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22 Dicembre 2022

Luiss Business School presenta la nuova edizione del Corso di Perfezionamento Universitario in Digital Innovation & Governance – EMIT in partnership con HSPI

In partenza il 10 Marzo 2023, Il programma, della durata di 12 mesi in formula weekend, è rivolto a figure manageriali e tecniche della DSI che vogliano approfondire le competenze manageriali necessarie all’innovazione e alla gestione dei servizi digitali, consolidando e integrando competenze di IT Governance, competenze Manageriali e Gestionali e competenze di Innovazione e Trasformazione Digitale. Il Corso di Perfezionamento Universitario, che eroga 30 CFU, forte delle sue passate edizioni, si conferma un punto di riferimento nello sviluppo delle competenze manageriali necessarie all’innovazione e alla gestione dei servizi digitali offrendo inoltre ai suoi partecipanti la possibilità di conseguire alcune delle principali certificazioni riconosciute a livello internazionale quali: COBIT®2019 Foundation (Isaca) PRINCE2® Foundation & Practitioner (Axelos) ITIL®4 Foundation (Axelos) Il percorso annovera tra i suoi partner HSPI, società di consulenza direzionale leader nei settori della Digital Innvoation e Digital Transformation, quali IT Governance Project & Change Management, Cybersecurity, IT Service Management, IT Sourcing, Artificial Intelligence, Data Governance e Process Mining. L’esperienza e la competenza dei manager di HSPI sono da sempre il valore aggiunto di EMIT e saranno fondamentali per la crescita professionale dei partecipanti al programma.PARTENZA: 10 marzo 2023 DURATA: 12 mesiORARI: weekendRIDUZIONI: 10% sulla quota di partecipazione agli iscritti entro il 10/01; 5% agli iscritti entro il 10/02DOVE: Luiss Business School – Via Nomentana 216, 00162 Roma SCARICA LA BROCHURE 22/12/2022

29 Novembre 2022

Export Champion Program 2022/2023

Export Champion Program è il programma di formazione specializzata, accademica e completamente gratuita, promossa da SACE Education in collaborazione con Luiss Business School.  L’iniziativa, giunta quest’anno alla sua III° edizione, si rivolge a imprese esportatrici interessate ad approfondire la conoscenza dell’America Latina e in particolare dei mercati di Brasile, Colombia e Messico e a intercettare nuove opportunità di business nell’area, anche nell’ambito di operazioni di filiera presidiate da SACE.   Giunto alla sua terza edizione, il percorso formativo quest’anno darà ai partecipanti un accesso esclusivo ad una piattaforma digitale in cui si potrà:  Seguire tutti gli appuntamenti (in live o in streaming); Scaricare contenuti on-demand; Registrarsi con un profilo ufficiale per favorire lo scambio di buone prassi con le altre aziende; Confrontarsi in maniera diretta, tramite sondaggi e domande, con i relatori e i partecipanti. Il corso è articolato in 6 sessioni formative, erogate in modalità webinar, finalizzate a fornire un’analisi economica, legale e fiscale dei mercati in analisi, nonché un quadro completo di strumenti assicurativo-finanziari per l’accesso al mercato brasiliano, messicano e colombiano.  A queste seguirà un evento in presenza su Roma che sarà anche un’occasione di networking per incontrare le altre aziende partecipanti e la faculty Luiss e SACE. A tutte le imprese partecipanti sarà inoltre consegnato un attestato di partecipazione. Scopri di più e invia la tua candidatura! SCARICA IL PROGRAMMA 29/11/2022

28 Ottobre 2022

Presentazione partnership Luiss Open Consulting e Fabbrica Lavoro

Sono intervenuti oltre 40 partecipanti, tra aziende e professionisti provenienti prevalentemente dal nord ovest (in particolare dalle Province di Brescia, Como, Milano, Torino, Varese) Grande successo lunedì 24 ottobre presso il Milano Luiss Hub per l’evento di presentazione della collaborazione tra Luiss Business School, nell’ambito delle attività di Open Consulting, e l’associazione datoriale Fabbrica Lavoro. Sono intervenuti oltre 40 partecipanti, tra aziende e professionisti provenienti prevalentemente dal nord ovest (in particolare dalle Province di Brescia, Como, Milano, Torino, Varese). L’evento è stato organizzato dal Luca Fioravanti, Adjunct Professor Luiss Business School, che ha aperto e sottolineato il difficile momento socio economico che le aziende del nostro paese stanno attraversando, illustrando logiche ed ambiti di collaborazione con Fabbrica Lavoro. In apertura il dott. Giuseppe Filisetti, Presidente di Fabbrica Lavoro, ha sottolineato l’importanza del ruolo di Fabbrica Lavoro nel garantire un’iniziale efficace profilazione e qualificazione del bisogno delle aziende, per poi attivare un modello di supporto professionale da parte dei professionisti della Open Consulting della Luiss Business School, spesso realizzato con modelli di business in logica di partnership fondata sulla condivisione dei risultati. Il dott. Filisetti ha quindi fatto riferimento all’utilizzo di questionari di screening strutturati, predisposti da Fabbrica Lavoro, per meglio qualificare il bisogno e conseguentemente indirizzare l’attivazione dei rispettivi team di competenza tecnica verticale necessaria. Luca Olivari, Head Luiss Open Consulting, che ha spiegato alla platea il modello operativo della Business Unit A supervisionare l’evento Luca Olivari, Head Luiss Open Consulting, che ha spiegato alla platea il modello operativo della Business Unit, con esempi concreti per permettere di comprendere il valore aggiunto dell’intervento e la logica di evoluzione da un tradizionale modello cliente fornitore ad un modello di partnership. Nel corso dell’evento alcuni membri di Luiss Open Consulting hanno quindi presentato le diverse aree di copertura professionale, spaziando da supporto all’internazionalizzazione, ad ottimizzazione fiscale, ottimizzazione dei costi, brand strategy, digital transformation, cyber security e big data, ridefinizione del modello operativo. Infine, è stata anche ricordata l’offerta formativa destinata al mercato corporate, dove il mandato della Luiss Business School di supportare manager e imprenditori in un contesto di stretta collaborazione tra la componente scientifico-accademica e la componente di business. 28/10/2022

19 Ottobre 2022

Le persone al centro

Dalla gestione dello skills mismatch alle leve motivazionali per tornare a essere attrattivi: l’analisi e i consigli di Hotels Doctors per una vera “ripartenza” incentrata sulle risorse umane Intervista a Gabriele Gneri, Managing Director di Hotels Doctors, partner della nuova edizione dell’Executive Programme in Hotel Management della Luiss Business School, realizzata dalla giornalista Silvia De Bernardin, per Job in Tourism l'8 settembre 2022 Doveva essere l’estate della ripartenza post-Covid. È stata – anche – l’estate nella quale le strutture ricettive hanno dovuto fare i conti con una mancanza generalizzata di personale alla quale, superata in qualche modo l’alta stagione, dovranno ora trovare soluzioni di sistema, capaci di andare oltre l’emergenza. Investimenti sulla formazione e una rinnovata attenzione alle persone e ai loro bisogni possono rappresentare una formula vincente per Gabriele Gneri, Managing Director di Hotels Doctors. La società di consulenza strategica, che affianca e supporta gli hotel per il miglioramento e lo sviluppo del business, sarà partner della nuova edizione dell’Executive Programme in Hotel Management della Luiss Business School, in partenza a novembre. Non è stata un’estate facile per gli alberghi dal punto di vista del personale.Perché tutti sembrano “scappare” dal lavoro alberghiero? È un problema che avevamo iniziato a percepire già prima della pandemia, ma che quest’anno si è mostrato in tutta la sua drammaticità. Si tratta di un fenomeno globale, che ha radici culturali e sociali profonde e che meriterebbe un grande approfondimento, ma volendo semplificare potremmo dire che pare che le nuove generazioni abbiano una concezione diversa del lavoro: per loro non è più uno strumento di autoaffermazione, ma la possibilità di sostentarsi per fare altro, le persone giovani sono molto più attente al cosiddetto life balance, alla sostenibilità, all’idea di poter contribuire con il proprio lavoro al bene del mondo. E fanno fatica a fare piani a lungo termine. Se aggiungiamo poi che in diverse culture il lavoro manuale e di servizio è considerato meno “dignitoso” e di minor valore, capiamo che siamo di fronte a un profondo cambio di paradigma. Poi, è arrivata la pandemia… La pandemia ha fatto capire a molti che il turismo è un settore fragile e forse poco affidabile, per questo moltissimi lavoratori – anche con competenze importanti – abbandonati in pandemia dalle imprese del turismo si sono trasferiti in altri settori considerati più stabili o sicuri, come la logistica. Ma ci sono altri fattori che contribuiscono alla difficoltà di reperire il personale, soprattutto stagionale: le caratteristiche del nostro lavoro (si lavora molto e nei giorni festivi, spesso in condizioni di stress estremo), la politica retributiva delle imprese turistiche, il calo demografico, il sistema dei sussidi al reddito, la cattiva immagine che questo settore da di sé e, non ultima, la mancanza di un sistema di incentivi e percorsi di carriera per i nuovi assunti. Non credo si tratti di un problema passeggero legato a questa stagione, penso piuttosto che siamo di fronte a una profonda crisi, che durerà molto e richiederà innovazione e trasformazione dei modelli di business. Anche lì dove il personale si trova, viene spesso considerato non adeguatamente formato sia a livello scolastico – per le nuove leve – sia in termini di aggiornamento professionale, per chi già lavora da tempo. Esiste davvero un problema di mismatch di competenze nel settore? Negli ultimi anni il nostro settore è cambiato profondamente e continuerà a cambiare molto velocemente a causa dell’uso pervasivo della tecnologia e per l’effetto dell’ingresso di nuovi concept gestionali e di offerta, cambiano anche i clienti e le loro aspettative e di solito cambiamenti veloci portano la domanda di nuove competenze. Anche la riduzione della marginalità nelle imprese ricettive ha favorito la creazione di strutture organizzative meno gerarchiche e meno lunghe e questo ha richiesto dei middle manager (capi servizio) che non avessero solo ottime competenze operative, ma anche di management, come la capacità di risolvere problemi, analizzare e comprendere i dati di processo, fare pianificazione e progettare o modificare i servizi offerti, gestire le risorse umane. Ma queste sono competenze che hanno bisogno di tempo e del giusto supporto per svilupparsi. Quindi, aziende alla ricerca di nuove competenze strutturate e candidati che sono stati formati nel modo tradizionale o non completamente skillati creano il mismatch delle competenze.Un problema che è tanto più evidente tanto più si sale di categoria e livello di servizio. Insomma, visto dal lato delle aziende, non è certamente un tema facile da affrontare. Ci sono anche altri fattori che rendono complicato il quadro gestionale. Il veloce turnover delle risorse, per esempio, non aiuta la crescita delle competenze ed espone l’azienda a continui adattamenti gestionali e di servizio. Il problema del re-skilling: così come persone qualificate escono dal nostro settore per andare altrove, ne entrano altrettante provenienti da esperienze diverse; è molto frequente ormai trovarsi di fronte a dei cv che presentano esperienze frammentate in settori e lavori totalmente differenti. Queste risorse devono essere ri-orientate e re-skillate per poter essere inserite in azienda senza rischiare fenomeni di caduta del livello qualitativo. C’è il tema dell’integrazione multiculturale: ormai nelle nostre strutture da anni convivono persone provenienti da Paesi diversi e spesso da culture diverse, con approccio al lavoro e al servizio totalmente diversi. Come al solito, la soluzione a problemi complessi richiede un approccio sistemico, ma penso che il primo passo debba essere fatto dalle imprese, che devono tentare di avvicinarsi e collaborare con le scuole alberghiere, gli ITS e con le università in modo che ci possa essere condivisione dei bisogni. Allo stesso modo, il sistema scolastico dovrebbero uscire da una certa autoreferenzialità e rendere più aperta la propria didattica a professionisti preparati e aggiornati, ripensando anche il sistema scuola-lavoro e il meccanismo degli stage aziendali, migliorando il processo di orientamento dei ragazzi e seguendo più da vicino il percorso dello stagista. Da questo punto di vista, c’è un aspetto della gestione alberghiera sul quale, in modo particolare, gli hotel italiani dovrebbero investire in fatto di formazione? Oggi la redditività di una struttura ricettiva – e quindi la sua sopravvivenza – passa attraverso le capacità delle proprie risorse umane: il management, che deve saper definire il posizionamento, condurre una strategia, introdurre innovazione, saper comprendere il mercato e guidare un team e saper gestire le performace, e il personale operativo, che attraverso le competenze tecniche e le necessarie attitudini di servizio fa la differenza nei confronti del cliente. La nostra materia prima e la fonte del successo di una struttura ricettiva è ancora la “risorsa umana” e la sua preparazione e professionalità; per questo non investire in “addestramento” tecnico e formazione manageriale è un errore strategico che costringerà le aziende che non lo fanno (nel lungo periodo) a dover sopportare costi maggiori di acquisizione del personale e quindi a trovarsi un esercito di collaboratori“mercenari” e margini ridotti. C’è, poi, un tema di “motivazione”: cosa dovrebbero fare le imprese alberghiere per tornare a essere veramente attrattive? Se dovessi dirlo in maniera “filosofica”, direi che occorre ripartire dal why: perché vale la pena lavorare in un settore così affascinante come quello dell’ospitalità, perché lo facciamo e che cosa vogliamo lasciare alle future generazioni con la nostra fatica? Una risposta a una domanda di senso profondo, che dovremmo prima di tutto chiarire a noi stessi e poi comunicare agli altri. Dal punto di vista operativo, dobbiamo ripartire dalla persona, dai suoi bisogni, dalle sue aspettative, dalle sue preoccupazioni: occorre metterci in ascolto per capire come e in che modo il nostro lavoro e la nostra azienda può favorire o rappresentare questo “vale la pena”. Le persone poi sono diverse e attraversano esigenze diverse lungo l’arco della propria vita lavorativa: per qualcuno la motivazione potrebbe essere l’apprendimento oppure lo stipendio, arrivare all’agognata pensione o cercare di lavorare meno per dare spazio ad altro oppure contribuire a migliorare il mondo e renderlo più sostenibile (lo si sente sempre più spesso). Ma come “si riparte dalle persone”, praticamente? Nei grandi gruppi alberghieri esiste la figura del manager che gestisce le risorse umane, e che assume nomi sempre nuovi: una volta era il direttore del personale, poi responsabile delle risorse umane oggi è il responsabile di People & culture fino ad arrivare all’Happiness Officier. E questo la dice lunga su come stia cambiando l’approccio alle risorse umane. Negli hotel indipendenti il ruolo è svolto dal direttore operativo o dal proprietario oppure spesso si demanda al capo servizio di reclutare i propri collaboratori. Manca una visione d’insieme e una preparazione specifica: in questo modo si rischia di metter su un gruppo di lavoro slegato e disomogeneo e di non riuscire a gestire le varie farsi della gestione del personale. Per questo penso che oggi le strutture debbano fare uno sforzo in più e introdurre (oppure farsi aiutare da professionisti esterni) una figura dedicata al personale e sono certo che si tratti di un buon investimento. Quali sono, su questi temi, le best practice più aggiornate messe in campo dagli hotel italiani? Ancora una volta sono le grandi catene a presidiare meglio il campo. Ma per quanto riguarda gli hotel indipendenti molte sono le attività in corso di sperimentazione e molte hanno ricevuto apprezzamenti o riscontri positivi: mi viene in mente un albergatore illuminato di Abano Terme che ha preso un’ abitazione vicino all’hotel per far riposare e creare un punto di aggregazione per ragazzi costretti a fare i turni spezzati (con tanto di sala giochi e letti per i pisolini pomeridiani). Oppure, un albergatore di un resort in Costa Smeralda (molto coraggioso), che ha deciso di utilizzare una porzione importante della propria capacità ricettiva per fare alloggi per il personale in camere doppie con bagno per tutti i dipendenti e sta avviando un percorso per far lavorare tutti i collaboratori otto ore al giorno anche in piena stagione.O, ancora, un albergatore di Cortina che si appresta a sviluppare un’area di intrattenimento per tutto il personale con vending machine e generi di conforto. Insomma, penso che ormai tutti abbiano capito che sia in atto una concorrenza vigorosa nell’accaparrarsi il personale migliore e che occorra fare uno sforzo importante per migliorare le condizioni di lavoro e favorire la gestione delle aspettative dei lavoratori.

14 Ottobre 2022

Webinar Environmental, Social and Governance per il successo dell’impresa e lo sviluppo sostenibile

Flex Executive Programme in ESG e Sviluppo Sostenibile Mercoledì 26 ottobre 2022 alle ore 17:00 CEST si terrà il webinar “Environmental, Social e Governance per il successo dell’impresa e lo sviluppo sostenibile”. L’evento digitale sarà l’occasione per presentare la nuova edizione del Flex Executive Programme in ESG e Sviluppo Sostenibile, in partenza il 18 novembre 2022. PERCHE’ PARTECIPARE AL WEBINAR? Il webinar si propone di illustrare le più recenti prassi sulle tematiche ESG e di come promuoverle e integrarle nelle Strategie. SPEAKERS: Cristiano Busco, Professore Ordinario di Accounting e Reporting, Direttore MBA, Luiss Business SchoolMaria Pierdicchi, Presidente, NedcommunityAngelo Riccaboni, Professore Ordinario di Economia aziendale, Università di Siena, Senior Research Fellow Luiss Business School Il Flex Executive Programme in ESG e Sviluppo Sostenibile èprogettato in collaborazione con: AISEC (Associazione Italiana per lo Sviluppo dell’Economia Circolare);Nedcommunity, l’associazione italiana degli amministratori non esecutivi e indipendenti eSustainability Makers, l’associazione italiana che riunisce le professionalità che si dedicano alla definizione e alla realizzazione di strategie e progetti di sostenibilità. Inoltre, il webinar darà spazio al confronto e all’approfondimento con il referente scientifico per scoprire i moduli del corso e il networking di Luiss Business School. Al termine del webinar è prevista una sessione di Q&A. QUANDO: 26 ottobre 2022 ORA: 17:00 CEST LINGUA: Italiano DOVE: Online Per partecipare è necessaria la registrazione REGISTRATI Scopri il programma 14/10/2022

06 Ottobre 2022

Webinar – Executive Master Organizzazione e Gestione delle Risorse Umane: come accompagnare le risorse umane e l'azienda attraverso la trasformazione

Martedì 18 ottobre 2022 alle ore 18:00 si terrà il webinar di presentazione dell’Executive Master in Gestione Delle Risorse Umane, Organizzazione e Leadership progettato da Luiss Business School in collaborazione con Deloitte. Il programma è in partenza il prossimo 4 novembre e si pone l’obiettivo di formare professionisti dell’area HR fornendo conoscenze, metodologie e strumenti avanzati ed innovativi per valorizzare e gestire in modo strategico il capitale umano. AGENDA: Il webinar prevede la presentazione dell’Executive Master, la struttura del percorso ed i principali sbocchi lavorativi. Al termine del Webinar, in una sessione di Q&A,il coordinatore del Programma risponderà a tutte le domande sui requisiti di accesso al programma, il processo di selezione e le agevolazioni. PERCHÉ PARTECIPARE? Il webinar è un’opportunità per acquisire le informazioni preliminari sui contenuti del percorso e approfondire le principali sfide che la trasformazione aziendale comporta in termini di persone, comunicazione interna e formazione. SPEAKERS: Lucia Marchegiani, Direttore Scientifico dell’Executive Master e Professore Associato di Organizzazione e Gestione delle Risorse UmaneMatteo Zanza, Partner Change Management & Organization Design, DeloitteLuca Morra, Director Change Management & Organization Design, Deloitte QUANDO: 18 ottobre 2022 ORARIO: 18:00 – 19.00 CEST DOVE: Online Per partecipare è necessaria la registrazione  IL PARTNER DEL MASTER Il Master è arricchito dalla presenza di un partner di eccellenza. L’area Human Capital di Deloitte Consulting si occupa di guidare le aziende nei percorsi di trasformazione in ambito HR lavorando sulle persone e con le persone, per far sì che il capitale umano sia realmente una leva per la crescita del business.  L’expertise dei manager di Deloitte sarà a disposizione dei partecipanti al Master. REGISTRATI SCARICA LA BROCHURE 06/10/2022

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05 Ottobre 2022

Valore PA 2022: i corsi Luiss Business School per i dipendenti della Pubblica Amministrazione

Scopri i corsi accreditati per la Pubblica Amministrazione di Luiss Business School.  I calendari delle lezioni saranno prossimamente disponibili. Regione Lazio Sede dei corsi in presenza: Luiss Business School – Villa Blanc, Via Nomentana, 216 – 00162 Roma Corsi di I livello  I siti web delle Amministrazioni Pubbliche: organizzazione delle pagine web e dei contenuti. Ottimizzazione dei contenuti per una navigazione più accessibile e fluida da parte dell’utenza e bilanciamento tra le esigenze di pubblicazione con quelle di riservatezza 40 ore – modalità on line Comunicazione efficace: utilizzo dei nuovi mezzi di comunicazione pubblica con i cittadini attraverso un approccio innovativo. Regole e strumenti per comunicare attraverso i social - Ascolto efficace, organizzazione delle informazioni 50 ore – modalità in presenza Personale, organizzazione e riforma della Pubblica Amministrazione - Pianificazione, misurazione e valutazione della performance 50 ore – modalità in presenza Corsi di II livello – Tipo A Produzione, gestione e conservazione dei documenti digitali e/o digitalizzati - sviluppo delle banche dati di interesse nazionale - sistemi di autenticazione in rete - Big data management 60 ore – modalità on line Progettazione di modelli di servizio, innovazione, analisi e revisione dei processi di lavoro per il miglioramento dei servizi all'utenza - Qualità del servizio pubblico 60 ore – modalità on line Progettazione e gestione dei fondi europei - Tecniche per realizzare iniziative innovative e di successo a supporto dello sviluppo - Sviluppo sostenibile e transizione ecologica 60 ore – modalità in presenza Anticorruzione, trasparenza e integrità: strategie preventive e sistemi di compliance - gestione del rischio corruzione 40 ore – modalità on line Intelligenza artificiale: Come funziona, perché interessa, come si può utilizzare. I sistemi di intelligenza artificiale per la cyber security 50 ore – modalità in presenza

04 Luglio 2022

Rinnovabili, burocrazia, consapevolezza: i nuovi scenari dell'energia

Presentata la nuova edizione di Edison Energy Camp, il programma nato dalla collaborazione tra Edison e Luiss Business School La gestione dell'emergenza collegata al comparto energetico e, in special modo, alle forniture di gas dalla Russia continua a tenere banco su tutti i media. Ciò che viene chiamato in causa è il modello di consumo, sia lato consumer che impresa. Per questo Edison in collaborazione con Luiss Business School, ha creato l'Edison Energy Camp. Solo raccogliendo le migliori tra le giovani menti sarà possibile disegnare le strategie per il futuro dell'energia. Durante l'evento I nuovi scenari dell’energia, tenutosi il 22 giugno presso il Palazzo Edison a Milano, è stata inaugurato la nuova edizione del programma nato dalla collaborazione tra Edison e Luiss Business School, con la partecipazione di World Energy Council Services Italia. «"I nuovi scenari dell’energia" è un tema rilevante per il Paese e per la nostra vita quotidiana - ha esordito Raffaele Oriani, Dean, Luiss Business School - Il programma Edison Energy Camp è molto articolato e durerà per tre anni. Partirà a Milano, ma ospiteremo una parte della formazione anche a Roma e online, che per noi rappresenta un nuovo standard. Sensibilizzare le nuove generazione di professionisti su queste tematiche sia necessario per il sistema Paese». Come fronteggiare la dipendenza dal gas russo La ripresa produttiva post Covid ha innescato un aumento della domanda e dei prezzi dell'energia. Non c'è stata la discesa ipotizzata a causa della guerra. L'impatto è molto forte sia sul bilancio delle famiglie, che arrivano a pagare gli aumenti fino a una mensilità media in più all'anno, portando l'inflazione a 7,5%-8% a livello europeo. Anche le industrie pagano gli aumenti in termini di perdita di competitività. «Siamo in una situazione di affanno – spiega Nicola Monti, CEO, Edison – i costi di investimento, del debito, di accesso al mercato finanziario per le aziende sono aumentati, mettendo in dubbio la dinamica positiva innescata dal perseguimento degli obiettivi di decarbonizzazione. La situazione mette in evidenza un'eccessiva dipendenza dal gas russo, anche per mancanza del nucleare sul territorio italiano». Le rinnovabili sono solo una parte della risposta, perché il gas è ancora la fonte primaria che alimenta le centrali che vanno in soccorso di pannelli fotovoltaici e pale eoliche quando sole e vento non ci sono. L'Italia consuma 70 miliardi di metri cubi di gas e si contempla già l'abbassamento di un grado medio nei riscaldamenti durante il prossimo inverno. La quantità di gas da sostituire resta comunque rilevante: per questo bisogna rivedere le pratiche di consumo. «Ci attendono mesi molto complessi, ma nonostante la delicatezza di questa fase, bisogna comprendere la natura di questa opportunità – spiega Matteo Caroli, Associate Dean per l’Internazionalizzazione; Direttore BU Applied Research e Osservatori, Luiss Business School – L'Italia ha dimostrato di sapersi muovere meglio durante i momenti di difficoltà, superando le criticità che hanno finora rallentato la transizione energetica. Questo richiederà una forte coesione dal punto di vista del comportamento delle persone: bisogna essere coscienti che occorrerà fare qualche sacrificio. Accanto alla transizione, bisognerà mettere il tema del risparmio energetico. Sarà necessario affiancare operazioni per innescare la consapevolezza del consumo, così come si è fatto per quello alimentare». Transizione energetica: come impatterà sui modelli di business Le risposte contemporanee alla crisi energetica passano anche da iniziative come le Comunità Energetiche. Si tratta di gruppi di persone – singoli o piccole imprese – concentrate in una specifica area (come un quartiere o un piccolo paese) che si auto-organizzano la produzione energetica, ottenuta da fonti rinnovabili. È uno dei mezzi per combattere la povertà energetica che il mondo sta affrontando. «Il passaggio a nuove fonti di energia rinnovabile è assolutamente necessario – aggiunge Caroli – non solo per ragioni ideologiche e ambientali, ma anche perché la crisi del gas è stata semplicemente enfatizzata dalla guerra russo-ucraina. Bisogna però immaginare una strategia di elettrificazione in attesa di capire se l'altra opportunità su cui si sta sviluppando molta ricerca, cioè l'uso dell'idrogeno, potrà rappresentare una reale alternativa». «Bisogna accompagnare i grandi clienti industriali, ma anche i piccoli e la pubblica amministrazione verso un percorso di decarbonizzazione. Il processo non verrà messo in pericolo dalla crisi, che ci obbligherà ad accelerare nella realizzazione degli investimenti nelle fonti rinnovabili e nell'efficienza energetica per ridurre le dipendenze da alcune fonti primarie come il gas russo. Tuttavia, è bene ricordare che l'Europa è responsabile per il 6-7% delle emissioni di CO2 in tutto il mondo. Possiamo anche centrare i nostri obiettivi, ma se poi Cina e India non fanno la propria parte, sarà tutto inutile». Burocrazia, il grande ostacolo L'efficienza energetica impatta sulle vite dei cittadini anche attraverso gli interventi edilizi, incentivati da operazioni come il Superbonus 110%. Tuttavia, per accelerare i processi di autorizzazione per questo settore e per la semplice installazione di nuovi impianti rinnovabili, vanno riviste le pratiche di permitting. Infatti, gli adempimenti burocratici sono ancora un ostacolo importante sul cammino della transizione energetica italiana verso fonti rinnovabili. Del resto, l'Italia installa un decimo delle rinnovabili che dovrebbe installare secondo i piani stabiliti dal governo. «Occorre mettere il tema della transizione energetica, dell'elettrificazione e del risparmio tra le priorità politiche del nostro Paese – aggiunge Caroli – sensibilizzando i cittadini a fare la propria parte». L'evento “I nuovi scenari dell’energia” ha ospitato gli interventi di: Raffaele Oriani, Dean, Luiss Business School; Matteo Caroli, Associate Dean per l’Internazionalizzazione; Direttore BU Applied Research e Osservatori; Professore Ordinario di International Business, Luiss Business School, Nicola Monti, CEO, Edison. Modera i lavori Cheo Condina, giornalista, Il Sole 24 Ore. 4/7/2022

28 Giugno 2022

Adriano Romani, dalle vittorie in aula a quelle sul campo

Il ventiseienne romano ha completato il master Luiss Business School in Corporate Event: “un vero leader è colui che pensa al bene del gruppo” Adriano Romani è un allenatore di flag football americano. Ama questo sport, che sarà presente anche alle prossime olimpiadi. Con i suoi Grizzlies Roma è diventato campione d’Italia Fidaf. Ma il ventiseienne romano è sempre stato affamato di sfide. Appassionato di fotografia, ha frequentato un master e il 18 giugno inaugurerà la sua prima mostra. Non contento, ha scelto di seguire il master in Corporate Event di Luiss Business School per mettersi alla prova. Ha scoperto che una challenge resta sempre una challenge e che la differenza la fanno le soft skills e la propria visione di leadership. Adriano, recentemente sei diventato campione d’Italia FIDAF, regolarmente presente tra gli sport nazionali inseriti dal CONI e a breve sarà anche alle prossime olimpiadi. Un grande obiettivo raggiunto. Quali sono le caratteristiche principali per vincere sfide sportive e no? Prima di tutto, non porsi limiti. Poi, cercare di fare gruppo con i propri compagni di squadra e raggiungere un obiettivo. Queste sono consapevolezze e capacità sviluppate durante il percorso in Luiss Business School, attraverso i lavori di gruppo. Dopo un anno di studi, ho osservato alcune differenze nel mio modo di pormi con la squadra e anche con coach più grandi. Quali sono le skills che hai allenato in Luiss Business School e che ti sono servite nelle sfide sportive? Il conflict management è stato determinante all’interno delle challenge, ma anche nel contesto sportivo, quando si ha a che fare con età e personalità diverse. Poi c’è il problem solving. Vengo da studi classici e ho scelto un master di economia, ma la difficoltà del percorso di studi, fatto con serietà, mi ha permesso di sviluppare l’attitudine alla ricerca di soluzioni anche impensate a problemi da risolvere. Un atteggiamento determinante nel mio lavoro sul campo. La tua performance sportiva è stata influenzata dal tuo percorso in Luiss Business School? In realtà, ha influenzato tutta la mia vita. È stata l’esperienza più formativa e intensa che io abbia mai fatto. Questa realtà sfidante a livello pratico e teorico mi ha permesso di mettermi alla prova, sentendomi orgoglioso di essere parte di un gruppo di lavoro, di una squadra, ma anche di una comunità, quella di Luiss Business School. Il successo sportivo maturato quest’anno è arrivato anche grazie alla maturità sviluppata in questo percorso molto duro e formativo. A breve sarai protagonista di una mostra legata a un libro fotografico. Come sei riuscito a conciliare sport e amore per la fotografia con un percorso impegnativo come quello di un master in Corporate Event? Faccio una vita molto diversa da quella dei miei coetanei. L’impegno del master e quello sportivo mi hanno portato a scegliere di sacrificare uscite serali e altri svaghi. Ma senza rimpianti: mi piace confrontarmi con realtà sfidanti. Da dislessico, sono stato abituato sin da piccolo a studiare e ad applicarmi più degli altri. Ora sto vivendo la gioia di due grandi successi: quello sportivo e quello artistico. Il 18 giugno, al museo Pigorini di Roma, i miei scatti dedicati al Festival del Cinema potranno essere visibili a tutti. C’è un filo conduttore tra la tua esperienza nel coaching staff di una squadra di football e il desiderio di lavorare nel campo dei corporate event? Se sì, qual è? Il porsi degli obiettivi sfidanti, che portino a superare i propri limiti. La caratteristica che guida tutto è l’adrenalina. C’è qualche relatore che ti ha influenzato durante il tuo percorso in Lbs? Abbiamo avuto diversi relatori stimolanti, ma l’esperienza di Paola Aruta, docente di Epr e media relations, mi ha colpito. Ha studiato ad Harward e, per me che ho paura di prendere l’aereo, è stata illuminante la sua determinazione. Ho capito che, per seguire un sogno, bisogna sacrificarsi. Dopo quel corso, ho ricevuto una telefonata proprio dagli Stati Uniti: una squadra mi ha chiamato per andare ad allenare lì. In quel momento ho pensato a lei. Partirò tra 10 giorni, una decisione che ho potuto prendere anche grazie a quella testimonianza. Il network è uno dei valori fondanti in Luiss Business School: come riesci a tenere insieme la naturale competizione connaturata al tuo essere uno sportivo al fare rete? Sono sempre stato in sfida con me stesso, ma non con gli altri. Per questo è facile per me avere rapporti con il mio team e con gli avversari. Per me la challenge è come un gioco: ci sfidiamo e poi andiamo a mangiare insieme dopo il match. La mia idea di competizione è sana. Il network funziona e, grazie alle soft skills sviluppate, mi sono sentito pronto a interagire con persone più grandi, con background diversi e più complessi del mio. In più, lavorare in gruppo mi ha aiutato ad allenare il concetto di leadership condivisa. C’è il momento in cui si è chiamati a guidare e quello in cui si deve condividere il comando. In Luiss Business School si lavora molto sulla Leadership. Secondo te cosa ci vuole per essere veri leader? Umiltà. Il vero leader è colui che riesce ad usare le sue caratteristiche, sviluppate nel tempo, per tirar fuori il meglio dagli altri, fungendo da vero a proprio collante nell’ingranaggio. In uno sport come il mio, dove ci sono molti coach e c’è un’organizzazione molto orizzontale, un vero leader è colui che pensa al bene del gruppo. Conquistare la fiducia di persone più grandi di te, rimanendo umile e mostrando i propri valori non è facile, ma è proprio questa una delle eredità migliori che mi porto dalla Luiss Business School. Progetti per il futuro: tra football, fotografia e formazione avrai molte direttrici aperte… Sportivamente, la mia idea è di continuare ad allenare. Dopo questo anno in America, penserò a cosa fare. Invece, sul fronte formazione, terminato il master, vorrei trovare uno stage sfidante almeno quanto i corsi seguiti presso la Business School. Ho voglia di misurarmi e crescere. Essendo un appassionato di fotografia e di costruzione dell’immagine, mi piacerebbe lavorare in realtà collegate alla costruzione dell’immagine. 28/6/2022

23 Giugno 2022

Transizione energetica e digitale: le solution degli studenti Luiss Business School alla Global challenge di Italgas

Battute finali per la Luiss Business School Global Business Challenge, che ha visto protagonista il settore energetico con Italgas Per la Luiss Business School Global Business Challenge, il Gruppo Italgas ha sfidato gli studenti a elaborare soluzioni innovative che mettano in pratica trasformazione digitale e transizione energetica. Parola chiave per affrontare i due imperativi contemporanei: piattaforme. Il lancio della challenge ha rappresentato la fase di confronto sul campo seguita all’analisi del case study “Italgas: embracing digital”, curata da Enzo Peruffo, Professore Ordinario di Strategie d’impresa e Associate Dean for Education, Luiss Business School Ecco le soluzioni individuate dai gruppi e le rispettive visioni sul futuro del settore energetico. La solution di Business as Usual Francesco Giannoni è il portavoce del gruppo Business as Usual. Il ventiquattrenne di Pistoia è uno studente del Master di International Management e ha condiviso la challenge con Carolina Allocca, Francesco Oliva, Daniil Gershman. La solution del gruppo si articola in tre moduli: si parte da un'idea e si sviluppa in due appendici. L'applicazione della blockchain permette di gestire processi produttivi e logistici, diminuendo l'impatto ambientale e aumentando l'efficienza della supply chain. «Usando i dati, andremo a sviluppare un'app per il B2B e una per il B2C. I dati potranno così essere ricevuti dagli stakeholder di Italgas, ma anche dall'utente finale». La seconda parte della solution mira a contenere il rischio legato alle fragilità del settore, diversificando gli investimenti. «Vorremmo suggerire di investire nel settore assicurativo, dove le blockchain sono presenti. Si possono collegare contratti, eliminando l'intermediario, velocizzando l'outcome e rendendo più efficiente il sistema sia verso l'azienda sia verso il cliente. Nel settore assicurativo dell'energia c'è poca competizione e serve grande esperienza per operare: chi può farlo meglio di Italgas?» La solution di Here 2 Disrupt Celestino Cresta è il portavoce del gruppo Here 2 Disrupt. Il ventottenne di Catanzaro è uno studente del master in Strategy for Disruptive Growth e ha condiviso la challenge con Emanuele Castorina (Strategy for Disruptive Growth), Luca Meloni (Strategy for Disruptive Growth), Luca Molteni (Strategy for Disruptive Growth), Elena Fontana (Human Resources). «Per comprendere meglio i meccanismi che regolano la supply chain del gas, abbiamo proposto un ledger blockchain sia per migliorare le procedure di monitoraggio, sia l'economicità delle stesse, sia l'attendibilità delle informazioni condivise. In questo modo, gli operatori potranno condividere più facilmente i dati in loro possesso, spaziando dagli estrattori ai consumatori finali. Le soluzioni blockchain potrebbero portare a una riduzione del 30% dei costi, con transazioni più sicure. Grazie a queste informazioni, il cliente potrebbe anche scegliere la provenienza del gas per la propria utenza. Inoltre, si andrebbe a creare un nuovo modello di fiducia, necessario alle aziende del settore. La nostra solution ipotizza sei mesi di prova in Medea, società del gruppo Italgas, con otto manager dedicati all'implementazione della tecnologia. Grazie alla presenza dei contatori smart di Italgas, sarebbe sufficiente implementare il software. Abbiamo scelto la blockchain di Solana perché è carbon free. Dopo aver concluso la sperimentazione su Medea, si dovrebbe passare alle altre società e infine a Italgas. A questa fase dovrebbe seguire una campagna marketing per indicare i benefici per i clienti finali». La solution di Shaping a Powerful Future Giuseppe Zito Affinito è il portavoce del gruppo Shaping a Powerful Future. Il trentunenne di San Giorgio a Cremano (NA), è uno studente dell’Executive Programme in Marketing & Sales e ha condiviso la challenge con Enrico Gigliotti, Paolo Castiglione, Elisa Cagnizi, Andrea Cecolin. «Partendo dalla storia di Italgas, abbiamo sviluppato una nostra strategia, che potesse allinearsi con un rinnovamento tecnologico che andasse a valorizzare due fattori: i dati e le persone. Sono i più grandi asset oggi in possesso di un'azienda. Ciò che abbiamo fatto non punta a digitalizzare i processi aziendali, ma a costruire una strategia digitale, che orienti le persone verso un approccio sempre più data driven. Per farlo, abbiamo preso in considerazione tre tecnologie, basate su cloud, che devono solo collegarsi ai sistemi già in uso in Italgas. Si parte da una lettura del parco dati di Italgas, provenienti da più fonti, si fa analisi citizen e data science, potenziate poi da power users. Queste figure entrano alla fine del ciclo produttivo del dato per sviluppare reportistiche o analisi avanzate per il business». Il valore di una challenge Un master Luiss Business School non è solo un percorso lineare, fatto di lezioni ed esami. Le challenge sono un modo per mettersi alla prova in modo concreto e sfidante. Come spiega Giannoni, inizialmente si può anche essere intimoriti. «Ma affrontare la challenge sviluppando una nostra idea, ci ha messo a diretto confronto con successo e fallimento. Essere arrivati in finale è un traguardo di cui andare fieri. Portiamo a casa una conoscenza aumentata di noi stessi, del nostro valore e della nostra autostima». «La challenge è stato un modo per applicare le conoscenze conseguite durante il master a una grande azienda come Italgas – spiega Cresta - Abbiamo stimato costi e ricavi, redatto un business plan e utilizzato i metodi di gestione del lavoro acquisiti durante i laboratori Luiss Business School». «La vera sfida è stata lavorare con persone provenienti da settori professionali diversi – aggiunge Affinito - Studiare una strategia ispirazionale per un'azienda altrettanto ispirazionale, ci ha permesso di entrare in sintonia con standard di eccellenza. Inoltre, le regole del concorso sono regole abbastanza stringenti, il che ci ha messi ancora di più alla prova nel costruire un processo di sintesi, introducendo le giuste capacità comunicative». Transizione energetica, la visione degli studenti L'attuale situazione geopolitica ha complicato il lavoro di tutto il settore energetico. Secondo Giannoni, «in questo settore si parla tanto e alla fine si agisce poco perché c'è poca conoscenza del settore. Le soluzioni prospettate nel breve periodo, come la produzione green di idrogeno, saranno difficili da implementare nel breve periodo. Sarà necessario un metodo energetico transitorio e sarà il nucleare. Le energie rinnovabili sono ancora discontinue. Il nucleare inquina meno ed è una fonte sicura. Spero che tutti i Paesi europei non vadano in questa direzione, spronati a fare meglio dall'attuale situazione». Secondo Cresta, il referendum sul nucleare degli anni Ottanta ha frenato l'Italia dal punto di vista dello sviluppo energetico. «Ora che l'UE l'ha reinserito tra le fonti energetiche rinnovabili, Stati come la Francia, che hanno delle centrali in funzione, se la stanno cavando un po' meglio degli altri. Da calabrese, credo che la mia regione potrebbe diventare il parco energetico d'Italia. Ma le soluzioni tech per implementare la transizione energetica sono molteplici. Si potrebbe applicare l'intelligenza artificiale alle centrali produttive, la sensoristica IoT, i tracker Gps sulle navi che trasportano gas». Ma la situazione geopolitica è solo l'ultimo tassello in uno scenario fortemente condizionato dalla crisi ambientale. «È necessario un ripensamento delle logiche attuali verso soluzioni più sostenibili – spiega Affinito – Eseguire una transizione energetica sostenibile significherà puntare anche su solare, eolico, idrogeno verde e biometano. La transizione energetica è già in atto: non dobbiamo temerla, ma cavalcarla». --- Il 23 giugno un comitato presieduto da Paolo Gallo, CEO, Italgas, e Raffaele Oriani, Dean, Luiss Business School, e composto da Leonardo Ambrosi, Innovation and Digital Transformation Director, Italgas, Marco Barra Caracciolo, Chairman & CEO, Bludigit, Mirko Cafaro, External Relations and Press Office Manager, Italgas, Chiara Ganz, External Relations and Sustainability Director, Italgas, Leonardo Quattrocchi, Professor of Practice, Luiss Business School, ha decretato che il gruppo “Here 2 Disrupt” vincitore. Congratulazioni! 23/06/2022

