crea una dipendenza tecnologica. Se la tecnologia di infrastrutture digitali critiche di un Paese viene fornita da pochissimi produttori magari che hanno legami con governi che hanno valori diversi dai nostri, questo può condurre a scenari di crisi con problematiche simili a quelle che stiamo vivendo in questi giorni con l'approvvigionamento energetico. Ma è difficile produrre tutta la tecnologia necessaria nel nostro Paese… L'obiettivo non è produrre in casa tutta la tecnologia immaginabile, questo non è pensabile. Dobbiamo produrre alcuni tipi di tecnologie particolarmente sensibili come quelle di sicurezza informatica, ma non bisogna mai perdere le capacità, come Italia e come Europa, di analisi delle altre tecnologie digitali, quelle che non produciamo direttamente, a partire dai microprocessori. A cosa non si può rinunciare? Al cloud nazionale, ad esempio. Come Italia dobbiamo essere in grado di gestire una tecnologia di questo tipo. Il cloud è fatto, per semplificare, da una parte di tecnologia e una di operations. Né noi né l'Europa siamo in grado di soddisfare la parte tecnologica da soli. Occorre, quindi, lavorare per riuscire, magari tra 10 anni, ad avere un player europeo in grado di sviluppare quel tipo di tecnologia ed essere in grado di competere con i colossi extra-europei. Ma oltre alla parte tecnologica c'è quella delle "operations", occorre cioè essere in grado di controllare e gestire una rete di data center in modo da fornire servizi con alto grado di disponibilità su cloud. Ecco noi dobbiamo portare in Italia questa capacità nel più breve tempo possibile. La legislazione europea non ha giovato alla creazione di campioni tecnologici europei? La visione della Commissione era molto europocentrica, invece doveva essere globale. Questo è stato alla lunga un fattore negativo. Un'altra cosa fondamentale è sviluppare un'unica strategia industriale, questo significa come prerequisito avere nuove regole per gestire l'Unione europea, argomento che il presidente Draghi ha portato di recente in Parlamento europeo. Il rischio altrimenti è restare pesci piccoli che litigano in un piccolo acquario mentre gli squali fuori aspettano il momento di mangiarli. Come si può ovviare al problema dell'uso del Cloud act da parte degli Usa? Per la parte legata ai dati sensibili nazionali, sviluppando il cloud nazionale. Creando una propria "isola" che potrebbe usare all'interno tecnologia anche extra europea ma non connessa in modo stretto ai "continenti" rappresentati dalle reti dei datacenter delle multinazionali extra UE. In questo modo si può creare una barriera al Cloud act. Non possiamo dunque rinunciare a sviluppare tecnologia nazionale ed europea? Sì, non abbiamo alternativa, chi controlla la tecnologia tra 10 anni controllerà tutta la nostra vita. Non possiamo, dunque, rinunciare a un cloud nazionale che abbia gestione italiana e a una strategia industriale europea perché è in gioco il futuro, l'indipendenza e la prosperità dei nostri figli. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 20/05/2022

20 Maggio 2022

La start-up Cryptosmart pensa nell’ottica della Borsa e punta su nuovi mercati

I due co-ceo, Alessandro Frizzoni e Alessandro Ronchi, già fondatori di Go Internet e Aria, spiegano i piani dell'azienda e le prospettive del settore La start-up della criptovalute, Cryptosmart, guidata dai due co-ceo Alessandro Frizzoni e Alessandro Ronchi, guarda già da ora alla quotazione in Borsa e si prepara ad espandersi in altri Paesi come Francia e Germania. In un momento in cui le criptovalute sono sotto i riflettori internazionali e sempre più in discussione sotto vari profili, i due manager, già fondatori di Aria e Go Internet, spiegano a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore e della Luiss Business School) i piani futuri: «Il nostro obiettivo non è solo quello di portare un servizio dove è possibile fare trading di criptovalute, come nella cultura della maggior parte delle persone che si avvicina a questo tipo di moneta, ma creare un ecosistema dell’uso delle criptovalute nell’economia reale. La nostra è un’innovazione, non solo a livello italiano ma anche europeo; il nostro è il primo esempio di uso nella vita quotidiana. La società con questo obiettivo ha dato la possibilità di acquistare gift card digitali dei migliori marchi della grande distribuzione italiana dall’elettronica all’abbigliamento, senza alcuna intermediazione pagando in Bitcoin». Il primo servizio lanciato a settembre scorso Ronchi e Frizzoni hanno fondato, assieme ad altri soci, Cryptosmart a inizio 2021 e hanno lanciato a settembre scorso il primo servizio che permette di acquistare, vendere e trasferire criptovalute. «Noi veniamo dal mondo dell’innovazione avendo fatto già due esperienze professionali importanti: la creazione di Aria, che si era aggiudicata frequenze Wimax poi vendute a Fastweb, e il successivo lancio di Go Internet, società che abbiamo quotato e poi venduto nel 2019 a Linkem. Quindi abbiamo lanciato, a febbraio del 2021, la nuova start up sulle criptovalute».La società ha anche lanciato «servizi per le imprese che possono, integrando la piattaforma con aziende di e-commerce, farsi pagare in criptovalute. C’è grande interesse non solo da parte delle aziende che detengono piattaforme di e-commerce, ma anche da parte di chi non ce l’ha e ha iniziato ad aprire i cosiddetti wallet aziendali su Cryptosmart». «Italia Paese ideale per l’uso della criptovalute, ora istituito anche il registro» Con la recente istituzione del registro per le criptovalute, secondo i due manager, l’Italia è «un Paese ideale per l’uso di questo tipo di pagamento. D’altronde l’Agenzia delle entrate già da anni considera i pagamenti delle criptovalute come valute straniere e, quindi, quando si fanno acquisti in bitcoin non si deve pagare il capital gain se la giacenza è sotto i 51mila euro. Tutto ciò semplifica molto l’uso delle criptovalute nell’economia reale. Negli Usa, invece, ad esempio, se si compra il caffè con il bitcoin va calcolato il capital gain. Inoltre, se in una fase iniziale pensavamo che si trattasse di un mercato di nicchia, ci stiamo accorgendo che invece è in forte espansione. Sempre più gente si sta avvicinando a questo settore, non solo i professionisti. Tutto ciò contribuisce a rompere il muro di diffidenza. Anche il mondo bancario, inizialmente ostile, si sta avvicinando sempre di più; ha capito che è una rivoluzione inarrestabile. Siamo, quindi, in una situazione favorevole visto che non solo siamo tra i primi in Italia a fare un progetto del genere, ma c’è anche un ecosistema favorevole da un punto di vista legislativo e normativo». Nel conflitto russo-ucraino criptovalute per donazioni oppure per aggirare le sanzioni In Europa, ricordano, «è stata approvata la normativa che uniformerà l’exchange di criptovalute. Di conseguenza, l’azienda che ha una licenza in un Paese europeo potrà operare in tutti gli altri Paesi. Per i russi e gli ucraini, invece, poco prima dello scoppio della guerra sono state approvate leggi specifiche. L‘Ucraina ha ricevuto molte donazioni in criptovalute e i cittadini, con un territorio sempre più controllato da russi, non possono andare facilmente in banca. Non solo: anche l’opposizione al regime di Putin ha ricevuto per anni donazioni in criptovalute visto che Navalny non può certamente accedere al proprio conto in banca. Quindi per i russi quello delle criptovalute è un grosso problema perché in questo modo si finanzia l’opposizione ucraina. In una fase del conflitto, inoltre, i russi che hanno visto la loro moneta crollare, hanno anche cercato di salvarsi comprando bitcoin e vendendo rubli. Poi c’è l’altro problema dell’aggiramento delle sanzioni. Le criptovalute, infatti, non si possono fermare facilmente, vanno direttamente da un individuo all’altro; se volessi mandare un pagamento in criptovalute a un magnate russo lo potrei fare senza nessun blocco, ma poi si avrebbero problemi di cambiare la moneta». In generale, secondo i due imprenditori, l’uso delle criptovalute, è più adatto nei Paesi che non hanno una valuta forte. «Oggi l’inflazione è a livelli record, ma in genere l’andamento dei prezzi al consumo è a livelli ragionevoli, quindi il bisogno delle criptovalute non è così grande». Nei prossimi anni il quadro si evolverà: «si potranno fare pagamenti in bitcoin senza tempi di attesa e commissioni. Negli Usa, ad esempio, hanno già annunciato che il più grande produttore di Pos accetterà pagamenti in criptovalute, quindi da Walmart, Starbucks, Mc Donald’s sarà possibile pagare con bitcoin anche nei negozi. La tecnologia sta maturando e l’uso delle criptovalute cresce del 450% l’anno».Tornando ai progetti della start up, Cryptosmart, di fronte a un mercato molto nuovo e in crescita, non ha fatto stime di fatturato per gli anni a venire. Intanto «anche se ci vorranno anni - dicono i due manager- stiamo costruendo l’azienda nell’ottica di quotarla in Borsa, è il mercato più efficiente per reperire i capitali per la crescita». Non si esclude l’interesse dei fondi che «ci conoscono e ci hanno accompagnato nella prima e seconda esperienza, adesso qualche capitale lo abbiamo anche noi, avendo venduto due aziende, e per ora abbiamo utilizzato i nostri fondi. Già dall’anno prossimo consideriamo l’espansione in Francia, Germania e in altri Paesi europei». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 20/05/2022

20 Maggio 2022

«Italia carente nel settore delle criptoattività ma può aspirare a ruolo di leadership»

Il socio fondatore di Lexia Avvocati illustra i punti di forza e le lacune del quadro normativo nazionale Negli ultimi anni, il settore del Fintech in Italia ha assistito ad una forte crescita. La nascita di nuovi modelli di business ha condotto il legislatore e le autorità di vigilanza ad avviare diverse iniziative volte alla creazione di un ecosistema solido e attrattivo per gli investitori, anche internazionali. Molto è stato fatto e sicuramente molto è ancora da fare. Con un poco di orgoglio, si può ricordare che l’Italia è uno dei pochi Paesi europei ad aver avviato una Sandbox dedicata agli operatori Fintech, ossia un percorso per la sperimentazione di modelli di business innovativi sotto la supervisione delle autorità di vigilanza. Questa iniziativa rappresenta un evidente indice dell’attenzione che il governo e le autorità stanno prestando al settore e della volontà di promuoverne la crescita. A valle della chiusura della prima finestra di presentazione delle domande di ammissione, si registra già una particolare apertura da parte delle autorità di vigilanza coinvolte. «Ancora numerose le riforme di cui il settore avrebbe bisogno» Sono però ancora numerose le riforme di cui il settore avrebbe bisogno per esprimere appieno le proprie potenzialità, non solo attraverso interventi volti a semplificare la regolamentazione attuale, ma anche introducendo discipline innovative che consentano agli operatori di cogliere appieno le opportunità offerte dall’evoluzione tecnologica. Al riguardo, si può ricordare che la Germania o la Svizzera, ad esempio, hanno già da tempo introdotto leggi volte a consentire l’utilizzo della tecnologia blockchain per facilitare l’emissione di partecipazioni in società o fondi attraverso un sistema semplice ed immediato, che consenta di superare gli adempimenti notarili previsti dal nostro sistema normativo ed i relativi costi. L’Italia è purtroppo ancora in attesa di un intervento di riforma di questo tipo, che allinei le nostre norme a quanto previsto dai Paesi più avanzati – intervento di cui beneficerebbero, in primo luogo, start-up e Pmi.L’Italia poi non ha, ad oggi, un quadro regolamentare specificamente dedicato al settore delle cripto-attività ed alla finanza decentralizzata, che costituisce oggi la frontiera dell’innovazione in materia finanziaria. La normativa di maggiore rilevanza è sicuramente quella contenuta nel decreto antiriciclaggio, che impone ai soggetti che operano tramite valute virtuali il rispetto di determinati obblighi in materia di contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo. «Di recente l’obbligo di iscrizione al registro tenuto dall’Oam» Di recente introduzione è invece l’obbligo per i prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valute virtuali di iscriversi ad un registro tenuto dall’organismo agenti e mediatori (Oam), a cui seguono diversi obblighi di reportistica e monitoraggio. Il set di norme indirizzate alle cripto-attività potrà inoltre espandersi a seguito dell’approvazione ed entrata in vigore del regolamento europeo cosiddetto MiCa, che si pone l’obiettivo di creare una disciplina di regolamentazione delle cripto-attività unica per l’intero territorio dell’Unione europea.Si pensi anche a fenomeni del settore Fintech e Blokchain di più recente genesi ma che sono esplosi velocemente, come il mercato degli NFT (token non fungibili) e delle Decentralised Autonomous Organisations (DAO), ambiti che non sono ancora destinatari di una regolamentazione ad hoc. Nel nostro ordinamento alcune norme non sono al passo con i tempi Dall’altro lato, il nostro ordinamento prevede ancora alcune norme che non sono al passo con i tempi e costituiscono un freno all’innovazione nel settore della finanzia digitale, rischiando di dirottare progetti innovativi verso giurisdizioni meno restrittive. Ad esempio, in Italia per ricoprire l’incarico di amministratore delegato di una banca o di un altro intermediario autorizzato, è necessario avere almeno quattro o cinque anni di precedente esperienza come amministratore di un’altra banca o società comparabile, con la conseguenza che sono spesso esclusi professionisti competenti ma di giovane età. Un ulteriore esempio è costituito dalle imprese Fintech operanti nel settore della prestazione di servizi di investimento (si pensi, ad esempio, al robot advisory, al micro-investing, etc.) per le quali l’Italia richiede un capitale sociale minimo pari a più del doppio, in alcune ipotesi, rispetto a quanto previsto in altre giurisdizioni europee. Inoltre, in Italia non è possibile prestare questi servizi appoggiandosi alla licenza di un soggetto già autorizzato – come cosiddetto “agente collegato”. La conseguenza è che molte start-up si rivolgono a Paesi che presentano un regime maggiormente favorevole. Sicuramente l’Italia può aspirare ad assumere un ruolo di leadership nel panorama dell’innovazione finanziaria in Europa, anche grazie all’elevata reputazione del suo sistema di vigilanza finanziaria, alla qualità del capitale umano, di molteplici incentivi fiscali e programmi di finanziamento disponibili per le start-up innovative e l’assunzione di risorse qualificate, nonché per il trasferimento in Italia di manager e professionisti. Il percorso fatto ad oggi dovrebbe essere accompagnato da una visione a lungo termine e da una politica legislativa che favorisca la crescita del settore Fintech e di cui beneficerebbe l’intero sistema Italia. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 20/05/2022

09 Maggio 2022

«L’infrastruttura di Linkem non interessa, non escludo partecipazione a rete unica»

Parla il nuovo co-ceo del gruppo Eolo, Guido Garrone, che anticipa le linee di sviluppo aziendali Non c’è interesse per la parte rete di Linkem mentre non si esclude la partecipazione alla futura rete unica tra Open Fiber e Tim, anche se è un argomento prematuro. Intanto il focus, dopo l’intesa con Open Fiber per il rilegamento in fibra di mille torri, sono nuovi accordi commerciali. È il futuro di Eolo, operatore Fwa fondato da Luca Spada e oggi controllato al 75% dal fondo Partner Group, secondo quanto anticipa a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School), il nuovo co-ceo per la parte rete, Guido Garrone, dopo la decisione di suddividere l’azienda in due divisioni, quella appunto per l’infrastruttura e quella per i servizi.  Eolo ha chiuso il 2021 con ricavi a 191,9 milioni ed ebitda rettificato per 107,7 milioni e punterà sempre sulla copertura delle aree in digital divide. Quali sono le prospettive della riorganizzazione? L’azienda oggi ha due gambe, non sono società distinte, ma due facce della stessa medaglia, due divisioni: la network division e la service division. Più o meno tutti gli operatori si sono organizzati o si stanno organizzando così, da Linkem a Tim a Wind. La nostra scelta di business originaria è stata quella di portare il servizio nelle aree in digital divide profondo dove c’era solo il rame che non dava performance sufficienti. Abbiamo quindi usato il wireless, ovvero le frequenze radio, per fornire accesso fisso a banda ultra-larga. Ci troviamo in una situazione di vantaggio competitivo perché un secondo operatore che arrivasse nelle piccole valli dove siamo andati per primi troverebbe difficile e non conveniente economicamente replicare la rete. Questo nostro vantaggio ci è riconosciuto da tutto il settore. In futuro, man mano che si porterà la fibra nel Paese ci saranno delle aree dove si andrà in sovrapposizione con la nostra infrastruttura, e migreremo allora i nostri clienti alla fibra ove possibile, ma nelle zone impervie della montagna o in altre aree simili la fibra resterà non sostenibile e quei clienti saranno serviti da noi sempre attraverso le frequenze radio. Guardate a collaborazioni commerciali? Al momento abbiamo una partnership con Open Fiber per il rilegamento in fibra di 1.000 torri, ma siamo aperti a collaborare anche con altri operatori. In ogni caso in un Paese come l’Italia, diverso dalla Germania, dall’Inghilterra o da altri grandi stati europei che sono pianeggianti e quindi più facili da coprire con la fibra, stimiamo che, considerati anche i ritardi attuali, un 30% della futura copertura nazionale avverrà in Fwa (Fixed Wireless Access). Rispetto ai 26 milioni di famiglie italiane, 7-8 milioni saranno quindi servite in Fwa sia nelle aree grigie sia in quelle bianche. Diversamente, non riusciremo mai, per il nostro tipo di business, ad entrare nelle città dove c’è già molta competizione. Noi abbiamo scelto di specializzarci nella nostra tipologia di servizio, l’Fwa, perché siamo sicuri di avere in questo campo una dimensione infrastrutturale e tecnologica nonché una focalizzazione che altri non hanno. Che target di copertura avete? L'obiettivo è quello di anticipare il completamento della nostra copertura FWA a banda ultra-larga per i 7-8 milioni di famiglie suddette, accelerando rispetto alle tempistiche previste dai piani PNRR e incrementando la nostra attuale customer base, pari a circa 600mila clienti, grazie ad un mix di crescita retail e wholesale. Pensate a co-investire con altri operatori, a partecipare ad esempio all’eventuale rete unica? Partiamo dall’assunto che duplicare la soluzione Fwa non conviene affatto. Non dico che faremo parte della rete unica, ma non lo escludo neanche. Oggi, vista l’attenzione dimostrata dal mercato per la nostra azienda e il fatto che oggettivamente costa troppo portare la fibra dappertutto, la soluzione che offriamo e sulla quale abbiamo una leadership viene considerata efficace. Il nostro azionista di maggioranza è Partners Group, è socio finanziario razionale che vuole che il capitale renda bene; dunque, se in futuro ci fosse un soggetto in Italia che riconoscendo le nostre capacità avesse bisogno di queste competenze, certamente potrebbe approfondire la discussione. Ma sono discorsi prospettici, intanto auguro all’Italia di evitare duplicazioni inutili. Al momento è da sottolineare che si tratta di tematiche marginali rispetto al livello di competition e di street price che c’è sul mercato, in particolare nelle grandi aree metropolitane. In questa situazione il consolidamento è necessario? Assolutamente sì. Usa e Cina hanno una manciata di operatori a testa; l’Europa ha 45 incumbent, in Italia ci sono 130 operatori. Pensate a un’operazione col vostro competitor, Linkem? Rispettiamo tutti quelli che lavorano su questo mercato e non siamo in competizione con Linkem. Analizzando quindi la rete, in particolare per quanto riguarda la copertura che è complementare alla nostra; è un’operazione che non riteniamo di nostro interesse. Come accennavo, rimarremo focalizzati sui territori in digital divide convinti che l’accesso di rete fissa mediante onde millimetriche sia la risposta più efficace ed efficiente per rispondere alla domanda di banda ultralarga in quella porzione di mercato. A parte Linkem, siete interessati ad altre società, magari più piccole? Già oggi abbiamo molte partnership con piccoli operatori wireless, i wisp (wireless internet service provider), ce ne sono diverse decine in Italia che storicamente presidiano alcuni territori. Tuttavia, non siamo interessati ad acquisizioni, lo sforzo dell’integrazione sarebbe esagerato. Preferiamo, dunque, dare ai wisp accesso alla nostra rete e lasciamo che restino attivi sul territorio col loro brand, offrendo qualità del servizio grazie ai nostri investimenti in rete che loro farebbero fatica a sostenere. Siamo, inoltre, attivi con grandi operatori come Wind, Fastweb, Sparkle, Verizon, Orange, ecc. per offrire connettività wholesale e business nei nostri territori. Avete partecipato ai bandi Pnrr? Abbiamo analizzato con attenzione il bando Italia a 1 Giga e non abbiamo partecipato, sia perché in alcuni casi - per dimensione dei lotti - sarebbe stato uno sforzo non sostenibile, ma anche in lotti più piccoli abbiamo verificato che non c’era una redditività sufficiente. Avremmo dovuto fare una copertura ad altissima capacità in territori con case così sparse dove non è conveniente economicamente e dove invece la copertura si può raggiungere solo con soluzioni dedicate molto costose (collegamenti punto-punto, satellite, ecc.). Preferiamo proseguire con prudenza a servire il nostro mercato di riferimento. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 6/5/2022