10 Giugno 2022

Competenze trasversali per fare la differenza

Presentati i risultati del programma Con la Scuola, progetto di formazione promosso da Snam, ELIS e Luiss Business School Con oltre 250 ore di formazione dispensate a 500 docenti, per un impatto medio su 2000 studenti italiani, Con la Scuola ha concluso con successo un nuovo percorso formativo. Al centro di tutto, gli istituti formativi come organizzazione, e i docenti ed i dirigenti scolastici come i protagonisti del cambiamento. Il team di docenti di Con la scuola li ha affiancati nella progettazione e realizzazione del loro modello di scuola/comunità “apprendente”. Con la scuola è promosso da SNAM e realizzato da Luiss Business School, che ha sposato in pieno la missione di questo percorso. Come spiega Raffaele Oriani, Associate Dean for Faculty e Direttore Business Unit Custom & Consulting, Luiss Business School, «la nostra missione è avere un impatto sulla nostra comunità di riferimento. Un sistema formativo più efficace va a vantaggio di tutto il sistema Paese. Lavorare sulle competenze trasversali dei docenti e consigli di classe è in linea con il nostro approccio formativo. Infatti, miriamo a lavorare sulla capacità di gestire persone e situazioni complesse, innovare e gestire in modo creativo i problemi, fattori validi in ogni contesto». Con la scuola: qualche numero L'edizione 2021/2022 di Con la Scuola ha prodotto alcuni numeri interessanti. Ha dispensato oltre 250 ore di formazione a distanza e in presenza, per oltre 500 docenti con un impatto stimato su circa 2000 studenti, 60 consigli di classe, 26 dirigenti di 24 scuole coinvolte. «Quelli di Con la Scuola sono risultati incredibili – ha sottolineato Marta Luca, Head of Human Capital Development Diversity and Inclusion, Snam – In questi anni, abbiamo toccato con mano quanto i docenti siano il cuore della scuola. Questo è il punto di partenza e di realizzazione di una società più inclusiva e di un mondo migliore. Dobbiamo continuare a investire nella formazione del personale docente, per allineare e far evolvere l'offerta formativa e la leadership nelle scuole, per rispondere alle domande e alle esigenze sempre più complesse delle nuove generazioni. La scuola è il fulcro del territorio, primo ambiente di lavoro di Snam, ed è lì che bisogna investire, creando un ambiente sostenibile. Se vogliamo migliorare la leadership formativa, dobbiamo migliorare la qualità delle risorse umane». Le scuole sono state anche avamposto e presidio formativo durante la pandemia, garantendo ai ragazzi la possibilità di mantenere forte l'attenzione sulla crescita, nel voler formarsi a tutti i costi per il proprio futuro, per il proprio Paese. Secondo Giovanni Brugnoli, Vicepresidente per il capitale umano, Confindustria, «abbiamo una responsabilità comune nell'orientare gli studenti in base alle proprie specifiche caratteristiche. Il buon orientamento scolastico può produrre un ottimo grado di occupabilità. Il Pnrr dà nei confronti del mondo scolastico una partita finanziaria notevole. Dobbiamo sfruttare questa occasione per avere una scuola più inclusiva, aperta al mondo dell'impresa». Con la scuola, il modello che crea competenze Durante i colloqui, le aziende cercano nei candidati preparazione rispetto all'azienda, motivazione, voglia di lasciare un segno, di mettersi in gioco. Ma, ribaltando la domanda sul personale scolastico, tra dirigenti e formatori, emerge che ancora non è del tutto chiaro il concetto stesso di competenza. Il 57% dei docenti intervistati per il progetto Con la scuola ha dichiarato che la competenza si acquisisce studiando e facendo pratica. Il 41% pensa che si sviluppi con l'allenamento, mentre il 2% crede che si possegga dalla nascita e non muti. «Lavorando sul gruppo, siamo riusciti ad attivare un cambiamento – sottolinea Francesca Traclò, coordinatrice scientifica del progetto “Con la Scuola”, Luiss Business School – La competenza riporta al centro lo scopo educativo, che significa lavorare relazionandosi con i ragazzi. Lavorare con i docenti sull'osservazione è il modo per uscire dal giudizio, per aprire una vera relazione educativa. Dal percorso fatto nell'ultimo anno, abbiamo portato a casa la necessità per i docenti di avere più collaborazione e condivisione. In più, i docenti hanno bisogno di sperimentare il successo e lo abbiamo visto quando la relazione con gli studenti è diventata generativa». Il questionario compilato al termine del programma Con la scuola ha messo in evidenza che bisogna passare dalla formazione al singolo a quella rivolta all'organizzazione, al consiglio di classe e ai dipartimenti. È necessario passare dal (pre)giudizio all'osservazione, creando un linguaggio e uno scopo educativo comuni e imparando a lavorare insieme. “La scuola come sistema complesso” Dopo un secolo di didattica trasmissiva, è tempo di cambiare. Come evidenzia Antonello Giannelli, Presidente, ANP, «è necessario operare un profondo rinnovamento nella scuola, soprattutto sulla prassi didattica». I dati che arrivano dai test Invalsi ci dicono che ogni anno perdiamo un quinto degli alunni italiani. «Da un lato, contribuiamo alla povertà educativa, rendiamo le persone poco soddisfatte di sé. Gli abbiamo fatto provare insuccesso e frustrazione, trasformandoli in potenziali disoccupati, con potenziali impatti sociali negativi. Dall'altra parte, abbiamo demotivato delle persone che, se stimolate nel modo giusto, avrebbero potuto diventare dei lavoratori di successo, contribuendo al benessere di tutti. Questi temi dovrebbero essere di dibattito pubblico. Per questo è necessario passare a modelli didattici innovativi e fare uno sforzo di motivazione verso i ragazzi». 10/6/2022

01 Giugno 2022

ESG Reporting & Planning per leggere il futuro delle aziende

L’evento nato dalla collaborazione tra Luiss Business School e Oracle Italia pone al centro i valori ESG, la loro misurabilità e il ruolo nella pianificazione dei processi aziendali Attenzione all’ambiente, impatto sociale e aspetti di governance (ESG) sono i principi che stanno guidando le trasformazioni aziendali e finanziarie in tutto il mondo. Gli stessi criteri ESG mirano a condurre una transizione sostenibile nel mondo della finanza. Ma per rendere un business sostenibile è necessario monitorarne il valore e i risultati prodotti sulla profittabilità. Per questo le attività di pianificazione e reporting ESG, coadiuvate da tecnologie e strumenti adeguati, assumono un ruolo chiave. Questi sono i punti chiave dell’evento ESG Reporting & Planning: misurare i dati di sostenibilità per governare il business, nato dalla collaborazione tra Luiss Business School e Oracle Italia. Dati ESG, misurazione e pianificazione finanziarie: le sfide da affrontare Delineando lo scenario attuale in cui le aziende globali si stanno muovendo, il professor Raffaele Oriani, Associate Dean for Faculty Luiss Business School, ha sottolineato che gli investimenti sostenibili a livello globale oggi ammontano 35,5 trilioni di euro. Il 35,9% degli Asset Under Management è rappresentato da investimenti sostenibili. Entro il 2025 gli asset ESG potrebbero superare i 53 trilioni, rappresentando più di un terzo degli asset totali (con un aumento del 15%). Il 50% degli asset ESG globali sono in Europa, anche se gli Stati Uniti segnano una crescita molto veloce, soprattutto a livello di bond collegati ai criteri ESG. Contemporaneamente aumentano i bond e le società che adottano tali strumenti. La crescente rilevanza dei temi di sostenibilità per chi investe o per chi concede un credito, rende necessari strumenti che siano in grado di misurare le performance delle imprese e di strumenti finanziari ESG. Ma i processi di misurazione sono eterogenei: non c’è uniformità nella considerazione dei criteri di valutazione per i tre pilastri. Questa è una delle sfide a cui si è chiamati a dare una risposta Tra i temi aperti, relativi allo sviluppo della finanza sostenibile, restano sul tavolo la necessità di una tassonomia condivisa, che permetta di identificare attività, prodotti e servizi finanziari sostenibili; la necessità di maggiore comparabilità nelle informazioni pubblicate da parte delle imprese; una maggiore integrazione e dialogo su temi ESG fra tutti gli stakeholder coinvolti; l’armonizzazione del trade off tra performance ESG e rendimento finanziario. Governare il business applicando i criteri ESG La tavola rotonda, moderata dal professor Cristiano Busco, Full Professor Accounting, Reporting & Sustainability, Luiss Business School, ha messo al centro l’importanza dei dati e valori ESG al fine di arrivare a una governance che traduca lo spirito in pratica. «Da azienda pubblica siamo stati pionieri atipici nell’affrontare le tematiche ESG – ha sottolineato Lucia Fioravanti, Direttore Finanza e Affari Corporate, Sogei – Da due anni stiamo infatti investendo sulla ricerca di modelli che portino la sostenibilità ancora più avanti. Stiamo lavorando sulla sua accountability nell’ambito dei servizi pubblici, articolandola a livello ambientale, digitale e sociale. Coinvolgendo le pubbliche amministrazioni, abbiamo adottato il modello matematico del social return of investment per misurare il valore della sostenibilità in termini di incremento del portafoglio dell’offerta di servizi sanitari pubblici, di occupabilità e sviluppo di competenze. Cercheremo di portare questo modello nella fase di progettazione, in modo da porre l’attenzione sia sul modo di erogare un servizio pubblico sia sull’avanzamento tecnologico legato al fattore della diversity delle persone che andranno ad utilizzarlo». «Nel mondo di Leonardo il cammino verso la sostenibilità è iniziato 13 anni fa. Il codice di Corporate Governance ha formalizzato ciò che era nato spontaneamente – ha spiegato Alessandra Genco, Chief Financial Officer, Leonardo – I KPI finanziari e sostenibilità oggi sono due modi di guardare alla crescita e alle opportunità di sviluppo dell’azienda. Seguendo il modello del World Economic Forum, teniamo in considerazione questi cinque capitali chiave: finanziario; umano; sociale; ambientale, fondamentale per tutte le aziende; produttivo/di supply chain. L’unico modo per immaginare un modello di business sostenibile è basato sulla sinergia di tutti questi capitali, che vanno considerati in modo olistico per produrre un risultato obiettivo». «Muoviamo lavori per circa 20 miliardi di euro e non possiamo più farlo senza considerare il carbon footprint – ha spiegato Alberto Milvio, Chief Financial Officer, Autostrade per l’Italia – Ci orienteremo verso scelte di finanza sostenibile. Abbiamo negoziato una linea di credito legata a parametri di sostenibilità,  presto usciremo con il nostro framework di finanza sostenibile e andremo su mercati legati a questi valori. Da queste scelte non si torna indietro». La validazione dei dati C’è chi, come Oracle, ha puntato sulla sostenibilità anche per attrarre talenti e supportare con le proprie tecnologie i clienti nei loro sforzi in questa direzione. C’è chi, come Leonardo, ha deciso di mettersi alla prova con la misurazione esterna sugli 11 Kpi legati ai criteri ESG, per essere certi di essere sulla strada giusta. C’è chi, come Autostrade per l’Italia, ha messo in campo sistemi di controllo interno del mercato finanziario. C’è chi, come Sogei, ha fatto del report integrato una consuetudine. «La sostenibilità ha un valore sistemico e le aziende devono muoversi in una partnership continua – ha spiegato Fioravanti – Si arriva a una integrazione quando la sostenibilità entra nel concetto di rischio: è questa la vera sfida». No planet B Il 94% degli intervistati per la survey Oracle No Planet B ritiene che gli umani abbiano fallito nella gestione del pianeta e il 61% che solo l’uso di strumenti di intelligenza artificiale possa rendere le attività umane più sostenibili. La ricerca ha coinvolto 11 mila persone distribuite in 15 Paesi – consumatori, dipendenti aziendali, business leader. «L’umanità sostenibile in azienda è alla base del nostro futuro – ha rimarcato Giovanni Nubile, Country Leader Applications, Digital Finance and Supply Chain, Oracle Italia – Ciò vale soprattutto per le aziende. Il 91% dei manager intervistati pensa che il problema sia la gestione della sostenibilità nei sistemi aziendali – ad esempio la difficoltà nel reperire i dati ESG e interpretarli, per prendere le giuste decisioni – fattore che spesso fa pendere l’ago della bilancia verso la sola profittabilità. Ma il 70% delle persone interpellate ha ammesso che preferirebbe non avere più a che fare con aziende non sostenibili.  Sostenibilità e redditività non sono più obiettivi in contrasto fra loro, e come Oracle siamo certi di poter aiutare le aziende a fare meglio». «Il futuro ci dice che non bastano più compliance e reporting – ha spiegato Edilio Rossi, Digital Finance & Supply Chain Sales Development Director, Oracle Italia, durante la presentazione della piattaforma Oracle Cloud EPM – Il mercato e gli investitori chiedono una visione che passi attraverso una lettura che non sia solo economica e finanziaria». L’evento ESG Reporting & Planning: misurare i dati di sostenibilità per governare il business si è tenuto il 18 maggio a Villa Blanc, Roma, sede Luiss Business School. Hanno partecipato: Raffaele Oriani, Associate Dean for Faculty, Luiss Business School; Cristiano Busco, Full Professor Accounting, Reporting & Sustainability, Luiss Business School; Lucia Fioravanti, Direttore Finanze e Affari Corporate, Sogei; Alessandra Genco, Chief Financial Officer, Leonardo; Alberto Milvio, Chief Financial Officer, Autostrade per l’Italia; Giovanni Nubile, Country Leader Applications, Digital Finance and Supply Chain, Oracle Italia; Edilio Rossi, Digital Finance & Supply Chain Sales Development Director, Oracle Italia. 31/05/2022

esg

31 Maggio 2022

Mario Mazzuoccolo: «Il Master in Luiss Business School, un'occasione unica di essere “visti”»

L’alumnus del Master International Management è oggi Account Director Enterprise per LinkedIn Marketing Solutions: un traguardo raggiunto grazie ad ambizione e network Una laurea in legge alla Federico II di Napoli e tanta voglia di fare business: comincia così il percorso che ha portato Mario Mazzuoccolo dai tomi di giurisprudenza ai banchi del master in International Management di Luiss Business School. In questa storia la parola chiave è proprio questa, “international”. Perché se c'è una cosa che è sempre stata chiara a Mario è che voleva lavorare all'estero. Per farlo, aveva bisogno di un boost: lo ha trovato tra le aule di Villa Blanc, a Roma Mario Mazzuoccolo, cosa ti ha spinto a scegliere il master in International Management di Luiss Business School? Dopo la laurea in legge, ho capito che l'ambito in cui avrei voluto lavorare non era il legal, bensì il business. Sono state proprio le risposte che ricevevo alle mie candidature per queste posizioni a farmi capire che avevo bisogno di investire nella mia formazione per fare quel salto. Quindi ho iniziato a fare delle ricerche e ho visto che il nome Luiss Business School tornava spesso. Avendo sempre avuto voglia di lavorare all'estero, ho scelto il master International Management, che era in linea con le mie ambizioni. I due Erasmus e le esperienze internazionali vissute durante gli anni di università a Napoli erano una naturale premessa alla scelta. Che ambiente hai trovato in Luiss Business School? Ambizioso. Tutti i miei compagni di corso hanno fatto strada. Ho trovato persone che come me volevano avere successo dal punto di vista professionale. Con alcuni di loro oggi siamo molto amici. Qual è il corso che ha avuto un maggiore impatto sulla tua carriera? Un progetto di mentorship con Elena Ghigo, all'epoca direttrice HR di Johnson & Johnson Italia, oggi libera professionista del coaching. C'è stato qualche relatore in particolare che ti ha colpito? Roberto Marinucci, manager di Procter & Gamble, incontrato durante il corso di International Business Development. La sua storia mi aveva impressionato, così come il suo approccio pratico alla materia, che andava a completare le mie basi solidissime, ma pur sempre teoriche. A distanza di tempo, lo chiamai anche per un consiglio e fu di grande aiuto. Soft skill: come avete lavorato su questo ambito durante il master? Ricordo un incontro con un manager della Fox. I suoi insegnamenti, proprio all'inizio del corso, ancora oggi mi guidano nel lavoro quotidiano. Il primo: «Voi non dovete creare problemi, dovete risolvere problemi», il secondo: «Imparate Excel». Sono sempre stato appassionato alle tecnologie, ma, da questo punto di vista, la mia formazione in legge non mi ha aiutato quanto il corso per imparare il programma di calcolo. In più, anche il corso di Public Speaking con Alberto Castelvecchi è stato fondamentale. Competitività: come avete allenato questa soft skill durante il percorso in Luiss Business School? La competitività era sempre presente, ma sottotraccia: eravamo diventati subito molto amici, ma tutti avevamo la stessa voglia di fare bene e – perché no? – anche attirare l'attenzione dei professori, tutti molto rilevanti. Lo stesso cambiare compagni di progetto ha costituito una spinta a dare continuamente il meglio. Molti alumni hanno sperimentato il valore del networking che si crea in Luiss Business School. Qual è stata la tua esperienza? È un elemento fondamentale e, lavorando in LinkedIn, posso testimoniarlo con convinzione. Conoscere qualcuno che ha fatto strada in determinate aziende facilita anche il mio lavoro, perché so che all'interno di un organigramma conosco qualcuno con cui stabilire un contatto immediato. Mario Vitale, Direttore Business Development alla Luiss Business School, fu molto energico nel puntualizzare la centralità di questo valore durante il master. Cioè? Ci disse che interagire con un docente o un ospite significava arricchirsi dal confronto diretto con gli stessi protagonisti delle carriere di successo. Ci invitò anche a coltivare i legami con i nostri colleghi, perché un domani sarebbero diventati futuri manager e leader, ognuno per l’altro fonte di crescita per le reciproche carriere. Oggi posso testimoniare in prima persona che la possibilità di confrontarsi con persone sulla tua stessa lunghezza d'onda è rara e preziosa. In Luiss Business School si lavora molto sulla leadership. Secondo te cosa ci vuole per essere veri leader contemporanei? Trasparenza, autostima, umiltà. Un leader deve essere in grado di attraversare una fase di difficoltà ed essere abbastanza umile per uscirne, crescendo: è una dote che, se non ce l'hai, va sviluppata. In Italia la concezione del lavorare duro è ancora più diffusa del lavorare in modo intelligente, ma la prima da sola non basta. Quali sono stati i momenti più significativi del percorso in Luiss Business School? Entrarci, prima di tutto. Iniziare a preparare la narrativa da portare ai colloqui di selezione è un primo banco di prova, che ti allena a creare lo storytelling che poi verrà usato dopo il master. Poi c'è stato il rapporto con il Career Service. Com'è andata? Ho trovato un supporto unico nell’individuare l’opportunità professionale più adatta alle esigenze di crescita dello studente. Dopo il master ho iniziato a lavorare in una startup all'estero: un ambiente stimolante, in cui avrei anche potuto fare carriera. Oggi sei Account Director Enterprise per LinkedIn Marketing Solutions: provenire da un percorso Luiss Business School ha fatto la differenza nel tuo ingresso in Linkedin? Se sì, come? Direi di sì, l'esperienza del master mi ha aiutato in molti momenti della mia carriera. Sai, in LinkedIn assumiamo persone con background diversi e non solo persone che vengono da università top, per favorire lo sviluppo di strategie innovative. Quindi direi che non è stato "il titolo" a fare la differenza ma le cose che ho imparato nel percorso: dai compagni, dai professori e, ovviamente, dallo studio individuale. Quali competenze sviluppate durante il master sono state più utili per muoverti con successo nel mondo delle aziende tech di Dublino? Sicuramente come approcciarsi a un caso studio ed elaborare presentazioni in velocità. Capacità di ascolto e rapidità sono state fondamentali. Anche solo l'esporsi ai casi di studio è funzionale: quando ti rivolgi a un direttore o ad un CEO, devi apportare valore in poco tempo ed avere un bagaglio di storie aziendali ti aiuta a contestualizzare subito il linguaggio e il modello di business per il tuo nuovo cliente. Quali sono i tuoi progetti per il futuro? Pensi che tornerai a formarti? Sicuramente tornerò a formarmi e LinkedIn è una di quelle società che investe per la formazione dei propri dipendenti. Voglio imparare un'altra lingua e prima o poi vorrei fare un MBA. Nel futuro prossimo vorrei avere un team tutto mio, preferibilmente qui in LinkedIn. Quali sono i tuoi suggerimenti per gli studenti futuri e in aula su come cogliere pienamente le opportunità del percorso in Luiss Business School? Consiglio di concentrarsi sulla costruzione del network con i compagni e con i professori: è un'occasione unica di essere “visti” da persone che hanno posizioni di rilievo e un bagaglio di esperienze incredibili. Tornando indietro, lo sfrutterei ancora di più. Poi, durante il percorso, si dovrebbe cercare di capire cosa ci appassiona veramente. Il mercato del lavoro adesso è candidate driven, quindi si ha la possibilità di dettare le proprie condizioni. Anche in Italia dobbiamo farlo, se vogliamo far crescere positivamente il mercato: quindi mai accontentarsi. 31/05/2022

19 Maggio 2022

Chi è e cosa fa il Sustainability Manager

Dalle skill necessarie alle sfide legate a rischi e business: Matteo Caroli, Associate Dean per l’Internazionalizzazione Luiss Business School, fa il punto su questa figura professionale e sulla sua evoluzione Trasformare un'azienda in una realtà sostenibile è uno dei punti di partenza da cui si stanno sviluppando nuove figure professionali. Tra queste spicca il Sustainability Manager. A lui è demandata una funzione preventiva e strategica in linea con le più recenti novità normative ambientali, energetiche e di sicurezza finalizzata alla promozione di investimenti, politiche e iniziative sostenibili. Di questo e delle sfide che questa figura professionale deve affrontare, si parla nello studio "L’evoluzione organizzativa della sostenibilità nelle aziende italiane". A presentarlo durante l'evento Road To ESG – Viaggio verso la Sostenibilità. Sustainability Manager, è stato Matteo Caroli, Associate Dean per l’Internazionalizzazione, Direttore BU Applied Research e Osservatori, Luiss Business School. Chi è Sustainability Manager Il Sustainability Manager ha come obiettivo il miglioramento di alcuni processi e comportamenti aziendali, da trasformare nell'ottica di una costante e crescente attenzione all'ambiente. Assume nomi diversi a seconda dei Paesi e delle aziende che incorporano questa figura nel proprio organico. Il 53% dei professionisti assunti in grandi e medie imprese per questo ruolo, rivestono ruoli dirigenziali e molti di essi sono donne. «Il Sustainability Manager è in una posizione analoga di chi elabora il piano strategico – spiega Caroli – C'è un grande stress sulla misurazione dell'impatto del suo operato. C'è una diretta correlazione tra il livello di maturità professionale e le intensità delle interazioni, soprattutto con l'area di comunicazione, con l'obiettivo di scongiurare l'effetto green washing. Inoltre, questa figura estende la sostenibilità anche alle politiche del personale». Le missioni del Sustainability Manager Secondo i risultati della ricerca, la missione del Sustainability Manager comprende tre grandi temi. Il primo parte dal comprendere l'evoluzione delle questioni ESG e il loro impatto sulle dinamiche dei mercati dove il sistema opera, oltre che sui rischi e sulle prospettive di redditività dei suoi business. In secondo luogo, deve guidare l'evoluzione del sistema aziendale verso la piena sostenibilità, cioè una gestione che crea in modo integrato ed equilibrato valore economico sociale e ambientale. Infine, deve far evolvere la cultura aziendale in modo che i principi della gestione sostenibile e dell'economia circolare siano diffusi e concretamente condivisi con tutta l'impresa. Le competenze del Sustainability Manager Il Sustainability Manager deve conoscere il business, il sistema di offerta, delle tecnologie, del mercato e dei processi produttivi in cui opera. Deve avere la capacità di dialogare con le altre funzioni, per avere contezza delle caratteristiche e dei temi cruciali del business. Deve conoscere le traiettorie ambientali e sociali rilevanti, e le loro implicazioni per il settore connesse al sistema dei rischi. Inoltre, deve avere sensibilità strategica, capacità di relazione e comunicazione, nonché capacità progettuale. Secondo lo studio, il 40% di queste figure sono maturate nell'ambito delle relazioni istituzionali. «Il Sustainability Manager deve anche avere due condizioni trasversali nel modo di essere e lavorare. Prima di tutto deve essere credibile, sia nell'organizzazione sia presso gli stakeholder. Inoltre, deve avere la capacità di mettere insieme una visione sistemica, che connetta ambiente, società econoscenze specialistiche. Deve essere in grado di integrare i valori e gli obiettivi ESG con le performance economiche». Cosa fa il Sustainability Manager In virtù di queste competenze e delle sfide ESG che la contemporaneità sottopone alle aziende, il Sustainability Manager è chiamato a svolgere quattro funzioni: generatore di conoscenze e consapevolezza, facilitatore, project manager, auditor. «Ma la funzione più importante è quella di challenger, un soggetto titolato a cambiare le carte in tavola, in maniera intelligente, usando il pensiero laterale e portando prospettive e punti di vista diversi. È chiamato a sfidare i comportamenti e le convinzioni consolidate, agendo da outsider». Secondo la ricerca Luiss Business School, tra i risultati più importanti riscontrati nelle 59 aziende del campione, l'81% dei Sustainability Manager ha prodotto un aumento della cultura interna sulla sostenibilità. Una delle sfide a cui i Sustainability Manager sono chiamati riguarda la valorizzazione dei risultati ottenuti rispetto a stakeholder e investitori. «Le aziende più avanti nel processo di trasformazione sostenibile hanno superato le criticità perché vedono la sostenibilità – e in questo il Sustainability Manager ha svolto una funzione importante – il modo attraverso cui raggiungere una nuova leadership, anch'essa sostenibile». Le sfide del Sustainability Manager Oggi c'è chi dice che, arrivati a questo punto, le funzioni di questi professionisti sono esaurite. Ma c'è anche ci decide di investire ancora in queste persone per essere pronti a risolvere problematiche future, sempre più complesse. «La nuova sfida è rendere la sostenibilità un approccio di massa, che possa tirarsi dietro tutto il sistema delle Pmi e delle persone. Il Sustainability Manager deve sviluppare iniziative e progetti all'interno della propria impresa, ma anche all'esterno, in modo da trasformare la nostra sensibilità in chiave ESG». La ricerca è stata presentata durante l’evento “Road to ESG. Viaggio verso la Sostenibilità” che si è tenuto il 17 maggio a Villa Blanc. Sono intervenuti: Josephine Romano, Partner, Deloitte Legal, Luca Dal Fabbro, Presidente, ESG Institute, Franco Amelio, Sustainability Leader, Deloitte, Stefania Bortolini, Segretario Generale, Sustainability Makers, Matteo Caroli, Associate Dean per l’Internazionalizzazione, Direttore BU Applied Research e Osservatori, Luiss Business School, Marisa Parmigiani, Presidente Sustainability Makers, Carmelo Reale, GC Sustainability Group, Banca Generali, Giovanna Rosato, Head of Compliance, Danone, Claudia Strasserra, CRO Sustainability Manager, Bureau Veritas, Luca Testoni, Direttore, Etica News. 18/05/2022

13 Maggio 2022

Pharma e sostenibilità, Caroli: «Le filiali dei grandi gruppi guideranno l'innovazione»

Presentata la ricerca “L'approccio alla sostenibilità nel Life science” condotta da Luiss Business School con il sostegno di UCB Pharma Oggi la sostenibilità interessa tutte le aree della nostra vita quotidiana e le attività economiche. Di conseguenza, si tratta di un obbiettivo da raggiungere per l’intera società. Ogni player deve concorrere alla creazione di valore sostenibile, arrivando a produrre il massimo impatto. Tra queste, già per mission aziendale, ci sono le aziende farmaceutiche, a cui è dedicata la ricerca "L'approccio alla sostenibilità nel Life science" condotta da Luiss Business School. Le conclusioni tratte dal professor Matteo Caroli, Associate Dean for Internationalization e Direttore BU Applied Research e Osservatori, Luiss Business School, sono state presentate durante l'evento promosso dall’Ambasciata del Regno del Belgio in Italia e sostenuto da UCB Pharma, azienda biofarmaceutica con Headquarter a Bruxelles e sede italiana a Milano. Il ruolo chiave nella creazione di valore sostenibile in futuro sarà delle filiali. I risultati della ricerca Lo svolgimento dell'Agenda 2030 è nelle priorità dell'Italia. Il lavoro per il conseguimento degli obiettivi sarà determinante anche per attirare capitali stranieri, ivi inclusi quelli del settore farmaceutico, generando ritorni non solo economici, ma anche di valore sostenibile. L'obiettivo della ricerca svolta da Luiss Business School e presentata dal professor Matteo Caroli, è quello di capire come si muovono le società controllate nei gruppi internazionali, in particolare nel settore farmaceutico, nel nostro Paese. Inoltre, aspetto non secondario, i dati hanno mirato a cogliere le strategie corporate e le azioni sui territori da parte delle filiali. Secondo le evidenze raccolte, Caroli ha sottolineato che «saranno le filiali delle multinazionali pharma a guidare e sviluppare best practice sostenibili prima sul territorio, ma utili soprattutto a livello mondiale per l'intero ecosistema della salute». Tra i 15 grandi gruppi internazionali farmaceutici più significativi c'è un orientamento generale sulla sostenibilità. I grandi temi su cui si muovono sono le questioni Esg, quindi legate alla sostenibilità ambientale, ma anche al benessere delle persone, direttamente proporzionale al primo elemento. In questo contesto, resta fortissima l’attenzione sul benessere delle persone, che operano all’interno dell’azienda. Il rischio di green washing va sempre tenuto in conto. Può essere evitato attraverso la trasformazione culturale nelle persone dell'azienda: a partire dai board, dal vertice gestionale, passando poi a tutto il sistema aziendale. Ciò è facile quando le operazioni si svolgono normalmente. La questione cruciale è quando ci sono criticità da affrontare. «Bisogna contemplare la possibilità di rinunciare ad opportunità di business per non violare principi etici e insostenibili». Il ruolo delle filiali nella creazione di valore sostenibile Il ruolo delle filiali sarà cruciale. Infatti, le società controllate hanno la possibilità di diventare leader su alcune tematiche come quelle Esg per le condizioni specifiche del contesto geografico in cui operano e per il rapporto con gli stakeholder. In un Paese in cui la collaborazione tra pubblico e privato nel settore salute funziona, l'innovazione di questo ecosistema rappresenta una sfida da cogliere. Le aziende non saranno produttori di pillole e sciroppi, ma forniranno servizi integrati con il sistema pubblico e tutti gli altri attori chiave chiamati a partecipare all'ecosistema. L'orientamento al dialogo delle subsidiary le porterà guidare e sviluppare best practice utili a livello mondiale. All’incontro, moderato da Federico Luperi, Direttore innovazione e nuovi media Adnkronos, hanno partecipato: Pierre-Emmanuel De Bauw, Ambasciatore del Belgio; Daniela Bernacchi, Segretario Generale e Direttore Esecutivo del Global Compact Network Italia (GCNI); Matteo Caroli, Luiss Business School; Federico Chinni, AD di UCB Pharma Italia; Veronique Toully, Global Head of Sustainability UCB, e Michele Pochettino, Business Development Manager, H. Essers. 13/05/2022

26 Aprile 2022

I trend del marketing nel Next Normal

Quali coordinate permetteranno di orientare le attività di marketing, in uno scenario in continua evoluzione? Osvaldo Adinolfi, Founder & CCO di TUS – The Unusual Suspects e membro associazione P&G Alumni, traccia una rotta di connessione tra online, offline e futuro. P&G Alumni è partner della Luiss Business School per Marketing Management – Major of the Executive Master in Marketing In un’epoca post pandemica ma ancora pervasa da un conflitto che ha stravolto la situazione politico-umanitaria diventa molto difficile formulare previsioni certe e inconfutabili. Anche il marketing deve affrontare la necessità di governare la crescente complessità di un contesto ormai in rapida e continua evoluzione. In questo nuovo scenario sempre più fluido la presenza e l’utilizzo del digitale passa dal “nice-to-have” al “must-have” e diventa dunque un’assoluta necessità foriera di “disruptiveness”. Coordinate, visione e formazione diventano quindi indispensabili per affrontare le incognite di questo momento storico. A tracciare la rotta è Osvaldo Adinolfi, Founder & CCO di TUS The Unusual Suspects, società di consulenza strategica e creativa in marketing e comunicazione, con grandi clienti quali Honda Moto e AG Hotels, oltre che membro dell’associazione P&G Alumni, partner dell’Executive Master in Marketing di Luiss Business School. Osvaldo Adinolfi, come evolverà il marketing nel Next Normal? In questo tempo, qualsiasi previsione di breve, medio e lungo termine va riguardata con nuovi paradigmi. Tre saranno i grandi fenomeni con i quali, dal 2022 in poi, il marketing dovrà confrontarsi inesorabilmente: sustainability, experience e digital. Avere la visione e le competenze per far coesistere queste tre dimensioni renderà l’azienda fortemente vincente. Come si innesterà la sostenibilità nel marketing? A caratterizzare il Next Normal sarà l’umanesimo del marketing. Le aziende non saranno più soggetti economici con una responsabilità sociale, ma soggetti sociali con una responsabilità economica. Il bisogno di soluzioni rispetto a temi sociali quali il riscaldamento globale, la proliferazione di rifiuti da imballaggi in plastica, la sicurezza sanitaria e la recente tragedia politico-umanitaria ha portato i consumatori a chiedere maggiori connessioni con i brand e i rispettivi valori, per mettere in atto una strategia sostenibile concreta. Nel marketing del Next Normal, le aziende saranno sempre più chiamate a prendere posizione – o, meglio, azione – su temi sociali, etici, ambientali e a spendersi attivamente per contribuire alla soluzione delle suddette questioni. L’impegno sostenibile di un brand è ormai un’aspettativa del consumatore che diventa prioritaria per il marketing del Next Normal, in cui i valori di un marchio vincente sul mercato moderno dovranno necessariamente coincidere e, talvolta, addirittura incarnare quelli della società civile in cui operano. Come cambierà l'experience nel marketing? Nel Next Normal il consumatore vorrà aggregarsi, riappropriarsi della libertà sociale di interagire e, soprattutto, vivere quelle esperienze reali di cui siamo stati privati per due anni. Il marketing sarà quindi chiamato a generare azioni, attività, progetti e campagne che possano dare vita a una memorable brand experience: al consumatore dovremo dare la possibilità di immergersi in un'esperienza multisensoriale e multidimensionale del brand. L'ultimo trend del marketing nel Next Normal è il digital. Negli ultimi due anni, complice la pandemia, abbiamo assistito a un’esplosione esponenziale nell’utilizzo del digitale, soprattutto in Paesi come l'Italia. Questo tempo pandemico ha avvicinato i non digital al digital e, grazie alla coesistenza di social media, blog, siti e piattaforme di e-commerce, il tempo trascorso on line è aumentato. Lungo questa scia anche i servizi digitali si sono diversificati, in virtù del numero crescente di consumatori che si è affacciato al digitale anche in ambiti precedentemente non del tutto esplorati, come meeting, delivery, brand digital store. Come possiamo declinare questi trend in formazione? Il primo passo sarà aprire maggiormente a una formazione esplicativa, pronta a coinvolgere attivamente, neiprocessi didattici, le aziende già impegnate a investire su sostenibilità, experience e digital: saranno i Success Model – uno schema di apprendimento sempre vincente – che permetteranno di imparare dai manager e imprenditori che hanno realizzato queste strategie prima e meglio. Bisognerà poi prendere coscienza della necessità di essere costantemente aggiornati. Vivendo in un’evoluzione continua, nulla può sedimentarsi per un periodo troppo lungo, in primis la formazione. Visto l'aumento del digitale e la sua costante evoluzione, che conseguenze si potranno avere in campo pubblicitario? L’impatto di questa esplosione digitale avrà riflessi sia quantitativi che qualitativi. Sul primo fronte, il marketing dovrà usufruire sicuramente di maggiori investimentiin comunicazione digitale che sfruttino una molteplicità di piattaformecome touch point (siti web, social, app, blog). Dal punto di vista qualitativo, la parola d'ordine non sarà più reach, ma engagement! L'investimento in comunicazione digitale -dunque- punterà principalmente a costruire un dialogo sempre più interattivocon tutto il potenziale pubblico dei brand. È importante però fare attenzione. Il marketing si rivolge sempre a un target, ovvero a persone che si interfacciano con una realtà che continua e continuerà ad essere sempre sia on line che off line. Da qui nasce un altro imperativo del Next Normal: il phygital, ossia la necessità di assicurare una naturale fluidità ed osmosi fra tutto quanto viene proposto in ambito digitale e le naturali conseguenze, ricadute e rimbalzi con la vita reale: una integrazione sinergica fra i due mondi -analogico e digitale- è del tutto indispensabile. Come costruire un percorso professionale per una carriera in ambito digital marketing? Un percorso professionale nel marketing è frutto di una formazione strutturata da conseguire, ad esempio, nell'ambito di un master: non ci si improvvisa digital manager ed essere un digital native non costituisce un’eccezione né un titolo preferenziale per diventarlo. Il marketing on line si basa su dinamiche, modelli e strutture diverse dall’uso che facciamo in privato dei social media. Per questo la formazione in marketing digitale è un must have. È necessario poi tener presente un principio che può sembrare paradossale ma è invece vero e concreto: “non esiste il marketing digitale, esiste il marketing in un'era digitale”. La formazione deve dunque essere completa e approfondita sugli elementi basilari del marketing integrato, operando una sinergia tra le strategie on line con quelle off line. Se l’approccio al digitale viene enfatizzato senza la giusta armonizzazione con le altre leve di marketing si corre il rischio di perdere lucidità nella strategia al fine d’inseguire e di assecondare tendenze del momento. Ecco, dunque, che un percorso professionale va iniziato, nutrito e sviluppato nelle giuste sedi formative. L’individuazione di obiettivi chiari e precisi, l’analisi del target nei suoi stili di vita e la coerenza di un posizionamento saranno sempre pilastri fondanti del marketing sia digitale che analogico, sia nel presente che nel Next Future. OSVALDO ADINOLFI, Co-Founder e CCO TUS - The Unusual Suspects Truly International, Proudly Italian, Unconventionally Connected. Questa è la filosofia che rappresenta l’essenza della sua personalità. Osvaldo Adinolfi inizia la sua avventura professionale in Procter & Gamble -1991-2001- dove occupa diverse posizioni professionali, sia in Europa che negli Stati Uniti, fino a divenire Responsabile Marketing Communication. Gestisce progetti strategico-creativi per i maggiori brand, tra cui Pringles, Pantene, Gillette. Dopo una profonda esperienza strutturata in azienda, nasce in lui la voglia di sperimentare il mondo flessibile dell’agenzia. Diventa Senior Vice President e Creative Director di Edelman -2002-2018- dove si occupa di sviluppare e realizzare campagne internazionali di marketing integrato per marchi quali Nutella, Virgin Active, MasterCard, Playstation, Air Bnb, Disney, Carlsberg. Nel 2019 decide di co-fondare TUS The Unusual Suspects, società di consulenza nel marketing strategico e creativo, dando il benvenuto al primo grande cliente: Honda Moto Europe. È considerato uno dei massimi esperti di Unconventional Marketing sviluppando una progettualità sperimentale e innovativa per i suoi clienti. Osvaldo Adinolfi opera anche nel campo della formazione universitaria e post-universitaria come docente e coordinatore scientifico per le maggiori realtà formative italiane. La Luiss Business School è una di queste.   26/04/2022