09 Maggio 2022

«Aperti a dialogare con le altre aziende e ad accordi per evitare duplicazioni»

Parla Guido Bertinetti, nuovo direttore Network e operations di Open Fiber, dopo l'accordo con Aspi Dopo l'accordo con Aspi e la creazione di un consorzio per assumere e formare manodopera, Open Fiber è pronta a dialogare con altre aziende, del settore telco e non, per risolvere assieme problemi comuni come quello della carenza di manodopera per costruire le reti. D’altro canto, la società è aperta ai co-investimenti e non esclude accordi per evitare duplicazione di investimenti (ha infatti dato il via libera all’accordo commerciale con Tim commerciale a cui manca l’ok del cda di Fibercop, ndr) e conta già «300 partner, nazionali e internazionali, che possono vendere i propri servizi su una rete che ha già raggiunto 14 milioni di unità immobiliari e che, a fine piano, ne raggiungerà 24 in tutta Italia». A fare il punto, con DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore e della Luiss Business School) è Guido Bertinetti, da qualche giorno nuovo direttore Network e operations di Open Fiber al posto di Gabriele Sgariglia. Secondo quanto detto di recente da Laura Cioli, ad di Sirti, per fronteggiare alla carenza di manodopera necessaria a costruire le nuove reti occorre fare sistema. Che cosa ne pensa Open Fiber? Servirebbe un tavolo comune tra le aziende di rete e le telco? La carenza di manodopera è un problema che interessa numerosi settori e certamente non risparmia quello delle telecomunicazioni. Il ministro Colao ha dichiarato che servirebbero nella filiera almeno diecimila addetti in più rispetto a quelli già in campo. Il dialogo e la sinergia tra aziende è fondamentale e, per fornire una risposta concreta al tema, Open Fiber ha lanciato in collaborazione con Aspi e Ciel il consorzio Open Fiber Network Solutions che prevede l’assunzione e la formazione di personale e che ci consentirà di completare il piano di copertura de Paese. Parliamo di circa mille persone aggiuntive sui cantieri nell’arco del primo anno di attività del consorzio. L’esempio del consorzio con Aspi per assumere e formare manodopera potrebbe fare da apripista nel settore? Pensate ad altre iniziative del genere e con che tipo di aziende? Fino a oggi Open Fiber non disponeva di squadre di operai di cantiere. Il consorzio ci permette di essere più flessibili e di movimentare i tecnici sul territorio laddove è necessario. Ma si tratta anche di un’iniziativa per il Paese, una risposta di sistema nell’ambito del mondo Cdp, che alla fine del 2021 è diventata il nostro azionista di maggioranza, che sfrutta le sinergie con Aspi e la sua esperienza nell’infrastrutturazione. In generale, OF è disponibile a dialogare con tutte le aziende, nel settore delle Tlc ma non solo, interessate a individuare soluzioni per problemi comuni. La via del co-investimento anche con aziende diverse dalle telco può essere auspicabile? Il piano di Open Fiber è stato strutturato per coprire tutto il territorio nazionale (aree bianche, nere e grigie). Questo non esclude che possano venire stipulati accordi per evitare la duplicazione degli investimenti. Come operatore wholesale only, OF continua a sviluppare accordi commerciali con tutti gli operatori interessati all’utilizzo della sua rete: sono già 300 i partner, nazionali e internazionali, che possono vendere i propri servizi su una rete che ha già raggiunto 14 milioni di unità immobiliari e che, a fine piano, ne raggiungerà 24 in tutta Italia. A livello di regolazione e permissistica ci sono ancora, nonostante i decreti di semplificazione, problemi nella realizzazione delle reti? Lo sforzo compiuto da Governo e Parlamento con gli ultimi provvedimenti di semplificazione è stato importante. È stato fatto molto, ma è fondamentale che queste riforme siano poi messe in pratica, perché in Italia l’applicazione delle norme primarie nei regolamenti e nelle pratiche degli enti locali è spesso lenta e non uniforme. Ancora oggi l’efficacia degli ultimi tre provvedimenti di semplificazione (2019, 2020, 2021) è ridotta a causa di un’implementazione disomogenea. Avete le competenze necessarie in Open Fiber per gli investimenti previsti nei bandi Pnrr e la digitalizzazione del Paese? Sì. Nei cinque anni di operatività dalla sua fondazione, Open Fiber ha impiegato quattro miliardi di euro di investimenti, che diventeranno 15 a fine piano. Attualmente stiamo lavorando per completare la rete nelle aree nere e bianche e attendiamo l’esito delle gare sulle aree grigie, per lo più distretti industriali, che riguardano un’altra fetta di Paese rimasta indietro dal punto di vista della connettività ultraveloce. La nostra rete ultraveloce non connetterà soltanto case e aziende, ma vuole essere il sistema nervoso del Paese. In quest’ottica il MoU siglato con Aspi consentirà lo sviluppo di tutta una serie di servizi innovativi in città, strade, autostrade, porti come il controllo intelligente di traffico e accessi, sistemi di irrigazione e monitoraggio del territorio fino alla mobilità elettrica. Open Fiber vuole fare la sua parte, sviluppando sinergie e collaborando a livello di sistema per aiutare il Paese a cogliere e vincere la sfida del Pnrr. È in dirittura d’arrivo il fondo bilaterale di settore che ha la finalità di consentire il turn over e il reskilling del comparto in vista delle nuove necessità. Può essere una buona opportunità anche per Open Fiber? Open Fiber è un’azienda giovane e solida che sta continuando ad assumere personale per completare un corposo piano industriale, quindi, in questo momento il fondo bilaterale non ci riguarda direttamente. Tuttavia, visto il momento di crisi del settore delle tlc aggravato dalla carenza di manodopera e dall’aumento del prezzo delle materie prime, ogni intervento di regia e semplificazione messo in campo anche dal Governo è sicuramente bene accetto per poter far fronte alle difficoltà del contesto e velocizzare le attività. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 6/5/2022

09 Maggio 2022

Asstel: «Il fondo bilaterale è pronto, fondamentale il sostegno del Governo»

Parla la direttrice dell'associazione delle telco, Laura Di Raimondo, che chiede ora un tavolo per il comparto con tutti i ministeri coinvolti Manca poco all’avvio del fondo bilaterale di settore per le telco e l’associazione di categoria Asstel torna a chiedere un aiuto economico da parte del Governo per la fase di start up. Perché il comparto, spiega Laura Di Raimondo, direttrice dell’associazione a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) ha problemi di sostenibilità economica, come dimostrano gli ultimi dati sull’andamento dei ricavi e, allo stesso tempo, è centrale nel processo di digitalizzazione del Paese. Per questo occorre un tavolo del settore «a tutto tondo, con tutti i ministeri coinvolti». Necessario un profondo reskilling, da formare 100mila dipendenti l'anno Il settore, in questa fase ha necessità, inoltre, di un profondo reskilling, proprio per andare incontro alle nuove esigenze del mercato dei servizi digitali. Dal 2021 al 2025 si prevede in media la formazione di oltre 100mila dipendenti all’anno della filiera e l’erogazione di quattro giornate medie di formazione per persona, con una spesa complessiva di oltre 110 milioni di euro. Anche a supporto di questa esigenza nasce il fondo bilaterale di settore, finanziato per due terzi dalle aziende e per un terzo dai dipendenti. «Il 20 aprile scorso abbiamo firmato l’accordo con le organizzazioni sindacali, dando seguito a quanto previsto nell’avviso comune sottoscritto lo scorso 12 novembre 2020 unitamente al rinnovo del ccnl delle tlc, che individua le diverse azioni che si possono attuare attraverso il fondo di solidarietà bilaterale del settore delle tlc. L’accordo è stato trasmesso al ministero del Lavoro per l’avvio dei passaggi autorizzativi che si concluderanno con l’emanazione di un decreto ministeriale e a quel punto il fondo potrà essere operativo. Abbiamo chiesto al Governo la possibilità di avere un supporto pubblico o all’interno del Pnrr o attraverso la fiscalità dello stato per le finalità del fondo, aggiuntivo rispetto al finanziamento da parte di imprese e lavoratori, che ne acceleri la piena operatività soprattutto nella fase di avvio. Riteniamo fondamentale questo sostegno, anche in considerazione del ruolo che la filiera delle telecomunicazioni può e vuole giocare per il raggiungimento degli obiettivi di digitalizzazione del Paese». Un comitato costituito da Asstel, sindacati e ministeri per amministrare il fondo L’amministrazione del fondo è deputata a un comitato composto da quattro componenti di Asstel e quattro nominati dai sindacati di settore Slc Cgil, Fistel Csl, uilcom Uil e Ugl Telecomunicazioni, da due rappresentanti con qualifica di dirigente, rispettivamente del ministero del Lavoro e delle politiche sociale e del ministero dell’Economia e delle finanze. Il presidente sarà scelto tra i propri membri. Alle riunioni parteciperà anche il collegio sindacale dell’Inps, nonché il direttore generale dello stesso istituto o un suo delegato, con voto consultivo. Nell’atto costitutivo è previsto anche l’obbligo di bilancio in pareggio e non possono essere erogate prestazioni in carenza di disponibilità. Gli interventi a carico del fondo sono, dunque, concessi entro i limiti delle risorse già acquisite. Tra le prestazioni che possono essere erogate l’accordo prevede il finanziamento di programmi formativi di riconversione o riqualificazione professionali, anche in concorso con gli appositi fondi nazionali e/o dell’Unione europea. «Da tempo chiediamo un tavolo di settore a tutto tondo con tutti gli stakeholder» Dal fondo di settore, passando per le necessità di reskilling e upskilling, alla richiesta di alzare i limiti elettromagnetici, agli strumenti per accompagnare e supportare le imprese nei cambiamenti in corso. «Da tempo abbiamo chiesto – aggiunge Di Raimondo - un tavolo sul settore a tutto tondo in cui fossero presenti tutti i Ministeri e gli stakeholder coinvolti. Siamo convinti sia fondamentale avviare un percorso, un punto di raccordo per ragionare su tutta la filiera delle tlc, necessario anello di congiunzione per la messa a terra del Pnrr. Oltre al fondo bilaterale di settore - spiega la dirigente – c’è la necessità di alzare i limiti elettromagnetici che restano tra i più bassi d’Europa, e occorre risolvere il problema della sostenibilità economica della filiera che, da un lato, ha un alto tasso di investimenti, dall’altro è in sofferenza su ricavi e marginalità. Servono dunque azioni mirate e di sistema». Per Asstel, inoltre, «un aspetto chiave per la ripresa del settore, oltre che del Paese, passa da un rapporto di collaborazione, nel pieno rispetto dei ruoli e delle prerogative di ciascuno, tra tutti gli attori che contribuiscono alla definizione dello scenario e del quadro normativo, allo scopo di creare un contesto favorevole ad investimenti e innovazione. La trasformazione digitale è un driver chiave per la competitività dell’interno sistema Paese e in prospettiva porterà benefici anche in termini di ambiente e, quindi, transizione ecologica».Quanto al tema delle competenze, e in particolare della necessità di figure professionali mancanti, «un aspetto importante per la realizzazione dei piani previsti riguarda l’aumento della capacità produttiva nelle attività di costruzione delle reti di nuova generazione e lo sviluppo di nuovi servizi. Per questo e per la competitività futura delle imprese della filiera delle tlc occorre investire in nuove professionalità, soprattutto digitali, che concorrano a promuovere una crescita qualitativa del lavoro che, insieme a una formazione permanente che accompagni i processi di upskilling e reskilling, possa aiutare a sviluppare le infrastrutture di cui il Paese si deve dotare. Questa, d’altronde, è una delle finalità del fondo di solidarietà che può rappresentare una leva di risoluzione strutturale dei processi di trasformazione e transizione verso lo sviluppo tecnologico a beneficio di lavoratori e imprese. La trasformazione ecologica e quella digitale vanno, infatti, affrontate con una visione e misure strutturali e permanenti» SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 6/5/2022

09 Maggio 2022

«Un'unica rete nazionale auspicabile anche per 5G, riduce rischi di investimento»

Parla il giurista Innocenzo Genna della trasformazione in corso, del consolidamento e degli impatti sull'occupazione Le grandi telecom europee devono affrontare scenari di mercato in forte evoluzione, caratterizzati dal costante declino dei margini nelle telecomunicazioni, dagli elevati costi richiesti per le nuove reti in fibra ottica e 5G, nonché dall'esigenza di scalare le nuove catene del valore, dove il peso crescente è costituito dai servizi innovativi e dall'economia dei dati, mentre la connettività tende ad essere considerata come una commodity. Tali trend di mercato sono particolarmente critici per le telecom tradizionali (incumbent e principali operatori mobili), le quali risultano appesantite da ulteriori caratteristiche storiche: elevati livelli di indebitamento, numero di dipendenti troppo alto rispetto alle caratteristiche attuali del mercato, nonché necessità di soddisfare le aspettative di dividendi regolari degli azionisti, in particolare dei fondi. Risultano invece meno toccati da queste criticità gli operatori alternativi (che hanno livelli minori di indebitamento e costi) e quelli non quotati, i quali non devono distribuire dividendi annualmente ma possono pianificare con i propri investitori ed azionisti strategie di più lungo periodo. «Telco tradizionali tra cambiamento e separazione delle reti d'accesso dai servizi» Da tale scenario di mercato deriva una serie di cambiamenti strutturali che riguardano, per le ragioni anzidette, soprattutto le grandi telecom tradizionali: in primo luogo una tendenza al consolidamento tra operatori, ed in secondo luogo la sperimentazione di nuovi modelli organizzativi, in particolare la separazione delle reti d'acceso dai servizi. Il consolidamento viene perseguito da molti operatori per ridurre i costi ed aumentare la redditività, in un'ottica soprattutto difensiva. Alcune operazioni appaiono a rischio vista la tradizionale riluttanza della Commissione europea ad autorizzare una riduzione di operatori di rete mobili in ciascun mercato nazionale. Non si tratta però di una regola aurea e la stessa Commissione ha autorizzato tali operazioni quando esse non sembravano in grado di mettere a rischio la concorrenza nel caso specifico (ad esempio, in Olanda con la fusione tra T-Mobile e Tele2 nel 2018). «Con rete unica Ue potrebbe ordinare di mettere in vendita le infrastrutture ridondanti» In altri casi il consolidamento è stato autorizzato a condizione che venisse facilitata l'entrata di un nuovo operatore tramite la dismissione di spettro e reti da parte delle società che si fondevano (come nel caso di Hutchinson e Wind nel 2017 in Italia, che hanno consentito l'entrata di Iliad). Una soluzione del genere è prevedibile anche per Tim ed Open Fiber, qualora le due società confermassero l'intenzione di fondersi: le reti ridondanti, in particolare a Milano e nelle aree metropolitane in Italia, verrebbero verosimilmente messe in vendita su ordine della Commissione europea. A parte questi casi particolari, non si intravedono complessità specifiche per i casi di consolidamento, che la Commissione peraltro incoraggia qualora consentano di razionalizzare le risorse per gli investimenti o di creare dei player di livello internazionale. Gli uffici di Bruxelles manifestano infatti frustrazione verso le operazioni di consolidamento puramente nazionali, ritenendo invece più utili, nell'ottica dell'integrazione del mercato interno, le fusioni che unifichino players di paesi diversi e che quindi siano suscettibili di creare campioni continentali. Al momento queste operazioni di consolidamento paneuropeo sono scarse e solo pochi operatori vi si sono cimentati in tempi recenti, tra questi Iliad, Vodafone e Altice. Al contrario, i grandi incumbent europei (BT, Deutsche Telekom, Telefonica, Orange e Tim) da circa 20 anni hanno esaurito la spinta espansiva degli anni 2000 (quella della bolla Internet), ed hanno indirizzato la propria crescita solo nell'ambito di specifici mercati nazionali. La Commissione Europea vorrebbe scuotere questa inerzia e sarebbe sicuramente disposta a fare delle concessioni qualora i grandi player europei si mostrassero disponibili a delle fusioni transazionali. «Per i fondi la separazione della rete è uno strumento di investimento ‘protetto'» Il tema della separazione delle reti è perseguito dai fondi infrastrutturali, che ritengono troppo rischioso investire in operatori verticalmente integrati, stanti le criticità sopra evidenziate (margini declinanti ed investimenti crescenti), anche alla luce della maggiore profittabilità degli operatori Ott (Over the Top come Google o Facebook, ndr), Internet e cloud. La separazione della rete diventa quindi uno strumento per un investimento infrastrutturale "protetto", soprattutto quando la rete è monopolista o quasi: in tali casi, si tratta di un investimento ventennale che peraltro, nel caso della fibra ottica, non richiede particolari costi di mantenimento. Il modello potrebbe anche estendersi alle reti 5G, viste le difficoltà che gli operatori mobili trovano nel finanziarne il roll-out: una singola rete nazionale 5G ridurrebbe drasticamente i rischi di investimento, pur richiedendo un assetto innovativo circa le modalità di accesso, trattandosi di una novità assoluta nel settore mobile (dove gli operatori tradizionalmente difendono il modello verticalmente integrato). Un progetto del genere era stato avanzato dall'amministrazione Trump nel 2018, come soluzione per permettere agli Stati Uniti di competere validamente con la Cina nella corsa del 5G, ma poi è stata accantonata. L'attuale situazione geopolitica in Europa potrebbe però di nuovo rendere interessante questo modello, anche dal punto di vista strategico. «Recuperi occupazionali se si accompagna la ristrutturazione con i piani di rilancio» Sia le fusioni tra operatori che le separazioni delle reti possono creare delle ridondanze di forza-lavoro, poiché tali operazioni sono condotte con l'esigenza di ridurre i costi, ed inoltre prevedono il roll-out di tecnologie più efficienti (fibra, 5G) delle attuali (rame, 3/4G), che richiedono meno manutenzione (e quindi di manodopera). Tuttavia, recuperi occupazionali sono possibili da parte degli operatori più innovativi, i quali accompagnino le loro ristrutturazioni con piani di rilancio basati sull'innovatività: ad esempio investimenti in tecnologia cloud, nei servizi ed in generale in software e tecnologia, riportando ricerca ed innovazione all'interno delle società ed arrestando il processo di outsourcing che, negli ultimi 10 anni, ha trasformato le telecom europee da operatori tecnologici quali erano in grandi organizzazioni commerciali. Un trend a cui purtroppo si assiste anche nel settore cloud, dove le grandi telecom europee tendono prevalentemente a porsi come partner commerciali dei grandi cloud provider americani, piuttosto che investire loro stesse in tecnologia cloud e software. Innocenzo Genna, Giurista specializzato nella normativa europea del digitale SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 6/5/2022

22 Aprile 2022

«Task force e formazione per le10mila figure mancanti alle aziende di rete»