22 Aprile 2022

Data Girls, innovazione, inclusione e diversity per vincere le sfide del futuro

Dare nuove risposte a nuovi bisogni, coinvolgendo tutte le capacità di un gruppo: le finaliste del progetto Data Girls raccontano il percorso con il proprio team Le neuroscienze hanno riconosciuto nel cervello femminile alcuni processi logici, capaci di connettività multipla e multitasking, che potrebbero essere utili nell'analisi delle complessità contemporanee. La capacità di mettere insieme gli aspetti umani e quelli tecnici si rivelerà utile anche nella gestione di problemi come l'inclusione, le emissioni e le energie rinnovabili, la creazione di nuovi modelli di business e nuove modalità di lavoro. Le studentesse Luiss Business School si sono messe alla prova durante la sesta edizione di Data Girls del progetto GROW - Generating Real Opportunities for Women, per dare risposte innovative alle challenge proposte dai partner tecnici Generali, Italgas, Terna e WINDTRE. Tra le finaliste emerge una consapevolezza condivisa: per fare innovazione, favorendo nuove risposte a nuovi bisogni, ci vuole inclusione e il supporto di tutte le qualità di un gruppo di lavoro. La challenge Italgas secondo Silvia Botta Silvia Botta, 23 anni compiuti e Master in Marketing Management – major in Digital Marketing, ha partecipato con il suo gruppo, Gas Opened, alla challenge “WOW – Way Of Working”, con l’obiettivo di analizzare come la pandemia abbia modificato il modo di lavorare in Italgas. L’azienda è passata da un approccio lavorativo in full smart working (2020-2021) a un graduale rientro in ufficio (da settembre 2021). L'obiettivo è stato quello di studiare come siano cambiate le modalità di lavoro in azienda grazie ai nuovi strumenti di comunicazione e collaborazione, pianificazione delle attività giornaliere, nuove abitudini lavorative. La metodologia utilizzata ha previsto l’uso di Rapidminer per l’analisi dei dataset aziendali, il confronto con i dati ISTAT 2021 e i dati Google 2021 relativamente ai trend sullo smartworking in Italia, e un questionario somministrato ai dipendenti Italgas per sondare l’opinione interna all’azienda circa le nuove modalità di lavoro. «Nel nostro progetto ci siamo focalizzati in primis sui dati generali a livello Italia, esterni all’azienda, poi siamo andati a indagare più a fondo i programmi Microsoft maggiormente utilizzati dai dipendenti per il proprio lavoro quotidiano e abbiamo stimato il tempo trascorso e l’impiego di questi programmi in relazione al possibile impatto ambientale. Il gruppo ha cercato di integrarsi nonostante la distanza. Quello che proporremo è una buona prassi di come i dipendenti possono migliorare». La pandemia ha cambiato le modalità di lavoro e la challenge ha permesso al gruppo di Silvia di studiarne le varie evoluzioni. La challenge Generali secondo Erika Panella Erika Panella, 26 anni, studentessa del Master in Gestione delle Risorse Umane e Organizzazione, con il Gruppo 3 ha preso parte alla challenge “Our way to a diverse and sustainable ecosystem” di Generali. Gli obiettivi della sfida erano tre: l'identificazione dei profili professionali disponibili sul mercato italiano con un focus su donne in ruoli STEM, under 35 e persone laureate con disabilità; l'analisi dei dati, dei trend futuri globali, dei bisogni generazionali e delle prospettive delle minoranze; partendo dall’analisi dei dati, elaborare raccomandazioni su come Generali può attrarre e trattenere in azienda un pool di talenti più inclusivo. «Per molte aziende, diversity e inclusion non sono più solo una questione di reputazione, ma fattori che si riflettono sulla produttività stessa e sugli investimenti. Siamo partiti dalla ricerca dei dati e dalla loro successiva analisi, un approccio a cui non eravamo abituati. È stato un modo diverso di ragionare, facendo proposte basate su dati reali». Lavorare a questa challenge ha permesso al gruppo di Erika di offrire a Generali un punto di vista più consapevole su difficoltà e soluzioni da attuare per realizzare diversity e inclusion. «Abbiamo cercato di analizzare anche soluzioni praticate già da altre aziende. Questo approccio realistico e la conoscenza di più opportunità ci saranno molto utili quando entreremo nel mondo del lavoro».  La challenge Terna secondo Irene Ariante Irene Ariante, 25 anni, studentessa del Master in marketing management - major in corporate event: management, pr & communication , ha preso parte alla challenge lanciata da Terna con il gruppo “Terna al lotto”. La sfida – “Emissioni ed esternalità ambientali e sociali evitate da un impianto fotovoltaico integrato con un sistema di accumulo” – aveva l'obiettivo di valutare la rilevanza ambientale e sociale delle fonti rinnovabili, stimare le emissioni di CO2 e di altri gas climalternati, oltre a calcolare i benefici derivanti dallo storage. «Questo argomento molto attuale, legato all'obiettivo europeo della decarbonizzazione entro il 2050, che ci ha permesso di ampliare il nostro punto di vista sulla questione ambientale e dell'efficienza energetica. Abbiamo analizzato i dati, confrontandoli anche con altri dati esterni, seguendo un approccio qualitativo». Osservando il percorso compiuto, Irene osserva una maggiore consapevolezza circa l'ambiente e la necessità di salvaguardare il pianeta con l'utilizzo di fonti rinnovabili. La challenge WINDTRE secondo Ottavia Piro Ottavia Piro, 24 anni, studentessa del Master in Luxury Management, ha preso parte alla challenge WINDTRE con il suo Group 2. La sfida si è basata sull'analisi dati e sullo sviluppo di strategie (data analysis and strategies development) relative a un'espansione nel mercato di MaaS e Proximity Payment da parte di WINDTRE. «Il nostro progetto è stato incentrato sull'analisi del costo-opportunità di questa espansione e, oltre all'implementazione di un piano strategico per quanto riguarda i servizi core, sulla creazione di una strategia di business attrattiva verso attuali e potenziali clienti caratterizzata da un processo di branding. Nonostante le difficoltà operative, legate alla distanza di alcuni componenti del gruppo, ho avuto l'opportunità di essere team leader, sperimentando ciò che voglio fare nella vita. In più, nella nostra risposta alla sfida abbiamo messo un’idea dietro ai dati e sviluppato un prodotto vendibile». I vantaggi ereditati dal progetto GROW sono stati per lo più tecnici: «siamo riusciti a creare una strategia efficace, osservando come un'azienda potesse svilupparsi in altri settori partendo da asset esistenti». Fare innovazione secondo le Data Girls Secondo Erika, fare innovazione oggi significa essere in grado di costruire un mondo più vivibile per tutti, partendo dalle aziende. «Attraverso le scoperte tecnologiche si può essere più inclusivi. Siamo tutti portatori di diversità, dal genere all'orientamento sessuale, passando dal background culturale. Inoltre, un'altra parte fondamentale da considerare è la sostenibilità ambientale: non c'è inclusione senza l'abitabilità del pianeta». Secondo Irene, l'innovazione è «proporre nuovi modelli e nuovi strumenti che possano rispondere all'evoluzione di bisogni multisettoriali, da quello personale all'edilizia e trasporto. L'innovazione è nulla, se non ci sono bisogni che cambiano nel tempo». Secondo Ottavia, «l'innovazione è anticipare un bisogno. All'interno di un'azienda ognuno ha un ruolo e solo la valorizzazione di ognuno può portare a un'innovazione concreta. L'innovazione deve avere un supporto onnicomprensivo di tutte le qualità di un gruppo di lavoro, parte di un processo creativo». «Innovazione significa creatività, apertura mentale, un lasciarsi ispirare da ciò che non si conosce – aggiunge Silvia – Non si tratta solo di anticipare i bisogni, ma anche osservarli, cercando di adattarsi a un mondo in continuo cambiamento. La pandemia ce l'ha dimostrato. Se si parla di innovazione in un'azienda, deve esserci una struttura agile, capace di allineare i bisogni alla motivazione e alla personalità di ogni dipendente». Una marcia in più: il ruolo delle donne nel fare innovazione Fare innovazione e risolvere le complessità del nostro tempo sono imprese che hanno bisogno del lavoro di tutti. La valorizzazione delle discipline STEM legate al tema dell'inclusione è tra le priorità del governo e del Pnrr. Per questo, avere a disposizione capacità cognitive femminili sarà un modo per vincere insieme. «Come donne – spiega Erika – abbiamo un vissuto che è diverso. Molte di noi avendo, avuto esperienze lavorative o anche solo scolastiche e universitarie, si sono rese conto di pratiche di pregiudizio ed esclusione. C'era chi sosteneva che le donne vogliono essere coccolate in azienda. Un uomo dice questo perché ha introiettato alcuni pregiudizi difficili da sradicare. Il punto di vista femminile riesce a connettere dei dati che la maggior parte degli uomini non riesce a vedere». Come spiega Irene, «abbiamo messo in atto un critical thinking più elevato. Essere donne ci ha permesso di lavorare bene in gruppo, permettendo a tutte di far emergere conoscenze e competenze che fino a quel momento potevamo aver ignorato». «Nella vita reale ci sono uomini e donne, realtà che è stata replicata anche nel gruppo – spiega Ottavia – Persistono discriminazioni, ma premere sulle differenze a volte significa anche incentivarle». «Abbiamo cercato di fare in modo che l'essere donna fosse un punto di forza – racconta Silvia – Abbiamo cercato di mixarci su tutti i task anche sulla parte analitica, su cui ho lavorato molto. Ne ho guadagnato competenze di data analyst che pensavo lontane dalla mia formazione. Essere donna ha permesso una maggiore vicinanza fra i membri del gruppo: l'empatia e l'organizzazione ci ha permesso di non fermarsi al dato, ma di andare oltre, in una prospettiva più ampia e inclusiva».

20 Aprile 2022

Elis Ceo Meeting, Paolo Boccardelli: «Occorre investire per cambiare la formazione»

In apertura dell'evento tenutosi a Villa Blanc, il Direttore Luiss Business School ha delineato il nuovo approccio necessario alla creazione di competenze e all'apprendimento L'alleanza tra aziende, istituzioni e scuole è il punto di partenza per affrontare le sfide che il mondo e la società del prossimo futuro porranno. Per vincere, sarà necessario indirizzare le competenze e la formazione per pianificare e favorire l'orientamento delle vocazioni professionali delle nuove generazioni. Questi i temi al centro del Ceo Meeting, svoltosi il 14 aprile 2022, per dare il via al nuovo Semestre di Presidenza del Consorzio di aziende ELIS. Per l'Italia è stato nominato ufficialmente Roberto Tomasi, Amministratore Delegato di Autostrade per l'Italia. L’evento si è svolto nella sede di Luiss Business School, a Villa Blanc, a Roma. Un nuovo approccio alla formazione L'European Skill Index, redatto dal Cedefop nel 2020, vedeva l'Italia al 23esimo posto per la formazione delle competenze, mentre per la skill activaction (trasferimento di competenze dal mondo della formazione a quello del lavoro) era all'ultimo posto. In questa fase di grande complessità, le domande da porsi secondo Paolo Boccardelli, Direttore Luiss Business School, sono due: quali abilità sono necessarie e come vanno formate. «Abbiamo bisogno di passare da un approccio culturale a uno legato alla creazione di nuove competenze. Mixare le due prospettive in un problem based learning è la sfida del momento. Mettere al centro gli studenti significa mettere al centro l'apprendimento e non l'istruzione, spiegando i domini della complessità, ma anche il modo in cui i problemi vanno risolti». «L'Italia sta affrontando un momento molto difficile perché è un Paese che deve ritrovare sé stesso - ha dichiarato Patrizio Bianchi, Ministro dell'istruzione della Repubblica Italiana - Ognuno di noi deve ritrovare la propria missione, dagli insegnanti alle imprese. Bisogna recuperare la capacità di essere presenti nel nostro momento, per essere un punto di riferimento per i ragazzi. Il ruolo delle scuole e la presenza all'interno del territorio anche da parte delle imprese è sempre più fondamentale. Pensare una scuola in cui anche i muri, non solo le porte siano aperte, ripensando una presenza responsabile delle persone. Se dobbiamo fare futuro, dobbiamo fare istruzione». Gli obiettivi del nuovo Semestre Elis I prossimi sei mesi del Consorzio Elis vedranno al timone ecosostenibile Roberto Tomasi, Amministratore Delegato di Autostrade per l'Italia e nuovo Presidente del Consorzio Elis. «Bisogna fare scuola per costruire futuro», ha esordito il neo-eletto, passando ad articolare gli obiettivi del suo semestre. Tomasi ha messo in luce la necessità di connettere industria, capacità e competenze, necessari per poter rispondere a tutte le sfide della complessità contemporanea, da quella energetica a quella umana. I servizi implementati saranno sempre più digitali, attraverso lo sviluppo di dispositivi, multicanalità e infrastrutture di supporto. Le sfide da affrontare sono diverse. La prima: chiudere il gap di competenze di cui abbiamo bisogno oggi, creando un network con scuole e atenei per incontrare la domanda e l'offerta di lavoro, potenziando anche l'offerta formativa degli ITS. Nei prossimi 5-10 anni, bisognerà indirizzare il corpo docenti e i giovani verso le competenze prioritarie già da oggi e imprescindibili in futuro. Nel lungo periodo, sarà necessario innescare un nuovo meccanismo di pianificazione integrata, attraverso una cabina di regia stabile con presidio dei principali comparti industriali per favorire l'orientamento. «Le aziende devono fare uno sforzo per immaginare il futuro. Se non si fa questo sforzo, creiamo futuro non resiliente. Dobbiamo immaginare, disegnando con visioni strategiche. Il sapere è centrale in tutto questo». Liceo TRED, obbiettivo raggiunto Il Consorzio raccoglie intorno all'ente non profit ELIS oltre 100 aziende, di cui 30 quotate in borsa, in un rapporto stabile di collaborazione che si prefigge due obiettivi: realizzare percorsi efficaci di formazione e inserimento professionale per i giovani, e impegnarsi in progetti d'innovazione e sviluppo ad alto impatto sociale. Tra questi, i molti Progetti di Semestre sviluppati negli anni sotto la presidenza a turno delle aziende del Consorzio. Con il nuovo Semestre di Presidenza a guida Autostrade, l'impegno del Consorzio continua per favorire il dialogo tra imprese, scuole e istituzioni. L'ultimo obiettivo raggiunto, in ordine di tempo, è il Liceo TRED (Liceo quadriennale sulla Transizione Ecologica e Digitale), che a partire dal prossimo anno scolastico vedrà protagonisti 27 istituti scolastici e 23 aziende distribuite su tutto il territorio nazionale. Progetto promosso dal Presidente uscente, Marco Alverà, Amministratore Delegato di Snam, il nuovo liceo offrirà un percorso di formazione teso a integrare i programmi didattici del tradizionale liceo italiano con maggiore attenzione alle materie STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics). In questo liceo dell'innovazione e dell'inclusione, il 40% dei 500 iscritti al nuovo liceo sono ragazze. «Inclusione e innovazione sono da percepire in modo congiunto. Riprendendo le parole del Presidente Draghi, la sfida del tempo futuro va vinta tutti insieme o è già persa in partenza - ha sottolineato Elena Bonetti, Ministra per le pari opportunità e la famiglia - Oggi un percorso inclusivo non può che essere un percorso di contribuzione collettiva. Le disuguaglianze – territoriali, sociali, di genere – sono un ostacolo allo sviluppo di tutti. La sfida di questo liceo va in questa direzione: costruire un sistema Paese. Le donne hanno bisogno delle scienze, ma le nuove frontiere della scienza avranno bisogno dei processi logici che la neuroscienza ha riconosciuto nel cervello femminile: quella connettività multipla e multitasking, capaci di mettere insieme aspetti umani delle questioni. Le ragazze devono essere incluse da subito, costruendo una leadership femminile partendo dal liceo». 20/4/2022

15 Aprile 2022

Quando un compagno di viaggio diventa anche un elemento di sostenibilità della performance

Articolo di Paolo Palazzo e Anna Zanardi pubblicato su Harvard Business Review, Aprile 2022 Paolo Palazzo, Executive coach (PCC, ICF), Adjunct professor e coordinatore scientifico dell’Executive Programme Coaching, Luiss Business SchoolAnna Zanardi Cappon, Professor of practice in leadership and corporate values, Luiss Business School; International board and governance advisor Sono lontani i tempi in cui quando ti presentavi come “coach” ti chiedevano cosa fosse e cosa facessi nello specifico; oggi tutti sanno cosa sia un coach, che cosa faccia davvero resta per molti ancora lacunoso. O, diciamo, che si è cosi ampliata la gamma di profili, formazioni e obiettivi del coaching, che l’identità si è diluita in un mare di possibilità ben al di là dell’originaria funzione. Recuperiamone però almeno in parte i contorni originari e cerchiamo di capire come possa aiutare le persone all’interno delle organizzazioni in una fase di fine pandemia e post-pandemia. Fase  che davvero ci riserva incognite e difficoltà da superare mai conosciute prima. I nuovi bisogni delle persone in questa fase storica Nelle organizzazioni si sono manifestati bisogni nuovi; quelli che attengono alle persone e alla struttura organizzativa sono strettamente connessi e si possono riassumere  come segue: 1 - La leadership prende un orientamento più focalizzato su piccoli team, anziché sui team allargati che erano diventati più frequenti nella prassi anche apicali. Il Ceo o il capo del team si concentra nella relazione bidimensionale ed ibrida su cerchi più stretti, catene di comando più corte e riunioni di problem-solving. La dimensione relazionale-empatica non ha ancora trovato un suo spazio bidimensionale soddisfacente o sostitutivo di quello tridimensionale (presenziale). Approcci come quello dell’Unbossing o dell’adattabilità come nuova forma di intelligenza riscoprono vecchie prassi di autorganizzazione che Maturana e Valera o Henry Laborit ben avevano già descritto nelle loro opere sull’autopoiesi o sulla biologia comportamentale negli anni ’70 e ’80. Quindi ad oggi, niente di nuovo sotto il sole se non, ottimisticamente ci auguriamo una crescente consapevolezza davanti all’aumento delle patologie mentali dei lavoratori, alla moltiplicazione di uso di psicofarmaci delle persone che non si  ritrovano con la propria identità professionale attuale, all’onda di dimissioni fiume e alla insormontabile difficoltà ad attrarre nuove leve dentro ai percorsi di reclutamento di molte aziende, soprattutto nella fascia dei millenials. 2 - Necessita un approccio scientificamente validato per combinare talenti nei giusti team e uscire dalla annosa modalità biased dei colloqui senza fine e degli assessment spannometrici che oltre a costare molto ed a fornire dubbi risultati, sono anche pazzescamente onerosi per la durata del loro processo. Un candidato che ancora si infila in un percorso non  digitalizzato (almeno nelle fasi di screening e  di inizio del funnel di selezione) costa intorno ai 5000 euro in termini di tempo dedicatogli e di spese accessorie (p.es. spostamento dei selezionatori e/o del candidato) e in termini di ore lavorative siamo da inizio e fine processo intorno alle 10 giornate di tutte le persone coinvolte. Se poi non è idoneo o rifiuta, si riparte. Algoritmi e intelligenza artificiale possono esaurire quella parte bassa di lavoro iniziale e nobilitare la centralità strategica dei reclutatori e dell’HR come funzione essenziale per la giusta scelta del giusto candidato, internalizzando anche una competenza cruciale per l’azienda che troppo spesso è delegata all’esterno. 3 - Attenzione alle nuove necessità di benessere e salute, stress occupazionale incluso, che attanagliano le persone dentro a un frullatore di competenze nuove, scenari ipercomplessi, ibridi e accalcati di riunioni continue, senza tempo né pianificazione, che raramente danno la percezione di impattare concretamente sul valore delle performance. In questo ritmo sconosciuto e nell’ibridazione di modalità uomo-macchina non scontate, la solitudine sociale e manageriale, la disconnessione relazionale e la fatica di adattamento a piattaforme che piallano la prospettiva intrapersonale, fanno nascere un bisogno di intimità, empatia e socialità a cui nessuna delle imprese oggi è riuscita a dare una risposta efficace. Le persone si dimettono e la risposta non può essere aumentare gli stipendi. Questa ottica semplicistica e materialistica ricalca la nostra inadeguatezza a capire cosa davvero non sta più funzionando nel modello socio-organizzativo attuale. Ci sono sicuramente altri punti che si potrebbero elencare, ma questi tre possono, se presi in carico da un buon accompagnamento individuale o di team, creare uno spazio maggiormente sano e  sostenibile nell’immediato e dare sollievo e lucidità a quelle popolazioni che dovranno incaricarsi di una costruzione diversa del mondo aziendale. Il Coaching come strumento di sviluppo e il profilo di competenze aggiuntive del Coach Per essere efficaci su queste tre dimensioni sono certamente importanti le tradizionali competenze del coach contenute nei numerosi modelli che negli anni sono stati generati e sperimentati secondo i diversi approcci di coaching. Competenze sostanzialmente convergenti verso doti di empatia, ascolto, trasformazione cognitiva e comportamentale della visione e dell’impatto del coachee. La notevole diffusione della pratica del Coaching nelle organizzazioni non si può ascrivere (solo) a ragioni di novità o di moda. In numero sempre crescente, organizzazioni profit e non profit e istituzioni pubbliche  nazionali e internazionali hanno potuto sperimentare l’efficacia di questo strumento in innumerevoli casi.  Anche se la legislazione di riferimento nel nostro Paese  (l. 4/2013) si basa sull’autoregolamentazione volontaria  della professione, si richiedono sempre più spesso coach qualificati da percorsi di formazione e da solida pratica; non è un caso che ICF (International Coaching Federation), la più grande associazione di coach che conta più di 60 chapter in tutti i continenti, in meno di 10 anni è passata da meno di 10.000 soci con credenziale agli oltre 30.000  attuali. Il coaching consente di dare la massima attenzione al fattore umano, alle caratteristiche proprie di ogni persona nel modo di apprendere, crescere, decidere. Le organizzazioni dove il coaching diventa cultura vedono, oltre allo sviluppo di individui e team, un sensibile miglioramento in termini di produttività, engagement delle persone, riduzione di turnover e efficacia delle figure manageriali (Zenger Folkman, 2019). La nostra esperienza ci mostra come siano in grande misura coachee appartenenti alla Generazione Zeta e i Millenniels a trarre un grande valore dal coaching. Resta centrale la capacità del coach di supportare il coachee nella comprensione della sua posizione nel contesto organizzativo e sistemico nel quale opera, nel creare spazi di libertà e creatività generando diverse opzioni, nel valorizzare l’assunzione di responsabilità verso la realtà che lo interroga (è quantomai attuale l’insegnamento di Viktor Frankl su quest’ultimo aspetto). Tutto ciò necessita  tuttavia qualche aggiunta specifica, non banale e non scontata, che deve integrare esperienza, formazione e attitudine creativa di ogni coach che voglia essere pronto alla fase post- pandemica caratterizzata dall’ibridazione di modalità d’interazione in azienda. Poco conta che come coach noi si sia già avezzi da anni a fare sessioni online, la sfida ora è trasformare i nostri coachee multiviaggianti e abituati a spazi fisici di esercizio del potere e della decisione, a farlo in remoto o in maniera appunto ibrida. Necessita allora spiegare bene e far sperimentare alcuni approcci come per esempio: 1 - La comprensione neurofisiologica e di trasformazione percettiva di cui c’è bisogno per usare bene lo strumento digitale nella conduzione dei team, delle riunioni, delle relazioni a distanza; in breve: nel funzionamento della macchina operativa. Il cervello dentro alla dimensione piatta dello schermo perde prospettiva e crea nuovi patterns di presa delle decisione, focalizza le informazioni in maniera diversa, necessita tempi di riflessione e azione più brevi, abbisogna di un linguaggio sintetico e straight to the point. Chi non riesce a fare un salto viene ammutolito dall’etere e non partecipa più significativamente alla scena aziendale. Come prevenire dunque la perdita di risorse importanti per l’impresa? Come aiutare chi necessita di sviluppare un’ empatia digitale e salvare il proprio posizionamento interno al team? Come usare i propri sensi ed il proprio cuore per connetterci con l’altro nell’era algoritmica e digitale? 2 - Il senso di relazioni significative e di una socialità più piena, anche se a distanza, è l’altro aspetto centrale nella costruzione di una sana frequentazione professionale, dove l’identità del lavoratore cambia totalmente a causa di ritmi e strumenti di lavoro diversi. Che la creazione e il consolidamento di buone relazioni all’interno delle organizzazioni è sempre più decisivo per ottenere i risultati sperati è ormai ben noto ai manager più illuminati, che non si affidano solo a tecniche comunicative o incentivi estrinseci. Ma ciò non basta.  Come aiutare a creare un senso ed una identità nuova non solo di tipo individuale, ma anche collettivo e come portare le ormai stantie chiacchiere su mission, vision, purpose, values ad un livello pragmatico e ficcante per chi dentro all’organizzazione deve viverci. Per chi i valori e i comportamenti li deve allineare al fine di ridurre il rischio operativo dei team e supportare la sostenibilità della performance cosi da non far esplodere dinamiche inficianti la performance di business e la qualità decisionale. Il rischio di dinamiche disfunzionali, all’interno dei team è infatti notevolmente aumentato, a causa del contesto post-pandemico che abbiamo descritto più sopra, i cui effetti potenzialmente negativi sono stati ampiamente documentati da studi recenti (cfr. A. Zanardi, Mental Health And Healthy Companies, Forbes, ottobre 2021). 3 - Il contagio da altre discipline, non solo neuroscientifiche, mediche, matematiche e ingegneristiche  ma anche la botanica, la fisica,  la biologia, la teologia forniscono lenti di interpretazione di possibili nuove forme di aggregazione e costruzione di esperienze culturali innovative che attraggono sul posto di lavoro e servizi e apprendimenti che da soli davanti al pc non si possono effettuare. E dunque la scelta di tornare al presenziale diventa una crescita e realizzazione del  proprio potenziale a cui non si può rinunciare per tornare a sentirsi vivi e capaci di contribuzione di valore al collettivo. Molte sono le riflessioni che stiamo facendo fra colleghi e fra ricercatori, alcune di queste convergono nella nostra scuola dove il confronto è acceso. Invitiamo tutti a parteciparvi, a portare le loro esperienze e a co-costruire con noi, non sappiamo se un mondo migliore, ma sicuramente una prassi di coaching più inclusiva, innovativa e sfidante di quanto siamo riusciti a fare con i nostri contributi individuali in tempi passati. E che, forse tutto sommato fortunatamente, non torneranno più. Anna Zanardi Cappon e Paolo Palazzo sono referenti scientifici dell’Executive Programme in Coaching della Luiss Business School. Il programma è in partenza il 13 maggio, scopri di più. Scarica la brochure 15/4/2022

08 Aprile 2022

Leader 4 Talent, Niccolò Ubertalli: «Uscite da un modello, diventate un modello»

Lavorare con persone eccellenti, trovare il proprio spike, seguire l'istinto: ecco i principali consigli che l'Head of Italy di UniCredit ha lanciato agli studenti Luiss Business School nel suo intervento a Villa Blanc, guidato dal professor Raffaele Oriani «Iniziate la vostra carriera imparando da leader eccellenti, trovate la vostra strada senza paura di uscire dagli standard, diventate voi stessi un modello». In un intervento energico rivolto agli studenti, Niccolò Ubertalli ha disegnato una rotta di navigazione per i futuri professionisti che vogliono essere vincenti nella vita e nella carriera. L'intervento dell'Head of Italy di UniCredit si è tenuto a Villa Blanc nell’ambito del nuovo incontro della serie Leader 4 Talent della Luiss Business School, guidato da Raffaele Oriani, Associate Dean for Faculty. Leader, talento e fame: la road map di carriera secondo Ubertalli Dopo un breve excursus sul personale percorso di vita e carriera, Ubertalli ha concentrato il proprio messaggio sui consigli agli studenti. Oltre a sottolineare l’importanza di concludere velocemente gli studi e di non fermarsi davanti a nulla pur di compierli, l'Head of Italy di UniCredit si è focalizzato sui leader. «All'inizio della vostra carriera lavorate con persone eccellenti: vi cambierà. Siate umili, guardateli, ma non scimmiottateli. Siate voi stessi. Siate geniali e cercate il vostro spike, una cosa unica in cui poter essere eccellenti». Seguire un modello? No, piuttosto diventarlo. «Se entrate in un modello, sarete bravi, ma forse infelici perché non avrete seguito la vostra strada. Dovete provare, fallire e sbagliare, seguendo anche il vostro istinto». Bisogna fare attenzione al network, importantissimo da giovani: «Riceverete tantissime porte in faccia, non scoraggiatevi, riprovate e chiedete il numero di telefono a tutti i CEO che incontrerete». Infine, dedicando un pensiero al mindsetcon cui ci si deve approcciare al lavoro, Ubertalli sottolinea: «Essere vincenti è uno stato della mente: significa avere la consapevolezza che sono le nostre scelte a determinare il nostro futuro». Ubertalli ha dedicato qualche consiglio alle studentesse. «Non fatevi mettere i piedi in testa, pretendete, ma ricordate che tutto è in equilibrio e tutto ha delle conseguenze. Trovate un partner che vi segua e vi supporti nelle vostre scelte di carriera». Per tutti, ciò che conta davvero è la fame. «Quello che si apprende è utile, ma bisogna saperlo usare. Ci vuole fame, e queste cose arrivano quando si è trovata la propria strada». Il futuro del settore bancario Parlando del futuro del settore bancario, Ubertalli ha sottolineato che la digitalizzazione sarà un nuovo paradigma al servizio del return of investment. «Le banche vanno valutate attraverso l'etica dei suoi manager. Abbiamo un ruolo sociale fondamentale: assumiamo persone e rendiamo possibili i sogni di tanti, dai privati alle grandi aziende, passando per quelle medio piccole, eccellenza tutta italiana. A loro consiglio di abbandonare la gelosia per il proprio business e proiettarsi nella dimensione del “go big”». Sempre rivolgendosi agli studenti, Ubertalli ha aggiunto: «se avete una bella idea, portatela avanti. Le banche servono anche a questo». Circa il Pnrr, Ubertalli lo ha definito una opportunità unica. «Se riusciremo a diventare numeri uno in energia rinnovabile, fibra ottica, scuola e sanità, sfruttando i 230 miliardi del Piano, il futuro sarà migliore per tutti». Chi è Niccolò Ubertalli. Niccolò Ubertalli ha iniziato la sua carriera in Teksid Aluminium Foundry in 1997 come ingegnere di processo. Nel 2000, si è trasferito a Milano e ha lavorato presso McKinsey come senior associate fino al 2002. Ha lavorato presso UniCredit Clarima tra il 2002 e il 2004, come direttore nell'area commerciale. Tra il 2004-2006, Niccolò è stato First Vice President presso MBNA (USA e Regno Unito). Nel 2006 si è trasferito in Bulgaria per lanciare UniCredit Consumer Financing con il ruolo di Presidente e Direttore Esecutivo. Nel 2009 è tornato in Italia e ha continuato la sua carriera come Chief of Staff del Group CEO, poi come Head of Group Consumer Finance tra 2011-2012. Trasferito in Romania nel 2012, ha assunto la posizione di Deputy CEO presso UniCredit Tiriac Bank. Tra il 2015 e il 2019 ha continuato la sua carriera in Yapi Kredi come direttore esecutivo e Deputy CEO. Nel 2019 è stato nominato co-CEO Commercial Banking, CEE. È membro del Group Executive Committee di UniCredit. A Maggio 2021 è stato nominato Head of Italy. Cos'è Leader for Talent - #L4T. Si tratta di un ciclo di incontri con leader, top manager ed esponenti del mondo aziendale. Il format prevede circa 20 minuti di Speech dell’ospite e successivamente una sessione di Q&A. Questi interventi e testimonianze sono fortemente orientati all’operatività e alla gestione pratica delle dinamiche aziendali. L4T è stato pensato per favorire l’incontro con i leader delle principali organizzazioni, offrendo ai nostri studenti l’esperienza di un confronto e un dibattito in grado di arricchirli dal punto di vista professionale e delle soft skill. 8/4/2022

01 Aprile 2022

Win-With-U ed EpilepsyPOWER: la ricerca Luiss Business School per l’inclusione

In occasione della Giornata Mondiale della Consapevolezza dell'Autismo (WAAD, World Autism Awareness Day) del 2 aprile, la Luiss Business School è fiera di gestire, in qualità di soggetto ideatore e coordinatore, due ambiziosi progetti finanziati dalla Commissione Europea e finalizzati all’inclusione lavorativa e alla sensibilizzazione di imprenditori e manager sul tema Win-With-U - Workplace Inclusion and employmeNt opportunities for youth WITH aUtism (durata: 36 mesi - EU ID: 2020-1-IT02-KA204-079826). Progetto di ricerca e formazione finalizzato all’inclusione lavorativa di giovani con autismo e lavoratori, coordinato dalla Luiss Business School e a cui prendono parte l’Unità di Neurologia dell’Università Campus Bio-Medico di Roma, Autism Europe (Belgio), European Center for Quality Ltd (Bulgaria) e Specialisterne Foundation (Danimarca). Un consorzio di partner composto da soggetti specializzati sia nell’ambito del management delle imprese, quanto nel settore dei disturbi dello spettro autistico e delle correlate politiche per il miglioramento dell’inclusione lavorativa. Sono tre le fasi del progetto chesi sta svolgendo. La prima si è svolta nel fare il punto sullo stato dell’arte dei sistemi di inclusione nei diversi Paesi europei, nonché in un’analisi delle specifiche caratteristiche di apprendimento e dei bisogni, tramite una survey svolta in 5 nazioni; tali attività con l’obiettivo di progettare e costruire una innovativa piattaforma collaborativa (seconda fase) per l’accesso al materiale formativo, alle linee guida prodotte e al materiale di supporto, da parte dei partner e di tutti gli stakeholders di progetto. La terza e ultima fase del progetto riguarderà i due percorsi di apprendimento individuale: un percorso volto a formare i lavoratori con autismo, affinché possano migliorare le competenze necessarie per la propria posizione occupazionale; l’altro percorso per formare gli imprenditori al fine di comprendere le potenzialità dei lavoratori con autismo e rendere il luogo di lavoro un ambiente accogliente e confortevole. EpilepsyPOWER - Epilepsy People inclusion Overcoming Workplaces European maRginalization (durata: 36 mesi - EU ID:2021-1-IT02-KA220-ADU-000028349). Progetto di ricerca e formazione rivolto a formare il personale delle Università sul tema, al fine di orientare la formazione universitaria e post-laurea e inoltre di migliorare le opportunità di inclusione nel mercato del lavoro di persone (PwE) affette da uno dei più diffusi disturbi neurologici come l’epilessia, considerando che una persona autistica su tre è un soggetto epilettico. Questo nuovo progetto, coordinato dalla Luiss Business School, coinvolge come partner ben tre Università (l’Unità di Neurologia dell’Università Campus Bio-Medico di Roma e il Dipartimento di Management dell’Università di Grenoble (Francia), unitamente alla Camera di Commercio e dell’Industria di Vratsa (Bulgaria), ad un’organizzazione in ambito VET emcra GmbH (Germania) e alla fondazione Epilepsy Alliance Europe (Irlanda). Tra gli obiettivi: migliorare i curricula di apprendimento e i servizi formativi delle Università, promuoverne la consapevolezza nelle organizzazioni pubbliche e private, favorire ambienti di lavoro consapevoli e sicuri, migliorare il supporto all’occupazione e le prassi lavorative attraverso approcci di gestione delle risorse umane positivi. “Alle Università – spiega il Prof. Nunzio Casalino, coordinatore scientifico di entrambi i progetti – spetta il compito preliminare di formare i partner sugli aspetti manageriali e clinici della patologia in modo che possano essi stessi formare a loro volta le imprese e le realtà pubbliche in Europa, su come integrare e supportare queste persone all’interno degli ambienti universitari e lavorativi. A compimento delle attività di ricerca congiunte già in corso, sarà fondamentale procedere alla condivisione delle conoscenze e alla creazione di iniziative specifiche di apprendimento attraverso lezioni, tutorial, eventi orientati allo studio di best practice, lavori di gruppo interattivi, interviste con esperti, oltre a pubblicazioni sia di carattere divulgativo che scientifico. Fondamentali diventano infine lo stimolo e la promozione di una più attenta etica aziendale per una reale inclusione che favorisca un cambiamento innovativo e radicale della cultura organizzativa”. Per concludere, la Luiss Business School, grazie alle attività di ricerca svolte nell’ambito dell’Area Applied Research e Osservatori diretta dal Prof. Matteo Caroli, sta ricoprendo un ruolo sempre più importante nella creazione di conoscenza sul tema, studiando, identificando e mettendo a disposizione metodologie volte a migliorare concretamente l’inclusione lavorativa sia di studenti in procinto di trovare un lavoro che di lavoratori. La sfida è quella di sviluppare la capacità delle imprese e delle pubbliche amministrazioni europee di inserire e gestire correttamente sul posto di lavoro queste persone e, allo stesso tempo, favorire iniziative di Corporate Social Responsibility facilitando la collocabilità lavorativa, la creazione di percorsi di autonomia personale e, in generale, l’inclusione e la responsabilità sociale di impresa. 01/04/2022

26 Marzo 2022

Open Innovation, competenze trasversali per fronteggiare le nuove sfide

Allargare a tutto l’ecosistema dell’innovazione, ripensare il rapporto Corporate- startup, gestire al meglio la proprietà intellettuale: per rispondere alle spinte innovative c'è bisogno di competenze trasversali e formazione qualificata Open Innovation non è più un'espressione che si limita a definire proficue contaminazioni tra grandi aziende e startup. Il contesto si è ampliato, diventando più complesso e sfidante. Tra i temi su cui le capacità dei professionisti devono mettersi alla prova c'è la proprietà intellettuale, che non arriva più solo dalle aziende innovative, ma fluisce anche in direzione inversa. La risposta a queste sfide resta la formazione, qualificata e trasversale come quella pensata per l'Executive Master in Open Innovation & Intellectual Property targato Luiss Business School e realizzato in collaborazione con l’Università degli Studi di Torino – tramite la SAA School of Management. Il percorso è pensato per rispondere alla crescente domanda da parte dei soggetti che operano nel mondo dell’Open Innovation e della gestione della tutela della proprietà intellettuale. Maria Isabella Leone, Direttrice dell’Executive Master Open Innovation and Intellectual Property, spiega come i professionisti devono attrezzarsi per fronteggiare le nuove sfide dell'Open Innovation. La complessità del Next Normal ha reso evidente la necessità per le grandi multinazionali di assomigliare sempre più alle startup, elaborando sistemi di Open Innovation. Quali sono i rischi e quali le opportunità di questa tendenza? Il tema dell'Open Innovation è entrato oggigiorno non solo nello storytelling aziendale, ma anche nei board. È una conversazione sempre più frequente anche tra C-level, alla luce della sua rilevanza strategica, e richiede sempre di più il commitment del Ceo (“No Ceo,no Party”, risuona nelle conversazioni aziendali) Uno dei modi più tradizionali di ragionare sulla gestione dell'Open Innovation è stato l'approccio delle imprese all'ecosistema delle startup. Più lean, più sperimentazione, cicli più veloci di innovazione. Ma oggi lo scenario è diventato più ricco e complesso e la discussione si è allargata includendo partner di vario tipo. Cosa è cambiato in particolare? Il dibattito al momento più rilevante in Italia e in Europa, dove le imprese sono per lo più piccole e medie, è su come l'Open Innovation possa entrare a far parte del loro modello di innovazione. Ad esempio, si parla sempre di più di Open Innovation di filiera, dove sono coinvolte non solo grandi imprese, ma anche aziende di minori dimensioni. Tutte devono iniziare a collaborare, sostenendo limiti e sfide importanti, dall’allineamento dei tempi, alle modalità di collaborazione, al linguaggio e alla cultura dell'apertura. Da una parte, si evidenziano le opportunità connesse all’adozione di una prospettiva più sistemica che consistono principalmente nella contaminazione del contesto ambientale con altre prospettive, alimentando la diversità, la creatività e l’innovazione. Dall'altra, si discute su come far sì che l’Open Innovation sia realmente implementata dalle imprese, superandone i connessi ostacoli che si fronteggiano quando idee esterne arrivano in azienda o quando asset interni vengono condivisi all’esterno. Si parla sempre di nuove idee che dall'esterno arrivano all'interno di un'azienda. Le imprese arriveranno a portare fuori il proprio patrimonio aziendale? Sì. L’Open Innovation non è solo flussi di conoscenza e innovazione in entrata ma anche in uscita. Nello specifico, attraverso differenti strumenti – come licenze, pledge o molto altro – le aziende possono rendere utilizzabili a terzi le loro idee/innovazioni non utilizzate e potenzialmente trarne valore. Questa modalità risulta essere nella pratica più difficile da implementare in quanto le organizzazioni, nonché gli individui, sono spesso restii a “condividere i crown jewels”, i gioielli della corona. È un aspetto dell’OI che spesso viene poco approfondito ma che può costituire una grande occasione per le imprese. Quali sono le sfide per la diffusione più estesa di questo paradigma? L’Open Innovation può generare enormi benefici per le organizzazioni adottanti ma è evidente che porti con sé anche delle sfide da non sottovalutare. Per semplificare, possiamo dire che le sfide connesse a questo paradigma possono essere categorizzate in tre macro-aree di riferimento. La prima è legata all'attivazione di un ecosistema fatto di diversi attori, con motivazioni e background diversi. Il dialogo non si limita più a startup e corporate, ma a grandi, piccole e medie imprese, startup, centri di ricerca, università, no profit, clienti, fornitori e addirittura competitors: tutti depositari di conoscenze, linguaggi e prospettive diverse. La seconda sfida riguarda la cultura: non basta essere aperti verso l'esterno, ma bisogna esserlo anche all'interno, essere pronti ad accogliere il cambiamento e mettersi in discussione, superando le diverse sindormi aziendali connesse all’ OI. Infine, c'è il tema cruciale della gestione della proprietà intellettuale. L'Open Innovation ha reso più acute le sfide dell'appropriabilità delle innovazioni e le organizzazioni devono utilizzare nuovi strumenti di gestione proattiva della PI per poter implementare efficacemente il paradigma. In che modo? Quando ci si apre a tanti soggetti, il tema della gestione della proprietà intellettuale diventa centrale. Avendo investito in innovazione, l'azienda guarda ai rendimenti, nel momento in cui la mette sul mercato. Quando la collaborazione è aperta, si apre la sfida alla gestione della tensione tra l'apertura, ormai necessaria, e la protezione. In questo scenario, quali sono le leve formative da tenere presenti quando si sceglie di operare nell'ottica di Open Innovation? È necessario ambire a padroneggiare una prospettiva a 360 gradi. Una conoscenza iperspecializzata non è più sufficiente. Il professionista di Open Innovation deve confrontarsi con soggetti differenti appartenenti a mondi diversi.  Deve confrontarsi con l'ufficio legale, la crowd o la folla da cui l’organizzazione può raccogliere idee, i fornitori e così via. Bisogna avere la capacità e gli strumenti per gestire questo dialogo a più voci attraverso competenze trasversali. Open Innovation e diversity: quanto la connessione di questi due elementi è un valore aggiunto per fare la differenza? La diversità un fattore chiave per far crescere la cultura innovativa delle imprese. In questo caso, il tema della diversity entra in campo guardando soprattutto all’eterogeneità di competenze trasversali multidisciplinari che permettano di costruire un dialogo proficuo interno e con i partner esterni. Allo stesso tempo l’empatia e l'empowerment abilitano una maggiore rappresentanza dei singoli attori coinvolti, funzionale a un dialogo interdisciplinare. La collaborazione tra startup e grandi aziende sta portando già i suoi frutti. Quali sono le prospettive future? Questa prima area di sviluppo dell'Open Innovation è stata resa possibile dai capitali delle grandi imprese, che hanno potuto attrarre le startup, sempre affamate di fondi per sviluppare le proprie idee. Negli ultimi 5-6 anni queste iniziative sono aumentate insieme al numero di corporate collaborative. La sfida sarà rendere questo processo sistematico, creando prodotti scalabili o evitando che le startup vengano cannibalizzate affinché diventino fornitori a tutti gli effetti. Creare valore per entrambe le parti è la vera sfida. SCOPRI IL MASTER 26/03/2022

06 Maggio 2020

Quale finanza senza etica? Il caso Diavoli

Con Guido Maria Brera, autore del best seller da cui è tratta la serie, Alessandro Borghi, protagonista, Luca Bernabei, amministratore delegato di Lux Vide, e Maximo Ibarra, CEO di Sky Italia, un dibattito per discutere i temi al centro della serie tv "Diavoli", prodotta da Sky e Lux Vide. RIVEDI IL WEBINAR Saranno i “Diavoli” della serie televisiva del momento, tratta dal best seller di Guido Maria Brera e prodotta da Sky e Lux Vide, i protagonisti del webinar organizzato dalla Luiss Business School venerdì prossimo 8 maggio alle 18:00. “Quale finanza senza etica? Il caso Diavoli” è infatti il titolo del dibattito online a cui parteciperanno lo stesso Brera, il protagonista Alessandro Borghi, Luca Bernabei, amministratore delegato di Lux Vide, e Maximo Ibarra, CEO di Sky Italia.  Durante l’incontro, accessibile dall’indirizzo luiss.business/diavoli  e introdotto dai saluti del Direttore Generale Luiss Giovanni Lo Storto, i protagonisti affronteranno quindi i temi al centro della serie e, in particolare, quanto la finanza sia diventata una parte importante della globalizzazione, e quali possano esserne i risvolti in assenza di una guida “etica”. Il webinar sarà moderato dal Direttore Luiss Business School Paolo Boccardelli. Continua quindi il ciclo Webinar Series targato Luiss Business School, una serie di incontri online volti ad approfondire le trasformazioni di economia, finanza e lavoro insieme ai protagonisti del mondo delle imprese e delle istituzioni. Un’iniziativa interamente digitale che nasce per favorire il confronto sulle nuove sfide e le competenze necessarie per ripensare i modelli di crescita e di sviluppo. RIVEDI IL WEBINAR 06/05/2020 

09 Aprile 2020

Luiss Business School Webinar Series con Marco Sesana, CEO Generali Italia

Un nuovo valore della relazione tra l’impresa e il proprio ecosistema: insieme a Marco Sesana, discuteremo come l’impresa oggi può guidare le trasformazioni riprogettando il suo agire insieme ai propri stakeholder – clienti, dipendenti, agenti, fornitori, istituzioni e comunità – valorizzando le reciproche competenze per soluzioni condivise concrete e immediate. RIVEDI IL WEBINAR   Il 16 aprile 2020 alle 18.30 si terrà un nuovo appuntamento della serie di webinar targata Luiss Business School con Marco Sesana, CEO di Generali Italia. Un momento di confronto virtuale in cui volgere lo sguardo al nuovo valore della relazione tra l’impresa e il proprio ecosistema. Insieme a Marco Sesana, discuteremo come l’impresa oggi può guidare le trasformazioni riprogettando il suo agire insieme ai propri stakeholder – clienti, dipendenti, agenti, fornitori, istituzioni e comunità – valorizzando le reciproche competenze per soluzioni condivise concrete e immediate. Durante il Q&A che seguirà il Virtual Panel, partecipanti e relatori potranno interagire attivamente sulle tematiche discusse e sulle possibilità di sviluppare competenze manageriali utili per gestire i momenti di trasformazione attraverso l’Executive Programme in Sviluppo Manageriale e Performance Management e Sistemi di Controllo, l’innovativo Flex Executive Programme, 90% in distance learning. Per partecipare al Webinar è necessaria la registrazione. REGISTRATI  RIVEDI IL WEBINAR

02 Aprile 2020

Luiss Business School Webinar Series con Maximo Ibarra, CEO Sky Italia

Come il digitale ha rivoluzionato le strategie di marketing e il rapporto con i clienti: abbracciare la logica digitale impone alle aziende di ripensare i propri processi e metodi di lavoro, in una prospettiva in cui il volano della trasformazione è rappresentato dall’evoluzione del rapporto con i propri clienti. Di quali strategie e strumenti dovranno dotarsi aziende e professionisti?  RIVEDI IL WEBINAR   L’8 aprile 2020 alle 18.30 con Maximo Ibarra, CEO Sky Italia, si terrà un nuovo appuntamento della serie di webinar targata Luiss Business School. Un momento di dibattito virtuale in cui poter approfondire la rivoluzione dei modelli di comunicazione determinata dalle nuove tecnologie. Insieme a Maximo Ibarra discuteremo di quali strategie e strumenti dovranno dotarsi aziende e professionisti per rispondere velocemente al cambiamento in atto. Abbracciare la logica digitale impone alle aziende di ripensare i propri processi e metodi di lavoro, in una prospettiva in cui il volano della trasformazione è rappresentato dall’evoluzione del rapporto con i propri clienti. Il Q&A che seguirà il Virtual Panel sarà anche l’occasione in cui partecipanti e relatori potranno interagire attivamente sulle tematiche discusse e sulle possibilità di sviluppare competenze attuali grazie agli Executive Programme in Marketing & Sales, anche nella loro innovativa formula Flex. Attraverso una modalità di erogazione digitale che prevede il 90% delle lezioni in distance learning e attività di networking in presenza, i Flex Executive Programme rappresentano un’opportunità formativa di eccellenza e allo stesso tempo flessibile e adattabile sia alle esigenze personali che agli impegni professionali. Per partecipare al Webinar è necessaria la registrazione. REGISTRATI 02/04/2020

08 Aprile 2022

«Abbiamo cambiato modello di produzione per affrontare la crisi dei microchip»

Lo spiega Nicola De Mattia, CEO del gruppo Targa Telematics, tech company che gestisce circa 2 milioni di asset connessi La crisi dei microchip, acuita dalle recenti tensioni geopolitiche, è un problema globale che ha colpito e colpisce aziende di ogni settore. Ma c'è chi, come Targa Telematics, tech company italiana con 20 anni di esperienza nel settore dei veicoli connessi partecipata al 50% da Investindustrial, ha trovato delle soluzioni per resistere alle criticità. Lo spiega a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) Nicola De Mattia, ceo del gruppo. «La crisi dei microchip senza dubbio ha colpito anche noi, tuttavia abbiamo affrontato le difficoltà cambiando i processi di progettazione con un effort non indifferente». In pratica, spiega il manager, «prima si attuava la progettazione di un apparato per poi cercare di approvvigionarsi, ora si è ribaltato il modello: in un primo momento si cerca di approvvigionarsi, si vedono quali sono i chip con le caratteristiche richieste e poi si progetta l'apparato. La progettazione della scheda madre avviene, cioè, solo una volta che si ha la certezza di aver a disposizione i chip». «Problema dei microchip si protrarrà fino a metà 2023, ma con meno criticità» Questo cambiamento, racconta il manager, è avvenuto tra fine 2020 e 2021, quando sono stati riprogettati gli apparati per non subire interruzioni di produzione e, quindi, di fornitura ai clienti: «gli orizzonti temporali della carenza dei microchip ormai sono abbastanza chiari, il problema si protrarrà fino a metà del 2023, ma già dalla seconda metà del 2022 prevediamo un alleggerimento delle criticità». La pandemia è all'origine delle problematiche e, nonostante gli investimenti siano stati repentini, per arrivare a costruire una soluzione duratura occorre tempo. «L'Europa si deve muovere all'unisono sulle problematiche strategiche» «Ci sono impianti produttivi - prosegue l'amministratore delegato - che hanno un orizzonte temporale di tre anni per diventare operativi. In questo contesto, serve che l'Europa si muova all'unisono sulle problematiche strategiche: il fatto di avere know how e competenze all'interno del Continente è diventato fondamentale. Con le attuali tensioni geopolitiche non possiamo rischiare di essere dipendenti da aree a rischio». In generale, poi, è cambiata proprio la prospettiva: «è in crisi il processo di globalizzazione degli scorsi anni, la politica europea - spiega De Mattia - lo ha capito bene e ben venga questo tipo di approccio, ma a patto che la politica non vada oltre il suo mestiere che è quello di dare indirizzi e poi lasciare che sia il mercato a far emergere i player. Il rischio da evitare è che la politica vada oltre e tuteli gli interessi nazionali se non addirittura i campioni nazionali, realizzando una sorta di protezionismo». Gli aiuti cioè «vanno fissati su basi meritocratiche e di reale affermazione tecnologica e di mercato». «Il 2021 record di fatturato ed ebitda, nel 2022 prevediamo crescita di circa il 30%» È importante, secondo Targa Telematics, fare in fretta. «Per dare un orientamento, l'Unione Europea immagina di detenere un market share di circa il 20% al 2030. È importantissimo partire subito, poiché il raddoppio della quota è un obiettivo che non si realizza dall'oggi al domani. Dobbiamo necessariamente uscire da questa situazione in cui siamo dipendenti da aree ad altissimo rischio geopolitico». Pur non essendo coinvolta nella manifattura di chip, Targa Telematics auspica ovviamente che «i fornitori siano messi in grado di continuare regolarmente con le forniture e che le produzioni di auto riescano a essere continuative e regolari». Tornando invece all'azienda, Targa Telematics ha il quartier general a Treviso e una sede a Torino, nel 2020 ha registrato ricavi per 40 milioni di euro e conta 130 dipendenti e 950 clienti. Di recente nella compagine azionaria della società, che gestisce circa 2 milioni di asset connessi, ha fatto il suo ingresso, con circa il 50%, Investindustrial. A livello di conti, il gruppo, annuncia il ceo, «sta vivendo un momento buono. Nel 2021, nonostante due mesi con restrizioni, abbiamo registrato il record di fatturato ed ebitda, nel 2022 prevediamo una crescita sostanziosa intorno a un ulteriore 30 per cento. I nostri piani sono estremamente sfidanti, anche in relazione al piano di internazionalizzazione che stiamo perseguendo». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 8/4/2022

08 Aprile 2022

Motus-E: «Auspichiamo soluzione della crisi dei chip a fine 2022»

Parla Francesco Naso, segretario generale dell'associazione che raggruppa 43 stakeholder della mobilità elettrica La speranza è che la crisi dei semiconduttori si risolva nell’ultimo trimestre dell’anno, tensioni politiche permettendo mentre la soluzione è puntare sulla diversificazione dei produttori. Intanto anche il conflitto ucraino sta impattando direttamente sui microchip visto che nelle catene di fornitura ci sono anche elementi, come il neon, provenienti dall’Ucraina. A fare un bilancio del momento attuale per i microchip è Francesco Naso, segretario generale di Motus-E, l’associazione, nata nel 2018, che con 43 associati raccoglie tutti gli stakeholders della mobilità elettrica compreso Volkswagen, Enel X, Hyundai e anche il produttore di microchip ST. «L’anno scorso – dichiara Naso a DigitEconomy.24, report del Sole 24 Ore-Radiocor e della Luiss Business School - prevedevamo che la situazione si potesse risolvere a metà 2022, ora auspichiamo si possa trovare una soluzione nell’ultimo trimestre del 2022, considerato anche il grosso punto interrogativo costituito dalle tensioni geopolitiche attuali». La crisi ha colpito tutta l'auto, ma soprattutto il settore elettrico che necessita di più sensori Il problema, che impatta particolarmente nei produttori di veicoli elettrici, «è nato lo scorso anno quando c’è stato un forte rimbalzo di produzione dopo l’emergenza Covid e un aumento dei volumi richiesti per l’automotive. Il fatto che gran parte dei semiconduttori dei microchip fosse destinato all’aumento dei volumi dell’elettronica domestica ha contribuito a creare la mancanza di chip, particolarmente sentita dal mercato dell’auto. La crisi ha investito tutto il mercato dell’auto tradizionale, non solo quello della mobilità elettrica che, va detto, ha una serie di sensori in più e necessita di una serie di semiconduttori in più. Alcune case automobilistiche – racconta Naso - si sono ritrovate a scegliere dove destinare i microchip che riuscivano a ottenere. Alcuni li hanno direzionati solo sulla produzione elettrica, pensiamo ad esempio a Mirafiori nell’ultimo quadrimestre del 2021». «Pechino potrebbe cogliere la crisi ucraina per aumentare l'escalation della produzione» Come se ne esce? «Il problema – spiega Naso – è che creare una fabbrica di semiconduttori ex novo o ampliare le esistenti non è facile, vista l’incertezza sulla domanda di semiconduttori che è molto alta. C’è un margine di errore del 3-4 per cento. Intanto la politica europea è giustamente mirata all’indipendenza della produzione. La Cina dal canto suo, a fronte dell’esigenza di aumentare la produzione pur non avendo un ritorno certo, è riuscita a fare qualcosa. Pechino inoltre potrebbe cogliere l’occasione della crisi ucraina per aumentare ulteriormente l’escalation». Un’altra strategia, seguita ad esempio dall’americana Intel, «è quella di andare sul mercato con microchip di nuova generazione, prodotti più economici. Il gruppo americano sostiene, dunque, di non poter garantire i volumi anche perché si tratta talvolta di semiconduttori che non produce più e che, quindi, il mercato dell’auto dovrebbe cambiare i semiconduttori che utilizza». «Filiere di fornitura complicatissime, anche Ucraina coinvolta» Quanto al ruolo della Ue, «per il momento ci sono state dichiarazioni di programma, previsioni di prestiti ponte vantaggiosi per produttori europei come per l’italo-francese STMicroelectronics che siamo orgogliosi di avere come nostro associato. ST, tuttavia, non si posiziona su tutta la pletora di semiconduttori di veicoli, ma solo su alcuni segmenti, meno sugli adas e su power train, dove ci sono produttori come Infineon e Renaissance». Alla luce del contesto, per risolvere la situazione, «sicuramente bisogna spingere sulla produzione europea e farlo molto velocemente, occorre andare oltre gli accordi di programma, vanno bene i prestiti, ma poi bisogna realizzare gli investimenti. Questo servirà per gli anni a venire. L’autonomia è difficile da raggiungere, tra piano europeo e piano americano lanciato dal Presidente Joe Biden non si supera il 30% della produzione, ma è importante avere una differenziazione. Nel breve periodo, invece, dobbiamo sperare che le tensioni non inaspriscano ulteriormente la situazione». Concentrandosi sugli effetti diretti del conflitto ucraino, «occorre considerare che oltre ad alcuni elementi prodotti proprio dall’Ucraina, ci sono altre crisi che si possono prospettare per le materie prime e i lavorati che provengono dalla Russia. Ad esempio, guardando al nostro business, le case automobilistiche sono costrette a rimodulare le forniture dei cablaggi perché in gran parte provengono dall’Ucraina. Le filiere di fornitura - conclude Naso - sono complessissime e non tutti si aspettavano che l’Ucraina fosse diretto fornitore».  SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 8/4/2022

08 Aprile 2022

Silk-Faw:«Crisi dei chip da risolvere a livello europeo, a fine 2023 avvieremo la produzione»

Parla Roberto Fedeli, vicepresidente esecutivo di Silk-Faw, jv cinese e americana con sede nella Motor Valley Una joint venture tra Usa e Cina, nel cuore della Motor Valley, che si appresta a produrre piccoli volumi di auto sportive o di lusso. C’è anche questo, oggi, nel panorama caratterizzato dalla crisi dei microchip, che ha colpito soprattutto il settore auto, e dalle tensioni politiche tra Washington e Pechino, quelle su Taiwan e quelle generate dal conflitto in Ucraina. Un panorama che sta cambiando, dopo il varo dell’European Chips Act a inizio febbraio, che pone come obiettivo il raddoppio della quota di mercato europea nel settore dei semiconduttori. Fedeli: «Speriamo in ridimensionamento del problema» «Tutti nel mondo dell’auto stanno soffrendo per mancanza di approvvigionamenti dei microprocessori, ma noi, un po’ perché entreremo sul mercato tra circa due anni, un po’ per i piccoli volumi, speriamo nel ridimensionamento del problema», spiega Roberto Fedeli, executive vice presidente Innovation & Technology di Silk-Faw a DigitEconomy-.24, report del Sole 24 Ore-Radiocor e della Luiss Business School. «Noi – annuncia – ci troviamo in una fase di costruzione del portfolio di prodotti. Contiamo di lanciare il primo prodotto, la S9, con circa 100 vetture l’anno, a partire da fine 2023-inizio 2024. Un secondo prodotto, full electric, si affaccerà alla fine del 2024». Silk-Faw, in particolare, nasce dalla joint-venture tra SilkEV, società americana specializzata nell’ingegnerie e nel design di auto e Faw, il più grande produttore cinese di auto con oltre 3 milioni di veicoli venduti annoverato nella classifica Fortune 100 con 92 miliardi di dollari di fatturato. La joint venture tra queste due aziende ha come obiettivo lo sviluppo di un nuovo sistema di innovazione tecnologica e ingegneria automobilistica all’avanguardia, unendo competenze e cultura italiana nel segmento delle auto super sportive di lusso e in quello super premium. L’azienda si è insediata a Reggio Emilia, nel cuore della Motor Valley. «Produzione e sviluppo dei chip aspetto strategico per i vari Paesi» «L’idea – prosegue Fedeli – è quella di partire con volumi bassi diretti a collezionisti per due tre anni. I volumi consistenti, pensiamo a 6-7mila vetture, arriveranno a regime. Due categorie di prodotti saranno sviluppate e realizzate in Italia, altre due, invece, saranno sviluppate in Italia e prodotte in Cina». Nel contesto attuale, e in vista dell’avvio della produzione, afferma Fedeli «le problematiche dei microchip non si possono risolvere a livello di singolo Paese, ma a livello europeo. La produzione e lo sviluppo dei chip è un aspetto estremamente strategico per i Paesi, come lo è il percorso di elettrificazione che nel caso specifico è molto legato alla produzione di celle». Anche di fronte al conflitto ucraino, che alimenta le tensioni, «il fatto di non essere autosufficienti in Europa sicuramente non va bene. O si affrontano le criticità a livello comunitario, usando le competenze che nel Continente sono presenti, oppure non c’è nessuna possibilità di riuscire. A me sembra che negli ultimi mesi la Comunità europea, anche con l’European Chips Act, si sia mossa nella direzione giusta. Ma, sotto questo punto di vista, c’è uno spazio ancora enorme d’azione», conclude Fedeli. Fim Cisl: «carenza dei semiconduttori è la nuova pandemia per l'automotive» A tornare sul problema della carenza di chip nel settore automotive è stata di recente la Fim Cisl, in occasione della presentazione del report sull’andamento produttivo e occupazionale nei primi tre mesi del 2022 nei siti italiani di Stellantis. «La carenza di semiconduttori, che caratterizzerà anche gran parte del 2022, sono la nuova pandemia per il settore auto, e determina una situazione di dissaturazione degli impianti. Pertanto - ha spiegato il segretario nazionale Fim, Ferdinando Uliano –sarà necessario garantire una ‘neutralità’ nel conteggio del consumo della cassa integrazione ordinaria, diversamente rischiamo un esaurimento degli ammortizzatori sociali per alcune aziende del settore. Il decreto energia ha inserito una prima risposta, ma è parziale e non risolve il problema soprattutto per i periodi successivi al 2022». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 8/4/2022

08 Aprile 2022

Pichetto Fratin:«Su crisi dei microchip l'Europa si è mossa bene ma 5-10 anni per vedere risultati»

Parla viceministro dello Sviluppo economico, Gilberto Pichetto Fratin. Quanto ai problemi di sicurezza «l'obiettivo principale è la sovranità tecnologica» L'Italia e l'Europa si sono mosse bene nella crisi dei microchip ma per vedere risultati rilevanti ci vorranno «almeno 5-10 anni». Lo afferma Gilberto Pichetto Fratin, viceministro dello Sviluppo economico nell'intervista a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School). Quanto a Intel, e alla scelta di insediare la gigafactory in Germania, il Governo italiano ha fatto il possibile per attrarre investimenti e, intanto, sta andando avanti con STMicroelectronics: «auspichiamo che quello in Germania sia solo un primo passo e che anche altri grandi soggetti possano valutare di investire nel territorio italiano». Quanto ai problemi di sicurezza, acuiti anche dal conflitto in Ucraina, «occorre innanzitutto tener presente che l'obiettivo principale è arrivare alla sovranità tecnologica nell'ambito europeo, che in questo settore non significa escludere le partnership, piuttosto fare una selezione tra tutti i potenziali partner, andando ad individuare quelli strategici e affidabili». Il contesto geopolitico da tempo ha messo in evidenza l'importanza di essere autonomi nella produzione dei microchip. È un obiettivo raggiungibile? Il problema della carenza di microchip c'era già prima che scoppiasse la guerra in Ucraina; a causa di stime errate rispetto al periodo Covid, si è rallentata la produzione, ad esempio, a Taiwan e in Corea. Durante la pandemia soprattutto nei primi mesi, c'era stato uno stop in vari settori come quello degli autoveicoli, che fanno grande utilizzo di microchip, ma dall'altro lato è iniziata a crescere la domanda di dispositivi digitali, ragion per cui quando è ripartita la produzione in tutti i vari settori si è registrata una condizione di sofferenza. Bisogna sottolineare che i microchip sono necessari in tantissime applicazioni, dall'automotive agli smartphone, dai computer agli elettrodomestici. Il conflitto in Ucraina, che alimenta nuove tensioni a livello internazionale, influisce direttamente anche sulla problematica della produzione dei microchip? Negli ultimi 30 anni si è perso moltissimo in termini di quote di produzione di microchip in Europa. Oggi abbiamo solo il 10% della produzione mondiale, quota che, fino a 30 anni fa, era di quasi il 50 per cento. Tutto ciò sta diventando una grande criticità. Il conflitto in Ucraina pone però una ulteriore e importante problematica. Per produrre i microchip servono, infatti, due elementi essenziali: il Palladio e il gas Neon: il 40% del Palladio proviene dalla Russia, il 70% del Neon dall'Ucraina. Si comprende allora come il conflitto aggravi una situazione di per sé molto difficile. L'Europa ha compiuto passi avanti nella normativa che regola la produzione dei microchip con l'adozione recente dell'European Chips Act. Sono sufficienti? La scelta della Ue di dotarsi dell'European Chips Acts stanziando 43 miliardi di euro, con possibile esclusione dell'applicazione della normativa degli aiuti di Stato, è un passo rilevante che può rimettere in moto il sistema per diventare nuovamente più produttivi. In quanti anni potremmo vedere risultati rilevanti in Italia e in Europa? Non si possono impiegare meno di 5-10 anni, considerati i tempi che servono per l'insediamento delle imprese produttrici. D'altronde lo stesso Chips Act prevede di raddoppiare l'attuale quota di mercato dal 10 al 20% da qui al 2030. Di recente Intel ha scelto di insediare la sua gigafactory in Germania. L'Italia può fare di più per attrarre gli investimenti? Il Governo cerca di agevolare in ogni modo i soggetti che vogliono implementare le loro produzioni nel nostro Paese. La disponibilità per l'insediamento di grandi gruppi come l'americana Intel è già nota. Intanto stiamo procedendo con STMicroelectronics per il potenziamento degli insediamenti già presenti nel territorio nazionale e siamo in genere aperti ad agevolare altri ingressi. Nel frattempo, Intel prevede di fare un grande investimento produttivo in Germania, una gigafactory da15 miliardi, e un grande centro di ricerca in Francia; l'azienda sta inoltre valutando l'ipotesi di realizzare un investimento per l'assemblaggio e il packaging in Italia. Auspichiamo, quindi, che quello in Germania sia solo un primo passo e che anche altri grandi soggetti possano valutare di investire nel territorio italiano: il Governo è pronto a trovare soluzioni per facilitare questo tipo di operazioni. D'altronde nel decreto energia abbiamo previsto una dotazione complessiva di 4,15 miliardi di euro da qui al 2030 per la produzione di microchip. Al momento c'è la disponibilità del Governo a compartecipare, a mettere capitale a fondo perduto, oltre tutto ciò ci sono valutazioni geopolitiche da parte delle grandi aziende. Con il conflitto in Ucraina si è posto un ulteriore accento al problema della sicurezza e della cybersicurezza, anche dei microchip. La diversificazione dei fornitori basta a risolvere le problematiche o meglio escludere prodotti provenienti da Paesi che non fanno parte dell'Occidente? Occorre innanzitutto tener presente che l'obiettivo principale è arrivare alla sovranità tecnologica nell'ambito europeo, che in questo settore non significa escludere le partnership, piuttosto fare una selezione tra tutti i potenziali partner, andando ad individuare quelli strategici e affidabili. La sovranità tecnologica è infatti precondizione della sovranità nell'innovazione e dell'autonomia strategica. Peraltro, dobbiamo renderci conto che stiamo vivendo un momento in cui si sta cambiando il paradigma degli ultimi 30 anni. Fino a oltre un mese fa per le grandi multinazionali c'erano più alternative per entrare nel mercato europeo: potevano produrre in altre parti del mondo e poi vendere i prodotti in Europa. Ora bisogna accorciare la catena di fornitura europea e bisogna accelerare su questo fronte. In generale col Chip Act l'Europa si è mossa bene, l'obiettivo di alzare la produzione al 20% è condivisibile, l'Italia si è mossa bene. Dopo tutto ciò, spetta alle grandi imprese fare le proprie dovute valutazioni. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 8/4/2022

25 Marzo 2022

Corti (WindTre):«sul consolidamento aperti alle opportunità, dialogo in corso con Iliad»

L'azienda, chiarisce il co-ceo designato, è pronta anche a una strategia stand alone Bene gli investimenti previsti dal Pnrr, ma non bastano per risollevare un comparto in crisi come quello delle telco. Un settore che «oggi ha un ritorno del capitale investito inferiore al costo del capitale. Sicuramente così non si può andare avanti». Lo afferma, in un'intervista a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School), Gianluca Corti, co-ceo designato di WindTre, che succederà (assieme a Benoit Hanssen, attualmente chief technology officer) a Jeffrey Hedberg in occasione della prossima assemblea di aprile. Nella sua prima intervista come amministratore delegato designato, Corti chiede dunque di intervenire in aiuto del comparto innanzitutto con una mossa «a costo zero», cioè l'innalzamento dei limiti elettromagnetici. Un'altra strada perseguibile è quella del consolidamento che «può giovare» ma «tutto dipende dall'approccio che sul tema avrà Bruxelles». Dal canto suo WindTre è «aperta ad accordi costruiti nel rispetto delle norme Antitrust, ma siamo pronti anche ad andare avanti da soli. Se ci sono opportunità interessanti per l'azienda le coglieremo, altrimenti noi siamo una grande realtà e possiamo andare avanti stand alone». Nel frattempo il gruppo ha in corso un dialogo con Iliad per la condivisione della rete mobile, ma, afferma Corti, «è troppo presto per qualsiasi altro commento». L'Italia, come emerge anche dallo studio WindTre Luiss BS, è ancora indietro nelle reti very high capacity, perché e come si può risolvere questo problema? Bisogna innanzitutto tener presente che per ottenere i permessi occorrono cinque mesi in media, in Sicilia come in Veneto. Gli operatori devono interfacciarsi con tanti enti, dai 6 agli 8, per avere le autorizzazioni, e quindi devono fronteggiare un grande costo in termini di gestione della permissistica. A tutto ciò si aggiunge il fatto che ci troviamo in un momento in cui bisogna favorire gli investimenti. Il comparto delle telco, negli ultimi 10 anni, ha investito circa 7 miliardi all'anno, grosso modo l'equivalente del totale che il Pnrr devolve all'intero settore da qui al 2026. Un intervento assolutamente benvenuto ma che da solo non risolve le necessità. In questo contesto una mossa a costo zero, che potrebbe giovare, è quella di equiparare i limiti elettromagnetici italiani per il 5G a quelli della media europea. Ci sono segnali in questa direzione da Governo e Parlamento? In Parlamento molti sono favorevoli, speriamo che con il prossimo decreto semplificazioni ter oppure il disegno di legge sulla Concorrenza, decidano in tal senso. Può sembrare una decisione impopolare, ma secondo me il Governo ha fatto scelte più complicate rispetto a questa. Probabilmente ci sarà sempre una minoranza che non sarà d'accordo, ma è un passaggio molto importante che consentirà all'Italia di avere davvero il 5G, fondamentale per il sistema Paese e per la competitività delle aziende. Al contrario, senza alzare i limiti elettromagnetici, non ci sarà la possibilità di avere il 5G in tutta Italia perché dovremmo mettere un numero di antenne che non è conveniente economicamente e non avremmo probabilmente l'autorizzazione a realizzarle in tutte le località dov'è necessario. Senza 5G non rischiamo, dunque, solo di perdere l'impatto positivo sull'economia e sul sistema Paese, ma dovremmo anche fare i conti col fatto che tra 3-4 anni, non tra 20, le reti 4G saranno talmente sature al punto da fornire una performance simile a quella che oggi hanno le reti 3G. I cittadini, cioè, non potrebbero usufruire del live streaming, delle videochiamate, in alcuni casi dovrebbero accontentarsi del whatsapp testuale senza le foto. In conclusione, innalzare i limiti elettromagnetici è una manovra necessaria nella situazione attuale e non costa nulla. Un altro problema del settore, soprattutto nel mobile, che ha compresso i margini, è la guerra dei prezzi. Il consolidamento nel comparto potrebbe essere una buona strada da seguire? Alla base del fatto che i prezzi del mobile sono così bassi, ci sono due criticità: innanzitutto i nostri anziani sono molto meno digitalizzati degli anziani del Nord Europa e della Corea. Inoltre, si sconta la concorrenza del mobile. Infatti, il livello dei prezzi dei dati mobili e l'alta qualità delle reti cannibalizzano parte della domanda che nel resto del mondo va verso il fisso. L'Italia è il Paese che in Europa occidentale e negli Usa ha la più alta percentuale di case senza connettività fissa. Più cresce la qualità della rete fissa e meglio è per tutti. Tuttavia, se si mantiene un livello di prezzi del mobile molto basso, ci sarà gente che continuerà a trovare conveniente avere solo il mobile, anche perché il risparmio per alcune famiglie in questa fase è molto importante. In questo contesto penso che il consolidamento possa giovare: in Europa ci sono 100 operatori mobili, negli Usa con all'incirca la stessa popolazione e un reddito più alto, gli operatori sono solo tre. I giganti americani hanno potuto arricchirsi e investire molto, in Europa si fa più fatica. Tutto dipende dall'approccio che sul consolidamento avrà Bruxelles. In passato in Italia c'è stata un'aggregazione, di cui noi siamo stati protagonisti, ma siamo passati dalla padella alla brace, la situazione di mercato è peggiorata. Dal 2016, anno in cui Wind si è aggregata con 3 Italia, infatti, i prezzi si sono ridotti in modo brusco, anche a causa dell'arrivo, voluto proprio dall'Europa, di un nuovo operatore. Noi, d'altronde, siamo nati con la concorrenza e siamo favorevoli al mercato. Bisogna però sottolineare che il settore oggi ha un ritorno del capitale investito inferiore al costo del capitale. Sicuramente così non si può andare avanti. Si parla della joint venture tra voi e Iliad sulla rete mobile, siete favorevoli a coinvestimenti e joint venture? Siamo aperti ad accordi costruiti nel rispetto delle norme antitrust, ma siamo pronti anche ad andare avanti da soli. Se ci sono opportunità interessanti per l'azienda le coglieremo, altrimenti noi siamo una grande realtà e possiamo andare avanti stand alone.Confermo che con Iliad è in corso un dialogo, ma è troppo presto per qualsiasi altro commento. Quanto agli investimenti affrontati dal settore, e in particolare alla maxi rata che gli operatori pagheranno a settembre per saldare il conto delle frequenze 5G, siete favorevoli a chiedere un rinvio? Le telecomunicazioni da molti anni fanno battaglia commerciale e la concorrenza è il nostro pane quotidiano. Tuttavia c'è anche un'attività che non riguarda temi competitivi e su questi bisogna presentare alle istituzioni alcune proposte in modo coeso. Per noi, come WindTre, quello del pagamento della rata è un tema in secondo piano, ma siamo favorevoli a sostenere la posizione degli altri operatori. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 25/3/2022

25 Marzo 2022

«Aperti ad analizzare qualsiasi tipo di offerta, anche sulla parte della rete»

Parla l'ad di Linkem, Davide Rota, sul consolidamento nel settore. Partecipare alla jv tra Iliad e Wind? «Se ce lo proponessero, perché no?» Dopo l'operazione di fusione con Tiscali, Linkem, operatore che copre oltre il 70% della popolazione con la sua rete 5G Fwa, guarda ancora al consolidamento e alla condivisione di business nel settore tlc come una delle strade maestre per far uscire il comparto dalle difficoltà. «Siamo aperti alla discussione e ad analizzare qualsiasi tipo di offerta, anche sulla parte infrastrutturale», dice l'amministratore delegato Davide Rota in un'intervista a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School). La parte dei servizi di Linkem è già oggetto di fusione con Tiscali mentre sulla rete il gruppo ha già un accordo con Fastweb, ma valuta progetti di partnership, non necessariamente di tipo societario. Per Rota separare la rete dai servizi è una delle premesse per risollevare un comparto in crisi: «mettere tutto assieme ha sempre meno senso, ci sono alcune attività industriali o di fund raising, ad esempio, che sono di interesse di soggetti diversi». E sull'ipotesi di joint venture tra WindTre e Iliad per la condivisione della rete mobile, chiosa il manager: «Se ce lo proponessero, perché no?». Che tempi si prevedono per la fusione per incorporazione tra Linkem Retail e Tiscali? Stiamo rispettando la tempistica annunciata l'anno scorso. Ci sono delle condizioni sospensive che non dipendono dalle parti, ma  dovremmo essere riusciti a smarcarle tutte entro il mese di maggio e potremmo passare alla parte esecutiva. L' aspetto formale dell'operazione sta, dunque, andando avanti come pianificato. Il consolidamento è una tendenza  del settore telco in Italia e in Europa, a che punto siamo? È quasi indispensabile in questo momento fare qualcosa di diverso in un settore che, dopo un periodo di grande splendore, negli ultimi anni sta subendo dinamiche di contrazione. Per quanto ci riguarda ci sono due grandi attività da compiere: innanzitutto occorre separare la parte rete dal retail in modo che entrambe queste realtà abbiamo modo di sviluppare autonomamente la propria storia, i propri partner e strategie. Mettere tutto assieme ha sempre meno senso, ci sono alcune attività industriali o di fund raising, ad esempio, che sono di interesse di soggetti diversi. L'altro grande tema è quello di integrare i servizi di base delle tlc con altri servizi presenti in altri pezzi della catena del valore. Si tratta di business che entreranno quasi integralmente nella parte retail. Noi abbiamo iniziato tre anni fa col nostro Linkem Lab a identificare soluzioni, realtà, aziende verticali focalizzate sulla loro expertice. Abbiamo, cioè, cercato di superare il dilemma in cui è finito un settore che non è attraente come prima in termini di marginalità ma che è l'abilitratore dell'innovazione di tutte le altre industry e alla base della crescita di tutti gli altri settori verticali che si sono sviluppate nel frattempo. Siete, quindi, alla ricerca di altri partner? Siamo aperti alla discussione e ad analizzare qualsiasi tipo di offerta, anche sulla parte infrastrutturale, non sono mai stato fautore della proprietà indiscussa della rete. Sia sulla parte rete sia su quella retail ci possono essere delle importanti sinergie, non necessariamente di tipo societario, per le quali ci vuole molto tempo. Si può pensare anche a operazioni altrettanto strategiche, come ad esempio l'accordo con Fastweb per fare un pezzo di rete insieme, che possono essere realizzate in tempi decisamente più brevi. Per la parte rete, dunque, non cerchiamo esclusivamente un'operazione di carattere societario, ma uno o più partner con cui accelerare lo sviluppo dell'infrastruttura 5G. Dopo l'accordo con Fastweb stiamo, cioè, ragionando per vedere se ci sono altri partner con cui abbia senso fare sistema per ottimizzare gli investimenti a fronte di esigenze di traffico e di banda sempre più in crescita.. C'è un certo fermento nel settore, si pensi all'ipotesi di joint venture tra iliad e WindTre sul 5G. Sareste interessati? Se ce lo proponessero, perché no? È importante essere focalizzati sull'idea che ci vogliono sinergie. Costruire reti è sempre più oneroso, poter fare fronte comune tra i soggetti che vogliono utilizzare quelle reti è una soluzione interessante. Non abbiamo grandi operazioni imminenti, ma c'è da parte nostra la disponibilità a valutare. La cornice regolatoria italiana ed europea dovrebbe essere maggiormente favorevole al processo di consolidamento? Se alcune integrazioni non sono accadute nel tempo non è sicuramente per problemi regolatori o di leggi, ma per la volontà delle parti. Poi è ovvio che ognuno fa il suo mestiere e che  l'Antitrust ha il suo ruolo, soprattutto se si volessero fondere due realtà rilevanti. Sta, però, alle parti capire che mettersi assieme non vuol dire rinunciare al proprio pezzo di attività, ma riuscire a far le cose in modo diverso. Nel settore la proprietà della rete è ritenuta molto importante; c'è, quindi, un percorso che è anche culturale da compiere. Percorso, peraltro, fatto già per le torri che le telco non hanno più nel loro perimetro; le tower companies si sono così potute focalizzare maggiormente sul proprio mestiere. In vista dei bandi Pnrr come quello per il 5G parteciperete e lo farete in partnership? Ce li stiamo studiando, a seconda dei bandi ci sono soluzioni in cui ha senso andare da soli, altre per le quali è preferibile presentarsi in partnership con altri. Dobbiamo uscire dal concetto di fare solo tlc e aprirci al settore della digitalizzazione delle aziende, della pa, i bandi in questo aiutano. D'altro canto, il mondo delle tlc fa funzionare tutto quello con cui siamo abituati a vivere e lavorare, e oltre a rimarcare che  l'arpu è sceso e che ci sono dinamiche da correggere, bisogna guardare alle tante opportunità. Noi, ad esempio, abbiamo fatto tanti progetti con le carceri, abbiamo assunto detenuti a lavorare, e in questo campo c'è ancora molto da fare. Facciamo un altro esempio: stiamo lavorando a una serie di progetti sulla videosorveglianza evoluta basata sul 5G, oggi ci sono già tante videocamere in giro per l'Italia, ma questo comparto sarà soggetto a una grande rivoluzione. Sulla vostra rete in parte 5G stand alone, che progetti avete? Abbiamo una rete che copre oltre il 70%  della popolazione, abbiamo intenzione di trasformarla tutta, entro la seconda metà dell'anno prossimo, in 5G standalone. Oltre ad aggiornare tutti gli apparati di rete, modificheremo quelli lato utente, trasformandoli dal 4G in 5G. Mentre adeguiamo la rete esistente, le nuove installazioni saranno tutte 5G stand alone. Siete preoccupati per la stretta del golden power su 5G e cloud? Stiamo analizzando gli impatti operativi, di sicuro ci saranno risvolti in termini di processi,   di notifiche tra operatori e presidenza del Consiglio, stanno cambiando le procedure. D'altronde tutte le infrastrutture erano già soggette alle procedure sul golden power, dal punto di vista del business l'importante è che non si verifichino rallentamenti dei piani.  SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 25/3/2022