I sindacati delle telco (Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil) avanzano le loro proposte per risolvere la carenza in vista dei bandi Pnrr Una mappatura del Mise per capire quali sono le figure realmente mancanti; usare il fondo bilaterale del settore telco per il reskilling, avviare un tavolo tra le aziende di rete, costruire una task force per riconvertire il personale nelle tlc. I sindacati di settore (Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil) mettono sul tavolo le loro proposte per cercare di risolvere la carenza di oltre 10mila figure professionali nelle aziende di rete. Carenza che potrebbe impattare direttamente sulla realizzazione delle nuove infrastrutture previste dal Pnrr. È importante, sottolineano le sigle all'unisono, pensare anche al dopo 2026 quando, una volta cablato il Paese, occorrerà formare il personale assunto ad hoc e pensare al futuro delle imprese. Slc Cgil: «Programmazione assente, ragioniamo anche su ricollocazione dopo il 2026» Sul tema della carenza di personale, afferma Riccardo Saccone, segretario nazionale della Slc Cgil, «credo ci sia un problema di assenza di programmazione. Inoltre, dobbiamo essere in grado tra 4-5 anni, una volta terminati i lavori sulle nuove reti, di formare nuovamente una parte del personale, altrimenti rischiamo di avere assunzioni a tempo che non servono più una volta cablato il Paese. Oltre a un ragionamento sulla ricollocazione, probabilmente c'è da portare avanti anche un programma di formazione perché abbiamo già nelle aziende alcune figure non utilizzate al meglio che possono essere formate nuovamente». In più, secondo il sindacalista, occorrerebbe «come fatto per il primo piano Infratel, una cabina di regia con tutte le aziende del settore, il sindacato, il governo. Una volta passata la fase di picco i tecnici utilizzati per realizzare le reti potrebbero diventare tecnici a tutto tondo, ad esempio per l'assistenza ai clienti». Serao (Fistel): «Mancano figure per connettere la fibra alle case e per le opere edili» Le società di ingegneria di rete, sottolinea Giorgio Serao della segreteria nazionale Fistel Cisl, «insieme ai fornitori di apparati hanno un ruolo fondamentale nel processo di realizzazione delle reti in fibra. In Italia abbiamo 5-6 operatori di livello nazionali (Sielte, Sirti solo per citare le più grandi) che negli ultimi 10 anni hanno realizzato un grande processo di formazione dei tecnici per orientarli verso le nuove figure professionali necessarie alle attività di fibra (come i giuntisti) e alla progettazione di rete, utilizzando al meglio le risorse pubbliche. In questo momento, tuttavia, si sconta una mancanza di figure professionali per connettere la fibra alle abitazioni, e manca la manodopera per le opere edili necessarie alla stesura della fibra». Per il sindacalista sarebbe, dunque, «interessante se il Mise facesse una mappatura delle figure professionali necessarie per sostenere le imprese di rete; in più sarebbe auspicabile una task force tra Mise, aziende tecnologiche in crisi e realtà con eccessi di manodopera anche nel settore delle tlc, operazione che potrebbe portare alla riconversione professionale di migliaia di lavoratori e garantire alle imprese di rete una forza lavoro esperta». Entro il 2026, anno in cui inizierà a diminuire la necessità di lavoratori una volta poste i fondamentalo della gigabit society, bisognerà, inoltre, prevedere «una graduale riduzione dei dipendenti, occorre quindi iniziare a guardare al futuro sia in termini di consolidamento delle imprese sia in termini di nuovi servizi da offrire ai cittadini. In questo ambito le società di rete vanno completamente ripensate». Gozzo (Uilcom): «Usare il fondo bilaterale di settore per la formazione» Un'altra strada da seguire secondo Fabio Gozzo, segretario nazionale della Uilcom Uil, è quella di «instaurare rapporti tra grandi committenti e grandi aziende, spesso infatti il lavoro è parcellizzato tra piccole realtà cercando il prezzo migliore e questo non facilita gli investimenti e gli iter formativi. Se ne parla talvolta come se fosse un'emergenza, ma da anni si conosce la questione, se solo se si pensa ai piani di Open Fiber, Tim, Flash Fiber. Alcuni processi andavano pianificati. Ora occorre formare le persone, creare un legame con gli istituti tecnici e, per quanto riguarda la progettazione, con le università». Per il sindacalista al fine di uscire dall'impasse bisogna cominciare a pianificare gli inserimenti. Inoltre, stiamo realizzando un fondo di settore delle telco che, se verrà subito implementato con risorse pubbliche, potrà garantire una partenza più veloce, e quindi una più veloce riqualificazione dei percorsi formativi interni al settore. Un altro strumento da utilizzare dovrebbe essere quello di un tavolo autonomo delle aziende in modo tale che si scelgano tre-quattro imprese per fare da general contractor ed evitare che, a fronte di una domanda crescente, si deprimano comunque i prezzi. Occorre, infine, un patto tra le aziende di rete e i loro principali clienti per salvaguardare e implementare l'occupazione». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 22/4/2022

22 Aprile 2022

Bain & Co: «L'uso dell'Ai per progettare le reti di tlc giova agli investimenti»

A fare il punto su cybersecurity e infrastrutture delle telco è il partner Mauro Colopi. Italia ancora indietro a livello globale Cybersecurity e reti di tlc in costruzione sono due punti importanti nella recente applicazione dell'intelligenza artificiale. Un mercato che cresce a doppia cifra ma che vede l'Italia ancora indietro nell'intercettazione degli investimenti a livello globale, essendo partita in svantaggio rispetto alle altre primarie economie mondiali. A fare il punto in un momento in cui, tra conflitto ucraino e bandi del Pnrr, gli investimenti in sicurezza da un lato e sulle reti dall'altro diventano sempre più centrali, è Mauro Colopi, partner di Bain & Company. «Il mercato della cybersecurty ha trend di sviluppo accelerato, cresce a doppia cifra» «Per quanto riguarda l'applicazione dell'intelligenza artificiale, la parte cybersecurity - dichiara a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) - è un mercato che ha ormai un trend accelerato in termini di sviluppo, con crescita a doppia cifra». Nel tempo inoltre spiega l'esperto, emerge sempre più un concetto di cybersecurity di filiera. «Mentre fino a qualche anno fa la sfida – dice Colopi – era quella di mettere in sicurezza la propria azienda, ora c'è la problematica ulteriore di mettere in sicurezza l'intera filiera. Si pensi, ad esempio, alle infrastrutture correlate tipo quelle dell'energy, caratterizzate tra l'altro da una frammentazione del mercato molto rilevante. In questi casi ci sono alcuni grandi attori che hanno muscoli e spalle sufficienti per tenere il passo riguardo alla domanda di cybersecurity, e poi c'è una costellazione di piccole e piccolissime realtà che fanno più fatica». Per restare nella filiera dell'energy, Colopi porta l'esempio del rischio di black out per un determinato territorio, ma una stessa tendenza si è notata, ad esempio, nella filiera dei trasporti. «Negli ultimi mesi – aggiunge - sono accaduti casi evidenti di criticità per la continuità di business in diversi settori del mercato del trasportation. Anche in questo caso ci sono realtà più mature, capaci di tenere il passo, altre che dovranno accelerare». Dalle nuove esigenze di mercato non è escluso il settore pubblico, «anche in ottica di continuità di servizi alla cittadinanza, alle imprese, e anche per lo Stato. Non a caso ci sono stanziamenti rilevanti nel Pnrr proprio per questa dimensione». «Spesso vulnerabilità non è nella tecnologia ma nell'uso delle persone» La maggiore richiesta di Ai, per Bain&Co, va di pari passo con l'evoluzione del mercato: «c'è – prosegue Colopi - la necessità di accelerazione delle tecnologie, ma d'altra parte i servizi professionali mostrano un passo molto accelerato. Peraltro, in molti casi l'elemento di vulnerabilità non è la tecnologia di per sé, ma il comportamento non adeguato a livello cyber da parte delle persone, sia dei dipendenti di azienda sia dei singoli cittadini. La questione, dunque, riguarda anche l'education e formazione». Passando a esaminare un altro tema di attualità, cioè l'utilizzo dell'Ai per le reti di tlc in costruzione, spiega Colopi, ci sono interessanti opportunità. «Il percorso di innovazione e infrastrutturazione del mercato delle telco prosegue in maniera importante sia sul fisso sia sul mobile, e questo che accomuna tutti i Paesi ed è anche un fattore competitivo importante. In questo campo c'è un'applicazione di intelligenza artificiale, in termini di geolocalizzazione e di priorità agli interventi, molto interessante soprattutto per il mobile. Il 5G per sua natura ha per il momento una pervasività di roll out molto specifica e, quindi, essere in grado di capire quali sono le aree prioritarie e su quali invece si può impattare in un secondo momento fa la differenza su due dimensioni, sia in termini di vantaggio competitivo sia riguardo all'effettiva qualità del servizio erogata al cliente. Ci sono, infatti, aree e casistiche dove una banda particolarmente larga non è solo utile ma essenziale e aree che invece possono essere soggette a una minore tensione di capacità trasmissiva. L'impiego nella progettazione delle reti dell'Ai ben si presta a supportare in maniera sempre più smart l'allocazione degli investimenti, combinando le variabili tradizionali dell'operatore con i comportamenti di utilizzo del servizio da parte di imprese e consumatori». «In generale l'Italia rischia di colmare il gap esistente nell'Ai con i maggiori Paesi» Allargando lo sguardo alla posizione dell'Italia in generale nell'uso dell'intelligenza artificiale, «vale quanto – rimarca Colopi – rilevato nei mesi scorsi: anche per il Paese c'è uno sviluppo straordinariamente veloce, una crescita stabile a doppia cifra, il punto è che l'intero mercato globale su questi comparti si muove in maniera molto esuberante. Il rischio è, dunque, di crescere, ma non a sufficienza per colmare il gap di partenza rispetto alle altre economie primarie a livello mondiale. Questo rischio permane». Quanto all'intercettazione degli investimenti, intorno all'1,5% della spesa mondiale, «non è cambiato molto, un punto problematico in Italia è rappresentato dalle competenze. Uno dei potenziali limiti è non avere il necessario pull di talenti che supportino pienamente l'innovazione prevista». Considerando gli attuali fattori benefici, tra cui il Pnrr, «credo che questo gap si stia colmando mettendo a sistema una serie di elementi: da una parte programmi di governo strutturati che aiutano nel tempo ad alimentare una domanda anche con un buon orizzonte previsionale; dall'altra l'evoluzione degli operatori del mercato con il ricorso a talenti delocalizzati rispetto ai centri tradizionali di erogazione dei servizi, quindi muovendosi anche nelle aree del Sud Italia che hanno dei bacini di formazione molto interessanti». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 22/4/2022

22 Aprile 2022

«Italtel cambia pelle, una nuova sede e diversificazione del business»

Parla il neo ad Benedetto Di Salvo tra nuove iniziative e il problema della mancanza di figure in vista del Pnrr. Vinta la gara per la piattaforma di Banca d'Italia Italtel, dopo il salvataggio, il riassetto e l'arrivo del nuovo top management, si appresta a cambiare pelle. Lo annuncia a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) Benedetto Di Salvo, nuovo amministratore delegato del gruppo dell'Itc. L'azienda, oggi controllata al 54% da Psc, al 28% da Clessidra e per il 18% da Tim, punta a raggiungere ricavi per 300 milioni di euro, si è da poco trasferita in una nuova sede e guarda alla diversificazione del business, con l'obiettivo di coprire nuove fette di business come la telemedicina, la migrazione verso il cloud, l'industry 4.0.ù «Stiamo cambiando – afferma Di Salvo - la pelle di Italtel e lavoreremo sempre più in collaborazione con hyperscaler e partner tradizionali per rendere semplice la migrazione verso il cloud». Di recente si è anche aggiudicata l'assegnazione del rinnovo della piattaforma Human Communication per Banca d'Italia. La piattaforma è utilizzata da 4 banche centrali europee, quella italiana, francese, tedesca e spagnola, per servizi interbancari. Resta il problema della carenza di risorse da risolvere assieme agli altri attori del sistema al fine di progettare e realizzare le nuove reti previste dal Pnrr. «Le sollecitazioni e il dialogo con il Governo restano aperti, ma permane la criticità – spiega il manager - legata al numero di risorse che devono essere rese disponibili». Per la società «è fondamentale avere una visibilità pluriennale delle attività ed evitare nei futuri appalti approcci al massimo ribasso ed offerte anomale, per preservare la remunerabilità degli investimenti richiesti». A novembre scorso avete presentato un documento con Sirti al ministero della Transizione digitale, segnalando che mancano oltre 10mila risorse per la realizzazione delle nuove reti di tlc, compreso quanto previsto dal Pnrr. C'è allo studio qualche soluzione? La criticità permane, rimane l'esigenza di fare scale-up in termini di risorse su tutta la filiera della realizzazione delle reti ultra broadband. Se consideriamo le aspettative del piano Italia a 1 Giga, sommando i progetti di sviluppo di Tim e Open Fiber, esiste una carenza importante sulla filiera sia sulla progettazione, ambito che ci vede protagonisti in prima persona, sia sulla realizzazione della rete. Oggi abbiamo uno dei settori di progettazione di reti ftth e fwa più strutturato d'Italia con circa 200 persone dedicate, ma stimiamo che in tutto l'ecosistema dei progettisti in Italia ci sia la necessità di un forte incremento del personale attuale per far fronte al picco che avremo quest'anno e in parte anche nel prossimo. Siamo in attesa dell'aggiudicazione dei bandi per le aree grigie, abbiamo una coda di attività sulle aree bianche e un calo temporaneo di impegno, ma sappiamo che ci aspetta un incremento di attività. In Italtel abbiamo investito in maniera massiva sulla progettazione Ubb (Ultra broad band), assumendo tanti giovani, l'area dedicata alla progettazione è la struttura più giovane che abbiamo con un'età media di 35 anni, sono quasi tutti laureati: è un patrimonio che vogliamo preservare. Nel frattempo, abbiamo in corso un piano di formazione su queste figure, visto che non esistono competenze già formate sul mercato, occorre formarle da zero, ed è quello che abbiamo fatto negli ultimi anni. Siamo in attesa che il quadro si chiarisca. Il percorso corretto per fare scale up di risorse è la creazione di un'academy diffusa sul territorio nazionale e formare ulteriori risorse. Il piano di digitalizzazione del governo traguarda il 2026; per noi è fondamentale avere una visibilità pluriennale delle attività ed evitare nei futuri appalti approcci al massimo ribasso ed offerte anomale, per preservare la remunerabilità degli investimenti richiesti. Dal Governo avete avuto delle indicazioni sul problema della mancanza di risorse professionali? Le sollecitazioni e il dialogo con il Governo restano aperti, ma permane la criticità legata al numero di risorse che devono essere rese disponibili. Per noi bisogna prioritariamente capire il quadro che abbiamo davanti in termini di contratti legati alle nuove aggiudicazioni. Cercate soluzioni assieme ai vostri competitor? Dialoghiamo con tutti i soggetti della filiera per trovare il massimo delle sinergie possibili, così come abbiamo fatto con Sirti quando abbiamo discusso al Ministero. Questo è un tema di sistema. Sulle competenze obsolete va invece avanti il piano di reskilling? Quello che noi andremo a implementare, accelerando un percorso già avviato, è il piano di diventare un system integrator in grado di coprire un numero ampio di soluzioni, occupando spazi di mercato in aree ad alto tasso di crescita come la cybersecurity, alcuni verticali Iot, soluzioni in ambito 5G, cloud e nell'automazione delle reti. Per noi diversificare è una priorità assoluta così come accelerare un programma di reskilling di competenze interne verso le aree ad alto tasso di crescita. In questa ottica stiamo portando avanti un piano di certificazioni tecnologiche molto aggressivo e abbiamo la fortuna di far leva su un capitale umano molto tecnico. Italtel vuole, inoltre, diventare più rilevante nel mercato della pa ed enterprise, un campo in cui investiremo in termini di presenza non solo tecnologica ma commerciale, rivedendo ad hoc i nostri organici. Tutto ciò non esclude che in alcuni ambiti si debba ricorrere anche all'inserimento di skill esterne per accelerare la crescita. Nell'ambito della progettazione ultra-broadband, una fetta dei nostri progettisti, pari al 25%, proviene da un percorso di riconversione e ha partecipato a programmi di formazione ad hoc. Farete ricorso agli ammortizzatori sociali per far fronte al piano di trasformazione delle competenze? E' un tema che tratteremo in futuro, certamente l'azienda deve essere sostenibile dal punto di vista dei costi visto che ci muoviamo in un mercato altamente competitivo, quindi utilizzeremo tutte le leve a nostra disposizione. Ha parlato di diversificazione, su quali nuove soluzioni state puntando? Nel mondo della telemedicina la nostra soluzione DoctorLink è stata da poco qualificata ed è sulla piattaforma Cloud marketplace di Agid. Permette di scambiare informazioni multimediali per consentire telediagnosi e dare supporto a pazienti con malattie croniche che non hanno possibilità di essere ospedalizzati. Va nella direzione di rendere un miglior servizio sanitario alla popolazione. Un altro ambito su cui stiamo puntando è la transizione 4.0, la trasformazione dell'industria. Siamo presenti anche in alcuni competence center come ad esempio il Made del Politecnico di Milano e, nell'ambito dell'industry 4.0, abbiamo realizzato infrastrutture di rete, di cybersecurity, soluzioni per gli analytics. Poi c'è il tema della migrazione verso il cloud, ambito molto importante anche per il Pnrr, affrontando l'obiettivo della digitalizzazione e modernizzazione della pa. In questo settore abbiamo appena lanciato Fast-Shift assieme a Microsoft e Cisco. E' una soluzione che permette di accelerare i tempi di migrazione al cloud azure senza modificare le applicazioni e le infrastrutture di rete. Tirando le somme, stiamo cambiando la pelle di Italtel e lavoreremo sempre più in collaborazione con hyperscaler e partner tradizionali per rendere semplice la migrazione verso il cloud.Last but not least, nei giorni scorsi ci siamo aggiudicati l'assegnazione del rinnovo della piattaforma Human Communication per Banca d'Italia. Si tratta della piattaforma dei contact center utilizzata tra 4 banche centrali europee, quella italiana, francese, tedesca e spagnola, per servizi interni, interbancari. Italtel aveva già realizzato la piattaforma pre-esistente che viene fatta evolvere tecnologicamente. Un altro passo molto importante compiuto dall'azienda è il recente cambio di sede, abbiamo lasciato quella storica di Castelletto per Caldera Park , un luogo di lavoro da 4.200 metri quadrati, dinamico e collaborativo che aiuterà il team working del nostro personale oltre ad essere cost effective. Su che target di ricavi puntate? Stiamo rivedendo i nostri piani, sono stati anni molto difficili per Italtel e ora stiamo risalendo la china. Italtel è una multinazionale presente in Italia e all'estero e, attualmente, stiamo rivedendo la nostra strategia internazionale per concentrarci solo nei Paesi dove c'è un alto potenziale di crescita o dove sono già presenti grandi aziende italiane. Alla luce di tutto ciò la nostra ambizione è tornare a un livello complessivo globale di ricavi superiore ai 300 milioni di euro. Quando sarà pronto l'aggiornamento del piano industriale? Come già annunciato, stiamo lavorando sulla revisione del piano industriale e saremo pronti per luglio. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 22/4/2022

22 Aprile 2022

Cioli (Sirti): «Di fronte alla carenza di manodopera occorre fare sistema»