25 Marzo 2022

Unidata: «interessati al consolidamento solo con operazioni di carattere industriale»

Parla Renato Brunetti, presidente del gruppo di tlc quotato in Borsa dal 2020 Il consolidamento con operazioni dal punto di vista prettamente finanziario al momento non interessa a Unidata, società che si è quotata nel 2020 e si occupa di telecomunicazioni, fibra e servizi per la connessione nel Lazio. Cosa diversa è il processo di aggregazione che ha come obiettivo un'operazione di carattere industriale e di condivisione di asset: «Il consolidamento che si sta realizzando – afferma Renato Brunetti, presidente della società, a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) - è di carattere soprattutto finanziario, c'è l'interesse di fondi  come Kkr per Tim e Macquarie che è diventato azionista di Open Fiber; si tratta di investitori  che fanno operazioni legittime di speculazione. Per il momento, dopo aver fatto la scelta della quotazione, non siamo interessati. Se invece si trattasse di operazioni industriali, attraverso le quali due soggetti mettono assieme gli asset, si fondono o fanno acquisizioni avendo un progetto industriale sottostante, allora saremmo interessati». «Iniziativa con fondo Cebf per le zone grigie nel Lazio» Il consolidamento è un processo auspicato da più parti nel settore delle tlc italiane, ed è una tendenza in atto anche a livello europeo. Metter fine alla guerra dei prezzi che ha colpito soprattutto il mercato del mobile e condividere gli investimenti sono tra gli obiettivi da raggiungere attraverso la riduzione degli attori sul mercato. Anche una piccola società come Unidata si dice pronta, dunque, a partecipare, ma a patto che non si tratti di operazioni solo dal punto di vista finanziario.  La società, inoltre, ha in piedi un'iniziativa per cablare le zone grigie del Lazio con Cebf, il fondo europeo che non entra nelle società già esistenti ma crea col partner nuove realtà (in questo caso Unifiber). «Per noi non cambia molto con la rete unica, abbiamo già un nostro network» Unidata non vede nell'ipotesi di rete unica tra Tim e Open Fiber, come paventato da altri, un possibile vulnus nella realizzazione delle gare. «Non lo ritengo un problema: Tim e Open Fiber parteciperanno ai bandi; ogni singolo operatore ne può vincere al massimo metà, quindi ci saranno almeno due vincitori. Se a vincere dovessero essere proprio Tim e Open Fiber e successivamente realizzassero la rete unica, nascerebbe un grande operatore wholesale, cioè all'ingrosso. Considerando il nuovo modello di rete unica che Tim vuole portare avanti, rinunciando cioè al controllo societario, l'azionista di maggioranza relativa dovrebbe essere Cdp, aspetto che renderebbe più ‘digeribile' il nuovo soggetto, anche se poi ci sarà un problema significativo di Antitrust europeo». Brunetti ricorda che la direttiva europea è favorevole alla concorrenza infrastrutturale, dunque la rete unica dovrebbe esistere secondo lui solo nelle aree che non sono  a concorrenza di mercato. Tra gli effetti previsti della creazione di un sole network, di fronte a un sostanziale monopolio, c'è quello che gli utenti, spiega il manager, pagheranno di più: «i prezzi sarebbero destinati ad aumentare». Tuttavia dal punto di vista di Unidata «che – conclude Brunetti – ha già una sua rete, non cambierà molto, saremmo di fronte a  un monopolio ma Davide in genere è più agile di Golia». «Stiamo facendo un progetto di data center con Azimut, pronti a offerta su cyber» Unidata si muove anche su altri fronti, come il cloud, con un progetto di data center non ancora chiuso che costerà decine di milioni di euro. «Abbiamo realizzato un progetto col fondo Azimut, stiamo studiando questa possibilità. I tempi di decisione saranno brevi, tipo di un mese, poi la realizzazione del progetto sarà impegnativa». La società è attiva anche nel settore della cybersecurity, particolarmente in auge visto  il pericolo che si amplifichino gli effetti, su questo fronte, provocati dalla guerra in Ucraina. «Stiamo lanciando – conclude Brunetti – Unicyber e siamo pronti per pubblicare l'offerta».  SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 25/3/2022

25 Marzo 2022

«In Europa in corso il consolidamento delle tlc ma contesto resta critico»

L’intervento di Antonio Perrucci, Direttore Astrid Led, a DigitEconomy.24 Da inizio di marzo, l'attenzione dei mercati e degli analisti tlc si è concentrata sulla possibile fusione delle attività spagnole di Orange e Mas Movil, rispettivamente terzo e quarto operatore nel mercato della telefonia mobile in Spagna (in termini di linee, terzo trimestre 2021), con la conseguente riduzione a tre del numero degli operatori mobili e la nascita di un'impresa valutata circa 20 miliardi di euro. La prospettata joint venture paritetica non condurrebbe solo alla nascita del primo operatore mobile, che, con una quota di mercato cumulata del 42%, distanzierebbe significativamente l'attuale leader Movistar (28,4%). Anche nel mercato della banda larga fissa, il nuovo soggetto diventerebbe leader di mercato, con una quota del 41,5%, sei punti percentuali in più di Movistar (35,6%). L'operazione presenta profili problematici dal punto di vista antitrust, soprattutto in alcune regioni del Paese (Asturie, Paesi Baschi). D'altro canto, il processo di concentrazione del mercato spagnolo si è avviato da tempo, sia nel fisso che nel mobile, come dimostrano le diverse acquisizioni da parte dei principali operatori, in particolare del gruppo Movistar (ora controllato dai fondi Cinven, Providence e Kkr) che, da poco, ha acquisito anche Euskatel, operatore leader nei Paesi baschi. Per la stampa spagnola Orange-Mas Movil potrebbe alimentare il consolidamento Secondo la stampa internazionale, spagnola in primo luogo, questa operazione, qualora autorizzata dalle competenti autorità antitrust (la Commissione europea, presumibilmente), potrebbe alimentare quel processo di consolidamento dei mercati europei di tlc, da anni invocato dagli operatori del settore. La crisi dei mercati tlc è peraltro evidente in tutta Europa, con situazioni di particolare sofferenza nei Paesi e per le imprese del Sud Europa, tra cui l'Italia, dove la riduzione del fatturato è risultata molto accentuata nel decennio 2010-2020 (dati Agcom). La risposta più immediata che viene dalle aziende è la concentrazione del mercato, per ridurre gli oneri degli investimenti e più in generale i costi, ed aumentare i prezzi finali, dopo anni di "guerra" a colpi di ribassi e promozioni. Come è noto, in Europa si sta discutendo di altre operazioni di concentrazione che vedono protagonisti operatori del calibro di Vodafone, Three, Iliad, mentre alcuni deal si sono già conclusi (ad esempio, in Italia la fusione tra Linkem, con spin off della rete, e Tiscali). Specifica attenzione a possibile fusione tra Open Fiber e NetCo Una specifica attenzione va senz'altro rivolta alla possibile fusione tra Open Fiber e NetCo, l'operatore di rete che dovrebbe risultare dalla annunciata disintegrazione verticale dell'incumbent italiano. Tuttavia, in questa fase, è opportuno seguire le modalità con cui l'azienda procederà effettivamente alla separazione delle attività, prima di formulare valutazioni sulle sinergie e i problemi antitrust e regolamentari della (eventuale) successiva fusione con Open Fiber. Invece, da due anni, non si parla più della eventuale fusione tra i due incumbent di Francia (Orange) e Germania (Deutsche Telekom) che darebbe vita ad un operatore in grado di competere con i leader di mercato statunitensi (AT&T, Verizon) e muterebbe decisamente lo scenario europeo. Accordi di coinvestimento accanto alle operazioni di M&A Accanto ad operazioni di M&A, in Europa (ad esempio, Francia, Spagna ed Italia) si stanno sviluppando accordi di coinvestimento ed altre forme di condivisione del rischio (network sharing, nel mobile in particolare) da parte delle telco. In tale direzione, spinge soprattutto la realizzazione delle reti a banda ultra-larga, sia fisse che mobili, per via degli ingenti investimenti che comportano. La cooperazione tra gli operatori è motivata anche da processi che – seppure collegati al deployment delle reti – rivestono una autonoma valenza: l'introduzione e la standardizzazione di nuove tecnologie di rete (ad esempio, Open-Ran, nel mobile), la crescente adozione di soluzioni cloud da parte delle telco, con la conseguente trasformazione dei tradizionali modelli di business. Il fermento dei mercati europei di tlc non si limita a quelli di telefonia mobile e fissa, ma investe – significativamente - mercati contigui, a cominciare da quelli delle torri di telecomunicazioni. In questo caso, tuttavia, il processo di consolidamento non è guidato dai gestori di tlc, bensì da imprese specializzate nel settore, per lo più controllate da fondi di investimento internazionali. Negli ultimi anni, la quota di mercato detenuta dagli operatori mobili si è ridotta a vantaggio delle tower companies (Cellnex, in primis), che, tra il 2014 ed il 2020, aumentano di sette punti percentuali la propria quota, arrivando al 20% del mercato. Peraltro, a questo fenomeno si è accompagnata la strategia di carve out di molti grandi operatori di tlc, con il conferimento delle proprie torri ad una separata entità. Solo in alcuni casi, il processo di consolidamento del mercato delle torri è collegato ad analogo processo nel mercato dei servizi (l'acquisizione di E-Plus da parte di Telefonica in Germania). Nel mercato dei cavi sottomarini aumenta ruolo delle piattaforme digitali Un fenomeno diverso, non riconducibile alle tendenze di concentrazione dei mercati, interessa un altro mercato "contiguo", quello dei cavi sottomarini, dove aumenta il ruolo delle piattaforme digitali, soprattutto Google e Facebook, impegnate a realizzare, da sole o in consorzio con altri soggetti, queste infrastrutture fondamentali per il traffico Internet. Anche in questo caso, ne consegue una riduzione del ruolo delle telco. Siamo quindi di fronte ad una fase particolarmente difficile per gli operatori di tlc, che da molti anni vedono ridursi, per diverse ragioni, fatturati e margini, mentre resta la necessità di investire sia nelle reti che nei nuovi servizi. A tal fine, l'Unione europea ed i singoli Paesi membri hanno varato strategie di sostegno all'investimento privato per la realizzazione di reti a banda ultra-larga. Ciononostante, il contesto, decisamente mutato rispetto a dieci anni fa, permane critico per le telco. Di questa situazione, dovranno tenere conto le diverse autorità pubbliche: nel valutare le operazioni di concentrazione e gli accordi, per quanto riguarda le autorità antitrust, come segnala la nuova policy di Ofcom in materia; nel fissare oneri (per le risorse scarse) e limiti (elettromagnetici, in primis), da parte dei governi; nello svolgimento delle analisi di mercato (ormai limitate a due settori), nel caso delle autorità di regolazione, la cui attenzione è probabile si concentri sulla tutela del consumatore, per i possibili riflessi negativi di una (eventuale) concentrazione dei mercati. 25/03/2022

11 Marzo 2022

«Indispensabile aumentare le sinergie europee di fronte a emergenza cyber»

Parla Emanuele Galtieri, amministratore delegato della società di cybersecurity Cy4Gate Per contrastare gli attacchi cibernetici la parola d'ordine è «cooperazione» ed è «indispensabile aumentare le sinergie europee di fronte all'emergenza cyber». Lo afferma Emanuele Galtieri, ceo di Cy4Gate, società di cybersecurity, in un'intervista a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School), alla luce dei rischi legati al conflitto russo-ucraino. Rischi che, spiega il manager, erano prevedibili visto che «l'attuale condizione di conflittualità nel dominio cyber si protrae sin dal 2014, anno in cui la Russia occupò la Crimea». Cy4Gate è una società quotata in Borsa e controllata al 54% dal gruppo Elettronica, che opera principalmente con governo, forze armate, forze di polizia e agenzie di intelligence. Nelle attuali circostanze è pronta ad aiutare le istituzioni «con servizi a valore aggiunto quali le attività di penetration testing e vulnerability assessment, finalizzate a valutare il livello di resilienza del 'perimetro cibernetico' sotto esame». D'altronde, in generale, il numero di attacchi registra, spiega il ceo, «un trend crescente nell'ultimo biennio che, in circostanze di conflitto quali quello attuale, tende ad acuire un fenomeno di cui spesso si rimane vittime inermi di un nemico invisibile per mancanza di consapevolezza, formazione e competenze». L'emergenza Ucraina sul fronte degli attacchi cyber era prevedibile? Il Centro degli studi Strategici e Internazionali di Washington fa risalire i primi attacchi cyber con finalità di cyber war addirittura al 2003. E sin da allora ogni conflitto regionale o di più ampia portata è stato sempre preceduto e affiancato ad attacchi cibernetici. L'emergenza ucraina non sfugge a queste stesse strategie e tattiche che oggi si combinano in contesti di guerra cosiddetta "ibrida", pienamente prevedibile in questo frangente non solo perché la guerra cibernetica è da anni parte integrante delle modalità di condurre un conflitto ma anche perché l'attuale condizione di conflittualità nel dominio cyber si protrae sin dal 2014, anno in cui la Russia occupò la Crimea e i separatisti russofoni del Donbass, sostenuti da Mosca, hanno ingaggiato l'Ucraina in un conflitto i cui effetti sono ancor oggi pienamente percepibili. Si fa risalire al 2016 il primo importante attacco all'Ucraina con il ramsoware "Petya", che mandò nel panico un gran numero di aziende e istituzioni pubbliche, mietendo vittime illustri come, ad esempio, il colosso francese della grande distribuzione Auchan, sebbene il bersaglio principale fosse proprio l'Ucraina, destinataria di circa l'80% degli attacchi del nuovo e micidiale virus. Come potete supportare le istituzioni italiane? Le profonde skill tecniche delle nostre persone ci permettono di supportare le istituzioni ove siamo richiesti con servizi a valore aggiunto quali le attività di penetration testing e vulnerability assessment, finalizzate a valutare il livello di resilienza del "perimetro cibernetico" sotto esame, nell'ottica di fornire gli strumenti necessari a irrobustirne le difese, elevandone il livello di protezione. Le iniziative sin qui descritte resterebbero ancora poco efficaci se non corroborate da una fase di training per generare awareness sul tema della cybersecurity e abilitare gli operatori del settore nell'identificare e respingere un attacco. È in quest'ottica che si innesta la Cy4Gate Academy, una palestra cyber, costituita da un mix di attività teoriche abbinate da periodi di esperimento pratico presso i nostri laboratori cibernetici, ove è possibile toccare con mano l'intensità di una cyber war, sebbene simulata. Contiamo di poter, a breve, ulteriormente rafforzare il nostro apporto alle istituzioni e alle aziende nazionali grazie all'acquisizione del 100% di Aurora, società collocata al vertice di un gruppo leader nell'ambito della cyber intelligence e data analysis. Avete approntato strumenti nuovi qualora l'emergenza per l'Ucraina dovesse crescere? Bisogna entrare nell'ottica che, nella cyber, ciò che fino a qualche anno fa poteva essere definito un'emergenza è oggi da considerarsi la "nuova normalità". In questo contesto di conflitto permanente sul campo di battaglia digitale, per un'azienda che fa della cybersecurity il proprio core business, i piani di gestione delle emergenze rappresentano il pane quotidiano. Abbiamo costituito un "Incident response team" capace di identificare e contrastare gli attacchi cibernetici tanto a tutela della nostra realtà aziendale quanto a supporto di enti e istituzioni che richiedano il nostro coinvolgimento. Dobbiamo, purtroppo, segnalare come il numero di attacchi registri un trend crescente nell'ultimo biennio che, in circostanze di conflitto quali quello attuale, tende ad acuire un fenomeno di cui spesso si rimane vittime inermi di un nemico invisibile per mancanza di consapevolezza, formazione e competenze. Inoltre l'innovazione, nel dominio della cybersecurity è indispensabile per la realizzazione di prodotti in grado di contrastare una minaccia in perenne evoluzione. Cy4Gate ha creato una rete di collaborazioni tra la propria ingegneria e le principali università e centri di ricerca nazionali su temi di frontiera in questo settore. Abbiamo creato da gennaio il "Center of competence for artificial intelligence", reparto di risorse dedite esclusivamente alla creazione di efficaci algoritmi di intelligence artificiale applicati trasversalmente ai nostri prodotti. L'azienda aderisce, inoltre, ai principali tavoli europei di ricerca e innovazione. E' auspicabile un maggior coordinamento in chiave europea? Nel dominio cibernetico la parola d'ordine è "cooperazione". Serve collaborare tra pubblico e privato poiché la maggior parte delle infrastrutture, specialmente quelle definite "critiche", opera in un ambiente digitale, è posseduta e gestita da privati ma viene regolamentata dal settore pubblico; ma è, altresì, indispensabile generare sinergie a livello europeo. Su questo versante se ne parla, tra alterne fortune, già dal 2000 ma con successi alterni. Da allora il quadro normativo europeo in materia si è molto evoluto e a ciò ha contribuito l'istituzione del 2004 dell'Enisa (European union agency for cybersecurity) che, tra i suoi obiettivi, ha quello di stimolare un'ampia cooperazione tra gli attori del settore pubblico e privato sia a livello di singoli Stati sia comunitario e il ruolo è stato ulteriormente rafforzato nel 2019 quando, con il "Cyber Security Act", gli è stato attribuito anche il mandato di operare come centro di informazioni e conoscenze, promuovendo lo scambio di buone pratiche tra gli Stati membri e i portatori di interessi del settore privato. La recente istituzione in Italia dell'Agenzia per la cybersicurezza nazionale, quale punto unico di contatto per la cooperazione tra omologhi enti degli Stati Membri, completa un quadro in materia che lascia decisamente ben sperare sull'efficacia del coordinamento cyber in chiave europea. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 10/3/2022

11 Marzo 2022

«In Ucraina non è ancora cyber war, ma occorre prepararsi e difendere le infrastrutture»

Parla Eugenio Santagata, AD di Telsy (TIM): «Stiamo cercando di trovare le vulnerabilità e simulare attacchi cyber su larga scala» Nel caso del conflitto russo-ucraino, al momento, non è corretto parlare di cyber war e, secondo Eugenio Santagata, ceo di Telsy, società della cybersecurity del gruppo Tim, è improbabile che ci sia un'escalation. Ma in questi casi è bene prepararsi e, indipendentemente da quello che si registra, aggiunge il manager nell'intervista a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School), «stiamo cercando di trovare le vulnerabilità delle nostre infrastrutture e simulare attacchi cyber su larga scala». Occorre, inoltre, innalzare gli investimenti per i progetti di cybersecurity: i 650 milioni previsti dal Pnrr sono «un buon inizio», ma «la necessità di investimenti è molto più alta». Santagata, già ceo di Cy4Gate e vicedirettore generale di Elettronica, ha trascorso 15 anni in vari ruoli operativi come ufficiale di comando in operazioni militari. Quali sono i settori più a rischio in caso di attacchi cyber? I settori che presentano un maggior livello di esposizione al rischio riguardano sicuramente le infrastrutture su cui si basano i servizi di pubblica utilità e dove operano sia le grandi aziende sia le Pmi. Le prime, grazie a una sensibilizzazione continua, hanno già sviluppato sistemi di difesa avanzati. Nel vasto mondo delle Pmi, invece, per fattori culturali o di budget, c'è ancora una scarsa percezione dell'utilità degli investimenti nella difesa da attacchi cyber. Per queste ragioni stiamo ponendo particolare attenzione a questo comparto, con una rinnovata strategia di offerta.In generale Telsy, grazie alle proprie competenze, e in piena sinergia con la forza vendite di Tim, offre le più avanzate tecnologie e servizi di sicurezza per le diverse tipologie di clienti, pubblici e privati. Per la loro strategicità vanno considerati con attenzione anche il mondo della sanità e quello della pubblica amministrazione, settori nei quali è necessario innalzare il livello di sicurezza informatica. Anche perché dal 6 marzo, nell'ambito del conflitto russo-ucraino, c'è stata la segnalazione, da parte del Csirt di un potenziale incremento di attività cyber rivolto agli obiettivi italiani. È stato importante sensibilizzare una platea più ampia possibile di attori in concomitanza con la recrudescenza di azioni offensive. Peraltro, stiamo vivendo in un periodo in cui tutti i giorni si registrano azioni con motivazioni varie, un fenomeno che in realtà perdura da tutto l'anno h24. La presa d'atto del pericolo è di per sé una buona notizia, spinge a porre in essere come sistema Paese delle contromisure. Bastano i 650 milioni stanziati dal Pnrr per la cybersecurity? Sicuramente costituiscono un buon inizio, ma la necessità di investimenti per progetti di cybersecurity è molto più alta. Il tema è comprendere il valore intrinseco della sicurezza cibernetica in ogni settore. Se pensiamo, ad esempio, ad investimenti di intelligenza artificiale per le smart city oppure alla sensoristica occorre chiedersi: qual è la quota destinata alla cybersecurity? E così via. Un altro aspetto rilevante per poter pensare a una strategia difensiva solida è quello di avere tecnologie di proprietà: l'80% delle tecnologie è di provenienza estera, il rischio è dunque quello di finanziare, anche con il Pnrr, soprattutto le aziende straniere. Sono temi sui quali stiamo lavorando direttamente. Il terzo tema è quello dei talenti. In questo periodo di incremento della campagna offensiva, si fa sempre più fatica, per varie ragioni, a reperire le competenze necessarie. In caso di escalation campagna offensiva, si può parlare di rischio di cyber war per il conflitto russo-ucraino? Su questo c'è molta disinformazione, proviamo a fare chiarezza. È vero che si è registrato un aumento significativo di operazioni finalizzate a creare disservizio; al tempo stesso, non credo si possa parlare di cyber war nel caso dell'Ucraina. Quello a cui abbiamo assistito sono principalmente attacchi dimostrativi, volti a fare rumore. Niente di paragonabile a quanto accaduto in Ucraina nel 2014 e nel 2016-2017, quando la Russia dimostrò di poter colpire la rete elettrica nazionale. Non è detto che non avvenga in seguito, ma a mio avviso è improbabile sulla base di diverse considerazioni. Se da un lato la forza difensiva ucraina è più solida rispetto al 2016-2017, d'altro canto quando si passa a operazioni militari di tipo convenzionale, l'attacco cyber, se c'è, diventa secondario. Negli ultimi 20 anni le operazioni di attacco cyber in grande scala sono state poche, considerando anche quelle rivolte contro l'Ucraina nel 2014 e nel 2017. Quando avviene l'attacco cyber in larga scala in genere tacciono le armi. Al momento l'arma cyber è stata usata più per creare fake news o fare propaganda. Nel caso, che lei ritiene improbabile, di escalation dei cyber attacchi, l'Italia è pronta? In questo campo vale il detto "se vuoi la pace devi preparare la guerra", indipendente da quello che registriamo anche a fronte di un fenomeno cyber poco rilevante. Vale da stimolo per aumentare la nostra capacità di resilienza. Stiamo cercando di trovare le vulnerabilità delle nostre infrastrutture, simulare attacchi cyber su larga scala, ci concentriamo talvolta sui servizi più esposti di un'azienda, come il sito web o la posta. Avete studiato prodotti per l'emergenza, state portando avanti iniziative ad hoc? Tra le soluzioni sul mercato ne abbiamo una di education sotto forma di tutorial rivolta al mondo delle Pmi, ma anche alle grandi aziende che vogliano dotare tutti i dipendenti di conoscenze, coinvolgendo pure coloro che non lavorano nel settore della sicurezza. Occorre ricordare che nella maggior parte dei casi l'anello debole è proprio l'uomo. In ottica nazionale, noi stiamo interagendo continuamente con gli stakeholder, con l'Agenzia per la cybersicurezza, i nostri partner storici come la Difesa o le forze armate.  SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 10/3/2022

11 Marzo 2022

Urso (Copasir): «Attacco cibernetico su vasta scala va considerato atto terroristico»

La soluzione migliore per la rete di tlc, dice inoltre il presidente del Comitato, è un'infrastruttura «unica e a controllo pubblico» Nuove proposte in arrivo da parte del Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, per migliorare l'asseto normativo e fronteggiare i rischi cyber che emergono dal conflitto tra Russia e Ucraina. Lo annuncia a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) il presidente Adolfo Urso.«In passato - spiega -  abbiamo anche sottolineato come la Russia sia il Paese più attrezzato al mondo per la guerra cibernetica e come sia necessario anche predisporre una difesa pro-attiva». Il Comitato ha di recente audito il direttore dell'Agenzia per la cybersicurezza nazionale e ritiene che l'attacco cibernetico non vada perseguito come truffa ma come atto terroristico. Quanto alla sicurezza di un asset strategico come la rete di tlc, Urso rimarca che la soluzione migliore sarebbe «una rete unica a controllo pubblico». In occasione del conflitto russo-ucraino e dell'ipotesi di uno scenario di guerra cibernetica che cosa si può fare per migliorare la risposta dell'Italia? Proprio ieri abbiamo audito il direttore della Agenzia per la cybersicurezza nazionale e nei prossimi giorni presenteremo nostre specifiche proposte per migliorare l'assetto normativo anche per fronteggiare nuovi rischi che emergono dal conflitto in Ucraina. Già nella prima relazione in questa legislatura il Copasir, tra i tanti aspetti, aveva sottolineato che mancava allora e manca ancora oggi una fattispecie di reato specifico. L'attacco cibernetico è perseguito come truffa, una fattispecie inadeguata tantopiù nel caso in cui l'autore sia uno Stato o un gruppo terroristico. In passato abbiamo anche sottolineato come la Russia sia il Paese più attrezzato al mondo per la guerra cibernetica e come sia necessario anche predisporre una difesa proattiva. Alla stregua di quanto già detto da alcuni colleghi del Copasir, posizione che io condivido, occorre anche configurare l'attacco cibernetico su vasta scala come attacco terroristico. In generale, la guerra russo-ucraina, nel cuore della nostra Europa, ci rende consapevoli di quanto importante sia la sicurezza nazionale. Credo che sia un punto di svolta il dibattito che si terrà sabato in Senato sulla nostra relazione al Parlamento: non era mai accaduto dal 2007 ad oggi, cioè dalla istituzione del Copasir. Gli asset strategici come la rete di tlc sono adeguatamente tutelati? Come Copasir abbiamo individuato alcuni aspetti per rafforzare la sicurezza cibernetica del Paese: l'implementazione dell'Agenzia per la cybersicurezza nazionale, l'accelerazione del cloud nazionale della Pa, la realizzazione della rete unica a controllo pubblico, l'importanza dell'industria strategica dei cavi marittimi e la interconnessione globale, l'implementazione del perimetro nazionale sulla sicurezza cybernetica. Sono aspetti per migliorare non solo la sicurezza, ma anche la difesa del Paese e la sua competitività. Sulla rete fissa di tlc, per la quale si parla di integrazione tra l'infrastruttura di Tim e quella di Open Fiber, qual è la soluzione migliore, anche in chiave sicurezza? Noi diamo indicazioni sulla strada da seguire per garantire la sicurezza nazionale, quindi la parola passa al Parlamento, per quanto riguarda l'aspetto legislativo, e soprattutto al governo che può agire relativamente a eventuali attori pubblici in campo e soprattutto c'è il mercato con le sue regole e con i suoi attori, da valorizzare. Ci tengo a sottolineare che non interferiamo sul mercato, ma diamo un quadro di insieme su quanto secondo noi, in materia di politica strategica della rete, sia più utile per garantire la sicurezza nazionale. Tornando al conflitto russo-ucraino, che ha fatto alzare l'allerta sugli asset strategici, era prevedibile ed evitabile? Nella relazione al Parlamento al 9 febbraio, prima dell'inizio del conflitto, abbiamo già evidenziato la situazione critica nelle relazioni tra Russia e Ucraina e delineato una accresciuta postura aggressiva di Mosca non solo in Europa Orientale ma anche nei Balcani, nel Mediterraneo e nel Sahel. Attualmente c'è un confronto su scala globale, che speriamo non si trasformi mai in conflitto, tra sistemi autoritari e democrazie occidentali, confronto che trova un esempio drammatico nella invasione Russia in Ucraina. Il confronto si estrinseca già in forme di competizione, la prima delle quali riguarda la supremazia tecnologica e il controllo delle materie prime. Altrimenti non si spiegherebbe perché la Russia è così interessata alla Libia e alla regione del Sahel, dove guarda caso si trova anche la Cina che, a sua volta, utilizza altri mezzi, ovvero la sottomissione del debito, in Africa come nella realizzazione della via della Seta. L' obiettivo dei due Paesi è lo stesso: il controllo delle materie prime, dei minerali preziosi e delle terre rare, ma anche delle risorse energetiche e alimentari, sicuramente di tutto ciò che serve alla transizione digitale ed ecologica. Alla luce delle emergenze epocali come la pandemia e l'attuale conflitto, quale è la migliore strada da seguire in tema di politica industriale? L'Italia deve essere protagonista dell'autonomia strategica europea e occidentale. Per alcuni settori ci vuole tempo, ma è importante che ci sia la consapevolezza in Italia ed Europa della strategia da seguire per garantire la sicurezza del Continente che passa anche da una politica industriale che metta in salvaguardia gli asset strategici italiani ed europei e l'investimento sulle nuove frontiere della tecnologia. L'autonomia strategica che viene giustamente declamata per la difesa europea, infatti, vale anche per la sicurezza europea e ancor più per i nostri asset strategici, per l'economia digitale e per la transizione ecologica, senza le quali è impossibile realizzare e garantire una piena indipendenza. Il Copasir ha da tempo messo in guardia dall'utilizzo di tecnologia cinese per asset strategici, non c'è lo stesso pericolo di ingerenze con le big tech americane? Siamo consapevoli, e lo sono anche negli Usa, dello strapotere delle big tech. Un ambito per cui vale quello che sostengono autorevoli pensatori liberali sui problemi che sorgono quando una azienda ha dimensioni superiori allo Stato in cui opera. In più, in questo caso, vi sono problemi connessi non solo alla privacy, che noi giustamente tuteliamo, ma anche alla sfera più intima delle nostre libertà. Oggi con il riconoscimento facciale è possibile individuare persino quali siano le opinioni politiche di un individuo. E questo richiama quel che prima affermavo sul confronto in corso tra democrazie occidentali e sistemi autoritari che hanno altre scale di priorità, per esempio il controllo sociale e di ogni forma di dissenso. Per semplificare, quale dovrebbe essere il nostro approccio sugli asset strategici? Siamo italiani, di conseguenza fondatori dell'Europa e parte essenziale dell'Occidente. Quindi, quando cerchiamo una soluzione, in prima istanza proviamo a trovarla in sede nazionale, se ciò non fosse possibile per motivi di dimensione finanziaria, tecnologica o produttiva, è bene che sia europea, se per motivi di economia di scala o altre ragioni non può essere solo europea, è bene che sia occidentale. Un principio che si applica, per esempio, anche per il progetto di cloud nazionale o nell'ambito della produzione di microchip, materia prima che scarseggia per varie ragioni geopolitiche. La logica, in quest'ultimo caso, dovrebbe privilegiare una soluzione europea, in partnership con le aziende americane o taiwanesi o coreane. Credo che la guerra nella nostra Europa, con gli orfanotrofi e gli ospedali pediatrici bombardati, abbia cambiato ogni paradigma. Chi poteva immaginare che la Polonia aprisse per prima le frontiere? L‘Europa oggi è rinata proprio con la resistenza ucraina che scuote le nostre coscienze e che ci fa capire il valore delle libertà su cui si fonda la nostra civiltà. L'Europa rinasce a Kiev. Sono convinto che tornerà ad affermare sua volontà più forte che mai, sta rinascendo un sentimento europeo. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 10/3/2022

11 Marzo 2022

Clusit: «Infrastrutture critiche ben difese da cyber attacchi, anello debole sanità»

Parla il presidente dell'associazione italiana per la sicurezza informatica, Gabriele Faggioli: «Italia ha investito meno degli altri nel settore» Per il momento la percentuale di attacchi cyber attribuibili alla cosiddetta ‘guerra cibernetica' è bassa, intorno al 2 per cento. Ma Clusit, l'associazione italiana per la sicurezza informatica, si aspetta che questa quota aumenti. Tra i possibili target degli attacchi ci sono le infrastrutture critiche, come le reti di tlc, che però, spiega il presidente Gabriele Faggioli a DigitEconomy .24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) sono «ben difese ormai da anni», mentre l'anello debole resta la sanità. In generale, riguardo ai rischi futuri, il nostro Paese «è stato sempre abbastanza marginale nella partecipazione alle azioni sanzionatorie e militari e, quindi, potrebbe essere meno un target di attacco, d'altro canto l'Italia ha fatto investimenti in sicurezza inferiori rispetto agli altri e, in quanto più debole, potrebbe essere preferita per realizzare attacchi perlomeno dimostrativi». Avete calcolato l'impatto della crisi russo-ucraina sugli attacchi informatici? La stima dell'impatto della crisi russo-ucraina è molto difficile in questo momento. Guardando ai numeri che abbiamo già pubblicato, e che si riferiscono a dicembre, la percentuale di attacchi classificabili come guerra cibernetica è intorno al 2% mentre il numero largamente preponderante è quello relativo al cyber crime volto a guadagnare soldi. Negli ultimi due-tre anni, rispetto alla minaccia dell'Isis, la fettina riconducibile alla guerra cibernetica si è più che dimezzata ed è scesa dal 4-5% all'attuale 2% circa. Ci aspettiamo ora che questa percentuale aumenti. Di quanto? Dipenderà da quanti attacchi gravi, contro chi, e con quale virulenza. Le nostre infrastrutture critiche sono ben tutelate? Ci sono anelli deboli? Esistono normative che definiscono le infrastrutture critiche, che tra le altre sono quelle riguardanti l'energia, i trasporti, le banche sistemiche, gli ospedali, le Pa e quindi le società su cui si incentra la vita civile del Paese. Se qualcuno vorrà provare a porre in essere attacchi rilevanti, è probabile che proveranno contro queste tipologie di strutture. Ovviamente, ammesso che accada, dovremo vedere se si tratterà di attacchi volti solo a realizzare pesanti disservizi oppure se l'obiettivo sarà quello di arrecare danno diretto alle persone o addirittura vittime. Faccio un esempio: un conto è bloccare una rete di telecomunicazioni per qualche ora, un altro è attaccare il sistema del traffico aereo cercando di impedire la funzionalità dei sistemi che controlla la sicurezza dei voli. È pur vero, tuttavia, che le infrastrutture critiche sono quelle meglio difese in quanto, anche per la leva normativa, sono stati fatti ingenti investimenti in sicurezza ormai da anni. Penso faccia un po' eccezione il sistema sanitario nel quale, perlomeno sulla base dei dati che posso analizzare, penso non siano stati fatti abbastanza investimenti nel passato con la conseguenza che oggi si tratta di un settore strutturalmente più debole rispetto per esempio al comparto tlc o alle banche. Le infrastrutture di tlc sono in sicurezza? Di sicuro le tlc rappresentano un ambito critico e se ne sta parlando moltissimo, anche in merito alla possibile disconnessione della Russia da Internet, ma le aziende del settore sono attente, hanno fatto importanti investimenti e utilizzano tecnologie molto avanzate. Non vuol dire che siano impermeabili agli attacchi, ma la possibilità di anticiparli e di mitigarne gli effetti è più alta che in tanti altri settori. L'Italia è pronta in caso di escalation degli attacchi? Esiste l'Agenzia per la cybersicurezza nazionale guidata da Roberto Baldoni che assieme ad altre autorità coinvolte sta facendo un grande lavoro a tutela della nostra nazione. Inoltre, a livello normativo, l'Italia ha seguito il percorso indicato dalla Ue, varando in maniera molto efficace il perimetro nazionale di cybersecurity. Infine, il Governo italiano e le istituzioni preposte stanno applicando correttamente la politica di difesa. Per fare un esempio il 6 marzo scorso il Csirt (Computer security incident response team) e l'Agenzia nazionale hanno inviato una comunicazione per innalzare l'allerta in vista di possibili attacchi cibernetici anche verso obiettivi italiani. L'allerta sarà alta in tutti questi giorni del conflitto. Sono scese in campo forze che si fronteggiano, come Anonymous e Conti. La possibilità che si realizzino degli attacchi è quindi molto alta. Se da un lato il nostro Paese è stato sempre abbastanza marginale nella partecipazione alle azioni sanzionatorie e militari e, quindi, potrebbe essere meno un target di attacco, d'altro canto l'Italia ha fatto investimenti in sicurezza inferiori rispetto agli altri Paesi e, in quanto più debole, potrebbe essere preferita per realizzare attacchi perlomeno dimostrativi. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 10/3/2022

25 Febbraio 2022

Baggioni (Vodafone): «sul 5G in Italia c'è interesse crescente delle Pmi»

Dall'industria al turismo alla formazione all'automotive fino a un occhio al 6G: la manager fa un punto sulle applicazioni in Italia Avanti con le applicazioni su servizi, turismo, automazione industriale, formazione, con un interesse crescente anche da parte delle aziende italiane piccole e medie. Servirà più tempo, invece, per vedere le applicazioni attese nell'automotive come la guida autonoma per cui tecnologicamente siamo pronti ma mancano ancora dei passi da fare. A tirare le somme, con DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) sull'evoluzione delle applicazioni 5G in Italia è Sabrina Baggioni, direttrice del programma 5G di Vodafone Italia. Per il 6G, invece, dovremmo ancora aspettare. In Italia, aggiunge la manager, «ci sono nei laboratori vari studi sul 6G, ma prima di vederli in campo ci vorrà qualche anno». Che bilancio si può trarre sull'applicazione del 5G in Italia? Quali sono i settori maggiormente all'avanguardia? Dall'osservatorio privilegiato che abbiamo sull'evoluzione del 5G tramite la nostra call per startup, notiamo un crescente interesse delle piccole e medie imprese italiane, non solo delle startup innovative, a proporre soluzioni che si basano sul 5G. Ma quello che rileviamo, e questo lo noto dall'interlocuzione con le imprese di grandi e medie dimensioni, è soprattutto la maggiore chiarezza che le aziende hanno sulle potenzialità della tecnologia nel portare beneficio al business. Un fenomeno che si vede in particolar modo nel mondo industriale, dove applicazioni che si basano su una latenza bassissima consentono, tra le altre cose, di migliorare la gestione degli impianti e di condividere informazioni con più utenti. Un altro ambito per cui si registra un interesse trasversale, dalle grandi aziende alle piccole, è quello della formazione, con soluzioni di realtà immersiva e realtà aumentata abilitate dal 5G. È un campo che suscita molto interesse in ambito produttivo e anche nel settore dei servizi, compresa la sanità, realizzando formazione non solo universitaria, ma anche attraverso il training continuativo del personale medico-sanitario. Come inciderà il Pnrr nell'evoluzione delle applicazioni 5G? Il Piano nazionale di ripresa e resilienza ha un ruolo molto importante perché, al di là del grosso degli investimenti destinati alle infrastrutture, molte delle missioni e sotto-missioni si concentrano sulla digitalizzazione, sulle tecnologie e sui servizi a supporto dell'acquisizione continuativa, precisa e in tempo reale delle informazioni. Nell'ambito del Pnrr ci sono alcuni bandi principali con scadenza entro il mese di marzo, sui quali aziende ed enti pubblici stanno accelerando. Sono bandi che riguardano il turismo, a supporto di una fruizione del bene comune, delle aree pubbliche, delle aree verdi; c'è un bando dedicato ai borghi, ci sono opportunità in direzione di un tipo di esperienza museale o all'aperto diversa e immersiva, dove il 5G è proprio la risposta. Da sottolineare anche la missione 6 che è dedicata alla salute: sono previsti sia il presidio territoriale e la creazione di nuovi punti di vicinanza al paziente, sia la digitalizzazione dei processi e le soluzioni digitali, dove l'acquisizione dei dati diventa importante per la cura, in tutto il processo che va dalla prevenzione alla ospedalizzazione, fino al post ricovero. In Italia parliamo ancora di 5G, ma nel mondo si discute già del 6G, che orizzonte ci aspetta? Al momento il 6G è nei laboratori, peraltro anche il 5G ha fatto una "gavetta" molto lunga. La nostra sperimentazione di Milano sul 5G è partita nel 2018, stiamo cioè parlando di tempi che sono pluriennali. Ci sono nei laboratori vari studi sul 6G, ma prima di vederli in campo ci vorrà qualche anno. Vedremo a breve applicata la guida autonoma? L'impatto del 5G su tantissimi servizi e sulla gestione più efficiente delle città è chiarissimo e fondamentale. Noi a Milano, ad esempio, stiamo sviluppando il trasporto pubblico locale elettrico autonomo grazie al 5G. La guida autonoma, tecnologicamente, è fattibile. Ma mettere assieme tutti i pezzi, che vanno dal singolo contributo tecnologico al veicolo, dalla raccolta dei dati fino agli elementi fondamentali come la regolamentazione e il codice della strada, richiede tempo. L'Italia in generale, dal vostro punto di osservazione, a che punto è rispetto agli altri Paesi europei? All'interno del Gruppo Vodafone, il livello di evoluzione tecnologica è equivalente in tutti Paesi dove operiamo. Dal punto di vista delle soluzioni, tuttavia, l'Italia è molto avanti perché siamo partiti prima grazie alla sperimentazione promossa dal Ministero dello Sviluppo economico, e abbiamo imparato tantissimo. Ora altri Paesi stanno accelerando: ci sono sperimentazioni molto importanti in Spagna, negli ospedali e nelle università in Gran Bretagna, qualche azienda sta sperimentando in ambito produttivo in Germania. Stiamo affrontando le stesse tematiche con soluzioni abbastanza simili. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 25/2/2022  