Parla l'ad dell'azienda di rete che punterà sempre più sulla diversificazione. Consolidamento nel settore? «L'obiettivo principale è lo sviluppo» Di fronte alla carenza di manodopera delle aziende di rete e alle criticità del settore «occorre fare sistema» tra le realtà imprenditoriali, con i regolatori e le istituzioni: «se gestita in maniera ragionevole con strumenti innovativi», la crisi può anche trasformarsi in opportunità, legata a un progetto Paese. Parola di Laura Cioli, già ceo di Gedi, Rcs Mediagroup e CartaSi (ora Nexi), nella sua prima intervista come ad di Sirti, azienda di rete controllata al 100% dal fondo Pillarstone. Le imprese del settore dovrebbero, spiega la manager a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School), «cercare di far crescere il numero complessivo delle risorse e non, ad esempio, competere semplicemente sui profili senza una visione di sistema». Superando il concetto di competizione ed entrando in una «visione di progetto di sistema» come quello di realizzare le nuove infrastrutture di tlc per il Paese. Nel frattempo, l'azienda, che conta 3.800 dipendenti e ricavi (nel 2020) per 733 milioni, sta cercando di diversificare il business. Puntando, spiega Cioli, nominata ceo a gennaio scorso, in particolare sulle attività di trasformazione digitale, cybersecurity e networking in testa. Il consolidamento nel settore? « Per me al momento l'obiettivo principale è lo sviluppo, non il consolidamento o il risparmio». Il problema della carenza di manodopera nelle aziende di rete è ormai noto, avete avuto delle risposte da parte del Governo? Oggi c'è una potenziale carenza di manodopera per migliaia di addetti, è un fattore acclarato sul quale tutti siamo d'accordo. Non vorrei essere una voce fuori dal coro, ma secondo me la crisi di manodopera può essere gestita in modo ragionevole con strumenti innovativi. Può, cioè, essere trasformata in opportunità, legata a un progetto molto rilevante per il Paese. Stiamo, infatti, vivendo un momento di grande sviluppo grazie al Pnrr, ma anche per il desiderio e la volontà dei cittadini e del Paese di dotarsi delle infrastrutture digitali chiave. Credo che questa sia una fase in cui tutti gli elementi della filiera, che vanno dal regolatore alle istituzioni alle imprese di rete, debbano dare una grande prova di maturità e responsabilità. Dobbiamo uscire dal concetto di competizione, come singoli, ed entrare in una visione di progetto di sistema. Tutto ciò si traduce in tante cose: chi definisce le regole le può semplificare; noi imprese di rete dovremmo cercare di far crescere il numero complessivo delle risorse e non, ad esempio, competere semplicemente sui profili senza una visione di sistema. Nessuno deve considerare le condizioni a contorno come se fossero un problema di altri, esiste ad esempio un tema di costo dei materiali che non può essere affrontato da un pezzo della filiera, ma va risolto assieme. Altrimenti non funziona. Non ci può essere uno che vince e uno che perde, questo è il momento in cui penso si possa dire che o vinceremo tutti assieme o perderemo tutti assieme e, se perderemo, perderà il Paese. Il fatto che si riesca a realizzare i progetti passa attraverso il saper giocare come una squadra, anche se ciascuno avrà il suo ruolo, anche se ci saranno delle regole, ma con un'armonia che deve essere superiore rispetto al passato. Per il vostro settore, come per quello delle telco, si è parlato di consolidamento. L'obiettivo di giocare come squadra passa anche attraverso ipotesi di condivisione, joint venture o consolidamento? Il tema critico non è risparmiare costi, è cercare di aumentare la capacità, abbiamo bisogno di essere di più, lavorare in modo organico ed efficiente. Qualsiasi fattore porti a far crescere il numero dei lavoratori a disposizione è benvenuto se fatto in modo sostenibile, economico e nel rispetto delle regole. Il consolidamento in genere avviene, invece, quando bisogna stringere, risparmiare, fare sinergie, e quindi in questo momento non è fondamentale. Se ci fossero elementi funzionali a far crescere la capacità ben vengano, ma mettere assieme quanto già c'è non fa crescere le risorse nel mercato. Per me al momento l'obiettivo principale è lo sviluppo, non il consolidamento o il risparmio. Che cosa ne pensa dell'ipotesi di utilizzare gli immigrati per trovare le risorse della manodopera? Occorre un tavolo ad hoc con le istituzioni? Penso che le persone che mettiamo in campo debbano essere ben formate e lavorare in contesti sicuri e regolati. Per noi la nazionalità è irrilevante, l'importante è avere le risorse attraverso percorsi di formazione ben fatti che tutelino le persone e la loro sicurezza. I bacini di reclutamento principali sono le scuole. Stiamo, pertanto, sperimentando percorsi innovativi, ad esempio formando nelle carceri delle persone che possono essere inserite nel lavoro sempre nel rispetto delle regole. Secondo me non c'è bisogno neanche di così tanti tavoli, occorre invece voglia di fare, di costruire, un po' di fantasia e creatività nell'individuare dei bacini di risorse da utilizzare. Che tempi occorre rispettare per soddisfare l'esigenza di manodopera? Stiamo già nel pieno dell'attività, siamo nella fase di crescita delle risorse. Già prima dell' assegnazione delle gare del Pnrr ai nostri clienti, abbiamo in corso tante attività da portare avanti con loro nelle varie aree. Bisogna, quindi, inserire sempre più risorse e lo facciamo già. Siamo una macchina che si sta già preparando a un potenziale lavoro incrementale. Se da un lato necessitate di nuove risorse, dall'altro alcune figure sono diventate obsolete con il passaggio dal rame alla fibra, continuerete a usare gli ammortizzatori sociali? È chiaro che noi abbiamo una parte del business in grande sviluppo e un'altra che, necessariamente, non lo è più. Sul fronte delle infrastrutture c'è un grande processo di trasformazione. Facciamo di tutto per operare il reskilling, ma in alcuni casi non ci sono le condizioni. Quindi, c'è il ricorso ad ammortizzatori laddove la situazione lo renda necessario. Oltre allo sviluppo del vostro business classico, lei ha annunciato con la sua nomina la diversificazione e lo sviluppo verso altri settori contigui, l'azienda sta cambiando pelle? La parte più importante su cui oggi stiamo puntando è quella dello sviluppo delle attività di trasformazione digitale, con particolare riferimento al networking e alla sicurezza. Su quest'ultima tematica, sempre più importante, abbiamo acquisito una società di cybersecurity, Wellcomm Engineering, e abbiamo già una divisione Digital Solutions che ha competenze di sicurezza e anche di networking. Stiamo investendo in modo significativo per muoverci nella catena del valore di fornitura dei servizi, seguendo quello che chiede il mercato. Noi abbiamo competenze di tecnologie e infrastrutture a tutti i livelli in varie aree e vorremmo anche sollevare le aziende clienti dall'esigenza di occuparsi della complessità dei sistemi e degli impianti, e lasciarle concentrare sul loro core business. Dal punto di vista della dimensione, i business più importanti sono quello, classico, di sviluppo dell'infrastruttura e quello dei sistemi digitali, anche perché le altre attività sono in fase un po' più embrionale, ma se il mercato ce lo chiedesse in maniera coerente con quella che è Sirti oggi, noi saremmo pronti. Avete le competenze per puntare sulle nuove frontiere? Abbiamo le competenze, ma il mercato si evolve, con particolare riferimento al mondo del networking e della sicurezza. Stiamo comunque crescendo inserendo persone nuove che hanno caratteristiche fondamentali. Per non rimanere indietro dobbiamo, quindi, crescere anche dimensionalmente, ma per fortuna abbiamo una domanda in crescita. Ci sono aree di sviluppo, ci sono state già in passato e lo saranno, come mi auguro, anche in futuro. Pensate di crescere anche attraverso qualche acquisizione? Non abbiamo niente in programma in questo momento, ma se la domanda fosse se siamo aperti alle acquisizioni risponderei che, se ci fossero opportunità funzionali ai nostri progetti, le guarderemmo come sempre. Con la solita attenzione a creare valore. Sirti è passata attraverso fasi complicate, ora è in una posizione non complicata, in un mercato che dà tante opportunità, quindi siamo pieni di energia e desiderio di contribuire allo sviluppo. Se questo richiederà qualcosa di non organico lo guarderemo, ma il percorso principale è quello di diventare sempre più bravi a costruire quello che già sappiamo fare. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 22/4/2022

10 Giugno 2022

Granarolo: «La nostra responsabilità dal benessere animale al latte di qualità. Sostenere famiglie e filiera dal caro-prezzi»

ll presidente del gruppo parla a SustainEconomy.24 anche dell'estero e dell'impatto dell'inflazione Un percorso di sostenibilità che è una assunzione di responsabilità e passa dal benessere animale alla qualità del prodotto all'attenzione per l'ambiente, con 200 milioni di vasetti in plastica in meno ogni anno nel giro di 24 mesi e il taglio del 30% delle emissioni di CO2   per ogni litro di latte entro il 2030. Il presidente di Granarolo, Gianpiero Calzolari, racconta a SustainEconomy.24, report di Radiocor e Luiss Business School l'impegno e gli investimenti verso un'agricoltura 5.0 del gruppo, la più importante filiera zootecnica italiana del latte con 13 stabilimenti in 7 Regioni. Ma parla anche dei giovani che seguono Greta, che saranno i genitori consumatori di domani, e scelgono prodotti buoni ma soprattutto sostenibili. E dell'estero, fondamentale per il gruppo, con una quota del 40% attesa a fine anno. L'intervista è l'occasione anche per fare il punto sull'impatto dei prezzi delle materie prime e del caro energia. «Un impatto inimmaginabile», sottolinea, con l'inflazione reale a due cifre che richiede di distribuire la negatività tra chi produce, chi raccoglie, chi trasforma, chi distribuisce e chi consuma. Con sostegni alle famiglie ma anche alla filiera. E' cresciuta la sensibilità del settore agroalimentare per l'ambiente e la sostenibilità? «Noi abbiamo iniziato un processo di assunzione di responsabilità perché produciamo latte e trasformati del latte e sappiamo che, sia per la parte industriale sia per la parte zootecnica-agricola, parliamo di attività che inevitabilmente impattano sull'ambiente. A questo, negli ultimi anni, si è aggiunta la consapevolezza di come, d'altro lato, i cambiamenti climatici influiscono sul comparto – e lo dimostrano in questi giorni le difficoltà della siccità sulla produzione di mais o sull'irrigazione – con la la decisione, presa all'interno della filiera, della necessità di apportare dei cambiamenti anche culturali oltre che imprenditoriali. I nostri allevatori vivono tutti i giorni l'impatto di questo cambiamento climatico con l'assunzione di responsabilità che ognuno deve fare qualcosa.Il benessere degli animali, la riduzione delle emissioni, l'attenzione all'ambiente e alla qualità del latte». Da anni il gruppo Granarolo ha messo a punto una strategia sostenibile dalla produzione della materia prima alla distribuzione del prodotto finito.A che punto siete? «Noi, come gruppo, abbiamo deciso di farci carico industrialmente della sostenibilità con gli investimenti. Ad esempio, nel giro di un paio d'anni, toglieremo dai sacchetti dell'immondizia delle famiglie italiane 200 milioni di vasetti di plastica dello yogurt che stiamo sostituendo con quelli in carta riciclabile. Troviamo nuove tecnologie in grado di garantire risparmi energetici ed idrici, ma se questo è un investimento di facile comprensione, più complicato è attuare un cambiamento rilevante sulla parte agricola, vale a dire mettere in piedi tutte quelle procedure agronomiche e zootecniche che richiedono un grande livello di innovazione tecnologica e digitalizzazione e che, appunto danno il contributo più significativo alla riduzione dell'impronta carbonica. In parallelo all'impegno in termini di CO2 e si affianca l'impegno sul benessere animale tema sul quale, oggi, c'è una grandissima sensibilità. Il nostro gruppo si è ripromesso di avere un atteggiamento ancora più virtuoso di quanto le normative comunitarie richiedano. Tutte le nostre stalle sono assoggettate ad un punteggio di adeguatezza e, anno dopo anno, alziamo la soglia minima; per alcune siamo partiti dalla sufficienza e il nostro obiettivo è arrivare all'eccellenza di tutte. Abbiamo potuto inserire sulle nostre etichette il bollino di un ente terzo che certifica il benessere animale e abbiamo soddisfatto una sensibilità crescente dei consumatori. Un animale che sta bene vive di più, non ha bisogno di farmaci, impatta ambientalmente meno, produce di più e il latte raccolto è di migliore quantità . Stiamo lavorando con un comitato tecnico scientifico formato dalle Università di Bologna (tema: l'alimentazione animale in chiave di riduzione dell'impatto ambientale), di Milano (tema: il benessere animale) e di Brescia (tema: la misurazione dell'impatto in campo e alla stalla) per fare una fotografia e misurare ogni singola azienda associata - e stiamo parlando di 600 aziende. Digitalizziamo le aziende per avere dati in tempo reale e per farlo occorre molta formazione, molte stalle hanno introdotto la robotizzazione. Si tratta di una importante opportunità di passaggio generazionale. Naturalmente il tutto va fatto garantendo il reddito ma anche la possibilità di supportare questi investimenti perché la sostenibilità prima di tutto è sostenibilità economica». A tale proposito, si riesce a conciliare l'attenzione alla sostenibilità con la crescita economica? «Quello del benessere animale è un classico esempio dove vincono tutti:  l'animale, l'allevatore, il consumatore e anche noi, come gruppo, perché possiamo ottenere una certificazione che ti fa marcare una differenza dai competitor. Questo è possibile perché non siamo un gruppo industriale ma un gruppo cooperativo dove il rapporto con gli allevatori è quotidiano, non è di compravendita, ma di filiera e condivisione. In prospettiva, poi, immaginiamo che i parametri di sostenibilità saranno anche oggetto di una premialità, nel prezzo, dei comportamenti virtuosi come stanno facendo già le grandi cooperative del Nord Europa. Anche se più che la premialità bisogna mettere a disposizione risorse e tecnologie che oggi aiutano molto, ma ovviamente hanno dei costi. Non stiamo chiedendo solo all'allevatore di adeguarsi ai parametri di sostenibilità ma stiamo costruendo insieme qualcosa». Che tipo di risposta riscontrate nei consumatori? «Tutti parliamo di green ma la vera scelta il consumatore la fa nel momento in cui sfila dallo scaffale un prodotto anziché un altro. Un brand come il nostro, che ha una fidelizzazione importante, si porta dietro anche un'etica del consumo. Noi ora stiamo investendo molto sui giovani che oggi sono in piazza con Greta e che se non troveranno coerenza tra la qualità del prodotto e un prezzo equo, ma anche una dimostrata sostenibilità ambientale, non confermeranno l'acquisto. Oggi per la mia generazione è molto più importante che il prodotto sia buono, per le generazioni che si stanno affacciando al mercato il prodotto deve essere buono ma anche sostenibile. Sarà più semplice raccontare che togliamo la plastica, più complicato raccontare l'impegno lungo la filiera, ma la tecnologia ci aiuta: abbiamo etichette che parlano, che possiamo interrogare con un cellulare». Quali sono i prossimi obiettivi? «Noi abbiamo iniziato un processo in base a cui al 2030 avremo ridotto del 30% le emissioni di CO2 per ogni litro di latte e il nostro bilancio di sostenibilità, tutti gli anni, racconta quanto ci stiamo avvicinando. Se oggi ascoltiamo la pubblicità televisiva o radiofonica sono tutti green, ma questo approccio deprime il valore del processo. Noi dobbiamo anche un po' smarcarci, dobbiamo essere molto seri e raccontare anche le difficoltà che si incontrano e fare in modo che il produttore e il consumatore siano complici positivi di un percorso virtuoso». Siete un gruppo fortemente radicato in Italia ma state crescendo molto all'estero e con le acquisizioni. Quali sono i programmi futuri? « L'estero è fondamentale. L'Italia con questo ultimo anno, al termine di un processo partito dal 2015 dopo le ‘quote', è diventata autosufficiente per quanto riguarda la materia prima latte. Ora quest'anno è particolare perché c'è un problema di congiuntura negativa e di materie prime per l'alimentazione che costano il 20-25% in più e ci sarà un'inversione di tendenza. Però, il sistema produttivo si è evoluto, gli investimenti sono cresciuti e, se noi non trovassimo sbocchi in altri mercati ci troveremmo con un'eccedenza di prodotti. Abbiamo la fortuna che il made in Italy è molto apprezzato dai consumatori di tutto il mondo. Certo, per andare all'estero dobbiamo avere prodotti con una vita lunga e un'organizzazione efficiente. Siamo convinti che sia una strada da perseguire che va di pari passo con una caratterizzazione della produzione e con le acquisizioni. Di recente abbiamo fatto due investimenti importanti: in una società di produzione di gorgonzola che, secondo noi, è un prodotto che ha una grande potenzialità all'estero e in una società negli Stati Uniti che abbiamo individuato come produttore di prodotti freschi locali. Quindi l'estero rimane uno dei nostri punti di eccellenza e una strada da perseguire. Credo, anche se è presto per dirlo, che chiuderemo il 2022 con un 40% di export». Ha fatto riferimento al rincaro dei prezzi delle materie prime ed energetici. Come sta impattando? «Sta impattando in una maniera inimmaginabile. Il trend era già in atto dall'autunno scorso, quando scarseggiavano i prodotti per l'alimentazione animale, poi, ovviamente la guerra l'ha esasperato ulteriormente. Il più famoso granaio del mondo si è chiuso e manca un 20% di mais da quell'area così come non abbiamo un'alternativa ai concimi che vengono dalla Russia. Poi c'è il discorso dell'energia che vale per la parte industriale, oltre ad altre componenti di prezzo: dalla plastica alla carta, alla logistica. Per noi l'inflazione reale è a due cifre con due punti davanti. Quindi, ovviamente, abbiamo dovuto e voluto riconoscere un aumento di prezzo ai nostri allevatori, che altrimenti avrebbero dovuto chiudere, e stiamo discutendo con la grande distribuzione per un adeguamento dei listini. Tutti consapevoli che in questo momento il tema è riconoscere l'oggettività dell'inflazione e cercare di distribuire la negatività tra chi produce, chi raccoglie, chi trasforma, chi distribuisce e chi consuma. Il 2022 sarà un brutto anno per chi produce e chi consuma. D'altro lato sarebbe sciocco aumentare troppo i prezzi perché questo deprimerebbe molto i consumi. Quindi, da un lato, credo sia inevitabile una politica di sostegno alle famiglie, dall'altro sarà importante lavorare su politiche di supporto alla parte produttiva, per superare questo momento difficile, ma anche per una razionalizzazione ed efficientamento che sia strutturale». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 10/6/2022

10 Giugno 2022

Amadori: "Sostenibili e sempre più green. Il nostro percorso è un investimento per il futuro"

L'amministratore delegato del gruppo avicolo, Francesco Berti, parla anche della nuova sfida con l'ingresso nel segmento delle proteine vegetali Un percorso di sostenibilità intrapreso da tempo, dagli allevamenti agli stabilimenti, dai mangimifici alla logistica. Il gruppo Amadori, una delle maggiori aziende italiane del settore avicolo con una quota di mercato pari a circa il 30%, guarda alle scelte sostenibili e green come un «investimento per il futuro» come racconta l'amministratore delegato, Francesco Berti, in un'intervista a SustainEconomy.24, report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School. E parla anche della nuova svolta green con l'ingresso nel segmento delle proteine vegetali. Per Amadori essere sostenibili significa contribuire alla creazione di un sistema alimentare sano e rispettoso dell'ambiente, a partire da una filiera 100% italiana e a basso impatto. Ci parla del vostro impegno? «Quello della sostenibilità è un percorso che abbiamo scelto di intraprendere ormai da diverso tempo. Un percorso fatto di azioni concrete, definite e realizzate lungo una filiera articolata e complessa come quella avicola, e che coinvolgono ogni fase, dagli allevamenti agli stabilimenti, dai mangimifici alla logistica. Siamo ben consapevoli che per ragionare in termini di sostenibilità ambientale sia necessario lavorare anche sui versanti sociale ed economico e, proprio in virtù di questa consapevolezza, il nostro impegno è di fare impresa in maniera sempre più responsabile, assicurando stabilità alla struttura interna, al personale e alla rete dei nostri stakeholder. Tutte le azioni che stanno costruendo questo percorso, dallo scorso anno, sono rendicontate nel Report di Sostenibilità del Gruppo Amadori, allineato ai GRI Standards. La seconda edizione del Report sarà diffusa a fine giugno 2022». Energia, economia circolare: quali sono i risultati e i prossimi obiettivi? «Sicuramente il tema energetico è uno dei principali ambiti di intervento quando parliamo di sostenibilità. Un tema che ha acquisito una nuova centralità anche alla luce dei fatti recenti che hanno pesantemente modificato gli equilibri internazionali e hanno esplicitato in maniera ancora più evidente la necessità e l'urgenza di nuovi modelli di approvvigionamento e di consumo. Con particolare riferimento all'ambito energetico, la via perseguita dal Gruppo Amadori è quella dell'autoproduzione tramite un polo energetico che sul territorio romagnolo annovera una centrale termica integrata a due impianti di cogenerazione a gas metano, che permettono di coprire circa l'80% di energia utilizzata nel sito principale di Cesena. Qui è presente anche un biodigestore anaerobico che alimenta un terzo impianto di cogenerazione. Altri impianti di questo tipo, alimentati a gas naturale, sono presenti nel mangimificio di Settecrociari di Cesena e nello stabilimento di Santa Sofia, mentre un cogeneratore alimentato a olio vegetale è presente presso il mangimificio di Ravenna. Tra le altre azioni, l'estensione della dotazione di pannelli fotovoltaici negli allevamenti di proprietà e nelle filiali e il crescente impiego di energia da fonti virtuose o rinnovabili. Sempre nello stabilimento di Cesena, l'adozione di sistemi di lavaggio efficienti e di acqua di recupero opportunamente trattata ottimizzano la gestione delle risorse idriche e gli impianti di potabilizzazione hanno reso possibile l'utilizzo fino al 70% di acqua di superficie, riducendo il ricorso a falde acquifere. L'economia circolare viene promossa attraverso la riconversione dei reflui di lavorazione, dei sottoprodotti (materia prima per il pet food), del digestato, del grasso e della pollina, che da scarti del processo produttivo si trasformano in nuove risorse. Tutte azioni sinergiche sulle quali si continuerà a lavorare nei prossimi anni». E' una scelta vincente anche sotto il profilo economico e di prospettive future?  «Assolutamente sì. Si tratta di un investimento per il futuro non solo del nostro Gruppo, ma dell'intero settore che oggi è chiamato ad affrontare nuove e non più procrastinabili sfide sul versante ambientale. Sfide che segnano un vero e proprio spartiacque tra il passato e una nuova concezione del settore avicolo che, proprio per la portata e il valore della sua filiera, è chiamato ad avere un ruolo di primo piano sul tema dell'economia circolare e, più in generale, della sostenibilità ambientale con azioni decise e di prospettiva». Che tipo di risposta riscontrate nel consumatore? E' cresciuta la sensibilità al prodotto sano e sostenibile? «Oggi il consumatore è di certo più informato rispetto all'origine, alle caratteristiche nutrizionali e ai processi produttivi degli alimenti che sceglie di portare in tavola. Durante il periodo dell'emergenza pandemica si è accentuata la propensione ad acquistare prodotti salutari, anche se nello stesso lasso di tempo la dimensione sostenibile - nello specifico per quanto riguarda il packaging - sembrava essere passata in secondo piano rispetto alla sicurezza alimentare. Parlando invece di salubrità e sostenibilità in termini di produzione, sicuramente ci troviamo davanti a un fenomeno che non è più solo una tendenza, ma che è destinato a rimanere come declinazione di un più ampio stile di vita orientato al benessere delle persone, dell'ambiente e, nel nostro caso, degli animali. Alla luce di questo scenario, rimane in tutta evidenza il fattore prezzo che, di fatto, è ancora una discriminante importante durante l'atto di acquisto». Qualche giorno fa un'ulteriore svolta green. Avete annunciato anche l'ingresso nel settore del cosiddetto plant based. Ce ne parla? «La scelta di entrare in questo nuovo mercato esplicita una nuova visione di business del Gruppo, che oggi punta a guidare il più ampio settore delle proteine: dalla storica e consolidata expertise nel settore avicolo (proteine bianche), passando per le carni suine (con la recente acquisizione di Lenti), fino all'ingresso nel settore delle proteine vegetali. Continuiamo dunque a diversificare la nostra offerta mantenendo il focus sulle proteine e facendo ingresso in un mercato che negli ultimi tre anni ha registrato una crescita costante, con un incremento del +25% a valore e del +23% a volume, raggiungendo 113 milioni di euro di fatturato nel 2021. L'evoluzione delle scelte di acquisto e consumo, come dicevamo sempre più orientate a diete variegate ed equilibrate sotto il profilo nutrizionale e a premiare l'alto contenuto di servizio, è al centro del crescente successo dei prodotti a base di proteine vegetali oggi presenti sulle tavole di 5,2 milioni di italiani. Una scelta che non è, però, da intendersi come esclusiva. Infatti, il 92% di questo target consuma regolarmente carne, confermando l'interesse per un regime alimentare vario e bilanciato, in cui le proteine - provenienti da più fonti - hanno un ruolo centrale, coerente con un approccio salutistico e green che orienta in maniera sempre maggiore lo stile di vita». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 10/6/2022

10 Giugno 2022

Haribo: «Con i nostri Orsetti d'Oro e la qualità accendiamo la felicità fanciullesca e la fiducia dei consumatori»

Marco Piantanida, amministratore delegato per l'Italia, racconta l'impegno sulla sostenibilità e le potenzialità del mercato italiano Accendere la felicità fanciullesca dei consumatori e guadagnare la loro fiducia attraverso l'attenzione continua alla qualità dei prodotti, alla salvaguardia dell'ambiente e al sociale. E' la mission di Haribo (acronimo di Hans – Riegel – Bonn dal nome del fondatore, il caramellaio tedesco Hans Riegel), la società leader nel settore delle caramelle gommose che ha appena festeggiato i 100 anni degli iconici Orsetti d'Oro. Marco Piantanida, amministratore delegato per l'Italia, racconta a SustainEconomy.24, report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School, l'impegno sulla sostenibilità e le potenzialità del mercato italiano. Haribo da oltre 100 anni produce caramelle con attenzione alla qualità dei prodotti, alla sicurezza della filiera ma anche alla salvaguardia dell'ambiente e al rispetto dei diritti umani. Ci parla dell'impegno per la sostenibilità? «La sostenibilità per Haribo è uno starting point: dall'indipendenza alla responsabilità verso il cliente, all'attenzione verso i dipendenti. L'indipendenza della famiglia, che storicamente ha la proprietà di Haribo, ci permette, non dovendo rispondere ai mercati né a terzi, di avere un'attenzione superiore ai temi della sostenibilità. Haribo è sinonimo di caramelle gommose e un leader di settore e, come tutti i leader, diventa un parametro di riferimento. I nostri valori portanti sono l'indipendenza e la fiducia, accanto alla sostenibilità ambientale e sociale, con una particolare attenzione ai dipendenti. Poi c'è la qualità, che è uno dei principali valori. Anche perché il vero azionista dell'azienda non è mr. Riegel ma il consumatore che, di fatto, è la ragione di vita dell'azienda. Chi sceglie e si fida è importante che trovi sempre il gusto e la felicità fanciullesca. L'azienda ha più di un secolo e continua ed essere leader nel mercato perché quella della qualità è una scelta senza compromessi. Si possono creare nuovi gusti, si può puntare ad un target sempre più ampio ma se guardiamo, ad esempio, l'orsetto, che quest'anno compie cent'anni, è quasi del tutto invariato. Il prodotto vincente è caratterizzato da elementi che resistono nel tempo». Economia circolare, riciclo, packaging. Quali sono le sfide future? «Il packaging del prodotto per noi è già integralmente riciclabile e continuiamo a lavorare per trovare il giusto equilibrio tra il gusto, la sicurezza alimentare e la qualità del prodotto. Poi, ovviamente, a livello di headquarter, stiamo lavorando ai nuovi materiali che, oltre ad essere ecofriendly, devono garantire lo stesso tipo di qualità e sicurezza. Ma, ovviamente, non dobbiamo mai essere soddisfatti da quello che abbiamo raggiunto perché, domani, ciò che non è etico, riciclabile e sostenibile diventerà una barriera per i consumatori». Gli Orsetti d'Oro gommosi hanno appena compiuto i 100 anni. Per festeggiare il centenario, in Italia, avete anche lanciato un'iniziativa di solidarietà con Dynamo Camp. Di cosa si tratta? «Si tratta di un'iniziativa veramente importante perché non si parla di qualcosa di one shot ma rientra nel nostro percorso di sostenibilità sociale, di inclusione, partito all'interno dell'azienda, con il supporto di Dynamo Academy. Il centenario degli Orsetti d'Oro è stata l'occasione di rendere partecipi i consumatori e coinvolgerli in modo da contribuire, al di là della donazione economica in favore di Fondazione Dynamo Camp, per supportare bambini e famiglie che trovano nella Terapia Ricreativa uno strumento per ritrovare fiducia in sé stessi e migliorare la qualità della loro vita. Vogliamo pensare a queste iniziative in un percorso che sia il nostro modo di accendere e condividere la felicità con tutti, perché la felicità è un diritto». Parliamo del mercato italiano che ha numeri importanti. Investimenti, nuovi prodotti, prospettive: ci delinea un quadro? «Haribo, in Italia, ha una storia di lungo corso con una accelerazione nell'ultimo periodo. Nel mercato globale, soprattutto in Nord Europa, la caramella è tipicamente gommosa, in Italia la caramella è storicamente dura, ma ora sta avvenendo una traslazione di quello che negli altri Paesi è partito parecchio tempo fa. Oggi Haribo, in Italia, copre più della metà del mercato del gommoso e, nel 2020, è diventato il brand leader di mercato del comparto totale caramelle. Questo che ci fa ben sperare per il futuro, convinti che questa traslazione continuerà e rende l'Italia un mercato potenziale per il gruppo che può offrire tante opportunità. A livello di prodotti, in Italia c'è una compresenza di due prodotti cardine; Orsetto d'Oro, infatti, hanno una sorella che è ‘Rotella' che storicamente fa parte della nostra cultura. Sui nuovi prodotti stiamo mettendo innovazione, sperimentazione e divertimento, che sono parte del Dna del brand. Quest'anno, con il centenario abbiamo lanciato gli Orsetti d'Oro Frizzanti, abbiamo ‘Bandz' che è un prodotto frizzante che cattura un pubblico di adolescenti o ‘giovani dentro', e ‘Color Pops' che allarga il target. La prospettiva è di assumere nel mercato un ruolo sempre più rilevante ma anche un ruolo sociale sempre più definito».  SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 10/6/2022

10 Giugno 2022

Fruttagel: «Crescita a doppia cifra per il biologico. Siamo premiati perché ascoltiamo i consumatori»

Ne parla il presidente e amministratore delegato Stanislao Fabbrino Il successo delle bevande vegetali e la crescita a doppia cifra del biologico sono i «risultati emblematici» di un percorso di costante ascolto di consumatori sempre più sensibili a prodotti green e sostenibili. Stanislao Fabbrino, presidente e amministratore delegato di Fruttagel, società specializzata nella trasformazione di ortofrutta fresca, cereali e legumi, nota per il marchio Almaverde, racconta il percorso del gruppo «che nasce come impresa sostenibile». Avete diffuso i dati del 2021 che confermano il successo delle bevande vegetali e un incremento a doppia cifra per il biologico. Registrate una maggiore attenzione da parte dei consumatori italiani per prodotti green e sostenibili? «Possiamo parlare sicuramente di una maggiore sensibilità da parte del consumatore nei confronti degli aspetti nutrizionali degli alimenti, di un più marcato interesse sull'origine e sui processi di produzione. A tale riguardo, per Fruttagel, il successo delle bevande vegetali e la costante crescita del biologico registrati nel 2021 sono due risultati emblematici di un percorso di costante ascolto del consumatore che rappresenta un po' la nostra cifra distintiva e ci permette di proporre soluzioni sempre innovative e capaci di rispondere in maniera puntuale alle richieste di mercati dinamici come quelli in cui operiamo». Che cosa vuol dire per Fruttagel sostenibilità? Qual è il vostro impegno? «Fruttagel nasce come impresa sostenibile, non lo è diventata nel tempo. Il nostro impegno riguarda tutti gli aspetti del fare impresa, dalla dimensione ambientale a quella sociale ed economica e costituisce un valore aggiunto, importante e riconosciuto, che siamo lieti di condividere con le insegne della distribuzione per le quali produciamo prodotti private label - bevande, succhi e nettari, derivati del pomodoro, vegetali surgelati - e con il consumatore, che raggiungiamo anche in maniera diretta attraverso le linee a marchio e con i prodotti Almaverde Bio del cui Consorzio Fruttagel è socio fondatore. Possiamo dire che al centro del nostro agire mettiamo la responsabilità sociale d'impresa e proprio per rendicontare il nostro impegno, dal 2006 redigiamo il bilancio sociale, poi divenuto bilancio di sostenibilità dal 2016, e orientiamo le nostre strategie nel rispetto degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell'Onu». Qualità della materia prima, etichettatura e packaging. Cosa state facendo? «Nella nostra visione, qualità e provenienza italiana della materia prima sono i punti di partenza di un percorso produttivo responsabile, coerente e sostenibile. In questo percorso, l'attenzione di Fruttagel non poteva che riguardare anche la scelta dell'etichettatura consapevole e l'adesione al Patto contro lo spreco alimentare di "Too Good To Go" per i prodotti a nostri marchi e la scelta di soluzioni per il confezionamento in grado di coniugare minore impatto ambientale, riciclabili e alto contenuto di servizio». Guardando in prospettiva, quali sono i vostri obiettivi in termini di progetti e investimenti? «Nonostante il clima di grande incertezza e l'aumento generalizzato dei prezzi che abbiamo iniziato ad affrontare a partire dalla seconda metà dello scorso anno, Fruttagel è riuscita a realizzare nel corso del 2021 un piano di investimenti di circa 6,2 milioni di euro, di cui 3,3 milioni relativi a progetti in corso di realizzazione nel 2022. Focus su efficientamento produttivo, innovazione e miglioramento della sicurezza nei reparti produttivi dei due stabilimenti - Alfonsine, in provincia di Ravenna e Larino, in provincia di Campobasso - mentre per il triennio 2022-2024 lavoreremo principalmente sulla centrale termica, che permetterà a Fruttagel di risparmiare circa 1.122.000 Smc/anno di metano, e sul nuovo magazzino automatizzato surgelati, che ridurrà drasticamente i trasferimenti di prodotto finito o semilavorato presso strutture esterne». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 10/6/2022

27 Maggio 2022

Nicolaus: «La nostra ospitalità made in Italy etica e contemporanea per intercettare la domanda. Nel futuro obiettivi ambiziosi»

Giuseppe Pagliara, l'amministratore delegato del gruppo che riunisce i marchi Valtur, Nicolaus Club, Turchese e Raro, in un'intervista a SustainEconomy.24, parla anche della ripartenza del settore La ripartenza del settore turistico con un'Italia solida affiancata da un medio raggio di prossimità che sostiene la domanda. Giuseppe Pagliara, amministratore delegato del gruppo Nicolaus che riunisce i marchi Valtur, Nicolaus Club, Turchese e Raro, in un'intervista a SustainEconomy.24, report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School parla del trend di mercato e si sofferma sulla maggiore richiesta di sostenibilità da parte dei clienti, Millennial in testa.  Una sensibilità che trova risposta nell'attenzione del gruppo, a 360 gradi, nella progettazione dell'offerta, nelle strutture in portafoglio, nella sensibilizzazione dei propri interlocutori. Fino ad una ‘matrice di sostenibilità' richiesta agli affiliati Valtur. E in un'offerta made in Italy di ospitalità etica, contemporanea che mette il cliente al centro. Nel futuro del Gruppo, poi, obiettivi ambiziosi: 275 milioni di fatturato entro il 2026, con un totale di 81 strutture a marchio Valtur e Nicolaus Club in Italia e all'estero. Il settore del turismo sta attraversando un periodo di sfide profonde, dalla ripresa post Covid ai rischi geopolitici. I primi mesi dell'anno sembrano parlare di ripartenza, il trend è positivo? «Il trend, fino ad ora, è sicuramente positivo. Un inizio anno esplosivo, rallentato dall'improvviso inasprirsi del contesto geopolitico, che vede negli ultimi mesi un deciso rinvigorirsi della domanda turistica che ha ripreso quota raggiungendo, e addirittura superando, i numeri del 2019, anno benchmark del settore turistico. Per quest'estate, le previsioni di inizio anno sono per noi confermate: un'Italia solida, sempre in cima alle richieste del mercato dei vacanzieri, affiancata da un medio raggio di prossimità che sostiene la domanda estera coniugando una riduzione dell'incertezza di contesto a una qualità e varietà eccellente di strutture ricettive. Mar Rosso, Tunisia, Grecia, Baleari, Canarie e Croazia vanno così a completare il paniere delle destinazioni preferite dagli italiani per l'estate 2022. Fattore decisivo per confermare il trend positivo è un'attenta segmentazione di gamma, che coniuga ai marchi di catena Valtur, sinonimo di vacanza lifestyle, e Nicolaus Club, la vacanza per famiglie per eccellenza, l'offerta di vacanza smart targata Turchese e le proposte upscale di Raro». Negli ultimi anni è cambiato  anche l'approccio al turismo e si è sviluppata una grande attenzione alla sostenibilità e al green. Cosa sta cambiando? «Nulla che non fosse già in atto negli anni precedenti al contesto pandemico. L'attenzione alla sostenibilità nei fatti, e non come pura dichiarazione di intenti, è un trend emergente nella composizione della domanda turistica che ha subìto, durante la pandemia, una decisa accelerazione. L'emergere di una maggiore consapevolezza dell'impatto della propria vacanza sull'ecosistema è, in parte, legato all'avvicendarsi di generazioni nuove come principale bacino d'acquisto della vacanza (come i Millennial, sempre più decisori d'acquisto, per cui la sostenibilità è un fattore rilevante nelle scelte di consumo); in parte risultato della constatazione che l'industria turistica incida, a livello globale, per l'8% sul totale emissioni di CO2. L'industria turistica e dei trasporti è al quarto posto tra le industrie più inquinanti al mondo: cercare un modo nuovo e più consapevole di viaggiare e far viaggiare, lontano dall'essere un nice-to-have, è una necessità. La sostenibilità deve impiantarsi nel nostro settore sin dalla fase di progettazione del prodotto turistico, nella sua definizione più pura». Guardando al vostro gruppo, qual è l'attenzione alla sostenibilità? E quali iniziative state portando avanti? «Il nostro gruppo è impegnato nello sforzo di adottare una sostenibilità a 360 gradi nelle proprie pratiche quotidiane di lavoro e di progettazione dell'offerta, nelle strutture in portafoglio, nella comunicazione e sensibilizzazione dei propri interlocutori. Nelle strutture in cui il Gruppo interviene nella modellazione fisica degli spazi, infatti, la sostenibilità è concepita secondo i principi della bioarchitettura e della progettazione green. L'azienda ha, inoltre, promosso al proprio interno da tempo buone pratiche di sostenibilità ambientale, volte alla riduzione della plastica, al corretto riciclo dei rifiuti, alla consapevolezza sull'impatto ambientale di alcune, insospettabili pratiche di lavoro quotidiano (ad esempio, un'ora di videoconferenza corrisponde a un'emissione di anidride carbonica da 150 grammi fino a un chilo: è davvero necessaria?). Inoltre, con Valtur, il Gruppo Nicolaus ha fatto della sostenibilità uno dei propri elementi fondanti, di cui si fa promotore anche presso i partner albergatori: a ogni struttura che decida di affiliarsi al marchio viene richiesta la compilazione di una dettagliata matrice di sostenibilità, che richiede di specificare quali siano le azioni di sostenibilità ambientale, sociale, nei confronti delle persone e a favore di un'economia inclusiva e responsabile che la struttura ricettiva mette in atto. Tali, concrete azioni di sostenibilità sono comunicate in chiaro, struttura per struttura, sui nostri cataloghi e nel nostro sito web, diventando in questo modo un impegno dichiarato nei confronti dei nostri ospiti. Infine, non mancano le iniziative volte a sensibilizzare le nostre audience sul tema della sostenibilità, intesa non come grande sforzo ma come un insieme di piccole, buone pratiche quotidiane: la più recente è il nostro Calendario dell'Avvento di Nicolino, la mascotte eroe dei piccoli ospiti dei nostri Nicolaus Club, che nell'avvicinamento al Natale ha svelato ai nostri piccoli amici una buona pratica di sostenibilità al giorno». Avete diffuso risultati economici importanti per l'inizio del 2022. Cosa c'è nel futuro di Nicolaus? «Nel futuro del Gruppo Nicolaus ci sono obiettivi ambiziosi: 275 milioni di fatturato entro il 2026, con un totale di 81 strutture a marchio Valtur e Nicolaus Club in Italia e all'estero, per un totale di 8.900 chiavi. Puntiamo a questo risultato sfidante mediante una continua ricerca di un'offerta sempre più customizzata sulle esigenze della domanda. Un modello davvero customer-centrico, che metta al centro l'ospite, e conservi memoria delle sue preferenze e delle interazioni passate, nel pieno rispetto delle informazioni e dei dati del cliente. Nel nostro futuro c'è uno studio continuo e una costante acquisizione di know-how anche nella Hotel Company, per modellare un servizio contemporaneo, identitario e attento alle richieste dei nostri ospiti. Un modello di vacanza leisure distintivo, che porti la nostra firma e che sostenga in maniera finanziariamente solida, etica e sostenibile la nostra crescita. Tutti i nostri sforzi tendono a un obiettivo comune: diventare la migliore espressione possibile del turismo di matrice italiana, secondo un modello di ospitalità etico e contemporaneo».  SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 26/5/2022

27 Maggio 2022

Bernabò Bocca (Federalberghi): «Green e sostenibili, ci adeguiamo ai cambiamenti. Il settore riparte ma servono sostegni»