25 Febbraio 2022

«Quest'anno reti 5G standalone in Italia, rendere sostenibili gli investimenti delle telco»

Parla  Emanuele Iannetti, ad di Ericsson Italia. Al Mobile Congress di Barcellona prodotti sostenibili e a risparmio energetico La sostenibilità sarà uno dei temi più rilevanti del Mobile World Congress di Barcellona che si apre il 28 febbraio. Lo anticipa Emanuele Iannetti, presidente e amministratore delegato di Ericsson Italia nell'intervista a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School). Il gruppo mette sul mercato «prodotti che garantiscono un notevole risparmio energetico e un aumento della capacità fino a dieci volte», aggiunge Iannetti. Tra le applicazioni che vedremo più rapidamente realizzate ci sono il cloud gaming e le applicazioni che permettono di vivere esperienze immersive negli stadi, come avvenuto con il Super Bowl. In Italia quest'anno è prevista l'implementazione delle reti 5G standalone (soluzione che prevede che la rete 5G sia in tutto e per tutto autonoma), ma per velocizzare lo sviluppo della tecnologia servono, secondo il manager, riforme e non bisogna «ostacolare la remunerazione degli investimenti degli operatori, per una sostenibilità economica di tutta la filiera». Si aprirà tra breve il Mobile Congress di Barcellona, in che direzione si guarda? Il Mobile World Congress si aprirà con oltre 660 milioni di abbonamenti 5G già attivi nel mondo, come certifica la nuova edizione del Mobility Report di Ericsson. Una cifra considerevole se pensiamo che a fine 2019, prima dello scoppio della pandemia, le sottoscrizioni al 5G erano appena 13 milioni. Due anni di Covid che hanno messo in evidenza quanto sia importante la connettività per continuare a lavorare, studiare e socializzare anche a distanza, e che in molti casi ha accelerato l'implementazione delle reti di nuova generazione. Anche se ciò vale soprattutto per Asia e Stati Uniti, in misura minore per l'Europa. Ora è tempo di proiettarci verso una connettività senza limiti che consenta di migliorare la vita delle persone, digitalizzare scuole, ospedali e industrie e aprire le porte a un futuro sempre più sostenibile e rispettoso dell'ambiente. Al Mobile World Congress sarà proprio la sostenibilità uno dei temi più rilevanti. In questa ottica mostreremo il nostro nuovo portafoglio di reti di accesso radio, con soluzioni che soddisfano gli obiettivi di efficienza energetica e rapida implementazione del 5G condivisi con gli operatori. Per accelerare l'implementazione del 5G su scala nazionale, mettiamo sul mercato prodotti che garantiscono un notevole risparmio energetico e un aumento della capacità fino a dieci volte, con un ingombro aggiuntivo minimo o nullo. Quali saranno le applicazioni più innovative e in che settori? Quando le vedremo sul mercato? Con la rapida crescita del 5G e le prime implementazioni del 5G standalone, gli operatori avranno la necessità di monetizzare i loro ingenti investimenti, puntando su nuovi modelli di business e casi d'uso innovativi sia per il segmento consumer che per le imprese. Nel breve periodo pensiamo al cloud gaming o alle applicazioni che permettono di vivere esperienze immersive negli stadi, come è avvenuto recentemente durante il Super Bowl. Di estremo interesse le applicazioni evolute per l'Industria 4.0 in grado di migliorare la sicurezza sui luoghi di lavoro e ottimizzare i processi, così come il monitoraggio e trattamento da remoto di un paziente in ambulanza prima dell'arrivo in ospedale. Tecnologie come la network slicing ed edge computing saranno importanti abilitatori. Quali tempistiche sono previste per la guida autonoma? Anche se ci sono già delle sperimentazioni molto interessanti, la guida autonoma non sarà diffusa nell'immediato. La tecnologia sta invece rivestendo un ruolo sempre più centrale per aumentare la sicurezza e prevenire situazioni di pericolo. I veicoli connessi già beneficiano di un'ampia varietà di servizi abilitati dal 4G ma nei prossimi anni il 5G permetterà ai sistemi avanzati di assistenza alla guida (adas) di evolvere ulteriormente. Pensiamo ad esempio a un veicolo dotato di pneumatici intelligenti, in grado di trasmettere il rischio di acquaplaning ad un altro veicolo che segue nell'immediato, attraverso l'utilizzo della banda ultra larga e la bassa latenza del 5G. In Italia ci sono progressi sulla copertura delle reti, ma ancora sono connesse solo alcune principali città. Quali gli ostacoli principali? Per accelerare l'implementazione del 5G su banda media, quella considerata più adatta per la copertura nazionale del 5G, servono principalmente due azioni: attuare riforme e non ostacolare la remunerazione degli investimenti degli operatori, per una sostenibilità economica di tutta la filiera. Secondo quanto dichiarato da Asstel in Senato, il contesto del mercato delle telecomunicazioni italiane è già caratterizzato da un livello elevatissimo di concorrenza, per cui provvedimenti in materia devono essere orientati a favorire l'esercizio dell'attività degli operatori, per andare nella direzione della massima semplificazione e del rafforzamento della stabilità e prevedibilità del quadro normativo. Occorre ad esempio armonizzare i limiti di emissione elettromagnetica vigenti in Italia agli standard europei e continuare a semplificare le autorizzazioni necessarie alle istallazioni delle reti. Limiti meno stringenti consentirebbero di accelerare il raggiungimento degli obiettivi di copertura del territorio nazionale in tecnologia 5G, cui il Piano nazionale di ripresa e resilienza destina oltre 2 miliardi di euro. Che cosa vi aspettate dai bandi sul 5G che usciranno a breve e quali requisiti dovrebbero avere? Il Governo con Italia 5G ha definito il piano di intervento pubblico nazionale per incentivare la realizzazione delle infrastrutture. Penso che a fine 2026 si potranno considerare terminati molti dei punti fissati per raggiungere gli obiettivi programmatici. Si punta a colmare il divario nelle province e nelle città dove oggi c'è effettivamente un digital divide. Per arrivare alle coperture richieste sarà opportuno usare un'architettura mista fibra e radio. Il 5G Fwa è una soluzione efficiente già ampiamente adottata con successo dagli operatori americani e che dovrebbe essere usata maggiormente nel prossimo futuro anche in Italia. Quando avremo in Italia le reti 5G stand alone? Siamo stati i primi in Europa a lanciare il 5G standalone, e stiamo lavorando con moltissimi operatori per preparare il lancio di ulteriori reti. L'Italia seguirà già quest'anno e il 2023 sarà l'anno in cui vedremo tanti casi d'uso che fanno leva proprio sulle caratteristiche di questa piattaforma. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 25/2/2022  

25 Febbraio 2022

Hu Kun (Zte): «Il 6G non è lontano, pronti a sperimentarlo anche in Italia»

Il manager cinese sottolinea la necessità, in tema di situazione internazionale, di maggiore collaborazione, anche in ambito di supply chain Il 6G, che comporterà una connettività illimitata e quasi istantanea, «non è così lontano da noi», sarà uno dei fondamenti della società, cambierà il sistema delle imprese e gli anni '30 «potrebbero essere ricordati come l'inizio dell'era della robotica mobile personale». A tracciare le linee prospettiche del mondo che ci attende è Hu Kun, presidente di Zte Western Europe e Ceo Zte Italia, in occasione del Mobile Congress di Barcellona che si aprirà il 28 febbraio. All'evento il vendor cinese ha scelto il tema "Inspire digital world", come annuncia Hu Kun nell'intervista a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore e della Luiss Business School) e coglierà l'occasione «per mostrare come Zte aiuterà gli operatori a trasformarsi rapidamente in fornitori di servizi digitali nell'era 5G». Guardando allo scenario globale, Zte ribadisce la necessità di una maggiore collaborazione, anche sul fronte della supply chain. Per quanto riguarda gli investimenti in Italia, nonostante il rallentamento della pandemia, il gruppo è impegnato a raggiungere gli obiettivi previsti di un miliardo di investimenti in un quinquennio. C'è molta attesa per il prossimo Mobile World Congress che si apre a Barcellona il 28 febbraio, dopo le edizioni sottotono in piena era Covid. Cosa possiamo aspettarci in termini di nuove applicazioni e orizzonti per il 5G? Il nostro tema MWC2022 è "Inspire the digital world". Comprende cinque argomenti: "Miglioramento della rete", "Oltre la connettività", "Sviluppo sostenibile", "Futuro digitale" e "Vita digitale". Coglieremo questa occasione per mostrare come Zte aiuterà gli operatori a trasformarsi rapidamente in fornitori di servizi digitali nell'era del 5G. Ad esempio, nella sezione Network Enhancement, si possono trovare i nostri prodotti di sistema innovativi. Come il sito radio più semplice con la maggiore capacità del settore, un sito tipico che prima necessitava di 15 Rru (Remote radio unit), ora ne richiede solo 2. Il tema "Oltre la connettività" spiega come gli operatori possano sfruttare appieno i vantaggi dell'edge computing per espandere le capacità del servizio e contribuire al successo aziendale. Inoltre, oggi tutto il mondo parla di "carbon neutrality". Il "verde" non è solo un problema morale, è diventato la regola e persino la legge per lo sviluppo futuro. Nella sezione "Sviluppo Sostenibile" presenteremo un pacchetto di strumenti per costruire una rete verde e sicura. Ad esempio, la nostra soluzione PowerPilot può ridurre il consumo energetico medio attuale del 25 per cento. Nell'area "Digital Future", ci concentreremo sugli scenari applicativi e le richieste del mercato per guidare la continua evoluzione della rete. Inclusa la distribuzione del segnale 5G e della rete ottica ovunque, che è ciò che stiamo facendo ora. La funzionalità, le prestazioni e l'efficienza delle reti saranno ulteriormente ottimizzate. Allo stesso tempo, gettiamo lo sguardo sul 6G. "Digital Life" è un invito a provare i nostri nuovissimi smartphone e altri gadget per la casa. Si parla sempre più di cybersecurity, applicata anche alle reti 5G. Ci saranno nuove soluzioni e proposte su questo fronte a Barcellona? I nostri laboratori di sicurezza informatica fungono da centro di trasparenza e piattaforma di cooperazione, per fornire funzioni come la revisione del codice sorgente, la revisione dei documenti, i test di penetrazione e il trasferimento delle conoscenze. In Italia abbiamo avviato un centro di cybersecurity a Roma. Oltre a rispettare rigorosamente le leggi e i regolamenti locali sulla sicurezza informatica, aggiungiamo un'ulteriore garanzia di sicurezza del software testando ogni versione prima di installarla nelle reti dei clienti. Sembra ancora un'utopia, almeno in ottica italiana, ma che cosa possiamo aspettarci in vista dell'avanzamento del 6G e quali nuove applicazioni? In effetti, il 6G non è così utopico, non è fantascienza. Penso che il 6G non sia così lontano da noi. Gli anni 2030 potrebbero essere ricordati come l'inizio dell'era dell'ampio uso della robotica mobile personale. Ci saranno applicazioni impegnative come la telepresenza olografica, la comunicazione immersiva, ecc. Nel prossimo decennio si aprirà una nuova era in cui miliardi di cose, esseri umani e veicoli connessi, robot e droni genereranno Zettabyte di informazioni digitali. Lo Zettabytes è un'unità che comprende 1.000 miliardi di miliardi di byte. Per affrontare queste sfide abbiamo, quindi, bisogno di costruire una rete mobile 6G. E Il 6G sarà probabilmente un ecosistema autonomo di intelligenza artificiale. Si evolverà progressivamente dall'essere umano-centrico a essere sia umano sia macchina-centrico. Il 6G porterà una connettività wireless completa quasi istantanea e illimitata. Emergerà anche un nuovo panorama per le imprese, come risultato della convergenza che il 6G consentirà nei settori della connettività, della robotica, del cloud e del commercio sicuro e affidabile. Ciò rimodellerà radicalmente il modo in cui operano le imprese. In breve, il 6G sarà uno dei fondamenti delle società umane del futuro. Abbiamo fondato lo Zte Innovation and Research Center in Italia all'inizio del 2018. Ha verificato molti prodotti, funzionalità e casi d'uso 5G avanzati anche prima della commercializzazione su larga scala. Abbiamo un ampio collegamento con operatori, imprese, università ed enti locali per spingere insieme sull'innovazione. Sono sicuro che applicheremo la stessa prassi per il 6G. Quando arriverà la finestra temporale adatta, Zte sarà di nuovo in prima fila in Italia per prepararsi abbastanza bene per l'era del 6G. La pandemia, le tensioni geopolitiche stanno giocando un ruolo importante anche in tema di investimenti. Zte ha sempre sottolineato la necessità di una collaborazione sul 5G. A che punto siamo? Sebbene la pandemia abbia portato molte sfide e abbia rallentato gli investimenti in tecnologie futuristiche, nel 2021 l'industria e la società non solo hanno compreso il valore della connettività delle telecomunicazioni, ma ora stanno esaminando tecnologie trasformative come il 5G insieme all'edge computing, IoT, AI e Big data per stimolare la ripresa economica. Parlando dei diversi mercati, Zte espanderà il business in quelli di alto valore, rafforzerà le partnership con gli operatori chiave e si concentrerà sulle reti più importanti per garantire una crescita costante. Il nostro mercato strategico per il prossimo anno è rappresentato dall'Asia, dall'Europa e dall'Africa. Vogliamo aiutare gli operatori su scala globale ad aggiornare e modernizzare le loro reti Lte e ad entrare nell'era del 5G. Quanto agli operatori che stanno già investendo nel 5G, noi vogliamo lavorare con loro, per aiutare a costruire reti 5G stand alone, al fine di monetizzare le applicazioni 5G. Vorrei inoltre sottolineare l'importanza di una collaborazione globale, noi siamo molto focalizzati sulla globalizzazione, occorre più integrazione anche sul fronte delle catene di fornitura. È importante lavorare con i nostri fornitori globali per creare un ecosistema globale delle catene di fornitura. Da vari punti di prospettiva, insomma, la collaborazione globale è la chiave. Avete annunciato nel 2020 un miliardo di investimenti in un quinquennio in Italia. A che punto siete, avete subito rallentamenti per la pandemia? Dal 2016 al 2020, nei primi cinque anni, abbiamo investito in Italia 500 milioni di euro. Inoltre, il nostro primo traguardo ci ha fatto capire meglio l'Italia, il mercato italiano, il contesto regolatorio, l'industria italiana. Poi, abbiamo definito il secondo target di un miliardo di investimenti. La pandemia ha impattato ogni industria, e dobbiamo riconoscerlo. Ma noi siamo molto fiduciosi che continueremo a investire e siamo fortemente impegnati nel raggiungimento della seconda pietra miliare (ovvero 1 miliardo di investimenti tra il 2021 e il 2025) che abbiamo annunciato.  SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 25/2/2022

25 Febbraio 2022

Nokia: «Italia a due volti per il 5G, copertura disomogenea, ma ottimismo su 2022»

Parla  l'AD Giuseppina Di Foggia. Sulla sostenibilità degli investimenti da parte delle telco la manager confida nell'aiuto dei fondi del Pnrr Un'Italia a due volti, con lo spettro 5G già assegnato e precisi obblighi, ma copertura «ancora disomogenea più concentrata sulle grandi città e non ancora adatta a soddisfare le esigenze di aziende distribuite sul territorio». Giuseppina Di Foggia, ceo di Nokia Italia, a pochi giorni dalla vetrina mondiale del Mobile Congress di Barcellona, fa un punto con DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) sull'avanzamento della nuova tecnologia in Italia. Per la manager, «occorre guardare alle reti private 5G, che sono un abilitatore della nuova rivoluzione industriale». Facendo un bilancio, Di Foggia è comunque ottimista sulla maggiore consapevolezza acquisita dalle aziende riguardo alla necessità della trasformazione digitale e ritiene che il 2022 sarà «l'anno della partenza del 5G». Quanto al problema della sostenibilità degli investimenti delle telco, confida nella consapevolezza sulle opportunità del 5G e i fondi del Pnrr «aiuteranno ad affrontare – e spero – risolvere il problema. È in gioco il futuro dell'Italia». Recentemente avete siglato la partnership con Sirti per consolidare la collaborazione tra le due aziende, che cosa vi aspettate dall'accordo? La rivoluzione del 5G richiede un approccio nuovo, in termini di capacità di innovazione e di competenze. E poiché per la corretta realizzazione di progetti verticali non basteranno competenze "generiche", ma sarà indispensabile essere specialisti nel dato settore, la collaborazione tra le imprese deve essere più stretta che in passato. L' accordo con Sirti va in questa direzione. Due aziende con esperienza e presenza in Italia da oltre 100 anni uniscono la profonda conoscenza della realtà nazionale, le rispettive capacità tecnologiche e operative, l'innovazione e, non ultimo, la determinazione necessarie perché la trasformazione digitale del Paese diventi realtà. Sono in vista intese con altre società di rete presenti nel territorio italiano? Il 5G rappresenta una vera rivoluzione. In funzione della specificità del singolo caso d'uso entreranno in gioco nuovi elementi tecnologici e nuovi attori. Ciò comporta una costante osservazione della dinamica dell'ecosistema e la valutazione di eventuali altre partnership per realizzare la trasformazione tecnologica per il futuro del nostro Paese. Su quali target e applicazioni punterete nell'anno in corso in Italia? Il 2022 dovrebbe essere per l'Italia l'anno della partenza. Dico partenza e non ri-partenza perché questa volta si va in una direzione diversa, determinata dalla spinta post-pandemica e dalle opportunità tecnologiche offerte dal 5G.E' chiaro che l'ambito infrastrutturale è quello su cui continueremo ad essere focalizzati. La progettazione e realizzazione delle reti essenziali per il Paese è il nostro obiettivo primario. Ci onoriamo di essere partner dei maggiori operatori italiani con i quali lavoriamo per garantire al Paese la disponibilità delle reti di comunicazione. Ma la trasformazione digitale resa possibile dal 5G e dalle tecnologie collegate coinvolgerà nuove imprese, in particolare le aziende manifatturiere Italiane, che dovranno rapidamente adeguarsi per affrontare le nuove sfide. La fusione dei mondi fisico e digitale, resa possibile unendo i sistemi umani con sistemi di intelligenza artificiale, robotica e rilevamento stanno trasformando le aziende. Per l'Italia, secondo Paese manifatturiero in Europa, è imperativo cogliere al più presto questa opportunità. Noi, con le nostre soluzioni di smart manufacturing e l'esperienza che ci deriva dalle oltre 1500 reti industriali mission-critical e le oltre 380 reti wireless private realizzate nel mondo, saremo partner delle aziende italiane in questa nuova sfida. A breve si aprirà il Mobile Congress di Barcellona: quali aspettative sulle applicazioni del 5G e quali le novità a livello globale? È una bella notizia tornare ad incontrarsi di persona, anche se ancora con le necessarie precauzioni, a un evento così importante. È il segnale che tutti aspettavamo. Non posso anticipare dettagli ma, per quanto riguarda Nokia, la partecipazione sarà incentrata su come costruire un futuro sostenibile, produttivo e inclusivo, sintetizzato dallo slogan "non c'è green senza digital'. Mostreremo soluzioni per costruire reti che abbiano la capacità e la sicurezza necessarie sfruttando la tecnologia adatta, per ridurre il consumo di energia e creare crescita attraverso nuovi modelli di business e servizi. Tecnologie come il 5G, 5G advanced, 6G, software cloud-native, intelligenza artificiale e machine learning ci permetteranno di realizzare il mondo del futuro, come diciamo noi, #NoBoundaries. Nel mondo si parla già di 6G, ma il limite italiano è che per ora non ci si può connettere ovunque con la rete 5G, ma solo in alcune zone delle maggiori città. Da cosa dipende? L'Italia mostra due volti: siamo tra i pochi Paesi in cui lo spettro disponibile è stato sostanzialmente assegnato, con precisi obblighi temporali di copertura. L'Italia ha quattro operatori con servizi 5G attivi. Ma la copertura è ancora disomogenea, più concentrata sulle grandi città e non ancora adatta a soddisfare le esigenze di aziende distribuite sul territorio (per non parlare di porti ed aeroporti). Occorre, quindi, guardare alle reti private 5G, che sono un abilitatore della nuova rivoluzione industriale. Oggi è possibile realizzarle sia in ambito pubblico sia privato, come dimostrano i moltissimi progetti che stiamo portando avanti, in particolare in Europa. Sono ottimista, e direi che la sempre maggiore consapevolezza delle aziende sulla necessità della trasformazione digitale per mantenere competitività, unita alla disponibilità dei fondi derivanti dal Pnrr che, ricordiamolo, impone importanti vincoli temporali sulla realizzazione dei progetti spingeranno verso una disponibilità adeguata del servizio per imprese e cittadini. Nei mesi scorsi ha parlato di aspettative di un boom di investimenti sul 5G, compresa l'Italia e della necessità di investire sulle competenze necessarie. Il nostro Paese è stato al passo con le aspettative? La pandemia ha favorito la consapevolezza della necessità di disporre di reti a banda larga e ultra-larga, fisse e mobili. Ora che il peggio sembra essere passato possiamo ritornare a concentrarci sulle nuove tecnologie, 5G incluso. Ma ho osservato che durante la pandemia tanti professionisti ed aziende hanno avuto modo di aumentare il livello di conoscenza sulle nuove tecnologie e le opportunità che si aprono. E' un segnale importante: i report mostrano che in Italia è aumentato l'interesse nei confronti del 5G. Siamo passati da un 20% di aziende che guardano al 5G nel 2020 al 34% del 2021. È un segnale incoraggiante. Nell'ambito del Pnrr, per il bando del 5G che dovrebbe arrivare a marzo ci sono due miliardi di euro per le reti, finanziando per la prima volta la costruzione di reti mobili con risorse pubbliche. Parteciperete, direttamente o indirettamente, al bando? Come sa, in generale i bandi sono destinati agli operatori, per cui non ci è possibile partecipare direttamente. Ovviamente, mettiamo a disposizione del Paese la nostra presenza in Italia, la grande capacità in termini di innovazione e realizzazione di reti complesse come il 5G. Bassi livelli dell'elettromagnetismo in Italia, scarsità di manodopera per realizzare le reti, difficoltà delle telco a investire anche perché dovranno saldare il conto con lo Stato per le frequenze 5G: vede in questi elementi delle criticità per lo sviluppo delle reti e del 5G in Italia? Andiamo con ordine. Dal punto di vista tecnico, il 5G utilizzando frequenze più elevate, ha una minore capacità di penetrazione e copertura, pertanto, richiede livelli di campo maggiori per poter erogare i servizi. Gli enti regolatori dovranno esprimersi, valutando le istanze che gli operatori presentano da tempo. Non vedo scarsità di manodopera per realizzare le reti. Esiste certamente un tema legato agli investimenti delle telco, a causa dell'elevato costo delle licenze e della sostenibilità. Ma confido che la consapevolezza sulle opportunità del 5G e i fondi del Pnrr aiuteranno ad affrontare – e spero – risolvere il problema. È in gioco il futuro dell'Italia. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 25/2/2022

01 Aprile 2022

Assocarta: "L'industria della carta è green tra riciclo e biogas. Ma serve un mercato unico dell'energia"

Il presidente dell'associazione, Lorenzo Poli, parla dei risultati raggiunti a livello di decarbonizzazione e si sofferma sull'attuale congiuntura Il settore cartario italiano, a livello di decarbonizzazione, è uno di più avanzati d'Europa con l'85% dell'energia elettrica usata dalle cartiere proveniente da una cogenerazione in sito. E per il futuro c'è un ambizioso programma di utilizzo di biogas e biomasse. Lorenzo Poli, presidente di Assocarta, l'associazione che riunisce le aziende che producono in Italia carta, cartoni e paste per carta e coprono il 90% della produzione nazionale, traccia con SustainEconomy.24, il report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School, i risultati del settore. Anche sul fronte del riciclo. E si sofferma sull'attuale congiuntura e sull'esigenza di un mercato davvero europeo dell'energia che annulli le differenze di prezzo con gli altri Stati europei, e della necessità di sterilizzare le speculazioni, perché il settore già è costretto a fermarsi. Sul fronte della sostenibilità, il vostro settore ha già caratteristiche importanti ma ha, anche, portato avanti un percorso improntato alla decarbonizzazione. A che punto siete? «A livello di decarbonizzazione, va ricordato che siamo, a livello industriale, uno dei settori più avanzati d'Europa in quanto settore della carta, che è il più sostenibile dei materiali sostenibili, ma soprattutto della carta italiana che - dovendo sempre fare i conti con un costo dell'energia relativamente più alto delle nazioni limitrofe - ha dovuto spingere molto sull'efficienza energetica sia nell'utilizzo sia nell'auto produzione. Oggi l'85% dell'energia elettrica usata delle cartiere italiane nasce da una cogenerazione fatta in sito e questo dà un senso del livello di decarbonizzazione importante. Poi abbiamo tutta una serie di progetti e programmi che vorremmo sviluppare in tempi rapidi, e mi riferisco al biometano e al biogas. Abbiamo chiuso un accordo quadro con il Consorzio italiano biogas e ci siamo dati un protocollo d'intesa che vede, da un lato, le cartiere investire in produzione di biometano e biogas e utilizzare lo stesso, dall'altro,  il Consorzio e le industrie agroalimentari che con i loro residui possono produrre e compostare biogas. Analogamente vogliamo portare avanti dei progetti sulle biomasse e stiamo spingendo molto  affimchè ci possa essere un'attenzione finalmente migliore sulla gestione forestale italiana». Avete scritto, insieme ai sindacati, ai parlamentari europei per chiedere misure che consentano all'industria di proseguire sulla strada della neutralità carbonica al 2050. Cosa serve? «A livello europeo, oggi, abbiamo assolutamente bisogno - ma abbiamo veramente un'esigenza istantanea - di una gestione diversa del mercato dell'energia: che diventi davvero un mercato unico europeo. Cioè, che il prezzo che paga un italiano sia il prezzo di un francese, un tedesco o di uno spagnolo senza che ci siano continue differenze tra le nazioni. E, secondo, abbiamo bisogno che il mercato venga il più possibile sterilizzato dalla speculazione finanziaria». Voi non vi siete fermati con la pandemia. Ora però, in una situazione di prezzi energetici fuori controllo e, come diceva, anche frutto di speculazione, il conflitto in Ucraina e il problema delle materie prime, c'è il rischio di fermarsi davvero questa volta? Cosa chiedete? «E' vero, con la pandemia non ci fermammo. Eravamo pronti a fermarci ma poi alla fine il settore venne dichiarato essenziale e non ti fermi se arrivano gli ordini. Oggi, invece, ci siamo già fermati, a macchia di leopardo, un po' tutti o tanti fra noi produttori di carta in Italia, e le ragioni sono i costi più che le materie prime, che sono andate negli ultimi periodi in tensione ma sono gestibili: se paghi trovi il materiale. Il problema sono stati soprattutto i costi dell'energia che nei momenti iper-speculativi - dove il gas, che oggi quota 100, è andato fino a 300 o anche solo a 200 – costringono i conti economici delle cartiere a una tal perdita che è conveniente star fermi. Costa meno star fermi che produrre. Cosa chiediamo? Io non ho mai chiesto niente perché penso che gli imprenditori debbano vivere i mercati per quello che sono. Ma, in effetti, c'è un'unica cosa che chiediamo: essere messi a pari competitività con gli altri player europei. La Francia, in gennaio, ha deciso una grossa operazione sull'elettricità mettendo a disposizione tanta energia elettrica ad un prezzo convenuto, che poi è quello del nucleare, la Germania ha fatto un'azione a livello di fiscalità per le imprese, l'Italia ha fatto un qualcosa cui noi plaudiamo perché è un primo passo di gestione delle emergenze e dimostra l'interesse verso la manifattura italiana ma, ad oggi, non abbiamo ancora contezza di cosa valga e non riesco a dirle se è tanto o se è poco. Parte dal mese di aprile e scopriremo a giorni di cosa stiamo parlando e capiremo se c'è un mantenimento della competitività al pari degli Stati europei. Ribadisco la necessità di un mercato unico europeo dell'energia perché non si può, a distanza di 100 km, avere trattamenti differenti». Tornando all'economia circolare, la fotografia sul riciclo del settore delinea risultati importanti. E' così? «Tra le eccellenze da segnalare del settore cartario italiano c'è sicuramente quella del riciclo. Oggi in Italia più del 60% delle materie prime che utilizziamo viene da raccolta da macero e parliamo di numeri invidiati nel mondo. A questo va associato il fatto che questo macero resta sempre più in Italia. Fino a un paio d'anni fa ne esportavamo tanto, ora, invece, l'industria cartaria italiana è cresciuta a tal punto da diventare il secondo produttore europeo dopo la Germania e davanti a Svezia e Finlandia, che sono nazioni forestali, proprio perché utilizza il macero che è una delle nostre risorse nazionali».  SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 1/4/2022

01 Aprile 2022

Zignago Vetro: «Il nostro modello di business sostenibile e di vetro di qualità. Impegnati dalla produzione al riciclo»

L'amministratore delegato, Roberto Cardini, ne parla a SustainEconomy.24 Il vetro è riciclabile un numero infinito di volte e può essere il motore di una solida economia circolare. E sta anche dimostrando di avere un apprezzamento crescente da parte di produttori e consumatori. Roberto Cardini, amministratore delegato di Zignago Vetro, tra i principali produttori di contenitori di vetro di qualità per alimenti, bevande, profumi, cosmetici e bottiglie speciali per il mercato del vino e dell'olio, quotato allo Star, racconta a SustainEconomy.24, report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School, il lavoro del gruppo per un modello di business sostenibile ma anche sempre più trasparente, e un percorso di crescita chiaro.  L'azienda, nata nella metà del secolo scorso dalla decisione di Gaetano Marzotto di differenziare il business del tessile, sta investendo in maniera importante sul riciclo, con 30 milioni per realizzare l'impianto della controllata Julia Vitrum destinato a diventare un polo della raccolta e del trattamento del rottame di vetro. Quest'anno è pieno di sfide e incognite, dai prezzi energetici al conflitto, ma il settore dei contenitori in vetro, assicura Cardini, ha sempre mostrato una resilienza notevole e il gruppo riuscirà a far fronte alle perturbazioni. Avete integrato il framework Esg nella strategia aziendale. E avete appena pubblicato il nuovo bilancio di sostenibilità. Qual è il percorso fatto finora? «Da molto tempo Zignago Vetro opera per fare in modo che il proprio modello di business non sia solamente sostenibile, ma anche sempre più trasparente e comprensibile a tutti gli interlocutori. Nel corso degli ultimi anni abbiamo portato avanti un miglioramento continuo, volto anche a ricomprendere nel piano d'azione di sostenibilità, che il Gruppo aggiorna e persegue costantemente, proprio le molteplici istanze derivanti dai nostri interlocutori. Questo ha portato a risultati di sostenibilità ambientale sempre più importanti, ad una sempre maggiore consapevolezza e impegno nel ruolo sociale dell'impresa, sia verso l'interno che verso l'esterno, nonché a rispondere alle esigenze di regolamentazione del governo societario in modo rapido e chiaro, assicurando trasparenza e quella serietà che da sempre contraddistingue Zignago». Ci parla anche dei prossimi obiettivi Esg per l'azienda? «Ci siamo posti numerosi obiettivi Esg per i prossimi anni. Soprattutto, però, abbiamo istituito da diverso tempo un sistema di obiettivi formalizzati e di rendicontazione, che ci permetta di definire un percorso di crescita e di miglioramento chiaro, oltre alla conseguente misurazione dei risultati raggiunti. Di tutto questo diamo ampia e chiara rendicontazione nella documentazione pubblicata sul nostro sito e in particolare nel Bilancio di Sostenibilità». Il vetro è un materiale da imballaggio sano ed è riciclabile. Nel 2021 avete avviato l'impianto di Julia Vetrum per aumentare la capacità di riciclo e di riutilizzo del rottame di vetro. Ci fornisce qualche numero? «Julia Vitrum è una società nata nel 2019, in partnership con un altro importante gruppo vetrario. A settembre 2021 ha iniziato la propria operatività. L'investimento realizzato è stato molto importante: complessivamente parliamo di 30 milioni di euro, che sono serviti a realizzare quello che senza dubbio possiamo definire l'impianto più moderno in Italia e, riteniamo, anche in Europa. Julia Vitrum potrà trattare circa 300.000 tonnellate di rottame di vetro rinveniente soprattutto dalla raccolta differenziata urbana. L'intenzione è di far sì che tale stabilimento diventi il polo della raccolta e del trattamento del rottame di vetro nel Nord Est d'Italia, per il successivo reimpiego negli stabilimenti vetrari della zona. Si tratta di un'iniziativa alla quale crediamo molto e che rappresenta un esempio perfetto di economia circolare e di prossimità. Il vetro, infatti, è l'unico materiale che può essere riciclato al 100%, per un numero infinito di volte ed ottenendo sempre un contenitore della medesima qualità». C'è una risposta crescente da parte di utilizzatori e consumatori verso il vetro? «Assolutamente sì. Il vetro viene sempre più apprezzato e valorizzato, sia da parte dei produttori che dei consumatori, per le sue qualità di sicurezza, di qualità, di inviolabilità, che ne fanno un materiale perfetto. Crediamo che questo materiale antico, ma anche molto moderno, abbia ancora grande spazio di crescita nell'apprezzamento dei consumatori e di versatilità di utilizzo». Guardando in prospettiva, cosa vi aspettate da questo nuovo anno, dovendo fare i conti con gli strascichi della pandemia e un caro prezzi, aggravato dalla guerra? «Crediamo che il 2022 sarà sicuramente un anno molto impegnativo, caratterizzato da molteplici sfide, non ultima quella della smisurata crescita dei costi energetici e delle materie prime, nonché dalle incognite poste dalla guerra in corso. Tuttavia, storicamente, anche nei momenti più difficili, quali, nei tempi più recenti, la crisi finanziarie e la pandemia, il settore dei contenitori in vetro ha sempre mostrato una resilienza notevole e, quindi, grande capacità di superamento delle crisi. Attualmente, in tutti i settori in cui il nostro gruppo opera, la domanda di contenitori in vetro è molto buona e crediamo che i motivi di tale forza siano dovuti anche al crescente apprezzamento dei consumatori. Nonostante l'attuale contesto macroeconomico abbia diverse incognite, riteniamo che il settore dei contenitori in vetro, e in particolare il Gruppo Zignago Vetro, riuscirà a far fronte alle perturbazioni poste da un tale scenario d'incertezza». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 1/4/2022

01 Aprile 2022

Panariagroup: «I nostri prodotti ultrasostenibili frutto di investimenti in ricerca e design. Puntiamo ad una crescita solida»

Emilio Mussini, presidente della realtà italiana delle ceramiche di alta gamma, parla dei risultati raggiunti e del futuro Un budget da 25 milioni l'anno di investimenti in ricerca e sviluppo. E prodotti sempre più ultrasottili ed ultrasostenibili. Emilio Mussini, presidente di Panariagroup, realtà italiana delle ceramiche di alta gamma, con la presenza in 130 Paesi, in un'intervista a SustainEconomy.24, report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School, racconta i traguardi raggiunti e parla del futuro saldamente ancorato all'Europa, con un particolare sguardo ai Paesi del Nord. E se gli incentivi all'edilizia sono un boost per il settore, serve un intervento politico sull'energia sia in ambito nazionale che europeo per riportare i prezzi in un range competitivo e stabile. Investimenti in ricerca e tecnologia. Le piastrelle guardano sempre più al futuro. Qual è il percorso di Panariagroup? «Gli investimenti in termini di ricerca e sviluppo sono fondamentali per Panariagroup, che ha fatto dell'avanguardia la propria ragion d'essere, e questo non sarebbe stato possibile senza una strategia di crescita – solida, costante e duratura – che ad oggi prevede un budget di 25 milioni di euro l'anno in tal senso. Dopo l'uscita dalla Borsa e due anni di pandemia, sentivamo l'esigenza di ripartire come gruppo e abbiamo deciso di farlo lavorando parallelamente su due fronti. Da un lato, continuando ad investire nelle prestazioni tecniche delle nostre superfici, dall'altro impegnandoci per innovare la componente di design e la qualità estetica dell'offerta, per mantenerci leader nell'alto di gamma (con brand come Cotto d'Este, Lea Ceramiche e Panaria). All'interno di questo budget di investimenti e in linea con queste scelte, a gennaio 2022 abbiamo siglato un accordo da 6 milioni di euro con System Ceramics, rinnovando la nostra partnership decennale per l'implementazione del laminato sottile, un segmento strategico per il gruppo e sul quale prevediamo di investire ancora in futuro». Un percorso che passa attraverso un impegno per la sostenibilità. Sul fronte delle emissioni, del risparmio energetico e delle materie prime, cosa state facendo? «Nel 2022 nessuna azienda può dirsi competitiva senza un piano industriale che non tenga conto del proprio impatto sul territorio, non solo economicamente e socialmente, ma anche, e soprattutto, dal punto di vista ambientale. Panariagroup ha avviato un programma di recupero totale degli scarti di produzione e le materie prime impiegate sono soggette a un controllo costante in tutti gli stabilimenti. Abbiamo anche rafforzato i rapporti con il territorio, attraverso una rete di forniture e servizi decisivi per la nostra attività. Inoltre, la produzione del nostro laminato sottile è stata certificata 100% Carbon Neutral. Non è solo ultrasottile, quindi, ma anche ultrasostenibile. Qualche dato: lo spessore è stato ridotto di 2/3 rispetto alle piastrelle tradizionali; la produzione necessita di un minor consumo di materie prime e di un minore fabbisogno di acqua (che l'azienda recupera completamente). L'output si concretizza in una riduzione dell'inquinamento da trasporto e delle emissioni di Co2, che comunque vengono completamente compensate, e in imballaggi con materiali riciclati o materiali rinnovabili. Questo dimostra che non abbiamo mai smesso di ottimizzare e migliorare i processi e le performance ambientali e che continueremo a farlo, con serietà e concretezza, per superare noi stessi prima che i nostri competitor». Prima l'emergenza Covid, poi il caro materie prime. Cosa serve al settore? «Un intervento politico sull'energia sia in ambito nazionale che europeo che consenta di ricondurre i prezzi in un range competitivo e stabile, per poter concorrere al meglio sui mercati globali. Sempre sulla questione risorse energetiche, basti pensare che l'energia rappresenta almeno 1/4 dei costi di fabbricazione nell'industria ceramica e il costo del gas ha raggiunto livelli irragionevoli nel lungo periodo. Questa dinamica così anomala del prezzo delle fonti energetiche, unitamente ai rincari di altri fattori della produzione, ci obbliga ad alzare sensibilmente i prezzi di listino in una misura che stiamo ancora definendo per far fronte alla situazione nel migliore dei modi. Tuttavia, se il prezzo del gas dovesse diminuire, attraverso la concessione alle aziende energivore di una calmierazione del prezzo di 20 cent su una percentuale significativa dei consumi, potremmo anche rivedere il prezzo del prodotto finito nell'ottica di tutelare, ove possibile, la continuità della produzione. Inoltre, misure come gli incentivi sull'edilizia, come quello già attivo del Superbonus, sono di cruciale importanza e rappresentano un boost per il nostro settore, soprattutto dopo lo stallo in cui siamo stati costretti negli ultimi due anni. Come settore siamo consapevoli e concordi su una traiettoria di sviluppo sostenibile, ma riteniamo che vada coniugata con una pianificazione e un processo concreto e robusto sulla fattibilità per poter raggiungere i target». Ripartenza in Italia e all'estero. Cosa vede nel futuro di Panariagroup? Quali sono i vostri target? «Avendo già saturato la capacità produttiva in Italia, la crescita dipenderà dalla maggiore produttività legata agli investimenti in corso. Peraltro, il volume di affari è destinato ad aumentare di conseguenza al trasferimento sui prezzi di una parte della maggiorazione dei costi. In ogni caso, siamo e rimaniamo un gruppo internazionale: le business unit portoghese ed in particolare quella americana godono di una prospettiva di sviluppo decisamente più positiva, legata a una domanda crescente e fattori della produzione più competitivi. Il futuro di Panariagroup è comunque saldamente ancorato all'Europa, con in testa Francia, Regno Unito e Germania. Gli obiettivi ad oggi sono molto chiari: consolidare sempre di più la nostra presenza nei mercati in cui siamo già presenti, rafforzando la capillarità della rete distributiva e aprire una finestra di dialogo con i Paesi del Nord Europa, un territorio fino ad ora inesplorato e dalle grandi potenzialità. Vogliamo inoltre continuare a proporre soluzioni tecniche all'avanguardia e uniche a partner pubblici internazionali. Con Lea Ceramiche, in Francia, abbiamo già preso parte ad importanti forniture pubbliche, tra cui i rivestimenti per la fermata della Métro di Parigi a Porte de Versailles e un progetto più ampio – attualmente in corso – per l'implementazione delle infrastrutture di trasporto pubblico della regione Île-de-France». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 1/4/2022

01 Aprile 2022

Federacciai: «Siamo l'economia circolare industrializzata. Gli investimenti non si fermano»