Per il presidente della federazione i dati sulle presenze fanno ben sperare Il settore alberghiero, da sempre, si adegua al cambiamento. Così di fronte al ruolo centrale della sostenibilità nelle scelte di soggiorno, le strutture si orientano al green e al sostenibile. Bernabò Bocca, il presidente di Federalberghi, in un'intervista a SustainEconomy.24, report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School, parla della ripresa del settore con i promettenti numeri per l'anno. Ma sottolinea anche la necessità del settore di «essere sostenuto in tutto e per tutto» Si parla sempre più di sostenibilità anche nel turismo e nelle strutture alberghiere. Come sta cambiando il settore? «Noi abbiamo sempre lo stesso approccio sulle nuove tendenze: ci adeguiamo al cambiamento. Secondo studi attuali, tutti i viaggiatori a livello mondiale, cercano oggi soluzioni sempre più rispettose dell'ambiente. Aumentano vistosamente infatti i cosiddetti "traveller globali" ed anche quelli più specificamente italiani che considerano la sostenibilità un fattore centrale nella scelta del proprio soggiorno. Si può dire che l'esperienza drammatica della pandemia abbia dato ulteriore impulso a questa crescita. Noi non possiamo che inserirci velocemente nel solco, visto che i nostri competitor europei non stanno certo perdendo tempo in questo senso». Ci saranno sempre più strutture e hotel green? «Diciamo che anche quelle che non lo erano probabilmente faranno in modo di diventarlo. Di sicuro le prerogative richieste oggi, secondo i criteri di sostenibilità, saranno rispettate pienamente da chi nasce ora. Le strutture nuove, che siano di lusso o più alla portata di tutte le tasche, si stanno orientando sempre più in questo senso. Pensiamo al passato: decenni fa vedere utilizzato del materiale riciclato avrebbe fatto scandalo. Oggi questa attività è una virtù perché gli hotel ecosostenibili sono edifici che rispettano l'ambiente, eliminando i rifiuti, risparmiando acqua, inserendosi in modo consono nell'ambiente circostante, anche utilizzando, appunto, materiali naturali e riciclati». Dopo la pandemia il settore si sta gradualmente riprendendo. Ci delinea la fotografia di questa prima parte dell'anno? E quali i trend per il resto dell'anno? «Se dovessimo fare il paragone con il 2019, ultimo anno con perfomance turistiche pre-pandemiche, sarebbe una guerra persa. Ma questo 2022 si è aperto sotto una buona stella. I primi bagliori li abbiamo visti per le festività natalizie. Abbiamo avuto vari stop and go dovuti ai continui cambiamenti sulle restrizioni, del resto era l'andamento della pandemia che generava tutto questo. Ma l'exploit che fa ben sperare lo abbiamo visto con i risultati della Pasqua, con circa 10 milioni di italiani in viaggio, e per il ponte del 25 aprile che ha letteralmente riempito le nostre città d'arte, per lungo tempo rimaste turisticamente "al buio". Questo fa ben sperare per una stagione estiva 2022 con tutti i sacri crismi. Direi che la via è aperta verso il meglio». Di cosa ha bisogno il settore? «Noi abbiamo chiesto al Governo di apportare un insieme di modifiche in materia di esonero Imu, trattamenti di integrazione salariale, riduzione del costo dell'energia elettrica e del gas, moratorie sui mutui, cedibilità dei crediti d'imposta. In parole povere, il settore ha bisogno di essere sostenuto in tutto e per tutto: molte delle nostre aziende hanno dovuto chiudere e non penso riapriranno più. Le altre che hanno resistito hanno ancora bisogno di una mano. Del resto, più si sostengono le imprese del settore più si sostiene il turismo, più si fa bene all'Italia». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 26/5/2022

27 Maggio 2022

Destination Italia: «Dalle Langhe alla Sicilia portiamo in Italia il turismo di qualità. La ripartenza è forte, pronti a crescere»

La presidente e azionista, Dina Ravera, racconta l'evoluzione del turismo incoming nel Belpaese Portare in Italia un turismo post Covid più attento alla qualità, alla sostenibilità e alla sicurezza. L'imprenditrice Dina Ravera, presidente e azionista di maggioranza di Destination Italia, maggiore TravelTech italiana nel turismo di alta gamma verso il Belpaese, quotata su Euronext Growth Milan, racconta a SustainEconomy.24 , report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School, l'evoluzione del turismo incoming e la decisa ripartenza del settore con prenotazioni sestuplicate. E parlando della società - che conta tra gli azionisti, oltre alla controllante Lensed Star, Lastminute.com, Intesa Sanpaolo e importanti imprenditori nel settore del Made in Italy quali il Principe Borromeo, Riccardo Illy e Grom/Martinetti - spiega che la piattaforma plug and play e la diversificazione geografica hanno premiato la società che ha dimostrato di essere flessibile e  saper gestire al meglio il Covid prima e, poi, il conflitto in Russia, uno dei suoi principali mercati. A tutto questo si aggiunge l'attuazione della politica di crescita per M&A, «che rende concreto il piano dichiarato al momento della quotazione, grazie alle importanti competenze in quest'ambito dei soci fondatori. Negli ultimi anni è cambiato il modo di fare turismo, guardando alla qualità e sostenibilità. Come è cambiata la domanda? «Va fatta una premessa: c'è una discontinuità segnata dal Covid. Prima della pandemia, il turismo incoming, dall'estero in arrivo in Italia, rappresentava il 60% del turismo che, nella sua totalità, nel nostro Paese, rappresenta circa il 13% del Pil. Si era registrata una crescita degli arrivi internazionali del 5% tra il 2017 e il 2019. Quindi un trend assolutamente positivo, anche se rimaneva molto legato a poche grandi destinazioni, come le città d'arte (Venezia, Firenze, Roma, Milano e Napoli) e alle solite stagioni (in particolare i mesi di giugno, luglio, agosto) ed il turismo era di una qualità non particolarmente elevata. Con il Covid sono cambiate le regole e, anche noi abbiamo iniziato a valorizzare e a proporre destinazioni meno frequentate. Ecco che i laghi del Nord Italia, le cantine delle Langhe e del Montalcino o le pendici dell'Etna, sono diventate mete molto apprezzate. E' aumentata la richiesta di location meno frequentate, ritenute anche più sicure. Abbiamo selezionato i fornitori in base al rispetto delle normative anti-Covid e li abbiamo certificati in tal senso, verificando il rispetto delle regole previste quali, a titolo esemplificativo, l'adozione dei DPI da parte del personale e la sanificazione degli ambienti spingendo su tutto quello che dava ai nostri clienti la sicurezza di trovarsi in realtà attrezzate per minimizzare il rischio di contagio». Avete scelto di puntare sulla digitalizzazione dei servizi turistici con una piattaforma plug and play. In questo scenario ha aiutato? «Il mercato attuale è quello di un turismo di più alto livello, più ‘alto spendente', che vuole, però, la garanzia di essere gestito in modo sicuro e nel rispetto di canoni di qualità molto elevata, ed è un turismo che si addice completamente alle nostre caratteristiche. Prenota all'ultimo momento rispetto al passato: attualmente le prenotazioni arrivano con al massimo un mese d'anticipo, ma moltissimi clienti prenotano qualche settimana o qualche giorno prima. Il fatto di essere così attrezzati da un punto di vista tecnologico ci ha aiutati in questa grande trasformazione; in primis ci ha aiutati a gestire un numero molto elevato di Paesi d'origine. Oggi abbiamo integrato nella nostra piattaforma circa 1.200 tour operator in 85 Paesi del mondo e 10.000 experience provider in tutta Italia. Questo è stato utilissimo perché, con il periodo Covid prima, e ora con la guerra, avendo così tante geografie integrate e personale in lingue diverse, siamo riusciti a gestire in modo molto flessibile un contesto geopolitico così complesso e difficilmente prevedibile. E abbiamo sempre di più offerto i pacchetti esperienziali che il turismo attuale richiede quali il Glam Golden Tour che prevede l'arrivo a Como, poi il trasferimento in elicottero al lago Maggiore, una cena con lo chef stellato nel Palazzo dell'Isola Madre e poi a Monza e provare i brividi delle Ferrari. I nostri elementi distintivi sono i nostri Travel Designer altamente qualificati e la piattaforma tecnologica plug and play, che ci permettono di distinguerci dalla concorrenza e di gestire una immensa pluralità di paesi di origine e comuni di destinazione». Dopo gli anni difficili per l'emergenza Covid si registra davvero una ripartenza? «Finalmente vediamo una vera ripresa, una ripartenza decisa. Avevamo visto un miglioramento già l'anno scorso, verso ottobre-novembre, con importanti prenotazioni per l'anno successivo; poi abbiamo registrato un rallentamento quando, lo scorso dicembre, è stato dichiarato dal nostro Governo che l'Italia avrebbe continuato con lo stato di emergenza fino a marzo. Un approccio che non è stato seguito dagli altri Paesi europei e che ha visto l'Italia fortemente penalizzata nel settore turistico. A inizio marzo, però, è cambiato tutto e il numero di turisti stranieri che ha iniziato a prenotare verso l'Italia è cresciuto in modo veramente esponenziale: per citare dei numeri, noi abbiamo avuto nel primo quadrimestre del 2022, nonostante gennaio e febbraio siano partiti lenti, prenotazioni sei volte superiori a quelle dello scorso anno. Il primo quadrimestre si è chiuso infatti con un booking che ha raggiunto il valore di oltre 10 milioni di euro, con un incremento del 488%. E anche maggio sta andando benissimo». A quali mercati guardate? «Nel 2020, con l'arrivo del Covid, abbiamo capito immediatamente che dovevamo essere molto forti verso i Paesi che avevano vaccini riconosciuti dalle istituzioni europee e, di conseguenza, abbiamo aumentato sempre di più la presenza, e anche il portafoglio di offerta, verso quei mercati. Nel 2022 ci aspettavamo che si sarebbe riaperto tutto; puntavano sulla Russia, perché non ci si aspettava il conflitto che purtroppo è successo, e pensavamo che la Cina potesse riaprire il proprio turismo verso l'estero. Purtroppo, non è stato così. Ma essere una TravelTech molto flessibile e qualificata su tutte le geografie del mondo, ci ha permesso di compensare con una forte richiesta, ben oltre le attese, di tutti gli altri mercati, dal Nord al Sud America, dall'Europa al Medioriente, con un livello di spesa molto alta e la voglia di avere esperienze di qualità che hanno una ampia marginalità per noi, e per tutto l'ecosistema economico territoriale che ne può trarre un beneficio immenso. Abbiamo quindi rimandato al prossimo anno l'apertura di un mercato importante come la Cina, dove siamo pronti con oltre 150 pacchetti esperienziali in lingua che certamente saranno altamente graditi da quel tipo di clientela che abbiamo studiato con grandissima attenzione». ll mercato, come dimostra anche l'andamento del titolo, vi sta apprezzando. Cosa si aspetta per ilI resto dell'anno e su cosa si concentra la vostra strategia?  «Il mercato, forse, non era certo che saremmo riusciti a compensare la Russia. Ma, tra il 2020 e 2021, la società si è rafforzata commercialmente confermando la validità delle scelte strategiche. Il mercato non lo dava per scontato e, ora, ci sta premiando. A questo si è aggiunto il lavoro svolto per dare concretezza ad un altro elemento importante della nostra strategia di crescita, quella inorganica e per M&A, attuata mediante alcune operazioni straordinarie di alto contenuto strategico tese a costruire il campione del turismo incoming e ricercare business a più alta marginalità lungo la filiera. A titolo esemplificativo ricordiamo le recenti operazioni The Italian Experience Company con Cdp Venture per la promozione del turismo esperienziale del Sud, Naxida per la riqualificazione dei Borghi e l'operazione e-commerce (StyleItaly). Il mercato sta apprezzando la capacità di rendere concreto un piano molto ambizioso che abbiamo presentato al momento della quotazione». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 26/5/2022

27 Maggio 2022

Fabilia: «Dagli hotel zero plastic ai corsi antispreco per bambini. Ripartiamo con numeri sopra il 2019»

Mattia Bastoni, fondatore e ceo della catena di Family Hotel & Resort quotata all'Euronext Growth Milan, racconta  l'impegno sulla sostenibilità e parla di un mercato che sta decisamente ripartendo Zero plastica, raccolta differenziata e sensibilizzazione dei più giovani. Mattia Bastoni, fondatore e ceo di Fabilia Group, catena di Family Hotel & Resort quotata all'Euronext Growth Milan e specializzata nell'offerta di vacanze per famiglie con bambini, racconta a SustainEconomy.24, report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School, l'impegno sulla sostenibilità con il progetto ‘Save The Planet'. E parla delle nuove offerte e di un mercato che sta decisamente ripartendo, con numeri superiori al 2019, prima del Covid. E parla dei nuovi business, come le terme, cui la più grande catena all inclusive per famiglie in Italia si è affacciata dalla primavera. Il vostro business model, di gruppo specializzato nell'offerta di vacanze per famiglie con bambini, rivolge grande attenzione alle tematiche di sostenibilità. Quali sono le vostre iniziative? E come la sostenibilità entra nei vostri hotel? «Sono temi che da qualche anno teniamo in grande considerazione. Abbiamo un progetto che si chiama ‘Save the Planet', nato nel 2019, che sintetizza quello che noi, come gruppo, non essendo proprietari dell'immobile, riusciamo a realizzare, attraverso piccoli gesti quotidiani, in tutti gli hotel e resort per aiutare il Pianeta: zero plastica, water free, raccolta differenziata e basso consumo energetico. Abbiamo distributori dell'acqua e ai clienti diamo una borraccia e un bicchierino pieghevole e portatile, in tal modo abbiamo ridotto drasticamente l'uso della plastica. Con una risposta importante: siamo ad un 80% che lo utilizza mentre resta un 20% che ancora ci chiede prodotti usa e getta. Poi, da sempre, facciamo la raccolta differenziata nelle strutture e puntiamo a energia a basso consumo. Accanto a questo, abbiamo un progetto interessante volto a sensibilizzare i bambini  - dal momento che siamo una catena specializzata esclusivamente nelle vacanze per famiglie  - attraverso corsi, laboratori e attività didattiche per sensibilizzare ed educare ai temi della sostenibilità ambientale, del riciclo e della lotta allo spreco: dalla raccolta differenziata alla raccolta in spiaggia delle plastiche o delle reti dei pescatori». E' cambiato il modo di fare vacanza. Che tipo di richieste riscontrate tra le famiglie? «Negli ultimi due anni è cambiato per tutti il modo di fare vacanza. Ad esempio, noi abbiamo alberghi in montagna e la classica settimana bianca che, fino al 2019, veniva prenotata con largo anticipo, invece a dicembre 2021 e nei primi mesi del 2022, si è trasformata in richieste di poche notti sotto data. Ma questo era dovuto al contesto con il Covid. Invece, al momento, per le nuove prenotazioni sulle strutture al mare c'è tantissima richiesta». Quindi il mercato sta ripartendo? «Vediamo un boom: il 2022, al momento, a livello di prenotazioni a parità di hotel, sta andando meglio del 2019. Ci sono strutture che sono già sold out in alcuni periodi e la media di occupazione ad oggi, rispetto al 2019, è più alta. E lo riscontro anche con i colleghi di stabilimenti balneari e ristoranti. Da noi l'85-90% della clientela è italiana, ma c'è anche un ritorno del turista straniero che per il nostro gruppo sono le famiglie tedesche e svizzere». Guardando alla società, avete annunciato nuove aperture. Cosa c'è in prospettiva? «La novità più importante del 2022 è stata quella di aprire un albergo nel segmento terme e in Italia siamo gli unici ad essere specializzati nella vacanza con famiglie e bambini alle terme. Stiamo ottenendo un alto tasso di occupazione e clienti soddisfatti. Oltre le aspettative». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 26/5/2022

14 Maggio 2022

Manpower: «Rivoluzione delle competenze e spinta su donne e giovani. Il mercato Italia in stabile ripresa»

La multinazionale punta per il 2024 all'obiettivo del 40% di leadership femminile a livello globale, mentre in Italia vede la possibilità di raggiungere il 50% già per la fine dell'anno L'occupabilità è la missione del Gruppo Manpower che punta per il 2024 all'obiettivo del 40% di leadership femminile a livello globale, mentre in Italia vede la possibilità di raggiungere il 50% già per la fine dell'anno. E che, sul fronte ambientale, si impegna a diventare net zero entro il 2045. Marilena Ferri, people & culture director di ManpowerGroup, multinazionale leader nelle innovative workforce solutions, presente in Italia attraverso una rete di circa 200 uffici e 1.800 persone in tutto il territorio nazionale, delinea a SustainEconomy.24, report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School, una fotografia del mercato del lavoro nel nostro Paese. Che ha ancora spazi di miglioramento nel sostegno alle fasce più deboli e dei giovani ma, dopo la pandemia, mostra segnali di «stabile ripresa». E si sofferma sulla rivoluzione delle competenze. ManpowerGroup contribuisce a far incontrare le persone con il lavoro. In questo percorso contano le scelte e gli obiettivi di sostenibilità. Qual è la vostra strategia? «ManpowerGroup si adopera attivamente in ambito Esg e in particolare, dato il nostro focus sulle persone, offriamo loro supporto per sviluppare la propria carriera tramite la pianificazione, il lavoro e la formazione. L'occupabilità, infatti, è la vera missione del Gruppo Manpower. Oggi per ottenere una stabilità professionale è fondamentale aggiornare in modo continuo le proprie competenze, in modo da non risultare obsoleti per il mercato del lavoro. Il nostro programma MyPath nasce proprio per accompagnare le persone che lavorano con noi verso un percorso di continuità e crescita, attraverso Talent Agent dedicati che costruiscono insieme a loro un progetto professionale, e corsi di formazione per restare sempre aggiornati. ManpowerGroup con le Academy da anni forma migliaia di persone ogni anno sia su Information Technology (Experis Academy) sia per Industria 4.0 (Manpower Academy), in molti casi in modo gratuito grazie alla formazione finanziata». Ci parla dei prossimi obiettivi? «ManpowerGroup supporta l'Agenda Onu per lo Sviluppo Sostenibile per il 2030, in particolare sugli obiettivi riguardanti l'istruzione di qualità, la parità di genere, lavoro dignitoso e crescita economica, riduzione delle diseguaglianze e lotta contro il cambiamento climatico. Il nostro obiettivo è conseguire per il 2024 l'obiettivo del 40% di leadership femminile a livello globale, mentre in Italia puntiamo a raggiungere il 50% già per la fine dell'anno. Continuiamo a impegnarci inoltre affinché i talenti possano rimanere impiegabili lungo tutto il ciclo della propria vita professionale, attraverso percorsi di reskilling e upskilling. Per l'ambiente, invece, i nostri progetti per la riduzione delle emissioni sono in linea con il target di riduzione di 1,5°C necessario per combattere il cambiamento climatico, come confermato da The Science Base Targets Initiative. Il nostro impegno è diventare net zero entro il 2045». Qual è la fotografia del mondo del lavoro in Italia? Dalla vostra prospettiva, a che punto siamo su parità di genere, giovani e persone in difficoltà? «Nel mondo del lavoro, in Italia, molto è stato fatto per le categorie più deboli, ma ci sono ancora ampi spazi di miglioramento. Ad esempio, per quanto riguarda la parità di genere sul luogo di lavoro, secondo lo studio di ManpowerGroup "BreakTheBias", il 58% delle imprese misura la parità salariale, ma solo il 21% fa lo stesso col numero di donne in posizioni dirigenziali, che rimane ancora limitato. Per migliorare serve una visione più olistica che prenda in considerazione seriamente ciò di cui le donne hanno bisogno in azienda, come benefit per la maternità e per la salute, sussidi per la cura di anziani e bambini, e un'attenzione particolare per il benessere mentale dei dipendenti. Altro tema rilevante riguarda i giovani under 35, che costituiranno il 75% della forza lavoro entro il 2030, ma il cui tasso di disoccupazione è oggi pari al 24,2% (report "The Great Realization"). In questo contesto, i fondi del Pnrr potrebbero avere un ruolo fondamentale se utilizzati in modo lungimirante, ad esempio attivando percorsi di orientamento dei più giovani. Molto deve essere fatto anche per quelle persone che incontrano maggiori difficoltà ad accedere al mondo del lavoro, che presentano situazioni di fragilità o svantaggio, che vivono contesti personali, sociali e familiari di disagio. Qui molto è lasciato all'iniziativa privata. In questo campo, ad esempio, ManpowerGroup è attiva con la Fondazione Human Age Institute per favorire l'employability e la learnability di queste categorie più fragili». Prima la crisi sanitaria e, poi, la crisi economica. Quali le prospettive per il mercato del lavoro? «Nonostante le difficoltà il mondo del lavoro, l'Italia sta mostrando una stabile ripresa. Secondo gli ultimi dati Istat, relativi a marzo 2022, il numero di occupati in Italia è salito di 81mila unità rispetto al mese precedente e di ben 804mila nel confronto anno su anno. Sono dati positivi che trovano conferma anche nella nostra indagine ManpowerGroup Employment Outlook Survey, in cui si afferma che gli imprenditori italiani stimano tra aprile e giugno assunzioni in crescita del 16% e il 37% di loro si aspetta un aumento della propria forza lavoro. Il settore in cui rileviamo le prospettive di crescita più robuste è quello del digitale e delle telecomunicazioni, seguito da quelli bancario, assicurativo, finanziario e immobiliare. L'aumento occupazionale riguarderà tutte le macroregioni italiani, con il Nord-Ovest in testa». Quali sono i lavori del futuro? Quali le professioni più richieste dalle aziende? «Più che di "lavori del futuro" parliamo di competenze che cambiano, si fondono ed evolvono. Insieme a EY abbiamo avviato un Osservatorio permanente sui profili in evoluzione che ci fornisce un primo dato importante: l'80% delle professioni presenti in Italia muterà nel prossimo decennio. Questa "rivoluzione delle competenze" si lega in parte all'accelerazione della trasformazione digitale, che ha portato a una crescita della domanda di key technologies in azienda, influenzando in maniera trasversale e pervasiva tutti gli ambiti professionali, a partire dall'Information Technology. A questa ha fatto eco una sempre maggiore importanza delle soft skill, come la capacità di risolvere problemi complessi, l'ascolto e l'apprendimento attivo, l'adattabilità. Secondo il nostro punto di osservazione privilegiato, dunque, oltre all'IT, i profili più ricercati nei prossimi anni saranno tecnici specializzati e ingegneri, ma anche figure in area amministrazione, HR e payroll». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 14/5/2022

14 Maggio 2022

Openjobmetis: «Il nostro percorso sui temi Esg premiato dal rating. Anticipiamo i cambiamenti del mercato»

Il presidente Marco Vittorelli parla di risultati e obiettivi Un percorso Esg riconosciuto dai rating «ma che rappresenta non un punto di arrivo ma di partenza» e l'impegno per le categorie protette, la parità di genere e i giovani. Ma anche la capacità del settore di anticipare i cambiamenti del mercato del lavoro. Marco Vittorelli, presidente di Openjobmetis, l'Agenzia per il Lavoro nata nel 2011 dalla fusione di Openjob e Metis e quotata, da dicembre 2015, su Euronext Milan di Borsa Italiana, nel segmento Star, con ricavi consolidati pari a 720 milioni ne parla a SustainEconomy.24, report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School. Si parla tanto di sostenibilità e responsabilità sociale. Qual è il percorso di Openjobmetis? «Mi fa piacere partire da dove siamo arrivati perché proprio in questi giorni abbiamo ricevuto il nuovo rating Esg di Sustainalytics e rispetto al punteggio dello scorso anno di 12,5 (low risk) siamo scesi a 10,4, una grande soddisfazione e il completamento del primo percorso. Un progetto, realizzato negli ultimi due anni, che, ovviamente, non è un punto di arrivo, ma un punto di partenza per cercare di scendere sotto la famosa soglia dei 10 e continuare in tutte le attività, sia core sia del mondo della sostenibilità in senso lato. Guardando, poi, a dove siamo partiti, posso dire che il percorso è stato avviato all'inizio del 2020, proprio nel periodo in cui stavamo entrando nella pandemia. Anche alla luce di qualche sollecitazione da parte di alcuni investitori, mi sono fatto carico di promuovere il progetto Esg all'interno dell'azienda, al di là della tradizionale Dnf, ponendoci, appunto, l'obiettivo di far valutare il nostro impegno con dei rating. Così siamo andati ad abbracciare quelli che sono i 17 obiettivi Onu di sviluppo sostenibile e ne abbiamo selezionati 9: tre che riguardano l'attività core (Istruzione di qualità, Lavoro dignitoso e crescita economica, Ridurre le disuguaglianze) e sei che invece riguardano l'attività che svolgiamo indirettamente». E quali risultati avete raggiunto? «Per quanto riguarda gli obiettivi di lavoro dignitoso e riduzione delle diseguaglianze, con la controllata Seltis Hub e in particolare attraverso Jobmetoo abbiamo lavorato a favore dell'inserimento nel mondo del lavoro delle categorie protette e delle persone con disabilità, tant'è che oggi, siamo diventati tra gli operatori leader in questo specifico settore, sposando in pieno quello che era uno degli obiettivi che ci eravamo posti. In merito al tema dell'istruzione di qualità, nel 2021 abbiamo raddoppiato le ore di formazione dei nostri dipendenti di struttura da 5.000 a 10.000 e, per i dipendenti in somministrazione abbiamo prodotto 100.000 ore di formazione attraverso il programma Forma.temp utilizzando tutti i fondi che avevamo a disposizione, in funzione della dimensione del nostro fatturato. Dal 2019, poi, ci siamo occupati anche dei rifugiati che provengono in gran parte dai Paesi in guerra e del loro inserimento nel mercato del lavoro, attività che si è accentuata in queste ultime settimane. Senza trascurare, poi, la parità di genere: abbiamo raggiunto con l'assemblea del 2021 un equilibrio di genere tra consiglio di amministrazione e collegio sindacale. Per quanto riguarda i nostri dipendenti di struttura, abbiamo oltre il 75% di donne. Sono alcuni degli obiettivi raggiunti ma non per questo ci accontentiamo». A proposito di parità di genere, giovani e persone in difficoltà, quanto è sostenibile oggi il mondo del lavoro italiano? «Oggi il problema è trovare le persone, molto per una questione generazionale. Il calo demografico che sta caratterizzando il nostro Paese negli ultimi anni ha creato non poche problematiche alle nostre aziende che faticano a trovare risorse da inserire. Se vogliamo trovare un aspetto positivo è che questa situazione ha finalmente accelerato la riduzione del gender gap e l'inserimento di persone con disabilità. Questa tendenza ha subito una accelerazione nel post pandemia dopo che è andato a regime il provvedimento relativo a ‘quota 100'. Il mercato del lavoro, dopo il fermo per il Covid, si sta ora progressivamente riprendendo creando un volume di richieste superiore all'offerta di risorse specializzate. Il problema demografico si traduce in circa 200mila persone nate in Italia in meno ogni anno da qui al 2030; il che vuol dire, mille in meno per ogni giorno lavorativo. Credo che questo porterà ad un allargamento progressivo della barriera di genere ma anche progressivamente un graduale rientro degli italiani che sono andati all'estero così come ad un incremento delle retribuzioni». Le professioni legate ai temi ambientali e di sostenibilità potranno avere uno spazio crescente in futuro? «Senza dubbio. Anche solo nell'ambito della nostra azienda, occupandoci a tempo pieno dei temi Esg, si creano competenze e ruoli che prima non esistevano. Proporzionalmente questo avverrà su tutto il territorio nazionale. Per fortuna la sensibilità a queste tematiche si sta allargando a macchia d'olio». Le nuove tecnologie, invece, quanto influiranno sul mercato del lavoro? «L'innovazione tecnologica, e il mondo digitale in genere, andranno addirittura a riscrivere alcuni equilibri dal punto di vista etico dei comportamenti e lo vediamo anche dal modo in cui stiamo lavorando in questo momento. Certe regole vengono ribaltate dalle tante possibilità che la tecnologia permette. Quindi, l'innovazione tecnologica e digitale creerà un'infinita quantità di opportunità. Un esempio classico è quello della Kodak: ovviamente non ci sono più le macchine fotografiche di una volta ma sono nate poi altre mille opportunità per quanto riguarda la stampa digitale; quindi, si chiude un mercato e se ne apre un altro». Tornando alla società, cosa vede nel futuro di Openjobmetis? Quali sono gli obiettivi? «Siamo una società giovane, fondata nel 2000/2001 e ci siamo quotati nel 2015. Fin dalla fondazione ci siamo sempre impegnati sia per quanto riguarda la crescita organica che le operazioni di M&A. Nel futuro delle nostre linee strategiche ci sarà sicuramente un ulteriore incremento dell'attività di formazione che, nel mondo delle Agenzie per il Lavoro rappresenta già una parte importantissima della nostra attività. Noi siamo un settore certamente anticipatore del ciclo economico ma anche e soprattutto dei cambiamenti che avvengono all'interno del mondo del lavoro. Purtroppo questa opportunità viene un po' sottovalutata dai nostri governanti, mentre sarebbe utile porre maggiore attenzione al nostro settore, al fine di poter intercettare ed eventualmente anticipare il continuo cambiamento delle esigenze, sia delle aziende che dei lavoratori». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 14/5/2022

14 Maggio 2022

Epicode: «Le competenze digitali e il valore del lavoratore sono il futuro. Rivedere la formazione»

Ivan Ranza, ceo della startup, coding school già presente e attiva in tutta Europa, ne parla a SustainEconomy.24 Il digitale sarà il filo conduttore delle professioni del futuro e chi avrà competenze tecnologiche potrà avere un vantaggio competitivo. Ivan Ranza, ceo della startup Epicode, coding school già presente e attiva in tutta Europa con una community di talenti tech distribuita su tutto il territorio di cui il 50% in Germania, Uk e Nordics e il 50% in Italia, delinea lo scenario delle professioni del futuro e parla del ritardo del nostro Paese, in un'intervista a SustainEconomy.24, report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School. E sottolinea la necessità di rivedere la formazione.  E parla della sostenibilità nel mercato del lavoro con il Covid che ha dimostrato la necessità di ripensare la relazione tra azienda e lavoratore. «Ognuno sia messo nelle condizioni di recitare un ruolo importante nella società del futuro» per restare «attrattivo e occupabile per un lungo periodo di tempo». Guardando alle sfide e alle opportunità del mondo del lavoro, quali sono le professioni del futuro? «Ci sono alcune professioni che evolveranno e delle altre che nasceranno. Il filo conduttore sarà generalmente il digitale, inteso come abilitatore della capacità delle aziende di creare nuovi business, migliorare i processi e i modelli esistenti. In questo contesto chi avrà competenze digitali di programmazione sul mondo web full stack, backend, frontend, cybersecurity, data, salesforce e molte altre assumerà un ruolo sempre più rilevante nel mercato del lavoro e avrà un importante vantaggio competitivo sugli altri candidati. Per poter essere attori nel mercato del lavoro, quindi, saranno necessarie competenze tecnologiche evolute. Basti pensare che Il World Economic Forum, prevede che nel mondo dovranno essere formate 1 miliardo di persone su nuove competenze entro il 2030. In questo contesto l'Italia ha accumulato un ritardo rilevante posizionandosi agli ultimi posti nella classifica del Digital Economy and Society Index: 26 milioni di italiani non hanno una competenza digitale adeguata (solo il 42% della popolazione tra i 16 e 74 anni ha competenze digitali basiche o avanzate)». Come il sistema formativo può arrivare a colmare il gap domanda-offerta? «È un argomento complesso ma al tempo stesso estremamente rilevante: sono convinto che esistano diversi player che possono portare valore al Paese, modificando il modo in cui oggi la formazione viene concepita. E' fondamentale, però, capire che spendere del tempo in un'aula non è più un fattore necessariamente vincente. Con una piccola provocazione dico che il mero 'pezzo di carta' ormai ha rilevanza quasi esclusivamente per i concorsi pubblici. Quello che conterà sempre di più saranno le competenze soft, come la capacità di astrazione, comprensione e adattamento a contesti sempre in evoluzione. Si potrebbe creare una polarizzazione tra formazione di alto profilo (esempio le Università molto selettive e accessibili a un numero contenuto di persone) e le scuole 'professionalizzanti', che sanno trasferire competenze agli studenti in modo da prepararli fattivamente al mondo del lavoro. In altre parole, credo sia necessario seguire le esigenze della società moderna, ripensando urgentemente a come l'educazione viene strutturata e insegnata». Quanto è importante la sostenibilità nel mondo del lavoro? «Il concetto di sostenibilità spesso viene semplificato eccessivamente o interpretato in funzione degli obiettivi che devono raggiungere coloro che ne parlano. Non c'è solo la sostenibilità ambientale e l'impatto delle aziende sulla società circostante, ma è fondamentale valutare se ciò che viene richiesto ad ogni singolo lavoratore e la sua gestione sia sostenibile nel lungo periodo. Parte di questo impegno deve essere quello di domandarsi se si stanno costruendo le competenze di cui il professionista avrà bisogno per essere parte attiva nella società negli anni a venire oppure se si stanno utilizzando le sue competenze per un semplice risultato di business di breve termine. Il Covid ha dimostrato che sarà fondamentale ripensare la relazione tra azienda e lavoratore: l'impatto positivo sulla società deve partire dal valore che la singola azienda genera sulle proprie persone, portandole ad acquisire hard skills e soft skills adeguate per fare in modo che ognuno sia messo nelle condizioni di recitare un ruolo importante nella società del futuro, non solo rimanendo vincolato al posto fisso come accadeva una volta, ma avendo la capacità di rimanere attrattivo e occupabile per un lungo periodo di tempo». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 14/5/2022

14 Maggio 2022

Caprioglio (Umana): «La nostra sostenibilità nel lavoro passa dalla formazione accessibile e dall'inclusione»

La presidente dell'Agenzia per il Lavoro racconta l'impegno per la correttezza contrattuale e il rispetto per le persone Correttezza contrattuale, rispetto delle persone e formazione. Questo significa sostenibilità per Umana, fra le principali Agenzie per il Lavoro in Italia che conta 141 filiali operative sul territorio nazionale e 1400 persone dedicate ai servizi per il lavoro, con un fatturato sopra gli 890 milioni di euro. Un driver che ha guidato l'Agenzia in questi anni e di cui ne sono prova il Codice etico, la certificazione SA8000 e il bilancio di sostenibilità ma anche l'87% di donne impiegate e la formazione, come racconta la presidente Maria Raffaella Caprioglio a SustainEconomy.24, report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School. L'approccio di Umana al mondo del lavoro è basato sulla sostenibilità. Qual è il percorso che avete fatto come azienda? «Per noi sostenibilità significa correttezza contrattuale, rispetto delle persone, inclusione, formazione accessibile e supportare le aziende nel fare le scelte più adeguate. Naturalmente non è solo questo. Noi abbiamo intrapreso tutto un percorso che parte, prima APL in Italia ad editarlo, con il nostro codice etico nel 2004, passa per l'ottenimento della certificazione SA8000 nella gestione delle risorse umane nel 2010 e, poi, il primo bilancio di sostenibilità per l'anno 2020. E per l'esercizio 2021 abbiamo appena presentato all'assemblea il nostro bilancio di sostenibilità contemporaneamente al bilancio civilistico». Oltre a quanto fatto, ci parla degli obiettivi che ancora volete raggiungere?«In quest'ultimo periodo abbiamo acquisito anche nuove certificazioni sulla gestione dei consumi energia, sulla sicurezza dei luoghi di lavoro, sulla gestione degli aspetti ambientali, ma, nel bilancio di sostenibilità, ci siamo dati dei target anche molto immediati. Per quanto riguarda l'ambiente, ne cito alcuni: preparare entro il 2023 tutta la popolazione aziendale sulla formazione ambientale e avere entro il 2024 il 100% di carta riciclata o FSC. Per i target sociali, iniziative di welfare e work life balance per il 100% della popolazione aziendale. E per la governance, entro il 2022 avremo il comitato endoconsiliare sulla sostenibilità e entro il 2024 vogliamo arrivare al 30% nei ruoli di leadership femminile, quando già oggi in Umana abbiamo l'87% di dipendenti donne». Dal vostro punto di osservazione, nelle imprese e nel mercato del lavoro in Italia si è raggiunto un buon livello di sostenibilità? «C'è sicuramente ancora da fare, però rileviamo che c'è una grande attenzione, comunque, da parte delle imprese, sui temi di sostenibilità». In Umana, come diceva, c'è l'87% di presenza femminile. Ma soffermandoci sulle differenze di genere e di trattamenti, investite abbastanza nella formazione finalizzata all'inserimento lavorativo dei giovani, degli inattivi e delle donne? «Noi investiamo molto nella formazione delle donne e dei giovani ma anche la formazione dei lavoratori in somministrazione per noi è importante. Nel 2021 abbiamo fatto oltre 4.000 interventi formativi, peraltro gratuiti, per le persone e per le aziende grazie al fondo Forma.Temp, per fare la formazione. E soprattutto, e ovviamente, non facciamo differenze nell'inserire uomini e donne nel mondo del lavoro e non facciamo differenze nella retribuzione con cui li inseriamo». Se dovesse consigliare i giovani che si avvicinano al mondo del lavoro, quale suggerimento potrebbe dare? «Consiglierei di fare ciò che piace e seguire la loro strada, ma tenersi anche sempre aperti ad arricchire le proprie competenze hard e soft per essere occupabili perché, comunque, quello è il patrimonio che un giovane deve avere per vincere nel mercato del lavoro». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 14/5/2022

15 Aprile 2022

Calcagno (Fastweb): «Investiamo per un futuro digitale e connesso. Fibra e 5G renderanno le città ecosostenibili»

Il ceo  della società a SustinEconomy.24: al 2025 Carbon neutrality e il 5G al 90% della popolazione Una strategia di sostenibilità che traguarda alla Carbon neutrality al 2025 ma, soprattutto, nella visione di Fastweb, la società di tlc controllata da Swisscom, c'è una trasformazione digitale realmente inclusiva che colmi il ritardo del Paese e accresca le competenze digitali. Come spiega l'amministratore delegato, Alberto Calcagno, in un'intervista a SustainEconomy.24, report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School. Fastweb ha investito più di 10 miliardi di euro in infrastrutture di eccellenza e «abbiamo previsto ulteriori 3 miliardi di investimenti per la digitalizzazione del Paese». La rete «è al centro della nostra visione strategica, ma non è solo cavi e fibre ottiche» sottolinea Calcagno raccontando l'impegno di Fastweb nel rafforzare le piattaforme di Cloud e Cybersecurity. E il 5G - con l'obiettivo della società di raggiungere il 90% della popolazione al 2025 - renderà le città sempre più ecosostenibili, assicura. Con la strategia "Tu sei futuro", Fastweb punta ad un percorso ecosostenibile e inclusivo. Che sul fronte ambientale traguarda alla Carbon Neutrality entro il 2025. A che punto siete? «Da anni portiamo avanti una strategia di sostenibilità ambientale volta alla riduzione delle emissioni di C02 in linea con gli obiettivi internazionali di lotta ai cambiamenti climatici. Con la strategia "Tu sei Futuro" rilanciamo il nostro impegno con l'obiettivo di diventare completamente Carbon Neutral già al 2025, tra le prime aziende in Italia e in Europa ad anticipare di 25 anni gli obiettivi europei. Già dal 2015 acquistiamo il 100% di energia elettrica da fonti rinnovabili a emissioni zero e dall'anno scorso, oltre alla riduzione programmata e validata da Science Based Targets initiative, compensiamo già tutte le nostre emissioni dirette e quelle relative all'erogazione dei servizi ai nostri clienti. La carbon neutrality è un obiettivo ambizioso che raggiungeremo anche grazie alla radicale trasformazione dei processi e al progressivo coinvolgimento delle aziende partner della filiera, per ridurre l'impatto sul pianeta. Inoltre, vogliamo aiutare tutte le aziende e le Pa a valutare la quantità di emissioni di C02 che potranno evitare acquistando i nostri servizi digitali. E svilupperemo servizi sempre più mirati, grazie in modo particolare alla combinazione di fibra e internet delle cose, per generare un impatto positivo per l'ambiente. Per il secondo anno consecutivo il nostro impegno verso l'ambiente è stato riconosciuto anche dal Financial Times che ci ha inserito nella classifica Europe's Climate Leaders 2022 tra le prime venti aziende europee per percentuale di riduzione delle emissioni rispetto al fatturato per gli anni 2015-2020». Sul fronte, invece, del ritardo dell'Italia nell'utilizzo delle nuove tecnologie e del digital divide cosa state facendo? «Il gap più urgente che l'Italia deve colmare è proprio quello delle competenze digitali ed è su questo piano che Fastweb si propone di fare la differenza per promuovere una trasformazione digitale che sia realmente inclusiva. Al fine di colmare il ritardo nell'utilizzo delle nuove tecnologie dell'Italia rispetto al resto dei Paesi Ue, abbiamo deciso di rafforzare il ruolo della Fastweb Digital Academy, trasformandola in un hub di formazione digitale integrato nella nostra offerta. Un progetto avviato nel 2016, con poco più di 8 corsi e qualche decina di studenti, ad oggi ha erogato più di 11.000 ore di formazione, ha 100 corsi a catalogo e ha formato oltre 24.000 persone. I nostri corsi sono completamente gratuiti e si rivolgono a giovani e adulti, occupati o in cerca di occupazione e da alcuni anni abbiamo ampliato il nostro raggio di azione alle PMI per offrire a professionisti e piccole imprese gli strumenti per competere in un mondo che sarà sempre più digitale. Il nostro obiettivo è accrescere le competenze digitali di 500.000 persone entro il 2025 sia attraverso la formazione erogata con i corsi nelle aule fisiche e virtuali che attraverso i contenuti "on-demand" messi a disposizione sulla piattaforma online dell'Academy». La rete 5G promette connessioni più veloci ed efficienti, ma ci sono vantaggi per la sostenibilità? «La rete 5G con le tecnologie Internet of Things e Big Data permetteranno di realizzare nuovi scenari applicativi che renderanno le città sempre più vicine alle esigenze dei cittadini, digitalizzate, intelligenti, connesse ed ecosostenibili. Le infrastrutture saranno connesse tra loro, miglioreranno le condizioni del traffico, la vivibilità degli spazi, la qualità dell'aria, e la sicurezza tramite l'analisi dei dati raccolti dai sensori disposti in tutto il tessuto cittadino. Ad esempio, in alcune città italiane abbiamo realizzato un sistema di gestione intelligente del traffico che, integrandosi con la piattaforma di gestione semaforica urbana, consente di regolare la mobilità e di dare la priorità di passaggio ai mezzi pubblici, riducendone i tempi di percorrenza. La stessa soluzione può essere adottata per favorire il passaggio di mezzi di soccorso o delle forze dell'ordine al fine di migliorare il servizio ai cittadini e ridurre emissioni di CO2. L'installazione di sensori di parcheggio, di rilevamento ambientale e di rumore, permettono di monitorare l'occupazione dei parcheggi cittadini ottimizzando il processo di ricerca di un posto auto e, di conseguenza, il traffico, l'inquinamento dell'aria e l'inquinamento acustico. Nel caso di un acquedotto, invece, la soluzione permette di individuare le perdite di acqua, per una gestione più efficiente e sostenibile delle risorse». Fastweb prosegue il proprio impegno infrastrutturale per la digitalizzazione del Paese con una serie di target, dalla fibra al Cloud. Ci sintetizza i principali obiettivi? «Dalla sua fondazione Fastweb ha investito più di 10 miliardi di euro in infrastrutture di eccellenza e abbiamo previsto ulteriori 3 miliardi di investimenti per la digitalizzazione del Paese dal punto di vista infrastrutturale, della diffusione delle competenze digitali e dello sviluppo di prodotti e servizi sempre più innovativi e sostenibili. Stiamo accelerando l'estensione della rete Ultra FWA che ad oggi copre più di 400 comuni con performance medie in download pari a 650 Mb/s e tempi molto rapidi di attivazione del servizio. Entro il 2025 i comuni raggiunti dalla nuova tecnologia saranno 2.000, pari a 12 milioni di famiglie e imprese. E prosegue velocemente il roll out della nostra rete mobile di quinta generazione, con il 51%% della popolazione già coperto e l'obiettivo di arrivare al 90% entro il 2025. La rete, dunque, è al centro della nostra visione strategica, ma non è solo cavi e fibre ottiche. L'impegno di Fastweb, infatti, continua con il rafforzamento delle nostre piattaforme di Cloud e Cybersecurity, per affiancare alla realizzazione di reti performanti l'intelligenza e la sicurezza necessarie ad abilitare i processi di trasformazione digitale di cui il Paese ha bisogno. In ambito Cloud, l'obiettivo è il potenziamento della nostra rete di data center con 40 nodi Edge, i mini data center localizzati e distribuiti in modo capillare sul territorio nazionale per portare la potenza di calcolo sempre più vicina al cliente. Sul fronte della Cybersecurity, abbiamo di recente inaugurato un nuovo Security Operation Center a Bari che si affianca al SOC di Milano per offrire ai clienti accesso alle professionalità e alle soluzioni più avanzate di protezione informatica». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 14/4/2022