L'Italia è il primo Paese dell'Ue per il riciclo dell'acciaio, spiega il direttore generale, Flavio Bregant. Ma bisogna fermare l'export di rottame ferroso «Il nostro settore è l'economia circolare industrializzata» perché l'acciaio è permanente e 100% riciclabile e l'Italia è leader in Europa. Flavio Bregant, direttore generale di Federacciai, la Federazione che rappresenta le imprese siderurgiche Italiane, e conta 125 aziende associate che realizzano e trasformano oltre il 95% della produzione italiana di acciaio, ne parla a SustainEconomy.24, report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School.  Un impegno testimoniato nei numeri del Rapporto di sostenibilità: riduzione delle emissioni di CO2 del 60% dal 1990 e taglio del 21% delle emissioni dirette nel 2020 rispetto al 2019; riduzione di circa il 36% dei consumi energetici totali rispetto al 1995; oltre il 35% degli investimenti al miglioramento delle performance ambientali e della salute e sicurezza sul lavoro. Bregant si sofferma soprattutto sul tema degli investimenti. Il rapporto tra investimenti e fatturato è rimasto costante, e, nonostante la congiuntura e le forti minacce del caro energia e della guerra in Ucraina, gli investimenti non si fermano, assicura. Ma servono interventi strutturali in Italia e in Europa. E fermare l'export di rottame ferroso. L'industria siderurgica italiana da tempo guarda al futuro e alla sostenibilità. Quanto è forte l'impegno del settore per il miglioramento delle performance ambientali, della salute delle persone e della sicurezza sul lavoro? «E' un impegno forte e continuo e possiamo dire che siamo i leader in Europa. Dove siamo arrivati lo raccontiamo nel Rapporto di sostenibilità, che elaboriamo con cadenza biennale, e che abbiamo presentato all'assemblea in ottobre. Teniamo a sottolineare non solo i valori assoluti ma soprattutto i trend di miglioramento sia nella parte ambientale, con la riduzione delle emissioni di CO2 del 60% dal 1990, ma anche relativamente all'aspetto sociale, con oltre il 35% degli investimenti delle nostre aziende rivolto al miglioramento delle performance ambientali, della salute delle persone e della sicurezza sul lavoro. Gli investimenti sono continui, anzi, uno dei parametri interessanti è che, indipendentemente dal momento congiunturale, negli anni il rapporto tra fatturato e investimenti lo manteniamo costante». Quindi si potrà parlare sempre più, in futuro, anche per il vostro settore, di economia circolare e di acciaio verde? «Il nostro settore è l'economia circolare industrializzata. E proprio il settore siderurgico italiano – che è il secondo in Europa dietro la Germania come produzione - è il primo come tecnologia da forno elettrico di produzione che, di fatto, riutilizza il rottame ferroso (ferro e acciaio) come materiale di partenza: quindi economia circolare vera e propria. Basti pensare che l'80% della nostra produzione italiana è fatta con questa tecnologia a fronte di una media di circa il 40% in Europa. Del resto, l'acciaio è quello che noi chiamiamo un materiale permanente, ovvero si può riciclare un numero indefinito di volte». Gli investimenti continuano a crescere. Ma questo impegno può essere messo a rischio dall'attuale momento che vede una congiuntura assolutamente particolare? «Gli investimenti al momento vengono mantenuti proprio perché si ritiene che sia una fase congiunturale e gli investimenti sono, invece, qualcosa che guarda al futuro; quindi, attualmente le aziende stanno assolutamente mantenendo il loro programma. Del resto, siamo anche inseriti in un panorama europeo che ha degli obiettivi estremamente ambiziosi dal punto di vista di riduzione delle emissioni e, quindi, è chiaro che bisogna spingere in modo estremamente forte per cercare tecnologie innovative e processi innovativi per andare avanti verso la completa decarbonizzazione. Abbiamo fatto fare uno studio molto approfondito, insieme anche ad altri settori (chimica, fonderie, carta) su quello che c'è da fare per ridurre le emissioni e ottemperare agli obiettivi della Commissione europea, che abbiamo presentato al Governo, e abbiamo già individuato le tecnologie e gli investimenti da fare da qui al 2030-2050 per arrivare alla decarbonizzazione». Di fronte al caro prezzi e alla guerra in Ucraina che stanno minacciando la ripresa post Covid e la sopravvivenza di alcuni settori industriali, cosa serve al settore? «Ci sono sicuramente due, tre interventi necessari al settore. Prima parlavamo del rottame ferroso, che è la materia prima principale del settore siderurgico nazionale ma l'Italia è deficitaria di rottame e, quindi, importiamo dall'Europa e da paesi terzi un certo numero di milioni di tonnellate. Ecco, dobbiamo assolutamente valorizzare questa vera e propria miniera di materia prima europea. Noi abbiamo tanto rottame che esce dall'Italia, ma, soprattutto, abbiamo tanto rottame che esce dall'Europa verso Paesi, anche concorrenti, e che non lavorano certo con i nostri criteri ambientali e sociali. Dall'Europa si esportano 19 milioni di tonnellate di rottame, quindi un flusso emorragico che dovrà essere in qualche modo controllato e rallentato, e se possibile fermato, proprio in ottica di andare verso una maggiore e ulteriore riciclabilità. Poi ovviamente – utilizzando tanta energia - abbiamo bisogno di un mercato energetico verde, liquido e, ovviamente, a prezzi che ci consentano la concorrenzialità. Quindi c'è bisogno di interventi strutturali. Ora il nostro governo sta aiutando le imprese e le famiglie con interventi congiunturali sicuramente importanti e positivi; però, abbiamo bisogno di misure strutturali, sia a livello nazionale che europeo, perché utilizzando, appunto, tanta energia elettrica dobbiamo lavorare perché sia decarbonizzata ricorrendo alle fonti rinnovabili e, quando ci sarà e sarà competitivo, all'idrogeno». Le aziende riescono ancora a non fermarsi in questa fase? «Le aziende riescono ancora a non fermarsi. Però, cominciamo a vedere delle difficoltà perché molto del minerale pre-ridotto che viene utilizzato dalle acciaierie veniva dalla zona di guerra e, quindi, al momento non arriva, come la ghisa del resto che è un'altra materia prima. E per i trasformatori di acciaio c'è anche un problema di approvvigionamento di semilavorati. Quindi bisogna, innanzitutto, fermare la guerra e far ripartire la produzione della materia prima e dei semilavorati». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 1/4/2022

18 Marzo 2022

Ibarra (Engineering): «La tecnologia è driver economico e sociale. Abbiamo inserito la sostenibilità nel nostro stile d'impresa»

ll CEO a SustainEconomy.24: «Innovazione e digitale per un nuovo modello di 'design sociale'» Integrare gli obiettivi di business con i valori di sostenibilità, inclusione e diversity perché la tecnologia non è una commodity ma «deve essere un driver economico e sociale». Maximo Ibarra, ceo di Engineering, parla a SustainEconomy.24, report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School, del percorso che ha portato l'integrazione della sostenibilità nello stile imprenditoriale della digital transformation company, ma anche delle soluzioni su energia, mobilità, sistemi sanitari e istruzione. «Perché vogliamo essere asset del Paese» e, a maggior ragione in questa fase storica, contribuire a «un mondo più equilibrato socialmente, più sostenibile energeticamente, più sicuro sui territori e nei sistemi informatici». Insomma, sintetizza Ibarra, «l'innovazione e il digitale per un nuovo modello di ‘design sociale'».  Engineering sta portando avanti un percorso di accelerazione della sostenibilità che passa anche dalla decisione di aderire al Global Compact delle Nazioni Unite. Ce ne parla? «Engineering è una digital transformation company che da sempre integra gli obiettivi di business con i valori della sostenibilità, inclusione e diversity. Con l'adesione al Global Compact abbiamo sottoscritto i dieci principi in materia di diritti umani, ambiente, lavoro e lotta alla corruzione, consapevoli di fare un ulteriore passo verso un business etico e verso l'integrazione della sostenibilità nelle nostre strategie industriali, nel nostro modello di business e organizzativo e, più in generale, nel nostro stile imprenditoriale. Per questo abbiamo aumentato la nostra capacità di monitorare e rendicontare i progressi nel campo della sostenibilità, avviando un percorso di allineamento dei nostri obiettivi ai parametri dell'Agenda 2030, agli standard internazionali e ai parametri della Communication on Progress prescritti dal Global Compact». Iniziamo dalla sostenibilità ambientale e dalla lotta al cambiamento climatico. Concretamente cosa state facendo? «Per noi la tecnologia deve essere al contempo un driver economico e sociale. Realizziamo molti progetti di business che hanno un impatto positivo sul territorio. Nel settore Energy, dove lavoriamo al fianco di molti operatori, sviluppiamo quotidianamente soluzioni importanti, ad esempio di teleriscaldamento o teleraffrescamento da fonti rinnovabili e soluzioni software studiate per rispondere alle sfide ambientali di gestori di servizi energetici in ambito privato, utility e amministrazioni pubbliche locali che intendono monitorare e controllare l'efficienza energetica e progetti di riduzione dei consumi. Creiamo per loro sistemi innovativi basati sull'intelligenza artificiale. Lavoriamo moltissimo anche sull'efficientamento della mobilità urbana. Ad esempio, in comuni come Pisa, Verona, Napoli, così come in molte città della Germania, contribuiamo a migliorare la circolazione dei mezzi di trasporto e a gestire innovativi sistemi di smart parking, così da ridurre l'inquinamento atmosferico e acustico. In Sicilia stiamo portando avanti progetti di Smart Lighting che ottimizzano i sistemi di illuminazione pubblica, riducendo anche le emissioni di CO2. Internamente, oltre a quanto già fatto in termini di risparmio energetico, il nostro headquarter di Roma è dotato della certificazione LEED (Leadership in Energy and Environmental Design) ed è allo studio anche un piano strutturato per il risparmio energetico. Misuriamo la carbon footprint e stiamo migliorando il nostro approccio green ai Data Center, anche incrementando la capacità geotermica, oltre alla possibilità di utilizzare parte del calore dell'acqua per il riscaldamento degli uffici che prevede l'installazione di misuratori intelligenti di prestazione energetica in tutte le sedi». Inclusione, riduzione dei divari e delle differenze. La tecnologia e il digitale come possono essere inclusivi? «Oggi la tecnologia non è più una commodity che ci aiuta solamente a migliorare l'efficienza, ma è la strategia che ci dà la possibilità di migliorare il mondo in cui viviamo e lavoriamo. Grazie alla tecnologia possiamo abbreviare le distanze tra le persone, rendere i sistemi sanitari e l'istruzione sempre più inclusivi, così da non lasciare indietro nessuno. Per riuscire in tutto questo, però, bisogna puntare sul superamento del digital divide e sull'aumento del digital trust, facendo capire alle persone che l'innovazione tecnologica porta davvero benessere. Lo scorso anno ho avuto l'onore di coordinare, in qualità di chair, la Task Force DT del B20. Alcuni dati che abbiamo trovato sono impressionanti: il 60% del Pil mondiale atteso nel 2022 è direttamente connesso al digitale, ma, di contro, solo per rimanere nel nostro continente, secondo la Commissione Europea, il 42% degli europei manca di conoscenze digitali di base. Un paradosso che dobbiamo risolvere affinché il digitale possa realmente offrire maggiori opportunità di inclusione». Sarà possibile rispettare gli obiettivi del Pnrr di uno sviluppo tecnologico e digitale più omogeneo? «Il Pnrr è la risposta dell'Europa alla crisi pandemica ed è lo strumento che ci ha dato la possibilità di ripartire immaginando un nuovo momento di trasformazione per la società. Al centro del Pnrr due obiettivi sono assolutamente centrali: digitalizzazione e transizione energetica. Le emergenze di questi giorni sono innanzitutto umanitarie, ma ci dicono, con grande chiarezza, quanto questi due obiettivi non solo restano centrali ma lo saranno ancora di più quando auspicabilmente si troverà un modo di superare lo scontro. L'Europa e il nostro Governo sapranno prendere le decisioni più appropriate e noi, nel frattempo, continueremo a operare con grande rigore e impegno, svolgendo il nostro ruolo di asset per il Paese, supportandolo per velocizzare e facilitare il cambiamento. Per uno sviluppo più omogeneo è anche necessario accelerare la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione e fare in modo che le risorse del Pnrr diventino progetti davvero capaci di migliorare il rapporto tra cittadini e Istituzioni, di digitalizzare la sanità, implementando sistemi di prevenzione anche attraverso la Telemedicina, di dare nuova linfa all'ecosistema dell'istruzione, facendo in modo che si superi il mismatch tra la domanda di competenze delle aziende e l'offerta del mercato. Siamo stati tra i primi, già diversi anni fa, a vedere nel modello di Partenariato Pubblico Privato la via per accelerare la digitalizzazione della Pa». Prima la pandemia, poi le tensioni geopolitiche, le sfide di fronte a noi sono molteplici. Qual è il ruolo che vede per l'innovazione e del digitale? «L'emergenza globale ci ha messo duramente alla prova, ma ci ha anche mostrato nuove alternative, molte delle quali collegate all'innovazione tecnologica. Il ruolo della tecnologia sta cambiando: dall'essere focalizzato sull'efficienza e sul contenimento dei costi sta diventando un motore di crescita e un elemento sempre più ‘valoriale', in quanto strumento per disegnare un mondo più sostenibile e inclusivo. I drammatici eventi delle ultime settimane ci ricordano, in ogni immagine, quanto sia vitale per tutti pensare a un mondo più equilibrato socialmente, più sostenibile energeticamente, più sicuro sui territori e nei sistemi informatici. In tutte queste aree e molte altre, la tecnologia e il digitale sono elementi decisivi. Il ruolo che vedo per l'innovazione e il digitale è, pertanto, quello di strumento principe nelle mani dell'uomo per definire quello che io chiamo un nuovo modello di ‘design sociale'. Partendo da questa enorme responsabilità, in capo a chi governa le tecnologie, la sfida di tutte le sfide è la formazione e la capacità di completare le competenze tecnologiche con competenze umanistiche, sociali, psicologiche. Anche su questo fronte il nostro impegno è massimo. La nostra Academy, dove ogni anno migliaia di dipendenti nostri e dei nostri clienti hanno accesso a oltre 25mila ore di formazione, forma giovani talenti e si occupa di mantenere anche i professionisti già esperti allineati con la rapidità dell'evoluzione tecnologica. E portiamo questo enorme bagaglio di sapere direttamente anche nelle scuole».  SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 18/3/2022

18 Marzo 2022

MaticMind: «Conciliamo l'informatica con la sostenibilità. Un futuro da protagonisti in fibra, cloud e cybersecurity»

Il presidente e azionista di maggioranza, Carmine Saladino, ne parla a SustainEconomy.24 Conciliare le esigenze informatiche con la sostenibilità. Maticmind, system integrator che lavora per grandi aziende private e clienti pubblici come ministeri, strutture sanitarie ed enti locali, guarda alla trasformazione digitale del Paese con una strategia di crescita e l'impegno a facilitare il percorso. Come racconta Carmine Saladino, presidente e azionista di maggioranza della società che conta una partecipazione al 42% del Fondo Italiano d'Investimento (Cdp), a SustainEconomy.24, il report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School. Con un futuro di crescita, da protagonisti nel cloud, nella cybersecurity e nella fibra. La trasformazione digitale del Paese passa per resilienza, cybersecurity, cloud, ma anche sostenibilità ambientale e sociale. Quali sono il percorso e l'apporto di una realtà come Maticmind? «Il nostro impegno è quello di conciliare le esigenze informatiche dei clienti con quelle legate alla sostenibilità. Il gruppo Maticmind vanta più di mille clienti, fra realtà pubbliche e private, e per ogni cliente progetta soluzioni su misura. Oggi sicuramente la cybersecurity e il cloud sono centrali nello sviluppo del Paese: si stima infatti che il mercato della cybersicurezza in Italia cresca del 13% l'anno, mentre quello del cloud del 20%. Sono numeri importanti che mostrano come l'Italia stia rapidamente facendo dei passi in avanti necessari. Dico necessari perché, purtroppo, ancora oggi il 90% degli attacchi hacker inizia con la ricezione di una semplice mail. Per contrastare questo fenomeno Maticmind forma i suoi clienti, perché la sensibilizzazione è la prima arma di contrasto; in un secondo momento, mettiamo in piedi un'architettura a prova di attacco e grazie ad un centro operativo attivo 24 ore su 24, il Security Operation Center, monitoriamo attivamente le infrastrutture informatiche. Un lavoro che richiede attenzione e prontezza di reazione, stessi concetti che adottiamo in ambito green. Il tema della sostenibilità ambientale è ormai al centro di tutte le agende, a maggior ragione in questo momento in cui una guerra orribile sta provocando l'aumento incontrollato dei prezzi dell'energia. Molteplici sono i benefici e i risparmi che la diffusione dell'Ict abilita. Pensiamo, fra le altre cose, all'ottimizzazione delle reti elettriche (Smart Grid) o alla riduzione dei consumi per gli spostamenti indotta dalla diffusione del Remote Working. Con i nostri data center siamo in grado di garantire una gestione efficiente anche dal punto di vista energetico: ad esempio, nel processo di raffreddamento dei data center garantiamo un risparmio energetico di circa il 60%. Per conciliare l'evoluzione del gruppo con la responsabilità ambientale e sociale abbiamo creato recentemente un'apposita business unit, Digital Automation Solutions & Services, che nasce con l'obiettivo di fornire servizi di Building Automation, IoT e progettazione, nel rispetto della sicurezza e della qualità dell'ambiente». Viviamo una fase di crisi per l'industria e la produttività, complici anche i venti di guerra dopo la pandemia. Ci sono però le opportunità del Pnrr per migliorare anche le infrastrutture tecnologiche del Paese. Come si inserisce la vostra società in questo scenario? «La digitalizzazione del Paese è uno dei cardini del Pnrr. Maticmind vuole apportare il proprio contributo garantendo lo sviluppo delle migliori soluzioni per l'evoluzione del sistema industriale e l'accessibilità ai servizi della Pa da parte dei cittadini. La pandemia ha messo in luce alcune carenze strutturali cui il Paese si sta impegnando a sopperire. Il settore industriale privato, per mantenere gli alti livelli competitività sui mercati internazionali, ha bisogno di una forte spinta alla digitalizzazione, con integrazione digitale della supply chain, digital twin degli impianti, algoritmi AI per la manutenzione preventiva. Anche la Pubblica Amministrazione deve confrontarsi con nuovi processi e nuove modalità di erogare servizi alla cittadinanza. La sfida è tutta nella Rivoluzione Digitale: dematerializzazione documentale, digitalizzazione dei processi, rapporto virtuoso con il cittadino. Devo dire che sono stati fatti già molti passi in avanti: da marzo 2020 ad oggi siamo riusciti a colmare un gap importante. Per fare un esempio a tutti noto: smart working e smart office. Grazie a realtà come la nostra, milioni di dipendenti sia pubblici che privati, hanno potuto lavorare da remoto utilizzando gli strumenti necessari, con la massima sicurezza nella protezione e condivisione dei dati. Siamo andati anche oltre, perché in vista di una ripresa e di un ritorno alla normalità abbiamo studiato e realizzato un nuovo tipo di ufficio, smart e hi-tech, in grado di configurare la postazione in base alle esigenze dell'utilizzatore, capace di riconoscere l'utente che ne sta usufruendo, rendendo le postazioni condivisibili, garantendo un link costante fra lavoro in presenza e da casa. Alla base di tutto il processo di digitalizzazione, ci sono sempre le reti di telecomunicazione ed è noto a tutti che diverse zone del Paese sono ancora prive delle infrastrutture necessarie. Attraverso la controllata Fibermind vogliamo essere protagonisti nella progettazione delle reti più moderne ed efficienti, con particolare riferimento alle infrastrutture in fibra ottica e 5G. Su questo il Paese deve saper investire al meglio e grazie ai fondi del Pnrr credo che saremo in grado di compiere un ulteriore passo in avanti, garantendo a tutta l'Italia alti standard digitali». Avete un Piano industriale sfidante con una crescita sia per linee interne che esterne. Cosa c'è nel futuro di Maticmind? «Di recente abbiamo annunciato acquisizioni nel campo della progettazione ultrabroadband e 5G. Inoltre, abbiamo rafforzato la nostra leadership nella cybersecurity grazie a 2 importanti operazioni con cui abbiamo inaugurato il 2022. Negli ultimi anni abbiamo ampliato il nostro portafoglio per offrire soluzioni a 360 gradi. Il futuro ci vedrà protagonisti, vogliamo consolidare la nostra leadership nel settore Ict italiano e valutiamo nuove possibilità di espansione, verso il cloud e i servizi IT. Abbiamo chiuso il 2021 con un fatturato superiore ai 330 milioni di euro, siamo pronti a migliorarci». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 18/3/2022

18 Marzo 2022

Fabbroni (Sesa): «La sostenibilità nello Statuto per creare valore»

La tutela ambientale e la crescita economica sono parti integranti di un unico ecosistema, spiega il ceo della società che punta a 2,3 miliardi di ricavi nell'anno che si chiuderà ad aprile. Gli obiettivi di successo e crescita sostenibile nello Statuto. Alessandro Fabbroni, ceo di Sesa, ripercorre con SustainEconomy.24, report di Radiocor e Luiss Business School, il percorso della società attiva nell'innovazione tecnologica e nei servizi informatici e digitali per le imprese, quotata allo Star, che punta a 2,3 miliardi di ricavi nell'anno che si chiuderà ad aprile. Perché, spiega, la tutela ambientale e la crescita economica sono parti integranti di un unico ecosistema. Sesa ha inserito gli obiettivi di crescita sostenibile nel proprio Statuto. Ci parla del vostro percorso? «Nel gennaio 2021 l'assemblea di Sesa ha approvato all'unanimità (100% del capitale e quorum dell'82%) l'integrazione nello statuto dell'impegno a perseguire il successo e la crescita sostenibile a beneficio di tutti gli stakeholder. Il consenso ottenuto ha rafforzato il percorso in materia di sostenibilità e di evoluzione della governance, prevedendo obiettivi Esg per tutte le figure chiave e confermando l'impegno a supportare proattivamente lo sviluppo di modelli di creazione di valore innovativi e sostenibili. Il Gruppo Sesa è inoltre da sempre impegnato in politiche e programmi di sostenibilità a beneficio delle proprie risorse umane, con un piano welfare tra i più articolati del settore, finalizzato a promuovere il work-life balance degli oltre 4.000 dipendenti. Siamo sensibili al tema della tutela ambientale e il gruppo si impegna a operare secondo i principi dello sviluppo sostenibile, attraverso programmi di gestione responsabile delle risorse naturali, lo sviluppo dell'offerta di servizi e tecnologie digitali abilitanti l'efficientamento energetico e la produzione da fonti rinnovabili e la mobilità sostenibile. Sesa sta riducendo il proprio impatto diretto, diminuendo i consumi e i rifiuti prodotti e privilegiando le risorse ecosostenibili. Seguiamo le best practice internazionali per minimizzare l'impatto ambientale e sviluppare nuove tecnologie per il risparmio energetico, per la riduzione delle emissioni e per aumentare le performance e la qualità dei mezzi utilizzati. Per attuare questi impegni, abbiamo redatto una Politica Ambientale di Gruppo, ottenendo nel 2021 la certificazione ambientale e introducendo un Sistema di Gestione Ambientale». Avete avviato il processo di certificazione B Corp. A che punto siete? «La certificazione B Corp è uno degli step che fanno parte del nostro percorso di evoluzione, all'insegna della crescita sostenibile. La certificazione è coerente con la mission del gruppo di promuovere la digitalizzazione di imprese ed organizzazioni, supportandole nella propria trasformazione verso la sostenibilità, e si focalizza sull'impegno e la continua evoluzione di 4 aree fondamentali: governance, persone, comunità e ambiente. Nel corso del 2021 abbiamo misurato l'impatto ambientale e sociale attraverso il B Impact Assessment (BIA), sviluppato da B Lab, che misura il valore prodotto, considerando non solo gli aspetti economici ma anche quelli ambientali e sociali. Un punto di partenza per il miglioramento progressivo delle performance di sostenibilità aziendale, con l'obiettivo di superare la soglia di eleggibilità necessaria ad ottenere la certificazione B Corp. Il piano prevede un approccio incrementale/bottom-up, certificando le principali società del gruppo in modo progressivo». Nel settore in cui operate, è possibile conciliare la redditività e l'attenzione ai risultati con la creazione di valore a beneficio di tutti gli stakeholder? «Attraverso la creazione di valore durevole per tutti gli stakeholder, Sesa ritiene di poter massimizzare anche il valore di lungo termine degli azionisti, in quanto il benessere delle persone e delle comunità, la tutela ambientale e la crescita economica sono parti integranti di un unico ecosistema. La tecnologia e la digitalizzazione si rivelano sempre più fondamentali per semplificare e rendere più efficienti le attività umane, anche e soprattutto nelle organizzazioni aziendali. In particolare, la digitalizzazione dei processi si sta dimostrando un passaggio cruciale per migliorare la circolazione delle informazioni, con evidenti vantaggi anche in termini di sostenibilità ambientale e di circolarità». Avete appena diffuso i risultati dei 9 mesi. Cosa si aspetta per Sesa nel nuovo anno? «I primi nove mesi dell'esercizio al 30 aprile 2022 si sono chiusi con un forte aumento di ricavi e redditività, rispettivamente del 15% e 40%, spinti dalla crescita del perimetro di attività e dalla domanda di digitalizzazione di imprese ed organizzazioni. Il nostro gruppo si conferma così operatore di riferimento e polo di aggregazione nel settore IT. Nell'intero esercizio puntiamo a realizzare 2,3 miliardi di euro di ricavi con 4.250 dipendenti ed una crescita della redditività di oltre il 30% a livello operativo (circa 166 milioni) e del 35% a livello di redditività netta (circa 80 milioni). Continueremo a investire nello sviluppo di competenze digitali, risorse umane e business application con l'obiettivo di proseguire il nostro track record di lungo termine, che ha visto crescere mediamente i ricavi di oltre il 10% e la redditività di oltre il 15% all'anno tra il 2011 e il 2021, generando valore sostenibile a beneficio di tutti gli stakeholder. In particolare, la nostra strategia di sviluppo focalizzata su competenze digitali verticali e risorse umane resta fondamentale in uno scenario internazionale di crescente incertezza come quello attuale». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 18/3/2022

18 Marzo 2022

Zerynth: «La nostra piattaforma IoT per aiutare le imprese in innovazione 4.0 e sostenibilità»

Gabriele Montelisciani, uno dei fondatori e ceo della startup: trasformare le macchine per ridurre i consumi e migliorare i prodotti L'utilizzo di una piattaforma IoT (Internet of Things) per aiutare le imprese del manifatturiero a spingere su innovazione e sostenibilità trasformando presse, torni e telai in impianti 4.0. E' l'obiettivo di Zerynth, una startup fondata nel 2015, che vuole aiutare aziende manifatturiere e system integrator a trarre valore dai dati e aprirsi all'efficientamento di prodotti e processi e al risparmio energetico. In tutti i settori industriali, dall'automotive alla refrigerazione industriale, dallo smaltimento dei rifiuti alla nautica fino all'agricoltura. L'azienda che ha, come socio, il fondo Vertis Venture 3 Technology Transfer che ha investito due milioni di euro, acquisendo il 36%, punta a raddoppiare il fatturato quest'anno. Come racconta uno dei fondatori e ceo, Gabriele Montelisciani, a SustainEconomy.24, report di Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School. Zerynth è una startup che supporta le aziende nella digitalizzazione dei processi industriali. Come volete trasformare l'industria? «Le aziende, e lo vediamo soprattutto in questa fase storica, hanno bisogno di essere più efficienti e di ottenere il massimo dai propri asset industriali; quindi, nell'ambito di questa necessità, noi mettiamo a disposizione una soluzione basata su tecnologia IoT, Internet delle cose, che permette di connettere asset industriali di qualsiasi tipo e di qualsiasi età in modo da ottenere il maggior numero di informazioni nel minor numero di tempo e con il più basso investimento possibile per l'impresa. In tal modo, l'impresa ha tutte le informazioni necessarie per prendere decisioni di efficientamento, sia energetico che del processo produttivo o di riorganizzazione della produzione o, perché no, anche creare nuovo valore aggiunto, nuovi prodotti o servizi. Senza dover andare a sostituire un macchinario industriale, una pressa, un tornio, un telaio, che può arrivare a un valore di qualche milione di euro». Avete supportato le imprese in settori come quelli del risparmio energetico ma anche della sicurezza dei rifiuti. Come aiutate le imprese ad accelerare sui temi della sostenibilità? «Lo facciamo in due modi. Innanzitutto, fornendo le informazioni direttamente dalla macchina per mettere in condizione l'imprenditore di prendere delle decisioni di ottimizzazione ed efficientamento nel modo più consapevole possibile. Un esempio, nel settore delle materie plastiche, è il lavoro fatto con Armal. Abbiamo sviluppato un sistema IoT industriale per il monitoraggio in tempo reale del consumo energetico delle presse che ha consentito di ridurre i consumi energetici del 40%, con picchi fino al 70%. Oppure, nel settore dello smaltimento dei rifiuti, dove non esisteva un sistema che, con tecnologia molto semplice ma molto efficace, potesse dare in tempo reale le informazioni sui livelli del percolato all'interno della discarica. E tutto questo senza cambiare le macchine, che è il secondo elemento». State guardando ad altri settori? «C'è un settore interessante - un manifatturiero un po' allargato - che è quello dell'agricoltura e vivaistica industriale. In questi contesti acqua e risorse energetiche sono il punto veramente problematico e dare la possibilità, anche qui, in un modo estremamente semplice, all'imprenditore che gestisce il processo, di avere i dati sui consumi, sulla corretta crescita delle piante o dei frutti, va nella direzione di efficientare il sistema e creare maggiore valore aggiunto, riducendo anche i costi non solo di produzione ma anche sul cliente finale, un elemento oggi molto importante. Spesso le informazioni sono i veri fertilizzanti». Anche alla luce del Pnrr ci sono prospettive interessanti per voi. Vi siete dati degli obiettivi? «L'obiettivo che ci siamo dati è superare la logica dell'azione mirata ad ottenere semplicemente un supporto economico con gli incentivi sul 4.0 per acquistare una nuova macchina ma piuttosto avere il Pnrr che dà una visione più ampia di filiera e di controllo dell'intero processo e investire sulle aziende che vogliono veramente investire in tecnologie per efficientare». Come Zerynth, invece, che obiettivi avete? «Abbiamo chiuso il 2021 con circa un milione di euro di fatturato e veniamo da un percorso che è iniziato due anni fa con un investimento venture capital di due milioni di euro. Abbiamo come obiettivo quest'anno di raddoppiare il nostro fatturato e di aumentare fortemente il nostro organico. L'obiettivo è quello di diventare, anche attraverso partner industriali importanti, nel settore Ict, il punto di riferimento per tutte le Pmi, e anche le grandi imprese, che vogliono investire in digitalizzazione semplice ed efficace senza grossi investimenti o cambiamenti all'interno del proprio impianto».  SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 18/3/2022

04 Marzo 2022

Toto (Renexia): «I nostri progetti per produrre energia green nel Mediterraneo»

ll direttore generale parla del parco eolico offshore di Taranto che sarà completato in un mese e del maxi progetto Med Wind, all'impronta della sostenibilità e attenzione al territorio Sulle rinnovabili si sta andando nella giusta direzione: occorre accelerare perché sono fonti accessibili, pulite e inesauribili tali da poter evitare le fluttuazioni dei prezzi dell'energia che stanno caratterizzando questa fase storica. Ma bisogna garantire tempi certi. Riccardo Toto, direttore generale di Renexia, la subholding del gruppo Toto che si occupa di energia green, racconta a SustainEconomy.24, report di Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School l'esperienza internazionale negli Usa e parla dei progetti in Italia: il parco eolico offshore di Taranto, il primo nel Mediterraneo che sarà completato entro un mese e dove si studia anche  la  fattibilità, in futuro, dell'idrogeno, e il maxi progetto per Med Wind, il parco offshore floating nel Canale di Sicilia per un investimento da 9 miliardi. «Non ci sono problemi di autorizzazione» assicura ma «se non sarà sostenibile a 360 gradi ci fermeremo». La transizione energetica ed ecologica e la crisi geopolitica richiedono una accelerazione sulle rinnovabili. E il tema si lega inevitabilmente anche al caro energia. Si sta andando nella giusta direzione e cosa occorre per favorire questa accelerazione? «Riteniamo che si stia andando nella giusta direzione, c'è una spinta forte verso le energie rinnovabili. Si sta vivendo una crisi non dovuta alle quantità del gas, ma al prezzo quadruplicato per motivi che vanno al di là dei costi di produzione e sono legati al mercato e alimentati dai venti di guerra. L'energia generata dalle fonti rinnovabili, invece - soprattutto se si tratta di fonti presenti sul territorio o nelle acque nazionali- non subisce fattori esogeni consentendo al prezzo di rimanere fisso. Si tratta di fonti che, oltre ad essere pulite e accessibili, sono anche inesauribili, e il fatto che nessuno può aprire e chiudere il rubinetto può avere un impatto importante sull'economicità della risorsa. A ciò vanno sommate le numerose ricadute in ambito sociale che si avranno quando la produzione partirà in modo massiccio. L'Italia è nella posizione di utilizzare al meglio queste risorse; certo, sicuramente, c'è la necessità di sburocratizzare gli iter per le autorizzazioni dei progetti. Si sta procedendo in questa direzione, i tempi sono effettivamente ancora lunghi, ma ciò che è importante è avere certezza dei progetti e dei tempi». Parliamo dei progetti di Renexia. State realizzando a Taranto il primo parco eolico offshore del Mediterraneo. A che punto siete? Quali sono i numeri in termini di investimento e i risultati attesi? «Stiamo montando la terza turbina e riteniamo che entro un mese circa, l'impianto possa essere completato. Beleolico è un parco che consentirà di dare energia, totalmente verde, a 60mila persone e un contributo importante al territorio perché consente di programmare l'investimento sui 25 anni della durata della concessione. Per noi si tratta di un investimento da circa 80 milioni e le stime sui risultati attesi sono positive. E' il primo in Italia e nel Mediterraneo e, oltre a fornire questa energia avrà anche un ulteriore sviluppo: stiamo, infatti, verificando qual è la migliore technicality per trasformare una quota parte dell'energia in idrogeno, in un territorio dove ci sono molte industrie, c'è l'ex-Ilva e la raffineria. Naturalmente tutto si è svolto con un'attenzione particolare all'ambiente, sono state eseguite tutte le analisi e presi tutti gli accorgimenti sulla sostenibilità. E il coinvolgimento del territorio è stato assolutamente rilevante e, proprio in questi giorni, siamo presenti presso alcuni punti della città per spiegare il progetto e le ricadute sul territorio». Più difficoltà sta incontrando il progetto del maxi parco eolico nel mare di Sicilia. Quali sono le potenzialità? «Il parco eolico Med Wind - previsto a 60 km dalla costa siciliana e a 45 km dall'isola di Marettimo e non sarà oggettivamente visibile dalla costa - è un progetto importantissimo per noi, ideato a seguito dell'esperienza negli Stati Uniti. Qui abbiamo totalmente invertito il paradigma: siamo partiti dalle necessità del territorio e dalla sostenibilità totale del progetto tant'è che l'abbiamo presentato, prima di tutto, alle associazioni ambientaliste per condividere con loro lo studio del progetto. Abbiamo fatto una serie di sondaggi per assicurarci che lo specchio d'acqua interessato fosse quello giusto e andasse a interessare un'area idonea per questo tipo di costruzione. Il sistema eolico offshore floating, quindi non infisso sul fondale marino, garantisce la salvaguardia della fauna e della flora marina e, in certi casi, può contribuire a ripopolarsi. E' un progetto oggettivamente rilevante - perché parliamo di 2,9 gigawatt per un investimento di 9 miliardi - che potrà dare energia a circa 3,4 milioni di famiglie, taglierà circa 2,7 milioni di tonnellate annue di C02 e consentirà di risparmiare circa 100 milioni di euro all'anno sulle bollette dei siciliani. Inoltre, stiamo cercando di costruire una filiera totalmente italiana attorno al progetto. Secondo uno studio di Deloitte, è prevista la creazione di circa 6.600 posti di lavoro in Sicilia per il periodo di costruzione e più di 700-800 posti di lavoro fissi per tutti i 25 anni di operation del parco. L'iter autorizzativo procede e contiamo prima dell'estate di poter consegnare la SIA (Studio Impatto Ambientale). Per quanto riguarda le recenti osservazioni sollevate dalla commissione cultura dell'Assemblea Regionale Siciliana, teniamo a precisare che, dalle indagini svolte, non è emerso nessun vincolo dal punto di vista archeologico; siamo pronti a confrontarci e sono già stati previsti una serie di incontri ulteriori con le amministrazioni competenti per poter condividere il progetto perché, come abbiamo sempre detto, lo porteremo a termine se avremo la certezza che sia sostenibile a 360 gradi sia dal punto di vista ambientale, sia dal punto di vista economico. Dagli studi realizzati finora c'è un grande ritorno economico in termini di indotto e nessun impatto ambientale negativo». Invece continua la crescita negli Usa. Ce ne parla? «Stiamo continuando a lavorare sugli Stati Uniti, in particolare nello Stato del Maryland, dove ci siamo aggiudicati ulteriori 800 megawatt a tariffa. In questo momento abbiamo quindi circa 1.100 megawatt tariffati. Il progetto sta andando avanti, e stiamo anche completando tutta la documentazione necessaria per la realizzazione di una steel factory nell'area di Baltimora che creerà diversi posti di lavoro. Siamo molto soddisfatti». Ci sono altri progetti per Renexia? «Siamo impegnati nell'installazione delle prime aree di servizio per ricarica elettrica sull'autostrada A24-A25 dove stiamo installando colonnine da 350 Kw ad altissima velocità che consentiranno di ricaricare una macchina tra i 5 e i 6 minuti, un notevole passo avanti rispetto al passato».  SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 4/3/2022

04 Marzo 2022

Tap: «Pronti ad assicurare le forniture a Italia e Ue con aumento capacità. E in futuro l'idrogeno»

Il managing director, Luca Schieppati, ne parla a SustainEconomy.24 Nel suo primo anno di operatività il gasdotto Tap, che porta gas dall'Azerbaijan ha trasportato in Europa oltre 8 miliardi di metri cubi di gas, di cui 6,8 miliardi in Italia ed ha contribuito ad annullare il differenziale storico di circa il 10% che l'Italia pagava sul prezzo all'ingrosso rispetto ad altri Paesi europei. Il gasdotto, in prima linea in questi giorni di  particolare congiuntura e crisi storica, può aumentare i volumi già quest'anno ed è pronto ad anticipare il raddoppio della capacità. Come spiega Luca Schieppati, managing director di Tap, in un'intervista a SustainEconomy.24, il report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School. Il gasdotto Tap si sta rivelando importante in questa particolare fase di congiuntura e geopolitica. A che punto siete? Quali sono i numeri di Tap oggi? «I primi flussi di gas dall'Azerbaigian sono arrivati in Italia, nel Terminale di Ricezione di Melendugno, il 31 dicembre 2020. Nel suo primo anno di operatività, Tap ha trasportato in Europa oltre 8 miliardi di metri cubi di gas naturale, di cui circa 6,8 in Italia, contribuendo significativamente a rafforzare la sicurezza degli approvvigionamenti del nostro Paese e dell'intero continente». É possibile accelerare o anticipare i target per quest'anno per contribuire a ridurre i prezzi, contenere il caro-bollette e affrontare i rischi di approvvigionamenti? «In termini di costo della materia prima, già nel corso del 2021 l'entrata in esercizio di Tap ha contribuito, insieme ad altri fattori, ad annullare sostanzialmente, e talvolta perfino ad invertire, il differenziale storico di circa il 10% che l'Italia pagava sul prezzo all'ingrosso del gas naturale rispetto alle altre nazioni del Centro e del Nord Europa. Nel breve termine, consci delle criticità connesse all'attuale congiuntura di elevata domanda e scarsa offerta, ci stiamo concentrando nel raggiungere il pieno utilizzo dell'attuale capacità del gasdotto, ovvero 10 miliardi di metri cubi/anno sulla base dei contratti di trasporto a lungo termine. Anche utilizzando la capacità offerta da Tap a breve termine, mediante le aste sulla piattaforma Prisma, ulteriori volumi aggiuntivi potrebbero poi essere disponibili dall'area del Caspio nel corso dell'anno. In un orizzonte di lungo periodo, è in corso la consultazione pubblica per sondare l'interesse del mercato per un'espansione di capacità che tipicamente si origina quando avviene l'incontro tra nuova disponibilità di domanda, ovvero l'interesse del mercato italiano ed europeo ad assicurarsi su base vincolante ulteriori volumi di gas rispetto agli attuali 10 miliardi di metri cubi, e di offerta, in altre parole la produzione aggiuntiva nell'area del Caspio. Possiamo anticipare di circa un anno rispetto ai due originariamente previsti la conclusione di questa procedura e, a fronte di una sua conclusione positiva, possiamo avviare gli investimenti necessari e concluderli in un arco temporale di circa 4 anni». Parliamo di transizione. Il Tap ha caratteristiche green? «Nuovi volumi di idrogeno e altri gas rinnovabili potranno essere trasportati in futuro lungo la nostra infrastruttura. È un percorso che abbiamo già intrapreso; abbiamo completato con Snam un primo studio per il trasporto di idrogeno in miscela con il gas naturale ed è in corso la preparazione per prove di laboratorio per testare i materiali e porre il nostro gasdotto ‘a prova di futuro'». Quindi vede concretamente la possibilità di trasportare idrogeno in futuro? «Mi riallaccio alle risposte precedenti e mi permetto di sottolineare come in realtà l'espansione della capacità sia davvero il modo migliore, se non l'unico, per Tap di contribuire a facilitare la realizzazione delle ambizioni energetiche e climatiche italiane ed europee. Nuovi volumi di idrogeno e altri gas rinnovabili potranno essere trasportati attraverso l'espansione della capacità di Tap e relativi adeguamenti per veicolare l'idrogeno in miscela con il gas naturale, essendo la capacità attuale sostanzialmente prenotata nella sua totalità dagli attuali contratti di trasporto a lungo termine». E che ruolo può svolgere il gas nella transizione? «Nei colloqui tenutisi a Baku durante il Southern Gas Corridor Advisory Council, cui ho avuto l'onore e il piacere di partecipare, la Commissaria Ue all'Energia Kadri Simson ha ribadito il ruolo del gas naturale e di Tap nel garantire sia la sicurezza degli approvvigionamenti sia una just transition verso una progressiva decarbonizzazione. A beneficiare di nuovi ulteriori flussi dall'Azerbaijan sarebbero non solo i Paesi membri, tra cui l'Italia, ma anche quelli dell'area dei Balcani Occidentali, ancora fortemente dipendenti dall'utilizzo su larga scala di carbone e di lignite». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 3/4/2022