15 Aprile 2022

Inwit: «Con le torri lavoriamo all'inclusione digitale. E siamo pronti alla carbon neutrality nel 2024»

L'amministratore delegato, Giovanni Ferigo, ne parla a SustainEconomy.24 Inwit accelera sulla sostenibilità, come dimostrano il secondo Report integrato appena pubblicato e l'anticipo della carbon neutrality al 2024. Ma, soprattutto, prosegue l'impegno per la riduzione del digital divide nel Paese e per raggiungere «l'inclusione digitale». Come spiega l'amministratore delegato della società delle torri controllata da Tim e Vodafone, Giovanni Ferigo, a SustainEconomy.24, il report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School. Perché, con le quasi 23mila torri distribuite su tutto il territorio nazionale e 46mila ospitalità, Inwit può ricoprire un ruolo rilevante in termini di infrastrutture digitali con il business che si sta evolvendo verso il concetto di «tower as a service», attraverso la trasformazione da infrastruttura per l'ospitalità di sistemi di trasmissione radio, a centro tecnologico. Avete recentemente pubblicato il secondo Report Integrato. Cosa vi ha portato a scegliere, e a confermare, questa modalità di rendicontazione? «Nel percorso di trasformazione che abbiamo avviato, abbiamo deciso anche di cambiare il nostro approccio alla rendicontazione non finanziaria per aumentare la nostra trasparenza verso i nostri stakeholder. Il Report Integrato rappresenta per noi la Dichiarazione non finanziaria, redatta da Inwit su base volontaria, e ha l'obiettivo di fornire ai nostri stakeholder una visione completa della strategia, del modello operativo e della governance, integrando le informazioni finanziarie a quelle non finanziarie». I risultati ottenuti vi soddisfano? «Siamo molto soddisfatti dei risultati ottenuti. Inoltre, lo scorso anno il nostro primo Report Integrato ha favorito un generale miglioramento dei nostri risultati tra i principali rating Esg: CDP Climate Change, MSCI, Sustainalytics, Refinitiv, FTSE Russel e Glio/Gresb. Quest'anno abbiamo fatto un ulteriore sforzo, andando ad aumentare gli indicatori rendicontati, per fornire una rappresentazione ancora più completa delle nostre attività e del nostro impegno». Avete annunciato l'anticipo del target di carbon neutrality al 2024. Cosa state facendo per raggiungere questo obiettivo? «Abbiamo definito una strategia climatica che prevede la misurazione, la riduzione e, infine, la neutralizzazione delle nostre emissioni CO2. Raggiungeremo la neutrality attraverso la compensazione delle emissioni, cosiddette inevitabili, con l'acquisto di crediti CO2. Abbiamo sviluppato un modello per il calcolo e la relativa disclosure della nostra carbon footprint e, a seguire, nel corso del 2021, abbiamo realizzato un'analisi di scenario climate change, uno strumento che stimola l'impresa a sviluppare una visione strategica di lungo periodo che consideri i rischi e le opportunità associati al cambiamento climatico. Importante conferma della validità del percorso intrapreso, è stata l'approvazione, da parte della Science Based Target Initiative, ldel target di riduzione delle emissioni CO2, coerente con le indicazioni della Cop26 di Glasgow, che puntano a mantenere il riscaldamento globale sotto 1,5 °C. Ora proseguiamo spediti con le iniziative di riduzione delle nostre emissioni, attraverso investimenti in iniziative di efficienza energetica e di sviluppo di fonti rinnovabili e l'utilizzo, a partire da quest'anno, del 100% di energia elettrica da fonti rinnovabili». Una delle aree su cui siete più impegnati è la riduzione del digital divide, ancora molto presente nel nostro Paese. Cosa state facendo concretamente? «Per noi la digitalizzazione del Paese rappresenta un'opportunità di sviluppo in grado di integrare pienamente tutte le dimensioni della sostenibilità. Significa superare le barriere e porre le basi per ridurre le disuguaglianze e per tendere a un'inclusione digitale che possa garantire pari opportunità nell'utilizzo della rete e nello sviluppo di una cultura dell'innovazione e della creatività, contrastando in primo luogo il nuovo analfabetismo digitale e la discriminazione sociale e culturale. Nel nostro Piano di Sostenibilità ci siamo dati impegni concreti e misurabili relativamente alla copertura delle aree in digital divide, supportando la domanda da parte degli operatori FWA. Vogliamo promuovere e sviluppare progetti di collaborazione per aumentare la copertura di Comuni di minori dimensioni, di aree rurali e siti di elevato valore sociale e culturale, come ospedali, università e musei, puntando da un lato a superare il digital divide geografico e dall'altro a favorire una maggiore inclusività sociale e digitale». Che ruolo ricopre Inwit, oggi, nello scenario delle infrastrutture digitali? «Siamo ottimamente posizionati per ricoprire un ruolo rilevante. Oggi, con le nostre quasi 23mila torri distribuite su tutto il territorio nazionale e 46mila ospitalità, siamo leader nel Paese in termini di infrastrutture digitali. Inoltre, il nostro business si sta evolvendo verso il concetto di "tower as a service", grazie alla possibilità di offrire diversi servizi agli operatori, attraverso una trasformazione da infrastruttura per l'ospitalità di sistemi di trasmissione radio, a centro tecnologico, in cui si fondono componenti IoT, droni e sistemi di comunicazione a supporto degli operatori di telecomunicazione. Un altro pilastro della strategia industriale è lo sviluppo rapido delle micro-coperture, in particolare i sistemi di antenne distribuiti (DAS) che consentono di gestire in maniera efficiente il segnale di telefonia mobile anche in aree molto affollate come stadi, ospedali, università, stazioni o impianti industriali. Lo sviluppo dei sistemi DAS ha visto un significativo miglioramento nel corso del 2021, grazie alla crescita del numero di ospitalità sull'infrastruttura installata, al crescente numero di location equipaggiate e a un investimento in coperture dedicate lungo circa 1.000 km di tunnel stradali e autostradali». Si parla molto di uguaglianza di genere e di inclusione nelle aziende in questo periodo. Cosa è stato fatto in Inwit su questo fronte? «Abbiamo confermato la centralità delle nostre persone e, con particolare riferimento al tema della Diversity e Inclusion, abbiamo previsto target puntuali in materia di gender equality e gender pay gap. Oltre a voler raggiungere già nel 2022 il 40% di donne nel totale dell'organico, intendiamo ridurre al 12%, nel 2024, il gender pay gap complessivo, partendo dal 25% del 2020». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 14/4/2022

15 Aprile 2022

Data4: «I nostri data center sono hub sicuri e green. Pronti a crescere con investimenti per 1,7 miliardi»

Il country director di Data4 Italia, Davide Suppia, racconta il percorso ambientale e sociale e la strategia di crescita I data center vanno immaginati come pilastri dell'ecosistema digitale e sono sempre più hub sicuri, resilienti e green. Davide Suppia, country director di Data4 Italia, del gruppo francese leader in Europa nella progettazione, costruzione, finanziamento e gestione di Data Center, racconta  a SustainEconomy.24, report de Il  Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School, il percorso ambientale e sociale. Il gruppo, nato nel 2006 e acquisito nel 2018 da Axa Im-Real assets, gestisce oggi 25 data center in Francia, Italia, Spagna, Polonia e Lussemburgo che ospitano operatori internazionali di cloud e telecomunicazioni, nonché aziende tecnologiche innovative e multinazionali.E punta a crescere con investimenti per 1,7 miliardi previsti tra il 2022 e  il 2024. ll digitale ha dimostrato negli ultimi due anni un ruolo cruciale per l'economia mondiale. Questa tendenza proseguirà anche nel 2022? «Il digitale non ha mai avuto un ruolo tanto cruciale per l'economia mondiale. Durante la pandemia, grazie alle forti capacità di resilienza e all'agilità delle infrastrutture dei data center, interi settori economici sono riusciti a continuare la loro attività riuscendo a adattarsi velocemente alle nuove esigenze del mercato. Questa tendenza proseguirà anche negli anni a venire, mentre si definiscono progressivamente i lineamenti della ‘nuova normalità' che, prevediamo, vedrà il diffondersi di un modello di lavoro sempre più ibrido. Questo impatterà non solo sulle abitudini sociali, ma anche su quelle economiche, sempre più legate al valore dei dati che produciamo e, di conseguenza, alla capacità delle infrastrutture di custodirli e gestirli nel migliore dei modi». Quale il ruolo dei data center nel percorso di transizione? «Grazie ai fondi stanziati dal Pnrr, l'Italia sta vivendo un momento di trasformazione strategica per l'assetto del Paese e le sue infrastrutture. È quindi importante essere consapevoli del ruolo indispensabile svolto dai data center nell'hosting e nel trattamento sovrano di dati e servizi informatici. Basti pensare alle mail che inviamo ogni giorno, alla possibilità di accedere a servizi di pagamento o dossier di pubblica amministrazione online o, ancora, ai film che guardiamo in streaming. Tutto ciò è fruibile solo e grazie al fatto che i dati necessari alla creazione di questi servizi sono custoditi nelle nostre infrastrutture. In quest'ottica, il data center va immaginato come la colonna portante dell'ecosistema digitale. I data center favoriscono lo sviluppo di centri di competenze all'avanguardia spaziando dall'AI alla cybersecurity, e offrendo un vantaggio competitivo per la transizione digitale locale, in un momento in cui 5G, IoT e AI si stanno evolvendo sempre più rapidamente». Data4 ha una solidità finanziaria ed economica importante. Parliamo di 1,3 miliardi di euro per sostenere la strategia di crescita ed espansione in Europa. Quali sono i vostri obiettivi? «Data4 conta ad oggi 25 Data Center in Europa, e altri sono attualmente in costruzione. Consci del fatto che il settore dei data center è sempre più in espansione, tra il 2022 e il 2024, il gruppo prevede di investire 1,7 miliardi di euro. Ciò significa che investiremo ogni anno, per tre anni, 10 volte quello che abbiamo investito in media annualmente negli ultimi 15 anni di attività. Grazie a questi investimenti e all'aumento di capitale da 620 milioni di euro ottenuto l'anno scorso, miriamo a consolidare la nostra presenza capillare in Francia, Italia, Spagna, Polonia e Lussemburgo e ad espandere i campus esistenti per potenza, ampiezza e servizi. Come costruttori e investitori, il nostro lavoro si focalizza sulla ricerca di terreni che presentino le condizioni ottimali per costruire nuovi data center. Questo vuol dire analizzare le potenzialità del territorio, dai rischi sismici alla facilità di approvvigionamento di energia, per creare campus che siano altamente operativi e sicuri per i nostri clienti, e che portino un reale beneficio alle comunità locali. In quest'ottica, siamo  in stretto contatto con le istituzioni locali, quali i Comuni di Cornaredo e Settimo Milanese, per investire sul territorio con partnership e iniziative che rendano il nostro campus italiano un punto di riferimento per lo sviluppo economico e l'attrattività del distretto in termini di investimenti e nuovi talenti». Il Gruppo è impegnato nello sviluppo di un modello di business responsabile e sostenibile. Ci parla del vostro percorso? Quali i risultati raggiunti? «La nostra ragion d'essere è sviluppare responsabilmente campus di data center per garantire che le imprese e la società abbiano un accesso sicuro e permanente ai loro dati digitali. In quanto leader europeo del settore, Data4 sente quindi una grande responsabilità sia sociale che ambientale. Proprio per questo, nel febbraio 2021, abbiamo firmato il Climate Neutral Datacenter Pact, che riunisce 25 operatori e 17 associazioni del settore con l'obiettivo di essere carbon neutral entro il 2030 attraverso l'efficienza energetica, l'acquisto di energia decarbonizzata al 100% e il rispetto di un obiettivo annuale per minimizzare l'utilizzo dell'acqua. In quest'ottica, Data4 sta ottimizzando le sue prestazioni ambientali attraverso un approccio olistico basato sull'analisi del ciclo di vita degli edifici e delle attrezzature. Per raggiungere gli obiettivi, ci impegniamo ad accompagnare clienti e partner nel loro percorso verso un basso utilizzo di carbonio. Il Gruppo ha lanciato il programma Data4Good, con l'obiettivo di coinvolgere tutti i propri stakeholder nell'implementazione di una catena di valore basata sui principi dell'economia circolare e di una trasformazione digitale sostenibile ed inclusiva. A questo proposito, Data4 sostiene le donne a candidarsi per ruoli che sono tradizionalmente destinati agli uomini, soprattutto in ambiti come l'IT: ad oggi, il 43% del nostro board management è composto da donne». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 14/4/2022

15 Aprile 2022

Airtime: «La scelta omnichannel per crescere. Siamo tech company con sguardo alla sostenibilità»

Il fondatore e ceo, Orlando Taddeo, parla dell'obiettivo di sviluppare una Politica di sostenibilità, della nuova divisione Mexedia e del Pnrr «Le aziende che sapranno comunicare con il cliente utilizzando tutti i canali che sono presenti oggi sul mercato riusciranno a conquistare posizioni e a crescere». Ne è convinto Orlando Taddeo, ceo e fondatore di Airtime Partecipazioni, tech company quotata in Francia sul listino Euronext Growth Paris. Fondata nel 2017, la società, che ha sede in Italia ed è presente anche in Irlanda e negli Stati Uniti, a gennaio ha lanciato la nuova divisione per comunicazioni omnichannel, Mexedia, con investimenti previsti in due anni superiori a 50 milioni di euro. E guarda con attenzione agli aspetti ambientali, sociali e di governance all'interno della propria strategia aziendale con l'obiettivo di sviluppare nel corso del 2022-2023 una politica di sostenibilità, spiega Taddeo, entrato a dicembre nella task force Trade & Investment del B20, la business community globale del forum ufficiale del G20.  La tecnologia digitale migliora le performance aziendali ma i ritardi, in Italia, sono ancora ampi.  Il  Pnrr, con le risorse dedicate, può essere «una boa di salvataggio». Airtime ha chiuso il 2021 con risultati in crescita. E vi ponete sempre più come tech company. Cosa vede nel nuovo anno per il vostro gruppo? «L'azienda continua la sua crescita come innovatrice nel fintech posizionandosi sempre di più come tech company. Oltre alla gestione dei più significativi volumi di transazioni, Airtime ha sviluppato un sistema di liquidity pool che gestisce in tempo reale incassi e pagamenti, smobilizza crediti derivanti dall'operatività rendendo più fluide le negoziazioni tra operatori di differenti dimensioni. La piattaforma dispone inoltre di un sistema di reportistica in tempo reale e di fatturazione dei servizi interfacciabili con tutti i più comuni software di gestione contabile. La crescita dell'Ebitda è principalmente dovuta ad un significativo aumento delle interconnessioni con nuovi vettori che porta ad un ampliamento della rete. Lo scenario del mercato è cambiato drasticamente nel corso del 2021, con un aumento del traffico voce Wholesale e Retail. Il profilo del traffico si è spostato verso il traffico dei call center, il traffico di qualità premium e chiamate provenienti da specifici operatori di telefonia mobile. I principali Paesi da cui provengono le terminazioni sono le destinazioni dell'Africa e del Medio Oriente. Il mercato sta prendendo atto del dinamismo di Airtime e sempre più partner si stanno unendo alla piattaforma per transazioni di pagamento sicure lato cliente e lato fornitore». Avete lanciato di recente Mexedia, la divisione per la comunicazione omnichannel. E prevedete investimenti importanti, sopra i 50 milioni in due anni. Ci parla del progetto e degli obiettivi? «Mexedia propone tecnologie innovative e strumenti consolidati racchiusi in un unico ecosistema tecnologico integrato che permette ai brand di gestire e semplificare la comunicazione con il cliente. E', infatti, a livello tecnico, una piattaforma CXPaaS (Customer eXperience Platform as a Service) che offre alle aziende numerosi servizi, erogati in cloud e attraverso API, per interagire in modo ottimale con i propri clienti, attraverso ogni canale e device, in base alle proprie esigenze specifiche: Sms, multimessaging, assistenti virtuali e vocali, parental control, per citarne alcuni. Per ogni industry è stato pensato un percorso ottimale, ma i brand possono scegliere i servizi migliori per la propria attività e gestirli direttamente da una dashboard semplice e intuitiva pensata per loro. L'obiettivo di Mexedia è realizzare un rapporto autentico e paritetico tra i brand e i propri clienti, improntato alla reciproca fiducia, nel pieno rispetto dell'identità digitale del singolo, della sua privacy come dei suoi dati». Quanto conta l'analisi dei fattori Esg nella vostra strategia di investimento? «Airtime ritiene fondamentali gli aspetti ambientali, sociali e di governance all'interno della propria strategia aziendale. A tal proposito, il cda ha approvato quest'anno la prima Dichiarazione Consolidata di carattere Non Finanziario e la Società si è posta l'obiettivo di sviluppare nel corso del 2022-2023 una politica di Sostenibilità supportando, altresì, a cascata, la propria catena di fornitura nell'implementazione degli obiettivi di sostenibilità». L'Italia sul digitale è ancora indietro. Ma come avere ribadito in uno studio realizzato dall'Osservatorio sulla Digitalizzazione di Mexedia ci sono le risorse del Pnrr. Qual è la sua visione? Dove si può intervenire? «Il Pnrr destina quasi 50 miliardi di euro in progetti legati al digitale. E' fondamentale riuscire a utilizzarli interamente. I dati dell'Istat rielaborati dal nostro Osservatorio mostrano come introdurre tecnologie digitali consente di migliorare le performance aziendali rispetto a chi non è digitalizzato: +28% gli utili, +18% i profitti, +18% il valore aggiunto. La pandemia ha accelerato un processo già in corso ma i ritardi sono ancora molto ampi. Il Pnrr può essere una boa di salvataggio». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 14/4/2022