04 Marzo 2022

Batistoni (Enea): «Dalla fusione nucleare energia pulita e sicura. Il 2050 è il nostro traguardo»

Importanti le ricadute per il sistema industriale, spiega la responsabile della Sezione Sviluppo e Promozione della Fusione dell'Enea Sviluppare la fusione nucleare per produrre energia sicura, pulita e illimitata. Paola Batistoni, responsabile della Sezione Sviluppo e Promozione della Fusione dell'Enea, racconta a SustainEconomy.24, report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School, la road map della ricerca a livello europeo e italiano con l'obiettivo di arrivare a energia in rete intorno al 2050. Parla delle importanti ricadute per il sistema industriale e anche degli investimenti di magnati come Gates o Bezos. Il lavoro sulla fusione nucleare quanto contribuirà a garantire energia pulita in futuro? «Noi stiamo sviluppando l'energia da fusione proprio per questo motivo, per vedere di rendere disponibile all'umanità una fonte di energia che non produce anidride carbonica, quindi non produce gas climalteranti, è sicura ed è illimitata con risorse disponibili per centinaia di migliaia di anni, forse milioni. Una fonte di energia che, a differenza delle rinnovabili, ha una regia programmabile. Quindi, la ricerca sulla fusione è finalizzata a realizzare una fonte di energia con queste buone caratteristiche che possa integrare le rinnovabili e contribuire davvero ad una società completamente decarbonizzata». Ci aiuta a capire cosa si sta facendo a livello di ricerca? «Intanto occorre chiarire che alla fusione stanno lavorando tutti i Paesi avanzati. In Italia, come nel resto del mondo, le ricerche sono cominciate alla fine degli anni ‘50 ma sono cominciate da zero. Per realizzare la fusione nucleare in laboratorio, infatti, occorre portare la materia in condizioni estreme, confinando in gabbie magnetiche un gas di idrogeno a temperature 10 volte più elevate di quelle che abbiamo nel centro del sole - tipicamente 150 milioni di gradi - e questo è necessario perché la fusione avviene all'interno delle stelle dove però c'è una densità di materia molto più elevata. Pertanto, riuscire a realizzare in laboratorio le condizioni per la fusione è stato oggetto di ricerche per anni ed ha richiesto lo sviluppo di nuovi campi della fisica. Ora riusciamo a raggiungere queste condizioni nei nostri laboratori, e ottenere la fusione e controllarla per tempi relativamente lunghi. Due terzi del mondo - l'Europa, gli Stati Uniti, la Russia, l'India, il Giappone la Corea del Sud – stanno collaborando al primo reattore, sempre sperimentale, ma della taglia di un reattore vero e proprio, che si chiama Iter (International Thermonuclear Experimental Reactor) che stiamo costruendo in Francia e che dovrà produrre 500 megawatt di potenza di fusione, per tempi lunghi - dalle decine di minuti fino all'ora. Per dimostrare la fattibilità scientifica e tecnologica della fusione. Abbiamo, poi, Eurofusion, un programma europeo coordinato da Euratom, a cui collaborano tutti i Paesi europei, che ha elaborato una road map per arrivare ad avere energia da fusione; naturalmente una tappa fondamentale della roadmap sarà il successo di Iter, poi ci sono attività parallele per sviluppare le tecnologie necessarie per passare dal reattore sperimentale a quello dimostrativo in grado di immettere energia elettrica in rete». A livello di tempi cosa prevedete?  «Non siamo all'anno zero, abbiamo già soluzioni che però devono essere testate e qualificate per essere utilizzate in un reattore di potenza. Per questo diciamo che ci servono ancora circa trent'anni. Sui tempi siamo molto chiari: dobbiamo finire di costruire Iter e fare la sperimentazione almeno per una decina di anni e, in parallelo, sviluppare tutte le tecnologie, per poi avere, finalmente, energia in rete. Quindi realisticamente la metà del secolo è il nostro traguardo». Quali sono il ruolo e l'apporto dell'Italia? «L'Italia ha una lunghissima tradizione sulla fusione. E i laboratori Enea hanno iniziato a studiare gas ionizzati già negli anni '60. Stiamo contribuendo in maniera importante al programma europeo e siamo i secondi contributori del consorzio Eurofusion dopo la Germania. Siamo forti nella fisica dei plasmi e nella sperimentazione, in tante tecnologie dai materiali speciali che servono per i reattori, ai magneti e cavi superconduttori, stiamo veramente lavorando a 360 gradi. Grazie alla nostra presenza come presidio di ricerca e alla collaborazione che abbiamo sempre avuto con il settore industriale, l'industria italiana - per quanto riguarda il reattore Iter - ha avuto commesse per 1,8 miliardi, una grossa frazione dell'investimento europeo. È un caso di successo con ricadute sul nostro sistema produttivo e un impatto economico. Enea partecipa a Eurofusion coordinando circa venti istituti, fra cui il Cnr, Infn, molte università e alcune industrie. Nei prossimi anni, l'Italia contribuirà alla roadmap europea con un nuovo grande esperimento di fusione in via di costruzione presso l'Enea di Frascati, chiamato Divertor Tokamak Tesrìt (DTT), nell'ambito di una collaborazione tra Enea, Eni e altri istituti e università italiani, con un investimento totale di circa 600 milioni di euro». Si è arrivati dunque, ad una fase della ricerca in cui c'è una forte collaborazione internazionale ma anche importanti opportunità? «E' un settore dove c'è grande collaborazione internazionale ma c'è anche competizione sugli aspetti industriali perché ci sono ricadute industriali notevoli e un interesse strategico da parte di tutti i Paesi per lo sviluppo tecnologico. C'è anche da dire che, negli ultimi anni, c'è stato un forte interesse anche dei privati. Grazie agli investimenti di personaggi noti come Bill Gates, Jeff Bezos, circa 40 società in tutto il mondo hanno raccolto alcuni miliardi di dollari da destinare alla fusione. E si affacciano a questo settore, a mia opinione, perché capiscono che siamo arrivati ad un certo punto di maturità e perché c'è un gran bisogno di fonti di energia che non siano climalteranti. Alcuni propongono configurazioni leggermente diverse e più semplici o si ripromettono di sviluppare soluzioni tecnologiche più spinte in maniera di arrivare alla fusione prima rispetto alla nostra valutazione. Pensiamo che tutto questo interesse e questo sforzo dei privati sia assolutamente positivo e che possa portare a soluzioni migliori. Siamo, invece, un po' scettici sulle promesse di tempi molto più brevi. Il nostro approccio, tipico delle imprese pubbliche, è più conservativo, assume meno rischi, ma comunque con una strada ben tracciata». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 4/3/2022

04 Marzo 2022

Anev: «L'Italia ha il potenziale eolico per centrare i target e abbassare i prezzi. Ma la burocrazia è freno»

Il presidente dell'associazione, Simone Togni, avverte: le ultime novità normative innescano la fuga degli investitori L'Italia ha un potenziale eolico importante in grado di centrare i target di decarbonizzazione al 2030, aiutare a tagliare le bollette e ridurre la dipendenza dal gas russo. Ma, con la burocrazia, non riusciremo mai a raggiungere questi obiettivi. Simone Togni, presidente di Anev, l'Associazione nazionale energia del vento, ne parla a SustainEconomy.24, report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School. E le ultime novità normative, dice, non fanno che peggiorare la situazione innescando una fuga degli investitori. L'energia eolica può svolgere un ruolo importante nella transizione. A che punto siamo in Italia?  «Il potenziale eolico nazionale al 2030 è pari a 19,3 GW. In Italia siamo giunti ad una potenza eolica installata pari a 10,93 GW ma la crescita negli ultimi anni è stata lenta e non adeguata al passo richiesto dalla transizione. Negli ultimi nove anni i dinieghi delle soprintendenze sono stati costanti e le autorizzazioni sono passate da 1.200 MW nel triennio 2012-2014 a 750 MW nel 2015-2017 (con un calo del 40%), fino ai miseri 125 MW nell'ultimo triennio 2018-2020 con un calo dell'80%. Il Pniec prevede, al 2030, il raddoppio della capacità eolica rispetto a quella installata in Italia oggi, a 20 GW, che consentirà una produzione di energia elettrica superiore ai 40 TWh. Purtroppo, con l'attuale sistema burocratico non arriveremo mai a raggiungere gli obiettivi prefissati; infatti, ci vogliono in media 5 anni e mezzo per autorizzare i nuovi impianti contro l'anno previsto. L'inizio dei lavori del primo impianto eolico offshore in Italia, a Taranto, è la dimostrazione del fatto che abbiamo aziende all'avanguardia, ma devono essere messe in condizione di lavorare, senza ostacoli burocratici». Quali sono le potenzialità che vede in un prossimo futuro e a lungo termine?  «Il settore eolico è tranquillamente in grado di garantire l'installazione della potenza elettrica necessaria a centrare i target di decarbonizzazione al 2030 e di arrivare a ben oltre i 30 GW al 2050, considerando anche le applicazioni off-shore. Questo consentirebbe di triplicare l'attuale produzione elettrica e coprire circa il 20% dei consumi nazionali con grande beneficio in termini di riduzione delle emissioni di gas climalteranti e di risparmio di barili di petrolio equivalenti. E aiuterebbe significativamente ad abbassare il costo della bolletta energetica del nostro Paese, considerando che il costo dell'energia eolica è intorno ai 65 €/MWh contro gli oltre 200 €/MWh che oggi sono quotati in borsa a causa del costo del gas. Tale crescita garantirebbe, poi, un importante incremento delle prospettive occupazionali: dalle sedicimila attuali fino a quasi centomila unità, soprattutto in aree del Paese notoriamente ‘depresse'. Purtroppo, il quadro normativo e regolatorio attuale difficilmente ci consentirà di raggiungere questi obiettivi se non si attueranno politiche di semplificazione profonde». A proposito di autorizzazioni e burocrazia, gli ultimi decreti possono aiutare? «Purtroppo, le ultime novità normative non fanno che peggiorare la situazione. Il Dl Sostegni Ter prevede, a favore delle imprese, un intervento stimato in 1,7 miliardi, volto a contenere l'aumento dei costi delle bollette prelevando dalle tasche dei produttori di rinnovabili che vendono l'energia elettrica sul libero mercato oltre due terzi del valore dell'energia riconosciuto alle altre fonti. Questa norma ha visto la luce senza una condivisione con i corpi intermedi rappresentativi dei vari settori colpiti, e questo metodo non può essere condiviso. La reazione è stata unanime, basti pensare che hanno congiuntamente mandato una lettera di protesta al premier Draghi i rappresentanti dei produttori di energia, dei consumatori, delle imprese tecnologiche del settore energetico e le associazioni ambientaliste. La norma mette in grave rischio il corretto svolgimento delle dinamiche di mercato e non risolve minimamente la situazione emergenziale. Questa norma, qualora non venisse eliminata, comporterebbe una fuga degli investitori dal nostro Paese». Quindi i target dell'Italia sul fronte delle rinnovabili sono a rischio? E quanto aiuterà il Pnrr? «Gli obiettivi che il nostro Paese ha assunto in sede comunitaria sono fortemente a rischio se non si agirà velocemente a dare certezze del rispetto delle regole di mercato e se si attueranno le attese politiche di semplificazione necessarie. L'ultimo report di WindEurope e Anev riporta dati sconcertanti per tutta Europa: per raggiungere il target rinnovabili del 40% al 2030, l'Ue dovrebbe installare 30 GW di eolico ogni anno. Per dare un elemento di confronto in Europa si sono installati solo 11 GW nell'ultimo anno e circa 18 GW all'anno nei prossimi anni. Quote così basse mettono in pericolo il Green Deal e stanno danneggiando il settore eolico europeo. Ci troviamo di fronte ad obiettivi che sulla carta potrebbero dare impulso alla transizione ecologica, risolvendo anche la dipendenza del vecchio continente dal gas russo, ma che di fatto anche per mezzo di norme che danneggiano il settore, non si riuscirà a raggiungere». Parliamo appunto del caro energia. Crede che gli interventi strutturali decisi siano sufficienti? «Gli interventi presi dal Governo non solo non saranno sufficienti a contrastare il caro energia, ma sono lesivi di interi settori industriali. E l'attuale conflitto in Ucraina non aiuterà. La crisi energetica è causata dall'aumento del costo del gas che si sta ripercuotendo sui costi finali dell'energia elettrica ed è un elemento di criticità per il sistema produttivo e per le famiglie. Questa situazione di impennata dei costi energetici è causata dal crescente costo di produzione dell'energia da fonti fossili, in particolare dal gas, mentre le fonti rinnovabili, per loro natura, hanno un costo fisso. Infatti, in questi giorni, quando il prezzo dell'energia elettrica in Italia ha toccato i 250 €/MWh, in alcuni mercati del Nord Europa, grazie alla elevatissima produzione di energia dal vento e dal sole, il prezzo del kWh è sceso in negativo. L'Italia ha voluto, negli anni, contrastare lo sviluppo di queste tecnologie e ora ne paga le conseguenze. Si sarebbe dovuto intervenire sia negli anni passati tramite la transizione energetica promessa e non attuata, sia tramite sistemi di approvvigionamento adeguati delle risorse necessarie. Oggi dobbiamo correre per recuperare il tempo perso e lo possiamo ancora fare, basti pensare che ci sono progetti presentati per le autorizzazioni e che hanno chiesto già la connessione a Terna per ben oltre il numero previsto al 2030. Vanno analizzati in tempi rapidissimi e, nel dovuto rispetto del paesaggio e delle norme ambientali previste, autorizzati subito. Mettendo tali impianti a mercato, e non levandoli come sciaguratamente ha fatto il nostro Governo, il prezzo dell'energia elettrica scenderà insieme alla nostra dipendenza energetica. La nostra proposta al Governo è spingere sulle nuove rinnovabili senza indugio, scoraggiare l'utilizzo delle fonti fossili tagliando gli ingentissimi sussidi a loro riconosciuti, in questo modo abbatteremo i costi della bolletta elettrica e procederemo verso la transizione ecologica con decisione». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 4/3/2022

18 Febbraio 2022

Google: «Ricerche online sostenibili e il nostro impegno per l'ambiente. Zero emissioni al 2030 e data center green»

Kate Brandt, chief Sustainability officer di Google, racconta il percorso della big company e gli investimenti green con una forte risposta di utenti e imprese Carbon neutral dal 2007, Google punta a zero emissioni al 2030 in tutte le operazioni e nella catena del valore. Kate Brandt, Chief Sustainability Officer di Google, racconta in un'intervista a SustainEconomy.24, il percorso della big company Usa che passa dai data center sostenibili, alimentati da energia carbon neutral e water positive. Al guidare gli utenti nelle scelte sostenibili nei viaggi, negli alloggi, negli investimenti finanziari o nell'acquisto di un prodotto e nei percorsi eco-friendly su Google Maps, in arrivo in Europa nel 2022. «Entro il 2025, ci aspettiamo di aver attivato oltre 2 miliardi di euro di investimenti in nuovi progetti per generare energia pulita e infrastrutture green in Europa, che speriamo aiutino anche a creare più di 2.000 nuovi posti di lavoro», sottolinea Brandt. Che vede una forte risposta da parte degli utenti e delle imprese. «Negli ultimi cinque anni in Google abbiamo visto un aumento di quasi 5 volte nelle ricerche online di beni sostenibili». L'impegno per l'ambiente di Google ha già raggiunto obiettivi importanti. Carbon neutral dal 2007, Google punta a zero emissioni al 2030. A che punto siamo? «Siamo in grado di assumerci questi impegni perché la sostenibilità è un valore fondamentale fin dalla fondazione di Google, più di 20 anni fa. Nel 2007 siamo stati la prima grande azienda a diventare carbon neutral, e nel 2017 abbiamo compensato il nostro uso di energia con il 100% di energia rinnovabile, e lo abbiamo fatto per quattro anni di fila. Ora il nostro nuovo obiettivo è quello di raggiungere entro il 2030 emissioni nette zero in tutte le nostre operazioni e nella catena del valore. E prima del 2030 puntiamo a ridurre la maggior parte delle nostre emissioni (rispetto al 2019). Siamo orgogliosi dei progressi che stiamo facendo. Cinque dei nostri data center, compresi quelli in Danimarca e Finlandia, sono alimentati al 90% o quasi di energia carbon neutral». Ma la sfida della sostenibilità non si ferma all'ambiente e al cambiamento climatico. Avete annunciato innovazioni nelle ricerche, nei percorsi, nelle soluzioni di viaggio. Qual è l'obiettivo? «Vogliamo rendere la tecnologia disponibile per tutti, organizzando le informazioni da tutto il mondo e rendendole universalmente accessibili e utili. Questo obiettivo, insieme al nostro impegno per la sostenibilità, si traduce nell'aiutare a rendere più semplice fare scelte sostenibili. Questo vale per i viaggi, così come per la scelta di un alloggio, un investimento finanziario o l'acquisto di un prodotto. Nel 2021, abbiamo introdotto nuove funzioni per prenotare voli o per esempio i percorsi eco-friendly su Google Maps (in arrivo in Europa nel 2022). Quando le persone cercano su Google informazioni sul cambiamento climatico, mostriamo loro informazioni credibili da fonti autorevoli, tra cui le Nazioni Unite». State potenziando anche la rete dei data center sempre con attenzione alla sostenibilità? «Per più di un decennio, abbiamo lavorato per rendere i data center di Google tra i più efficienti al mondo, progettando, costruendo e gestendo ognuno di essi per massimizzare l'uso efficiente di energia, acqua e materiali, migliorando le loro prestazioni ambientali anche quando la domanda dei nostri prodotti è aumentata. Nel 2020 abbiamo raggiunto il 67% di energia carbon-free su base oraria in tutti i data center, rispetto al 61% del 2019. In media, un data center di Google è due volte più efficiente dal punto di vista energetico di un tipico data center aziendale. Rispetto a cinque anni fa, forniamo una potenza di calcolo più alta di circa sei volte utilizzando la stessa quantità di energia elettrica. Inoltre, ci impegniamo affinché nessuno dei nostri rifiuti vada in discarica: nel 2020, il nostro tasso globale di deviazione in discarica per le operazioni dei data center era dell'81%. Stiamo anche costantemente lavorando per ridurre, reintegrare e ripristinare l'acqua nei nostri uffici e data center per diventare water positive entro il 2030. Questo significa che "restituiremo" il 120% dell'acqua che consumiamo, in media, nei nostri uffici e data center e aiuteremo a ripristinare e migliorare la qualità dell'acqua e la salute degli ecosistemi nelle società in cui operiamo. Lavoriamo, poi, per aiutare i nostri clienti a essere più sostenibili. Un esempio sono i due nuovi strumenti che abbiamo lanciato di recente. Il primo è il Google Cloud Region Picker, che aiuta i clienti a scegliere una Google Cloud Region considerando i parametri chiave tra cui il carbon footprint. E lo strumento "Carbon Footprint" utile in quanto riporta le emissioni di carbonio associate all'utilizzo della Google Cloud Platform di ogni cliente». In questa ottica state lavorando anche a soluzioni di intelligenza artificiale che possano accompagnare la transizione. Ce ne parla? «Il machine learning ci ha permesso di ridurre del 30% l'energia usata per il raffreddamento dei data center di Google e la tecnologia può anche aiutare nella decarbonizzazione delle città. Abbiamo recentemente condiviso un progetto di ricerca che, attraverso l'intelligenza artificiale, può aiutare le città a migliorare il traffico utilizzando in maniera più efficiente i semafori. In Israele è già stato adottato con successo: abbiamo visto una riduzione del 10-20% del consumo di carburante e del tempo di ritardo agli incroci. Presto estenderemo questo progetto ad altre città. Stiamo anche aiutando le città a ridurre 5 gigatonnellate di emissioni di CO2 entro il 2030, attraverso il nostro Environmental Insights Explorer (EIE)». In termini di investimenti è un impegno importante? Che ripaga? «Quando si tratta di impegnarsi per un mondo più sostenibile ed ecologico, le azioni e gli investimenti parlano più delle parole. Entro il 2025, ci aspettiamo di aver attivato oltre 2 miliardi di euro di investimenti in nuovi progetti per generare energia pulita e infrastrutture green in Europa, che speriamo aiutino anche a creare più di 2.000 nuovi posti di lavoro. Siamo anche impegnati a sostenere altre organizzazioni. Per citare solo uno dei tanti esempi: l'anno scorso abbiamo lanciato attraverso Google.org una Impact Challenge sul Clima, mettendo a disposizione 10 milioni di euro per il finanziamento di idee coraggiose che utilizzino la tecnologia per accelerare il progresso dell'Europa verso un futuro più sostenibile. E, pochi mesi fa abbiamo annunciato un nuovo progetto, Restor, disponibile in tutto il mondo - fondato da Crowther Lab e alimentato da Google Earth Engine e Google Cloud, che permette a chiunque di analizzare il potenziale di riqualificazione di qualsiasi area, fornendo dati accurati su qualsiasi zona». Che tipo di sensibilità riscontrate a queste tematiche? «Credo che ciò che è buono per il pianeta sia buono per il business. Sempre più aziende e clienti se ne stanno rendendo conto. Negli ultimi cinque anni in Google abbiamo visto un aumento di quasi 5 volte nelle ricerche online di beni sostenibili. I clienti stanno attivamente scegliendo opzioni sostenibili rispetto a quelle non sostenibili. E le aziende stanno giustamente spostando i loro modelli di business per soddisfare queste aspettative. Un paio dei molti esempi ravvicinati che abbiamo visto attraverso il nostro Google Cloud sono Groupe Rocher e Stella McCartney: il Groupe Rocher, azienda francese a conduzione familiare e mission-driven, ha firmato un accordo di collaborazione quinquennale con Google Cloud, mettendo la digitalizzazione sostenibile al centro della strategia di innovazione e crescita. Anche quello che abbiamo fatto con Stella McCartney è molto importante per noi. L'industria della moda è uno dei maggiori contributori alla crisi climatica ed ecologica globale - rappresentando fino all'8% delle emissioni globali di gas serra. Nel 2019, abbiamo deciso di creare uno strumento, costruito su Google Earth Engine, che utilizza il cloud computing di Google, per valutare il rischio ambientale di diverse fibre nelle varie regioni in relazione a fattori ambientali. Utilizzando lo strumento insieme al lavoro esistente sulla sostenibilità, il team di Stella McCartney è stato in grado di identificare le fonti di cotone in Turchia che stavano affrontando un aumento dei rischi idrici e climatici. In Italia, abbiamo recentemente lanciato una collaborazione simile con Eni e Boston Consulting per presentare una piattaforma digitale per lo sviluppo sostenibile delle filiere chiamata Open-es». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 18/2/2022

18 Febbraio 2022

Ibm: AI e cloud ibrido accelerano il “Journey to Sustainability” per ridurre i rischi del cambiamento climatico

L'analisi degli esperti: le tecnologie avanzate supportano le aziende ma servono azioni a livello di ecosistema Le tecnologie avanzate (cloud, intelligenza artificiale, quantum computing, IoT) possono svolgere un ruolo importante nella lotta ai cambiamenti climatici. E le Big Tech, che si trovano ad operare trasversalmente su più fronti, fungono da punto nodale del ‘Journey to Sustainability' per diversi tipi di industria e stakeholder: possono supportare le aziende nell'individuare i problemi, implementare nuovi sistemi, monitorare i risultati, formulare previsioni e adattare le proprie scelte, anche economiche, al percorso per il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità. Gli esperti di Ibm, partendo dalla valutazione dei loro sistemi, hanno realizzato un'analisi sul ruolo della tecnologia a supporto delle aziende in questa sfida; ma - osservano – servono un'azione a livello di ecosistema, avviare progetti pilota per creare una value chain, testarla e replicarla in via esponenziale e pianificare nuove strategie per contenere i danni economici, materiali e di occupazione. «Le sfide climatiche e ambientali non possono essere risolte con metodi antiquati: è importante agire da subito e lavorare insieme per accelerare il progresso scientifico facendo leva sulle metodologie e tecnologie più innovative, come AI, Robotica, Quantum Computing, High Performance Computing (HPC) e su un approccio basato su cloud ibrido, in grado di valutare e interpretare i dati più rilevanti e rendere disponibili previsioni future sempre più accurate sugli impatti che il clima può portare sulle infrastrutture», spiegano Luca Lo Presti, Executive Partner - Energy & Utilities at Ibm e Patrizia Guaitani, Distinguished Engineer, Technology Technical Community Leader, a SustainEconomy.24, il report di Luiss Business School e Il Sole 24 Ore Radiocor. Per spiegare come lo sviluppo di progetti virtuosi e sostenibili si ottiene grazie alla cooperazione tra diverse industrie che apportano, ciascuna per sua competenza, un elemento di valore, gli esperti citano, ad esempio, la transizione energetica. Gli obiettivi di riduzione di CO2 in relazione ai veicoli elettrici diventano implementabili solo se il settore pubblico e privato procedono di pari passo all'installazione delle colonnine di ricarica sul territorio, mentre la società di distribuzione elettrica abilita questi punti e le società del settore automobilistico convergono verso la produzione di modelli a ricarica elettrica. Oppure ricordano un modello già presente nei Paesi del nord Europa, dove con una specifica piattaforma realizzata da Ibm, enti pubblici contribuiscono all'efficienza energetica mettendo a disposizione il controllo dei consumi di elettricità, in funzione dei momenti di disponibilità di energia rinnovabile da parte dell'operatore elettrico. Un esempio di ‘value chain' trasversale tra diversi settori industriali che sarà replicato anche in Italia, in particolare, per lo sviluppo delle cosiddette comunità energetiche (condomini, aree urbane), che potranno diventare parte attiva nella produzione di energia (prosumer). Ma soprattutto l'analisi evidenzia il ruolo di AI e cloud ibrido. Lo dimostrano le applicazioni, ad esempio, dell'Ibm Environmental Intelligence Suite, un pacchetto software che combina le ultime innovazioni di intelligenza artificiale e automazione sviluppate da Ibm Research con le tecnologie già esistenti per l'analisi meteorologica e geospaziale. Uno strumento utile per aiutare organizzazioni pubbliche e private a rispondere ai rischi meteorologici e climatici che, allo stesso tempo, permette di effettuare una rendicontazione delle emissioni di carbonio delle imprese. O i progetti che hanno integrato le informazioni rese disponibili dalla piattaforma Ibm The Weather Company con i dati del cliente per costruire una dashboard utile ad evidenziare situazioni di allerta o rischio sui singoli punti della rete (entro 1 km) legati a condizioni metereologiche avverse, consentendo quindi di aumentare la resilienza dell'asset, ridurre i costi di manutenzione e contribuire efficacemente agli obiettivi di sostenibilità. Visti gli impatti del clima su diversi segmenti di mercato e la necessità di incrementare la resilienza di tutte le infrastrutture italiane (quali strade, ponti, linee elettriche, ferrovie, dighe), soluzioni di questo tipo potranno essere sempre più necessarie nel prossimo futuro. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 18/2/2022

18 Febbraio 2022

Cellnex: «Per essere sostenibili serve una cultura condivisa. I profitti partano da criteri e principi Esg»

L'ad di Cellnex Italia, Gianluca Landolina, annuncia la certificazione Easi e parla degli obiettivi di crescita a lungo termine Per essere veramente sostenibili nel lungo periodo serve una cultura condivisa nell'azienda e i profitti devono partire da criteri e principi Esg. Gianluca Landolina, amministratore delegato di Cellnex Italia, controllata dal gruppo spagnolo, quotato in Borsa, di infrastrutture di telecomunicazioni, leader in Europa con oltre 130.000 torri e un fatturato di circa 2 miliardi all'anno, racconta a SustainEconomy.24, report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School, l'approccio della società che punta al coinvolgimento di tutti i collaboratori e gli stakeholder sui temi Esg. E parla dei risultati raggiunti annunciando di aver ottenuto, prima azienda in Italia, la certificazione EASI, l'unico modello di sostenibilità aziendale riconosciuto da Accredia. Ma anche l'obiettivo di arrivare al 2025 al 100% di energia consumata certificata come green energy. Landolina mette in guardia dai rischi di greenwashing e da chi antepone la comunicazione ai fatti. Il nostro business delle torri, sottolinea, è anche muscolare, finanziario, ma soprattutto industriale e, forte di 6 miliardi investiti in Italia, vuole "traguardare non il profitto a breve ma la crescita a lungo termine". Si parla tanto di sviluppo sostenibile e di criteri Esg. Ma c'è anche chi paventa una ‘bolla' di sostenibilità, tentazione di greenwashing, difficoltà di conciliare i principi Esg con la redditività. E'così? «Ogni qualvolta qualcosa diventa di moda, inevitabilmente attira sia coloro che sono ‘sani' sia quanti lo sono meno; sicuramente, se persegui la sostenibilità soltanto per poterla comunicare probabilmente non otterrai poi grandi risultati, perché serve, invece, un lavoro preventivo sulla cultura aziendale. Che, per noi, in Cellnex, è iniziato 6 anni fa, quando non avevamo l'"ossessione" della sostenibilità e nessuno la pretendeva; lo facevamo per noi e abbiamo cercato di diffondere una cultura che non fosse mai monodirezionale ma andasse a raccogliere il percepito della popolazione aziendale in modo da raggiungere un compromesso che facesse stare bene tutti: sia l'azienda, come istituzione, sia le persone che la portano avanti. Da lì siamo stati stimolati con la prima certificazione, la seconda e, poi, la terza perché è la nostra cultura condivisa che ha permesso di raggiungere questi risultati. Il greenwashing, oggi, è un problema, è un rischio di chi mette la ‘press release' sulla sostenibilità davanti alla sostenibilità stessa, invece di mettere in prima linea quella cultura sostanziale che porta tanti benefici tra cui quello di essere veramente sostenibili nel lungo periodo». Partendo da queste premesse, come si conciliano le tematiche Esg con il business di Cellnex e che tipo di percorso state portando avanti? «Crediamo fermamente che la sostenibilità non debba essere solo un investimento o un costo perché in questo caso dipenderà sempre e soltanto da ‘un decisore' che stabilisce quando e perché ‘spendere' quei soldi per la sostenibilità. La sostenibilità, invece, deve entrare nei gangli decisionali dell'azienda e i profitti devono partire da criteri e principi di sostenibilità. E' necessario che la sostenibilità si autoalimenti insieme con il profitto: parlo delle famose tre ‘P', Planet, People e Profit, cui si va aggiungendo anche la Prosperità sociale. Dunque, quando tutto questo si autoalimenta - indipendentemente dal manager che decide di investire quando ci pensa o quando l'azionista glielo chiede - allora si sta facendo un percorso virtuoso di lungo periodo. Noi, facendo così, siamo arrivati all'importante risultato di avere la certificazione ‘EASI', Ecosistema aziendale di sostenibilità integrata». Ce ne parla? «Si tratta di una certificazione rilasciata da DNV Business Assurance ed è l'unica riconosciuta da Accredia, l'ente di accreditamento designato dal Governo italiano e sottoposto alla vigilanza del Mise. Essere certificati EASI significa che un soggetto terzo ha fatto una radiografia profonda e ha appurato che la sostenibilità è in effetti entrata in tutti i processi decisionali e di esecuzione micro e macro, a qualsiasi livello dell'organizzazione. Vale a dire che chiunque, nell'azienda, ha capito che la sostenibilità è sana, è sostenibile, crea un risparmio e concilia le famose tre P». Parliamo anche di ambiente e lotta al cambiamento climatico, importanti per una società di torri di telecomunicazioni. Che traguardi avete raggiunto e quali i prossimi obiettivi? «Cellnex Italia fa parte di un grande gruppo, Cellnex Telecom, che è presente in 13 Paesi in Europa e che si è dato un obiettivo molto sfidante con un Masterplan Esg, avviato nel 2021 e che traguarda al 2025, che ingloba 92 azioni che, chiaramente, scendono a cascata su tutti i Paesi del gruppo. Noi, come Italia, siamo assolutamente allineati e abbiamo seguito questo stimolo di virtuosità. Solo per citare un esempio: il 60% dell'energia elettrica che consumiamo oggi è certificata come green energy e, entro il 2025, l'obiettivo è che sia certificato il 100%. Ma teniamo tanto anche a coinvolgere in questa avventura quanti più stakeholder possibili. Si parla di moltiplicatore virtuoso quando un'azienda - che riesce a pensare ed agire in modo sostenibile - riesce a coinvolgere anche i fornitori. Così abbiamo invitato tutti i nostri principali fornitori ad avviare, anche loro, il percorso per la certificazione EASI. E sul tema vediamo che sono molto avanti e danno grandi soddisfazioni anche i nostri clienti - che sono gli operatori telefonici italiani – che stanno dimostrando di avere molto a cuore i principi e i criteri di sostenibilità sana e pura. Poi, mi piace ricordare che cerchiamo di aiutare il contesto nel quale ci muoviamo; negli ultimi anni abbiamo supportato tante associazioni, dal Banco Alimentare alla Comunità di Sant'Egidio, dalla Croce Rossa Italiana a Medici Senza Frontiere nel loro impegno verso un territorio disastrato dalla pandemia, con l'obiettivo di creare un rapporto che non sia mordi e fuggi ma sia sostenibile e possa diventare anche di partnership». E quali gli step che vede nel futuro di Cellnex? «Vogliamo corroborare e avere cura di questa risorsa incredibile che è la nostra cultura aziendale perché credo fermamente che il momento in cui si pensa di essere arrivati e, quindi, si allenta la tensione, è l'inizio del declino. E anche perché il contesto - e direi che lo abbiamo imparato bene in questi ultimi anni - può cambiare da un momento all'altro in maniera repentina. Quindi aumenteremo sempre più la nostra attenzione sulla salvaguardia della cultura condivisa. Tutto questo è fondamentale per un'azienda come Cellnex che, come da piani per i prossimi cinquant'anni, vuole progredire e crescere. Il business delle torri è sicuramente anche muscolare, ovvero finanziario. Abbiamo infatti portato a termine importanti acquisizioni, Cellnex ha investito decine di miliardi negli ultimi sei anni e, solo in Italia, circa sei da quando siamo arrivati. Ma il nostro business è soprattutto industriale, non traguardiamo il profitto nel breve ma la crescita e la consistenza del business nel medio lungo termine e per questo è necessaria la dedizione di tutte le persone che lavorano in azienda». SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 18/2/2022

18 Febbraio 2022

Mancino (Rai Way): «La sostenibilità e l'innovazione integrate nella strategia aziendale. Il 2022 sarà un anno sfidante»

L'amministratore delegato racconta obiettivi e traguardi in un'intervista a SustainEconomy.24 Un approccio alla sostenibilità che passa dall'integrazione con la strategia aziendale tanto che il Piano di sostenibilità traguarda al 2023 come il Piano industriale. E include anche l'innovazione, elemento distintivo del dna di Rai Way. Aldo Mancino, ceo della società di gestione e sviluppo delle reti di trasmissione e diffusione radiotelevisiva per la Rai, parla a SustainEconomy.24, report de Il Sole 24 Ore Radiocor e Luiss Business School, di obiettivi e traguardi: dal 100% di energia elettrica rinnovabile al cda composto al 44% di donne alla riconfigurazione tecnologica del network per renderlo più efficiente in termini di consumi energetici. Il 2022 sarà un anno intenso e sfidante, assicura, con la tv digitale di nuova generazione nelle case degli italiani e lo sviluppo di un'infrastruttura per data center. Qual è l'approccio alla sostenibilità di Rai Way? E come si concilia con l'operatività? «Rai Way approccia la sostenibilità integrandola con la strategia aziendale e, conseguentemente, con l'operatività. Ecco perché il primo Piano di Sostenibilità di Rai Way, pubblicato ormai un anno fa, copre lo stesso orizzonte temporale del Piano Industriale 2023 e include, oltre ai classici pilastri Esg (ciò ambientale, sociale e di governance) anche l'innovazione, quale elemento distintivo del nostro Dna. Sostenibilità e innovazione proseguono quindi di pari passo tra loro e con l'operatività di un player infrastrutturale che connette le comunità, portando la radio e la televisione a tutti gli italiani, con una copertura capillare del Paese». Come è misurabile questo impegno? Ci fornisce alcuni dati? «Dal 2017 rendicontiamo il nostro impegno sul fronte della sostenibilità in modo puntuale e trasparente attraverso la Dichiarazione Non Finanziaria e offriamo disclosure sull'avanzamento degli obiettivi inclusi nel Piano di Sostenibilità, come, ad esempio, il 100% di energia elettrica rinnovabile o il consiglio di amministrazione composto al 44% di donne. In aggiunta, da un paio di anni, abbiamo deciso di andare oltre la compliance normativa e abbiamo avviato un percorso di engagement con le principali agenzie di rating Esg che, a cavallo tra il 2021 e il 2022, ha prodotto i primi risultati tangibili: upgrade rilevanti sono infatti arrivati nelle valutazioni di CDP, MSCI e Sustainalytics. Secondo Sustainalytics, Rai Way figura tra le prime 20 società al mondo in termini di rischio Esg considerato trascurabile». E' un impegno che richiede anche investimenti? «Certamente, sia in termini di tempo che dedichiamo a queste attività di monitoraggio e rendicontazione che, naturalmente, di risorse finanziarie. Basti pensare che 2/3 dei 150 milioni di euro che stiamo investendo nel progetto di riconfigurazione tecnologica del nostro network (il cosiddetto "Refarming") saranno destinati alla sostituzione degli apparatati trasmissivi tecnologicamente superati, comportando l'adozione di sistemi energeticamente più efficienti che ridurranno consumi e spesa per l'elettricità. Questa è solo una delle iniziative con cui vogliamo indirizzare la Carbon Neutrality entro il 2025, 25 anni in anticipo rispetto alle prescrizioni dell'Ue». Che tipo di sollecitazioni e risposte registrate dai vostri stakeholder? «Dialoghiamo costantemente con i nostri stakeholder, tanto esterni quanto interni, e circa un anno fa li abbiamo coinvolti nell'aggiornamento della nostra matrice di materialità, che sta alla base del nostro agire sostenibile: innovazione tecnologica, salute e sicurezza sul lavoro, consumi energetici ed emissioni elettromagnetiche sono emersi come i temi più rilevanti, insieme all'etica e alla trasparenza nella conduzione del business. Su ciascuno di essi la nostra attenzione è massima e i nostri stakeholder sono soddisfatti dei risultati che conseguiamo e che i soggetti internazionali ci certificano.Rete unica, polo delle torri: si prospetta un 2022 che vede le tlc sempre in prima linea». Come vede il 2022 di Rai Way? «Il 2022 per Rai Way sarà un anno sicuramente intenso e sfidante. Saremo ancora impegnati nel refarming che porterà la tv digitale di nuova generazione nelle case di tutte le famiglie, migliorando sensibilmente l'accesso ai contenuti in oltre 1.000 comuni italiani. Ma non solo. Come abbiamo annunciato lo scorso luglio, in un'ottica di diversificazione e all'interno di una strategia che risponde all'esigenza di digitalizzazione dei servizi e di nuove modalità distribuzione di contenuti, ci concentreremo sullo sviluppo di un'infrastruttura per data center con l'obiettivo di realizzare edge data center in 5-7 città entro il 2023. Nel farlo poniamo attenzione al tema della sostenibilità progettando secondo gli standard più evoluti e privilegiando l'utilizzo di componenti che consentono un efficientamento nell'utilizzo dell'energia, perlopiù da fonti rinnovabili, con conseguente ottimizzazione del livello di Power Usage Effectiveness e riduzione delle emissioni di C02. Prevediamo inoltre l'introduzione del massimo livello di automazione, che consentirà di ridurre le emissioni relative agli spostamenti necessari per l'operatività dei siti. SFOGLIA IL REPORT COMPLETO 18/2/2022